Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezzan. 81, 2019, 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Articolo

Che la medicina abbia una dimensione umanistica non è certo una novità: la consapevolezza di questa dimensione e la prassi del volersi occupare dell’intera persona e non solo di un corpo malato o di una “malattia” sono facilmente rintracciabili in modo costante nei secoli, almeno fino agli anni dello sviluppo tecnologico più intenso e della medicina molecolare. Poi, nell’ultima parte del ‘900 qualcosa si è perso, forse non solo nella medicina. Non è questo lo scritto per svolgere compiutamente questa linea di riflessione né io ne avrei la competenza; vi invito tuttavia anche solo a ripensare ai grandi romanzi europei di inizio novecento, come ad esempio La Montagna incantata di Mann, L’uomo senza qualità di Musil, il monumentale Ulysses di Joyce per intuire che molto prima di Watson e Crick e della riduzione di un uomo alle sue molecole, le menti più sensibili percepivano che la società occidentale stava perdendo qualcosa. O forse, che stavano iniziando le doglie di qualcosa di nuovo. Fra i vagiti del neonato (o è solo ancora il vertice che spunta dal canale del parto? Non saprei dirvi … vedremo …) sicuramente c’è nella medicina occidentale il rinnovato interesse a ricomporre l’unità della persona, sia nella prassi di cura che nella formazione e l’articolato mondo delle cosiddette Medical Humanities è una delle espressioni più evi-denti di questo movimento.
Posta questa premessa, in questo testo vorrei brevemente delineare quattro argomenti:

  • l’esposizione al bello artistico produce effetti neurobiologici documentabili e significativi in termini educativi
  • le Medical Humanities hanno un dominio educativo proprio, complementare ma non sovrapponibile a quello di altri metodi didattici
  • le Medical Humanities hanno effetti protettivi nei confronti di alcuni problemi personali degli studenti, come il burn out
  • le Medical Humanities necessitano di una organizzazione propria della didattica, pur non essendo una disciplina autonoma identificabile in un settore scientifico disciplinare

Vorrei in estrema sintesi fornire argomenti per il passaggio da una visione delle Medical Humanities come esperienze “spot” di moduli disciplinari slegati fra loro ad una strategia educativa complessiva, longitudinale, basata sull’esposizione alla bellezza durante i sei anni del corso di laurea.
La necessità di una rigorosa fondazione pedagogica e scientifica delle Medical Humanities è stata recentemente affermata da Arno Kumagai, uno dei massimi studiosi del campo, che ha scritto “The lack of rigorous theo-retical frameworks threaten to turn the humanities into mere entertainment and the efforts to introduce them into medical education into the superfluous icing on what Catherine Belling has called “the decorative edges of the curriculum.” (Kumagai 2017) Quali possono essere dunque i fondamenti pedagogici e scientifici delle Medical Humanities?

La neuroestetica

Le neuroscienze hanno da tempo abban-donato la visione semplicistica della relazione struttura-funzione basata sull’equazione “un’area corticale = una funzione” e – grazie anche alle tecniche di neuro-imaging funzionale come la SPET o la fMRI – sono impegnate ad identificare le reti di attivazione che costituiscono i correlati neuro-biologici delle diverse funzioni della mente. Tra queste, è stata indagata anche la sensazione estetica, intesa come “esperienza del bello” e non come riflessione cognitiva su cosa sia la bellezza.
Semir Zeki è considerato il padre della neuroestetica, che poi si è sviluppata in molte direzioni diverse. (Zeki 2011)
Ai fini di questo testo sarà sufficiente con-siderare due fatti:

  • esistono correlati neurobiologici specifici per l’esperienza estetica, che si attivano in modi diversi a secondo che l’esperienza sia giudicata dal soggetto “bella” o “brutta”
  • pur essendo connesse con i circuiti correlati all’esperienza generale del piacere, le reti di rappresentazione dell’esperienza estetica sono specifiche. E’ stato dimostrato ad esempio che le immagini della persona amata attivano le stesse aree del bello estetico, aree che sono diverse da quelle che si attivano di fronte ad immagini a contenuto erotico (Bartels, 2000). In termini neurobiologici, l’amore romantico ha dunque molta più attinenza con l’esperienza estetica che erotica e i poeti del Dolce Stil Novo italiano ce lo testimoniano.
  • In termini educativi, queste prove scientifiche ci dicono che l’esposizione al bello artistico, nelle sue molte diverse rappresentazioni possibili, non è solo un generico divertimento ma ha effetti specifici e non casuali sui soggetti esposti. Tali effetti possono dunque essere usati per indirizzare lo sviluppo del soggetto nella direzione del progetto educativo desiderato, a patto che l’educatore agisca con consapevolezza

Dimensioni educative

Nell’attuale vocabolario pedagogico italiano, il termine formazione ha a che fare con l’acquisizione di conoscenze e competenze (in questo senso è “dare forma”, ad esempio ad un futuro medico), mentre il termine educazione indica un processo che potremmo indicare come trasmissione culturale di valori morali ed elementi estetici, favorendo l’emergenza (ex-ducere) di una struttura di personalità umana integrata nella società. (Frabboni, 2003) In questo senso è evidente che le Medical Humanities sono principalmente strumenti educativi, anche se possono avere anche valore formativo.
Ha questo ultimo valore l’uso dell’arte nelle cosiddette Visual Thinking Strategies (VTS), di cui si è già parlato in questa rivista (Ferrara, 2016). Le VTS si sono dimostrate in grado di sviluppare forme specifiche di abilità cognitive e di ragionamento come l’osservazione critica, il riconoscimento motivato di informazioni in formato visivo, la capacità di argomentare e di condividere in un gruppo il proprio pensiero, legittimando quello degli altri. Il fatto che le VTS usino immagini artistiche per le attività previste aggiunge valore educativo a ciò che viene fatto, essendo il limite tra formazione ed educazione spesso sfumato. E’ impossibile infatti che l’esposizione a opere artistiche non generi emozioni e che – se il quadro ad esempio rappresenta un momento di pratica professionale o di sofferenza umana – queste emozioni non vengano indirizzate verso l’immagine di professionista che si sta formando nello studente. Se la riflessione su queste emozioni viene adeguatamente guidata, ciò contribuisce ad aumentare la sensibilità verso la sofferenza e un’attitudine di cura compassionevole e dedicata.
In senso specificamente educativo, il più grande valore delle Medical Humanities è di provocare tre effetti che Kumagai (2017) ha indicato come:

  1. Creating difficulties and disruption (dissonanza cognitiva): ci sono sempre più soluzioni possibili
  2. Introducing a pause: secondo i principi di una “slow medical education” (Wear, 2015)
  3. Encouraging engagement with complexity and ambiguity: ci sono sempre più punti di vista possibili

E’ il caso di ricordare qui come alla base del pensiero di molti grandi psicologi e pedagogisti, come Piaget e Dewey, ci sia l’idea fondamentale che se non viene percepito un problema, una rottura di routine o di schema del mondo, non si avvia alcun processo reale di apprendimento. E’ un normale processo di economia quello che spinge homo sapiens a cercare soluzioni nuove solo quando incontra problemi nuovi o una situazione abituale si presenta improvvisamente sotto una nuova luce. (Striano, 2018)
Tuttavia, dimostrare con prove d’efficacia un effetto educativo è estremamente difficile, perché – come ricordato – l’educazione non ha a che fare con lo sviluppo di abilità specifiche, misurabili ma con i processi di assimilazione culturale, di sviluppo dell’identità personale e professionale. Non sorprende quindi che in una revisione sistematica sugli effetti delle Medical Humanities, gli autori abbiano esaminato 234 articoli che si esprimevano a favore ma solo 9 fornivano prove di risultato a distanza, oltre il semplice gradimento degli studenti. Dieci articoli inoltre avanzano sostanziali dubbi sull’efficacia. Ciò nonostante, gli autori concludono che questa crescente massa di studi ed esperienze, di discussione e riflessione contribuisce a sviluppare “the discursive construction of humanities as a necessary component of medical education.” (Outrager, 2010). A proposito di costruzione del “discorso” intorno alle Medical Humanities, una seconda revisione sistematica con meta-sintesi qualitativa identifica 4 temi principali: 1) qualità specifiche delle arti che promuovono l’apprendimento, 2) modi specifici in cui i discenti si attivano con l’arte, 3) esiti a breve e lungo termine documentabili dell’insegnamento basato sull’arte, 4) considerazioni pedagogiche specifiche per l’uso delle arti nei contesti di formazione medica. (Haydet, 2016)

Dimensioni personali

Il disagio fisico e mentale degli studenti di medicina, che può evolvere fino a quadri completi di sindrome da burn-out è un problema ormai riconosciuto in tutto il mondo. (Ishak, 2013) Le cause sono variamente riconducibili al sovraccarico cognitivo ed emotivo, all’esposizione alla sofferenza e alla morte e ad un clima accademico troppo competitivo. Le attività di Medical Humanities sono considerate in grado di promuovere il benessere degli studenti, aumentandone la resilienza. L’Università Vanderbilt ha messo a punto un programma integrato e longitudinale che offre agli studenti attività di varia natura, nel complesso ritenute in grado di proteggere gli studenti dagli effetti negativi dello stress, tra cui corsi di pittura collaborativa (Drolet, 2010).
Ad un corso di disegno cooperativo sono ricorsi anche Lyon e coll. (Lyon, 2013) in un’esperienza di educazione inter-professionale fra studenti di arte e di medicina. Le attività di Medical Humanities, in quanto terreno non tecnico e quindi neutro, si prestano in modo speciale a sostenere programmi di educazione inter-professionale. Nello studio citato, gli autori hanno osservato un aumento della capacità di osservazione critica, di collaborazione inter-professionale e una costruttiva esplorazione riflessiva dell’identità professionale in formazione. Le Medical Humanities sono infatti ritenute efficaci nell’accompagna-re uno sviluppo armonico della professionalità medica. (Pfeiffer, 2016)

Dimensione didattica

In quest’ultima parte dell’articolo vorrei suggerire un metodo di progressiva trasformazione delle attività spesso sporadiche di Medical Humanities che fioriscono in molti corsi di laurea italiani in un percorso sistematico, prolungato nel tempo, visibile e attendibile per gli studenti (Wellbery, 2015). Prendo spunto da Peterkin (2016), adattando i suoi 12 suggerimenti alla realtà italiana.
Come illustrato in Tabella si tratta di 7 passaggi che hanno inizio dalla progettazione degli obiettivi e sono incentrati sulla costituzione di un team che si prenda cura della formazione e dell’assistenza ai docenti dei corsi integrati che ospitano le attività di MH. Non si tratta quindi di istituire un “corso” di MH, ma di distribuire una quota, anche piccola ma costante di MH lungo tutti i sei anni. Queste ore di attività didattica possono essere classificate come crediti formativi professionalizzanti, visto che – come discusso in precedenza – hanno un senso educativo e di sviluppo dell’iden-tità personale e professionale.

Tabella: Sette passaggi per istituzionalizzare la presenza delle Medical Humanities (MH) nel corso di laurea in Medicina (modificato da Peterkin, 2016)

  1. Stabilire obiettivi trasversali: • Capacità riflessiva
    • Capacità di osservazione • Competenza narrativa
    • Pensiero critico
    • Consapevolezza del proprio benessere • Competenze inter-professionali
    2.Stabilire un team per le MH
  2. 3.Offrire formazione ai docenti
  3. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
  4. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produ-zione di manufatti), cinema (digital sto-rytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizio-ne ed esecuzione)
    6.Le attività basate su MH dovrebbero pre-vedere non più di ½ del tempo come pre-sentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produ-zione di disegni o altri manufatti)
  5. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH
1. Stabilire obiettivi trasversali:
• Capacità riflessiva
• Capacità di osservazione
• Competenza narrativa
• Pensiero critico
• Consapevolezza del proprio benessere
• Competenze inter-professionali
2. Stabilire un team per le MH
3. Offrire formazione ai docenti
4. Assistere la progettazione dei corsi con integrazione delle MH
5. Utilizzate formati artistici diversi nelle attività basate su MH: arti visive (produzione di manufatti), cinema (digital storytelling), teatro (recitazione), letteratura e poesia (scrittura), musica (composizione ed esecuzione)
6. Le attività basate su MH dovrebbero prevedere non più di ½ del tempo come presentazione e ½ del tempo come attività creativa (scritti riflessivi, gruppi, produzione di disegni o altri manufatti)
7. Progettare e diffondere un “brand” per le attività di MH

Bibliografia

Bartels A, Zeki S. The neural basis of romantic love. Neuroreport. 2000; 11(17):3829-34.

Drolet BC, Rodgers S. A comprehensive medical stu-dent wellness program–design and implementation at Vanderbilt School of Medicine. Acad Med. 2010; 85(1):103-10.

Ferrara V., De Santis S., Giuliani C., et al., L’Arte dell’osservazione, dall’opera artistica alla diagnosi Le prime esperienze in Sapienza Università di Roma, a Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia. 2016; 72: 3269-3273.

Frabboni F., Pinto Minerva F. L’alfabeto empirico della pedagogia. In: Introduzione alla pedagogia generale. Laterza, Bari. 2003. pg 54 ssg

Haidet P, Jarecke J, Adams NE, Stuckey HL, Green MJ, Shapiro D, Teal CR, Wolpaw DR. A guiding framework to maximise the power of the arts in medical education: a systematic review and metasynthesis. Med Educ. 2016; 50(3):320-31.

Ishak W, Nikravesh R, Lederer S, Perry R, Ogunyemi D, Bernstein C. Burnout in medical students: a systematic review. Clin Teach. 2013; 10(4):242-5.

Ishizu T, Zeki S., Toward A Brain-Based Theory of Beauty. PLOS ONE. 2011; 6(7): e21852.

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Ousager J, Johannessen H. Humanities in undergraduate medical education: a literature review. Acad Med. 2010; 85(6):988-98

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Striano M. Alcuni orizzonti teorici. In: Didattica professionalizzante nei corsi di laurea in medicina, a cura di F. Consorti, EDRA Ed. Milano, 2018. pag. 15-38

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Wellbery C, McAteer RA. The Art of Observation: A Pedagogical Framework. Acad Med. 2015; 90(12):1624-30.

Cita questo articolo

Consorti F., Le Medical Humanities 2.0. Dall’esperienza “spot” alla strategia educativa basata sull’esposizione alla bellezza, in Medicina e Chirurgia, 81, 2019, pp. 3610-3613, DOI: 10.4487/medchir2019-81-3

Affiliazione autori

Università la Sapienza, Roma.

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