LA NUTRIZIONE PASSA DI QUA (NPQ). Individuazione di una road map per l’insegnamento della nutrizione nel core curriculum del laureando in Medicina e Chirurgian.81, 2019, pp. 3622-3628, DOI: 10.4487/medchir2019-81-6

Abstract

Al fine di soddisfare il crescente e condiviso bisogno di educazione nutrizionale per gli studenti di medicina, un progetto educativo denominato “La Nutrizione Passa di Qua” (NPQ) è stato recentemente lanciato da Sapienza Università di Roma. Il progetto NPQ, è stato avviato nell’anno accademico 2018-2019 con lo scopo di integrare l’educazione nutrizionale nel processo formativo degli studenti di medicina. Prima si è proceduto a definire gli argomenti di interesse nutrizionale che dovrebbero entrare a far parte dei saperi dei laureati in medicina. Successivamente, tra le “UDE” (Unità didattiche elementari) proposte dalle Conferenze Permanenti delle Facoltà e delle Scuole di Medicina sono state identificate quelle in cui tali saperi potessero essere trasmessi. Con questo approccio, che non implica alcun aumento del numero di crediti / anno, la nutrizione (di base, applicata e clinica) verrà progressivamente insegnata dal primo al sesto anno del corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia. Sulla base dei risultati ottenuti durante il periodo sperimentale attualmente in corso, il progetto NPQ (ora implementato in due corsi universitari) potrebbe essere esteso ad altre scuole mediche di Sapienza Università di Roma.
Parole chiave: Nutrizione, insegnamento universitario

Summary
In order to satisfy the commonly perceived growing need of nutrition education for medical students, an educational project named “La Nutrizione Passa di Qua” (NPQ)” (Nutrition Passes Here) has been recently launched by Sapienza Unversity in Rome. The NPQ Project has been started in the academic year 2018-2019 and is aimed at integrating nutritional education for medical students. Topics of nutritional interest which should be part of the knowledge of the graduated in medicine have been first defined and assigned the amount and type of knowledge to be acquired by the student. Then, among the “UDE” (Elementary Didactic Units) proposed by the Permanent Conference of the Chairmen of Italian Medical Schools, those in which “nutritional elements” may be taught were identified. With this approach, which does not imply any increase in the number of credits/ year, basic, applied and clinical nutrition will be thaught progressively from the first until the sixth year of the medical school course. Based on the results obtained during the currently ongoing experimental period, the NPQ project (now implemented in two undergraduate courses) could be possibly extended to other Medical Schools at Sapienza.
Key words: nutrition, academic teaching.

Articolo

Premessa
La Nutrizione Passa di Qua (NPQ) è un progetto di integrazione della formazione in ambito nutrizionale per gli studenti dei CLM di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “Sapienza”.

La Nutrizione Umana include un complesso di saperi fortemente interdisciplinari che comprendono aspetti genetici, biochimici, fisiologici, psicologici, cognitivo-comporta-mentali, statistico-epidemiologici, clinici, tec-nologici, economici, politici e sociali. L’elevata prevalenza di malnutrizione sia per eccesso sia per difetto ha un impatto importante sulla mortalità, sul “burden of disease” e sui costi sanitari in tutto il mondo. Abbastanza sor-prendentemente, l’insegnamento della Nutrizione Umana (di base, applicata e clinica) nei Corso di Laurea di Medicina e delle professioni sanitarie è ancora insufficiente in Italia così come in altri Paesi. D’altro canto l’area della nutrizione è oggetto di attenzione da parte di tanti, che poco hanno a che fare con questo settore, con la conseguenza che vengono diffuse notizie e informazioni spesso false e fuorvianti.
Il progetto nasce quindi dalla convinzione che è importante che i Medici siano in grado di dare informazioni scientificamente valide in tale ambito e che essi acquisiscano conoscenze e competenze tali da consentire loro di comprendere e impostare il percorso diagnostico-terapeutico relativo alle problematiche nutrizionali nella pratica clinica. Infatti, il core curriculum degli studi di medicina deve poter armonizzare la imprescindibile integrazione tra scienze di base, fisiopatologia e pratica medica con la rivoluzione in corso da anni che ha comportato aperture nei confronti di nuove applicazioni, nuove discipline scientifiche, la necessità di nuovi approcci diagnostici e terapeutici, come già efficacemente sottolineato nel 2014 da Gaddi et al su questo giornale.
Ma come compatire questa crescente e condivisa esigenza con la oramai consolidata struttura del “core curriculum” del laureato in Medicina e Chirurgia?

Metodologia
Onde evitare di modificare la struttura del CLM in Medicina e Chirurgia, si è deciso di inserire gli argomenti di interesse nutrizionale all’interno dei diversi insegnamenti, riservando loro uno spazio tutto sommato piccolo (ma sufficiente) in grado di far acquisire agli studenti conoscenze e competenze adeguate in ambito nutrizionale nel corso dei 6 anni. È stato pertanto attivato in via sperimentale il progetto NPQ in due dei sei CLM di Medicina e Chirurgia dell’Università di Roma “Sapienza” nell’anno accademico 2018-2019. La realizzazione del progetto si è svolta, e si sta svolgendo, attraverso fasi diverse tra loro strettamente interconnesse:

  • individuazione degli argomenti di interesse della formazione in ambito nutrizionale che dovrebbero far parte dei saperi dello studente in Medicina e Chirurgia al mo-mento della laurea;
  • individuazione tra le Unità Didattiche Elementari (UDE) proposte dalla Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia (http://presidenti-medicina.it/core-curriculum/proposte) di quelle in cui sia possibile e auspicabile sviluppare gli argomenti di interesse nutrizionale (tabella 1);
  • condivisione del progetto con i Presidenti del CLM “B” e “D” (scelti come pilota), con i Presidi delle Facoltà di “Medicina e Odontoiatria” e di “Farmacia e Medicina”, con il Rettore dell’Università di Roma “Sapienza”, con i Docenti degli Insegnamenti interessati;
  • recepimento di osservazioni, correzioni e integrazioni al progetto che potessero venire dalle parti interessate;
  • indagine ad inizio AA 2018-2019 del livello di “alfabetizzazione” nutrizionale degli studenti del CLM di Medicina e Chirurgia;
  • attuazione del percorso NPQ durante l’AA 2018-2019;
  • verifica a fine AA 2018-2019 del livello di “alfabetizzazione” nutrizionale acquisito dagli studenti del CLM di Medicina e Chirurgia, del gradimento degli studenti relativamente al progetto NPQ, delle opinioni dei docenti coinvolti nel percorso di NPQ.

La realizzazione del progetto è stata possibile grazie alla creazione di un gruppo di studio/lavoro che ha coinvolto i docenti afferenti all’Unità di Ricerca in Scienza dell’Alimentazione e all’Unità Operativa Complessa in Medicina Interna e Nutrizione Clinica e che ha avuto come scopi quelli di:

  • svolgere tutto il lavoro preliminare (definizione degli argomenti di interesse nutrizionale e integrazione nelle UDE);
  • discutere con il corpo docente dei CLM “B” e “D” gli argomenti individuati per l’ottimizzazione del progetto;
  • realizzare le indagini (preliminare e a posteriori) relative alla “alfabetizzazione” nutrizionale degli studenti del CLM di Medicina e Chirurgia;
  • supportare, qualora necessario, i docenti dei CLM “B” e “D” nella realizzazione del progetto.

È interessante rilevare che gli argomenti sono stati svolti, nella stragrande maggioran-za dei casi, dai docenti titolari degli insegna-menti, mentre il gruppo di studio/lavoro NPQ è intervenuto, su richiesta dei Colleghi, solo in alcuni casi.

Conclusioni preliminari

Il progetto, già pochi mesi dopo l’avvio, sembra riscuotere interesse e condivisione. Ciò lascia ben sperare per i risultati che saranno raccolti a fine anno accademico.
In particolare il progetto ha come punto di forza, la capacità di collegare gli aspetti legati alle scienze di base (biochimica, fisica, anatomia) alla fisiologia dello stato di nutrizione e dei comportamenti alimentari, le scienze di base e la fisiopatologia con lo studio della clinica delle varie forme di malnutrizione, e infine le tre aree di competenza della nutrizione (base, applicata e clinica) tra di loro.
Di fatto il progetto individua tra i saperi minimi, che ogni studente deve aver acquisito alla fine del Corso di Studi, anche quelle informazioni necessarie a comprendere meglio le problematiche relative la nutrizione clinica. Il fil rouge che lega le diverse nozioni in un percorso integrato riteniamo possa portare lo studente a comprendere il nesso esistente tra scienze di base, fisiopatologia e clinica delle diverse forme di malnutrizione ed il notevole e negativo impatto che ogni forma di malnutrizione ha sulla salute dei pazienti e sui sistemi sanitari.

Lavoro futuro e prospettive

  • verifica di esito: i risultati del lavoro svolto andranno verificati nel futuro prossimo. In particolare andranno verificati l’efficienza (impatto sull’organizzazione del lavoro didattico del CLM) e l’efficacia (miglioramento delle conoscenze in ambito nutrizionale degli studenti);
  • valutazione delle criticità: andranno rilevate le criticità che potranno emergere sulla base delle osservazioni che faranno docenti e studenti o che lo stesso gruppo di studio/lavoro potrà rilevare;
  • implementazione del progetto: sulla base delle osservazioni che potranno pervenire, sarà possibile integrare il progetto con altri argomenti di interesse nutrizionale;
  • allargamento ad altri Corsi di Laurea: obiettivo del progetto è quello di estendere il progetto a tutti i CLM in Medicina e Chirurgia dell’Università “Sapienza”, ai CLM di Odontoiatria e ai CL e CLM delle professioni sanitarie;
  • creazione di un programma di formazione a distanza (FAD): per realizzare quanto sopra è prevista l’implementazione del progetto attraverso un programma di FAD che possa consentire l’acquisizione di CFU.

Bibliografia

Donini LM, Leonardi F, Rondanelli M, Bandera-li G, Battino M, Bertoli E, Bordoni A, Brighenti F, Caccialanza R, Cairella G, Caretto A, Cena H, Gambarara M, Gentile MG, Giovannini M, Lucchin L, Migliaccio P, Nicastro F, Pasanisi F, Piretta L, Radrizzani D, Roggi C, Rotilio G, Scalfi L, Vettor R, Vignati F, Battistini NC, Muscaritoli M. The Domains of Human Nutrition: The Importance of Nutrition Education in Academia and Medical Schools. Front Nutr. 2017 Feb 22;4:2. doi: 10.3389/fnut.2017.00002. eCollection 2017.

Donini LM, Muscaritoli M. La formazione in nutrizione umana nei CLM in Medicina e Chirurgia. Medicina e Chirurgia, The Journal of Italian Medical Education. 2016;69:3133-7

Gaddi A., Basili S., Rizzo C., Lenzi A., Caruso C., Il Core Curriculum degli studi di Medicina. Stato dell’arte e prospettive, Medicina e Chirurgia, 62: 2791-2793, 2014

Muscaritoli M, Cuerda C, Donini LM, Baqué P, Gaudio E, Jezek D, Krznaric Z, Pirlich M, Sch-neider S, Schetgen M, Spranger J, Vargas JA, Van Gossum A. Nutrition education in Medical Schools (NEMS). An ESPEN position paper. Clin Nutr. 2019 Feb 7. pii: S0261-5614(19)30050-0. doi: 10.1016/j.clnu.2019.02.001

Cita questo articolo

Muscaritoli M., Lenzi A., Basili S., Della Rocca C., Filetti S., Polimeni A., Donini L. M., LA NUTRIZIONE PASSA DI QUA (NPQ). Individuazione di una road map per l’insegnamento della nutrizione nel core curriculum del laureando in Medicina e Chirurgia, in Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp. 3622-3628, DOI: 10.4487/medchir2019-81-6

Affiliazione autori

Maurizio Muscaritoli, Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione, Sapienza-Università di Roma

Andrea Lenzi, Presidente del Comitato Nazionale dei Garanti per la Ricerca del MIUR, Sapienza-Università di Roma

Stefania Basili, Presidente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia D, Sapienza-Università di Roma.

Carlo Della Rocca, Preside della Facoltà di Farmacia e Medicina, Sapienza-Università di Roma.

Sebastiano Filetti, past-dean della Facoltà di Medicina e Odontotiatria, Sapienza-Università di Roma.

Antonella Polimeni, Preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria, Sapienza-Università di Roma.

Lorenzo M Donini, Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Fisiopatologia Medica, Scienza dell’Alimentazione ed Endocrinologia, Sapienza-Università di Roma.

Acknowledgment: uno speciale ringraziamento ai Colleghi afferenti all’Unità di Ricerca in Scienza dell’Alimentazione (A Pinto, AM Giusti, E Poggiogalle) e all’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Nutrizione Clinica (A Laviano, A Molfino) che stanno contribuendo alla realizzazione del progetto NPQ.

Analisi Preliminare sulla Survey in corso sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italianin.81, 2019, pp. 3620-3621, DOI: 10.4487/medchir2019-81-5

Articolo

In questo articolo è descritta l’analisi preliminare dei dati raccolti ad oggi dalla survey sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani.

Metodo: Ai presidenti del CdL in Medicina e Chirurgia è stato chiesto di compilare una survey online divisibile, per comodità di analisi, in tre sezioni:
1) Anagrafica, 2) Domande bersaglio e 3) Note personali.
1 – La sezione Anagrafica era composta da tre domande con la finalità di indagare lo stato dell’arte dell’insegnamento delle MH presso l’università di appartenenza e come esse venissero definite a livello di curriculum formativo.
Nello specifico ai Presidenti è stato chiesto: 1) C’è un corso denominato Medical Humanities nel Corso di Studi di Medicina e Chirurgia della sua università di appar-tenenza? (Sì/No); 2) In quali anni/o vengono insegnate le MH? (I-II-III-IV-V-VI) e 3) Quale è il Settore Scientifico Disciplinare (SSD) che insegna prevalentemente le MH? (Risposta aperta).
2- La sezione Domande bersaglio conteneva due domande: 1) Come definiresti le MH? (Risposta aperta) e 2) “Scienze umane in medicina”- Approveresti questa traduzione per la denominazione di un corso? (Sì/No).
3- L’ultima sezione Note personali era costituita da una domanda aperta in cui i Presidenti avevano la possibilità di lasciare propri commenti o opinioni in merito alle MH.

Procedura: Le informazioni quantitative raccolte sono state riportate su un file excel così da poter essere opportunamente sottoposte a revisione critica e analisi statistiche descrittive.

Risultati Preliminari
Dalle analisi condotte sulla sezione Anagrafica della survey online compilata dai Presidenti del CdL in Medicina e Chirurgia sono emersi i seguenti risultati.
Alla domanda “C’è un corso denominato Medical Humanities nel Corso di Studi di Medicina e Chirurgia della sua università di appartenenza?” 15 partecipanti hanno risposto affermativamente mentre gli altri 28 non hanno dato una risposta affermativa.
La seconda domanda della sezione recita “In quale/i anno/i vengono insegnate le MH?” ed è stato possibile per i Presidenti fornire più di una risposta: 27 Presidenti hanno indicato il I anno di Corso, 11 hanno indicato il II anno, in 18 sedi invece le MH sono insegnate al III anno, in 11 corsi al IV, in 14 sono collocate al V, in 12 sedi sono indicate al VI anno ed infine, cinque Presidenti di Sede hanno risposto che in nessun ano di corso è previsto l’insegnamento curriculare delle MH.
L’ultima domanda delle anagrafiche era la richiesta di indicare “Quale è il Settore Scientifico Disciplinare (SSD) insegna prevalentemente le MH?” che permetteva, una risposta aperta: i SSD delle MH si sono configurati come segue:

Nei settori M-PSI è quindi – in modo congruente con le caratteristiche della disciplina e con il senso dei contenuti e dei metodi delle MH – il settore della psicologia clinica maggiormente presente, insieme alla psicologia generale e a quella sociale. E’ interessante che a questa presenza importante della psicologia tra i SSD delle MH non corrisponda una uguale menzione nelle narrative dei Presidenti (vedi art. in questo numero), aprendo la domanda di quanto effettivamente vi sia un trasferimento di informazioni e una reale integrazione tra le discipline che concorrono a costituire l’area delle Medical Humanities.
Nei prossimi numeri della rivista verranno elaborati i questionari completi.

Cita questo articolo

Streppafava M.G., Gazzaniga V., Consorti F., Basili S., Marcucci G., Analisi Preliminare sulla Survey in corso sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani, Medicina e Chirurgia, 81, 3620-3621, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-81-5

Le Medical Humanities nelle scuole di medicina italiane: come definirle?n.81, 2019 pp.3614-3619, DOI: 10.4487/medchir2019-81-4

Abstract

Although “Medical Humanities” is a term widely used in the field of medical education, its definition is still largely discussed. AIM. Thus, the aim of this study was taking a set of narratives from which qualitatively turn out the representation of Medical Humanities in order to better deepen its definition. PARTICIPANTS. This study enrolled 66 subjects in total (43 Presidents of the Degree Courses in Medicine and Surgery and 23 students in the first year of the International Medical School of the University of Milan-Bicocca). METHOD. Participants were asked to answer an open question: “How would you define the Medical Humanities?”. RESULTS. A total of 7 conceptual units emerged from the narratives of the participants: “Humanistic Discipline”, “Doctor-Patient Relationship”, “Multidisciplinary Approach”, “Holistic Approach”, “Patient as a Person”, “Knowing How to Be a Doctor” and “Effectiveness of Care”. CONCLUSIONS. The representation of Medical Humanities emerged from the narratives of the participants has mainly focused on the effects that this discipline produces: 1) improvement of communication and relational abilities and 2) as a resource for enhancing the healthcare professionals’ wellbeing. The interdisciplinary nature attributed to the Medical Humanities leads to a problem in identifying its right place within the medical school program.

Key Words: Medical Humanities, Narratives, Qualitative research
Parole chiave: Medical Humanities, Narrative, Ricerca qualitativa

Articolo

Introduzione

L’implementazione delle “Medical Humanities” (MH) nella formazione medica nasce dall’intento di utilizzare le scienze umane (letteratura, filosofia, storia e religione), le scienze sociali (antropologia, psicologia e sociologia) e le arti (letteratura, musica, teatro e arti visive) per rendere la scuola di medicina, come William Osler pensava, una scuola di vita e non solo uno spazio di apprendimento tecnico (Bliss, 1999). Tuttavia, nonostante le MH siano ormai riconosciute come elemento indispensabile all’interno di una formazione medica di qualità, la loro pratica implementazione nei curricula nazionali, con le dovute eccezioni, rimane marginale e comunque affidata all’iniziativa personale di docenti particolarmente sensibili al loro mandato formativo (Parizzi & Strepparava, 2010; Strepparava, 2010).

Una delle ragioni di questo ruolo ancora marginale è sicuramente il fatto che, sebbene la terminologia MH sia ampiamente diffusa nell’ambito della Medical Education, tanto da poter erroneamente far pensare ad un concetto ormai condiviso, la sua definizione è ancora largamente discussa sia in ambito internazionale che nel contesto italiano (Zannini, 2009; Brody, 2011). Ci si potrebbe aspettare che un buon metodo per cercare una definizione di MH sia risalire al primo articolo scientifico che ha introdotto questo termine. Tuttavia quando il Journal of Medical Humanities è stato scorporato dal Journal of Medical Ethics non è stata proposta alcuna definizione formale. Greaves ed Evans tentando di delineare il ruolo delle MH, hanno individuato una visione additiva che giustappone le scienze umanistiche al sapere medico positivista e una visione integrata che ne prevede al contrario un ruolo più critico e centrale (Greaves & Evans, 2000). Nel 2008, Evans andando oltre la visione dicotomica, definisce le MH come afferenti principalmente a tre ambiti: 1) al campo accademico di speculazione intellettuale, 2) al campo dell’educazione medica e infine 3) come fonte di influenza morale ed estetica che potesse avere un impatto sull’organizzazione e implementazione dell’assistenza sanitaria (Evans, 2008). Tuttavia, nonostante gli sforzi definitori degli anni precedenti, nel 2009 Shapiro su Academic Medicine ribadiva e denunciava la continua mancanza di chiarezza su ciò che le MH comprendessero e su come esse dovessero essere inserite nella for-mazione medica (Shapiro et al., 2009). Infatti, in anni più recenti sono emersi altri sforzi di definizione come quello di Brody (2011) che suggerisce una triplice lettura delle MH come: 1) lista di discipline, concetto affine alla visione additiva di Greves e Evans (2000), 2) programma di sviluppo morale, ricalcante la terza sfaccettatura di Evans (2008) ed infine 3) un “amico supportivo” utile in termini di resilienza per l’operatore stesso.

E’ evidente quindi che delineare più precisamente i confini e le sfaccettature delle MH sia un compito difficile e multiverso (Horton, 2019). Sulla base di questa complessità, il nostro lavoro cerca di partire da quella che è la percezione di MH sia tra i Presidenti dei Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia – preposti a dare uno specifico indirizzo alla formazione medica – sia tra gli studenti che stanno iniziando il loro percorso di formazione per far emergere somiglianze e discrepanze nelle loro rappresentazioni.

Metodo e Procedura

PARTECIPANTI
Alla ricerca hanno preso parte in totale sessantasei partecipanti (N=66) di cui 43 Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia (F=16; M=27) e 23 studenti al pri-mo anno di corso dell’International Medical School dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (F=9; M=14). I Presidenti coinvolti nella ricerca afferivano a diverse Università italiane: venti di loro provenivano da università del nord Italia (Nord=20), quattordici dal centro Italia (Centro=14) e nove dal sud Italia (Sud=9). Il campione degli studenti era eterogeneo, comprendendo partecipanti di diverse nazionalità (16 italiani, 1 israeliano, 2 indiani, 2 americani, 1 libanese, 1 sudafricano).

METODI
Ai Presidenti del CdL in Medicina e Chi-rurgia e agli studenti è stata posta la stessa domanda: “Come definiresti le Medical Hu-manities?”. La modalità di raccolta dati è avvenuta in maniera diversificata per le due categorie di partecipanti (Presidenti e Stu-denti). Ai Presidenti è stato infatti chiesto di compilare una survey online nella quale, tra altre, era presente anche la domanda bersa-glio, mentre agli studenti in occasione del pri-mo giorno del loro primo anno accademico, durante l’esercitazione introduttiva del corso di Humanities, è stato chiesto di scrivere e consegnare al docente la propria definizione di MH.

PROCEDURA
Al fine di analizzare qualitativamente le narrative dei partecipanti in merito alla definizione di MH, sono state condotte due elaborazioni:
1) è stata effettuata una analisi linguistica dei testi i) estrapolando dal testo presentato se nella definizione di MH fosse presente un esplicito riferimento ai contenuti disciplinari e ii) evidenziando nelle stringhe di testo la presenza/assenza di specifiche parole. Le parole-chiave o stringhe di parole cercate nei testi delle risposte sono state individuate a partire dalle aree per tradizione collegate alle MH: psicologia, relazione, comunicazione, etica-legge-norme, aspetti sociali-ambientali, aspetti culturali-cultura, economia-aspetti economici, diagnosi, olistico, persona, lette-ratura, arte.
2) tre giudici indipendenti hanno identi-ficato con un approccio grounded theory (a partire da una prima lettura delle narrative) alcune unità concettuali di base. Dopo questa attività esplorativa svolta in modo individuale e autonomo da ciascuno, i tre giudici si sono ritrovati per confrontare le categorie emerse singolarmente, definire in maniera concorde un elenco finale di categorie e assegnare cia-scuna narrativa ad una o più di esse.

Risultati

Analisi linguistica. La percezione delle MH come uno specifico oggetto o sistema di con-tenuti all’interno della formazione medica è evidenziata dalla presenza di espressioni quali “science”, “part of medicine”, “subject/s”, “group of subjects”, “group of disciplines”, presente nella maggioranza delle definizioni; il 65% degli studenti ritiene le MH un insieme di contenuti, mentre solo il 35% le definisce come un atteggiamento, un modo di essere, che deve essere progressivamente sviluppato nel corso della formazione per accompagnare l’acquisizione delle competenze cliniche. In questo secondo tipo di narrative compaiono espressioni quali “attitude”, “ability”, “multidisciplinary approach”; è interessante osservare che questa seconda lettura delle MH sia presente nel 45% delle studentesse e solo nel 28% degli studenti. Che le MH abbiano la funzione di sviluppare la capacità di entrare in relazione con il paziente, di comunicare con lui e di tenere espressamente conto degli aspetti psicologici è indicato dal 95% degli studenti (che riportano parole come “communication” “comunicate” “relation” “relational” “psychology/ psychological”), con una prevalenza significativa di parole che fanno riferimento alla relazione. Solo il 35% degli studenti coinvolti nella ricerca indica le MH come un sostegno alla capacità diagnostica “understand patient’s problems” “diagnosis”, “solve patient’s problems” (nessuna differenza di genere) e la stessa percentuale fa esplicitamente riferimento al fatto che le MH contengono riferimenti anche ad aspetti sociali e/o economici “economical situation”, “cultural environment”, “economics”. Nuovamente è presente una differenza di genere: quasi la metà (45%) delle studentesse fa riferimento esplicito alla dimensione socio-economica e culturale del paziente e alle MH come un modo per tenerne adeguatamente conto, mentre solo il 28% degli studenti maschi fa esplicito riferimento a questi aspetti. 34% delle risposte contiene parole che ricadono nel campo semantico dell’ etica: “Ethics”, “Law”, “evaluate situations from various and often opposing ethical standpoints” e nuovamente l’analisi per genere mostra una maggiore sensibilità a questi temi nelle definizioni delle studentesse. Il riferimento esplicito all’approccio olistico al malato è presente solo nelle descrizioni degli studenti maschi, 35% delle risposte del campione totale.
Applicando l’analisi terminologica anche alle definizioni fornite dai Presidenti, si individuano alcune macro-tipologie: descrizioni che fanno riferimento unicamente ai contenuti, più o meno dettagliati, descrizioni che fanno riferimento alle MH come metodologia didattica, definizioni che identificano le MH come un atteggiamento, così ripartite: 44% contengono riferimenti linguistici a contenuti didattici, 14% fanno riferimento agli aspetti metodologici “approccio”, “strumento”, “abilità”, 14% descrizioni che uniscono aspetti di contenuto ad aspetti metodologici, due soli presidenti descrivono le MH in riferimento all’ atteggiamento “saper essere” che il medico deve sviluppare (2%) , 16% esprimono una loro valutazione (“interessante”, “importante”, “necessarie”) sull’importanza delle MH senza però fornire una loro definizione o il riferimento a possibili aree disciplinari e 10% sono risposte non classificabili o vuote.
Va detto che tra le narrative centrate sul contenuto più della metà fa riferimento a non meglio specificate e genericamente definite “scienze umane”, “umanistica medica”, “scienze umanistiche”, “discipline umanistiche”, negli altri casi è presentata la lista delle discipline, talune presenti anche nelle descrizioni degli studenti (etica, aspetti socio-culturali, sociologia, relazione e comunicazione, psicologia) altre come letteratura, arte, pittura sono invece assenti dalle descrizioni degli studenti, che sembrano non considerare queste discipline come possibili ed utili elementi di formazione.

Analisi delle categorie. La lettura delle narrative dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e di quelle degli studenti al primo anno di corso dell’International Medical School dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha permesso ai tre giudici di individuare cinque categorie in cui classificare le risposte: Disciplina umanistica, Relazione medico-paziente, Approccio multidisciplinare, Approccio olistico e Paziente come persona. Non è stato però possibile ricondurre tutte le descrizioni generate dai due gruppi di soggetti a queste sole cinque categorie ed è stato necessario identificare altre due categorie per le risposte rimaste non classificate: una specifica per gli studenti (Efficacia della cura) e una specifica per i presidenti (Saper essere medico).
Uno degli aspetti definitori delle MH su cui vi è maggior accordo tra i partecipanti (oltre che in letteratura), è il fatto che esse siano la piena esplicitazione di un “Approccio multi-disciplinare”. Infatti, nei diversi tentativi definitori, le MH vengono considerate da molti compilatori (Charon & Williams, 1995) un campo interdisciplinare della medicina che include le scienze umane (e.g. filosofia, etica, letteratura), le scienze sociali (e.g. psicologia, sociologia, antropologia) e le arti (teatro, film, arti visive). Come ben esplicitato dalla narrativa di un Presidente, “Le MH rappresentano il contributo che contenuti e metodi di discipline umanistiche (storia, letteratura, filosofia), sociali (antropologia, sociologia, economia) e artistiche (teatro e arti visive) forniscono alla definizione del contesto, dei limiti e delle potenzialità di applicazione della Medicina”.

Nonostante le MH vengano considerate multidisciplinari, i partecipanti allo studio le definiscono prettamente “Disciplina Umanistica”. Questa unità concettuale è in linea con altri studi di letteratura che esplicitano il fatto che le MH siano state introdotte pro-prio per temperare il tecnicismo positivista a cui la medicina è stata esposta nell’ultimo secolo. Infatti come afferma Pellegrino (1979; 2008) la medicina e le sue pratiche sono tanto tecniche quanto umanistiche e imperniate di sapere morale. Tuttavia l’introduzione delle MH come disciplina umanistica porta molti dei partecipanti ad avvalorare la visione additiva più che integrativa di Greaves ed Evans (2000) definendole come la parte non tecnica della medicina che si giustappone al sapere tecnico, scientifico e procedurale. Infatti nella narrativa di uno studente leggiamo “(..) In my opinion Medical Humanities are a distinct field of Medicine, which is focused on the human aspect of the medical procedure” e in quella dei Presidenti: “L’insieme di conoscenze, competenze e strumenti derivanti dalle scienze umanistiche e sociali necessari per una corretta formazione del medico e un buon esercizio della pratica clinica”, “Utilizzo delle scienze umane nella formazione dei professionisti alla salute”. Sia nelle narrative dei Presidenti che in quelle degli studenti emerge come le MH vengano maggiormente viste come un insieme di materie piuttosto che come un’attitudine da sviluppare nel corso della propria formazione.
Le MH vengono quindi definite dai partecipanti come un campo afferente ma distinto della medicina il cui sapere fondante rimane quello tecnico-scientifico associandole maggiormente allo sviluppo della “Relazione medico-paziente”. Contenuta in questa unità concettuale vi è l’idea secondo cui le MH promuovano da un lato le capacità comunicative, e dall’altro la predisposizione empatica e di comprensione dell’altro. Le MH da un Presidente sono viste come riguardanti “esperienze formative (lezioni frontali, esercitazioni, lavori di gruppo) che hanno per oggetto lo sviluppo della sensibilità del medico in formazione alla relazione umana con il paziente (dalle competenze comunicative e la sensibilità interpersonale, alla visione integrata della persona nella sua complessità bio-psico-sociale), (…)”. Allo stesso modo uno studente scrive come le MH siano “(…) a science that makes the patient and the doctor more connected, so as the doctor can understand patient’s problem in order to find the clinical and medical care”. In continuità con la relazione medico-paziente, emerge un altro aspetto definitorio delle MH che è quello di improntare un “Approccio olistico” alla cura. Questa unità concettuale si riferisce al fatto che le MH vengano definite come catalizzatori dell’attenzione che il futuro professionista della salute pone agli aspetti socio-culturali (“un medico dovrebbe non solo considerare le condizioni fisiche del paziente ma anche la sua situazione economica e l’ambiente sociale / culturale in cui vive il paziente”), psicologici (“un buon dottore dovrebbe avere la capacità di prendersi cura non solo della sfera fisica del paziente ma anche di quella psicologica”) e situazionali (“La vita di un paziente è fortemente influenzata dalla cultura che lui / lei vive. Il processo di trattamento medico e le malattie sono influenzate dalla legge nel suo paese e dal suo ambiente”). Il 35% delle narrative degli studenti riporta il concetto di approccio olistico e sebbene esplicitamente sia maggiormente presente nelle narrative degli studenti di genere maschile, se si considera l’importanza delle caratteristiche socio-economiche del paziente quest’ultime sono maggiormente presenti nelle narrative delle studentesse di genere femminile. Nelle narrative delle studentesse è inoltre presente una maggior richiamo agli aspetti etici. Emerge inoltre come le MH possano essere definite dal mandato sociale di formare futuri medici e professionisti della salute che non si concentrino solo sulla diagnosi (disease) ma anche sul vissuto di malattia (illness) considerando il “Paziente come persona”.
Per quanto riguarda invece le due categorie non condivise: nelle narrative dei Presidenti emerge l’associazione definitoria tra le MH e il “Saper essere medico” intendendo con ciò che “il futuro medico deve – sapere-, deve – saper fare – e soprattutto deve – saper essere – per far fronte all’aumento crescente delle disuguaglianze in salute, aggravato dall’epidemia globale di patologie croniche, ed alla complessità della loro gestione in un contesto di differenze socio-economiche, culturali e demografiche anch’esso in continua evoluzione. (…)”. Da questo enunciato emerge come le MH vengano viste come necessarie per formare l’uomo dietro al professionista. Questa unità concettuale richiama un aspetto di crescita personale promossa dall’esposizio-ne alle MH che si dimostrano essere risorse non solo per lo svolgimento della professione ma anche per il professionista stesso (Davies, 1997; Pellegrino, 2008).
Non a caso questo aspetto di guadagno personale per il professionista non emerge dalle narrative degli studenti al primo anno di formazione che sottolineano invece le poten-zialità delle MH in termini di “efficacia della cura” e dunque in merito allo svolgimento della professione ed alla propria autoefficacia, e non tanto come qualcosa che favorisce una dimensione più globale e complessa e che ha a che fare con l’essere un professionista e il senso di identità personale e professionale. Come scrive uno studente: “Medical humani-ties is a field of medicine that has the role of guiding the communication between petient and doctor, since understanding the patient’s problem is the key part of medical procedu-re. Indeed a totally or partially wrong under-standing of patient’s issue can lead to a waste of time (…)”. La comunicazione e la relazione medico-paziente sono strumenti efficaci per ridurre le perdite di tempo, gli errori clinici per essere più efficienti, come aiuto alle capacità diagnostiche.

Conclusioni

Da quanto raccolto in questo che si configura come un possibile studio preliminare sullo status delle Medical Humanities italiane, in generale sembra che le MH vengano più facilmente definite – sia dai docenti che dagli studenti – come un insieme di materie piuttosto che un metodo di formazione o un’attitudine da sviluppare nel corso della formazione medica. In linea con la letteratura di riferimento (Horton, 2019) da questo studio possiamo vedere come i vantaggi percepiti e legati alla presenza delle MH nel curriculum possono essere riferiti principalmente a due ambiti: 1) l’essere esposti alle scienze umane aiuta gli studenti ad approcciarsi al paziente in termini olistici e a sviluppare un pensiero critico, oltre al fatto che 2) le scienze umane per-mettono ai futuri professionisti della salute di arricchirsi di un bagaglio di risorse personali che li porta a sviluppare un approccio maggiormente resiliente agli stimoli fonte di stress che caratterizzano la formazione e la pratica medica (Ousager & Johannessen, 2010).
La letteratura di settore sottolinea come il nucleo fondante delle MH debba venire riconosciuto nella loro natura interdisciplinare, essenza che però viene poco esplicitata – e forse riconosciuta – nelle descrizioni che sono state raccolte, anche in quelle dei Presidenti che utilizzano l’espressione interdisciplinare solo in quattro narrative su 43, narrative in cui si parla delle Medical Humanities facen-do riferimento al metodo di insegnamento e non – o non solo – ai contenuti. La prevalenza di narrative che fanno riferimento a specifici contenuti disciplinari sono sbilanciate più su una visione additiva che su una integrativa: saperi additivi e scarsamente integrati prima di tutto tra loro e con il sapere medico. Se metà dei Presidenti indica un generico apporto delle “scienze umane”, senza specificare cosa è contenuto sotto questa generica etichetta, chi indica specifiche discipline fa riferimento a saperi dell’ambito letterario-artistico, etico-bioetico, sociali ed economici. E’ sicuramente presente il riferimento agli aspetti di relazione con il paziente, ma nonostante sia un dato riconosciuto e consolidato che la psicologia clinica è la disciplina che studia il processo di costruzione e mantenimento dell’alleanza terapeutica e delle sue variabili (Safran & Muran, 2006), alleanza che è elemento fondamentale nelle professioni della cura (Strepparava, 2012), la sua presenza tra i contenuti risulta inspiegabilmente sottorappresentata; si tratta di una situazione che non può che generare perplessità, visto che sono proprio i modelli della psicologia clinica che ci permettono di spiegare e comprendere la comunicazione in ambito medico e che ci permettono di spiegare i meccanismi che sono alla base della comprensione e regolazione della relazione medico paziente, ed è proprio la psicologia clinica che per lunga tradizione scientifica si occupa di stress, resilienza, fattori di rischio, fattori protettivi e burnout tra i professionisti della salute (Salvarani, Rampoldi, Ardenghi et. al 2019).
In conclusione, affinché le Medical Hu-manities possano vedersi riconosciute il giusto spazio all’interno dell’educazione e della pratica delle professioni sanitarie, è di imprescindibile importanza che i ricercatori persistano nello sforzo di meglio definire questo concetto (Halperin, 2010) proprio attraverso un lavoro di integrazione multidisciplinare di ricerca per tenere conto adeguatamente di tutte le prospettive.

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Cita questo articolo

Strepparava, M.G., Rampoldi G., Colombo M., Ardenghi S., Le Medical Humanities nelle scuole di medicina italiane: come definirle?, In Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp.3614-3619, DOI: 10.4487/medchir2019-81-4.

Affiliazione autori

,Maria Grazia Strepparava, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Via Cadore, 48, 20900 Monza (MB) – Italia; SSD Psicologia Clinica, ASST-Monza

Giulia Rampoldi, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1, 20126 Milano (MI) – Italia

Martina Colombo, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1, 20126 Milano (MI) – Italia

Stefano Ardenghi, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Via Cadore, 48, 20900 Monza (MB) – Italia; SSD Psicologia Clinica, ASST-Monza

Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezzan. 81, 2019, 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Articolo

Che la medicina abbia una dimensione umanistica non è certo una novità: la consapevolezza di questa dimensione e la prassi del volersi occupare dell’intera persona e non solo di un corpo malato o di una “malattia” sono facilmente rintracciabili in modo costante nei secoli, almeno fino agli anni dello sviluppo tecnologico più intenso e della medicina molecolare. Poi, nell’ultima parte del ‘900 qualcosa si è perso, forse non solo nella medicina. Non è questo lo scritto per svolgere compiutamente questa linea di riflessione né io ne avrei la competenza; vi invito tuttavia anche solo a ripensare ai grandi romanzi europei di inizio novecento, come ad esempio La Montagna incantata di Mann, L’uomo senza qualità di Musil, il monumentale Ulysses di Joyce per intuire che molto prima di Watson e Crick e della riduzione di un uomo alle sue molecole, le menti più sensibili percepivano che la società occidentale stava perdendo qualcosa. O forse, che stavano iniziando le doglie di qualcosa di nuovo. Fra i vagiti del neonato (o è solo ancora il vertice che spunta dal canale del parto? Non saprei dirvi … vedremo …) sicuramente c’è nella medicina occidentale il rinnovato interesse a ricomporre l’unità della persona, sia nella prassi di cura che nella formazione e l’articolato mondo delle cosiddette Medical Humanities è una delle espressioni più evi-denti di questo movimento.
Posta questa premessa, in questo testo vorrei brevemente delineare quattro argomenti:

  • l’esposizione al bello artistico produce effetti neurobiologici documentabili e significativi in termini educativi
  • le Medical Humanities hanno un dominio educativo proprio, complementare ma non sovrapponibile a quello di altri metodi didattici
  • le Medical Humanities hanno effetti protettivi nei confronti di alcuni problemi personali degli studenti, come il burn out
  • le Medical Humanities necessitano di una organizzazione propria della didattica, pur non essendo una disciplina autonoma identificabile in un settore scientifico disciplinare

Vorrei in estrema sintesi fornire argomenti per il passaggio da una visione delle Medical Humanities come esperienze “spot” di moduli disciplinari slegati fra loro ad una strategia educativa complessiva, longitudinale, basata sull’esposizione alla bellezza durante i sei anni del corso di laurea.
La necessità di una rigorosa fondazione pedagogica e scientifica delle Medical Humanities è stata recentemente affermata da Arno Kumagai, uno dei massimi studiosi del campo, che ha scritto “The lack of rigorous theo-retical frameworks threaten to turn the humanities into mere entertainment and the efforts to introduce them into medical education into the superfluous icing on what Catherine Belling has called “the decorative edges of the curriculum.” (Kumagai 2017) Quali possono essere dunque i fondamenti pedagogici e scientifici delle Medical Humanities?

La neuroestetica

Le neuroscienze hanno da tempo abban-donato la visione semplicistica della relazione struttura-funzione basata sull’equazione “un’area corticale = una funzione” e – grazie anche alle tecniche di neuro-imaging funzionale come la SPET o la fMRI – sono impegnate ad identificare le reti di attivazione che costituiscono i correlati neuro-biologici delle diverse funzioni della mente. Tra queste, è stata indagata anche la sensazione estetica, intesa come “esperienza del bello” e non come riflessione cognitiva su cosa sia la bellezza.
Semir Zeki è considerato il padre della neuroestetica, che poi si è sviluppata in molte direzioni diverse. (Zeki 2011)
Ai fini di questo testo sarà sufficiente con-siderare due fatti:

  • esistono correlati neurobiologici specifici per l’esperienza estetica, che si attivano in modi diversi a secondo che l’esperienza sia giudicata dal soggetto “bella” o “brutta”
  • pur essendo connesse con i circuiti correlati all’esperienza generale del piacere, le reti di rappresentazione dell’esperienza estetica sono specifiche. E’ stato dimostrato ad esempio che le immagini della persona amata attivano le stesse aree del bello estetico, aree che sono diverse da quelle che si attivano di fronte ad immagini a contenuto erotico (Bartels, 2000). In termini neurobiologici, l’amore romantico ha dunque molta più attinenza con l’esperienza estetica che erotica e i poeti del Dolce Stil Novo italiano ce lo testimoniano.
  • In termini educativi, queste prove scientifiche ci dicono che l’esposizione al bello artistico, nelle sue molte diverse rappresentazioni possibili, non è solo un generico divertimento ma ha effetti specifici e non casuali sui soggetti esposti. Tali effetti possono dunque essere usati per indirizzare lo sviluppo del soggetto nella direzione del progetto educativo desiderato, a patto che l’educatore agisca con consapevolezza

Dimensioni educative

Nell’attuale vocabolario pedagogico italiano, il termine formazione ha a che fare con l’acquisizione di conoscenze e competenze (in questo senso è “dare forma”, ad esempio ad un futuro medico), mentre il termine educazione indica un processo che potremmo indicare come trasmissione culturale di valori morali ed elementi estetici, favorendo l’emergenza (ex-ducere) di una struttura di personalità umana integrata nella società. (Frabboni, 2003) In questo senso è evidente che le Medical Humanities sono principalmente strumenti educativi, anche se possono avere anche valore formativo.
Ha questo ultimo valore l’uso dell’arte nelle cosiddette Visual Thinking Strategies (VTS), di cui si è già parlato in questa rivista (Ferrara, 2016). Le VTS si sono dimostrate in grado di sviluppare forme specifiche di abilità cognitive e di ragionamento come l’osservazione critica, il riconoscimento motivato di informazioni in formato visivo, la capacità di argomentare e di condividere in un gruppo il proprio pensiero, legittimando quello degli altri. Il fatto che le VTS usino immagini artistiche per le attività previste aggiunge valore educativo a ciò che viene fatto, essendo il limite tra formazione ed educazione spesso sfumato. E’ impossibile infatti che l’esposizione a opere artistiche non generi emozioni e che – se il quadro ad esempio rappresenta un momento di pratica professionale o di sofferenza umana – queste emozioni non vengano indirizzate verso l’immagine di professionista che si sta formando nello studente. Se la riflessione su queste emozioni viene adeguatamente guidata, ciò contribuisce ad aumentare la sensibilità verso la sofferenza e un’attitudine di cura compassionevole e dedicata.
In senso specificamente educativo, il più grande valore delle Medical Humanities è di provocare tre effetti che Kumagai (2017) ha indicato come:

  1. Creating difficulties and disruption (dissonanza cognitiva): ci sono sempre più soluzioni possibili
  2. Introducing a pause: secondo i principi di una “slow medical education” (Wear, 2015)
  3. Encouraging engagement with complexity and ambiguity: ci sono sempre più punti di vista possibili

E’ il caso di ricordare qui come alla base del pensiero di molti grandi psicologi e pedagogisti, come Piaget e Dewey, ci sia l’idea fondamentale che se non viene percepito un problema, una rottura di routine o di schema del mondo, non si avvia alcun processo reale di apprendimento. E’ un normale processo di economia quello che spinge homo sapiens a cercare soluzioni nuove solo quando incontra problemi nuovi o una situazione abituale si presenta improvvisamente sotto una nuova luce. (Striano, 2018)
Tuttavia, dimostrare con prove d’efficacia un effetto educativo è estremamente difficile, perché – come ricordato – l’educazione non ha a che fare con lo sviluppo di abilità specifiche, misurabili ma con i processi di assimilazione culturale, di sviluppo dell’identità personale e professionale. Non sorprende quindi che in una revisione sistematica sugli effetti delle Medical Humanities, gli autori abbiano esaminato 234 articoli che si esprimevano a favore ma solo 9 fornivano prove di risultato a distanza, oltre il semplice gradimento degli studenti. Dieci articoli inoltre avanzano sostanziali dubbi sull’efficacia. Ciò nonostante, gli autori concludono che questa crescente massa di studi ed esperienze, di discussione e riflessione contribuisce a sviluppare “the discursive construction of humanities as a necessary component of medical education.” (Outrager, 2010). A proposito di costruzione del “discorso” intorno alle Medical Humanities, una seconda revisione sistematica con meta-sintesi qualitativa identifica 4 temi principali: 1) qualità specifiche delle arti che promuovono l’apprendimento, 2) modi specifici in cui i discenti si attivano con l’arte, 3) esiti a breve e lungo termine documentabili dell’insegnamento basato sull’arte, 4) considerazioni pedagogiche specifiche per l’uso delle arti nei contesti di formazione medica. (Haydet, 2016)

Dimensioni personali

Il disagio fisico e mentale degli studenti di medicina, che può evolvere fino a quadri completi di sindrome da burn-out è un problema ormai riconosciuto in tutto il mondo. (Ishak, 2013) Le cause sono variamente riconducibili al sovraccarico cognitivo ed emotivo, all’esposizione alla sofferenza e alla morte e ad un clima accademico troppo competitivo. Le attività di Medical Humanities sono considerate in grado di promuovere il benessere degli studenti, aumentandone la resilienza. L’Università Vanderbilt ha messo a punto un programma integrato e longitudinale che offre agli studenti attività di varia natura, nel complesso ritenute in grado di proteggere gli studenti dagli effetti negativi dello stress, tra cui corsi di pittura collaborativa (Drolet, 2010).
Ad un corso di disegno cooperativo sono ricorsi anche Lyon e coll. (Lyon, 2013) in un’esperienza di educazione inter-professionale fra studenti di arte e di medicina. Le attività di Medical Humanities, in quanto terreno non tecnico e quindi neutro, si prestano in modo speciale a sostenere programmi di educazione inter-professionale. Nello studio citato, gli autori hanno osservato un aumento della capacità di osservazione critica, di collaborazione inter-professionale e una costruttiva esplorazione riflessiva dell’identità professionale in formazione. Le Medical Humanities sono infatti ritenute efficaci nell’accompagna-re uno sviluppo armonico della professionalità medica. (Pfeiffer, 2016)

Dimensione didattica

In quest’ultima parte dell’articolo vorrei suggerire un metodo di progressiva trasformazione delle attività spesso sporadiche di Medical Humanities che fioriscono in molti corsi di laurea italiani in un percorso sistematico, prolungato nel tempo, visibile e attendibile per gli studenti (Wellbery, 2015). Prendo spunto da Peterkin (2016), adattando i suoi 12 suggerimenti alla realtà italiana.
Come illustrato in Tabella si tratta di 7 passaggi che hanno inizio dalla progettazione degli obiettivi e sono incentrati sulla costituzione di un team che si prenda cura della formazione e dell’assistenza ai docenti dei corsi integrati che ospitano le attività di MH. Non si tratta quindi di istituire un “corso” di MH, ma di distribuire una quota, anche piccola ma costante di MH lungo tutti i sei anni. Queste ore di attività didattica possono essere classificate come crediti formativi professionalizzanti, visto che – come discusso in precedenza – hanno un senso educativo e di sviluppo dell’iden-tità personale e professionale.

Tabella: Sette passaggi per istituzionalizzare la presenza delle Medical Humanities (MH) nel corso di laurea in Medicina (modificato da Peterkin, 2016)

  1. Stabilire obiettivi trasversali: • Capacità riflessiva
    • Capacità di osservazione • Competenza narrativa
    • Pensiero critico
    • Consapevolezza del proprio benessere • Competenze inter-professionali
    2.Stabilire un team per le MH
  2. 3.Offrire formazione ai docenti
  3. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
  4. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produ-zione di manufatti), cinema (digital sto-rytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizio-ne ed esecuzione)
    6.Le attività basate su MH dovrebbero pre-vedere non più di ½ del tempo come pre-sentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produ-zione di disegni o altri manufatti)
  5. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH
1. Stabilire obiettivi trasversali:
• Capacità riflessiva
• Capacità di osservazione
• Competenza narrativa
• Pensiero critico
• Consapevolezza del proprio benessere
• Competenze inter-professionali
2. Stabilire un team per le MH
3. Offrire formazione ai docenti
4. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
5. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produzione di manufatti), cinema (digital storytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizione ed esecuzione)
6. Le attività basate su MH dovrebbero prevedere non più di ½ del tempo come presentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produzione di disegni o altri manufatti)
7. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH

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Cita questo articolo

Consorti F., Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezza, in Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp. 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Affiliazione autori

Università la Sapienza, Roma.

Le Medical Humanities 1.081, 2019, pp.3608-3609

Nei documenti ufficiali della professione medica, sia nazionali (Bianco, 2010) che internazionali (ABIM, 2002) da tempo si invoca un’evoluzione della medicina, chiamata al compito gravoso ma ineluttabile di conciliare il progresso biomolecolare e lo sviluppo tecnologico con il recupero di una visione della cura centrata sulla persona intera. È altresì cruciale che tale rinnovata sensibilità umana si accompagni allo sviluppo di una competenza orientata ai fenomeni di globalizzazione.
Nonostante la dichiarata importanza, l’approccio metodologico allo sviluppo congiunto di competenze riflessive di relazione umana e di sensibilità globale è tuttora problematico.
Il vasto dominio dei metodi indicati come Medical Humanities (MH) sembra avere le caratteristiche necessarie a garantire gli esiti di formazione necessari alle sfide indicate in premessa, ma nonostante l’abbondanza di letteratura internazionale, le MH vengono percepite ancora troppo spesso come un fenomeno di nicchia, un bel divertissement collaterale alla “vera” formazione medica.
La necessità di un insegnamenti di MH nella formazione medica nasce essenzialmente dal fatto che i curricula universitari attuali non sembrano rispondere ancora in modo sufficiente ai bisogni emergenti dalle nuove circostanze con cui possono doversi confrontare oggi i medici e gli altri operatori sociosanitari. Questi possono infatti, con sempre maggiore frequenza, avere in cura pazienti provenienti da altre parti del mondo e appartenenti orizzonti cognitivi e valoriali completamente differenti da quello biomedico, essere coinvolti in ricerche policentriche, essere impiegati in società e organizzazioni internazionali, essere sollecitati a dare un contributo professionale in discussioni su problemi di sviluppo mondiale, sia da un punto di vista professionale che sociale essere sottoposti a pressioni professionali eccessive.
Contemporaneamente a queste considerazioni, da diversi anni il tema delle Medical Humanities applicate alla formazione medica sta trovando largo spazio nella letteratura scientifica internazionale. La multidisciplinarietà che le caratterizza rende esplicita la complessità del dibattito che gravita attorno a un campo così articolato da essere compo-sto dalla filosofia, dall’etica, dalla storia, dalla sociologia, dall’antropologia, dalla psicologia dalla letteratura e dalle arti (Batistatou A 2010). La letteratura internazionale però non sembra apportare sviluppi innovativi sul tema e mostra un atteggiamento compiacente senza produrre analisi costruttive. Le riflessioni che gravitano attorno alle Medical Humanities tendono a porre l’accento sulle criticità del sistema formativo biomedico attuale a cui viene imputato il fenomeno della depersonalizzazione e della reificazione del paziente e della commercializzazione delle professioni mediche.
Molte meno sono le riflessioni e le propo-ste volte a strutturare delle linee guida condivise che possano condurre alla costituzione di programmi formativi adeguati all’interno delle diverse scuole mediche. Tendenzialmente i diversi contributi constatano la quasi impossibilità di misurarne l’impatto e l’efficacia formativa delle MH tramite gli strumenti sino a ora predominanti nell’educazione medica, individuando ostacoli metodologici probabilmente insormontabili a causa della ampia pluralità di possibili confondenti.
Da ciò ne discende una palese criticità nella misurazione dell’impatto formativo, che però non esclude la necessità di una maggiore chiarezza in merito ai fondamenti epistemologici, ai fini, ai metodi e agli strumenti da utilizzare nella formazione degli studenti. Una interessante osservazione di Clayton J. Beker et al del 2017 propone un approccio di valutazione complesso che non utilizzi soltanto una metodologia empirica, numerica e tassonomica ma che possa combinare a essa la raccolta di narrazioni riguardanti l’esperienza individuale vissuta degli studenti di medicina. Oltre queste problematiche metodologiche ciò che sembra far convergere le diverse prospettive riguardanti le MH è il riconoscimento della necessità di accogliere due assunti fondamentali che ne definiscono l’utilità: da un lato, il bisogno di riconoscere una visione che possa storicizzare l’arte medica euro-occidentale cercando cioè di capire come il mondo medico viene a comporsi quale forma distinta di realtà per chi si accinge a immergersi nello studio della medicina; dall’altro, la consapevolezza degli avanzamenti conoscitivi e operativi della biomedicina che se hanno consentito l’espansione della Sanità Pubblica nella sfera globale determinando un notevole controllo rispetto alle patologie infettive hanno anche favorito, insieme a processi di altro ordine e grado, il conseguente e progressivo emergere di altre patologie come quelle degenerative, verso le quali i modelli virtuosi di lavoro scientifico sembrano aver perso gran parte del loro mordente, mentre al contrario cresce la necessità dello studio e dello sviluppo della compliance fra professionista e paziente.
Sembra dunque necessario superare la subordinazione che le MH ricoprono in rapporto alla disciplina biomedicina, troppo spesso costrette in una cornice di intrattenimento e svago per gli studenti. Inoltre, l’aumento cre-scente delle disuguaglianze in salute, delle diseguaglianze in relazione al genere, l’epidemia globale delle patologie croniche e la complessità della loro gestione in un contesto di crescente disagio socio-economico, unitamente ai cambiamenti culturali, socio-demografici legati all’invecchiamento della popolazione e a movimenti di popolazione, sono tutti componenti che contribuiscono a rendere necessaria una riflessione strutturale sui campi di applicazione clinica del concetto di equità in salute. Queste premesse evidenziano la necessità di sviluppare nel percorso formativo dei professionisti della salute un approccio interdisciplinare e multidimensionale volto a creare connessioni fra le riflessioni bioetiche riguardanti il principio di giustizia e la pratica clinica rivolta a soggetti caratterizzati da vulnerabilità sociale. L’opportunità di un ampliamento del percorso formativo dei professionisti della salute è dunque sempre più attuale e prevede la promozione di esperienze di sviluppo e diffusione di conoscenze avanzate di interesse multidisciplinare, finalizzate a ottenere standard educativi sempre più alti e a monitorare costantemente processi di apprendimento che abbiano ricadute concrete sugli standard delle prestazioni sanitarie. L’intento è quello di sviluppare delle sinergie multidisciplinari che connettano l’ottica della sanità pubblica, della bioetica e dell’antropologia al tema delle diseguaglianze in salute, degli stili di vita e della medicina di genere etc.

Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di medicina e chirurgia: focus su alcuni risultati dei primi due tempi della ricercan.81, 2019, pp. 3601-3607, DOI: 10.4487/medchir2018-81-2

Abstract

In Italy, current undergraduate medical-school (UMS) assessment procedures test applicants’ cognitive skills only. There are not studies investigating the importance of non-cognitive skills as well as the impact of academic life (course, training, exams, and the like) on students well-being. In order to fill this gap the Italian Conference of UMS Directors promoted a longitudinal research aimed at investigating students’ well-being across the 6-years of course of study.
The research was longitudinal in design and involved 6 Universities equally distributed in the different geographic zones of Italy. A questionnaire measuring personality and self-efficacy; psychological well-being; motivational and vocational factors; socio-demographic variables was administered at the beginning of the first year and of the third year. A total of 834 students were enrolled in the first wave: the remainers at the second wave were 478 (about 53%).
Preliminary results obtained from the analysis of the questionnaire show that students personality profiles are relatively stable especially as are as rank order stability in personality traits (the so called “Big Five”), self-efficacy and empathy. However, moderate al-though significant decrease in academic self-efficacy and life satisfaction, and increase in personal disease across time emerged.
Although medicine students show high levels of self-regulation capability, as well individual profiles evidencing a substantial well being, the 3 years of course of Medicine show a significant (albeit moderate) impact on students perceptions of themselves. In particular, academic activities likely produced a more realistic self-evaluation of own academic capabilities. The commitments of the course of studies have a likely impact in increase a sense of personal disease of stu-dents.

Riassunto
In Italia, le attuali procedure per l’ingresso nei corsi di studio di medicina valutano solo le abilità cognitive dei candidati. Non vi sono studi che indaghino l’importanza delle abilità non cognitive e l’impatto della vita accademica (corso, formazione, esami e simili) sul benessere degli studenti. Per colmare questa lacuna, la Conferenza Italiana dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia ha promosso una ricerca longitudinale finalizzata a indagare il benessere degli studenti nei 6 anni di corso di studio.
La ricerca è longitudinale e coinvolge 6 Università equamente distribuite nelle diverse zone geografiche d’Italia. Un questionario che misura i tratti di personalità e l’auto-efficacia; il benessere psicologico; i fattori motivazionali e vocazionali; le variabili socio-demografiche è stato somministrato all’inizio del primo anno e del terzo anno. Un totale di 834 studenti sono stati interessati nel primo tempo: i rimanenti al secondo tempo erano 478 (circa il 53%).
I risultati preliminari ottenuti dall’analisi del questionario mostrano che i profili di personalità degli studenti sono relativamente stabili, specialmente la stabilità dell’ordine di rango nei tratti della personalità (i cosiddetti “Big Five”), l’autoefficacia e l’empatia. Tuttavia, è emersa una moderata, anche se significativa, diminuzione dell’efficacia accademica e della soddisfazione della vita, e l’aumento del disagio personale nel tempo. Sebbene gli studenti di medicina mostrino alti livelli di capacità di autoregolamentazione, così come i profili individuali che dimostrano un sostanziale benessere, i 3 anni di corso di Medicina mostrano un impatto significativo (anche se moderato) sulla percezione da parte degli studenti di se stessi. In particolare, le attività accademiche hanno probabilmente prodotto un’autovalutazione più realistica delle proprie capacità accademiche. Gli impegni del corso di studi hanno un probabile impatto nell’au-mentare il senso di disagio personale degli studenti.

Key-words: longitudinale, benessere, stabilità, studenti (longitudinal, well-being, stability, students)

Articolo

Introduzione

Il Gruppo di Lavoro della Conferenza ha proposto uno studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di Medicina, i cui risultati, nelle diverse fasi dello studio pre-viste (all’inizio del corso, all’inizio del terzo anno e alla fine del sesto anno) e a due anni dopo la laurea, dovrebbero dare importanti indicazioni su come migliorare la valutazione delle caratteristiche psicoattitudinali dei candidati, sul migliore orientamento professionale per gli stessi, finalizzato a fornire evidenze per la costruzione di un migliore processo di selezione a Medicina in Italia (Cavaggioni et al., 2013; Familiari et al., 2014; Barbaranelli et al., 2014, Patterson et al., 2016; 2018).
I risultati attesi da questo studio sono anche finalizzati al miglioramento della qualità della formazione professionale, alla diminuzione del drop out e quindi alla riduzione dei tempi di latenza tra la fine della scuola superiore e l’ingresso nel lavoro, alla rilevazione dei potenziali studenti che potrebbero presentare condizioni di disagio e avere necessità di aiuto psicologico durante il percorso di studio (Cavaggioni et al., 2013; Familiari et al., 2014; Barbaranelli et al., 2014).
In questo lavoro sono sinteticamente pre-sentati i risultati relativi alla seconda fase del-lo studio considerando le dimensioni considerate ex novo in questa seconda fase, sia i cambiamenti in alcune delle variabili rilevate nella prima fase (Barbaranelli et al., 2016).

Il questionario e le caratteristiche socio-demografiche del campione

Alla prima fase della ricerca hanno partecipato 980 studenti provenienti da 7 atenei equamente distribuiti sul territorio italiano. Le caratteristiche di questo campione sono state riportate nel lavoro empirico che ha descritto tale fase (Barbaranelli et al., 2016). Alla seconda fase hanno partecipato complessivamente 478 studenti. L’età degli studenti è compresa tra i 18 e i 30 anni (M =21.94, DS = 1.07), con il 60% del campione di sesso femminile.
Delle 8 sedi che inizialmente avevano partecipato alla prima fase della ricerca, una (Caltanissetta-Palermo) non ha partecipato alla seconda fase del progetto. Con l’esclusione di tale sede, circa il 58% dei partecipanti alla prima fase è stato presente anche nella seconda fase. Il tasso di attrition varia dal 20.5% al 79% a seconda della sede, con un tasso medio pari al 42.7%. Sono state esaminate le differenze tra i partecipanti rimasti nella ricerca e i partecipanti che risultano “persi”. I risultati evidenziano che il genere non è associato con l’attrition: χ²(1) = .172, p = .679. Anche l’età non ha alcuna relazione con l’attrition: F (1,806) = .028, p = .868 , così come i soggetti rimasti nel progetto non differiscono da quelli “persi” nel voto di maturità riportato al T1: F (1,751) = 1.741, p = .187. È inoltre importante sottolineare che gli studenti che non hanno partecipato al T2 non mostravano punteggi significativamente diversi sulle scale considerate nello studio da quelli della controparte della coorte che invece ha proseguito la ricerca al T1: F (27, 633) = 1.07, p = .373; Wilk’s χ = .956 . In buona sostanza, si può affermare che la proporzione di soggetti “persi” al T2 non sia riconducibile alle variabili oggetto d’esame nell’ambito del progetto.
Il questionario distribuito durante il primo semestre del terzo anno di frequenza, oltre ad analizzare le caratteristiche socio demografiche degli studenti, conteneva i seguenti strumenti di misura utilizzati anche nel primo tempo: scale di auto efficacia (Caprara, 2001), una versione semplificata del Big Five Questionnaire 2 (Caprara et al., 2008), l’indice di reattività personale (IRI, Davis, 1983), l’SCL-90R (Derogatis, 1994), la scala di positività (Caprara et al., 2012). Le scale introdotte ex-novo riguardavano la Soddisfazione verso gli studi (costituita da item mutuati dai principali strumenti utilizzati per la valutazione dei cor-si di studio), lo Stress (Cohen et al., 1983) e la versione italiana del Revised Two Factor Study Process Questionnaire (R-SPQ-2F; Biggs et al., 2001; Barbaranelli et al., 2018) per la misura dell’Orientamento allo studio.
Il questionario era approvato dalla Conferenza Permanente e dai Comitati Etici delle diverse sedi, e veniva distribuito con il consenso informato degli studenti che autorizzavano la diffusione ai fini scientifici dei soli dati aggregati dello stesso studio.

Risultati
Prenderemo in esame innanzi tutto i ri-sultati delle 3 scale “nuove” introdotte nel secondo tempo della ricerca. Per quanto riguarda la soddisfazione verso il corso di studio, tutti gli item risultano in medie sostanzialmente uguali o maggiori della media “teorica” di 3 (la scala usata va da 1 = per nulla soddisfatto/a a 5 = del tutto soddisfatto/a). Le aree di maggiore soddisfazione sono il corso di laurea, la facoltà e il rapporto con i colleghi. Le aree di minore soddisfazione sono il personale amministrativo e il modo in cui i professori fanno lezione. Per quanto riguarda la percezione di stress, il sentirsi nervosi o “stressati” e l’avere la sensazione di non riuscire a stare dietro a tutte le cose da fare, e la sensazione che le cose non vadano come si vorrebbe sono gli elementi di maggiore preoccupa-zione. Per quanto riguarda invece l’orientamento allo studio, gli studenti aderiscono in modo significativo ad un orientamento in cui lo studio dà un senso di profonda soddisfazione personale, in cui studiare le materie accademiche risulta essere avvincente e positivo, in cui si ritiene importante approfondire quanto viene proposto nei testi e nelle lezioni. Trova sicuramente molta meno adesione un approccio orientato verso una visione utilitaristica dello studio, improntata al superamento degli esami con il minimo sforzo, facendo il minimo indispensabile.
Per quanto riguarda le misure utilizzate nei 2 tempi, le analisi evidenziano innanzi tutto una sostanziale assenza di differenze significative tra le persone che sono rimaste nella ricerca e gli studenti “persi” nel secondo tempo.
Venendo ai risultati sostantivi del tempo 2, nei 5 grandi fattori della personalità (i cosiddetti “Big Five”) emerge innanzi tutto una forte correlazione tra i punteggi ottenuti nei 2 tempi, con correlazioni che vanno da .48 a .61: queste correlazioni testimoniano per una cosiddetta rank order stability, ovvero una stabilità della posizione relativa degli individui nel campione considerato, indipendentemente dai cambiamenti che possono verificarsi nel livello medio delle caratteristiche considerate. Se l’ordine dei punteggi nel gruppo rimane molto stabile, si assiste tuttavia ad un cambiamento nei valori medi dei tratti rilevati come emerge nella Figura 1, con punteggi che risultano al secondo tempo più bassi di quelli rilevati al tempo 1.

Figura 1. Punteggi dei Big Five nei due tempi della ricerca

Energia (tendenza ad affrontare situazioni e contesti di vita di vita differenti con vigore);
Amicalità (orientamento alla socialità e all’atteggiamento positivo nei confronti degli altri);
Coscienziosità (disposizione all’ordine, al metodo e alla perseveranza nelle attività che si intrapren-dono);
Stabilità emotiva (propensione al mantenimento costante del controllo delle emozioni negative);
Apertura mentale (tendenza all’apertura alle novità e agli stimoli non conformi alle abitudini personali).

Anche per le convinzioni di auto-efficacia percepita le correlazioni tra i punteggi ottenuti nei 2 tempi sono molto forti, essendo comprese tra .42 e .62, testimoniando così per una elevata rank order stability. Anche per queste caratteristiche si assiste tuttavia ad un cambiamento nei valori medi (vedi Fi-gura 2), con una tendenza generale a punteggi più bassi nel secondo anno che diventa significativa però solo per l’efficacia nella attività accademiche e nella resistenza alle pressioni dei pari.

Figura 2. Punteggi dell’Autoefficacia nei due tempi della ricerca
Autoefficacia:
nelle attività accademiche (percezioni della propria efficacia nella gestione dello studio, delle attività di gruppo e nelle relazioni con docenti e colleghi);
nell’essere assertivi (capacità percepite di esprimere e sostenere con forza le proprie opinioni e i propri diritti);
nella gestione delle emozioni ( capacità percepita nella gestione degli effetti delle emozioni nega-tive come la paura e la tristezza);
nell’empatia (percezioni relative alla propria competenza di aiutare e comprendere gli altri nei loro momenti di difficoltà);
nella sfera sociale (percepirsi in grado di stringere nuove amicizie e partecipare attivamente nelle occasioni sociali);
nella regolazione delle condotte trasgressive (percepirsi capaci di resistere alla pressioni degli altri e a persistere in attività in cui non ci si sente coinvolti);
nel problem solving (percezioni delle proprie competenze nella risoluzione dei problemi e nella ricerca di strategie alternative per contribuire alla loro risoluzione).

Anche per quanto riguarda l’empatia, la soddisfazione di vita e la positività emerge una forte stabilità dei punteggi ottenuti nei 2 tempi, con correlazioni che vanno da .43 a .56: anche in questo caso le alte correlazioni a distanza di tre anni testimoniano per una elevata stabilità della posizione relativa degli individui nel campione considerato. Se l’ordine dei punteggi nel gruppo rimane molto stabile, si assiste anche per queste variabili ad un cambiamento nei valori medi dei tratti rilevati come emerge nella Figura 3, con punteggi che risultano al secondo tempo più bassi di quelli rilevati al tempo 2 per tutte le dimensioni esaminate tranne due.

Figura 3. Punteggi dell’Empatia, della Soddisfazione di vita e della Positività nei due tempi della ricerca
Empatia/fantasia (tendenza a trasporre i pro-pri sentimenti e le proprie azioni in quelle di personaggi non reali, come gli eroi dei film e dei fumetti);
Empatia/considerazione empatica (propensione a sentirsi coinvolto e vicino agli altri nei loro momenti difficili);
Empatia/perspective taking (tendenza ad assumere spontaneamente la prospettiva degli altri circa un problema o una situazione);
Empatia/disagio personale (sperimentare sentimenti di discomfort quando gli altri stanno soffrendo o si trovano in difficoltà, non riuscire a mantenere un comportamento finalizzato allo scopo in tali situazioni);
Soddisfazione di vita generale (valutazione globale della propria vita al momento della compilazione del questionario);
Positività (tendenza ad assumere un approccio e una visione positiva della vita e delle proprie esperienze).

Per quanto riguarda infine le dimensioni psicologico-cliniche, la stabilità delle variabili risulta in linea con quelle evidenziate dalle altre variabili: i coefficienti di correlazioni infatti variano da .43 a .57. In generale si assiste ad un lieve incremento dei punteggi nelle diverse dimensioni che diventa statisticamente significativo per alcune di esse (in particolare la somatizzazione e la depressione).

Figura 4 Punteggi nelle dimensioni psicologico-cliniche nei due tempi della ricerca

Conclusioni
Il numero di soggetti persi al tempo 2 è elevato (poco meno del 43% del campione iniziale) ma in linea con quanto avviene nelle ricerche longitudinali (Duffy et al., 2011), considerando inoltre che tra la prima e la seconda somministrazione sono intercorsi tre anni. Emergono differenze tra le sedi nel mantenimento dei partecipanti. E’da considerare inoltre che una sede non ha partecipato alla seconda fase del progetto. La perdita di soggetti non risulta associata in modo sistematico, tuttavia, né a variabili demografiche come genere, età e voto di maturità, né alle variabili individuali considerate nello studio. Infatti, i soggetti “persi” non risultano differire in modo evidente e sistematico da quelli che hanno partecipato anche al tempo 2 rispetto alle variabili misurate nel primo tempo della ricerca. In tutte le variabili: le poche differenze riscontrate risultano sempre molto basse e non sistematiche.
Il questionario utilizzato al tempo 2 si caratterizza per l’inserimento di alcune nuove variabili. Un’area che si è deciso di indagare a partire dal secondo tempo riguarda la soddi-sfazione verso gli studi. In particolare, gli studenti sembrano apprezzare molto il corso di laurea, la facoltà e il rapporto con i colleghi, mentre evidenziano una minore soddisfazione riguardo al modo in cui i docenti fanno lezione e verso il personale amministrativo.
Gli studenti riportano un livello medio di stress: gli aspetti che risultano più stressanti sono legati alle sensazioni di nervosismo, al non riuscire a star dietro alle molte cose da fare e alla sensazione di non controllare appieno le diverse situazioni.
Infine, gli studenti sono orientati allo studio da motivazioni ispirate ad un sincero interesse e un forte coinvolgimento nelle materie (“approccio profondo”); riscuote meno adesione invece l’orientamento utilitaristico, finalizzato al minimo sforzo (“approccio superficiale”).
Come emerge dai risultati, tutte le dimensioni individuali considerate, dai tratti di personalità alle convinzioni di autoefficacia, dall’empatia alla soddisfazione di vita, dalla positività alle dimensioni psicologico-cliniche, evidenziano elevati coefficienti ci correlazione tra le misure prese nei 2 anni, le quali mostrano quindi una elevata stabilità temporale intesa come rank-order stability. Que-sto non impedisce l’emergenza di differenze nelle medie dei punteggi attraverso il tempo. In particolare, per i tratti di personalità si evidenzia un cambiamento medio verso punteggi significativamente e lievemente più bassi di quanto registrato al tempo 1. Tuttavia, tali cambiamenti risultano decisamente modesti rispetto alla grandezza dell’effetto esibita. Per le convinzioni di autoefficacia si evidenziano invece cambiamenti nei livelli medi piuttosto consistenti in due domini: nello specifico, gli studenti si percepiscono come decisamente meno efficaci nelle attività accademiche e nella capacità di resistere all’influenza dei pari rispetto a quanto dichiarato al tempo 1. Questi risultati potrebbero essere indicativi anche di una maggiore consapevolezza dei propri limiti e di una minore incidenza della “desiderabilità sociale” nelle risposte fornite dagli studenti.
Per quanto riguarda le dimensioni di empatia, sono soprattutto “fantasia” e “considerazione empatica” ad evidenziare un significativo (seppur blando) decremento tra i due tempi, mentre la dimensione di disagio personale subisce un leggero ma significativo incremento. Anche la soddisfazione di vita (generale) subisce tra i due tempi un leggero peggioramento, mentre non si osservano cambiamenti medi apprezzabili nella positività. Questo lieve decremento è sicuramente meno evidente di quello riportato nella letteratura internazionale, anche se in tali studi il riferimento è quello del momento caratterizzato dalle attività cliniche, mentre le nostre osservazioni della fase 2 si riferiscono ancora a studenti impegnati in tutte le sedi, tranne una dove era già stato svolto un tirocinio di sei mesi, nel periodo preclinico, al terzo anno di corso (Hojat et al., 2009; Chen et al., 2012; Hojat, 2018).
Per quanto riguarda le variabili psicologico-cliniche misurate attraverso la scala SCL90R, dal punto di vista del cambiamento tra i tempi, si evidenzia un peggioramento statisticamente significativo soprattutto nei livelli medi di depressione e somatizzazione. Le altre dimensioni non presentano invece differenze tra le medie attraverso i due tempi della ricerca o presentano differenze molto modeste. Questi dati sembrano concordare con recenti studi italiani, relativi agli studenti di medicina che si rivolgono al centro di counseling, dove sono prevalenti anche i sintomi legati alla de-pressione e ad altre dimensioni psicopatologiche (Rapinesi et al., 2018), oltre ad un livello di distress psicologico clinicamente significativo e comparabile con quello dei servizi di salute mentale (Strepparava et al., 2017).
I risultati di questo studio, nel loro complesso, evidenziano come gli studenti siano in grado di affrontare con efficacia le sfide del corso di studi, con i suoi tempi pressanti e le sue numerose sollecitazioni in termini di impegni e carichi di lavoro. Questo è evidenziato sia dalle medie nelle dimensioni dell’autoefficacia (comunque più elevate dei valori medi “teorici”), sia dalla generale soddisfazione verso il corso di studio. Ciò non impedisce tuttavia che gli studenti percepiscano un naturale disagio soprattutto nella gestione dei tempi, e nella consapevolezza che molto di quello che avviene nel corso di studi è al di fuori del loro controllo. In generale possiamo afferma-re che gli studenti evidenziano uno stato di sostanziale salute e benessere psicologici, sta-ti che vengono vissuti nella consapevolezza di essere persone tutt’altro che invincibili, ed ammettendo quelle che solo apparentemente possono sembrare fragilità.

Bibliografia

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Cita questo articolo

C. Barbaranelli, V. Ghezzi, G. Cavaggioni, M.F. Caiaffa, M.Valli, A.Piga, R. Muraro, V. Locatelli, M.G. Strepparava, G. Familiari, Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di medicina e chirurgia: focus su alcuni risultati dei primi due tempi della ricerca, in Medicina e Chirurgia, 81, 3601-3607, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-81-2

Affiliazione autori

Gruppo di Lavoro Accesso a Medicina e Test Attitudinali: riforma e monitoraggio

Dal Progress Test al Training Test: una prima elaborazione dei datin.81, 2019, pp. 3594-3600, DOI: 10.4487/medchir2019-81-1

Abstract

A Progress Test (PT), made up of 300 multiple-choice questions, has been administered every year to all the Italian medical students since 2006. In 2018, the PT has been redesigned to train the students (Training Test, TT) to afford the new postgraduate state examination. In accordance with this state examination, the TT is composed of 200 MCQ, 50 basic and 150 clinical. In order to fit the Italian Core Curriculum, the questions have been written by 59 Italian university teachers, and revised by 10 experts in medical education. At variance with PT, in TT the questions have not been grouped by disciplines but identified as learning outcomes based on sceneries as “the hospital ward”, “the ambulatory”, “the emergency room”, or “in local medicine”.
The affordability of the test has been granted by a Kuder-Richardson coefficient equal to 0.970, computed on 5184 6th-year students.
For each multiple-choice question, the Facility Index was obtained (number of correct answers/number of students). The average national Index varies from 0.65 (“in the hospital ward”) to 0.78 (“basic sciences”). The easiest questions (Facility Index = 0.735) were cognitive interdisciplinary quizzes, the most difficult (0.669) were problem solving-based questions.
As far as the question content is considered, 22 out of the 50 most difficult questions dealt with the interpretation ability and 17/50 with the ability of prescribing a therapeutic or diagnostic intervention.
The most difficult questions exhibited a wide variance in the distribution of correct answers in the different undergraduate curricula. Sometimes the variance is balanced, more often the questions appear as generally easy (or difficult) in all but a few curricula.
The Italian Conference of Undergraduate Medical Curriculum Presidents will distribute to the Presidents a table comparing, for each question, the average national facility index with the local average index, in order to allow the different courses to plan improvement strategies tailored on the difficulties registered in each course.

Articolo

Introduzione
Tra le azioni di maggior rilievo promosse dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di CCLM in Medicina (CPPCLMM&C) si può inserire sicuramente la creazione ed implementazione del progress test (PT), un complesso di 300 domande a risposta multipla sottoposto a cadenza annuale contemporaneamente sul territorio nazionale a tutti gli studenti dei Corsi di Laurea in Medicina (dal 2006: Tenore et al., 2017) e in Odontoiatria e Protesi Dentaria (dal 2017: Crocetta et al,. 2018). Gli straordinari risultati ottenuti hanno ispirato gli estensori del D.M. del 9 maggio 2018, n. 58 del MIUR, in cui è enunciato che l’esame di Stato ‘assumerà la forma di un test con domande a scelta multipla non note in anticipo ai candidati’ (Lenzi et al., 2018). Il progress test è stato dunque ‘riprogettato’ per il 2018 in base a caratteristiche formali che lo hanno parzialmente avvicinato al nuovo esame di stato: composto da 200 domande, ripartite in 50 formulate su argomenti riguardanti le conoscenze di base, nella prospettiva della loro successiva applicazione professionale e 150 allestite su argomenti riguardanti la capacità di applicare le conoscenze biomediche e cliniche alla pratica medica ed alla risoluzione di una serie di problemi clinici. Il test di quest’anno è così diventato un training test (TT), ovvero un allenamento in vista del futuro esame di stato. Il passaggio dal progress al training test ha imposto una serie di modifiche nella sua preparazione. Obiettivo del training test è stato allenare gli studenti al superamento di un esame di stato nazionale e quindi non sono state estratte le domande attingendo a grandi e qualificate banche-dati internazionali ma è stato necessario attenersi strettamente al ‘core curriculum’ dei corsi di laurea in Medicina, elaborato dalla CPPCLMM&C (Gallo, 2018). A questo scopo la Conferenza ha impegnato tutti i Presidenti di CLM a fornire in modo riservato una serie di domande aderenti a ciò che effettivamente si insegna nei nostri CLM. Hanno contribuito a questo progetto ben 59 esperti disciplinari (che hanno redatto le domande a risposta multipla) e 10 esperti trasversali (che hanno confezionato il test). Il riferimento per la formulazione dei quesiti è stato il ‘core curriculum’, ovvero i contenuti dell’abituale insegnamento di ogni docente, ed i quesiti sono stati selezionati, seguendo il metodo ‘PUIGER’, ovvero scegliendo temi rilevanti per la Prevalenza del soggetto, o la sua Urgenza, o le possibilità di Intervento ad esso connesse, o la sua Esemplarità metodologica, o la sua Rilevanza sociale. Altra caratteristica essenziale nella formulazione delle domande è stata l’accessibilità alla risposta esatta per uno studente di ‘capacità-soglia’. Il TT infatti non è stato creato per individuare e selezionare una élite di studenti particolarmente meritevoli ma quale strumento di monitoraggio della preparazione complessiva del gruppo classe e, indirettamente, sulla capacità del docente di portare l’intera classe ad un livello base di conoscenza (Gallo 2018). Si è imposta, dunque, una sostanziale modifica rispetto al classico progress test, utile per valutare il progresso dell’apprendimento dello studente (o della coorte) da un anno di corso all’altro, necessariamente basato sulle discipline insegnate nei vari anni. Al contrario, il test previsto dal citato DM del 9 maggio 2018 si prefigge di valutare le competenze in uscita dello studente, quali la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi e si preoccupa di controllare l’acquisizione delle scienze di base principalmente tramite la loro ricaduta sulla competenza clinica. Di conseguenza, nel TT, rispetto al PT, non solo è mutato il numero e la distribuzione delle domande ma si è imposta una contestualizzazione clinica delle stesse. Nel commissionare le domande di base si sono quindi privilegiate le formulazioni problematiche e nel redigere le domande cliniche non ci si è attenuti a criteri “per discipline” ma per quattro ‘macro-aree’ di contesto clinico: in nosocomio, in ambulatorio, in emergenza/urgenza e nel territorio. Obiettivo di questo articolo è una prima ela-borazione dei dati grezzi pervenuti dalle singole sedi la cui interpretazione dei risultati ci indicherà ‘quanto abbiamo colto nel segno’ (P. Gallo).

ANALISI
Valutazione dell’affidabilità della prova

L’affidabilità rappresenta la precisione di una misura: ciò che nella misura non è er-rore (Mucciarelli et al., 2002). La caratteristica fondamentale dell’attendibilità è la coerenza interna o omogeneità; tale caratteristica fa riferimento al grado in cui tutte le parti del test misurano allo stesso modo la variabile. Per misurare efficacemente un test è necessario che gli item ne esplorino i diversi aspetti e siano quindi coerenti tra loro; se questa coerenza manca, è probabile che essi misurino cose diverse e non contribuiscano perciò alla misurazione del fenomeno in studio. A volte nel progettare un questionario si può pensare di considerare più di una scala discreta incorporato in esso. La coerenza o consistenza interna di un test può essere valutata mediante analisi statistiche che misurano il grado di correlazione tra le variabili. Un’elevata consistenza interna indica che gli item esplorano le diverse facce di uno stesso fenomeno o che sono modalità diverse di descriverlo. Se infatti, un test si propone di misurare un concetto unitario, anche le sotto parti del test (ad es., gli item) devono misurare allo stesso modo la variabile misurata, devono dunque concordare. Per poter misurare il grado di coeren-za interna nel nostro caso è stato utilizzato il coefficiente di Kuder Richardson (Dancey et al., 2016) o KR20 che è stato applicato alle risposte di 5184 studenti del sesto anno inviate da 40 sedi, con un risultato, compreso tra zero ed 1, che risulta essere pari a 0,970 cioè è indicatore di ottima consistenza interna ed affidabilità della prova.

Il numero di partecipanti al PT è aumentato nei diversi anni accademici in forma espo-nenziale, passando da 3.496 studenti nel 2006 a 37.143 studenti in corso più 480 fuori corso per un totale di 37.623, nel 2018. Hanno infatti partecipato tutti i 49 corsi di studi erogati in lingua italiana ai quali si sono aggiunti 10 dei quattordici corsi di studi erogati in lingua inglese, con il conseguente aumento del numero delle risposte e della mole di dati da raccogliere ed elaborare. I dati sono stati raccolti dalle singole sedi su due matrici studente/domanda nella quale era riportato

  1. il risultato della correzione [1, risposta esatta; 2, risposta errata; 3, nessuna risposta];
  2. la risposta data dallo studente alla domanda [A; B; C; D; E].

I files sono stati poi inviati al Presidente della CPPCLMM&C per consentirne un’adeguata elaborazione. Ai dati grezzi pervenuti sono stati applicati gli Indicatori di Facilità / Difficoltà, la formula KR20 per la valutazione dell’affidabilità della prova e per ogni domanda (Qx) sono state calcolate le percentuali di risposte esatte per tutti gli anni, dal primo al sesto e per tutte le sedi pervenute.

Indicatori di facilità e difficoltà
Premesso che una misura è valida solo se riesce a cogliere il concetto che essa tende a rilevare e che accertare la validità di un test è più complesso che accertarne l’attendibilità (Dancey et al., 2016), una prima elaborazione alla quale sono stati sottoposti i dati grezzi è stato il calcolo degli Indici di facilità medi per gli studenti del V e VI anno. In psicometria l’indice di facilità di un quesito di una prova oggettiva di verifica misura la ‘resistenza’ che il quesito pone alla sua esatta risoluzione ed è dato dal numero di risposte corrette a quel quesito, diviso il totale delle risposte. Il risultato è compreso tra zero ed uno e quanto più si avvicina ad uno la percezione del quesito risulta facile, tanto più si avvicina allo zero, difficile.

Indicato, come da letteratura, un Ifac ideale per una domanda con scelta tra cinque risposte pari a 0,7 è evidente come si siano maggiormente approssimati a questo valore i risultati degli studenti del sesto anno rispetto a quelli del quinto. Il risultato di questo indicatore ha dunque confermato la piena accessibilità del test. Dal momento che il Test era stato predisposto in maniera tale da sollecitare prestazioni direttamente connesse agli obiettivi di apprendimento (validità), i risultati disaggregati, in particolare il coefficiente di variazione calcolato come il risultato della deviazione standard diviso la media (Cvar Tabella 1), potrà essere oggetto di analisi approfondita da parte dei singoli corsi di studi, sia per monitorare eventuali limiti di apprendimento su determinati argomenti oggetto di specifiche domande, sia per analisi di confronto sistematico con altri corsi (benchmark) o con eventuali prove di anni accademici successivi.

Tabella 1: Variazioni dell’indicatore di facilità per macro-area in funzione dell’anno di corso dello studente

Complessivamente, le domande di tutte le macro-aree sono risultate più accessibili agli studenti del VI rispetto a quelli del V anno, a conferma del progresso nell’acquisizione di competenze che si verifica nel corso degli studi. Lo scarto tra l’indice medio di facilità tra il V e VI anno risulta particolarmente elevato per la macro-area “Nascita e crescita” (da 0.67 a 0.77) e questo è in accordo con il fatto che tradizionalmente in Italia la Ginecologia e la Pediatria vengono insegnate nell’ultimo anno di corso. Merita attenzione anche l’incremento dell’indice di facilità che si registra per al-tre macro-aree (“In ambulatorio”, “In emergenza” e “Nel territorio”) a dimostrazione di come si aspetti spesso l’ultimo anno per un insegnamento della medicina “in situazione” in contesti diversi da quelli della corsia nosocomiale.

Indicatore di facilità in funzione della tipologia della domanda

Le domande del training test erano ricon-ducibili a tre diverse tipologie: domande conoscitive mono disciplinari (n=74), domande conoscitive interdisciplinari (n=42) e casi problematici, a carattere scientifico o clinico (n=84). Com’era lecito attendersi, l’indice di facilità per queste diverse tipologie è apparso differente (Tabella 2).

Tipologia della domandaNumero di domandeIndice di facilità
Tutte2000,688
Conoscitiva monodisciplinare740,684
Conoscitiva interdisciplinare420,735
Casi problematici840,669

Tabella 2: Variazione dell’Ifac in funzione della tipologia della domanda

Le domande risultate più “difficili” da risolvere sono stati i casi problematici, quelle più “facili” le domande conoscitive a carattere interdisciplinare. Ciò dimostra che gli studenti Italiani non sono ancora abbastanza allenati a ragionare “per problemi” ma, quando si vanno a verificare le loro conoscenze, appaiono meglio acquisite quelle che hanno imposto un ragionamento interdisciplinare.

Indicatore di facilità in funzione dell’argomento della domanda

Abbiamo voluto verificare se la tipologia di domanda utilizzata e il suo ambito culturale avessero un’influenza sulla “facilità” con la quale gli studenti hanno risposto. Per fare questo, abbiamo isolato il sottoinsieme delle domande “difficili” includendo tra le domande “difficili” quelle relative al 25° percentile delle domande con l’indice di facilità minore. Le 50 domande con indice di facilità più basso (25% sul campione di 200 domande) varia-vano tra un indice di facilità di 0.089 (il più basso) ed uno di 0.588.
Ventidue domande su 50 appartenevano alla classe di quesiti indirizzati a vagliare la capacità interpretativa dello studente, ovvero l’abilità di interpretare dei referti di laboratorio (10), radiologici (4), elettrocardiografici (2), ecografici (2), spirometrici (1), emogasanalitici (1) e perfino le risultanze dell’esame obiettivo (2).
Un altro gruppo corposo (17/50) di domande risultate difficili riguardavano quesiti sulla prescrizione di interventi terapeutici (13) o di esami strumentali (4).
Le rimanenti 11 domande cadute all’interno del 25° percentile potevano essere ricondotte a difficoltà differenti, come quella di interpretare nessi patogenetici (4) o di possedere rudimenti base di statistica o epidemiologia (2). In una sola domanda è ipotizzabile che lo studente sia stato tratto in errore dalla formulazione del quesito: si chiedeva quale tra le lipoproteine avesse la densità minore ma i distrattori non erano stati elencati in ordine di densità, come sarebbe stato lecito attendersi.
La difficoltà incontrata dagli studenti Italiani nel rispondere a domande atte a valutare la capacità interpretativa e quella di risolvere problemi (fare prescrizioni) mette in luce un limite non ancora superato nelle metodologie di insegnamento messe in atto nei CLM Italiani, che sono ancora troppo “teoriche” e sbilanciate a favore dell’acquisizione di competenze conoscitive rispetto alle abilità interpretative e alle meta-competenze cliniche.

Analisi della variabilità con cui è stata data una risposta esatta alle domande

Per ogni domanda è stata misurata la variabilità dell’indice di facilità riscontrato nelle diverse sedi. Per esempio, la domanda che ha fatto registrare la massima variabilità nel tasso di risposte esatte è stata la domanda 56 (Quale farmaco viene impiegato per la pro-filassi della condizione di Eclampsia?) che, nelle diverse sedi, è stata risolta da percentuali di studenti che variano dallo 0 all’87% La variabilità di risultato è stata espressa con tre parametri diversi: la varianza, la deviazione standard e il coefficiente di variazione. L’analisi dei dati ha dimostrato una stretta correlazione tra difficoltà di una domanda e variabilità con cui questa è stata accolta nelle diverse sedi.

Figura 1: Scatterplot con i valori dell’indice di facilità e della varianza delle singole domande

La figura mostra lo scatter plot delle diverse risposte collocate su di un piano cartesiano in funzione dell’indice di facilità (in ascissa) e della varianza nella distribuzione delle risposte (in ordinata). È evidente una correlazione lineare tra le due variabili: le domande più semplici sono quelle che hanno fatto registrare una varianza minore tra le sedi. Se si ragiona, ancora una volta, in termini di percentili di distribuzione, 43 delle 50 domande che rientrano nel 25° percentile delle domande con indice di facilità minore rientrano anche nel 25° percentile delle domande con coefficiente di variazione maggiore.

Diverse tipologie di variabilità

L’analisi delle 50 domande con maggior coefficiente di variazione (25° percentile) ha messo in luce che esistono due tipi di variabilità: una “asimmetrica” ed una “simmetrica”. La variabilità “simmetrica” è stata riscontrata in 14/50 (28%) domande (42, 44, 48, 50, 58, 64, 90, 93, 100, 121, 127, 159, 174 e 183): queste domande sono risultate, a seconda delle Sedi, ora molto difficili (indice di facilità < 0.30), ora difficili (IF >0.30 <0.50), ora facili (IF >0.50 <0.80) e perfino molto facili (IF > 0.80). Negli altri 36/50 casi la variabilità è stata “asimmetrica”, ma in due modi radicalmente opposti: in 20/50 (40%) casi le domande (1, 4, 13, 31, 40, 72, 77, 88, 95, 101, 111, 125, 130, 134, 144, 147, 156, 170, 172, 197) sono risultate generalmente facili con l’eccezione di un numero limitato (<10) di Sedi; in 16/50 (32%) casi le domande (14, 56, 86, 103, 104, 106, 119, 122, 124, 150, 168, 180, 189, 193, 195, 200) sono risultate generalmente difficili con l’eccezione di un numero limitato (<10) di Sedi.

Figura 2: Aerogramma che mostra la distribuzione nelle varie Sedi dell’indice di facilità di alcune domande

La figura mostra un diagramma “a radar” (aerogramma) dell’indice di facilità calcolato, nelle diverse Sedi, per alcune domande.
La domanda Q174 (in alto a sinistra) è un esempio di domanda che ha evocato una variabilità “simmetrica” come è evidente dalla variabilità dell’indice di facilità che oscilla da un minimo di 0.243 a un massimo di 0.889. Le domande Q95 e Q134 (in alto a destra) sono invece esemplificative di domande con variabilità asimmetrica con larga predominanza di indici di facilità elevati (il contorno della linea spezzata) e con alcuni picchi verso indici di facilità assai bassi. La domanda Q195 (in basso a destra) esemplifica l’andamento dell’indice di facilità per una domanda che va considerata generalmente difficile, con un indice di facilità che ha superato in pochissime Sedi il valore di 0.300. La figura in basso a sinistra mette invece a confronto il diagramma radar di una doman-da (la Q100) risultata generalmente facile ma con elevata variabilità (IF da 0.045 a 1.000) e di una (la Q189) risultata generalmente difficile ma con alcune punte di IF superiore a 0.400.

Domande difficili: il ruolo di distrattori “forti”

Alcune domande sono apparse evidentemente più difficili di altre. Ci siamo chiesti cosa abbia maggiormente contribuito alla difficoltà del quesito: la domanda in sé o l’efficacia di alcuni distrattori?
Nella tabella III sono state inserite le nove domande con indice di facilità più basso, ovvero quelle che sono state risolte positivamente da meno di un terzo degli studenti (indice di facilità < 0.33). Per ogni domanda è riportato in tabella il numero di risposte date per ciascun distrattore. Appare evidente che in 6 domande su 9 (le domande 56, 77, 122, 189, 193 e 195) la difficoltà è stata offerta da un “distrattore forte”, così plausibile da essere stato indicato come risposta corretta più spesso della risposta esatta. Nelle 3 rimanenti domande (la 86, la 104 e la 200) anche se la risposta indicata più spesso era effettivamente quella esatta, esistono altri distrattori forti che catalizzano circa il 30% delle risposte date (nella Q86 il distrattore D ha totalizzato il 29% delle risposte date, nella Q104 il distrattore C ha ottenuto il 29% e il distrattore D il 33% delle risposte espresse, e nella Q200 il distrattore D ha avuto il 30% delle risposte date). Se ne deduce che la maggiore difficoltà di alcune domande è stata provocata dalla presenza di “distrattori forti”, così plausibili da essere considerati la risposta esatta in percentuali elevate.

Uno strumento di lavoro
La analisi disaggregata degli indici di facilità Ifac (eseguita in fase iniziale solo per gli studenti del V e del VI anno) per singola domanda e per singola sede ha consentito di apprezzare una discreta variabilità tra le sedi degli indici di specifici quesiti. Da ciò nasce la proposta di fornire alle singole sedi che ne faranno richiesta un’analisi puntuale per ciascuna domanda di come è risultato l’indice di facilità per la sede nel raffronto con la media nazionale per lo specifico quesito. Un esempio è riportato nella Tabella IV.

Tabella 4: Indice di facilità riscontrato nella Sede al V e VI anno per ciascuna domanda, messo a raffronto con l’indice di facilità medio nazionale.

La tabella relativa ai primi 20 quesiti del Test 2018 per gli studenti del V e VI anno della sede in esame, riporta nelle colonne MEDIO il valore medio nazionale di Ifac e nelle colonne SEDE quello della sede in esame. Al fine di facilitare la lettura nella terza colonna è riportato graficamente, il rapporto tra il valore della sede e quello nazionale (pallino verde >1;
pallino rosso <0,85; pallino giallo compreso tra 0,85 e 1). Tale analisi consente a ciascuna sede di individuare aree o puntuali obiettivi di apprendimento per i quali esistono spazi di miglioramento nella pianificazione della didattica del corso di studi, al fine di utilizzare questo monitoraggio delle competenze e conoscenze acquisite per l’aggiornamento costante dell’offerta formativa, in un’ottica di miglioramento continuo (Requisito AVA R3.D, punto di attenzione R3.D.3)

Conclusioni
Attraverso la nuova elaborazione del PT / TT, acquisita la consapevolezza della solidità del nostro processo formativo il cui prodotto è la formazione della figura del ‘Medico nazionale’, forniamo uno strumento alle diverse sedi non solo sull’acquisizione di informazioni sulle competenze trasversali ma anche un’interpretazione delle competenze disciplinari. Il nuovo TT infatti è uno strumento di grande utilità sia per i singoli corsi di studio che possono individuare criticità e punti di miglioramento nella valutazione di prodotto sempre nell’ottica dell’implementazione del processo continuo di Assicurazione della Qualità, sia per gli estensori delle domande per migliorare l’affidabilità della prova.

Bibliografia

Crocetta C, Brindisi M, Lo Muzio L: Analisi dei Risultati del Progress Test 2017 dei Corsi di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria. Med. Chir. 78: 3487-3493, 2018.

Dancey C P, Reidy J G, Rowe R: Statistica per le scienze mediche, un approccio non matematico. Piccin-Nuova Libraria, Padova, 2016.

Gallo P: Cosa cambia con la laurea abilitante per la Professione medica Tra progress test e training test. Med. Chir. 79: 3524, 2018

Lenzi A, Familiari G, Basili S, Moncharmont B, Con-sorti F, Nati G, Della Rocca C, Gallo P: Progress /Training test 2018. Quesiti e risposte Med. Chir. 80: 3546-3574, 2018.

Mucciarelli G, Chattat R, Celani G: Teoria e pratica dei test. Piccin-Nuova Libraria, Padova, 2002.

Tenore A, Basili S, Lenzi A: Il Progress Test 2016. Med. Chir 75: 3386-3390, 2017.

Cita questo articolo

Recchia L., Montcharmont B., Gallo P., Dal Progress Test al Training Test: una prima elaborazione dei dati, Medicina e Chirurgia, 81: 3594-3600, 2019. DOI: 10.4487/medchir2018-81-1

Affiliazione autori

Laura Recchia – Coordinatrice U.G.Q. (Unità di gestione della Qualità) Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Università degli studi del Molise.

Bruno Montcharmont – Presidente del Corso di laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, Università degli studi del Molise.


Pietro Gallo – Gruppo di lavoro Qualità e Innovazione della Didattica, Università degli studi di Roma La Sapienza.


Formare i medici dal Medioevo al primo evo modernon.81, 2019, pp. 3629-3631, DOI: 10.4487/medchir2019-81-7

Articolo

La trasmissione delle conoscenze mediche e la formazione dei medici trova nel tardo Medioevo europeo, tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec., con l’inserimento dell’insegnamento della medicina nelle università, una soluzione di straordinario successo, sia sotto il profilo della sistematizzazione, dello sviluppo e della trasmissione del sapere medico, sia sotto quello dell’organizzazione della professione. Salerno, già nel X sec. famoso centro di insegnamento medico, pur non disponendo nel Medioevo di una struttura didattica giuridicamente riconosciuta ed entrato solo nel XV secolo a far parte del sistema universitario, ha svolto tuttavia un ruolo cruciale nell’evoluzione dell’insegnamento medico in Italia e in Europa e nello stesso strutturarsi dell’insegnamento universitario, attraverso la trasmissione sia di testi e di commenti, sia di tecniche didattiche. Fra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. un gruppo di maestri e studenti, attratti dalla possibilità di aprire libere scuole ed in seguito dai privilegi offerti dalla fondazione dell’Università, si era trasferito da Salerno a Montpellier. Più o meno contemporaneamente che a Montpellier l’insegnamento medico universitario emerge anche a Parigi, e in seguito in diverse città italiane.

Da questo periodo in poi, fra i numerosi soggetti che esercitano a vario titolo e a vari livelli attività terapeutiche, il medico dotto di formazione universitaria (physicus) occupa una posizione di preminenza culturale e sociale rispetto al praticante di successo, ma privo di dottrina (ad esempio, il chirurgo di alto livello). La medicina universitaria compie così una progressiva e sempre più vasta riconquista del patrimonio scientifico e medico dell’Antichità, attraverso la quale la comunità scientifica dei maestri delle Facoltà mediche elabora non solo un’organica e sofisticata sistemazione della cultura medica, ma mette a punto, in complessi dibattiti, la definizione del livello scientifico della medicina nei suoi due aspetti costitutivi e inscindibili di teoria e prassi – di scientia e di ars – e ne stabilisce lo statuto epistemologico.

Nel sistema universitario la formazione del medico avviene presso uno Studium generale, attraverso un corso di studi formale e graduale, che si conclude ufficialmente con il conseguimento dei gradi accademici, ottenuti attraverso gli esami di licenza e di dottorato, che lo proclamano doctus et expertus e gli consentono, oltre all’esercizio della professione medica, di insegnare presso qualsiasi Università e, eventualmente, di entrare a far parte di un Collegio dottorale. La comunità scientifica, formata dai docenti e dai medi-ci impegnati nell’esercizio della professione, costituisce con i Collegi dei medici cittadini, prima in Italia, dove più favorevoli erano le condizioni sociali, poi nel resto d’Europa, efficaci strumenti di autogoverno e di auto-conservazione. Nei centri urbani di una certa importanza, ma privi di uno Studio generale, la presenza del Collegio dei medici garantisce non solo il controllo sull’esercizio della professione medica e sulle altre attività di cura, ma spesso, grazie all’acquisizione di privilegi, gelosamente custoditi, anche la possibilità di riconoscere ufficialmente, con il conferimento dei gradi, un corso di studi svolto presso uno Studio generale.
I curricula degli studi medici delle varie università europee non differiscono in modo sostanziale, benché siano presenti varianti locali. Nella maggior parte delle università la medicina si presenta come una disciplina di grado superiore, al cui percorso formativo si accedeva dopo aver completato un corso di studi propedeutici in arti liberali e in filosofia naturale. Tuttavia, nei centri universitari dell’Italia del nord e del centro, come anche a Montpellier, la medicina riesce a conquistare, prima che altrove in Europa, una posizione eminente, sia dal punto di vista accademico, sia da quello sociale e professionale. In Italia le favorevoli condizioni economiche e sociali rendono possibile l’impiego da parte di varie istituzioni pubbliche di una folta schiera di medici e chirurghi e fanno sì che, di fronte alla domanda di formazione universitaria per le professioni giuridiche e sanitarie, numerose città di una certa importanza cerchino di ottenere uno Studio generale; molte di queste università tuttavia hanno avuto vita breve e precaria. L’omogeneità nei testi autoritativi prescritti dai curricula e nelle tecniche didattiche permettono la grande mobilità da uno Studio all’altro di maestri e di studenti. Per quanto con accentuazioni diverse, la parte teorica della medicina in quanto scientia, secondo il modello aristotelico dello scire per causas, è considerata una disciplina subalterna alla filosofia naturale; la parte pratica è scientia operativa o ars scientifica, in quanto, pur collegata intimamente alla parte teorica, è ordinata all’operazione e detta appunto le regole dell’opus vero e proprio. Alla fine del XIV sec. prima a Bologna e a Padova, poi anche in altri centri italiani, viene introdotta la separazione dei corsi di medicina teorica e di medicina pratica, con due serie di cattedre, ordinarie e straordinarie, che all’inizio riflettono nell’ordine gerarchico, confermato dalla diversità degli stipendi, il livello epistemologico superiore della medicina teorica. L’adozione come testo privilegiato del Canone di Avicenna, attorno al quale si dispongono gli altri testi autoritativi, sia per l’insegnamento di Teorica sia di Pratica, accentua il peso degli aspetti teorici e dottrinali. Uno schema adottato in diverse università prevede che la Theorica sia divisa in physiologia, sulla natura del corpo umano, aetiologia, sulle cause delle malattie, semeiotica, sui segni delle patologie, pathologia, sulle malattie propriamente dette, e therapeutica. Queste due ultime parti, fra le quali assume particolare importanza l’esame delle malattie “a capite ad calcem”, dalla testa ai piedi, sconfinavano largamente nella Practica, a sua volta divisa in diaetetica, pharmaceutica, chirurgica.
Alcuni centri come Bologna, Padova, ma anche Siena, Pavia e Perugia ed in seguito Ferrara riescono a stabilire continuità didattica e a guadagnarsi la fama, che garantiscono loro un notevole flusso di studenti provenienti da altre regioni italiane e dal resto d’Europa. Quello delle università italiane è un caso particolare e di grande successo; vi si afferma infatti un curriculum che unisce Arti e Medicina nel quale tuttavia permane chiara la distinzione fra il corso di Arti, generalmente della durata di quattro anni e quello di Medicina, della durata di quattro o cinque anni. In queste università, anche per l’assenza, fino ad un periodo tardo, della teologia, insegnata presso gli Studia dei vari Ordini religiosi, la medicina costituisce il culmine degli studi scientifici e gli studi filosofici, prevalente-mente propedeutici agli studi medici, da una parte caratterizzano fortemente l’aristotelismo in senso biologico-naturalistico, dall’altra improntano gli studi medici, favorendo sia la riflessione epistemologica e metodologica, sia l’approfondimento di problematiche di filosofia naturale.
La consapevolezza della necessità di una riforma della cultura medica giunge a matura-zione fra l’ultimo decennio del XV sec. e i primi due del XVI, quando giungono sulle cattedre di medicina delle università dell’Italia del Nord personaggi che avevano goduto, nel periodo di formazione pre-universitaria, di una aggiornata educazione secondo l’ideale umanistico. L’alleanza degli studi filosofici e scientifici con la filologia umanistica si rivela di importanza cruciale per la cultura scientifica italiana ed europea. L’attività filologica dei medici umani-sti, gli unici fra i filologi del tempo in possesso sia delle capacità linguistiche sia delle conoscenze tecniche che li ponevano in grado di comprendere a pieno le problematiche poste dai testi medici, non rimane nell’ambito pura-mente intellettuale del recupero della cultura del passato, ha bensì uno scopo pratico, quello di costituire un corpus di conoscenze mediche sicure che possano garantire una pratica efficace. Una via importante di diffusione è stata, come in passato, la mobilità dei maestri. An-che la peregrinatio studiorum degli studenti contribuisce a diffondere la nuova medicina. Le novità dell’insegnamento medico italiano attirano un gran numero di studenti stranieri. Lo studio diretto dei testi è alla base anche di altri importanti sviluppi; infatti le uniche novità che riescono a penetrare permanentemente nei curricula, vale a dire lo studio rinnovato dell’anatomia e della botanica, che gradualmente riusciranno ad imporsi come materie autonome, sono all’inizio frutto proprio di questa migliore conoscenza delle opere di Galeno e dei botanici greci.
La commistione di filosofia naturale e medicina è una caratteristica specifica e innovativa delle università italiane. L’anatomia, per quanto sia stata, non a torto, il focus della storiografia è solo uno dei casi di stretta collabo-razione fra competenze del physicus e quelle di altre professioni. L’affermarsi di nuove discipline porta, in Italia, alla creazione di luoghi e spazi diversi da quelli tradizionali per l’insegnamento universitario: tra questi l’Orto botanico e il teatro anatomico. A Padova, come in altri centri tra cui Bologna e Roma, si assiste anche alla precoce utilizzazione dell’ospedale ai fini dell’osservazione clinica e della didattica – un’innovazione forse perfino più impor-tante, ai fini dello sviluppo di una medicina clinica ‘sperimentale’, delle due precedenti. Questo irraggiarsi dell’insegnamento in luoghi delle città universitarie diversi da quelli canonici, e quindi l’allargarsi e il dinamizzar-si dei pubblici della didattica e della ricerca, non è un fenomeno solo di quest’epoca: ma nella seconda metà del Cinquecento, in Italia, esso assume una speciale importanza. Non è trascurabile il peso che le università han-no avuto nell’attivare e contribuire a istruire reti locali di curanti, o nel mettere in rapporto istituzioni della cultura accademica con le professioni e le istituzioni mediche non acca demiche (si pensi ad esempio alla centralità per gli speziali toscani dell’orto dello Studio pisano, o allo sfruttamento delle potenzialità didattiche insite nella rete ospedaliera bolognese o romana).

Bibliografia

M. Vegetti, Le origini dell’insegnamento medico, in Medical Teaching: Historical, Pedagogical and Epistemological Issues «Medicina nei secoli» 16, n. 2 (2004), pp. 237-251;

C. Crisciani, L’insegnamento medico nel Medioevo: aspetti istituzionali e rappresentazioni retoriche, Ibidem, pp. 277-292;

J. Agrimi – C. Crisciani, Edocere medicos. Medicina scolastica nei sec. XIII-XV, Napoli 1988; Eaed., La medicina scolastica: dalla Scuola di Salerno alle Facoltà universitarie, in Le università dell’Europa. Le scuole e i maestri: il Medioevo, a cura di G.P. Brizzi, J. Verger, Cinisello Balsamo, Milano 1994, pp. 241-276;

C. Crisciani, Curricula e contenuti dell’insegnamento: la medicina dalle origini al XV sec., in Storia delle università in Italia, II, a cura di G.P. Brizzi, Messina 2007, pp. 182-204;

T. Pesenti, Arti e medicina: la formazione del curriculum medico, in Luoghi e metodi d’insegnamento nell’Italia medioevale (sec. XII-XIV), Atti del convegno internaz. di studi, Lecce-Otranto 6-8 ott. 1986, a cura di L. Gargan e O. Limone, Galatina 1989, pp. 153-177.

Cita questo articolo

Conforti M., Formare i medici dal Medioevo al primo evo moderno, Medicina e Chirurgia, 81, 3629-3631, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-81-?

Editorialen.81, 2019, p.3593

Un cambiamento fondamentale dell’attività della Conferenza è stata l’introduzione lo scorso anno di una modifica sostanziale allo storico Progress Test che dopo più di 12 anni si è trasformato in un Progress Training Test (PTT).

In questo numero, Bruno Moncharmont e Pietro Gallo ci illustrano, insieme a Laura Recchia, i risultati preliminari che si approfondiscono con una analisi docimologica delle domande.
Claudio Barbaranelli e Giuseppe Familiari e il gruppo che ha lavorato su questo progetto longitudinale ci mostrano alcuni risultati rilevanti sul benessere e le attitudini degli studenti di medicina e chirurgia rilevati nel primo e nel secondo tempo del-lo studio.
Negli ultimi anni i principali interlocutori istituzionali nonché i media hanno riportato in discussione l’insegnamento delle Medical Humanities. Su questo argomento troverete quattro articoli. Il primo della storica della Medicina Valentina Gazzaniga e il secondo del Past President SIPEM colonna storica della missione pedagogica della Conferenza: Fabrizio Consorti. A corollario di queste due brevi ma intense letture c’è uno studio condotto da Maria Grazia Strepparava, dal suo gruppo e da molti di Voi, che ha utilizzato un questionario che potremmo definire “narrativo” su come definire le Medical Humanities (MH) nelle Scuole di Medicina Italiane ed un secondo, che ha ancora risultati preliminari, su come si distribuiscono le MH nei corsi integrati e nei settori scientifico disciplinari.
Lo spazio dell’ospite è totalmente dedicato al progetto “la nutrizione passa di qua” che Maurizio Muscaritoli insieme a Lorenzo Maria Donini hanno disegnato come “una road map per l’insegnamento della nutrizione nel core curriculum del laureando in Medicina e Chirurgia” e cominciato ad applicare in due corsi di SAPIENZA.
Come sempre lo spazio della storia della medicina accoglie un interessante articolo di Maria Conforti questa volta per raccontare la formazione del Medico dal Medioevo al primo
evo moderno. Paolo Miccoli, Presidente dell’ANVUR ci onora del suo contributo nella sezione
news così come la Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni
Sanitarie.
 
Un altro bel numero da leggere e da conservare.

Andrea Lenzi
Editor-in-Chief

Indice n.81/2019

MEDICINA E CHIRURGIA

QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

81/2019

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale, di Andrea Lenzi

Opinioni Istituzionali

Dal Progress Test al Training Test: una prima elaborazione dei dati, di Laura Recchia, Bruno Moncharmont, Pietro Gallo.

I lavori delle Conferenze Permanenti

Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di medicina e chirurgia: focus su alcuni risultati dei primi due tempi della ricerca, di Barbaranelli, V. Ghezzi, G. Cavaggioni, M.F. Caiaffa, M.Valli, A.Piga, R. Muraro, V. Locatelli, M.G. Strepparava, Giuseppe Familiari

Le Medical Humanities

Le Medical Humanities 1.0, di Valentina Gazzaniga

Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezza, di Fabrizio Consorti

Le Medical Humanities nelle scuole di medicina italiane: come definirle? di Maria Grazia Streppafava, Giulia Rampoldi, Martina Colombo, Stefano Ardenghi.

Analisi Preliminare sulla Survey in corso sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani, di Maria Grazia Strepparava, Valentina Gazzaniga, Fabrizio Consorti, Stefania Basili, Gianluca Marcucci

Lo spazio dell’ospite

LA NUTRIZIONE PASSA DI QUA (NPQ). Individuazione di una road map per l’insegnamento della nutrizione nel core curriculum del laureando in Medicina e Chirurgia, di Maurizio Muscaritoli, Andrea Lenzi, Stefania Basili, Carlo Della Rocca, Sebastiano Filetti, Antonella
Polimeni, Lorenzo M Donini

Uomini, Scuole, Luoghi e Immagini nella storia della Medicina

Formare i medici dal Medioevo al primo evo moderno, di Maria Conforti

Notiziario

Notizie dall’ANVUR, dal CUN, dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, dal SISM, di Paolo Miccoli, Alvisa Palese.