Notizie dall’ANVUR, dal CUN, dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, dal SISMn.83, 2019, pp. 3706-3708

Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca – ANVUR

La novità più rilevante a riguardo delle attività dell’Agenzia è rappresentata dal rapporto ricevuto questa primavera da parte dell’ENQA (European Network of Quality Assurance). In esso si evidenzia come ANVUR sia stata ammessa a pieno titolo in qualità di Membro effettivo all’interno della rete di Assicurazione della Qualità in Europa. Tale risultato positivo giunge dopo una intera settimana di visita effettuata lo scorso mese di Novembre da una Commissione dell’Istituzione presso la nostra Agenzia. Il risultato assume una importanza notevole in quanto pone anche l’Italia nella pienezza della propria rappresentanza all’interno del complesso sistema di assicurazione della qualità della docenza che rende possibile e legittima l’equiparazione dei nostri titoli di studio di formazione superiore in Europa. Va altresì ricordato che presupposto assoluto di tale adesione sia la piena e completa autonomia e indipendenza delle singole Agenzie Nazionali.
Nel mese di Luglio ANVUR ha fornito il proprio parere favorevole sul decreto del MIUR relativo ai:

Criteri di ripartizione del FFO dell’anno 2019.

Riguardo all’assegnazione della quota premiale (articolo 3 e Allegato 1), la bozza di decreto mantiene la struttura del 2018 con riferimento ai risultati della VQR (peso 60) e alle politiche di reclutamento (peso 20) , con i dati aggiornati del triennio 2016-2018). Si incrementano poi in misura importante i fondi destinati agli incentivi per le chiamate dirette di docenti e ricercatori esterni (art. 5), passando da € 14 milioni a € 17 milioni. Si ritiene tale intervento particolarmente significativo per favorire l’ingresso soprattutto di docenti stranieri nel nostro sistema universitario.
Analogo parere favorevole è stato fornito dall’Agenzia rispetto allo:

Schema di Decreto recante le Linee generali di indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2019-2021

Molte sono le novità interessanti contenute nello schema ma per quanto riguarda l’Area Medica si invi- ta a prendere in attenta considerazione quanto scritto con riferimento alla possibilità di istituire nuovi corsi di laurea magistrale a ciclo unico in Medicina e Chi- rurgia previsto nel piano triennale. ANVUR ha ritenuto doveroso però sottolineare che la verifica sui requisiti preveda sempre una puntualissima valutazione dell’organico di docenti a disposizione e del piano delle relative assunzioni; la disponibilità di docenza qualificata, oltre che di strutture didattiche e sanitarie in grado di offrire agli studenti una adeguata qualità del percorso formativo sono aspetti di primaria im- portanza per il conferimento di una laurea il cui im- patto sociale, i nostri lettori non potranno che essere d’accordo, non è secondo a nessun altro.

Prof. Paolo Miccoli
Presidente Consiglio Direttivo ANVUR

Consiglio Universitario Nazionale

Il 19 giugno scorso, il Presidente del CUN Antonio Vicino e la Consigliera Chiara Occelli, insieme a rappresentanti dell’ANVUR e della CRUI, sono stati auditi in Commissione Cultura della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’esame in sede referente delle proposte di legge in materia di reclutamento e stato giuridico dei ricercatori universitari e degli enti di ricerca. L’audizione è stata trasmessa in diretta dalla web tv della Camera .Durante i lavori dell’ultima sessione il CUN ha ripreso le riflessioni in materia di reclutamento e stato giuridico dei ricercatori, sia all’interno delle Commissioni 1 e 5 che nelle sedute plenarie di aula.
Il 26 giugno 2019, con un Addendum alla Mozione del 5 giugno 2019, della quale si è riferito nel precedente resoconto, il CUN chiede di essere convocato, insieme alla CRUI, alla Conferenza dei Presidi e all’Intercollegio dei Professori di Medicina all’istituendo tavolo tecnico che preparerà il decreto interpretativo del Decreto Legge 30 aprile 2019, n. 35 “Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria” e di essere consultato tempestivamente in merito ad eventuali passaggi normativi di modifica nel percorso formativo delle scuole di specializzazione di area medica.
Due sono stati gli importanti pareri formulati pri- ma della pausa estiva:
nel primo il CUN ha espressoil suo parere di competenza sullo schema di Decreto Ministeriale recante i criteri per il riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle Università statali per l’anno 2019. Nel testo, il CUN apprezza l’aumento di circa l’1,7% rispetto all’anno precedente del FFO complessivo (dai circa 7,327 miliardi di euro del 2018 ai circa 7,450 miliardi del 2019) che si aggiunge all’incremento di circa il 5% già avvenuto nel corso del 2018 rispetto all’anno precedente. Tuttavia, osserva come tale dote di risorse non sia ancora sufficiente per gestire le esigenze del sistema dell’istruzione superiore e della ricerca, così da poterne garantire il corretto funzionamento, anche in un’ottica di comparazione internazionale. Rileva altresì come, pur nella legittimità di scelte politiche volte a destinare le risorse al raggiungimento di scopi specifici, l’incremento di finanziamento totale, pari a circa 469 milioni nell’ultimo biennio, sia interamente dedicato a interventi specifici vincolati (principalmente relativi ai dipartimenti di eccellenza e ai piani straordinari per RTDb) mentre la somma di quota base, premiale e perequativa è in costante diminuzione ormai da molti anni. Tale andamento pone un serio interrogativo circa la sostenibilità economica prospettica delle missioni istituzionali delle Università, anche tenuto conto dei maggiori oneri conseguenti al positivo superamento del blocco pluriennale delle retribuzioni. Nel ribadire l’insufficienza complessiva delle risorse pubbliche destinate al sistema universitario, il CUN chiede che siano recepite le proprie osservazioni all’interno dello schema di decreto esprimendo comunque un parere complessivamente favorevole sui criteri di riparto.

Nel secondo il CUN ha espresso il suo parere di competenza sullo schema di decreto con il quale sono state definite le linee generali d’indirizzo della programmazione universitaria per il triennio 2019- 21 e gli indicatori per la valutazione periodica dei risultati. Il CUN rileva come lo schema di decreto rifletta sostanzialmente la struttura del decreto sulla programmazione triennale precedente. Dalla Programmazione emerge che una parte del FFO è dedicata ad azioni di programmazione autonomamente individuate dagli atenei. Tuttavia, rileva come la valorizzazione dell’autonomia responsabile sia limitata da una valutazione sui soli indicatori riportati nella tabella 4 dell’allegato 1. Il Consiglio sottolinea inoltre l’improprio inserimento nel decreto sulla programmazione triennale di potenziali forzature sulla veste giuridica delle università non statali o la possibilità per le scuole di alta formazione di diventare università. Esprime parere complessivamente favorevole pur sottolineando alcune criticità sugli artt. 3 e 6 e, relativamente a tali specifici punti, esprime parere negativo.
La prossima adunanza sarà il 3, 4, 5 settembre2019.
Sul sito www.cun.it sono disponibili on line tutti i documenti prodotti dal CUN.

Manuela Di Franco
Segretario Generale CUN

Tirocini: tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare

Il tirocinio è un momento essenziale all’interno del progetto formativo dei futuri medici. Nella visione elaborata dalla nostra associazione, questo non deve limitarsi ad essere esclusivamente il versante applicativo di conoscenze apprese nell’ambito accademico di studio ma costituirsi come momento formativo integrato in un più ampio progetto formativo. Le caratteristiche peculiari di questa occasione formativa, prodotte dall’incontro con il paziente, con il personale ospedaliero e contraddistinte dall’imprevedibilità delle situazioni, permettono allo studente di trasformare gli apprendimenti pregressi in conoscenza operativa.

Non di meno, questo momento costituisce arricchimento e continuo stimolo all’aggiornamento anche per tutti gli attori coinvolti nel progetto formativo: tutor, personale medico e sanitario.
La realtà odierna è contraddistinta da una estrema eterogeneità organizzativa. Bisogna ammettere che la reale qualità formativa di questo momento differisce da Scuola a Scuola ma anche nell’ambito della stessa, differisce da polo ospedaliero oppure da un responsabile all’altro, portando lo studente a seguire autonomamente taluni medici e porre domande a chi sembra disposto a rispondergli. Questa attività prende il nome di shadowing, e spesso non viene fatta alle spalle dei medici più esperti, e con bagaglio esperienziale maggiore, ma seguendo i giovani medici o gli specializzandi che risultano più vicini agli studenti.
Durante il tirocinio il punto cruciale della formazione dello studente è costituito dall’acquisizione di alcune abilità quali la capacità di riflettere e di elaborare nuove conoscenze, integrandole con quelle già possedute. Per raggiungere questi obiettivi è importante una programmazione fortemente integrata tra l’insegnamento teorico e quello clinico.
Nella realtà dei fatti ciò non avviene sempre portando ad una situazione di disorientamento per lo studente che, trova un’oggettiva disparità tra le sue competenze e le sue conoscenze. Egli, infatti, si trova a fronteggiare una realtà pratica, su cui non ha avuto un’adeguata formazione, poiché, il suo percorso di studi predilige il sapere (knows), rispetto al saper fare (knows how).
Esempio potrebbe essere la raccolta anamnestica, in cui vi è una differenza tra il sapere cosa sia un’anamnesi, e saperla raccogliere, ed è proprio nel tirocinio che lo studente dovrebbe dimostrare una padronanze delle competenze apprese (show how) durante il suo percorso formativo, al fine ultimo di riuscire a raccogliere effettivamente la storia clinica del paziente (do).
Il tirocinio per il futuro medico però non può partire dal presupposto semplicistico che si impara facendo, ma di fondo vi è bisogno di consapevolezza del proprio ruolo. E’ in questa ottica che la funzione del tirocinio diviene quella di trasformare il bagaglio culturale el’immagine della professione in competenza relazionale (attitude), disciplinare (knowledge) e operativa (skills), in funzione del proprio ruolo (awareness).
Questo sistema operativo pone lo studente al cen- tro della formazione, in cui i tutor svolgono una funzione chiave in quanto sono gli unici interlocutori in grado di interagire con gli studenti nei quattro ambiti sopracitati. Tuttavia ciò pone dei problemi attuativi, poiché vi è la necessità numerica di molti tutori in grado di armonizzare il loro impegno clinico con quello formativo.
Il tirocinio non è un periodo in cui lo studente mette in pratica ciò che ha appreso in teoria, quanto piuttosto una fase di maturazione professionale e di acquisizione di un grado maggiore di confidenza con la professione.
Il tirocinio professionalizzante richiede una metodologia di insegnamento-apprendimento denominato learning in action, basato sulla centralità del paziente che costituisce l’aspetto essenziale ed irrinunciabile di tutto il progetto formativo. E se mentre il tutorato cognitivo ha nel problem based learning il punto di riferimento culturale e metodologico, il tutorato clinico si struttura soprattutto sul competency based learning, ovvero su un apprendimento basato sull’acquisizione di competenze.
La finalità principale del tirocinio professionalizzante risulta essere la gestione complessiva del paziente (Patient management), ed è sempre nel tirocinio che lo studente può sviluppare l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di riconoscere le proprie ansie ed insicurezze di fronte alla malattia, al dolore ed alla morte.

Nell’ottica di una laurea abilitante e di un tirocinio professionalizzante vi è la necessità che ci siano dei metodi di valutazione oggettivi e degli obiettivi da raggiungere comuni a tutti gli studenti. L’assessment, inteso come valutazione delle conoscenze e competenze mediche apprese nel corso dei sei anni di studi, èil mezzo che ci assicura che lo studente sia realmente preparato. Per rendere efficace una valutazione, devono esserci obiettivi chiari e precisi, in modo da poterli misurare oggettivamente.
Come possiamo assicurarci che le abilità mediche vengano apprese dagli studenti?
L’OSCE (Objective Structured Clinical Examination): utilizza la simulazione di risoluzione di casi cli- nici in cui lo studente deve mettere in atto specifiche abilità pratiche, gestionale e relazionali. La simulazione riesce a raggiungere il terzo gradino (shows how) della piramide di Miller e poter quindi valutare se lo studente è davvero pronto a metter in pratica le proprie abilità in situazioni reali.
Il medico deve essere pronto e sicuro ad intervenire in diversi contesti e con persone differenti, deve riuscire a prendere decisioni ed assumersi le responsabilità delle decisioni prese, per questo motivo la formazione di un medico è un processo complesso e multidisciplinare, che va monitorato e valutato in ogni contesto e nei differenti modi. Solo attraverso un’attenta pianificazione e struttura dei tirocini, potremo garantire la giusta preparazione dei giusti professionisti della salute.
Ci sono tuttavia ancora tante domande aperte sul metodo più corretto e adatto e numerosi ostacoli organizzativi e legislativi da affrontare. Come associazione che da sempre si occupa di contribuire all’avanzamento qualitativo della formazione medica riconosciamo che fino ad ora tanto si è fatto ma ancora più progressi vanno ricercati e non bisogna mai smettere di interrogarsi se i metodi usualmente adottati siano i più appropriati. E’ per questo che periodicamente forniamo la nostra visione e le nostre richieste agli organismi competenti e confidiamo che i mondi accademico e clinico si aprano sempre più ai feedback che provengono da chi dei tirocini è il protagonista, ovvero lo studente.

Medical Humanities: una proposta interpretativa e didattican.83, 2019, pp. 3697-3705, DOI: 10.4487/medchir2019-83-5

Abstract

In the context of the international debate on the Medical Humanities, we discuss how and why they should be inserted in the training of young physicians. The core idea is that the humanists should not teach just what they research on, but what students actually need. The proposal is within a framework where compassion replaces empathy and the narrative approach is critically considered.

Articolo

Premessa
C’è un ampio consenso sul ruolo delle Medical Humanities (da ora MH) quale approccio interdisciplinare per conciliare medicina e humanities al fine di promuovere un atteggiamento pienamente centrato sul paziente. A fronte di tale condivisione, permane tuttavia una molteplicità di posizioni in merito a come tale obiettivo si debba realizzare. È sufficiente un veloce sguardo al panorama internazionale e nazionale per rendersi immediatamente conto che tra gli studiosi che riconoscono le MH come loro ambito di indagine è possibile identificare profili disciplinari e interessi anche totalmente distanti. Può accadere che un esperto di letteratura inglese/tedesca/francese/spagnola/russa/ecc. assegni alle MH il compito di analizzare come scrittori di lingua inglese/tedesca/francese/spagnola/russa/ecc. si siano occupati del corpo o della malattia; che un esperto di storia dell’arte sostenga che le MH debbano mostrare come attraverso l’arte si possano meglio capire concetti quali malattia, salute, cura, terapia ecc.; che un esperto di pedagogia difenda l’idea che le MH siano il terreno della sua disciplina; che uno studioso di fenomenologia difenda la sua importanza nell’approccio al paziente; che uno storico sottolinei la rilevanza di Ippocrate e Galeno per un modo proprio di inten- dere le MH; che un bioeticista enfatizzi il ruolo della riflessione etica; che un grecista sostenga la necessità dell’etimo delle parole usate in clinica; e così via, in un moltiplicarsi di prospettive legate alla provenienza disciplinare e agli interessi specifici.
La varietà di approcci costituisce senza dubbio una ricchezza nella misura in cui guardiamo alle MH come terreno di ricerca ampio e aperto, entro il quale ogni studioso è libero di indirizzare i propri studi lungo i filoni tematici che preferisce, di adottare le metodologie proprie dell’approccio scelto, e di pubblicare ed esporre i risultati dove meglio crede e può. Un atteggiamento “ecumenico” sul versante della ricerca non può però essere semplicemente traslato sul versante della formazione medica, dove ciò che entra in gioco sono le conoscenze e le competenze di giovani medici, i loro percorsi di studio e, attraverso questi, le caratteristiche delle loro future attività cliniche e di ricerca.
Senza nulla togliere alla varietà di approcci e prospettive incluse nelle MH, qui vorremmo argomentare a favore di uno specifico modo di interpretarle
– qualificabile come “concettuale” – che pensiamo possa essere adottato soprattutto in ambito didattico. Si tratta di una particolare caratterizzazione dettata dal riconoscimento i) che la medicina sta cambiando;
ii) che la compassione è più rilevante dell’empatia; iii) che l’approccio narrativistico deve essere ripensato criticamente; iv) che l’agenda delle MH nella formazione del medico debba essere dettata non dagli interessi di chi si trova di volta in volta a insegnarle, bensì dalle esigenze e priorità identificate all’interno della stessa professione medica.

Che cosa sono le MH?

Per iniziare, richiamiamo alcuni dei tratti della recente riconsiderazione delle relazioni tra humanities e medicina, visto che specie negli ultimi decenni sono stati gli sviluppi stessi delle scienze biomediche a stimolare un rinnovato interesse per le scienze umane e a stimolare un ampio dibattito in merito.
Ciò che le MH promettono è di farsi promotrici di una concezione ampia della medicina, entro la quale diverse dimensioni vengano valorizzate in ambito di ricerca e di cura, nonché di formazione. Così ci si aspetta, da un lato, che esse consentano a chi pratica la medicina di integrare numerose prospettive di stampo umanistico per una comprensione migliore di ciò che la loro disciplina è e di ciò che si prefigge, dall’altro, che permettano di migliorare la qualità delle relazioni tra medici, operatori sanitari, pazienti e loro parenti.
A partire dall’introduzione della proposta culturale delle MH (negli anni Sessanta), si è sviluppato il dibattito relativo alla loro natura e al loro status disciplinare (cfr. Evans and Greaves 2002 e 2010). Se a tutt’oggi non vi è accordo sugli scopi specifici delle MH, si conviene generalmente che le MH possano i) abbracciare tutte le discipline che contribuiscono all’analisi concettuale della medicina, senza ovviamente trascurare quella relazionale (approccio concettuale) e/o ii) promuovere attraverso un qualche tipo di narrazione (storica, letteraria, artistica ecc.) una maggior empatia tra il professionista della sanità, il paziente e suoi cari (approccio narrativista). Molte delle discussioni ora in corso riguardano proprio la possibilità di trovare un equilibrio tra queste due istanze distinte (Meites et al. 2003, Ahlzén 2007, Crawford et al. 2010) e quindi pure un bilanciamento fra le discipline coinvolte (Downie 2003), sebbene appaia piuttosto difficile conciliare questi due filoni in una visione unitaria (Puustinen et al 2003; Campo 2005; Ahlzén 2007; Boniolo et al. 2012; Boniolo, Chiapperino 2014).

Oltre al dibattito fra concettualisti e narrativisti, vi è anche un’ampia discussione su quale ruolo le MN debbano avere nella formazione del medico (e.g. Grant 2002; Campaner, Coccheri, Boniolo 2019). Esse sarebbero, infatti, chiamate a svolgere un ruolo attivo nei curricula medici, garantendo che il futuro medico riceva, accanto a una formazione di tipo prettamente tecnica, anche gli strumenti necessari per raggiungere un’adeguata comprensione concettuale ed esistenziale delle condizioni del paziente. C’è chi sostiene che non si possa trattare solo di elementi trasmessi entro un certo percorso di formazione medica, ma  che il medico debba procedere a una vera e propria “assimilazione”  di  una  concezione  umanistica della malattia (e.g. Evans 2008). Quindi, non una giustapposizione additiva, avanzata da chi pensa che la pratica medica dovrebbe essere “ammorbidita” da professionisti che abbiano una qualche esposizione a temi umanistici, quanto una visione integrativa, secondo la quale lo status, gli obiettivi, i metodi e le procedure della medicina clinica dovrebbero essere orientate da una concezione comprensiva della condizione in cui si trova il paziente, ispirata alle riflessioni etico/esistenziali nonché concettuali elaborate in seno alle MH. Quest’ultima posizione parte dall’assunzione della necessità di una prospettiva umanistica sul paziente e la sua malattia che non può non passare attraverso l’apprendimento di una serie di elementi fondamentali che caratterizzano la prospettiva stessa, i suoi significati e le possibilità di applicazione.
Certo una via non facile, ma richiesta dalla professione stessa del medico. Di questo dobbiamo tenere conto, se non vogliamo che essa si depersonalizzi e si tecnologicizzi sempre di più, senza comportare un momento riflessivo. Crediamo infatti che la prospettiva integrativa sia in grado di accrescere la consapevolezza concettuale degli operatori medici e di renderli più attenti alle implicazioni teoriche ed esistenziali del loro lavoro. Riteniamo che l’educazione dei futuri professionisti in ambito medico sia lo strumento mediante il quale raggiungere l’integrazione di conoscenza umanistica e scientifica auspicata dalle MH. La visione additiva, viceversa, rischia di lasciare fondamentalmente inalterata la comprensione della malattia come fenomeno strettamente biologico, e di non promuovere, pertanto, un ripensamento dei suoi modelli descrittivi, classificatori ed esplicativi. Certo, una via additiva rischia di essere una facile scorciatoia per umanisti ansiosi di insegnare in una Scuola di Medicina. Questo obiettivo non deve essere raggiunto al prezzo di svilire il ruolo formativo delle loro discipline, ammettendo che esse siano considerate solo come accessori, come una “ciliegina umanistica” sopra un sapere interamente tecnico. È fondamentale, viceversa, non dimenticare che la medicina tratta con uomini e donne che hanno una loro visione del mondo e della vita e una loro biografia, a cui lo studente può imparare ad accedere solo attraverso un approccio integrativo delle humanities. Una mera esposizione ad alcuni dei temi e problemi delle discipline umanistiche che non sfoci in un’assimilazione del loro messaggio concettuale più profondo, avrà come unico risultato una generica contrapposizione tra approcci “umanistici” – qualunque cosa questo possa significare – alla medicina e approcci “tecnici”. L’obiettivo dovrebbe invece essere proprio quello di individuare strade per conciliare i progressi e i cambiamenti di paradigma della biomedicina con le indicazioni delle scienze umane, fornendo lenti diverse sulla malattia, dal laboratorio fino al capezzale del paziente.

La medicina sta cambiando: Biomedical Humanities?

A partire dal sequenziamento del genoma umano, ormai nel “lontano” 2001, la medicina ha iniziato a compiere un drastico cambio basato su un approccio dove tecniche fisiche, chimiche, informatiche e biologiche sono usate per descrivere strutture, processi e meccanismi molecolari, cercando di comprendere a quel livello le basi delle malattie e delle loro terapie. Sicuramente i prodromi di questo mutamento si erano visti molto prima del 2001, forse addirittura prima dei lavori con cui la vulgata data l’inizio della medicina molecolare, ossia quelli del 1949 di Linus Pauling sull’anemia falciforme vista, appunto, quale “malattia molecolare” (cfr. Boniolo, Nathan 2017). Comunque sia, da quella partenza, forse troppo piena di promesse di cure definitive, specie contro malattie complesse come il cancro, ci si è resi conto che non contano solo i geni che si hanno, ma come e quando essi sono espressi in dati tessuti. Ovvero, dall’inizio pioneristico della genomica si è passati a quella che, con un termine ombrella, è stata chiamata post-genomica e che comprende le famose ‘omics’ (epigenomica, proteomica, transcrittomica, meta- bolimica ecc.).
Questo, anche grazie alle nuove tecniche di sequenziamento, alle nuove biotecnologie specie in ambito di imaging molecolare e al sempre più rilevante uso di metodi computazionali per l’analisi di dati popolazioni e individuali, ha comportato giungere alla medicina di precisione e alla medicina personalizzata di oggi. Non ha senso, soprattutto qui, discutere se medicina personalizzata e medicina di precisione siano la stessa cosa. Si può accettare la proposta dell’US National Research Council, secondo cui la medicina di precisione è un approccio per il trattamento e la prevenzione delle malattie che tiene in conto della variabilità genetica di ogni individuo, del suo ambiente e del suo stile di vita, al fine di permettere ai ricercatori di predire più accuratamente quali strategie di prevenzione e cura possano essere efficaci per individui raggruppati su base soprattutto genomica e post-genomica. Su questa si innesta la medicina personalizzata, che è tale non perché si focalizza sulla singola persona, come dovrebbe, d’altronde, essere sempre stato per la medicina, ma sulla particolare costituzione genomica e post-genomica del singolo individuo. In definitiva, secondo questa definizione, la medicina di precisione si occupa più di classi di pazienti realizzate sulla base di dati genomici, post-genomici, ambientali elegati agli stili di vita, mentre la medicina personalizzata tenta di portare i risultati preventivi e di cura lì trovati al letto del dato paziente1.
Non ha qui importanza che tutti accettino que- sto modo convenzionale di distinguere medicina di precisione e personalizzata: l’importante è capire di cosa si sta parlando e riconoscere che chi si occupa di humanities in ambito medico non può non essere consapevole di questo fondamentale cambiamento. Il passaggio dalla medicina classica alla medicina di precisione e alla medicina personalizzata ha aperto una moltitudine di nuovi problemi e di nuovi temi che non possono essere ignorati o sottovalutati da chi si occupa di MH. Certo, non in tutti gli ospedali del mondo si pratica la medicina di precisione. È, a ben guardare, una medicina “per ricchi fatta in paesi ricchi”, in quanto necessita non solo di una cooperazione molto stretta fra chi opera in un laboratorio di ricerca e chi agisceal lettodel paziente, masoprattutto di una piattaforma biotecnologica estremamente raffinata (ed estremamente costosa), nonché di capacità computazionali sofisticate.
In ogni caso, è la medicina dei giorni nostri, e si deve tenerne conto. Questo significa che più che di Medical Humanities, forse si dovrebbe iniziare a parlare di Biomedical Humanites. Non si tratta di un mero gioco linguistico, bensì di una modifica volta a sottolineare che, per esempio dal punto di vista etico, non basta più saper affrontare le usuali tematiche (inerenti inizio e fine vita, scelte riproduttive, placebo, vaccinazione, consenso, qualità della vita, partecipazione ai trial clinici ecc.), ma si deve sapere trattare anche questioni legate agli incidental findings, al diritto di sapere e al dovere di informare in seguito ai test genetici, al tema della sovra-diagnosi e del sovratrattamento connessi con gli screening genetici, ai temi riguardanti la diversità (sia essa di sesso, di genere, culturale, socio-economica ecc.), alla problematica del right-to-try, al problema dei patients-in-waiting, alla privacy e alla discriminazione genetica, alle mutazioni rare, ai nuovi trial clinici ecc. (cfr. Boniolo, Campaner 2019; Carrieri, Peccatori, Boniolo 2018; Boniolo, Maugeri 2019).
E non basta. Essendo il sapere biomedico, sia di ricerca sia clinico, prodotto e utilizzato in ambito di medicina di precisione e personalizzata fortemente basato sulla probabilità e sulla statistica, è impensabile che chi si occupa di MH non ne affronti anche la parte fondazionale, ossia umanistica. È, infatti, assolutamente rilevante, specie a livello formativo, l’inserimento di percorsi narrativisti all’interno dei curricula formativi del medico e il raggiungimento di una migliore comprensione delle condizioni dei pazienti o delle relazioni con i loro cari.

Dall’empatia alla compassione

‘Empatia’ e ‘compassione’ sono due termini che designano atteggiamenti diversi. Compassione deriva dal latino cum-patior (soffro con) e prima dal greco sym-patheia (simpatia, ossia provare emozioni con…). È sempre stata intesa come indicante un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla. Empatia, invece, deriva dal greco en-pathos ed era un termine che veniva usato per indicare il rapporto emozionale di partecipazione soggettiva che univa lo spettatore del teatro all’attore recitante, come pure quest’ultimo con il personaggio che interpretava. Solo verso la fine del 1800 e l’inizio del 1900, e grazie al filosofo tedesco Robert Vischer, il termine greco entra nel vocabolario della teoria estetica come Einfühlung, per poi essere usato per designare un atteggiamento verso gli altri caratterizzato dal “sentire dentro” il loro dolore o la loro gioia, permettendo, in tal modo, di comprenderli (cfr. Novak 2011).
Si è detto che il medico dovrebbe essere empatico e che le MH dovrebbero, specie attraverso la narrazione, contribuire alla formazione di questo atteggiamento. Noi, soprattutto sulla scorta di Khen Lampert (2003 e 2006), siamo a favore della compassione, ossia di un atteggiamento che tiene conto della sofferenza del paziente e dei suoi cari, ma considera essere un imperativo morale quello di cercare di alleviarla attraverso un’analisi razionale e pacatamente distaccata delle sue cause e delle possibilità di cura. Inoltre, non scordiamoci che è assolutamente impossibile essere totalmente empatici con l’altro da noi perché questi ha una storia e una biografia totalmente diversa dalla nostra e quindi la sua sofferenza, nella sua essenza, ci è totalmente preclusa. D’altronde il ruolo del medico non è quello di “avere dentro di sé” la sofferenza del paziente, ma di capire che sta soffrendo e tentare razionalmente di alleviare questo suo stato.
Può sembrare si cerchi di ridimensionare il ruolo dell’empatia, visto lo spazio che ha trovato nella riflessione contemporanea, a partire da filosofi morali per arrivare a primatologi come Frans de Waal (2011) e a neuroscienziati come Giacomo Rizzolati (Rizzolati, Sinigaglia 2019). Assolutamente senza negare l’importanza di questi studi, ci sembra tuttavia rilevante riconoscere che esistono anche voci critiche, come quella di Paul Bloom che nel suo lavoro del 2016, Against Empathy: The Case for Rational Compassion, sostiene che l’empatia possa essere una pessima guida morale, perché getta le basi per giudizi non adeguati e può condurre a decisioni ingiuste. Correttamente a nostro avviso, Bloom mette in luce che non si può essere empatici con tutti nello stesso modo. Questo significa che sulla base dell’empatia non possiamo garantire di prendere decisioni giuste (ossia, a situazioni simili decisioni simili ea situazioni diverse decisioni diverse), visto che si può essere più empatici con un paziente rispetto a un altro, pur in presenza di situazioni patologiche simili. Supponiamo che ci siano due persone che hanno contratto l’epatite virale, ma uno l’ha contratta perché ha inciampato su una siringa infetta, mentre l’altro l’ha contratta perché ha usato, da tossicodipendente, una siringa sporca. La situazione patologica è analoga, ma potremmo essere più empatici con la sofferenza del primo che non con la sofferenza del secondo e questo potrebbe portarci a decisioni non giuste. In aggiunta si noti che se anche il medico fosse veramente empatico con tutti e nello stesso modo (cosa impossibile), correrebbe il rischio del burnout: un problema molto sentito nelle discipline cliniche che trattano pazienti in fin di vita (cfr. Larkin 2015).
Lungo una via totalmente diversa da quella di Bloom, ma sempre a favore di un approccio compassionevole e razionale, si muove anche Dominic O. Vachon, con il suo HowDoctors Care: The Science of Compassionate and Balanced Caring in Medicine del 2019. Qui trova spazio l’idea che la compassione sia l’abilità di notare che cosa sta accadendo di patologico in un’altra persona e così di focalizzare su di essa la propria formazione e competenza medica al fine di agire nel miglior modo possibile.

Sull’utilità e l’inutilità dell’insegnamento della storia della medicina

Non vogliamo certo mettere in discussione l’importanza della storia della medicina. Quelloche interessa è chiedersi se abbia utilità culturale e formativa insegnare porzioni molto limitate di storia della medicina in quei corsi di laurea di medicina e chirurgia dove a tale insegnamento vengono dedicate sei/otto/dieci ore. È difficile immaginare che possano avere un impatto decisivo un numero esiguo di ore allocate a tale materia se occupate insegnando poche notizie, inevitabilmente frammentarie, su chi furono Ippocrate, Galeno, Morgagni ecc. Il rischio, dato il tempo limitato, è di fornire informazioni aneddotiche già facilmente rintracciabili in riassunti o siti divulgativi. Ma allora che fare?
La Storia della medicina, di una disciplina, non ha solo valore in sé, quale ricostruzione di un passato che non può e non deve essere dimenticato e che è messo a disposizione di chiunque voglia conoscerlo, ma può anche essere un modo per capire le sfaccettature della professione collegata a quella particolare storia (Gazzaniga 2018).
Pensiamo al giovane che sta seguendo il suo corso di studi in medicina e che così si prepara ad affrontare una professione che è ricca di implicazioni etiche, esistenziali, decisionali, epistemologiche, metodologiche, ecc. Ebbene, le poche ore a disposizione del docente di Storia della medicina forse non dovrebbero essere impiegate nel consegnare letture estremamente ridotte e veloci o percorsi monografici molto circoscritti, che difficilmente possono essere rilevanti per uno studente di medicina del XXI secolo.
Quelle poche ore potrebbero invece essere utilizzate per una sorta di introduzione storico-concettuale alla professione medicina, che fornisca chiavi di lettura con implicazioni chiare e facilmente riconoscibili anche dallo studente. Nello specifico, potrebbero essere usate per far leggere e/o commentare alcuni classici della medicina, o alcuni passi tratti da questi, che abbiano una valenza per la formazione del giovane medico, e, attraverso questo, portino a riconoscere l’importanza della dimensione storica per l’esercizio della professione.
Pensiamo all’Introduction à l´étude de la médecine experimental, che Claude Bernard pubblicò nel 1859. Non è solo un testo in cui compare per la prima volta una distinzione fra la medicina sperimentale e la medicina clinica, ma anche un lavoro che presenta i problemi epistemologici della scienza medica di ricerca. È un lavoro dal quale si può imparare moltissimo su che cosa sia il metodo scientifico e come questo possa essere declinato in ambito di ricerca medica. Inoltre, esso può essere facilmente utilizzato come snodo storico dal quale è semplice poi passare a considerazioni storico-critiche su come si sia sviluppato il metodo scientifico nei secoli precedenti e seguenti. E questo è un tema fondamentale per un ricercatore o per un medico contemporaneo, visto che è ripreso in modo preoccupato su grandi riviste internazionali dove molti hanno denunciato le lacune conoscitive proprio relative al metodo scientifico in ambito biomedico.
Un altro testo assai rilevante e formativo è quello di Georges Canguilhemdel 1943, Essai sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique. Esso permette di riflettere su che cosa siano il normale e il patologico: due concetti fondamentali che dovrebbero essere analizzati e digeriti a fondo dal giovane medico in formazione, che deve assumere consapevolezza del fatto che non è banale sancire una volta per sempre quale sia la demarcazione fra sanità e malattia. Anche questo è un testo che permette di procedere verso il passato e verso il futuro per un excursus storico-concettuale sulla nozione di malattia. Tra l’altro la lettura del lavoro di Canguilhem consente pure di meditare sul fatto che il vivere “normale” può essere qualcosa che caratterizza anche una vita segnata da una patologia.
Oppure si può far leggere Why We Get Sick? The New Science of Darwinian Medicine, pubblicato nel 1994 da Randolph Nesse e George Williams. Questo è uno dei testi classici della medicina darwiniana, che permette di fare fruttuose divagazioni storico-concettuali non solo sulle cause evolutive di molte malattie umane, ma anche su che cosa sia il darwinismo – fondamentale specie per capire da dove viene Homo sapiens.
Si può, ancora, proporre la lettura, commentata e guidata, di articoli come il già citato lavoro del 1949 di Linus Pauling sulla Sickle Cell Anemia. A Molecular Disease, da cui si può trarre un’intera serie di lezioni sullo sviluppo della medicina molecolare, sulla medicina di precisione e personalizzata dei giorni nostri. Oppure si può commentare il lavoro di Archibald Edward Garrod del 1902 su The Incidente of Alkaptonuria: A Study in Chemical individuality, che può essere un trampolino di lancio per una serie di considerazioni storiche sulle malattie genetiche.
Vorremmo concludere questa piccola lista di proposte con due testi italiani. Uno è Metodologia medica: principi di logica e pratica clinica: un lavoro di Enrico Poli del 1965 dal quale si impara che cosa sia la metodologia clinica soprattutto in ambito diagnostico e dal quale si può partire per una riflessione storico-critica sia su questo importante momento della pratica medica, sia su come la tradizione metodologica italiana sia stata pionieristica a livello internazionale, per poi quasi scomparire anche sul territorio nazionale. L’altro è un piccolo testo di Giacinto Viola del 1932, La costituzione individuale, nel quale si chiarisce il rapporto fra il paziente ideal-tipico descritto dal patologo generale e il reale paziente singolo curato dal clinico. È un saggio che, tenendo conto del periodo in cui è stato scritto, è di assoluta rilevanza internazionale e forse solo il fatto che fosse redatto in lingua italiana ha impedito che diventasse uno dei testi classici sul dibattito fra sapere nomotetico e sapere idiografico. È, infatti, un testo contente delle illuminanti considerazioni sulla natura della pratica medica come scienza dell’individuale, anche in contrasto con molto più superficiali affermazioni che si sono poi avute fra gli anni ’70 e ’80 che han visto molti sostenere che la pratica medica sia un’arte basata su un fantomatico “occhio clinico”.

Pochi esempi, quelli sopra, che però possono far riflettere sul fatto che la Storia della medicina, anche se relegata a poche ore nel curriculum di uno studente di medicina, può essere di reale impatto nella sua formazione e nella sua comprensione storico-concettuale di che cosa sia la sua professione.

A chi servono le Medical Humanities?

Come premesso già all’inizio, la varietà di approcci, interessi e metodi oggi inclusi nelle MH è senza dubbio apprezzabile dal punto di vista della ricerca teorica, dove è sempre auspicabile permanga una molteplicità di punti di vista e filoni di indagine. Come emerge da quanto sopra, la situazione sembra però richiedere un giudizio diverso se il punto di vista si sposta dalla ricerca alla pratica, intesa tanto come pratica di ricerca biomedica quanto come pratica cli- nica. Se, come moltissima letteratura sostiene da tempo, le MH non sono soltanto un esercizio teorico, ma crescono in un rapporto di interazione con la medicina stessa, chiediamoci allora: quale configurazione e quali sbocchi è auspicabile che tale interazione abbia? Se guardiamo alle MH con lo sguardo del medico – ricercatore o clinico – e non dell’umanista, quali appaiono gli aspetti di questo ambito di studio che possono impattare maggiormente sulla professione medica? A chi e a che cosa servono, in ultima analisi, le MH, e in quale accezione devono essere intese per poter soddisfare i compiti loro assegnati?
Perché il rapporto tra le due anime – quella medica e quella umanistica – si sviluppi in modo integrato, la medicina non si deve configurare solo come terreno per testare alcune delle posizioni elaborate entro una particolare disciplina umanistica, ma come ambito da cui partire e a cui ritornare, fornendo strumenti di indagine utili per il professionista delle scienze mediche. Bisogna, quindi, mettersi in un atteggiamento di ascolto nei confronti delle esigenze dei professionisti delle scienze mediche per capire quali siano gli apporti di maggiore rilievo che possono provenire dalle scienze umane affinché l’incontro tra gli ambiti sia davvero proficuo. D’altronde, a livello internazionale mai come in questo momento vi è una richiesta di humanities relativamente ai cambiamenti dettati dalla medicina precisione e personalizzata; alle possibilità prospettate dall’ingegneria genetica; alla natura delle patologie complesse e alla multi-morbilità; alle metodologie di raccolta e valutazione delle evidenze scientifiche; alla ripetibilità e riproducibilità dei risultati; al problema del conflitto di interessi; all’interpretazione dei dati statistici e alla loro rilevanza clinica (cfr. Campaner, Coccheri, Boniolo 2019). Anziché fornire contenuti preconfezionati, e/o comunque ritagliati sui particolari interessi tutti interni alle scienze umane, le MH hanno l’opportunità di fornire dei supporti reali eimmediati.
Se – parafrasando il titolo di un articolo di William Stempsey (2008) – qualcuno potrebbe dire che “le MH sono ciò che fanno i professionisti delle MH”, non tutte le discipline coinvolte avranno la stessa capacità di rispondere ai problemi che emergono dalla pratica clinica quotidiana o in laboratorio. Riteniamo che gli strumenti della filosofia e della metodologia della scienza e della bioetica, ovviamente all’interno di un quadro storico-critico, costituiscano la risposta più adeguata al tipo di problemi sopracitati. Per poter aiutare il ricercatore e il clinico a costruire un’impalcatura critica solida e rigorosa, su cui innestare la costruzione, la valutazione e l’utilizzo della conoscenza scientifica, è auspicabile che questi ambiti disciplinari occupino uno spazio crescente nei curricula medici. Lì dove sappiano configurarsi non come riflessione “da poltrona”, ma come interlocutori attenti della medicina, possono aspirare a svolgere un ruolo di rilievo
– non accessorio o ornamentale ma costitutivo- della formazione del medico. Acquisire durante il proprio percorso formativo qualche “grimaldello teorico” proveniente da una filosofia della scienza, da una bioetica e da una storia della medicina opportunamente declinate consentirà al medico di affrontare adeguatamente questioni di metodo, validità, applicabilità della conoscenza scientifica, e situazioni in cui sia chiamato a decidere su temi eticamente sensibili.
Al di là del successo delle MH come ambito di ricerca autonomo, è nell’effettiva capacità di interazione con la medicina e, soprattutto, con i professionisti della medicina che si gioca la capacità delle scienze umane di “uscire dalla quarantena” (Stempsey 1999) a cui rischia di condannarle una concezione puramente ancillare del loro ruolo. Attraverso l’integrazione di temi e strumenti filosofici in tutte le fasi della formazione medica diventerà sempre più evidente la loro rilevanza sia per il lavoro di ricerca che per le valutazioni e decisioni cliniche. Tale integrazione può avvenire solo ricordando – come suggerito da Louhiala (2003) –che la filosofia della medicina solleva domande sulle domande che solleva la medicina, che devono quindi – aggiungiamo noi – essere per questa rilevanti. E se i temi affrontati devono essere percepiti come cruciali all’interno delle stesse scienze mediche, anche i metodi di insegnamento dovranno essere commisurati al contesto formativo, privilegiando pertanto un approccio per problemi, e l’analisi critica di casi e situazioni effettivi: “qualunque sia la modalità di insegnamento, il contenuto dev’essere in qualche modo legato al mondo medico in cui gli studenti sono quotidianamente immersi” (ibid., p. 87). La costruzione di curricula medici in cui siano integrati insegnamenti di filosofia e metodologia della scienza e bioetica è senz’altro un’operazione complessa (cfr. Pellegrino 1984, parr. 4 e 5.1), ma può avere (almeno) tre effetti positivi: i) fornire ai futuri ricercatori e clinici strumenti teorici fondamentali per la loro professione; ii) migliorare i processi decisionali e di cura; iii) favorire la collaborazione anche tra figure senior di medici e filosofi nell’ambito della costruzione stessa dei curricula.

Conclusioni

Traendo spunto dall’innegabile e crescente successo delle MH, si è cercato di metterne a fuoco la declinazione più adeguata a raggiungere l’obiettivo della promozione di un atteggiamento autenticamente centrato sul paziente e di un processo di integrazione tra pratica medica e humanities realizzato attraverso una maggior consapevolezza anche teorica della prima. Abbiamo illustrato quali aree di indagine risultino a nostro avviso più funzionali a tali scopi, e perché. Senza assolutamente escludere, né sminuire, il valore disciplinare e l’interesse teorico di tutti gli ambiti di studio che si riconoscono nelle MH, abbiamo voluto sottolineare la validità di un approccio concettuale in ambito di formazione: l’inclusione dello studio della metodologia della scienza, della filosofia della scienza e dell’etica all’interno di un quadro storico-critico nei curricula medici può impattare in modo diretto sulla formazione dei futuri medici, tanto in un ambito clinico quanto di ricerca, e, quindi, indirettamente, sulle condizioni di salute del singolo e della popolazione. Si tratta di una posizione che abbiamo sostenuto lungo diverse direttrici, facendo riferimento a: i) argomentazioni teoriche di carattere concettuale; ii) riflessioni sulla storia disciplinare recente delle MH; iii) istanze che emergono all’interno delle stesse scienze biomediche. Ciò che, innegabilmente, manca per rendere cogenti le nostre considerazioni sono studi definitivi di carattere empirico che rilevino un rapporto causale tra l’insegnamento di alcune discipline, la loro assimilazione da parte di professionisti delle scienze biomediche, e un miglioramento effettivo di percorsi di ricerca o di cura. Qualche studio, in realtà, comincia ad apparire (Macnaughton 2000; Wershof et al. 2009; Macpherson, Owen 2009; Athari 2013; Lee, Lee, Shin 2019), ma per avere risultati definitivi sono necessarie altre ricerche che permettano di misurare l’efficacia dell’incontro tra medicina e MH nell’accezione qui invocata. Nel frattempo, riteniamo che le riflessioni teoriche all’intersezione della filosofia e della pratica medica sopra esposte forniscano buone ragioni per sostenere che la filosofia della scienza, la riflessione storico-concettuale e metodologica, e la bioetica possono aiutare in modo significativo la medicina a superare la sua attuale “crisi esistenziale”, come l’ha etichettata il passato Editor del British Medical Journal (Smith 2016).

L’articolo a firma di Boniolo, Campaner e Gazzaniga vuole segnare l’apertura di un dibattito sul ruolo, la posizione  e l’utilità dell’insegnamento delle Scienze Umane nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia. La necessità di utilizzare capacità di lettura della realtà clinica e sperimentale caratterizzate da approcci inter e transdisciplinari che attingano a diversi saperi umanistici è da tempo chiara a chi insegna Storia della medicina nelle università italiane. La possibilità di confrontare i frutti del pensiero medico e scientifico con le letture che di esso si possono fornire in senso storico, filosofico, epistemologico, antropologico e bioetico è oggi riconosciuta come essenziale per gli studenti dei corsi di laurea in medicina e delle professioni sanitarie, che necessitano di perfezionare gli strumenti a loro disposizione per comprendere l’impianto epistemologico e storico della medicina contemporanea. Per sviluppare il dialogo inter e transdisciplinare sul ruolo delle Scienze Umane in Medicina, è stata recentemente fondata presso Sapienza-Università di Roma una nuova Società Scientifica, la SISUMed: la società, i cui fondatori provengono da formazioni diverse (medici, storici, filosofi, pedagogisti, antropologi, bioeticisti), si propone di incentivare la discussione sul ruolo, la natura, l’utilità delle Scienze Umane nella formazione del medico, mettendo a punto nuove strategie che anche sul piano didattico agevolino il dibattito sulle sfide, sempre più complesse, che la medicina affronta sia sul piano sperimentale che clinico e applicativo.
Chi volesse contribuire alla costruzione di tale dibattito può inviare il suo testo, steso in accordo con le norme editoriali dei Quaderni, a
valentina.gazzaniga@uniroma1.it.

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Cita questo articolo

Boniolo, G.; Campaner, R.; Gazzaniga, V.; Medical Humanities: una proposta interpretativa e didattica, Medicina e Chirurgia, 83, 3697-3705, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-5

Affiliazione autori

Giovanni Boniolo – Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgico Specialistiche, Università di Ferrara
Raffaella Campaner – Dipartimento di Filosofia e Comunicazione, Università di Bologna
Valentina Gazzaniga – Unità di Storia della Medicina e Bioetica, , Sapienza-Università di Roma.

I risponditori d’aulan.83, 2019, pp. 3694-3696, DOI: 10.4487/medchir2019-83-4

Abstract

There is a growing pressure toward a more student-centered teaching/learning, both at international and national level. This movement calls for new methods and tools, to be used in different settings: in the usual lecture, in the context of a case-based activity and of the flipped classroom approach. The automated response systems are cheap, commercially available communication systems, based on mobile technology. They allow the students to interact with the teacher in other ways than the simple verbal direct question-answer duet. Many different kinds of questions are supported: multiple-choice, true/false, short open-ended, and Likert-like surveys. The result of each poll can be immediately displayed to give the student a feedback, to foster a discussion, to recall previous knowledge.
Three different commercially available systems are presented and their features comparatively discussed.

Articolo

Introduzione

L’applicazione dei principi della formazione cen- trata sullo studente nella didattica accademica ordi- naria sta ricevendo un’attenzione sempre maggiore, fino ad essere diventata uno degli indicatori considerati nei processi di valutazione da parte dell’ANVUR. Questa attenzione corrisponde al rilievo sperimentale, indicato dalla letteratura internazionale, che una percezione positiva dell’ambiente formativo da parte degli studenti è inversamente correlata ad una organizzazione più rigidamente tradizionale, docente-centrica dei corsi (1).
Mentre il coinvolgimento attivo degli studenti è implicito nei metodi didattici per piccolo gruppo (problem-based learning, case-based learning, esercitazioni pratiche o applicative, simulazione), risulta molto più difficile ottenere un ruolo attivo degli studenti nella situazione di aula con il grande gruppo. Esistono diversi accorgimenti, fondati su teoria, che consentono di rendere più attiva una lezione (2), così come tecniche di animazione per ottenere un coinvolgimento degli studenti, molto più efficaci che non la domanda diretta al gruppo intero, che di solito produce o un silenzio imbarazzato nell’attesa che il docente si risponda da soloouncolloquiofra docente e i “soliti studenti del primo banco”.
Un supporto tecnologico di notevole valore per attivare il gruppo classe sono i “risponditori d’aula”. Fino a qualche anno fa si trattava di dispositivi dotati di un tastierino (perciò detti anche clickers), connessi wireless con un ricevitore centrale collegato ad un computer, che consentiva ai partecipanti di interagire durante la lezione rispondendo a domande e ricevendo un feedback immediato circa la performance del gruppo. Da qualche tempo sono disponibili appper telefono mobile che consentono funzionalità di interazione ancora più sofisticate, a costi ridottissimi o nulli. Questa breve nota tecnica ricapitola i principi didattici d’uso dei risponditori e presenta tre prodotti, con caratteristiche diverse.

Contesti didattici

I risponditori possono essere usati in diversi contesti didattici:

  1. Nel contesto di una lezione basata sull’esposizione di argomenti, i risponditori possono esse- re usati all’inizio della lezione per richiamare le conoscenze propedeutiche all’argomento che si sta per trattare e rendere più animati i consueti “richiami di …” oppure al termine di una sezione o dell’intera lezione per una verifica/rinforzo di quanto è stato compreso circa i concetti chiave della lezione stessa
  2. Nel contesto di una lezione che preveda momenti di apprendimento basato su casi (case based learning – CBL), i risponditori sono un eccellente sistema di interazione per “giocare” il caso con gli studenti. Giova ricordare che i “casi” non sono solo clinici, ma possono essere anche esercizi applicativi di tipo interpretativo, inseriti in una lezione delle discipline di base (biochimica, ana- tomia, fisiologia…)
  3. Nel contesto di un approccio di flipped class, i risponditori trovano la loro più piena applicazione. Consentono infatti a inizio lezione di valutare l’apprendimento mnemonico dei contenuti da studiare prima della lezione stessa, di interagire con la classe per le attività di utilizzo dei contenuti (interpretazione, risoluzione di problemi, progettazione), a fine lezione di effettuare una verifica formativa di sintesi

I risponditori sono concepiti di norma per un uso personale, ma possono essere usati anche per attività di piccolo gruppo o di squadra. Nel primo caso i sistemi di risposta consentono sia l’interazione anonima che l’indicazione dell’identità (ad esempio il cognome o la matricola), nel secondo e terzo caso il grande gruppo può essere suddiviso in gruppi di dimensione varia. La dimensione migliore è di 6 persone, perché ciò consente una comunicazione viso a viso anche in un’aula tradizionale ad emiciclo, se i 3 componenti sono seduti tre per fila in file contigue, ma si riesce a lavorare con un’accettabile interazione interna al gruppo anche con gruppi fino a 10 studenti. Nel lavoro per gruppo si concede un po’ di tempo per risolvere un problema e poi il gruppo fornisce una risposta unica, usando un unico risponditore. Nelle attività di squadra, la soluzione del problema o la risposta corretta forniscono punti nel contesto di una competizione (game based learning – GBL).

Tipi di interazione
I risponditori disponibili consentono modali- tà molto articolate di risposta, sia quantitativa che qualitativa.

  1. Domande a scelta multipla e domande vero/fal- so: è l’interazione più abituale. È possibile sfruttare l’intera gamma delle possibili formulazioni di questo tipo di domande, sia per esplorare la conoscenza fattuale che le capacità interpretative e decisionali (3). I sistemi di risposta infatti consentono di inserire nelle domande immagini (ad es. ECG, imaging, panel di test di laboratorio, preparati istologici, …)
  2. Risposte a scala Likert: questa interazione consente di misurare le opinioni e le percezioni degli studenti circa un certo argomento. Ciò costituisce un ottimo trigger per avviare discussioni in aula. Tuttavia, è possibile anche valutare la capacità degli studenti di mettere in priorità (o nella sequenza corretta) una serie di scelte. In questo secondocaso, la domanda sarà “Ti verranno proposte in sequenza 5 azioni possibili e corrette; per ognuna indica il grado di priorità (o l’ordine di esecuzione) da 1 a 5. Non puoi assegnare lo stesso grado di priorità a due scelte”
  3. Risposte aperte brevi: alcuni sistemi consentono anche di gestire risposte aperte brevi (singole parole o brevi frasi). Questa interazione può essere usata a scopo valutativo formativo, se la risposta corretta è estremamente univoca (il nome di un farmaco, di un organo, …). L’uso più abituale è però quello di produrre elenchi di termini, avviando un brain storming dopo uno stimolo iniziale. Il risultato viene poi rappresentato sotto forma di liste di parole con frequenza relativa o di “cloud” di parole. Come detto in precedenza per le scale likert, questa interazione è un ottimo sistema per avviare una discussione sulla base delle opinioni, credenze o anche conoscenze dimostrate dal gruppo classe

Descrizione di tre sistemi di risposta d’aula

Qui di seguito verranno brevemente presentati tre sistemi comunemente usati. Non sono gli unici, ma servono ad esemplificare le diverse potenzialità, costi, pregi e difetti dei risponditori. Tutti e tre sono basati sul concettodi “presentazione”: le singole domande costituiscono le pagine di una presentazione, come in power point. In una presentazione si possono avere tipi diversi di domanda.
Tutti e tre i sistemi richiedono che il docente abbia a disposizione unpc per governare la successione delle domande e far apparire le statistiche relati- veai risultati. Gli studenti possonoaccederecoi loro cellulari, preferibilmente con la loro connessione 3G o 4G. Le wireless d’aula di solito sopportano male la connessione simultanea di 100 e più cellulari.
Infine, tutti e tre i sistemi hanno una versione free e versioni ad abbonamento, con importi annuali che oscillano intorno ai 100 euro.

È il più completo e potente fra i tre sistemi qui presentati, anche se le funzionalità complete e illimitate sono disponibili solo per la versione Pro, con abbonamento. La versione base (free) consente un numero illimitato di  studenti,  un  numero  illimitato di presentazioni ma ogni presentazione  può  avere solo due pagine. Questo significa che se volessimo sottomettere 6 domande ai nostri studenti, dovremo creare tre presentazioni. Ciò rende un po’ più farraginosa l’interazione, perché per accedere ad una presentazione lo studente dovrà ogni volta digitare il codice di accesso. L’accesso avviene al link http://www.menti.com, tramite smartphone otablet. Mentimeter mette a disposizione tutti i tipi di domande indicate in precedenza,  consente  l’introduzione di immagini, di esportare i risultati dei test, nella versione Pro di usare molti template grafici e di personalizzare la presentazione con il logo dell’Università.

Kahoot nasce per la scuola primaria e media ed è perciò caratterizzato da colori molto vivaci e da effetti grafici e sonori buffi mentre passa il tempo stabilito per rispondere (la durata del timer può essere stabilita a piacere). La versione free consente solo domande a scelta multipla o vero/falso, ma la possibilità grafica è molto avanzata e non ci sono limiti al numero di domande e di studenti. Le versioni a pagamento consentono più tipi di  domande, la condivisione delle domande fra più docenti, l’effettuazione di gare, offrono una reportistica più completa dei risultati nonché di inserire fra le domande delle slide vere e proprie, creando così una presentazione completa per una lezione. L’accesso degli studenti avviene al link https://kahoot.it/, anche in questo sistema digitando un codice che viene indicato dal docente

Socrative rappresenta uncompromessofra le ca- ratteristiche di Mentimeter e di Kahoot. Il limite più grande della versione free è di essere limitata a 50 accessi contemporanei, risultandoinadatta alla gran maggioranza dei gruppi classe dei CLM.
Consente un numero illimitati di domande per test e gestisce domande a scelta multipla, vero e falso, aperte a risposta breve. Consente di inserire
immagini e di rendere condivisibili ad altri utenti i test.
Una caratteristica peculiare è la disponibilità di gare da giocare secondo i principi del GBL. L’accesso degli studenti avviene al link https://socrative.com/login/student/ , digitando il “nome dell’aula” indicato dal docente, invececheuncodice numerico. Un docente può avere molte aule diverse, in cui si trovano test in comune o diversi.

L’uso di questi sistemi per la realizzazione di attività d’interazione d’aula è piuttosto facile ed intuitivo. La redazione di “manualetti d’uso” è fuori dagli scopi di questa nota tecnica, la cosa migliore è registrarsi per la versione free e fare un po’ di prove!

Bibliografia

  1. Chan CYW, Sum MY, Tan GMY, Tor PC, Sim K. Adoption and correlates of the Dundee Ready Educational Environment Measure (DREEM)  in the evaluation of undergraduate learning environments – a systematic review. Med Teach. 2018 Dec;40(12):1240-1247.
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Cita questo articolo

Consorti, F., I risponditori d’aula, Medicina e Chirurgia, 83, 3694-3696, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-4

Affiliazione autori

Università di Roma “Sapienza”

Clinical Learning Quality Evaluation Index per la valutazione della qualità dell’apprendimento clinico degli studenti infermieri e raccomandazioni di utilizzon.83, 2019, pp. 3685-3693, DOI: 10.4487/medchir2019-83-3

Abstract

Introduzione. I Corsi di StudioinInfermieristica (CdSI) italiani hanno bisogno di strumenti di valutazione dei tirocini per raccogliere le opinioni degli studenti. Esistono diversi strumenti per valutare la qualità degli ambienti di tirocinio clinico; tuttavia, molti hanno dei limiti e non misurano la qualità dell’apprendimento clinico.

Obiettivo. Obiettivo di questo contributo è (a) presentare lo strumento sviluppato e validato nel contesto italiano attraverso un progetto di rilevanza nazionale riportando anche la sintesi delle prove di validità emerse, ed (b) offrire una serie di raccomandazioni per il suo utilizzo.

Metodi. Dopo aver creato una rete di progetto denominata SVIAT, ‘Strumento Italiano per la valutazione dei tirocini clinici’, è stato sviluppato e condotto uno studio nazionale di validazione dello strumento CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index; quindi, dopo un anno di esperienza applicativa dello strumento, sono state identificate le raccomandazioni di utilizzo dello strumento.

Risultati: Alla validazione hanno partecipato 9607 studenti infermieri di 27 sedi universitarie italiane su 43 considerate (62.8%). Le proprietà psico- metriche dello strumento sono risultate da buone a eccellenti: lo strumento finale è composto da 22 item e 5 fattori: a) qualità delle strategie tutoriali, b) opportunità di apprendimento; c) sicurezza e qualità dell’assistenza; d) auto-apprendimento; e) qualità dell’ambiente di apprendimento. Lo strumento è accompagnato da un set di raccomandazioni di utilizzo al fine di una sua completa integrazione del sistema di valutazione della qualità di un CdS.

Conclusioni. Lo strumento è già utilizzato in molte sedi. Il suo utilizzo guidato dalle raccomandazioni assicura opportunità di confronto tra sedi di tirocinio di uno stesso corso e tra corsi di studio diversi; aiuta nella valutazione degli effetti delle strategie di miglioramento attivate e nell’individuazione del fabbisogno formativo dei tutor/assistenti di tirocinio

Parole chiave: qualità apprendimento clinico; studenti infermieristica; formazione infermieristica; questionario di valutazione; strumento; validità; affidabilità

Introduction. In the last years, among Italian nursing programs, the need to introduce tools eva- luating the quality of clinical learning as perceived by nursing students has emerged. Some nursing programs have developed specific tools, while others have adopted tools validated and then translated from other languages. However, limitations of these tools have emerged in their daily use, thus suggesting the need to develop a new tool capable of evaluating the quality of clinical learning as experienced by nursing students.

Aim. This paper has the purpose of summarizing (a) the national project aimed at developing and validating a new instrument capable of measuring the clinical learning quality as experienced by nursing students during their rotations; (b) the practical recommendations of the tool as emerged after one year from implementation.

Methods. After having developed a national network named SVIAT, ‘Italian Instrument Evaluating the quality of clinical placements”, a validation study has been designed and performed to assess the psychometric properties of the CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index. After one year of experience, a set of practical recommendations have been identified.

Results. 9607 nursing students attending their nursing education in 27 universities out of 43 (62.8%) participated. The psychometric properties of the new instrument ranged from good to excellent. According to the findings, the tools consist in 22 items and five factors: a) quality of the tutorial strategies, b) learning opportunities; c) safety and nursing care quality; d) self-direct learning; and e) quality of the learning environment. The CLEQI tool should be used followed specific recommendations aimed at including it in the quality evaluation systems available in the nursing programs.

Discussion. The tool is already used in different universities. Its systematic adoption may support comparison among settings offered by the same program and across different nursing programs; moreover, the tool may also support evaluating new settings as well as measuring the effects of strategies aimed at improving the quality of clinical learning experience of nursing students.

Keywords: Clinical learning; Clinical learning quality; Nursing education; Nursing student; Questionnaires; Validity; Reliability

Articolo

Introduzione

Nel 2015/16, con un progetto di rilevanza nazionale condotto con il supporto della Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS), è stato sviluppato e validato il CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index. Da molti anni, infatti, i Corsi di Studio in Infermieristica (CdSI) italiani avevano l’esigenza di dotarsi di strumenti di valutazione dei tirocini per raccogliere la percezione degli studenti e individuare aree di miglioramento: tuttavia, considerati i limiti degli strumenti disponibili1-2, il gruppo di progetto aveva deciso di andare oltre, sviluppando e validando uno strumento capace di misurare quanto un contesto di tirocinio èin grado di generare apprendimenti signi- ficativi; ovvero, intercettare se ed in quale intensità, sono presenti nell’esperienza clinica degli studenti, i fattori che influenzano gli esiti dell’apprendimento clinico,3,4-5 superando la semplice valutazione del livello di gradimento dei tirocini.
Dopo aver creato una rete di ricerca denominata ‘SVIAT’ (‘Strumento Italiano per la valutazione dei tirocini clinici’)3 organizzata su due livelli (Comitato Scientifico, vedi autori; e Rete di ricerca SVIAT, vedi Box1) si erano avviate le azioni per svilupparee validare uno strumento di misurazione della qualità percepita dell’apprendimento clinico
(a) per tutti i contesti frequentati dagli studenti in- fermieri: ospedali, residenziali e di comunità;
(b) adattabile ai diversi modelli tutoriali universi- tari presenti nel territorio nazionale (studenti affidati auntutoruniversitariochefrequentaanchelaclinica; studente affidato ad un infermiere di reparto che ha ricevuto preparazione ed incarico specifici; studente affidato al teamo all’infermiere coordinatore),6-7
(c) da proporre a livello nazionale anche per altre professioni e coinvolgendo anche gli studenti Erasmusal fine di procedere ad una validazione internazionale che è in corso; (d) capace di considerare anche il punto di vista degli studenti che sono stati generalmente esclusi
nelle validazioni degli strumenti disponibili2 e, infine, (e) parsimonioso nel numero di item: sono numerosi oggi i questionari a cui gli studenti devono
rispondere in ambito accademico.

Obiettivo di questo contributo è (a) presentare lo strumento nel suo sviluppo metodologico riportando anche la sintesi delle prove di validità emerse, ed (b) offrire una serie di raccomandazioni per il suo utilizzo.

Metodi

Dopo aver ottenuto l’approvazione del Comitato Etico dell’Università degli studi di Milano, è stato sviluppato uno strumento sulla base: a) di quelli disponibili in letteratura e validati anche in altre professioni; b) della letteratura sull’apprendimento clinico, e c) dell’esperienza di un gruppo multidisciplinare di esperti che includeva anche studenti3. Per la sua validazione è stato chiesto il supporto alla Commissione Nazionale dei Corsi di laurea in Infermieristica(CdSI) della CPCLPS che aveva invitato a partecipare allo studio tutti i corsi italiani (43 università, 208 sedi). In ciascuna sede erano eleggibili gli studenti che avevano concluso o stavano per concludere un’esperienza continuativa di tirocinio; mentre non lo erano gli studenti che avevano interrotto l’esperienza di tirocinio, che avevano svolto il tirocinio all’estero o che non avevano dato il loro consenso. Dopo aver illustrato le finalità dello studio, lo strumento è stato somministrato con modalità decise localmente (cartacea o piattaforma online). Per esplorare, (a) l’affidabilità test-retest; (b) la validità di criterio e (c) la validità discriminante3 in alcune sedi sono stati inclusi i Tutor, in altre lo strumento è stato somministrato due volte a distanza di una settimana, e in altre ancora è stato somministrato contemporaneamente al CLES (Clinical Learning Environment and Supervision) ed il CLES+T (Clinical Learning Environment + nurse Teacher)3; per un sottogruppo di studenti erano stati raccolti gli esiti dei tirocini (superato/non superato, nonché la valutazione ottenuta intrentesimi) espres- sa dai Tutor Universitari e Clinici.
Nella prima fasedi sviluppo dello strumento8 erano state sviluppate alcune raccomandazioni di utilizzo che sono state riviste nel corso di una conferenza di rilevanza nazionale svoltasi il 25 giugno 2019 presso l’Università di Verona sul tema “Il tirocinio nei CdS in Infermieristica e qualità dell’apprendimento clinico”, in cui la rete di ricerca SVIAT con la Commissione Nazionale dei CdSI alla presenza anche di numerosi componenti di altre commissioni nazionali CPCLPS ha dibattuto il suo concreto utilizzo alla luce dell’esperienza di alcune Università dopo oltre un
anno di concreta applicazione.

Risultati

Lo strumento CLEQI

Hanno partecipato allo studio di validazione oltre 10,000 studenti rendendo disponibili 9,607 questionari provenienti da 27 sedi universitarie sulle 43 (62.8%) italiane censite nell’anno accademico 2015/16.

Al momento della compilazione gli studenti partecipanti stavano svolgendo tirocini mediamente di cinque settimane (Deviazione Standard [DS] 2.81) in cui erano stati affidati in larga parte a un infermiere di riferimento (5090; 53.0%), in misura inferiore al team degli infermieri (3804; 39.7%) e al coordinatore della struttura/servizio che li assegnava di volta in volta agli infermieri in turno (405; 4.2%). In minima parte lo studente era stato seguito dal Tutor Universitario (165;1.7%) o era stato affidato all’infermiere coordinatore (93; 12.0%) (missing: 49; 0.5%). Complessivamente, il 67.7% (6506) aveva espresso la valutazione sul tirocinio ospedaliero appena concluso; il 30.1% (2892) per quello svolto in comunità e in minima parte (1.6%; 153) in casa di riposo (missing: 56, 0.6%). Le prove di validità condotte sullo strumento CLEQI sono sintetizzate nella Tabella 1.
Sulla base di tali prove, lo strumento nella sua versione definitiva è composto da 22 item e cinque fattori (Tabella 2) che riflettono quanto la letteratura suggerisce nella progettazione e conduzione dell’insegnamento
clinico e non la “piacevolezza dell’ambiente” : (1) il primo fattore misura la qualità delle strategie tutoriali attivate4-6 ovvero che cosa viene attivato nell’ambiente per facilitare i processi di apprendimento; (2) il secondo fattore misura le opportunità di apprendimento, nelle quali lo studente percepisce fiducia, possibilità di fare anche in autonomia, di sentirsi libero/a di esprimere le proprie opinioni e ricevere adeguata supervisione; (3) il terzo misura la sicurezza e la qualità dell’assistenza: gli studenti apprendono anche dai modelli, tramite imitazione di buoni e cattivi esempi e confrontando ciò che hanno appreso in teoria con quanto vedono nella
pratica; (4) il quarto fattore rileva quando la sede ha stimolato l’autoapprendimento: gli studenti universitari hanno bisogno di essere stimolati ad interrogarsi sui propri processi di apprendimento per diventare capaci di apprendere durante tutto l’arco della vita; (5) il quinto
misura infine la valutazione complessiva della qualità dell’ambiente di tirocinio. È inoltre emerso che CLEQI è uno strumento che riflette alcune esigenze specifiche del contesto formativo italiano: è ‘libero’ da modelli tutoriali predefiniti, considerata la grande variabilità nei modelli diffusi nelle diverse università6-7 e non parla dei ‘soli reparti ospedalieri’ ma si apre ai tanti e diversificati setting assistenziali (es. territorio, case di riposo).

Raccomandazioni di utilizzo
1) La valutazione della qualità dei tirocini e dell’insegnamento clinico riflette una componente del sistema di valutazione complessivo della qualità di un CdS: la sua progettazione ed implementazione deve essere coerente ad esso, pertanto si raccomanda di:

  • Valutare se lo strumento è congruente al sistema complessivo di valutazione della qualità adottato dal CdS e se la sua introduzione è
    compatibile con gli altri strumenti e metodi di valutazione attivati: lo strumento valuta se ed in quale intensità sono presenti nell’esperienza
    clinica degli studenti i fattori che influenzano gli esiti dell’apprendimento clinico; pertanto, responsabilizza gli studenti ad una valutazione critica, non tanto ad esprimere il grado di soddisfazione o meno della propria esperienza;
  • Esplorare se lo strumento è congruente con la rilevanza pedagogico-educativa attribuita ai tirocini: nei contesti in cui i tirocini non sono
    progettati e governati; in cui le sedi non sono aiutate a crescere nella loro capacità tutoriale e di facilitazione dei processi di apprendimento
    clinico; oppure in cui gli studenti frequentano sedi di tirocinio senza alcuna ‘regia’, è preferibile posticipare l’uso dello strumento per dedicare energie alla preparazione e allo sviluppo dei prerequisiti essenziali per un tirocinio di qualità;
  • Condividere con le strutture di Ateneo (Presidio della qualità, Struttura di monitoraggio della qualità della didattica o altre strutture, Nucleo di valutazione) le finalità dello strumento,la sua possibile integrazione nel processo di assicurazione della qualità, le modalità di rilevazione dei dati e il loro utilizzo, in analogiaa quanto già avviene per la valutazione della didattica;
  • Verificare il supporto delle strutture/uffici di Ateneo preposti ai sistemi di valutazione e la loro disponibilità ad assicurare il sostegno nel tempo: va evitato un carico di lavoro aggiuntivo sulle risorse tutoriali distaccate del CdS, ad esempio attivando in autonomia sistemi di valutazione che rischiano di sottrarre tempo al
    tutorato degli studenti che in alcune sedi è già molto critico;
  • Considerare anche il carico valutativo chiesto agli studenti (ad esempio, TECO-D, TECO-T, valutazione della qualità della didattica): il
    CLEQI è uno strumento parsimonioso, composto da soli 22 item, e questo dovrebbe facilitare la compilazione; tuttavia, in molti Atenei, oltre ai questionari sulla didattica gli studenti sonochiamati a valutare molti altri aspetti che possono gravare sugli studenti.

2) La valutazione della qualità dei tirocini e dell’insegnamento clinico deve essere (a) progettata e condotta con le sedi, (b) capace di supportare scelte o interventi di miglioramento e (c) utile allo sviluppo della qualità ed alle scelte pedagogiche. Pertanto, si raccomanda di:

  • Presentare lo strumento CLEQI alle direzioni delle aziende o strutture della rete formativa di riferimento, ai Coordinatori ed ai tutor/assistenti di tirocinio, illustrandone le finalità e l’utilizzo che verrà effettuato dei dati e fornire/presentare annualmente i risultati complessivi;
  • Incoraggiare le sedi di tirocinio attive e quelle potenziali ad utilizzare lo strumento quale griglia di autovalutazione o valutazione nella
    fase di accreditamento iniziale e in quelle continue;
  • Presentare lo strumento agli studenti ad inizio anno, in prossimità dei tirocini, indicandone finalità, struttura, ragioni per cui viene utilizzato, le modalità di raccolta ed utilizzo dei dati;
  • Gestire in modo efficace la rilevazione
    • [1] Stabilire la frequenza delle rilevazioni bilanciando
      l’esigenza di un monitoraggio sistematico con l’impegno richiesto agli studenti nella compilazione dello strumento e di elaborazione dei dati: ad esempio, CdS a bassa numerosità di studenti possono somministrare il CLEQI al termine di ogni tirocinio; diversamente, CdS ad elevata numerosità, possono orientarsi verso una unica rilevazione all’anno in concomitanza ad esempio, dell’ultima esperienza di tirocinio;
    • [2] Identificare le esperienze di tirocinio da esporre a valutazione sulla base dei bisogni di monitoraggio, le risorse disponibili e la finalità della raccolta dati: ad esempio, possono essere esposte a valutazione solo le esperienze di lunga durata, o anche quelle brevi; possono essere tenute ‘sotto controllo’ strutture di tirocinio percepite come critiche, ed evitato il monitoraggio di quelle percepite come eccellenti. Tuttavia, va evitata la valutazione di esperienze di tirocinio osservazionali
      o opzionali in cui lo studente non sviluppa competenze;
    • [3] Denominare in modo accurato le sedi di tirocinio
      e proporle all’inizio dello strumento per una compilazione accurata da parte dello studente: evitare l’indicazione libera del
      nome della sede da parte dello studente per le successive difficoltà a categorizzare correttamente ed evitare di indicare le sedi come macro-aree (ad esempio dipartimento di Medicina) che non permettono valutazioni a livello di singola unità; inoltre l’elenco delle sedi va verificato ed aggiornato annualmente al fine di allinearla con l’evoluzione delle aziende sanitarie;
    • [4] Assicurare l’anonimato in coerenza con altre forme di valutazione in uso (ad esempio sulla didattica) per lasciare libertà agli studenti di esprimere la loro opinione; tuttavia, se lo
      studente vuole/desidera indicare anche il nome del Tutor o della Guida/Assistente per le eccellenti o povere competenze tutoriali
      (ad esempio, in uno spazio bianco dedicato), si suggerisce di responsabilizzare lo studente ad indicare il proprio nome: in questo caso, infatti, la valutazione assume le caratteristiche
      anche di valutazione individuale, e pertanto lo studente va aiutato ad assumersi le sue responsabilità;
    • [5] Accompagnare gli item dello strumento con una scheda anagrafica capace di raccogliere qualche informazione minima: ad esempio, l’anno di corso oppure la durata del tirocinio, per poter intercettare qualche variabile individuale che può influenzare la percezione della qualità del tirocinio-insegnamento clinico. Infatti, sedi adatte agli studenti del terzo anno, possono essere inadatte per quelli del primo anno; alcune sedi possono essere efficaci anche con tirocini brevi mentre
      altre lo diventano con tirocini più lunghi. In alcuni contesti può essere utile raccogliere dati anche sulla numerosità degli studenti presenti (anche di altre professioni): infatti, le opportunità di apprendimento possono essere percepite inferiori quando le strutture sono sovraffollate;
    • [6] Somministrare lo strumento a tirocinio appena concluso, dopo la valutazione delle competenze, senza lasciar trascorrere troppo tempo per evitare distorsioni nel ricordo (es. si suggerisce la compilazione entro dieci giorni e comunque prima dell’inizio del tirocinio successivo);
    • [7] Valutare attentamente se introdurre lo strumento come obbligatorio o lasciarlo libero e riflettere attentamente sui sistemi per incoraggiare e mantenere elevata l’adesione degli
      studenti nel tempo. L’obbligatorietà della compilazione deve essere accompagnata da un sistema serio di presa di decisioni, ad esempio rispetto alle sedi che non raggiungono score ottimali: gli studenti devono poter apprezzare concretamente che le informazioni che danno sono prese in considerazione; questo li aiuta anche nel tempo ad essere responsabili delle valutazioni che producono. Per sostenere la loro adesione possono essere attivati sistemi diversi: ad esempio, valorizzarla attraverso l’attribuzione di 1 CFU tra le attività a scelta dello studente nell’ottica di sviluppare il senso di responsabilità verso i processi di valutazione della qualità; discutere con valenza annuale negli
      organi collegiali, alla presenza degli studenti, il loro punto di vista rispetto ai tirocini dando pertanto valore alla compilazione; oppure dedicare almeno una o due ore per ciascun tirocinio alla compilazione dello strumento quale attività ‘strutturata’ di riflessione critica dell’esperienza.
    • [8] Utilizzare la somministrazione dello strumento on line (tramite invio di un link all’indirizzo mail istituzionale degli studenti, oppure tramite caricamento del questionario su piattaforma elettronica di Ateneo) per evitare sovraccarico di lavoro ed agevolare l’elaborazione dei dati: l’invio automatizzato
      del link a fine tirocinio o in prossimità della sua conclusione, garantisce l’anonimato, la sistematicità delle rilevazioni e la popolazione automatizzata dei dati nel database per le successive analisi.

3) L’analisi dei dati deve informare decisioni sia da parte del CdS sia da parte delle sedi con la finalità di attivare processi di miglioramento continui. Pertanto, si raccomanda di:

  • Analizzare i dati in accordo a due linee: (a) la prima l’unità di analisi deve essere la struttura in cui lo studente ha fatto la sua esperienza di tirocinio per valutare a questo livello la sua percezione e restituire i dati alla stessa struttura; (b) la seconda, a livello più elevato (ad esempio il dipartimento o l’ospedale) per offrire una restituzione complessiva;
  • Evitare analisi quando sono disponibili poche valutazioni (es. uno o due studenti) perché sarebbero facilmente identificabili se la sede riceve il report di sintesi: si suggerisce di procedere nelle elaborazioni con > 3 studenti. Nelle sedi di tirocinio a bassa frequenza di studenti, si suggerisce di attivare altre forme di valutazione della qualità al fine di non trascurare comunque il parere degli studenti;
  • Utilizzare punteggi complessivi (ad esempio in ‘Medicina 3c’, il punteggio medio è stato di 50.5 da 0 a 66) per dare informazioni di sintesi sulla qualità dell’apprendimento clinico in un dato contesto; si raccomanda inoltre di affiancare al punteggio complessivo, l’analisi di ciascun fattore (ad esempio in Chirurgia d’urgenza il punteggio
    medio su ‘Sicurezza e qualità dell’assistenza’ era di 11.50 su 12) e anche di item (“Era garantita la sicurezza degli ospiti/degenti/residenti”, il punteggio medio era di 2 su 4) per aumentare la ricchezza informativa su punti di forza e criticità
    e supportare le decisioni.
  • Analizzare i dati che hanno una certa stabilità/omogeneità nel tempo o tra gruppi di studenti (quindi non espressione di episodi negativi) e
    discuterli nelle sedi collegiali per prender decisioni: pur non avendo ancora identificato cutoff, valori ≤ a 22, indicano una sede che ha estremo bisogno di riflettere sul suo ruolo nella formazione degli studenti. Punteggi molto bassi nel fattore ‘Sicurezza e qualità dell’assistenza’ devono suggerire la sospensione dei tirocini se
    non sono evidenti progetti di miglioramento che espongano gli tudenti a modelli di pratica sicuri ed accettabili. D’altra parte, dove i
    punteggi sono molto alti (ad esempio, > 44), sono presenti buone pratiche di insegnamento clinico che dovrebbero essere valorizzate e considerate di esempio per altre sedi più in difficoltà;
  • Analizzare i dati insieme ad altre fonti informative: lo strumento restituisce informazioni circa la qualità percepita dagli studenti rispetto all’apprendimento clinico, che devono essere lette tenendo conto delle variabili di contesto e del flusso di dati qualitativi che provengono anche dai Tutor Didattici, dati Tutor Clinici o dai Coordinatori delle sedi di tirocinio (che hanno segnalato, ad esempio, un momento particolare della vita del reparto a causa di cambiamenti
    interni): pertanto, si raccomanda di presentare e discutere i risultati delle rilevazioni con tutti gli attori coinvolti nel processo formativo;
  • Monitorare nel tempo l’evoluzione delle valutazioni e decidere la loro effettiva necessità: sono tante le valutazioni che oggi i CdS stanno
    realizzando ed una attenzione alla parsimonia va dedicata. Le valutazioni sono raccomandate solo se aiutano a prendere decisioni: i dati sulla qualità del tirocinio devono essere utilizzati dal Coordinatore dei tirocini come dati ‘di cruscotto’. Non sono gli unici da presidiare ma devono far parte di un sistema integrato di valutazione assieme ad altri elementi, ad esempio la frequenza degli incidenti critici (rischio biologico) che accadono in una struttura, la frequenza degli incident report segnalati dall’ospedale per la stessa sede con il coinvolgimento degli studenti e così via. Per le strutture che hanno aspetti critici, ad esempio sulla sicurezza dei pazienti o sulle opportunità formative, va tenuto monitorato questo aspetto; per altre invece che hanno sempre score molto alti, potrebbe essere allentata la valutazione e decisa con frequenza meno intensa; oppure monitorata con valutazioni effettuate dai Tutor Didattici che si sono dimostrate affidabili nella capacità di intercettare la qualità delle sedi di tirocinio;
  • Assicurare alle sedi di tirocinio la possibilità di ricevere dei report di sintesi personalizzati per conoscere i punti di forza e le criticità del loro contesto, offrendo così la possibilità di intraprendere azioni di miglioramento. Qualora, per mancanza di strutture di supporto, non fosse possibile elaborare tali report, è etico assicurarli almeno alle sedi i cui punteggi non hanno raggiunto i valori soglia considerati.

4) I dati devono essere divulgati nell’ambito delle strategie di diffusione dei dati di qualità del CdS considerando tuttavia la rilevanza degli stessi nel rapporto con le strutture di tirocinio. Si raccomanda pertanto di:

  • Discutere i dati almeno una volta all’anno negli organi collegiali del CdS, nel gruppo di revisione della qualità, e tra i Tutor Universitari e di Tirocinio al fine di intraprendere azioni di miglioramento e/o di valutarne l’efficacia a fronte delle azioni intraprese;
  • Presentare in forma aggregata i dati a fine o inizio di ogni anno accademico ai Dirigenti delle Professioni Sanitarie e ai Coordinatori delle sedi di tirocinio (es. area ospedaliera, area domiciliare) quale feedback complessivo del loro impegno, evidenziando i risultati positivi e proponendo azioni di miglioramento rispetto ai punti di debolezza, o comunicando gli esiti raggiunti a fronte di azioni di miglioramento attivate;
  • Diffondere i dati aggregati nella pagina web del CdS, dove sono indicati gli esiti dell’opinione degli studenti sui docenti: si suggerisce di pubblicare anche i risultati sulla qualità percepita dell’apprendimento clinico in tirocinio, indicando in forma
    anonima i punteggi medi per ciascun fattore, non riportando né la sede né l’azienda, almeno che questo non sia stato preventivamente discusso e concordato con le stesse.

Conclusioni

Con una rete ampia, denominata ‘SVIAT’, sostenuta dalla Conferenza Permanente dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie, è stato sviluppato, validato e diffuso uno strumento di valutazione della qualità dei tirocini denominato CLEQI, ‘Clinical LEarning Quality Evaluation Index’ che misura la presenza e intensità di alcuni fattori documentati quali precursori di un apprendimento significativo. Lo strumento è già diffuso e implementato in molte università e costituisce pertanto la base di confronto tra sedi di uno stesso CdS e tra corsi di studio diversi; può essere utilizzato liberamente, senza chiedere alcuna autorizzazione.
Le sue potenzialità sono state riconosciute anche da altre professioni dell’area sanitaria che hanno attivato percorsi di validazione. Oltre ad informare sulla qualità dei processi di apprendimento attivati in una sede di tirocinio, lo strumento si è dimostrato utile nell’identificazione delle strategie di miglioramento e nell’individuazione del fabbisogno formativo dei Tutor o Assistenti/Guide di tirocinio.
Lo strumento va implementato in accordo ad un set di raccomandazioni di utilizzo al fine di una sua efficace integrazione nell’insieme del sistema di valutazione di qualità di un CdS.

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Cita questo articolo

Palese, A., et al, Clinical Learning Quality Evaluation Index per la valutazione della qualità dell’apprendimento clinico degli studenti infermieri e raccomandazioni di utilizzo, Medicina e Chirurgia, 83, 3685-3693, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-3

Affiliazione autori

Alvisa Palese, Luca Grassetti, Irene Mansutti – Università di Udine;
Giulia Randon, Anita Bevilacqua, Federica Canzan, Adriana Dal Ponte, Franco Mantovan,Oliva Marognolli, Morena Tollini, Lucia Zannini, Anna Brugnolli, Luisa Saiani – Università di Verona;
Pietro Altini, Valerio Dimonte, Raffaela Nicotera – Università di Torino;
Carla Benaglio – Universidad Del Desarrollo Santiago, Cile;
Laura De Biasio, Adriana Fascì – Università di Trieste;
Anne Destrebecq, Benedetta Gambacorti, Stefano Terzoni – Università di Milano;
Silvia Grosso – Università di Padova;
Sandra Montalti – Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori, Meldola, Forlì-Cesena

Corrispondenza: Alvisa Palese, Università di Udine, alvisa.palese@uniud.it

Preparare i giovani “insieme”: un esempio di continuità Scuola-Universitàn.83, 2019, pp. 3680-3684, DOI: 10.4487/medchir2019-83-2

Il Progetto Orientamento in Rete di Sapienza: riallineamento dei saperi minimi.

Abstract

La formazione continua svolge un ruolo fondamentale nel campo biomedico, non solo per promuovere azioni di recupero rivolte agli studenti iscritti ma anche per gli studenti delle scuole superiori cercando di attirare i migliori tra loro. Seguire lo sviluppo di metodi di insegnamento innovativi è uno strumento necessario non solo per aggiornare le conoscenze teoriche dello studente, ma anche per l’acquisizione di  abilità trasversali  applicabili all’attività di studio quotidiana. L’iniziativa prevede lo sviluppo di un corso di orientamento e riallineamento delle conoscenze minime per le Facoltà con accesso programmato all’area biomedica per gli studenti della Scuola Secondaria. Il progetto prevede interventi di continuità educativa tra Scuola Secondaria e Università sia ininglese che in italiano, integrando la preparazione sui contenuti necessari per superare i test di accesso. L’aspetto caratterizzante del progetto è stata la creazione di un’enorme rete di scuole, all’interno della quale sono state messe in comune risorse, insegnanti e studenti. Il successo dei corsi è stato valutato confrontandola percentuale di ammessi sul numerodi studen- ti iscritti ai corsi e tenendo conto del progressivo aumento del numero di partecipanti al test di am- missione e dei risultati accademici nei primi anni del corso di studi.

Continuous training plays a fundamental role in the biomedical field, not only to promote recovery actions aimed at enrol- led students but also for high school students trying to attract the best among them. Following the development of innovative teaching methods is a necessary tool not only for updating the student’s theoretical knowledge, but also for the acquisition of transversal skills applicable to the daily study activity. The initiative provides for the development of a course of orientation and realignment of the minimum knowledge for the Faculties with programmed access to the biomedical area for secondary school students. The project includes educational continuity interventions between Secondary School and University both in English and in Italian, integrating the preparation on the contents necessary to pass the admission tests. The characterizing aspect of the project was the creation of a huge network of schools, within which resources, teachers and students were pooled.
The success of the courses was assessed by comparing the percentage of admitted students on the number of students enrolled in the courses and considering the progressive increase in the number of admission test participants and academic results in the first years of the course.

Parole Chiave: scuola secondaria, orientamento.
Key Words: secondary school, orientation

Articolo

Introduzione e struttura del progetto

I percorsi di orientamento si inseriscono strut- turalmente nell’ultimo anno di corso della scuola secondaria di secondo grado, anche utilizzando gli strumenti di flessibilità didattica e organizzativa previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275. (DL 14/1/2008 n.21).
L’orientamento deve coniugare: conoscenza delle attitudini, capacità e competenze personali, corretta e diffusa informazione sul sistema universitario e sulle prospettive del mercato del lavoro, orientamento come processo sistematico e non intervento sporadico.
Il progetto Orientamento in Rete, programma di orientamento e formazione, parte da questi presupposti, ponendo alla base l’incremento del successo formativo, in una prospettiva di continuità tra scuola secondaria ed università attraverso l’impegno sinergico delle due strutture educative sui problemi relativi alla didattica e alla formazione, che riguardano sia la scuola che l’università (Falaschi et al., 2002, 2006; Familiari et al., 2004, 2006).
Il progetto di Sapienza, organico alle tre attuali Facoltà di area medica presenti in Sapienza Università di Roma (Farmacia e Medicina, Medicina e Odontoiatria, Medicina e Psicologia), nasce nel 1999 quando i docenti delegati per l’orientamento delle allora due Facoltà di Medicina e Chirurgia della Sapienza, proposero un accordo con la Scuola Superiore che prevedesse la realizzazione, da parte dell’Università e della Scuola secondaria, di un programma comune di attività per consentire agli studenti delle penultime e ultime classi delle scuole superiori di effettuare scelte universitarie motivate e consapevoli. Viene così stipulato un Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Pubblica Istruzione, Provveditoratoagli Studi di Roma e l’Università degli studi “La Sapienza” di Roma nel 10/6/99, poi rinnovato nel 2003 tra MIUR – USR Lazio e Università Sapienza di Roma. Sicuramentenel 1999 questa iniziativa è antesignana, ma entro qualche anno diventerà fondamentale per gli studenti, desiderosi di esercitarsi, praticare quiz e ripassare argomenti di teoria che non hanno trattato nel percorso liceale (Familiari et al., 2002).

Il progetto “Orientamento in rete” si basa su una concezione formativa dell’orientamento;  è coerente infatti con il contenuto dell’art. 2 della Legge 11 gennaio2007, n. 1 “Disposizioni in materia di esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e delega al Governo in mate-ria di raccordo tra la scuola e le università” riguardo alla realizzazione di appositi percorsi di orientamento finalizzati alla scelta, da parte degli  studenti, di corsi di laurea universitari e alla necessità di potenziare il raccordo tra scuola euniversità ai fini di una migliore specifica formazione degli  studenti rispetto al corso di laurea prescelto (Falaschi et al., 2002, 2006; Familiari et al., 2004, 2006).

I docenti della scuola secondaria diventano i mediatori di tale processo, in stretto collegamento con i docenti universitari, nel difficile compito di adeguare ed integrare i contenuti del percorso di studi secondario al livello corrispondente ai prerequisiti dei curricula universitari. Il progetto offre agli studenti l’opportunità di conoscere le richieste universitarie che provengono dalle diverse Facoltà dell’area biomedica (Falaschi et al., 2002, 2006; Familiari et al., 2004, 2006). Con il passare degli anni il progetto si evolve e si adegua ai tempi e ai nuovi decreti ministeriali. Nel 2016 viene fatta una convenzione con l’Ordine dei Medici ed Odontoiatri della Provincia di Roma e si trasforma nel “Cammino verso la Medicina”. Cambia la struttura del progetto: non solo un corso di preparazione, ma un vero cammino annuale di informazione, orientamento, formazione e tutoraggio che permette agli studenti di riallineare i loro saperi, prepararsi ai test, orientarsi ed infine comprendere se la loro scelta è dettata da una motivazione estrinseca oppure da una motivazione intrinseca e fortemente voluta (Familiari et al., 2017; Longo et al., 2018; Familiari e Longo, 2019).

Viene introdotto “Vivi una mattina universitaria”: i Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia sono aperti a piccoli gruppi di studenti selezionati dalle scuole, che possono partecipare a una mattinata di lezioni, per vivere da vicino l’esperienza del mondo universitario. E’ una giornata di stage ideata per far avvicinare gli studenti nella realtà universitaria, stabilire relazioni e comunicare con i propri pari (peer to peer), ponendosi domande e trovando le risposte nelle aule universitarie. Gli studenti vengono accompagnati ed inseriti nelle aule universitarie da un tutor Sapienza e hanno la possibilità di seguire le lezioni del primo e secondo anno di Medicina (Familiari et al., 2017; Longo et al., 2018; Familiari e Longo, 2019). Nell’ambito delle iniziative di orientamento viene data agli studenti la possibilità di compilare gratuitamente un questionario di autovalutazione psicoattitudinale, “Conosci Te Stesso”, al fine di incrementare la consapevolezza della scelta verso i corsi di laurea delle Facoltà dell’area biomedica. Il questionario, realizzato e validato dal Prof. Caprara e dal Prof. Barbaranelli della Facoltà di Medicina e Psicologia, della Sapienza Università di Roma, è costituito da 260 domande articolate in tre sezioni: profilo di personalità, orientamento accademico e orientamento professionale (Barbaranelli et al., 2014, 2016).

Risultati

  1. Esiti nelle prove di ammissione.

L’analisi degli esiti delle prove d’ammissione, relativi agli studenti frequentanti i corsi in presenza, è stata effettuata tenendo conto anche del numero dei partecipanti alle prove stesse e calcolando la percentuale degli ammessi rispetto al totale degli studenti frequentanti i corsi estivi (calcolata sui corsisti partecipanti alle prove di ammissione delle varie Facoltà dell’area biomedica). Per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria e per il corso di laurea in Medicina e Chirurgia in lingua inglese le graduatorie fornite dal CINECA sono nazionali e in ordine decrescente, mentre per le altre Facoltà Biomediche si è fatto riferimento a coloro che si sono immatricolati alla Sapienza Università di Roma. Rispetto agli iscritti si è verificato il previsto fenomeno della dispersione già riscontrato negli anni passati e riferito sia a coloro che, rispetto all’iscrizione, mutano la scelta universitaria sia a coloro che non hanno frequentato i corsi con continuità e/o che non risultano rintracciabili nelle graduatorie analizzate. Inoltre, non sono stati considerati nell’analisi tutti gli studenti che hanno frequentato il quarto anno di scuola superiore, in quanto non hanno ancora conseguito il Diploma di Maturità e coloro che hanno seguito i corsi più di una volta. L’eterogeneità dell’utenza ormai proveniente da tutta Italia e di diverse età ha reso difficile l’analisi che è stata condotta non solo sugli ammessi alle facoltà dell’Università di Roma “La Sapienza”, ma anche presso altri Atenei (Tabella 1). La percentuale degli studenti ammessi ai corsi di laurea, inrapporto ai partecipanti, deve considerarsi, nel complesso, di buon livello (Falaschi et al., 2002, 2007, 2011, 2013).

2. Gradimento del corso

E’ stato somministrato ai partecipanti un questio- nario di gradimento del corso per indagare la qualità percepita della proposta formativa. Gli studenti che hanno risposto al questionario sono pari ad una media del 75 circa dei partecipanti ai corsi estivi, di cui il 50 è dato dagli studenti che hanno frequentato i corsi in lingua italiana presso la sede del Policlinico Umberto I. Dall’analisi dei dati risultachelafrequenza è stata mantenuta nei corsi estivi, dimostrando interesse al Progetto. Il livello di gradimento complessivo dei corsi è da considerarsi medio-alto. Solopochi stu- denti (circa il 10 dei partecipanti) ha aderito anche alla fase invernale del Progetto svolto online e presso le scuole. La maggior parte degli studenti proviene dal Liceo Scientifico e dal Liceo Classico (65%). Anche quest’anno molti studenti provengono anche da Istituti professionali e tecnici, Licei linguistici e delle Scienze Umane.

Gli indicatori complessivi di base, concernenti la qualità percepita ed il gradimento dei corsi in presenza, collocano questa realtà entro un range di valori oggettivamente elevati in sé.

I giudizi espressi sui corsi  in presenza  appaio- no stabili nel tempo (dati confrontabili dal 2003 al 2018). La valutazione rispetto ai corsi erogati risulta positiva. In particolare, si riportano gli aspetti che si sono rilevati maggiormente significativi (Grafico 1).

3. La performance accademica nei primi anni di corso.

Nell’ambito di una ricerca osservazionale retrospettiva, tutt’ora in corso, su un vasto campione di studenti che hanno seguito i corsi del Progetto Orientamento in Rete e di altri che non lo hanno seguito negli ultimi sei anni accademici, è stato dimostrato che gli studenti che hanno aderito al nostro progetto, hanno potuto superare gli esami del primo anno di corso di Laurea (Fisica medica, Chimica e propedeutica Biochimica, Biologia e genetica) ai primi appelli ottenendo i risultati migliori in termini di votazione ottenuta nell’esame (Grafico 2) (Eleuteri et al., 2016).

Discussione

Le richieste del mondo del lavoro in ambito sanitario fanno sì che un sempre maggior numero di studenti provenienti dai percorsi liceali si indirizzi verso tale settore, creando i presupposti di un innalzamento dei livelli di preparazione in entrata per i corsi di laurea con positiver i percussioni sui livelli di prestazione professionale futura. E’ da tutti condiviso che negli ultimi anni di scuola secondaria sia fondamentale attivare iniziative per sostenere lo studente nella scelta universitaria, dapprima aiutandolo ad identificare le proprie attitudini e fornendo una conoscenza articolata dell’offerta didattica, successivamente consentendogli di approfondire quei contenuti disciplinari che costituiscono i prerequisiti indispensabili per affrontare al meglio gli studi universitari. Il progetto Orientamento in rete, nei venti anni di sperimentazione sul campo, ha messo a punto un modello organizzativo per realizzare concretamente la continuità educativa e didattica tra scuola secondaria e università. Uno dei punti di forza del progetto è costituito dalla capacità di adeguarsi, grazie alla struttura modulare dei corsi, alle nuove richieste normative e ministeriali che ne- gli ultimi anni hanno visto mutamenti continui nella definizione della data delle prove di ammissione e della loro struttura, delle modalità di valutazione del votodi diploma, delle graduatorie nazionali (Falaschi et al., 2002, 2006; Familiari et al., 2002, 2004, 2006, 2017; Longo et al., 2018; Familiari e Longo, 2019).

Esso prevede che il perseguimento delle finalità prefissate avvenga mediante la costituzione di un team operativo che dia visibilità e concretezza all’azione formativa proposta esviluppata dalla scuola, e che realizzi anche la correlazione con le altre scuole del territorio.

Le finalità sono quelle di contrastare i fenomeni della dispersione, dell’abbandono e del ritardo nella conclusione degli studi universitari, di promuovere iniziative in collaborazione con il MIUR nel campo dell’orientamento universitario per la realizzazione di interventi di natura non solo informativa ma soprattutto formativa ed infine di favorire il successo formativo, in una prospettiva di continuità tra scuola secondaria, università ed altre istituzioni locali. L’obiettivo è quello di creare un raccordo tra scuola secondaria e università attraverso interventi miranti all’acquisizione dei saperi minimi per integrare e allineare il curricolo di scuola secondaria e materie insegnate nel primo anno delle facoltà universitarie.
Il carattere diversificato della proposta di orientamento formativo consiste nell’articolazione delle attività su più livelli: nelle scuole, online, nelle aule universitarie, durante le quali lo studente può autovalutarsi prendendo coscienza delle proprie attitudini, della propria preparazione e impegnarsi ad integrarla e potenziarla in relazione alle richieste dell’accesso universitario (Falaschi et al., 2002, 2006; Familiari et al., 2002, 2004, 2006, 2017; Longo et al., 2018; Familiari e Longo, 2019).

Conclusioni

Il progetto nasce dall’esigenza di risolvere la discontinuità tra Scuola secondaria ed Università, prendendo in esame anche le problematiche legate alla programmazione dell’accesso universitario. Nello svolgimento di attività di orientamento universitario l’obiettivo principale è quello di garantire il diritto allo studio per tutti gli studenti, assicurando che ciascuno sia messo nella condizione di esprimere le proprie potenzialità. Ciò può essere realizzato rivisitando ed integrando i contenuti degli studi secondari per renderli coerenti ai percorsi universitari, potenziando la capacità di autovalutazione degli studenti, la conoscenza dell’offerta universitaria, degli sviluppi professionali di ciascuna area disciplinare e delle dinamiche del mercato del lavoro.

La longevità del Progetto “Orientamento In Rete”, oggi strutturato come “Cammino verso Medicina”, si basa su un modello accuratamente monitorato e senz’altro riproducibile in quanto la struttura organizzativa e didattica è rigorosa e stabilita con precise procedure.


Grafico 1 – Gradimento del progetto. Dati elaborati dal Centro Mesiv (Metodi e Strumenti Informatici per la Valutazione) di Sapienza Università di Roma

Grafico 2. – Votazioni ottenute negli esami del primo anno di Medicina e Chirurgia. Gli studenti che hanno partecipato ai corsi di orientamento in rete hanno ottenuto votazioni significativamente migliori negli esami di chimica e propedeutica biochimica, biologia e genetica, fisica medica.

Bibliografia

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Familiari G, Longo F. Il cammino verso medicina e l’accesso a medicina: una ipotesi di “Processo di Selezione” centrato sulla realtà formativa italiana, di caratura internazionale e orientato alla “Best evidence-based practice”. Medicina e Cultura, 2: 49- 51, 2019. Longo F, Farulla C, Elia M, Familiari G. Moodle come piattaforma per la preparazione ai test di accesso alle facoltà biomediche: il progetto orientamento inrete. Atti Moodle Moot 2018

Cita questo articolo

Longo F., Farulla C., Eleuteri S., Relucenti M., Barbaranelli, C., Elia M., Basili S., Familiari G., Preparare i giovani “insieme”: un esempio di continuità Scuola-Università. Il Progetto Orientamento in Rete di Sapienza: riallineamento dei saperi minimi, Medicina e Chirurgia, 83, 3680-3684, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-2

Affiliazione autori

M. Relucenti; G. Familiari – Facoltà di Medicina e Farmacia, Università di Roma La Sapienza;
F. Longo – Facoltà di Medicina e Psicologia, Università di Roma La Sapienza, MIUR, IIS G. De Sanctis;
C. Farulla; S, Eleuteri; C. Barbaranelli; M. Elia – Facoltà di Medicina e Psicologia, Università di Roma La Sapienza;
S. Basili – Facoltà di Medicina e Odontoiatria, Università di Roma La Sapienza

La valutazione degli studenti durante il Tirocinio Professionalizzante Valutativo per l’esame di stato (TPVES): Proposta di adozione di un Diario di Tirocinio Clinicon.83, 2019, pp. 3674-3679, DOI: 10.4487/medchir2019-83-1

Articolo

Il D.M. del 9 maggio 2018, n. 58 del MIUR (“Regolamento recante gli esami di Stato di abili- tazione all’esercizio della professione di medico- chirurgo”) ha modificato le modalità di espletamento dell’esame di abilitazione alla professione, inserendo lo svolgimento della “prova pratica a carattere continuativo consistente in un tirocinio clinico della durata di tre mesi” prima del conseguimento della Laurea e modificando il contenuto e le modalità della prova scritta finale. Lo studente verrà quindi sottoposto a due momenti valutativi: una prova pratica, un Tirocinio Professionalizzante Valutativo per l’Esame di Stato (TPVES) e una prova scritta (1).

L’attuazione del nuovo esame di stato ha determinato uno sforzo organizzativo da parte dei singoli Corsi di Laurea e della Conferenza Perma- nente dei Presidenti (CPPCLMMC) che, seppur non completamente concluso, è ormai ben avviato in tutte le sedi (quad). Tale sforzo organizzativo si è finora concentrato sulla necessità di assicurare a tutti gli studenti del V e VI anno la frequenza per un mese (100 ore) in un reparto di area medica, uno di area chirurgica e un ambulatorio presso un Medico di Medicina Generale (MMG). Il principale cambiamento delle modalità dell’esame scritto è che le domande a scelta multipla di cui è composta la prova non fossero più scelte da un database precostituito e noto in anticipo agli studenti, ma fossero preparate ad hoc in modo da attenersi strettamente al core curriculum dei corsi di laurea in Medicina elaborato dalla CPPCLMMC. A questo scopo la Conferenza ha impegnato i Presidenti di CLMMC a fornire in modo riservato una serie di domande aderenti a ciò che effettivamente si insegna nei nostri corsi di laurea (2). L’attuabilità del nuovo esame scritto è stata testata in un “Training Test” somministrato a titolo di prova preparativa al nuovo esame, sfruttando l’esperienza ormai più che quinquennale del Progress Test .

La valutazione come motore di un cambiamento didattico (Assessment drives learning)

Al di là dei pur notevoli sforzi organizzativi, il nuovo Esame di Stato ha aperto una prospettiva didattica che, se vorrà essere applicata, non potrà non portare a un profondo ripensamento dell’intera organizzazione didattica e dei contenuti dei CLMMC. In maniera estremamente sintetica, l’insegnamento della medicina, al fine di portare gli studenti al superamento dell’esame di stato, dovrà concentrarsi sul carattere professionalizzante della didattica medica e sulla didattica per la competenza. Se esaminiamo quanto riportato nel D.M. del 9 maggio 2018, n. 58 a proposito della prova scritta leggiamo:
“La prova scritta consiste nella soluzione di 200 quesiti articolati in 50 formulati su argomenti riguardanti le conoscenze di base nella prospettiva della loro successiva applicazione professionale, con particolare riguardo ai meccanismi fisiopatologici e alle conoscenze riguardanti la clinica, la prevenzione e la terapia; in 150 formulati su argomenti riguardanti le capacità del candidato nell’applicare le conoscenze biomediche e cliniche alla pratica medica e nel risolvere questioni di de- ontologia professionale e di etica medica. La prova include anche una serie di domande riguardanti problemi clinici afferenti alle aree della medicina e della chirurgia, e delle relative specialità, della pediatria, dell’ostetricia e ginecologia, della diagnostica di laboratorio e strumentale, e della sanità pubblica”.
La prova scritta, dunque, sposta anche quantitativamente la valutazione del candidato dalle conoscenze (50 quesiti, comunque finalizzati alla loro successiva applicazione professionale) alla capacità di risolvere problemi clinici testata attraverso 150 quesiti/problema di tipo interpretativo e decisionale.

Se ci rifacciamo alla definizione di competenza come capacità di mobilizzare risorse apprese (conoscenze, motivazioni etico valoriali e abilità) per risolvere problemi complessi e per affrontare situazioni-problema nuove è chiaro che il nuovo esame di stato ci chiede di valutare soprattutto la competenza del candidato e non soltanto le sue conoscenze, che rimangono comunque indispensabili in quanto risorse da mobilizzare per essere un medico competente.
Altrettanto esplicito nel D.M. è il fine della valutazione del candidato durante il tirocinio profes- sionalizzante in area medica, chirurgica e presso il MMG.
A tal fine èstato preparato un libretto di valutazione del tirocinante (3):
“…volto ad accertare le capacità dello studente relative al «saper fare e al saper essere medico» che consiste nell’applicare le conoscenze biomediche e cliniche alla pratica medica, nel risolvere questioni di deontologia professionale e di etica medica, nel dimostrare attitudine a risolvere problemi clinici.”
Per consentire di “Rilasciare una formale attestazione della
frequenza, unitamente alla valutazione dei risultati relativi alle competenze dimostrate”.
Di nuovo, il riferimento alla didattica per competenza è esplicito.

Alla luce di tutto questo, il compito dei CLMMC non è dunque solo organizzativo: se vogliamo valutare i candidati in termini di competenza dobbiamo prepararli con contenuti e metodologia didattiche appropriate.

Per quanto riguarda i contenuti la CPPCLMMC ha da tempo avviato una riflessione, attraverso specifici gruppi di lavoro (GdL), finalizzata a definire il Core Curriculum dei corsi di Medicina sia in termini di conoscenze che di abilità pratiche (quad). Questo lavoro ha prodotto documenti  in cui le conoscenze e le abilità irrinunciabili per il medico sono chiaramente elencate. Più recentemente è stato istituito un GdL per la definizione dei cosiddetti Problemi Clinici Essenziali che ciascuno studente dovrebbe aver affrontato almeno una volta nel corso dei suoi studi.

Sarà necessario riferirsi a questi documenti per costruire un esame scritto leale, che voglia cioè rispettare l’effettivo contenuto di conoscenze su cui gli studenti verranno preparati e testati. I contenuti sucui basare la valutazione dei candidati durante il tirocinio è invece riportata direttamente nel libretto del TPVES. Su questi contenuti il candidato dovrà non solo “fare pratica” ma anche essere valutato.

In entrambi i casi, non essendo ipotizzabile che il candidato apprenda nel corso del tirocinio tutto quello su cui verrà valutato, è del tutto evidente che la valutazione del TPVES apre una problematica di appropriatezza della didattica dell’intero percorso di studio. In particolare la valutazione di abilità come raccogliere l’anamnesi ed eseguire l’esame obiettivo e, ancora di più, il conoscere e applicare il ragionamento clinico e l’orientarsi sui processi decisionali, devono indurre una riflessione sull’apprendimento finalizzato (per competenza) di tali obiettivi didattici attraverso una revisione dei contenuti di tutta la dorsale dei Corsi di Metodologia e dei Corsi di Medicina e Chirurgia I, II e III che dovrebbero prendersi carico di portare gli studenti a quella sintesi clinica indispensabile per poter fare il medico. Se è vero che “assessment drives learning” il nuovo Esame di Stato è l’occasione per mettere mano a contenuti e metodi per rendere veramente professionalizzanti i nostri corsi introducendo la didattica per competenza, senza naturalmente ridurre e sminuire gli aspetti propriamente “culturali” dei nostri studi che rimangono comunque indispensabili.

La valutazione degli studenti durante il TPVES.

Date queste premesse e dati per stabiliti gli argomenti delle abilità/competenze riportate nel libretto del TPVES, occorre chiedersi come possiamo portare avanti in maniera affidabile e leale la valutazione dei candidati durante il tirocinio pratico.
Analizzando i punti riportati nel libretto del TPVES, alcuni come:
• Rispetta gli orari di inizio e fine turno, veste in maniera adeguata al ruolo, porta con sé tutto il necessario
• Dimostra un atteg iamento attivo e collaborativo (fa domande, si propone per svolgere attività)
Non possono prescindere da una osservazione diretta del candidato.


Altri punti come:
• Ha la capacità di raccogliere l’anamnesi e di eseguire un esame obiettivo
• Conosce e sa applicare il ragionamento clinico: è in grado di individuare i motivi della richiesta di aiuto e la natura e priorità del problema
• È in grado di proporre ipotesi diagnostiche e di individuare gli accertamenti diagnostici di primo livello dotati di maggiore sensibilità e specificità per confermare o meno le ipotesi
• È in grado di interpretare gli esami di laboratorio e i referti degli esami di diagnostica per immagini
• Si orienta sui processi decisionali relativi alla prescrizione di un corretto trattamento e sulla richiesta di una consulenza specialistica
• Si dimostra capace di inquadrare il motivo del ricovero nel complesso delle eventuali cronicità, altre criticità e fragilità dei pazienti
• È in grado di compilare il rapporto di accettazione/dimissione del ricovero e in grado di compilare la lettera di dimissione

possono essere valutati controllando la compilazione/gestione di una cartella clinica di un paziente incontrato e preso in carico dal candidato durante il tirocinio pratico, naturalmente sotto l’attiva supervisione del tutor.
Altri ancora come:
• È in grado di utilizzare la cartella clinica informatizzata e conosce i sistemi informativi del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale
• Dimostra conoscenza sulle principali norme burocratiche e prescrittive

sono valutabili esaminando una scheda per abilità svolte durante il tirocinio che potrebbe essere compilata anche per abilità manuali come ad es.
• Effettuare iniezioni intramuscolari
• Effettuare iniezioni sottocutane
• Effettuare un prelievo arterioso
• Effettuare un prelievo venoso
non direttamente previste nel libretto ma svolgibili in reparto e dal MMG a patto che lo studente le abbia apprese durante il corso di studio.
Infine altri punti come:
• Mette in atto le buone pratiche del rapporto medico-paziente, sa gestire l’accoglienza e strutturare la consultazione (colloquio, relazione, informazione, chiarezza, acquisizione del consenso)
• Dimostra conoscenza e consapevolezza delle regole di organizzazione e funzionamento del reparto o dello studio medico
• Dimostra conoscenza e consapevolezza dei diversi ruoli e compiti dei membri dell’equipe. Riguardano invece la “professionalità” del candidato e possono essere valutate controllando uno scritto riflessivo (narrazione) su argomenti a scelta del candidato su cui ha riflettuto in base dalle esperienze significative sul piano professionale compiute durante il tirocinio.

Proposta per l’adozione di un Diario di Tirocinio Clinico (DTC).

La proposta è dunque quella di valutare il candi- dato durante il TPVES mediante un “Portfolio” contenente 3 diverse tipologie di moduli:

  1. per la descrizione dei casi clinici
  2. per la narrazione di esperienze professionali
  3. per la descrizione di procedure/manualità/abilità che, collezionati a scelta del candidato, potranno essere valutati dal Tutor reparto e dal Responsabile di Area al fine del giudizio finale.

Il Portfolio è un metodo di valutazione noto e ampiamente utilizzato (4) particolarmente adatto a valutare tutti gli aspetti della competenza e l’apprendimento basato sulla pratica clinica (tirocinio). E’ utilizzabile per valutazioni sia formative che certificative nei curricula che prevedono esperienze di tirocinio e internato, sia nel pre-laurea che durante la specializzazione. I punti di debolezza dei portfolio riguardano il fatto che è il candidato a scegliere il materiale e i casi da collezionare e che sia la preparazione che la revisione del portfolio richiedono tempo. I punti di forza sono invece la possibilità di essere revisionati dal valutatore a fini certificativi ma anche al fine di indurre ulteriori riflessioni sul percorso dello studente al fine di sviluppare ulteriori piani formativi e percorsi di apprendimento (feedback).

Il DTC riportato in appendice contiene:

  • “Kit di sopravvivenza” in reparto e dal MMG
    • Elenco del Problemi Clinici Essenziali
    • Elenco delle Abilità Pratiche
    • Obiettivi formativi del tirocinio dal MMG
    • Istruzioni su come collezionare i casi clinici incontrati
      • Line guida su come descrivere un caso clinico (4)
      • Line guida per la narrazione di esperienze si- gnificative sul piano professionale

e

  • Moduli per la descrizione dei casi clinici
    • Schede per lanarrazione di esperienze professionali
    • Moduli per la descrizione di procedure

I moduli sono accumulabili a piacere da parte del candidato che potrà decidere come arricchire il suo Portfolio al fine della sua valutazione.

Particolarmente significativi sono i moduli per la “narrazione” delle esperienze professionali.

Esempi non esaustivi di possibili argomenti sono:

  • Acuzie e cronicità: sono due ambiti fondamentali, che propongono punti di vista sulla cura molto diversi, sia quanto alle risorse mobilizzate che quanto ai modelli di malattia
  • Modelli organizzativi: il tema comprende la distinzione fra ospedale e territorio, la definizione e applicazione di percorsi diagnostico-terapeutici, le implicazioni di carattere economico, il confronto fra mondo della cura e mondo manageriale
  • Gli errori e i fallimenti: con particolare riferimento alle “piccole cattive pratiche facilmente evitabili”, ma anche alla difficoltà di comunicare su questi temi, sia coi pazienti che fra operatori
  • La responsabilità: storie in cui emerga con evidenza il ruolo che la presa di responsabilità del curante ha nel processo di cura
  • Il contatto col corpo: il contatto come luogo simbolico e di  espressione  di  significati  relazionali ma anche come insieme di pratiche (contaminazione, barriere)
  • Le cure palliative: ambito privilegiato in cui dimostrare l’integrazione delle diverse competenze e dei punti di vista. L’integrazione infatti emerge soprattutto quando le possibilità tecniche di in- tervento terapeutico si indeboliscono
  • I conflitti: quando collidono i sistemi di pensie- ro (per differenze di età, di cultura, di posizione sociale), gli obblighi contrastanti (ad esempio il dovere professionale e la vita privata), i punti di vista professionali (ad es. medici vs infermieri, generalisti vs specialisti, ospedale vs territorio)
  • La comunicazione di “cattive notizie”
  • L’educazione del paziente e dei caregiver

Mediante il DTC gli obiettivi didattici dei tirocini in ambiente clinico e dal MMG, come gestire in autonomia pazienti ricoverati o ambulatoriali o dal MMG utilizzando strumenti propri (cartella clinica, cartella informatizzata, ecc.); descrivere attraverso schede narrative e brevi racconti episodi vissuti durante il tirocinio particolarmente significativi per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità medica e svolgere in autonomia (e non più in condizione di simulazione) alcune abilità essenziali previste dal libretto delle attività pratiche, diventerebbero chiari e valutabili.

Il DTC è stato applicato durante in cosiddetto “Biennio Clinico” del  CLMMC-C della Facoltà di Medicina e Odontoiatria della Sapienza: un percorso per gli studenti del V e VI anno molto simile al TPVES che prevedeva la frequenza per un mese presso reparti di medicina, chirurgia e ambulatori di Medicina Generale. In conclusione il nuovo Esame di Stato e in particolare i due strumenti valutativi previsti dal D.M. del 9 maggio 2018, n. 58 (TPVES e Prova Scritta) aprono prospettive didattiche, certamente non nuove perchè largamente discusse nella letteratura internazionale sulla Medical Education, ma altrettanto certamente sviluppate solo in parte dai CLMMC italiani. Raccogliere la sfida organizzativa e contenutistica imposta dal D.M. è tuttavia un’occasione da non perdere per sviluppare a pieno il carattere professionalizzante e la didattica per la competenza nei nostri curricula.

Bibliografia

1) Moncharmont B., et al. Cosa cambia con la laurea abilitante per la Professione medica Sezione 1 il tirocinio pratico- valutativo valido ai fini dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo: istruzioni per l’uso, Medicina e Chirurgia, 79, 3514-3517, 2018.DOI: 10.4487/medchir2018-79-1
2) Gallo P. Cosa cambia con la laurea abilitante per la Professione medica. Sezione 3. Tra progress test e training test, Medicina e Chirurgia, 79: 3524,DOI: 10.4487/medchir2018-79-3.
3) Familiari G., et al. Cosa cambia con la laurea abilitante per la Professione medica. Sezione 2: Il nuovo libretto di Valutazione del tirocinio dell’esame di stato per l’abilitazione alla professione di medico chirurgo: un modello nazionale condiviso, Medicina e Chirurgia, 79, 3518-3523, 2018. DOI: 10.4487/ medchir2018-79-2.
4) Ronald M. Epstein. Assessment in Medical Education N Engl J Med 2007;356:387-96.
5) Joel J. Gagnier et al. The CARE guidelines: consensus- based clinical case report guideline Development. Journal of Clinical Epidemiology 2014; 67: 46-51

Cita questo articolo

Riggio, O. et al, La valutazione degli studenti durante il Tirocinio Professionalizzante Valutativo per l’esame di stato (TPVES): Proposta di adozione di un Diario di Tirocinio Clinico, Medicina e Chirurgia, 83, 3674-3679, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-1

Affiliazione autori

Sapienza Università di Roma

Editorialen.83, 2019, p.3673

La Associazione Conferenza dei Presidenti di corso di laurea in Medicina in questo numero ospita contributi che spero siano di grande stimolo alle sue sempre più numerose attività. L’attenzione del lettore cadrà subito sulla presenza di un bellissimo articolo che riporta i risultati
è di uno strumento validato e diffuso di valutazione della qualità dei tirocini denominato CLEQI, ‘Clinical LEarning Quality Evaluation Index’ che misura la presenza e intensità di alcuni fattori documentati quali precursori di un apprendimento significativo. La Conferenza Permanente dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie, attraverso la costruzione
di una ampia rete di partecipanti, riporta come tale strumento si è dimostrato utile nell’identificazione delle strategie di miglioramento e nell’individuazione del fabbisogno formativo dei Tutor o Assistenti/Guide di tirocinio. Il tema dell’Orientamento, fondamentale per i giovani che si avvicinano agli studi universitari, è affrontato nell’articolo di Fatima Longo e Giuseppe Familiari che riportano i risultati del Progetto Orientamento in Rete di Sapienza. L’articolo rappresenta un modello di continuità formativa tra scuola ed università.
Il nuovo esame di stato è prossima realtà e grazie al lavoro congiunto della Conferenza e della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri è stato redatto il nuovo libretto per il Tirocinio Professionalizzante Valutativo per l’esame di stato (TPVES).
Oliviero Riggio nel suo articolo aggiunge dei metodi aggiuntivi di valutazione ed in particolare propone l’adozione di un Diario di Tirocinio Clinico che potrebbe rendere lineare e simile la conduzione dei tirocini in tutte le sedi. Per migliorare e attualizzare le metodologie della didattica non posso non ringraziare Fabrizio Consorti, past President della SIPeM, per la
sua presenza costante che aggiunge sempre più spunti alla moderna didattica. Un supporto tecnologico di notevole valore per attivare il gruppo
classe sono i “risponditori d’aula”. Il suo articolo ricapitola i principi didattici d’uso dei risponditori e presenta tre prodotti, con caratteristiche
diverse. La rubrica delle notizie grazie al contributo del Prof. Paolo Miccoli, Presidente dell’ANVUR, del Prof. Manuela di Franco per CUN e del SISM è ricca di spunti interessanti. Da ultimo mi piace citare l’articolo corale guidato da Giovanni Boniolo, Raffaella Campaner e Valentina Gazzaniga su una elegante proposta interpretativa e didattica delle Medical Humanities.

Buona Lettura


Andrea Lenzi
Editor-in- Chief of JIME (Journal of Italian Medical Education)

Indice n.83/2019

MEDICINA E CHIRURGIA

QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

83/2019

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale, di Andrea Lenzi

I lavori delle Conferenze

La valutazione degli studenti durante il Tirocinio Professionalizzante Valutativo per l’esamedi stato (TPVES): Proposta di adozione di un Diario di Tirocinio Clinico, di Riggio O., Consorti F., Misasi R., Pagano L.

Preparare i giovani “insieme”: un esempio di continuità scuola-università. Il progetto orientamento in rete di Sapienza: riallineamento dei saperi minimi, di Longo F., Farulla C., Eleuteri S., Relucenti M., Barbaranelli C., Elia M., Basili S., Familiari G.

Clinical Learning Quality Evaluation Index per la valutazione della qualità
dell’apprendimento clinico degli studenti infermieri e raccomandazioni di utilizzo
, di Palese A, Randon. G., Altini P., Benaglio C., Bevilacqua A., Canzan F., Dal Ponte A., De Biasio L., Destrebecq A., Dimonte V., Fascì A., Gambacorti B., Grassetti L., Grosso S., Mansutti I, Mantovan F., Marognolli O., Montalti S., Nicotera R., Terzoni S., Tollini M., Zannini L., Brugnolli A., Saiani L.

Lo spazio dell’ospite

I risponditori d’aula, di Consorti F.

Uomini, Scuole, Luoghi e Immagini nella storia della Medicina

Medical Humanities: una proposta interpretativa e didattica, di Giovanni Boniolo, Raffaella Campaner, Valentina Gazzaniga.

Notiziario

Notizie dall’ANVUR, dal CUN, dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, dal SISM, di Paolo Miccoli, Manuela di Franco, SISM.