Analisi Preliminare sulla Survey in corso sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italianin.81, 2019, pp. 3620-3621, DOI: 10.4487/medchir2019-81-5

Articolo

In questo articolo è descritta l’analisi preliminare dei dati raccolti ad oggi dalla survey sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani.

Metodo: Ai presidenti del CdL in Medicina e Chirurgia è stato chiesto di compilare una survey online divisibile, per comodità di analisi, in tre sezioni:
1) Anagrafica, 2) Domande bersaglio e 3) Note personali.
1 – La sezione Anagrafica era composta da tre domande con la finalità di indagare lo stato dell’arte dell’insegnamento delle MH presso l’università di appartenenza e come esse venissero definite a livello di curriculum formativo.
Nello specifico ai Presidenti è stato chiesto: 1) C’è un corso denominato Medical Humanities nel Corso di Studi di Medicina e Chirurgia della sua università di appar-tenenza? (Sì/No); 2) In quali anni/o vengono insegnate le MH? (I-II-III-IV-V-VI) e 3) Quale è il Settore Scientifico Disciplinare (SSD) che insegna prevalentemente le MH? (Risposta aperta).
2- La sezione Domande bersaglio conteneva due domande: 1) Come definiresti le MH? (Risposta aperta) e 2) “Scienze umane in medicina”- Approveresti questa traduzione per la denominazione di un corso? (Sì/No).
3- L’ultima sezione Note personali era costituita da una domanda aperta in cui i Presidenti avevano la possibilità di lasciare propri commenti o opinioni in merito alle MH.

Procedura: Le informazioni quantitative raccolte sono state riportate su un file excel così da poter essere opportunamente sottoposte a revisione critica e analisi statistiche descrittive.

Risultati Preliminari
Dalle analisi condotte sulla sezione Anagrafica della survey online compilata dai Presidenti del CdL in Medicina e Chirurgia sono emersi i seguenti risultati.
Alla domanda “C’è un corso denominato Medical Humanities nel Corso di Studi di Medicina e Chirurgia della sua università di appartenenza?” 15 partecipanti hanno risposto affermativamente mentre gli altri 28 non hanno dato una risposta affermativa.
La seconda domanda della sezione recita “In quale/i anno/i vengono insegnate le MH?” ed è stato possibile per i Presidenti fornire più di una risposta: 27 Presidenti hanno indicato il I anno di Corso, 11 hanno indicato il II anno, in 18 sedi invece le MH sono insegnate al III anno, in 11 corsi al IV, in 14 sono collocate al V, in 12 sedi sono indicate al VI anno ed infine, cinque Presidenti di Sede hanno risposto che in nessun ano di corso è previsto l’insegnamento curriculare delle MH.
L’ultima domanda delle anagrafiche era la richiesta di indicare “Quale è il Settore Scientifico Disciplinare (SSD) insegna prevalentemente le MH?” che permetteva, una risposta aperta: i SSD delle MH si sono configurati come segue:

Nei settori M-PSI è quindi – in modo congruente con le caratteristiche della disciplina e con il senso dei contenuti e dei metodi delle MH – il settore della psicologia clinica maggiormente presente, insieme alla psicologia generale e a quella sociale. E’ interessante che a questa presenza importante della psicologia tra i SSD delle MH non corrisponda una uguale menzione nelle narrative dei Presidenti (vedi art. in questo numero), aprendo la domanda di quanto effettivamente vi sia un trasferimento di informazioni e una reale integrazione tra le discipline che concorrono a costituire l’area delle Medical Humanities.
Nei prossimi numeri della rivista verranno elaborati i questionari completi.

Cita questo articolo

Streppafava M.G., Gazzaniga V., Consorti F., Basili S., Marcucci G., Analisi Preliminare sulla Survey in corso sullo stato attuale dell’insegnamento delle Medical Humanities nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani, Medicina e Chirurgia, 81, 3620-3621, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-81-5

Le Medical Humanities nelle scuole di medicina italiane: come definirle?n.81, 2019 pp.3614-3619, DOI: 10.4487/medchir2019-81-4

Abstract

Although “Medical Humanities” is a term widely used in the field of medical education, its definition is still largely discussed. AIM. Thus, the aim of this study was taking a set of narratives from which qualitatively turn out the representation of Medical Humanities in order to better deepen its definition. PARTICIPANTS. This study enrolled 66 subjects in total (43 Presidents of the Degree Courses in Medicine and Surgery and 23 students in the first year of the International Medical School of the University of Milan-Bicocca). METHOD. Participants were asked to answer an open question: “How would you define the Medical Humanities?”. RESULTS. A total of 7 conceptual units emerged from the narratives of the participants: “Humanistic Discipline”, “Doctor-Patient Relationship”, “Multidisciplinary Approach”, “Holistic Approach”, “Patient as a Person”, “Knowing How to Be a Doctor” and “Effectiveness of Care”. CONCLUSIONS. The representation of Medical Humanities emerged from the narratives of the participants has mainly focused on the effects that this discipline produces: 1) improvement of communication and relational abilities and 2) as a resource for enhancing the healthcare professionals’ wellbeing. The interdisciplinary nature attributed to the Medical Humanities leads to a problem in identifying its right place within the medical school program.

Key Words: Medical Humanities, Narratives, Qualitative research
Parole chiave: Medical Humanities, Narrative, Ricerca qualitativa

Articolo

Introduzione

L’implementazione delle “Medical Humanities” (MH) nella formazione medica nasce dall’intento di utilizzare le scienze umane (letteratura, filosofia, storia e religione), le scienze sociali (antropologia, psicologia e sociologia) e le arti (letteratura, musica, teatro e arti visive) per rendere la scuola di medicina, come William Osler pensava, una scuola di vita e non solo uno spazio di apprendimento tecnico (Bliss, 1999). Tuttavia, nonostante le MH siano ormai riconosciute come elemento indispensabile all’interno di una formazione medica di qualità, la loro pratica implementazione nei curricula nazionali, con le dovute eccezioni, rimane marginale e comunque affidata all’iniziativa personale di docenti particolarmente sensibili al loro mandato formativo (Parizzi & Strepparava, 2010; Strepparava, 2010).

Una delle ragioni di questo ruolo ancora marginale è sicuramente il fatto che, sebbene la terminologia MH sia ampiamente diffusa nell’ambito della Medical Education, tanto da poter erroneamente far pensare ad un concetto ormai condiviso, la sua definizione è ancora largamente discussa sia in ambito internazionale che nel contesto italiano (Zannini, 2009; Brody, 2011). Ci si potrebbe aspettare che un buon metodo per cercare una definizione di MH sia risalire al primo articolo scientifico che ha introdotto questo termine. Tuttavia quando il Journal of Medical Humanities è stato scorporato dal Journal of Medical Ethics non è stata proposta alcuna definizione formale. Greaves ed Evans tentando di delineare il ruolo delle MH, hanno individuato una visione additiva che giustappone le scienze umanistiche al sapere medico positivista e una visione integrata che ne prevede al contrario un ruolo più critico e centrale (Greaves & Evans, 2000). Nel 2008, Evans andando oltre la visione dicotomica, definisce le MH come afferenti principalmente a tre ambiti: 1) al campo accademico di speculazione intellettuale, 2) al campo dell’educazione medica e infine 3) come fonte di influenza morale ed estetica che potesse avere un impatto sull’organizzazione e implementazione dell’assistenza sanitaria (Evans, 2008). Tuttavia, nonostante gli sforzi definitori degli anni precedenti, nel 2009 Shapiro su Academic Medicine ribadiva e denunciava la continua mancanza di chiarezza su ciò che le MH comprendessero e su come esse dovessero essere inserite nella for-mazione medica (Shapiro et al., 2009). Infatti, in anni più recenti sono emersi altri sforzi di definizione come quello di Brody (2011) che suggerisce una triplice lettura delle MH come: 1) lista di discipline, concetto affine alla visione additiva di Greves e Evans (2000), 2) programma di sviluppo morale, ricalcante la terza sfaccettatura di Evans (2008) ed infine 3) un “amico supportivo” utile in termini di resilienza per l’operatore stesso.

E’ evidente quindi che delineare più precisamente i confini e le sfaccettature delle MH sia un compito difficile e multiverso (Horton, 2019). Sulla base di questa complessità, il nostro lavoro cerca di partire da quella che è la percezione di MH sia tra i Presidenti dei Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia – preposti a dare uno specifico indirizzo alla formazione medica – sia tra gli studenti che stanno iniziando il loro percorso di formazione per far emergere somiglianze e discrepanze nelle loro rappresentazioni.

Metodo e Procedura

PARTECIPANTI
Alla ricerca hanno preso parte in totale sessantasei partecipanti (N=66) di cui 43 Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia (F=16; M=27) e 23 studenti al pri-mo anno di corso dell’International Medical School dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca (F=9; M=14). I Presidenti coinvolti nella ricerca afferivano a diverse Università italiane: venti di loro provenivano da università del nord Italia (Nord=20), quattordici dal centro Italia (Centro=14) e nove dal sud Italia (Sud=9). Il campione degli studenti era eterogeneo, comprendendo partecipanti di diverse nazionalità (16 italiani, 1 israeliano, 2 indiani, 2 americani, 1 libanese, 1 sudafricano).

METODI
Ai Presidenti del CdL in Medicina e Chi-rurgia e agli studenti è stata posta la stessa domanda: “Come definiresti le Medical Hu-manities?”. La modalità di raccolta dati è avvenuta in maniera diversificata per le due categorie di partecipanti (Presidenti e Stu-denti). Ai Presidenti è stato infatti chiesto di compilare una survey online nella quale, tra altre, era presente anche la domanda bersa-glio, mentre agli studenti in occasione del pri-mo giorno del loro primo anno accademico, durante l’esercitazione introduttiva del corso di Humanities, è stato chiesto di scrivere e consegnare al docente la propria definizione di MH.

PROCEDURA
Al fine di analizzare qualitativamente le narrative dei partecipanti in merito alla definizione di MH, sono state condotte due elaborazioni:
1) è stata effettuata una analisi linguistica dei testi i) estrapolando dal testo presentato se nella definizione di MH fosse presente un esplicito riferimento ai contenuti disciplinari e ii) evidenziando nelle stringhe di testo la presenza/assenza di specifiche parole. Le parole-chiave o stringhe di parole cercate nei testi delle risposte sono state individuate a partire dalle aree per tradizione collegate alle MH: psicologia, relazione, comunicazione, etica-legge-norme, aspetti sociali-ambientali, aspetti culturali-cultura, economia-aspetti economici, diagnosi, olistico, persona, lette-ratura, arte.
2) tre giudici indipendenti hanno identi-ficato con un approccio grounded theory (a partire da una prima lettura delle narrative) alcune unità concettuali di base. Dopo questa attività esplorativa svolta in modo individuale e autonomo da ciascuno, i tre giudici si sono ritrovati per confrontare le categorie emerse singolarmente, definire in maniera concorde un elenco finale di categorie e assegnare cia-scuna narrativa ad una o più di esse.

Risultati

Analisi linguistica. La percezione delle MH come uno specifico oggetto o sistema di con-tenuti all’interno della formazione medica è evidenziata dalla presenza di espressioni quali “science”, “part of medicine”, “subject/s”, “group of subjects”, “group of disciplines”, presente nella maggioranza delle definizioni; il 65% degli studenti ritiene le MH un insieme di contenuti, mentre solo il 35% le definisce come un atteggiamento, un modo di essere, che deve essere progressivamente sviluppato nel corso della formazione per accompagnare l’acquisizione delle competenze cliniche. In questo secondo tipo di narrative compaiono espressioni quali “attitude”, “ability”, “multidisciplinary approach”; è interessante osservare che questa seconda lettura delle MH sia presente nel 45% delle studentesse e solo nel 28% degli studenti. Che le MH abbiano la funzione di sviluppare la capacità di entrare in relazione con il paziente, di comunicare con lui e di tenere espressamente conto degli aspetti psicologici è indicato dal 95% degli studenti (che riportano parole come “communication” “comunicate” “relation” “relational” “psychology/ psychological”), con una prevalenza significativa di parole che fanno riferimento alla relazione. Solo il 35% degli studenti coinvolti nella ricerca indica le MH come un sostegno alla capacità diagnostica “understand patient’s problems” “diagnosis”, “solve patient’s problems” (nessuna differenza di genere) e la stessa percentuale fa esplicitamente riferimento al fatto che le MH contengono riferimenti anche ad aspetti sociali e/o economici “economical situation”, “cultural environment”, “economics”. Nuovamente è presente una differenza di genere: quasi la metà (45%) delle studentesse fa riferimento esplicito alla dimensione socio-economica e culturale del paziente e alle MH come un modo per tenerne adeguatamente conto, mentre solo il 28% degli studenti maschi fa esplicito riferimento a questi aspetti. 34% delle risposte contiene parole che ricadono nel campo semantico dell’ etica: “Ethics”, “Law”, “evaluate situations from various and often opposing ethical standpoints” e nuovamente l’analisi per genere mostra una maggiore sensibilità a questi temi nelle definizioni delle studentesse. Il riferimento esplicito all’approccio olistico al malato è presente solo nelle descrizioni degli studenti maschi, 35% delle risposte del campione totale.
Applicando l’analisi terminologica anche alle definizioni fornite dai Presidenti, si individuano alcune macro-tipologie: descrizioni che fanno riferimento unicamente ai contenuti, più o meno dettagliati, descrizioni che fanno riferimento alle MH come metodologia didattica, definizioni che identificano le MH come un atteggiamento, così ripartite: 44% contengono riferimenti linguistici a contenuti didattici, 14% fanno riferimento agli aspetti metodologici “approccio”, “strumento”, “abilità”, 14% descrizioni che uniscono aspetti di contenuto ad aspetti metodologici, due soli presidenti descrivono le MH in riferimento all’ atteggiamento “saper essere” che il medico deve sviluppare (2%) , 16% esprimono una loro valutazione (“interessante”, “importante”, “necessarie”) sull’importanza delle MH senza però fornire una loro definizione o il riferimento a possibili aree disciplinari e 10% sono risposte non classificabili o vuote.
Va detto che tra le narrative centrate sul contenuto più della metà fa riferimento a non meglio specificate e genericamente definite “scienze umane”, “umanistica medica”, “scienze umanistiche”, “discipline umanistiche”, negli altri casi è presentata la lista delle discipline, talune presenti anche nelle descrizioni degli studenti (etica, aspetti socio-culturali, sociologia, relazione e comunicazione, psicologia) altre come letteratura, arte, pittura sono invece assenti dalle descrizioni degli studenti, che sembrano non considerare queste discipline come possibili ed utili elementi di formazione.

Analisi delle categorie. La lettura delle narrative dei Presidenti dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia e di quelle degli studenti al primo anno di corso dell’International Medical School dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha permesso ai tre giudici di individuare cinque categorie in cui classificare le risposte: Disciplina umanistica, Relazione medico-paziente, Approccio multidisciplinare, Approccio olistico e Paziente come persona. Non è stato però possibile ricondurre tutte le descrizioni generate dai due gruppi di soggetti a queste sole cinque categorie ed è stato necessario identificare altre due categorie per le risposte rimaste non classificate: una specifica per gli studenti (Efficacia della cura) e una specifica per i presidenti (Saper essere medico).
Uno degli aspetti definitori delle MH su cui vi è maggior accordo tra i partecipanti (oltre che in letteratura), è il fatto che esse siano la piena esplicitazione di un “Approccio multi-disciplinare”. Infatti, nei diversi tentativi definitori, le MH vengono considerate da molti compilatori (Charon & Williams, 1995) un campo interdisciplinare della medicina che include le scienze umane (e.g. filosofia, etica, letteratura), le scienze sociali (e.g. psicologia, sociologia, antropologia) e le arti (teatro, film, arti visive). Come ben esplicitato dalla narrativa di un Presidente, “Le MH rappresentano il contributo che contenuti e metodi di discipline umanistiche (storia, letteratura, filosofia), sociali (antropologia, sociologia, economia) e artistiche (teatro e arti visive) forniscono alla definizione del contesto, dei limiti e delle potenzialità di applicazione della Medicina”.

Nonostante le MH vengano considerate multidisciplinari, i partecipanti allo studio le definiscono prettamente “Disciplina Umanistica”. Questa unità concettuale è in linea con altri studi di letteratura che esplicitano il fatto che le MH siano state introdotte pro-prio per temperare il tecnicismo positivista a cui la medicina è stata esposta nell’ultimo secolo. Infatti come afferma Pellegrino (1979; 2008) la medicina e le sue pratiche sono tanto tecniche quanto umanistiche e imperniate di sapere morale. Tuttavia l’introduzione delle MH come disciplina umanistica porta molti dei partecipanti ad avvalorare la visione additiva più che integrativa di Greaves ed Evans (2000) definendole come la parte non tecnica della medicina che si giustappone al sapere tecnico, scientifico e procedurale. Infatti nella narrativa di uno studente leggiamo “(..) In my opinion Medical Humanities are a distinct field of Medicine, which is focused on the human aspect of the medical procedure” e in quella dei Presidenti: “L’insieme di conoscenze, competenze e strumenti derivanti dalle scienze umanistiche e sociali necessari per una corretta formazione del medico e un buon esercizio della pratica clinica”, “Utilizzo delle scienze umane nella formazione dei professionisti alla salute”. Sia nelle narrative dei Presidenti che in quelle degli studenti emerge come le MH vengano maggiormente viste come un insieme di materie piuttosto che come un’attitudine da sviluppare nel corso della propria formazione.
Le MH vengono quindi definite dai partecipanti come un campo afferente ma distinto della medicina il cui sapere fondante rimane quello tecnico-scientifico associandole maggiormente allo sviluppo della “Relazione medico-paziente”. Contenuta in questa unità concettuale vi è l’idea secondo cui le MH promuovano da un lato le capacità comunicative, e dall’altro la predisposizione empatica e di comprensione dell’altro. Le MH da un Presidente sono viste come riguardanti “esperienze formative (lezioni frontali, esercitazioni, lavori di gruppo) che hanno per oggetto lo sviluppo della sensibilità del medico in formazione alla relazione umana con il paziente (dalle competenze comunicative e la sensibilità interpersonale, alla visione integrata della persona nella sua complessità bio-psico-sociale), (…)”. Allo stesso modo uno studente scrive come le MH siano “(…) a science that makes the patient and the doctor more connected, so as the doctor can understand patient’s problem in order to find the clinical and medical care”. In continuità con la relazione medico-paziente, emerge un altro aspetto definitorio delle MH che è quello di improntare un “Approccio olistico” alla cura. Questa unità concettuale si riferisce al fatto che le MH vengano definite come catalizzatori dell’attenzione che il futuro professionista della salute pone agli aspetti socio-culturali (“un medico dovrebbe non solo considerare le condizioni fisiche del paziente ma anche la sua situazione economica e l’ambiente sociale / culturale in cui vive il paziente”), psicologici (“un buon dottore dovrebbe avere la capacità di prendersi cura non solo della sfera fisica del paziente ma anche di quella psicologica”) e situazionali (“La vita di un paziente è fortemente influenzata dalla cultura che lui / lei vive. Il processo di trattamento medico e le malattie sono influenzate dalla legge nel suo paese e dal suo ambiente”). Il 35% delle narrative degli studenti riporta il concetto di approccio olistico e sebbene esplicitamente sia maggiormente presente nelle narrative degli studenti di genere maschile, se si considera l’importanza delle caratteristiche socio-economiche del paziente quest’ultime sono maggiormente presenti nelle narrative delle studentesse di genere femminile. Nelle narrative delle studentesse è inoltre presente una maggior richiamo agli aspetti etici. Emerge inoltre come le MH possano essere definite dal mandato sociale di formare futuri medici e professionisti della salute che non si concentrino solo sulla diagnosi (disease) ma anche sul vissuto di malattia (illness) considerando il “Paziente come persona”.
Per quanto riguarda invece le due categorie non condivise: nelle narrative dei Presidenti emerge l’associazione definitoria tra le MH e il “Saper essere medico” intendendo con ciò che “il futuro medico deve – sapere-, deve – saper fare – e soprattutto deve – saper essere – per far fronte all’aumento crescente delle disuguaglianze in salute, aggravato dall’epidemia globale di patologie croniche, ed alla complessità della loro gestione in un contesto di differenze socio-economiche, culturali e demografiche anch’esso in continua evoluzione. (…)”. Da questo enunciato emerge come le MH vengano viste come necessarie per formare l’uomo dietro al professionista. Questa unità concettuale richiama un aspetto di crescita personale promossa dall’esposizio-ne alle MH che si dimostrano essere risorse non solo per lo svolgimento della professione ma anche per il professionista stesso (Davies, 1997; Pellegrino, 2008).
Non a caso questo aspetto di guadagno personale per il professionista non emerge dalle narrative degli studenti al primo anno di formazione che sottolineano invece le poten-zialità delle MH in termini di “efficacia della cura” e dunque in merito allo svolgimento della professione ed alla propria autoefficacia, e non tanto come qualcosa che favorisce una dimensione più globale e complessa e che ha a che fare con l’essere un professionista e il senso di identità personale e professionale. Come scrive uno studente: “Medical humani-ties is a field of medicine that has the role of guiding the communication between petient and doctor, since understanding the patient’s problem is the key part of medical procedu-re. Indeed a totally or partially wrong under-standing of patient’s issue can lead to a waste of time (…)”. La comunicazione e la relazione medico-paziente sono strumenti efficaci per ridurre le perdite di tempo, gli errori clinici per essere più efficienti, come aiuto alle capacità diagnostiche.

Conclusioni

Da quanto raccolto in questo che si configura come un possibile studio preliminare sullo status delle Medical Humanities italiane, in generale sembra che le MH vengano più facilmente definite – sia dai docenti che dagli studenti – come un insieme di materie piuttosto che un metodo di formazione o un’attitudine da sviluppare nel corso della formazione medica. In linea con la letteratura di riferimento (Horton, 2019) da questo studio possiamo vedere come i vantaggi percepiti e legati alla presenza delle MH nel curriculum possono essere riferiti principalmente a due ambiti: 1) l’essere esposti alle scienze umane aiuta gli studenti ad approcciarsi al paziente in termini olistici e a sviluppare un pensiero critico, oltre al fatto che 2) le scienze umane per-mettono ai futuri professionisti della salute di arricchirsi di un bagaglio di risorse personali che li porta a sviluppare un approccio maggiormente resiliente agli stimoli fonte di stress che caratterizzano la formazione e la pratica medica (Ousager & Johannessen, 2010).
La letteratura di settore sottolinea come il nucleo fondante delle MH debba venire riconosciuto nella loro natura interdisciplinare, essenza che però viene poco esplicitata – e forse riconosciuta – nelle descrizioni che sono state raccolte, anche in quelle dei Presidenti che utilizzano l’espressione interdisciplinare solo in quattro narrative su 43, narrative in cui si parla delle Medical Humanities facen-do riferimento al metodo di insegnamento e non – o non solo – ai contenuti. La prevalenza di narrative che fanno riferimento a specifici contenuti disciplinari sono sbilanciate più su una visione additiva che su una integrativa: saperi additivi e scarsamente integrati prima di tutto tra loro e con il sapere medico. Se metà dei Presidenti indica un generico apporto delle “scienze umane”, senza specificare cosa è contenuto sotto questa generica etichetta, chi indica specifiche discipline fa riferimento a saperi dell’ambito letterario-artistico, etico-bioetico, sociali ed economici. E’ sicuramente presente il riferimento agli aspetti di relazione con il paziente, ma nonostante sia un dato riconosciuto e consolidato che la psicologia clinica è la disciplina che studia il processo di costruzione e mantenimento dell’alleanza terapeutica e delle sue variabili (Safran & Muran, 2006), alleanza che è elemento fondamentale nelle professioni della cura (Strepparava, 2012), la sua presenza tra i contenuti risulta inspiegabilmente sottorappresentata; si tratta di una situazione che non può che generare perplessità, visto che sono proprio i modelli della psicologia clinica che ci permettono di spiegare e comprendere la comunicazione in ambito medico e che ci permettono di spiegare i meccanismi che sono alla base della comprensione e regolazione della relazione medico paziente, ed è proprio la psicologia clinica che per lunga tradizione scientifica si occupa di stress, resilienza, fattori di rischio, fattori protettivi e burnout tra i professionisti della salute (Salvarani, Rampoldi, Ardenghi et. al 2019).
In conclusione, affinché le Medical Hu-manities possano vedersi riconosciute il giusto spazio all’interno dell’educazione e della pratica delle professioni sanitarie, è di imprescindibile importanza che i ricercatori persistano nello sforzo di meglio definire questo concetto (Halperin, 2010) proprio attraverso un lavoro di integrazione multidisciplinare di ricerca per tenere conto adeguatamente di tutte le prospettive.

Bibliografia

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Cita questo articolo

Strepparava, M.G., Rampoldi G., Colombo M., Ardenghi S., Le Medical Humanities nelle scuole di medicina italiane: come definirle?, In Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp.3614-3619, DOI: 10.4487/medchir2019-81-4.

Affiliazione autori

,Maria Grazia Strepparava, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Via Cadore, 48, 20900 Monza (MB) – Italia; SSD Psicologia Clinica, ASST-Monza

Giulia Rampoldi, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1, 20126 Milano (MI) – Italia

Martina Colombo, Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1, 20126 Milano (MI) – Italia

Stefano Ardenghi, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Milano – Bicocca; Via Cadore, 48, 20900 Monza (MB) – Italia; SSD Psicologia Clinica, ASST-Monza

Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezzan. 81, 2019, 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Articolo

Che la medicina abbia una dimensione umanistica non è certo una novità: la consapevolezza di questa dimensione e la prassi del volersi occupare dell’intera persona e non solo di un corpo malato o di una “malattia” sono facilmente rintracciabili in modo costante nei secoli, almeno fino agli anni dello sviluppo tecnologico più intenso e della medicina molecolare. Poi, nell’ultima parte del ‘900 qualcosa si è perso, forse non solo nella medicina. Non è questo lo scritto per svolgere compiutamente questa linea di riflessione né io ne avrei la competenza; vi invito tuttavia anche solo a ripensare ai grandi romanzi europei di inizio novecento, come ad esempio La Montagna incantata di Mann, L’uomo senza qualità di Musil, il monumentale Ulysses di Joyce per intuire che molto prima di Watson e Crick e della riduzione di un uomo alle sue molecole, le menti più sensibili percepivano che la società occidentale stava perdendo qualcosa. O forse, che stavano iniziando le doglie di qualcosa di nuovo. Fra i vagiti del neonato (o è solo ancora il vertice che spunta dal canale del parto? Non saprei dirvi … vedremo …) sicuramente c’è nella medicina occidentale il rinnovato interesse a ricomporre l’unità della persona, sia nella prassi di cura che nella formazione e l’articolato mondo delle cosiddette Medical Humanities è una delle espressioni più evi-denti di questo movimento.
Posta questa premessa, in questo testo vorrei brevemente delineare quattro argomenti:

  • l’esposizione al bello artistico produce effetti neurobiologici documentabili e significativi in termini educativi
  • le Medical Humanities hanno un dominio educativo proprio, complementare ma non sovrapponibile a quello di altri metodi didattici
  • le Medical Humanities hanno effetti protettivi nei confronti di alcuni problemi personali degli studenti, come il burn out
  • le Medical Humanities necessitano di una organizzazione propria della didattica, pur non essendo una disciplina autonoma identificabile in un settore scientifico disciplinare

Vorrei in estrema sintesi fornire argomenti per il passaggio da una visione delle Medical Humanities come esperienze “spot” di moduli disciplinari slegati fra loro ad una strategia educativa complessiva, longitudinale, basata sull’esposizione alla bellezza durante i sei anni del corso di laurea.
La necessità di una rigorosa fondazione pedagogica e scientifica delle Medical Humanities è stata recentemente affermata da Arno Kumagai, uno dei massimi studiosi del campo, che ha scritto “The lack of rigorous theo-retical frameworks threaten to turn the humanities into mere entertainment and the efforts to introduce them into medical education into the superfluous icing on what Catherine Belling has called “the decorative edges of the curriculum.” (Kumagai 2017) Quali possono essere dunque i fondamenti pedagogici e scientifici delle Medical Humanities?

La neuroestetica

Le neuroscienze hanno da tempo abban-donato la visione semplicistica della relazione struttura-funzione basata sull’equazione “un’area corticale = una funzione” e – grazie anche alle tecniche di neuro-imaging funzionale come la SPET o la fMRI – sono impegnate ad identificare le reti di attivazione che costituiscono i correlati neuro-biologici delle diverse funzioni della mente. Tra queste, è stata indagata anche la sensazione estetica, intesa come “esperienza del bello” e non come riflessione cognitiva su cosa sia la bellezza.
Semir Zeki è considerato il padre della neuroestetica, che poi si è sviluppata in molte direzioni diverse. (Zeki 2011)
Ai fini di questo testo sarà sufficiente con-siderare due fatti:

  • esistono correlati neurobiologici specifici per l’esperienza estetica, che si attivano in modi diversi a secondo che l’esperienza sia giudicata dal soggetto “bella” o “brutta”
  • pur essendo connesse con i circuiti correlati all’esperienza generale del piacere, le reti di rappresentazione dell’esperienza estetica sono specifiche. E’ stato dimostrato ad esempio che le immagini della persona amata attivano le stesse aree del bello estetico, aree che sono diverse da quelle che si attivano di fronte ad immagini a contenuto erotico (Bartels, 2000). In termini neurobiologici, l’amore romantico ha dunque molta più attinenza con l’esperienza estetica che erotica e i poeti del Dolce Stil Novo italiano ce lo testimoniano.
  • In termini educativi, queste prove scientifiche ci dicono che l’esposizione al bello artistico, nelle sue molte diverse rappresentazioni possibili, non è solo un generico divertimento ma ha effetti specifici e non casuali sui soggetti esposti. Tali effetti possono dunque essere usati per indirizzare lo sviluppo del soggetto nella direzione del progetto educativo desiderato, a patto che l’educatore agisca con consapevolezza

Dimensioni educative

Nell’attuale vocabolario pedagogico italiano, il termine formazione ha a che fare con l’acquisizione di conoscenze e competenze (in questo senso è “dare forma”, ad esempio ad un futuro medico), mentre il termine educazione indica un processo che potremmo indicare come trasmissione culturale di valori morali ed elementi estetici, favorendo l’emergenza (ex-ducere) di una struttura di personalità umana integrata nella società. (Frabboni, 2003) In questo senso è evidente che le Medical Humanities sono principalmente strumenti educativi, anche se possono avere anche valore formativo.
Ha questo ultimo valore l’uso dell’arte nelle cosiddette Visual Thinking Strategies (VTS), di cui si è già parlato in questa rivista (Ferrara, 2016). Le VTS si sono dimostrate in grado di sviluppare forme specifiche di abilità cognitive e di ragionamento come l’osservazione critica, il riconoscimento motivato di informazioni in formato visivo, la capacità di argomentare e di condividere in un gruppo il proprio pensiero, legittimando quello degli altri. Il fatto che le VTS usino immagini artistiche per le attività previste aggiunge valore educativo a ciò che viene fatto, essendo il limite tra formazione ed educazione spesso sfumato. E’ impossibile infatti che l’esposizione a opere artistiche non generi emozioni e che – se il quadro ad esempio rappresenta un momento di pratica professionale o di sofferenza umana – queste emozioni non vengano indirizzate verso l’immagine di professionista che si sta formando nello studente. Se la riflessione su queste emozioni viene adeguatamente guidata, ciò contribuisce ad aumentare la sensibilità verso la sofferenza e un’attitudine di cura compassionevole e dedicata.
In senso specificamente educativo, il più grande valore delle Medical Humanities è di provocare tre effetti che Kumagai (2017) ha indicato come:

  1. Creating difficulties and disruption (dissonanza cognitiva): ci sono sempre più soluzioni possibili
  2. Introducing a pause: secondo i principi di una “slow medical education” (Wear, 2015)
  3. Encouraging engagement with complexity and ambiguity: ci sono sempre più punti di vista possibili

E’ il caso di ricordare qui come alla base del pensiero di molti grandi psicologi e pedagogisti, come Piaget e Dewey, ci sia l’idea fondamentale che se non viene percepito un problema, una rottura di routine o di schema del mondo, non si avvia alcun processo reale di apprendimento. E’ un normale processo di economia quello che spinge homo sapiens a cercare soluzioni nuove solo quando incontra problemi nuovi o una situazione abituale si presenta improvvisamente sotto una nuova luce. (Striano, 2018)
Tuttavia, dimostrare con prove d’efficacia un effetto educativo è estremamente difficile, perché – come ricordato – l’educazione non ha a che fare con lo sviluppo di abilità specifiche, misurabili ma con i processi di assimilazione culturale, di sviluppo dell’identità personale e professionale. Non sorprende quindi che in una revisione sistematica sugli effetti delle Medical Humanities, gli autori abbiano esaminato 234 articoli che si esprimevano a favore ma solo 9 fornivano prove di risultato a distanza, oltre il semplice gradimento degli studenti. Dieci articoli inoltre avanzano sostanziali dubbi sull’efficacia. Ciò nonostante, gli autori concludono che questa crescente massa di studi ed esperienze, di discussione e riflessione contribuisce a sviluppare “the discursive construction of humanities as a necessary component of medical education.” (Outrager, 2010). A proposito di costruzione del “discorso” intorno alle Medical Humanities, una seconda revisione sistematica con meta-sintesi qualitativa identifica 4 temi principali: 1) qualità specifiche delle arti che promuovono l’apprendimento, 2) modi specifici in cui i discenti si attivano con l’arte, 3) esiti a breve e lungo termine documentabili dell’insegnamento basato sull’arte, 4) considerazioni pedagogiche specifiche per l’uso delle arti nei contesti di formazione medica. (Haydet, 2016)

Dimensioni personali

Il disagio fisico e mentale degli studenti di medicina, che può evolvere fino a quadri completi di sindrome da burn-out è un problema ormai riconosciuto in tutto il mondo. (Ishak, 2013) Le cause sono variamente riconducibili al sovraccarico cognitivo ed emotivo, all’esposizione alla sofferenza e alla morte e ad un clima accademico troppo competitivo. Le attività di Medical Humanities sono considerate in grado di promuovere il benessere degli studenti, aumentandone la resilienza. L’Università Vanderbilt ha messo a punto un programma integrato e longitudinale che offre agli studenti attività di varia natura, nel complesso ritenute in grado di proteggere gli studenti dagli effetti negativi dello stress, tra cui corsi di pittura collaborativa (Drolet, 2010).
Ad un corso di disegno cooperativo sono ricorsi anche Lyon e coll. (Lyon, 2013) in un’esperienza di educazione inter-professionale fra studenti di arte e di medicina. Le attività di Medical Humanities, in quanto terreno non tecnico e quindi neutro, si prestano in modo speciale a sostenere programmi di educazione inter-professionale. Nello studio citato, gli autori hanno osservato un aumento della capacità di osservazione critica, di collaborazione inter-professionale e una costruttiva esplorazione riflessiva dell’identità professionale in formazione. Le Medical Humanities sono infatti ritenute efficaci nell’accompagna-re uno sviluppo armonico della professionalità medica. (Pfeiffer, 2016)

Dimensione didattica

In quest’ultima parte dell’articolo vorrei suggerire un metodo di progressiva trasformazione delle attività spesso sporadiche di Medical Humanities che fioriscono in molti corsi di laurea italiani in un percorso sistematico, prolungato nel tempo, visibile e attendibile per gli studenti (Wellbery, 2015). Prendo spunto da Peterkin (2016), adattando i suoi 12 suggerimenti alla realtà italiana.
Come illustrato in Tabella si tratta di 7 passaggi che hanno inizio dalla progettazione degli obiettivi e sono incentrati sulla costituzione di un team che si prenda cura della formazione e dell’assistenza ai docenti dei corsi integrati che ospitano le attività di MH. Non si tratta quindi di istituire un “corso” di MH, ma di distribuire una quota, anche piccola ma costante di MH lungo tutti i sei anni. Queste ore di attività didattica possono essere classificate come crediti formativi professionalizzanti, visto che – come discusso in precedenza – hanno un senso educativo e di sviluppo dell’iden-tità personale e professionale.

Tabella: Sette passaggi per istituzionalizzare la presenza delle Medical Humanities (MH) nel corso di laurea in Medicina (modificato da Peterkin, 2016)

  1. Stabilire obiettivi trasversali: • Capacità riflessiva
    • Capacità di osservazione • Competenza narrativa
    • Pensiero critico
    • Consapevolezza del proprio benessere • Competenze inter-professionali
    2.Stabilire un team per le MH
  2. 3.Offrire formazione ai docenti
  3. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
  4. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produ-zione di manufatti), cinema (digital sto-rytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizio-ne ed esecuzione)
    6.Le attività basate su MH dovrebbero pre-vedere non più di ½ del tempo come pre-sentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produ-zione di disegni o altri manufatti)
  5. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH
1. Stabilire obiettivi trasversali:
• Capacità riflessiva
• Capacità di osservazione
• Competenza narrativa
• Pensiero critico
• Consapevolezza del proprio benessere
• Competenze inter-professionali
2. Stabilire un team per le MH
3. Offrire formazione ai docenti
4. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
5. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produzione di manufatti), cinema (digital storytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizione ed esecuzione)
6. Le attività basate su MH dovrebbero prevedere non più di ½ del tempo come presentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produzione di disegni o altri manufatti)
7. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH

Bibliografia

Bartels A, Zeki S. The neural basis of romantic love. Neuroreport. 2000; 11(17):3829-34.

Drolet BC, Rodgers S. A comprehensive medical stu-dent wellness program–design and implementation at Vanderbilt School of Medicine. Acad Med. 2010; 85(1):103-10.

Ferrara V., De Santis S., Giuliani C., et al., L’Arte dell’osservazione, dall’opera artistica alla diagnosi Le prime esperienze in Sapienza Università di Roma, a Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia. 2016; 72: 3269-3273.

Frabboni F., Pinto Minerva F. L’alfabeto empirico della pedagogia. In: Introduzione alla pedagogia generale. Laterza, Bari. 2003. pg 54 ssg

Haidet P, Jarecke J, Adams NE, Stuckey HL, Green MJ, Shapiro D, Teal CR, Wolpaw DR. A guiding framework to maximise the power of the arts in medical education: a systematic review and metasynthesis. Med Educ. 2016; 50(3):320-31.

Ishak W, Nikravesh R, Lederer S, Perry R, Ogunyemi D, Bernstein C. Burnout in medical students: a systematic review. Clin Teach. 2013; 10(4):242-5.

Ishizu T, Zeki S., Toward A Brain-Based Theory of Beauty. PLOS ONE. 2011; 6(7): e21852.

Kumagai AK. Beyond “Dr. Feel-Good”: A Role for the Humanities in Medical Education. Acad Med. 2017; 92(12):1659-1660.

Lyon P, Letschka P, Ainsworth T, Haq I. An exploratory study of the potential learning benefits for medical students in collaborative drawing: creativity, reflection and ‘critical looking’. BMC Med Educ. 2013; 17;13:86.

Ousager J, Johannessen H. Humanities in undergraduate medical education: a literature review. Acad Med. 2010; 85(6):988-98

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Pfeiffer S, Chen Y, Tsai D. Progress integrating medical humanities into medical education: a global overview. Curr Opin Psychiatry. 2016; 29(5):298-301.

Striano M. Alcuni orizzonti teorici. In: Didattica professionalizzante nei corsi di laurea in medicina, a cura di F. Consorti, EDRA Ed. Milano, 2018. pag. 15-38

Wear D, Zarconi J, Kumagai A, Cole-Kelly K. Slow medical education. Acad Med. 2015; 90(3):289-93.

Wellbery C, McAteer RA. The Art of Observation: A Pedagogical Framework. Acad Med. 2015; 90(12):1624-30.

Cita questo articolo

Consorti F., Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezza, in Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp. 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Affiliazione autori

Università la Sapienza, Roma.

Le Medical Humanities 1.081, 2019, pp.3608-3609

Nei documenti ufficiali della professione medica, sia nazionali (Bianco, 2010) che internazionali (ABIM, 2002) da tempo si invoca un’evoluzione della medicina, chiamata al compito gravoso ma ineluttabile di conciliare il progresso biomolecolare e lo sviluppo tecnologico con il recupero di una visione della cura centrata sulla persona intera. È altresì cruciale che tale rinnovata sensibilità umana si accompagni allo sviluppo di una competenza orientata ai fenomeni di globalizzazione.
Nonostante la dichiarata importanza, l’approccio metodologico allo sviluppo congiunto di competenze riflessive di relazione umana e di sensibilità globale è tuttora problematico.
Il vasto dominio dei metodi indicati come Medical Humanities (MH) sembra avere le caratteristiche necessarie a garantire gli esiti di formazione necessari alle sfide indicate in premessa, ma nonostante l’abbondanza di letteratura internazionale, le MH vengono percepite ancora troppo spesso come un fenomeno di nicchia, un bel divertissement collaterale alla “vera” formazione medica.
La necessità di un insegnamenti di MH nella formazione medica nasce essenzialmente dal fatto che i curricula universitari attuali non sembrano rispondere ancora in modo sufficiente ai bisogni emergenti dalle nuove circostanze con cui possono doversi confrontare oggi i medici e gli altri operatori sociosanitari. Questi possono infatti, con sempre maggiore frequenza, avere in cura pazienti provenienti da altre parti del mondo e appartenenti orizzonti cognitivi e valoriali completamente differenti da quello biomedico, essere coinvolti in ricerche policentriche, essere impiegati in società e organizzazioni internazionali, essere sollecitati a dare un contributo professionale in discussioni su problemi di sviluppo mondiale, sia da un punto di vista professionale che sociale essere sottoposti a pressioni professionali eccessive.
Contemporaneamente a queste considerazioni, da diversi anni il tema delle Medical Humanities applicate alla formazione medica sta trovando largo spazio nella letteratura scientifica internazionale. La multidisciplinarietà che le caratterizza rende esplicita la complessità del dibattito che gravita attorno a un campo così articolato da essere compo-sto dalla filosofia, dall’etica, dalla storia, dalla sociologia, dall’antropologia, dalla psicologia dalla letteratura e dalle arti (Batistatou A 2010). La letteratura internazionale però non sembra apportare sviluppi innovativi sul tema e mostra un atteggiamento compiacente senza produrre analisi costruttive. Le riflessioni che gravitano attorno alle Medical Humanities tendono a porre l’accento sulle criticità del sistema formativo biomedico attuale a cui viene imputato il fenomeno della depersonalizzazione e della reificazione del paziente e della commercializzazione delle professioni mediche.
Molte meno sono le riflessioni e le propo-ste volte a strutturare delle linee guida condivise che possano condurre alla costituzione di programmi formativi adeguati all’interno delle diverse scuole mediche. Tendenzialmente i diversi contributi constatano la quasi impossibilità di misurarne l’impatto e l’efficacia formativa delle MH tramite gli strumenti sino a ora predominanti nell’educazione medica, individuando ostacoli metodologici probabilmente insormontabili a causa della ampia pluralità di possibili confondenti.
Da ciò ne discende una palese criticità nella misurazione dell’impatto formativo, che però non esclude la necessità di una maggiore chiarezza in merito ai fondamenti epistemologici, ai fini, ai metodi e agli strumenti da utilizzare nella formazione degli studenti. Una interessante osservazione di Clayton J. Beker et al del 2017 propone un approccio di valutazione complesso che non utilizzi soltanto una metodologia empirica, numerica e tassonomica ma che possa combinare a essa la raccolta di narrazioni riguardanti l’esperienza individuale vissuta degli studenti di medicina. Oltre queste problematiche metodologiche ciò che sembra far convergere le diverse prospettive riguardanti le MH è il riconoscimento della necessità di accogliere due assunti fondamentali che ne definiscono l’utilità: da un lato, il bisogno di riconoscere una visione che possa storicizzare l’arte medica euro-occidentale cercando cioè di capire come il mondo medico viene a comporsi quale forma distinta di realtà per chi si accinge a immergersi nello studio della medicina; dall’altro, la consapevolezza degli avanzamenti conoscitivi e operativi della biomedicina che se hanno consentito l’espansione della Sanità Pubblica nella sfera globale determinando un notevole controllo rispetto alle patologie infettive hanno anche favorito, insieme a processi di altro ordine e grado, il conseguente e progressivo emergere di altre patologie come quelle degenerative, verso le quali i modelli virtuosi di lavoro scientifico sembrano aver perso gran parte del loro mordente, mentre al contrario cresce la necessità dello studio e dello sviluppo della compliance fra professionista e paziente.
Sembra dunque necessario superare la subordinazione che le MH ricoprono in rapporto alla disciplina biomedicina, troppo spesso costrette in una cornice di intrattenimento e svago per gli studenti. Inoltre, l’aumento cre-scente delle disuguaglianze in salute, delle diseguaglianze in relazione al genere, l’epidemia globale delle patologie croniche e la complessità della loro gestione in un contesto di crescente disagio socio-economico, unitamente ai cambiamenti culturali, socio-demografici legati all’invecchiamento della popolazione e a movimenti di popolazione, sono tutti componenti che contribuiscono a rendere necessaria una riflessione strutturale sui campi di applicazione clinica del concetto di equità in salute. Queste premesse evidenziano la necessità di sviluppare nel percorso formativo dei professionisti della salute un approccio interdisciplinare e multidimensionale volto a creare connessioni fra le riflessioni bioetiche riguardanti il principio di giustizia e la pratica clinica rivolta a soggetti caratterizzati da vulnerabilità sociale. L’opportunità di un ampliamento del percorso formativo dei professionisti della salute è dunque sempre più attuale e prevede la promozione di esperienze di sviluppo e diffusione di conoscenze avanzate di interesse multidisciplinare, finalizzate a ottenere standard educativi sempre più alti e a monitorare costantemente processi di apprendimento che abbiano ricadute concrete sugli standard delle prestazioni sanitarie. L’intento è quello di sviluppare delle sinergie multidisciplinari che connettano l’ottica della sanità pubblica, della bioetica e dell’antropologia al tema delle diseguaglianze in salute, degli stili di vita e della medicina di genere etc.