Formare i medici dal Medioevo al primo evo modernon.81, 2019, pp. 3629-3631, DOI: 10.4487/medchir2019-81-7

Autori: Maria Conforti

Articolo

La trasmissione delle conoscenze mediche e la formazione dei medici trova nel tardo Medioevo europeo, tra la fine del XII e l’inizio del XIII sec., con l’inserimento dell’insegnamento della medicina nelle università, una soluzione di straordinario successo, sia sotto il profilo della sistematizzazione, dello sviluppo e della trasmissione del sapere medico, sia sotto quello dell’organizzazione della professione. Salerno, già nel X sec. famoso centro di insegnamento medico, pur non disponendo nel Medioevo di una struttura didattica giuridicamente riconosciuta ed entrato solo nel XV secolo a far parte del sistema universitario, ha svolto tuttavia un ruolo cruciale nell’evoluzione dell’insegnamento medico in Italia e in Europa e nello stesso strutturarsi dell’insegnamento universitario, attraverso la trasmissione sia di testi e di commenti, sia di tecniche didattiche. Fra la fine del XII e l’inizio del XIII sec. un gruppo di maestri e studenti, attratti dalla possibilità di aprire libere scuole ed in seguito dai privilegi offerti dalla fondazione dell’Università, si era trasferito da Salerno a Montpellier. Più o meno contemporaneamente che a Montpellier l’insegnamento medico universitario emerge anche a Parigi, e in seguito in diverse città italiane.

Da questo periodo in poi, fra i numerosi soggetti che esercitano a vario titolo e a vari livelli attività terapeutiche, il medico dotto di formazione universitaria (physicus) occupa una posizione di preminenza culturale e sociale rispetto al praticante di successo, ma privo di dottrina (ad esempio, il chirurgo di alto livello). La medicina universitaria compie così una progressiva e sempre più vasta riconquista del patrimonio scientifico e medico dell’Antichità, attraverso la quale la comunità scientifica dei maestri delle Facoltà mediche elabora non solo un’organica e sofisticata sistemazione della cultura medica, ma mette a punto, in complessi dibattiti, la definizione del livello scientifico della medicina nei suoi due aspetti costitutivi e inscindibili di teoria e prassi – di scientia e di ars – e ne stabilisce lo statuto epistemologico.

Nel sistema universitario la formazione del medico avviene presso uno Studium generale, attraverso un corso di studi formale e graduale, che si conclude ufficialmente con il conseguimento dei gradi accademici, ottenuti attraverso gli esami di licenza e di dottorato, che lo proclamano doctus et expertus e gli consentono, oltre all’esercizio della professione medica, di insegnare presso qualsiasi Università e, eventualmente, di entrare a far parte di un Collegio dottorale. La comunità scientifica, formata dai docenti e dai medi-ci impegnati nell’esercizio della professione, costituisce con i Collegi dei medici cittadini, prima in Italia, dove più favorevoli erano le condizioni sociali, poi nel resto d’Europa, efficaci strumenti di autogoverno e di auto-conservazione. Nei centri urbani di una certa importanza, ma privi di uno Studio generale, la presenza del Collegio dei medici garantisce non solo il controllo sull’esercizio della professione medica e sulle altre attività di cura, ma spesso, grazie all’acquisizione di privilegi, gelosamente custoditi, anche la possibilità di riconoscere ufficialmente, con il conferimento dei gradi, un corso di studi svolto presso uno Studio generale.
I curricula degli studi medici delle varie università europee non differiscono in modo sostanziale, benché siano presenti varianti locali. Nella maggior parte delle università la medicina si presenta come una disciplina di grado superiore, al cui percorso formativo si accedeva dopo aver completato un corso di studi propedeutici in arti liberali e in filosofia naturale. Tuttavia, nei centri universitari dell’Italia del nord e del centro, come anche a Montpellier, la medicina riesce a conquistare, prima che altrove in Europa, una posizione eminente, sia dal punto di vista accademico, sia da quello sociale e professionale. In Italia le favorevoli condizioni economiche e sociali rendono possibile l’impiego da parte di varie istituzioni pubbliche di una folta schiera di medici e chirurghi e fanno sì che, di fronte alla domanda di formazione universitaria per le professioni giuridiche e sanitarie, numerose città di una certa importanza cerchino di ottenere uno Studio generale; molte di queste università tuttavia hanno avuto vita breve e precaria. L’omogeneità nei testi autoritativi prescritti dai curricula e nelle tecniche didattiche permettono la grande mobilità da uno Studio all’altro di maestri e di studenti. Per quanto con accentuazioni diverse, la parte teorica della medicina in quanto scientia, secondo il modello aristotelico dello scire per causas, è considerata una disciplina subalterna alla filosofia naturale; la parte pratica è scientia operativa o ars scientifica, in quanto, pur collegata intimamente alla parte teorica, è ordinata all’operazione e detta appunto le regole dell’opus vero e proprio. Alla fine del XIV sec. prima a Bologna e a Padova, poi anche in altri centri italiani, viene introdotta la separazione dei corsi di medicina teorica e di medicina pratica, con due serie di cattedre, ordinarie e straordinarie, che all’inizio riflettono nell’ordine gerarchico, confermato dalla diversità degli stipendi, il livello epistemologico superiore della medicina teorica. L’adozione come testo privilegiato del Canone di Avicenna, attorno al quale si dispongono gli altri testi autoritativi, sia per l’insegnamento di Teorica sia di Pratica, accentua il peso degli aspetti teorici e dottrinali. Uno schema adottato in diverse università prevede che la Theorica sia divisa in physiologia, sulla natura del corpo umano, aetiologia, sulle cause delle malattie, semeiotica, sui segni delle patologie, pathologia, sulle malattie propriamente dette, e therapeutica. Queste due ultime parti, fra le quali assume particolare importanza l’esame delle malattie “a capite ad calcem”, dalla testa ai piedi, sconfinavano largamente nella Practica, a sua volta divisa in diaetetica, pharmaceutica, chirurgica.
Alcuni centri come Bologna, Padova, ma anche Siena, Pavia e Perugia ed in seguito Ferrara riescono a stabilire continuità didattica e a guadagnarsi la fama, che garantiscono loro un notevole flusso di studenti provenienti da altre regioni italiane e dal resto d’Europa. Quello delle università italiane è un caso particolare e di grande successo; vi si afferma infatti un curriculum che unisce Arti e Medicina nel quale tuttavia permane chiara la distinzione fra il corso di Arti, generalmente della durata di quattro anni e quello di Medicina, della durata di quattro o cinque anni. In queste università, anche per l’assenza, fino ad un periodo tardo, della teologia, insegnata presso gli Studia dei vari Ordini religiosi, la medicina costituisce il culmine degli studi scientifici e gli studi filosofici, prevalente-mente propedeutici agli studi medici, da una parte caratterizzano fortemente l’aristotelismo in senso biologico-naturalistico, dall’altra improntano gli studi medici, favorendo sia la riflessione epistemologica e metodologica, sia l’approfondimento di problematiche di filosofia naturale.
La consapevolezza della necessità di una riforma della cultura medica giunge a matura-zione fra l’ultimo decennio del XV sec. e i primi due del XVI, quando giungono sulle cattedre di medicina delle università dell’Italia del Nord personaggi che avevano goduto, nel periodo di formazione pre-universitaria, di una aggiornata educazione secondo l’ideale umanistico. L’alleanza degli studi filosofici e scientifici con la filologia umanistica si rivela di importanza cruciale per la cultura scientifica italiana ed europea. L’attività filologica dei medici umani-sti, gli unici fra i filologi del tempo in possesso sia delle capacità linguistiche sia delle conoscenze tecniche che li ponevano in grado di comprendere a pieno le problematiche poste dai testi medici, non rimane nell’ambito pura-mente intellettuale del recupero della cultura del passato, ha bensì uno scopo pratico, quello di costituire un corpus di conoscenze mediche sicure che possano garantire una pratica efficace. Una via importante di diffusione è stata, come in passato, la mobilità dei maestri. An-che la peregrinatio studiorum degli studenti contribuisce a diffondere la nuova medicina. Le novità dell’insegnamento medico italiano attirano un gran numero di studenti stranieri. Lo studio diretto dei testi è alla base anche di altri importanti sviluppi; infatti le uniche novità che riescono a penetrare permanentemente nei curricula, vale a dire lo studio rinnovato dell’anatomia e della botanica, che gradualmente riusciranno ad imporsi come materie autonome, sono all’inizio frutto proprio di questa migliore conoscenza delle opere di Galeno e dei botanici greci.
La commistione di filosofia naturale e medicina è una caratteristica specifica e innovativa delle università italiane. L’anatomia, per quanto sia stata, non a torto, il focus della storiografia è solo uno dei casi di stretta collabo-razione fra competenze del physicus e quelle di altre professioni. L’affermarsi di nuove discipline porta, in Italia, alla creazione di luoghi e spazi diversi da quelli tradizionali per l’insegnamento universitario: tra questi l’Orto botanico e il teatro anatomico. A Padova, come in altri centri tra cui Bologna e Roma, si assiste anche alla precoce utilizzazione dell’ospedale ai fini dell’osservazione clinica e della didattica – un’innovazione forse perfino più impor-tante, ai fini dello sviluppo di una medicina clinica ‘sperimentale’, delle due precedenti. Questo irraggiarsi dell’insegnamento in luoghi delle città universitarie diversi da quelli canonici, e quindi l’allargarsi e il dinamizzar-si dei pubblici della didattica e della ricerca, non è un fenomeno solo di quest’epoca: ma nella seconda metà del Cinquecento, in Italia, esso assume una speciale importanza. Non è trascurabile il peso che le università han-no avuto nell’attivare e contribuire a istruire reti locali di curanti, o nel mettere in rapporto istituzioni della cultura accademica con le professioni e le istituzioni mediche non acca demiche (si pensi ad esempio alla centralità per gli speziali toscani dell’orto dello Studio pisano, o allo sfruttamento delle potenzialità didattiche insite nella rete ospedaliera bolognese o romana).

Bibliografia

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Conforti M., Formare i medici dal Medioevo al primo evo moderno, Medicina e Chirurgia, 81, 3629-3631, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-81-?

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