Indice n.70/2016

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

70/2016

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SOMMARIO

Editoriale

Editoriale, di Andrea Lenzi e Stefania Basili.

Lo spazio dell’ospite

La simulazione in medicina, di Paola Santalucia, Pier Luigi Ingrassia, Augusto Zaninelli, Luca Ragazzoni, Antonello Ganau, Gian Franco Gensini. 

I lavori delle Conferenze Permanenti

La valutazione dell’Esame di Laurea. La necessità di una standardizzazione, di Bruno Moncharmont

L’aderenza alla terapia in medicina. Il problema, i modelli, cosa insegnare agli studenti e quando, di Stefania Basili, Valeria Raparelli, Roberto Cangemi, Andrea Lenzi.

Notiziario

Notizie dal CUN, dall’ANVUR, dalle Conferenze Permanenti dei Corsi di laurea in Medicina e dalle Conferenze Permanenti delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, di Manuela di Franco, Paolo Miccoli, Amos Casti, Alvisa Palese

Notizie dal CUN, dall’ANVUR, dalle Conferenze Permanenti dei Corsi di laurea in Medicina e dalle Conferenze Permanenti delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Consiglio Universitario Nazionale

Tra la fine di febbraio e l’inizio di aprile  si è conclusa l’analisi degli Ordinamenti Didattici. Complessivamente sono stati esaminati ottantotto Ordinamenti per corsi di studio di nuova istituzione e ottocentonovantuno Ordinamenti didattici modificati. Per quanto riguarda gli ordinamenti di nuova istituzione, il CUN, concluso l’esame delle riformulazioni pervenute, li ha inviati all’ANVUR per le procedure di sua competenza

In questi mesi il Cun ha formulato al Ministro diverse  proposte  tra cui “Proposta in materia di «Orientamento integrato fra Scuola e Università” che contiene alcune analisi e proposte in materia di orientamento integrato fra Scuola e Università. In particolare, il Consiglio ritiene che un percorso di orientamento universitario debba fornire agli studenti strumenti per poter scegliere in modo informato e consapevole il percorso formativo più adatto alle loro abilità, attitudini e vocazioni, così da ridurre gli abbandoni, accorciare il tempo necessario per conseguire la laurea e favorire un proficuo proseguimento negli studi e ingresso nel mondo del lavoro; individua nell’orientamento dentro la Scuola secondaria, nell’orientamento all’ingresso dell’Università e nell’orientamento dentro l’Università i tre momenti qualificanti, meritevoli di interventi.

Nell’adunanza di aprile è stata formulata una” Raccomandazione sulla formazione specialistica in area sanitaria nella bozza del disegno di legge delega in materia di gestione e sviluppo delle risorse umane ex art. 22 Patto per la salute.” NERETTO  nella quale il CUN ha espresso le preoccupazioni condivise dall’area medica nel suo complesso e quindi vista la bozza del disegno di legge delega in materia di gestione e sviluppo delle risorse umane, ex art. 22 del Patto per la salute, ove si prevede di ridurre la presenza dello specializzando nelle sedi atte alla sua formazione, a favore di una cosiddetta attività nelle strutture del SSR, svolta senza una garanzia di coordinamento da parte del Consiglio della Scuola di specializzazione, ha approvato un testo con il quale chiede con forza che:

1)  il sistema della formazione medica specialistica non sia ancora una volta sottoposto a modifiche che ne comportino un ennesimo profondo ripensamento, quando ancora ci si sta confrontando con la prima applicazione del DM 4 febbraio 2015, n. 8, alla base del più recente riordino delle scuole di specializzazione in area sanitaria;

2)  qualunque proposta di revisione sia discussa solo dopo avere sentito le rappresentanze dei docenti e degli studenti, coinvolgendo CUN, CNSU e l’Osservatorio Nazionale della formazione medico specialistica.

Ancora in questi ultimi mesi i lavori sono stati focalizzati anche  su proposte Per la «manutenzione» della l. 30 dicembre 2010, n. 240 (Le analisi e le proposte del Consiglio Universitario Nazionale)

https://www.cun.it/uploads/6250/Lamanutenzionedellalegge240nellepropostedelCUN.pdf Al compimento di un quinquennio dall’entrata in vigore della l. 30 dicembre 2010 n.240, il Consiglio Universitario Nazionale ha ritenuto opportuno analizzare il “rendimento” della riforma e  suggerire correttivi per rendere più raggiungibili alcuni degli obiettivi che il legislatore si era prefissato. Sulla base delle attività di esame svolte in sede istruttoria dalla Commissione speciale interna al CUN in merito alla l. 30 dicembre 2010, n. 240 e dei lavori svolti in aula nel corso delle ultime sessioni, è stato redatto un testo contenente alcune analisi e proposte, che è stato approvato nella precedente seduta del  19/04/2016. Queste indicazioni nascono da un confronto lungo e partecipato, che si era già in parte sedimentato in documenti dei quali sono ripresi, e portati a sintesi, gli spunti qualificanti che vengono posti all’attenzione delle sedi istituzionali, delle comunità accademiche e scientifiche, come avvio di un percorso aperto alle riflessioni e al contributo di quanti siano interessati.

Tra maggio e giugno sono stati formulati :

1)
Parere su «Schema di decreto recante i criteri per il riparto del Fondo di finanziamento ordinario delle Università per l’anno 2016
Il CUN, visto lo schema di decreto recante i criteri per il riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per l’anno 2016, ha approvato un testo con il quale, rilevando in via preliminare quanto esso rifletta, con lievi variazioni, la struttura dei decreti relativi al FFO 2014 e 2015, esprime parere complessivamente favorevole al provvedimento, sia pure a condizione che si attenui l’effetto dell’applicazione del modello del costo standard, che siano minimizzati i margini di variazione nelle assegnazioni del FFO ai singoli Atenei e sia stabilita una data certa per la ripartizione della quota premiale e perequativa.

2)
Parere su «Schema di decreto recante le linee generali d’indirizzo della programmazione delle Università per il triennio 2016-2018 e gli indicatori per la valutazione periodica dei risultati». 
Il CUN ha approvato un testo con il quale, nel condividere la scelta di prevedere misure capaci di orientare e incentivare il raggiungimento da parte degli Atenei di obiettivi prefissati, anche attraverso l’identificazione ex ante di indicatori per la valutazione dei risultati, esprime parere favorevole alle soluzioni accolte nel decreto, sottoposto al suo esame, pur subordinandolo al recepimento di talune condizioni esplicitate. Altre osservazioni sono altresì formulate con specifico riferimento alle previsioni contenute negli Allegati al provvedimento

La Giunta della CRUI nella seduta del 25 maggio ha deliberato di designare quali rappresentanti della CRUI al CUN, in sostituzione degli ex Rettori Proff. Melis e Nappi, il prof. Remo Morzenti Pellegrini (Rettore dell’Università di Bergamo) e il prof. Aurelio Tommasetti (Rettore dell’Università di Salerno). Nell’ultima adunanza di giugno in vista dell’imminente indicazione da parte dell’ANVUR dei valori soglia per la prossima tornata dell’ASN (DPR  95; 4 aprile 2016), sono intervenuti il Presidente Professor Graziosi e la Professoressa Terracini, membro del Direttivo, per informare l’aula dei principi alla base delle indicazioni che l’Agenzia fornirà al Ministro. Alla luce delle informazioni fornite, il Presidente Lenzi ha inviato una lettera al Presidente dell’ANVUR con un allegato contenente alcune considerazioni scaturite dal successivo dibattito in aula.  In relazione alla ASN è stata formulata una: Raccomandazione «In merito alla considerazione dei periodi di congedo per maternità o per motivi di salute, nell’ambito delle procedure per il conferimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale», non previsto nel decreto.

Manuela Di Franco

Segretario generale

 

Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca

L’attività di questi ultimi mesi in ANVUR, è stata caratterizzata inizialmente dai processi di accreditamento dei CdS di nuova istituzione. Sono state valutate richieste di accreditamento di oltre 90 CdS, e all’interno di questi una quota rilevante attiene proprio all’Area 6. In larghissima parte i Corsi hanno ricevuto l’accreditamento dopo l’esame delle controdeduzioni prodotte dagli Atenei e per i pochissimi per i quali l’accreditamento non è giunto vi sono ottime possibilità per una loro riproposizione l’anno prossimo dopo la soluzione di alcune criticità. Analogamente per i Corsi di Dottorato di nuova istituzione la percentuale di accreditamento è stata elevata malgrado i criteri del XXXIII ciclo varati dall’ANVUR (vedi numero precedente) siano lievemente più stringenti. Il processo di accreditamento dei Corsi che hanno subito variazioni è già in fase avanzata e terminerà entro la fine di Giugno garantendo per Luglio la fine del processo per tutti i Corsi di Dottorato.

Da segnalare inoltre, il 24 Maggio u.s. l’accordo fra ANVUR ed Osservatorio, sancito nel Corso di un Evento al MIUR, presenti anche i Rappresentanti del Ministero della Salute, dell’inizio di un processo di Valutazione dei Collegi di Docenza delle Scuole di ambito sanitario da parte dell’Agenzia.

Lo stesso giorno avveniva la presentazione del rapporto biennale ANVUR all’Auditorio Antoniano alla presenza del Capo Dipartimento,dei Presidenti  CUN e CNR e di numerosi rettori.

Dopo l’uscita del DPR del Giugno u.s. sulla seconda fase di Abilitazione Scientifica Nazionale il Ministro Stefania Giannini ha firmato l’8 Giugno il relativo DM che dà mandato all’ANVUR di proporre i valori soglia per tutti e tre gli indicatori, al raggiungimento di almeno due dei quali è legata la possibilità di adire il giudizio delle Commissioni da parte degli aspiranti all’accesso alla prima e seconda fascia nonché anche alla qualificazione degli aspiranti Commissari, per i quali, si ricorda, il DM richiede una qualificazione scientifica “caratterizzata da criteri e parametri…più selettivi di quelli richiesti ai candidati”.. Tali valori dovrebbero essere approvati dal CD  dell’ANVUR il 27 Giugno e direttament inviati per parere al CUN che si esprimerà presumibilmente all’inizio di Luglio. Il Ministro varerà infine I valori soglia che, una volta definiti, renderanno possibile l’avvio delle procedure previste appunto entro il mese di Luglio.

Segnalo infine che a seguito della scadenza del mandato del professor Stefano Fantoni come Presidente dell’Agenzia si è eletto un nuovo Presidente nella persona di Andrea Graziosi professore di Storia presso la Federico II di Napoli.

Paolo Miccoli

Direttivo ANVUR

 

Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio dei CLM in Medicina e Chirurgia

Nella magnifica sala San Donato della Rocca Salimbeni della Banca Monte dei Paschi di Siena si svolgono i lavori della Conferenza. All’apertura dei lavori il Presidente Prof. Mario Messina presenta le Autorità che per il tramite del Dirigente della Fondazione Monte dei Paschi, del Direttore del Dipartimento anche a nome del Rettore, del Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria e del Presidente dell’Ordine dei Medici, portano il loro saluto e gli auguri di buon lavoro.

Il Presidente della Conferenza ringrazia le Autorità, si complimenta per la prestigiosa Sede e rimarca il ruolo della Conferenza nella preparazione del medico.

Per le “notizie dal fronte” il Prof. Lenzi cita la mozione del CUN per le Scuole di Specializzazione affinché lo specializzando alla fine del suo percorso abbia lo stesso tipo di preparazione in tutte le sedi del territorio nazionale e contesta alcune critiche sollevate riferendo quanto fatto a livello del CUN e per il tramite dell’Osservatorio delle Scuole di Specializzazione e rileva che il progress test e le site visits in questo contesto sono complicate per l’enorme numero delle Scuole operanti in Italia. In merito all’orientamento alla scelta della Facoltà, problema molto sentito a livello ministeriale, ricorda il documento del CUN. Infine affronta la problematica relativa all’esame di laurea abilitante che prevede una commissione ministeriale con un adeguato apporto della Conferenza e la necessità che il percorso formativo e le verifiche siano fattibili e svolte nella stessa maniera in tutte le sedi.

Stefania Basili affronta “Il tema dell’Aderenza alla terapia in medicina (il problema, i modelli, cosa insegnare agli studenti e quando)”. Per aderenza alla terapia si intende il conformarsi del paziente alle raccomandazioni del medico riguardo ai tempi, alle dosi e alla frequenza nell’assunzione del farmaco per l’intero ciclo di terapia. Pazienti non aderenti alla terapia potrebbero essere attribuiti a medici che non hanno facilitato le prescrizioni terapeutiche, da qui l’esigenza di come e cosa insegnare agli studenti e ciò che possa facilitare l’aderenza alla terapia, soprattutto per le pluriterapie.

Alfred Tenore presenta “Il Progress test 2015: risultati e prospettive”. Come sempre vengono analizzati la notevole disponibilità di dati per la grande partecipazione di quasi tutte le sedi, che oltre fornire grande affidabilità a questo strumento lo pongono ad un importante livello internazionale; sono distribuite ai Presidenti le schede con i risultati delle singole sedi.

Nel pomeriggio di venerdì 8 aprile si svolge il Forum “Esperienze di lavoro di gruppo”, magistralmente presentato da Fabrizio Consorti e con i gruppi che si occupano di: a) CTP, coordinato da Oliviero Riggio; b) Gestione del Corso integrato, coordinato da Giuseppe Familiari; c) Interprofessionale, coordinato da Davide Festi; d) Personale tecnico-amministrativo, coordinato da Bruno Moncharmont. Si conclude con la riunione plenaria sotto la guida di Pietro Gallo.

Nella giornata di sabato 9 aprile, il Presidente comunica alcune modifiche nella organizzazione e gestione della Conferenza, e in particolare;

  1. a) la trasformazione della Conferenza in Associazione con approvazione notarile;
  2. b) la rivista articolata in sezioni, con articoli sottoposti a referee e non più a invito, tranne casi particolari, con norme redazionali definite e comitato editoriale;
  3. c) applicazione delle mozioni deliberate dalla Conferenza e divulgate dal Presidente;
  4. d) le delibere approvate debbono essere applicate e calate sulle realtà accademiche, territoriali e sui singoli Corsi di Laurea;
  5. e) le rappresentanza studentesche approvate (EMSA) saranno invitate nella riunione successiva. Tutto ciò viene approvato all’unanimità.

Il Prof. GF. Gensini (Presidente SIMMED), su invito, presenta “Simulazione in medicina e pedagogia medica: quali modifiche nel corso può comportare, con quali gradi di libertà per i singoli CLM”. Vengono definite tutte le condizioni necessarie e ottimali per la simulazione, le esperienze di alcune sedi, il documento programmatico della società scientifica italiana per la simulazione in sanità, con gli obiettivi, la metodologia e il decalogo e i riferimenti riportati nella pubblicazione su Intern Emerg Med DOI 10.1007/s11739-015-1341-2.

  1. Familiari con il coinvolgimento di C: Barbaranelli presentano “Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di medicina” per un migliore riconoscimento delle caratteristiche psicoattitudinali dei candidati, miglior orientamento professionale per gli stessi, migliore selezione dei candidati al fine di migliorare la qualità della professione, diminuire i drop out e quindi i tempi di latenza tra la fine della scuola superiore e l’ingresso nel lavoro. Le fasi dello studio si svolgeranno con i seguenti tempi: all’inizio del CDL, del terzo anno, alla fine del quarto e del sesto e a due anni dalla laurea. Viene presentato il questionario del tempo 2, previsto per il terzo anno, che viene approvato all’unanimità.

Per il punto relativo a “Relazioni dei Gruppi di Lavoro sulla stato dell’arte della attività e dei Delegati alla Attività di Monitoraggio” viene definito lo stato dell’arte e la fase di avanzamento dei seguenti gruppi: a) Core curriculum: definizione e monitoraggio, C. Della Rocca; b) Simulazione didattica ed altre attività professionalizzanti e di tirocinio, A. Ganau; c) Test di ammissione: primi risultati delle sedi piemontesi, G. Migliaretti; d) Studio comparativo fra risultati degli immatricolati “regolari” e “ricorrenti”, A. Bossi.

I prossimi incontri si terranno a Roma il 4 luglio 2016 e il 16 e 17 settembre 2016 a Messina.

L’Editor della Rivista mostra l’indice con i titoli del numero 69/2016.

Amos Casti

Segretario generale

 

Conferenza permanente delle Classi di laurea delle Professioni sanitarie

Lo scorso 16 maggio si è tenuta a Bologna la riunione di Giunta della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie.  Tra i tanti temi affrontati, si segnalano:

  1. Su invito della Direzione Generale Professioni Sanitarie Ministero – dott. Ugenti, l’Ufficio di Presidenza ha partecipato al Convegno di presentazione degli esiti del progetto “Joint Action on Health Workforce Planning and Forecasting” inerente la definizione del fabbisogno di professionisti per i prossimi 20 anni. Durante il congresso che si è tenuto a Roma preso il Ministero, è emerso che: a) sono ad oggi all’attenzione dei fabbisogni due professioni disciplinate da Direttive Europee, infermieri ed ostetriche. La Conferenza ha chiesto che l’attenzione sia allargata progressivamente verso tutte le professioni; b) senza dubbio la definizione del fabbisogno di medio – lungo periodo è apprezzabilissima poiché aiuterà a stabilizzare i Corsi di Laurea (CdL), una importante esigenza attuale del sistema; c) è notevole il lavoro metodologico svolto sino ad oggi dal Ministero per addivenire ad una strategia di definizione dei fabbisogni delle professioni sanitarie che colloca l’Italia tra i Paesi di punta in Europa. I documenti presentati sono disponibili ai seguenti link: http://healthworkforce.eu/events/19052016-the-final-convene-on-the-pilot-project-italy-dissemination-event/; http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato3189134.pdf. Inoltre, l’Ufficio di Presidenza ha partecipato attivamente al meeting Congresso Bulgaria – Varna (Febbraio 2016), in cui sono stati riferiti i risultati raggiunti dai diversi Paesi. http://healthworkforce.eu/events/18022016-varna/
  2. È stato re-istituito l’Osservatorio Permanente (10 marzo 2016 – DI n. 155) presso il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca (di cui alla legge 10 agosto 2000, n. 251 ed al decreto del 19 febbraio 2009). http://attiministeriali.miur.it/media/271913/di_10032016_n155.pdf L’Osservatorio Nazionale, di cui fanno parte 10 componenti del Comitato di Presidenza e 27 rappresentanti delle 22 professioni sanitarie, formula proposte e pareri in ordine alla definizione di:
  • a) linee di indirizzo per l’elaborazione di requisiti d’idoneità organizzativi, strutturali e tecnologici, per l’accreditamento delle strutture didattiche universitarie e ospedaliere per la formazione delle figure professionali di cui alla legge n. 251/2000;
  • b) linee guida per la stipula dei protocolli d’intesa tra le Regioni e le Università, a norma dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo n.502/1992 e dell’art.6, comma 13 della Legge n.240/2010;
  • c) criteri e modalità per assicurare la qualità e la formazione in conformità alle indicazioni dell’Unione Europea;
  • d) criteri e modalità per il monitoraggio dei risultati della formazione delle figure professionali dell’area sanitaria.
  1. È proseguito il dibattito sui SSD MED 48-50: come noto, con Decreto Ministeriale 855 del 30 novembre 2015 http://attiministeriali.miur.it/anno-2015/ottobre/dm-30102015.aspx si sono rivisti i Settori Concorsuali ed in particolar modo quelli a cui afferivano SSD cosiddetti “sotto-quota” (meno di 10 PO per SSD e meno di 20 per SC) senza modificare l’assetto complessivo; inoltre, lo stesso DM definiva la possibilità che uno stesso SSD possa afferire ad un solo SC. Pertanto, è stata abrogata la possibilità di presentare multiple domande (pluri-afferenze). Per elaborare declaratorie in grado di fungere da guida ed aiuto nella valutazione dei candidati dei SSD che riflettono i SSD MED 48-50 con linguaggi che ne assicurino la comprensione della tipizzazione, ciascun Presidente/Vicepresidente di Commissione è stato invitato ad elaborare proposte con la Commissione e ad inviarle all’Ufficio di Presidenza che si è resa disponibile anche per supportare i lavori. Durante l’incontro di Giunta le proposte sono state dibattute e sistematizzate. A breve sarà a disposizione il verbale.
  2. È stato definito il programma del Meeting della conferenza (accreditamento ECM in corso) che si terrà a Bologna dal 23 al 24 settembre pv (complesso Universitario in Via Belmeloro). Dopo venti anni di formazione a livello universitario, si discuterà sulla “Stabilità e integrazione dei Corsi di laurea delle professioni sanitarie nel Sistema Universitario”. Saranno trattate molte tematiche, tra le quali quelle relative all’accreditamento dei CdL da due punti di vista particolari:
  3. dei processi (Quali sono le esperienze, e che cosa abbiamo imparato dai processi di accreditamento condotti in Italia dalle Commissioni CEV sino ad oggi? Come prepararsi al meglio alla visita di accreditamento? Quale ruolo hanno gli studenti e come prepararli in modo efficace?);
  4. della struttura (Come affrontare la disomogeneità dei protocolli regionali e dei finanziamenti dei CdL? Dopo vent’anni di formazione universitaria, la collocazione dei coordinatori/direttori della didattica professionalizzante e dei tutor è adeguata? Quali sono i criteri di attribuzione della docenza professionalizzate nei corsi di laurea?).

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Saranno inoltre sviluppate le tematiche inerenti lo sviluppo delle competenze manageriali e cliniche (Quale differenziazione è possibile per le lauree magistrali?) e quelle che preparano ad una carriera accademica (Quali dottorati devono essere disegnati per preparare la nuova generazione alla carriera accademica?).

Saranno presenti il prof. Andrea Lenzi Presidente del CUN, il prof. Paolo Miccoli (componente ANVUR), la dott.ssa Rossana Ugenti (Direttore Generale della D.G. delle Risorse Umane e delle Professioni Sanitarie) e la dott.ssa Vanda Lanzafame (Dirigente Ufficio VI DGSINFS-Esami di Stato e Dottorati). Inoltre, il Managing Editor prof. Giovanni Danieli, interverrà sullo stato dell’arte della rivista e sul suo sviluppo. Il programma dettagliato è disponibile al sito: http://www.conferenzapermanentelaureesanitarie.unito.it/index.html.

E’ inoltre prevista una sessione poster per condividere esperienze di utilizzo a scopo didattico di simulazioni su technical e non-technical skills nei Corsi di Laurea e di Laurea Magistrale delle professioni sanitarie. http://cplps.altervista.org/blog/wp-content/uploads/2011/07/SESSIONE-POSTER-CONFERENZA-BOLOGNA-2016.pdf. Le proposte andranno trasmesse in forma di abstract entro il 10 settembre (max 300 parole, con indicazione di titolo, autori, affiliazione) alla: Dott.ssa Elisabetta Losi Università di Modena e Reggio Emilia elisabetta.losi@unimore.it.

Alvisa Palese

Segretario generale

 

Segretariato Italiano Studenti in Medicina Scambi professionali italiani

Il progetto Clerkship Italiane-Clerkita, rivolto agli studenti del quinto e sesto anno di corso ed ai tesisti, consiste in un mese di tirocinio presso reparti di “eccellenza” in un ateneo italiano diverso dalla propria sede di studio. Per reparti di eccellenza intendiamo reparti che, a detta degli studenti della facoltà di riferimento, possiedono un elevato potenziale formativo. I partecipanti al progetto ricevono il supporto organizzativo della sede ospitante, oltre ad aver garantito alloggio ed un pasto al giorno per tutta la durata dello scambio.

Dove siamo arrivati?

Il progetto è attualmente attivo in 26 poli universitari: Ancona, Bologna, Brescia, Campobasso, Catania, Catanzaro, Chieti, Ferrara, Foggia, Genova, Messina, Modena, Napoli Federico II, Palermo, Parma, Roma La Sapienza, Roma Sant’Andrea, Roma Tor Vergata, Salerno, Sassari, Siena, Torino, Trieste, Udine, Varese e Verona. Altre università hanno manifestato interesse ad avviare il progetto per la campagna 2017-2018.

Già nel 2011, la Conferenza ne ha consigliato l’implementazione riconoscendone le potenzialità formative, confermate poi nel 2015 con l’attribuzione di 2 crediti formativi agli studenti.

Come potremmo migliorarlo?

Solo una piccola parte degli atenei, però, fornisce la copertura assicurativa ai partecipanti, portandoli negli altri casi a ricorrere ad assicurazioni esterne con il limite evidente di creare disomogeneità nella polizza. Il SISM, per tale motivo, si è già attivato nel contattare varie compagnie assicurative per fornire agli studenti una copertura più efficiente, ma riteniamo che il supporto delle università e delle loro polizze assicurative possa rappresentare una garanzia per la crescita ed il miglioramento del progetto.

Ci rimettiamo quindi alla competenza dei Presidenti di Corso di Laurea per continuare l’intesa e il supporto che la Conferenza Permanente ci ha garantito in tutti questi anni.

Silvia Raddi, Giustino Morlino

La nascita del concetto di “clinica” negli Scritti medici e in altre opere di Augusto Murrin.70, 2016, pp. 3200-3207, DOI: 10.4487/medchir2016-70-8

Abstract

Anche se il termine clinica è iniziato ad essere usato correntemente tra il XVI e il XVII secolo (secondo quanto registrato dallo Zingarelli) la clinica, intesa come la medicina volta a risolvere i problemi di salute del singolo malato, per lungo tempo non venne considerata una disciplina distinta dal sapere medico generale, così come la figura del medico è stata a lungo considerata unica, sia che questi si limitasse a curare i pazienti nell’attività clinica propriamente detta, sia che si dedicasse anche alla sperimentazione sugli animali e/o alle indagini morfologiche.

Il percorso culturale che portò a ritenere la prassi medica alletto del malato come una disciplina autonoma, sostanzialmente diversa e distinta dalla patologia speciale medica ed ancor più dalla patologia generale, è iniziato nel XVII secolo, venendo a conclusione nella prima metà degli anni ‘90 con gli insegnamenti di Augusto Murri. Questo lungo cammino ideale ha finito per coinvolgere molte figure celebrate dalla Storia della medicina ed è quindi arduo indicare tutti gli attori di questa innovazione del concetto di Clinica. Appare comunque possibile riconoscere tra i suoi protagonisti almeno tre figure chiave: l’olandese Hermannus Boerhaave, principale oppositore delle fantasiose teorie della cosiddetta medicina dei sistemi, il cesenate Maurizio Bufalini, primo avversario in Italia della didattica accademica facente riferimento ai medesimi principi e il marchigiano, Augusto Murri, Clinico Medico all’Università di Bologna ed indiscusso Maestro di Metodologia medica.

Il presente scritto si propone di illustrare- mediante alcuni cenni concernenti le opere di questi AA. – il significato culturale rappresentato dalla precisazione del concetto di clinica per la gnoseologia medica.

Articolo

Per presentare la figura scientifica di Augusto Murri si è soliti  utilizzare l’appellativo di “grande clinico” ma – verosimilmente – non tutti coloro che adoperano questo appellativo  sono pienamente consapevoli del preciso significato di questo termine. Si dice che Murri fu un grande clinico perché ebbe successo come medico?  O grande clinico perché seppe formare egregiamente, con il suo efficace insegnamento, un’intera generazione di  giovani medici? O per aver approfondito alcune problematiche relative a particolari malattie come le emoglobinurie o la fisiopatologia della febbre? Certamente Augusto Murri fu anche tutte queste cose e tuttavia il termine “clinico” allude ad un significato distinto da tutte queste accezioni e fa riferimentto ad una ben precisa fase  – e alquanto travagliata vicenda storica della medicina, quella del riconoscimento del concetto stesso di clinica e della sua autonomia come disciplina scientifica. Di questo riconoscimento Augusto Murri deve essere considerato  il principale artefice: pertanto il presente scritto  si propone di presentarne la figura non tanto – o non solo – come medico di successo o come magistrale docente accademico, bensì  come promotore di un modo di svolgere la professione fondato sul ragionamento logico e sulla critica che- come egli stesso precisò –  “non è altro che la logica esercitata sul pensiero”. (Scritti Medici, p. 530).

Appare quindi appropriato iniziare quest’esposizione con alcune considerazioni relative alla pratica medica.

Anche se il termine clinica ha cominciato ad essere usato correntemente tra il XVI e il XVII secolo (secondo quanto registrato dallo Zingarelli) la clinica, intesa come la medicina volta a risolvere i problemi di salute del singolo malato, per lungo tempo non venne considerata una disciplina distinta dal sapere medico generale, così come la figura del medico è stata a lungo considerata unica, sia che questi  si limitasse a curare i pazienti nell’attività clinica propriamente detta, sia che si dedicasse anche alla sperimentazione sugli animali e/o alle indagini morfologiche. Anche più tardi, quando per  il progressivo viluppo degli studi  di fisiologia, di medicina sperimentale, di patologia generale e di anatomia patologica, l’attività dei ricercatori divenne particolarmente caratterizzata distinguendosi sempre più da quella del curante così da far sorgere l’esigenza dell’istituzione di specifiche cattedre relative a queste discipline inducendo i ricercatori ad occuparsi specificatamente di questi settori del sapere medico e ad occuparsi sempre meno della diagnosi e della cura dei malati dedicandosi esclusivamente dello studio teorico-sperimentale dei fenomeni fisiologici e patologici.

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Specchio di tali orientamenti  può  essere considerata l’organizzazione delle Scuole mediche e delle Facoltà mediche ottocentesche i cui corsi erano denominati  “Istituzioni Mediche” a contenuto prevalentemente nosologico. Anche se in alcune università potevano essere impartite lezioni  al letto del malato, che potrebbero essere viste come i primi abbozzi delle più recenti cattedre di Clinica Medica (può essere citata a questo proposito il celebre insegnamento tenuto a Padova da Giovanni Battista dal Monte (1489-1551), ritenuto – anche se non del tutto provato – il primo esempio di autentica Scuola a carattere clinico nella Storia della Medicina (Gasbarrini). Tuttavia, anche questo tipo di didattica veniva svolta più al servizio della nosografia che della clinica medica quale viene attualmente considerata,  dato che l’osservazione dei malati serviva come esempio di quadri morbosi già codificati anziché costituire essa stessa occasione di studio e di ricerca. Ed anche dopo che Claude Bernard ebbe inidicato un fondamento concettuale rigoroso alla metodologia della ricerca biomedica, restava ancora da mettere in chiaro quale fosse la natura della pratica esercitata al letto del malato rimanendo assorbita nell’appellativo  generico di medicina.

Fu ancora  Padova – come ricorda Antonio Gasbarrini – la sede (o una della prime sedi) in cui  il termine di “Cattedra di Medicina Clinica”  trovò la sua denominazione ufficiale.

L’avvenimento si realizzò alla morte di Andrea Comparetti, che fu insegnante dal 1782 al 1801 di Medicina Sperimentale  e, contemporaneamente,  titolare della Schola Institutionum Medicarum o Scuola dei trattati teorico-pratici. Alla sua scomparsa, i due insegamenti vennero scissi: il primo, venne affidato a un suo allievo, Domenico Marani, assumendo la denominazione  di Schola Medicinae Praticae in Nosocomio mentre l’altro insegnamento fu assegnato a Francesco Luigi Fanzago.

Quattro anni più tardi, nel 1806,  le denominazioni di entrambe le cattedre vennero ulteriormente cambiate: la prima, quella affidata a Marani divenne la Cattedra di  Clinica e terapia speciale per medicina interna, la seconda assegnata al Fanzago, Cattedra di Patologia Speciale.

La denominazione di Cattedra di Clinica Medica comparve pressappoco negli stessi anni anche in altre sedi  universitarie:  ad esempio a Bologna ad opera di Antonio Testa, nel  1802.

Questi avvenimenti avrebbero potuto chiarire definitivamente il problema della natura epistemologica della prassi medica come disciplina autonoma, meritevole di un insegnamento distinto dalla nosografia; non tutti gli studiosi del tempo ritennero giustificata la divisione tra medicina teorica e medicina praticata, ritenendo, quest’ultima nient’altro che l’applicazione dei principi propri della prima. Ed ancora negli anni seguenti, fino al XX° secolo, fra i clinici di diversi paesi europei – Polonia e Italia soprattutto – continuarono a confrontarsi due differenti orientamenti epistemologici. Da un lato veniva ritenuto che la medicina dovesse comunque mantenere un assetto unitario e che l’attività clinica, sia che fosse dedicata alla diagnosi e alla terapia, sia che fosse rivolta alla costruzione di teorie patologiche, costituisse comunque un unicum nel quale non era possibile distinguere parti diverse. Così, per esempio, il più deciso difensore di questo punto di vista – il clinico padovano Achille De Giovanni (1838-1916) – ha sostenuto l’idea che la medicina clinica sia una disciplina biologica, simile a tutte le altre e che l’attività professionale dei medici  debba essere considerata una scienza unica, a un tempo teorica e pratica. L’altra prospettiva epistemologica, invece, vedeva nella prassi medica una disciplina sostanzialmente diversa e distinta dalla patologia speciale, e ancor più dalla patologia generale. Era considerata una scienza rivolta non a chiarire i fenomeni biomedici generali, ma gli eventi patologici riscontrabili nei singoli pazienti. (Filosofia della Medicina a cura di G. Federspil, P.D. Giaretta, C. Rugarli, C Scandellari e P. Serra; Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008, pp. 177 e segg)

Va del resto rilevato come negli stessi ambienti accademici la distinzione tra i due tipi di attività non sia stata correttamente compresa, a tal punto che (ancora nella seconda metà del secolo scorso) molti Docenti di Clinica Medica svolgevano il loro corso replicando i contenuti propri della Patologia Speciale Medica.

La dicotomia tra medicina teorica e pratica medica  non è questione solo semantica o circoscritta ad eventi di politica accademica. In realtà la questione è  sostanziale. Infatti, come ha fatto notare anche Giovanni Federspil, mentre nelle discipline mediche teoriche, dalla fisiologia alle patologie speciali, le osservazioni riguardano sempre classi di oggetti, in clinica non esistono più affermazioni generali, ma soltanto casi clinici singoli e «spiegazioni» di questi casi. Il clinico, in quanto tale, non si interessa più della legge. Con una felice immagine, Giacinto Viola espresse questo medesimo concetto: “Riferendoci alla curva degli errori, mentre la patologia speciale medica si occupa, per cosi dire, dei centri della curva di seriazione, la clinica si occupa invece di tutti gli sbandamenti da quel centro, della loro posizione rispetto a quel centro e della speciale e sempre nuova combinazione loro nel sistema patologico individuale che viene a formarsi. Impossibile quindi in clinica prestabilire e sistematizzare. In clinica tutto è improvvisazione, caso per caso, e gli ammalati cosi diversi sempre, anche quando hanno la stessa malattia, sono poi così mobili nei loro sintomi e fatti obiettivi, che spesso ciò che di essi si dice alla sera non è più vero al mattino. Invece in patologia medica i quadri morbosi sono statici, sono la codificazione dell’esperienza secolare della medicina, sono espressioni medie e solo lentamente e insensibilmente si evolvono con il progresso delle conoscenze. Insomma la clinica descrive, diagnostica, prognostica e cura l’«ammalato», la patologia speciale descrive, diagnostica, prognostica, cura le «malattie». La prima si occupa sempre di un avvenimento concreto, la seconda sempre di avvenimenti ideali (in: Grande Dizionario Enciclopedico UTET, 14-15).

Pertanto se ci limitasse a considerare il riconoscimento  formale dell’espressione “clinica medica”, come una questione solo semantica, non si  renderebbe giustizia né del lungo travaglio con cui si è giunti a questo risultato né allo svolgimento del lungo lavorio intellettuale che ne sta alla base né infine, ai dibattiti  – e ai loro protagonisti – che hanno portato il mondo medico a riconoscere il giusto significato epistemologico della loro professione. E a questo proposito, anticipando in parte un pensiero assai noto di Augusto Murri secondo cui.” il segreto per riuscire nell’esercizio della medicina non sta tutto nell’acquisto di un gran sapere, né nell’aver veduto un gran numero di malati. Queste son due condizioni certamente utilissime, ma il più essenziale sta nel loro intermedio, ossia nella facoltà di applicare le nozioni acquisite a ogni caso singolo (37, I0). Questo insegnamento  – correttamente inteso – intende affermare che la pratica medica si perfeziona mediante lo sviluppo di metodi nuovi più di quanto non si ottenga mediante l’accumulo di conoscenze.

Non è possibile – se non altro per ragioni di spazio – esporre dettagliatamente le vicende che hanno caratterizzato il percorso tracciato dagli studiosi che si sono impegnati in questa impresa.  Ma procedendo lungo questa linea di pensiero che – di fatto –  pone una sorta di equivalenza tra pratica medica e metodologia, sarà sufficiente qui ricordare – sia pure succintamente – il contributo dato  alla questione da tre grandi protagonisti: Hermannus Boerhaave, Murizio Bufalini e principalmente, Augusto Murri.

Hermannus Boerhaave nacque a Leiden  in Olanda.  Studiò nella sua città natale e nel 1701 ebbe la cattedra di medicina teorica. Insegnò inoltre botanica e chimica aderendo a concezioni meccanicistiche  e materialiste. Come medico e consulente,  riscosse uno straordinario successo divenendo famoso in tutta l’Europa; venne consultato dalle più celebri personalità della cultura e della politica del tempo. Il grande Albert von Haller che fu anche suo allievo e  che scrisse i Commentarii alle Istituzioni di Boerhaave, lo definì communis totius Europae preceptor . Alla sua morte, Boerhhaave lasciò un’ingente fortuna, frutto della sua attività di grande successo come medico e di consulente.

Per comprendere appieno l’importanza del pensiero sostenuto da Boerhaave è necessario ricordare l’influsso che i cosiddetti sistemi medici  avevano esercitato e continuavano ad esercitare sulla prtica medica, nei secoli XVIII e XIX

A quei tempi , in contrasto con il principio dominante in medicina che affermava la necessità di una spiegazione chimica e fisica di tutti i fenomeni della vita (Castiglioni p. 516) sorge con Giorgio Ernesto Stahl  autore della sua opera principale, nella quale asserisce essere principio supremo della vita, l’anima, la quale provoca nell’organismo una serie di movimenti dai quali dipende la vita sana, normale e la cui eventuale  alterazione  determina la malattia. Il carattere esclusivamente speculativo delle affermazioni di Stahl si prestarono a far nascere, ad opera di vari Autori , di dottrine più o meno disparate essenzialmente basate all’assunzione dell’esistenza di diversi principi primordiali origine di tutta una serie di fenomeni osservabili nell’organismo sano e in quello malato.

Ognuno di questi autori, si ritenne autorizzato, pur in assenza di elementi di prova oggettivi, a farsi assertore e sostenitore di un sistema  teorico che pretendeva di spiegare tutti i fenomeni degli organismi viventi: al sistema animistico di Stahl si sostituirono via via  dottrine  che finirono per caratterizzare un’epoca della storia della Medicina, nota attualmente come Medicina dei, sistemi: appellativo derivato o, per lo meno riecheggiante – dal titolo  di un’opera  la Medicina Rationalis Systematica scritta da uno di questi Autori, Federico Hoffmann (1660-1742). Così nei secoli seguenti – dal XVII al XIX – si susseguirono nella pratica medica vere e proprie concezioni filosofiche, dalla  concezione animistica dello Stahl, al vitalismo di William Cullen(1712-1790) e  di Alberto von Haller (1708-1777) ,al brownianismo di John Brown  (1735-1788) fino al mesmerismo  fondato di Francesco Mesmer (1734-1815) che può essere ritrovato sia pure con accezioni molto modificate, anche in attuali tecniche terapeutiche (magnetoterapia, pranoterpia.

La comparsa  sulla scena medica europea dell’olandese Hermannus Boerhaaven segna una fondamentale svolta che modifica  profondamente il pensiero e la pratica medica del tempo

Boerhaavesi oppose con autorevolezza alle astrazioni degli aderenti ad ogni tipo di sistema medico e affermando con forza la necessità di fondare il pensiero medico non tanto sul solo studio dei classici, svincolandolo da discussioni filosofiche e metafisiche e rivolgendosi piuttosto all’esame del malato secondo il concetto essenzialmente ippocratico. Nel suo insegnamento afferma il principio secondo cui bisogna considerare l’organismo sano o malato indipendentemente da ogni dogmatismo:  al letto del paziente deve  cessare ogni discussione teorica, poiché scopo della medicina non è quello di interpretare le origini del male quanto piuttosto quello di perseguire la guarigione del paziente, in un contesto genuinamente ippocratico. In sostanza, Boerhaave capovolge il principio sostenuto, fino all’estremo, dai sistemisti dottrina consisteva nel “costruire dapprima le teorie sulle quali adattati  gli esperimenti ed adagiato il malato” (Castiglioni, p.540).

A quel tempo tuttavia l’invito di esaminare accuratamente il malato  risultava praticamente sterile anche per la mancanza di standardizzati procedimenti d’esame dei malati. Se ne rese conto lo stesso Boerhaave  il quale, nel 1751 si pose questo problema e tentò di risolverlo pubblicando egli stesso il De Methodo Studii Medici Prolegomena, in due volumi, vero e proprio trattato (Fig. 2) su tutte le materie ritenute al tempo utili all’insegnamento della medicina, ivi comprese nozioni di geometria, di meccanica fisica, di botanica, oltre – naturalmente – a nozioni specifiche di anatomia, di chimica, di patologia e di materia medica. Ma la caratteristica estremamente innovativa e che più interessa l’analisi che si sta facendo, è costituita da un corposo capitolo (Fig. 3) – la pars X – dedicata alla Semeiotica.

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La fama acquisita da Boerhaave in tutta Europa per le sue doti di medico, di diagnosta e di terapeuta si mantiene anche attualmente; il suo pensiero trova ampia descrizione sui testi di Storia della Medicina soprattutto per aver saputo riportare la medicina nell’ambito delle concezioni tipicamente ippocratiche; non minor merito sembra a chi scrive fu l’aver completato il corpus didattico della medicina indicando le basi di quella disciplina – la metodologia medica – naturale ed indispensabile perfezionamento di ciò che sarà il futuro insegnamento clinico.

Il successo e la fama di Boerhaave come medico non furono tuttavia sufficienti a persuadere il mondo medico dell’inconsistenza delle idee sostenute dai sistemisti i quali continuarono almeno fino la seconda metà del de XIX secolo – a professare e ad insegnare  i loro principi. Tra loro vanno ricordati  almeno  Antonio Giuseppe Testa (1/56-1814), Giovanni Rasori (1766-1837) e Giacomo Tommasini (1768-1846).

Ma in questi stessi anni, cominciarono a manifestarsi anche alcune ferme  critiche nei riguardi dei sistemi medici, sollevate,  in ambito accademico, da un giovane assistente di Clinica Medica a Bologna: Maurizio Bufalini.

Maurizio Bufalini, nato a Cesena nel 1787, era un giovane assistente di Antonio Testa allora titolare della Cattedra di Clinica Medica all’Università di Bologna da lui istituita nel 1802, assertore della concezione vitalistica. Ancora da studente, nel 1813, Bufalini aveva scritto un saggio “Della dottrina della vita” nel quale affermava, contrariamente alle tesi del suo Direttore, che la vita è un fenomeno complesso che non può essere definito se non dalla conoscenza di tutti i fatti minori che la costituiscono, e sostenendo di conseguenza, che il semplice dinamismo – uno dei sistemi medici dei quali si è detto – è un assurdo. Qualche anno più tardi, nel 1819 scrisse “I fondamenti della patologia analitica” nei quali proclamava, a  fondamento della scienza medica, l’esame dei fatti. (Castiglioni, p. 607).

Nel 1814 Antonio Testa moriva e nelle more della nomina del successore l’insegnamento venne affidato per incarico per un anno, al giovane Bufalini, dalle idee del tutto diverse ed opposte a quelle diffuse dallo stesso Testa a da Giacomo Tommasini.  che sarà,  nel 1815, il reale successore titolare del Testa. Nel breve tempo in cui insegnò a Bologna, Bufalini si adoperò a contrastare l’uso di teorizzazioni, dei sistemi e delle interpretazioni solo “filosofiche” dei fenomeni della natura, cercando di persuadere i colleghi della necessità di sostituirvi il metodo sperimentale, fondato sulla osservazione dei fatti e sulla loro interpretazione critica: in questo modo, Bufalini  andava ponendo  le basi di quel razionalismo critico che doveva ricevere la completa maturazione e il pieno sviluppo da parte di Augusto Murri, salito più tardi nel 1875 alla cattedra di Clinica Medica bolognese. Tuttavia le esortazioni di Bufalini non riscossero a Bologna molta considerazione e nel 1829 gli fu negata la successione al Tommasini. Trasferitosi il Tommasini a Parma, la carriera di Bufalini continuò poi dopo un periodo di difficoltà familiari, a Firenze ,dove fu chiamato nel 1835 dal locale Governo Granducale a insegnare Clinica Medica,  proprio quando in Italia il vitalismo, altamente proclamato dalle scuole dominanti di Rasori e di Tommasini, era giunto all’apogeo. Anche più tardi, morti il Rasori (1837) e il Tommasini (1846), e pur smorzatisi i clamori e le avversioni, i consensi nei confronti di Bufalini non furono mai pieni.

Il ruolo della metodologia in medicina ha rappresentato – assieme alla confutazione delle teorie vitalistiche – il nucleo più importante dell’opera di Bufalini. Sarà qui bastevole per dare un saggio del pensiero metodologico bufaliniano, la citazione di questi primi capoversi dei  Canoni sui primi più generali fondamenti del metodo scientifico:

  “Io non ammetto i così detti principi a priori, perché non credo che uomo alcuno abbia la facoltà di crearli, come di leggieri può a ognuno fornirne argomento la propria coscienza. [ … ]

  Io non ammetto che le cognizioni dei fatti, e perciò non altro che scienza empirica o sperimentale, come comunemente si dice.

  Intendo essere un fatto ciò che nell’ ordine dell’universo sappiamo avere un’esistenza, o permanente o transitoria. [ … ]

  Ogni fatto non si conosce, che o per osservazione diretta, o per avvertimento della coscienza

La relazione di causa e d’effetto non si può conoscere, se non si osserva la cagione nell’ atto di operare il suo effetto: perciò ogni volta che, come accade spesso, si presentano più cagioni possibilmente acconcie alla generazione d’un effetto noi non sappiamo quale di esse veramente lo generi, se non, rimuovendole a una a una, scorgiamo infine quella, che non si può rimuovere, senza che pur se ne tolga l’effetto, né si può variare, senza che similmente vari l’effetto. In tale modo soltanto noi possiamo osservare il fatto della relazione di causa e d’effetto (citati da. Filosofia della Medicina, p. 184 ). 

Specie in quest’ultimo canone, che riecheggia quello che sarà il cardine del principio falsificazionista popperiano, mostra tutta la modernità del pensiero bufaliniano. Certamente  la più evoluta e rigorosa concezione metodologica di Bufalini non può essere paragonata per contenuti al Methodus di Boerhaave,  è  tuttavia possibile ravvisare almeno una continuità ideale con l’Autore olandese, sulla base della comune convinzione dell’essenzialità del metodo  per la formazione medica.  Una più stretta continuità di pensiero e di esposizione è presente invece, tra il pensiero  metodologico del Bufalini e  quello di Augusto Murri.

Augusto Murri  nacque a Fermo il 7 settembre 1841. Nel 1863 conseguì il diploma di dottore in Medicina e Chirurgia a Camerino e il 23 novembre 1864, dopo un periodo di pratica a Pisa e a Firenze ottenne in quest’ultima città, il grado di laureato in Medicina.

Appena laureato ottenne borse di studio per l’estero con le quali si  recò a Parigi dove conobbe e studiò con Bouillaud, Bazin, Hardy, Ricord, Fournier, Piorry e specialmente Trousseau. L’anno successivo fu a Berlino dove frequentò le cliniche di Frerichs e di Traube. Al periodo berlinese (1864-66, circa) appartengono le ricerche sull’itterizia che, pubblicate nel 1868 in Italia, avranno molta importanza sulla sua vita professionale. In questo lavoro sostenne, contro il parere di Leyden e di Frerichs, che l’atrofia giallo acuta del fegato non è tanto una malattia a sé, quanto la possibile fase finale di varie malattie del parenchima epatico e che essa è sperimentalmente riproducibile  mediante intossicazione con fosforo.

Tra il 1866 e il 1869, dopo il ritorno in Italia, fu per un certo periodo disoccupato. Ottenne poi un interinato di sei mesi a Sanseverino Marche poi una condotta a Cupramarittima, poi a Fabriano e infine a Civitavecchia. Nel 1868 compare su “Lo Sperimentale” il lavoro eseguito a Berlino: “Sulla natura del processo morboso dell’itterizia grave” e l’anno dopo, nel 1869, Baccelli, Clinico Medico di Roma, colpito favorevolmente dal lavoro di Murri,  lo invitò a concorrere per l’assistentato nella sua Clinica Medica di Roma. Così, nel 1870, Murri divenne assistente di Baccelli ed iniziò gli studi sulla genesi della febbre. L’anno dopo, nel 1871 divenne Aiuto alla Clinica Medica di Roma diretta dallo stesso  Baccelli e negli anni seguenti, pubblicò “Del potere regolatore della temperatura animale” (1873) e “Sulla teoria della febbre” (1874).

Nello stesso anno, 1874, consigliato da Baccelli partecipò ad un concorso per esami alla Cattedra di Clinica Medica di Torino. Nonostante le assicurazioni di Baccelli, risultò terzo, sembra perché, pur avendo tenuto una lezione dai contenuti eccellenti, aveva sbagliato i tempi dell’esposizione.

Nel 1875, il ministro Bonghi gli fece chiedere se avrebbe accettato di andare a Padova dove era divenuta vacante la cattedra di Clinica Medica, in seguito alla scomparsa di Vincenzo Pinali. Ma Luigi Concato, di origini padovane ed allora alla Clinica Medica di Bologna, reclamò per sé il ruolo di Padova. Il ministro nominò allora Murri alla Clinica Medica di Bologna.

La città di Bologna non accettò di buon grado né la partenza di Concato né la nomina del quasi sconosciuto Murri: nacquero polemiche sui giornali e negli ambienti accademici. Ma Il ministro confermò comunque la nomina e quindi Murri approdò a Bologna in un clima a lui ostile. Il 19 gennaio 1876, Murri, tenne la prolusione all’insegnamento  della Clinica Medica con un discorso dotto e, nello stesso tempo, equilibrato guadagnando la stima della cittadinanza bolognese  nonché quella di quasi tutti i Colleghi (rimarranno ancora per qualche anno alcuni cosiddetti “concatiani” a lui non favorevoli).

Il 19 gennaio 1902, si festeggiò la conclusione di 25 anni di insegnamento di Clinica e in tale occasione, gli venne conferita la cittadinanza onoraria di Bologna. Sempre in tale occasione, un folto comitato di Colleghi, allievi ed  estimatori, si fa promotore della ristampa (Fig. 4) di numerosi lavori scientifici di Murri che vengono pubblicati in tre volumi dalla Casa Editrice Gamberini e Parmeggiani di Bologna sotto il titolo di “Scritti Medici di Augusto Murri” .

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ll 1902 è anche l’anno in cui inizia l’avvenimento più tragico della vita di Augusto Murri e della sua famiglia. Il 2 settembre di quell’anno, il conte Francesco Bonmartini, marito della figlia di Murri, Linda, viene trovato ucciso nella sua casa mentre la famiglia era in ferie a Venezia.  Pochi giorni dopo, Murri viene a sapere dal fratello di lui, avvocato Riccardo, che il figlio Tullio, si era rivolto a lui confessandosi autore dell’uccisione del cognato e chiedendogli un consiglio legale. Murri alla polizia invitando il figlio a costituirsi. Il 14 settembre 1902, venne arrestata anche la figlia Teodolinda (Linda) quale sospetta ispiratrice e complice dell’assassinio del marito e pochi giorni dopo Tullio si costituì. I due vennero giudicati a Torino nel 1905: Tullio fu condannato a 30 anni di reclusione e Linda a 10.

Sconvolto da queste vicende, Murri chiese un’aspettativa di due anni per motivi di salute ed il suo insegnamento si interruppe temporaneamente. L’anno successivo chiese addirittura l’esonero definitivo dalla docenza. Ma il ministro Nasi lo invitò a fruire interamente del suo periodo di aspettativa esprimendo tuttavia la speranza che egli ritornasse poi all’insegnamento.

Così, il 14 gennaio 1905, terminato il periodo di aspettativa e su pressione di personalità e di studenti, Murri tornò ad insegnare, nonostante che la vicenda familiare fosse tutt’altro che conclusa ed anzi si stesse per avviare verso la fase più dolorosa ed impegnativa, quella del processo. In quest’occasione Murri pronunciò le sue più famose lezioni su “Il pensiero scientifico e didattico della Clinica Medica bolognese”, vera pietra miliare della metodologia medica.

Nel 1912 al compimento di 35 anni di insegnamento, viene pubblicato su iniziativa della Società Medica Chirurgica di Bologna, un volume collettaneo   dal titolo “Scritti Medici in omaggio ad Augusto Murri” (da non confondersi con il precedente del 1902 dal titolo assai simile) che raccoglie lavori di vario argomento redatti da vari autori appartenenti o vicini alla Scuola murriana. La dedica è assai eloquente in relazione alla notorietà ed alla stima che Murri aveva acquistato tra la classe medica bolognese: “Ad Augusto Murri Maestro insigne di Clinica Medica che rinnova nella forza del pensiero filosofico nella purezza dello stile e della parola nella vastità della dottrina nella meraviglia della didattica l’antico genio della stirpe nostra nel XXXV anno di insegnamento questo volume la Società Medica Chirurgica di Bologn dedica”

Nel 1913 Murri si ammalò e dovette sottoporsi ad un importante intervento chirurgico addominale. Ma la sua attività di clinico e di studioso continuò: nel 1914  comparve una delle sue opere più famose: “Il Medico Pratico”

Nel 1916, raggiunto il 75° anno di età fu collocato a riposo Ma la sua attività di studioso continuò fino a tarda età: nel 1918 pubblicò il “Saggio di perizie medico-legali” seguita da “Dei medici futuri” (1922); infine, all’età di 82 anni, nel 1923, pubblicò “Nosologia e psichiatria”, nella quale avversò nuovi tentativi di rinascita di vitalismo in medicina.

Nel maggio del 1931, durante il festeggiamento del novantesimo compleanno di Murri, il podestà di Bologna G. Berardi lo nominò cittadino onorario di Bologna. Fu questa l’ultima onorificenza tributata a Murri: l’anno seguente, l’11 novembre 1932, Augusto Murri muore nella sua casa a Bologna all’età di 91 anni. E’  tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero di Fermo.

Nella piuttosto vasta produzione editoriale di Murri, l’opera più nota più letta e più citata è senza dubbio la raccolta delle sue lezioni cliniche (Lezioni di clinica medica 1905-1906 Società Editrice Milano, 1919 (Fig. 5) [La prima edizione è del 1908]). In realtà una raccolta di Lezioni di Clinica Medica di Augusto Murri venne effettuata nel 1883-1884 da Alessandro Codivilla e da Napoleone Cavara; una copia di queste “dispense” (Figg. 6-7) fu trovata da Giovanni Danieli nella biblioteca di famiglia e dallo stesso pubblicata nel 2001 in mille esemplari numerati, fuori commercio, con la prefazione di chi scrive.

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Meno letta e meno conosciuta – ma non meno significativa – è invece la sua più corposa opera collettanea ”Scritti medici di Augusto Murri  in tre Tomi, Tipografia Gamberini e Parmeggiani, Bologna, 1902”  che  raccoglie la produzione scientifica relativa ai primi anni del suo magistero, comprendente i testi di varie conferenze e di relazioni congressuali.

Nel primo tomo, sono  comunque comprese quattro Prelezioni: quella pronunciata il 20 novembre 1876 (La clinica come scienza e come arte);  La prelezione  1881 (Della Scienza sperimentale e della teoria cellulare rispetto alla Clinica (in due lezioni); la prelezione  1883 (Se e come l’opera dei medici riesce utile); e la prelezione 1889 (Del buon senso nella Medicina pratica) Nello stesso volume si trova il testo della famosa Prolusione al Corso di Clinica Medica che – letta il 19 gennaio 1876 capovolse l’opinione inizialmente ostile a Murri, della Facoltà medica e della cittadinanza bolognese.

In generale la produzione di Murri risente di uno stile tipicamente didattico: ne è conseguito che negli anni successivi commenti, citazioni e riproposizioni del suo pensiero siano stati riportati, da parte dei vari AA. che se ne sono occupati, mediante estrapolazioni di frasi simili a massime di comportamento o a  sentenze a carattere filosofico: in breve in forma assai simile a quella propria degli aforismi.  Forse lo stesso Murri si accorse di questo possibile distorsione – cui potevano andare incontro i suoi insegnamenti e volle chiarire senza mezzi termini la sua posizione: “Una delle tendenze antiche, ch’ io però combatto sempre più, perché molti moderni la propugnano senz’avvedersene, è quella degli aforismi e delle regole nette e precise. Questa specie di sapienza medica arieggia assai quella popolare della filosofia dei proverbii e perciò trova molto favore. È certo, che il condensare in poche parole una serie di osservazioni è utile per tutti, massime per chi deve imparare. Ma c’è anche un gran pericolo in tutte le formule generali, perché non ce n’è una, che resista a tutte le prove.. Aggiungendo: “Ci sono tuttora dei Clinici che insegnano per sentenze, per aforismi e hanno gran fortuna come maestri, perché lo scolaro torna a casa credendo d’avere con se un tesoro. E sarà ben così il più spesso. Ma anche il professore erra e lo studente porta seco anche gli errori del maestro, se non ha l’abitudine di esaminare col proprio cervello le sentenze di tutti” (Lezioni cliniche, p. 60).

Tuttavia la sua produzione scientifica  venne criticata perché troppo settoriale e complessivamente carente delle classiche trattazioni  sistematiche su qualche argomento medico, e quindi non sarebbe stata in grado di contribuire ad un efficace progresso della medicina. L’insegnamento metodologico, al tempo, era considerato di secondaria importanza specie se condotto sotto forma di un razionalismo eminentemente critico.

Lui tuttavia si difendeva dicendo : “Non tutti, certo, pensano così: il metodo critico è faticoso e dispiace a molti; ma, s’esso è veramente necessario per giungere alla verità, bisogna subirlo o bisogna rinunziare a coltivare una scienza. Qualche collega non malevolo, un po’ infastidito da qualche obbiezione mossagli, si sfoga dandomi dell’ipercritico, ma questa è una parola, non una ragione. [Scritti Medici, 502) “In vero, se io avessi potuto aspirare ad una lode, nessuna mi sarebbe giunta sì ambita come questo rimprovero. Un eccesso di critica, come si concepisce?” (Lezioni cliniche, p. 13).

Per quanto riguarda la citata critica all’opera di Murri, di essere cioè troppo settoriale  e priva di contenuti specifici della patologia, potrebbe essere condivisa solo se si trascurassero i più volte citati “Scritti medici” nei quali sono riportati studi approfonditi a carattere monografico su precisi argomenti: vedi ad esempio, il complesso di considerazioni sulle emoglobinurie (da frigor,  sifilitica,  da chinina) o quelle in tema di aritmie cardiache, di problemi pneumologici e sul meccanismo del fenomeno di Cheyne Stokes, o infine sulla termogenesi e sulle diverse manifestazioni del fenomeno della febbre: veri capitoli di fisiopatologia  sicuramente attuali ed innovativi considerata l’epoca.

Il pensiero metodologico di Murri sui compiti del clinico e del medico in generale è il risultato di un’analisi acuta e lineare dei difetti della professione medica di allora e sui rimedi necessari. Murri afferma, innanzitutto, che la diagnosi medica è un atto squisitamente intellettuale e non un semplice atto classificatorio

“Messi davanti ad un uomo ammalato, il nostro obbligo intellettuale è di scoprire il perché dei suoi disordini”. (Citato da: Augusto Murri di Aldo Spallicci, p.132)

“Più invecchio e più vedo chiaro, come l’esercitare per bene la medicina sia cosa ardua. I profani non hanno neppure una lontana idea di questo: tu inciampi ad ogni piè sospinto in qualche persona d’ingegno, che ti chiede il rimedio per la tal malattia, persuaso che la patologia sia una specie di ufficio postale, in cui non s’ha da far altro che mettere o togliere le lettere nelle caselle, secondo l’ordine alfabetico. Ma anche nei medici è rarissimo un esatto concetto dell’ufficio del pratico. Molti mandano a memoria le sentenze apprese in scuola o nei libri e vanno innanzi con esse senza addarsi mai della fallacia d’alcune di esse; altri s’invogliano di qualche dottrina e su quella modellano ogni particolare loro giudizio. … [Ma] la dote più eccellente per un pratico è … la sua critica. Inutile ch’egli abbia pieno di notizie il cervello se non sa misurarne il valore” (Psicopatie gastriche …, Rif. Med., 1911).

E’ quindi errato credere che il problema clinico possa essere risolto per semplici collegamenti analogici tra ciò che si vede in un malato e ciò che si è letto nei libri o si è visto in altri pazienti, perché “non c’è un malato che sia eguale all’altro”.

“E’ facilissimo di concluder male, quando si trae la diagnosi da pochi sintomi anzi che da tutti. …. Capitano ad ogni passo sillogismi come questo: “la malaria dà la febbre intermittente; il paziente abita in una zona malarica e ha la febbre intermittente, dunque la sua intermittente è da malaria”…. Bisogna guardare più addentro, non contentarsi di conoscere ciò che ci fu, bisogna sapere ciò che c’è  bisogna cercare, cercar sempre e forse allora sarà svelato un fatto che mostri come nessuna di queste cause esistenti sia quella che nell’individuo dà veramente origine all’intermittente, un fatto al quale non s’era neppur pensato” (Il medico pratico, p. 26-27).

In  sostanza il metodo clinico secondo Augusto Murri  poggia essenzialmente su tre pilastri fondamentali: osservare molto; criticare tutto e dubitare di tutto; ragionare rigorosamente.

Osservare:

“Un clinico dovrebbe guardare, tastare, ascoltare, percuotere, pesare, misurare, consumare quanti più reagenti chimici che può, applicare congegni meccanici… studiar preparati microscopici, sperimentare sugli animali, fare indagini batteriologiche. Però dovrebbe parlare il meno possibile – molti fatti e punto chiacchere – ecco il Clinico vero!” (Lezioni cliniche, p. 39)

Criticare:

“Nella clinica, come nella vita, bisogna avere un preconcetto, uno solo, ma inalienabile – il preconcetto che tutto ciò che si afferma e che par vero può essere falso: bisogna farsi una regola costante di criticare tutto e tutti, prima di credere: bisogna domandarsi sempre come primo dovere; “perchè devo io credere a questo”?” (Lezioni cliniche, p. 21)

Ragionare:

“Ma come ricostruire [il processo morboso]? Lo ripeto: ciò è possibile solo colla ragione. L’immaginazione, rigorosamente contenuta dalla critica, permette di ricongiungere con un’ipotesi ragionevole le parti empiricamente note. Se il clinico non deve far questo, rinunzi allora a comprendere: ma se vuole comprendere, non può fare che così” (Lezioni cliniche, p. 41).

Cos’è quindi per  Augusto Murri la Clinica?  Come si è già detto, la clinica non consiste solo in un gran sapere, ma nel saper applicare le nozioni acquisite ad ogni caso, non è tanto erudizione quanto intelligenza e perspicacia nell’agire. Per Murri, quindi l’attività del clinico è prevalentemente educazione mentale e sotto questo aspetto, la Clinica va considerata come una disciplina del tutto particolare essa: infatti non si occupa di quelle realtà astratte che sono le malattie, ma di quei problemi reali che sono le situazioni patologiche presenti nei singoli pazienti.

Murri ha dimostrato che la Clinica è di fatto fondata sulla Metodologia. Una metodologia  che risente delle prospettive epistemologiche di Autori come Stuart Mill e Claude Bernard, applicate alle specifiche situazioni della diagnosi Tuttavia, pur nell’ambito di un’epistemologia sostanzialmente induttivista ha saputo liberarsi da una concezione metodologica troppo rigida, riconoscendo il ruolo fondamentale della critica razionale e dell’analisi dell’errore nell’attività del medico, sì da poter essere a ragione considerato un precursore  delle impostazione ipotetico-deduttive e fallibiliste che molta fortuna avrebbero conosciuto nel dibattito epistemologico successivo.

Bibliografia

Castiglioni A. Storia della Medicina (2 voll.) Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1948

Federspil G., Scandellari C. Storiografia e Medicina clinica nel pensiero di Bufalini e Murri. Atti degli Incontri Storici Medici Marosticensi , pp. 133-143, 1984

Federspil G., Scandellari C. Medicina  In: Gli Strumenti del Sapere Contemporaneo – Vol. I: Le Discipline –UTET, Torino, 1985

Federspil G., Giaretta P., Rugarli C., Scandellari C., Serra P. Filosofia della Medicina, Raffaello Cortina Editore,  Milano, 2008

Gasbarrini A. Clinica Medica Generale (2 voll.) Istituto Editoriale Medico, Bologna, 1951

Murri A. Lezioni di Clinica Medica 1883 – 1884 – Il lavoro editoriale, Ancona, 2001.

Murri A. Scritti Medici (3 voll.) – Tipografia Gamberini e Parmeggiani, Bologna 1902

Murri A. Psicopatie Gastriche e Vomiti Incoercibili, Estratto da: Riforma Medica, Anno XXVII, N 50, 1911.

Murri A. Il Medico Pratico Nicola Zanichelli Editore, Bologna, 1914

Murri A. Saggio di Perizie Medico Legali, Nicola Zanichelli Editore, Bologna, 1918

Murri A. Pensieri e Precetti. A cura di A. Gnudi e A. Vedrani. Nicola Zanichelli Editore, Bologna, 1919

Murri A. Lezioni di Clinica Medica Edite ed Inedite.  Date nella R. Università di Bologna negli anni scolastici 1905-1906 e 1906-1907. Società Editrice Libraria ,Milano, 1920

Murri A. Dei Medici Futuri  Estratto da: Il Policlinico, Sezione Medica, Vol XXVII, 1922

Murri A. Dizionario di M etodologia Clinica (a cura di M. Baldini e Antonello Malavasi). Antonio Delfino Editore, Roma, 2004

Scandellari C. Augusto Murri, Clinico Medico. In: Atti della Giornata di Studio Fermo-Palazzo dei Priori, 2 maggio 1994

Scandellari C. Storia e critica della Medicina dei Sistemi In: Augusto Murri e la sua Scuola  –  Medicina nei Secoli, Arte e Scienza, 6 (3): 621-639, 1994

Scandellari C. – Augusto Murri e il suo pensiero metodologico   Bollettino della Facoltà di medicina e Chirurgia dell’Università di Ancona, III (7-8): 12-16, 2000

Spallicci A. Augusto Murri. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1944

Cita questo articolo

Scandellari C., La nascita del concetto di “clinica” negli Scritti medici e in altre opere di Augusto Murri, Medicina e Chirurgia, 70: 3200-3207, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-8

La cassetta degli attrezzi del Presidente di Corso di Laurea. 1a dispensa – Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea tra quello istituzionale e quello pedagogicon.70, 2016, pp. 3187-3190, DOI: 10.4487/medchir2016-70-7

Abstract

Nel Giugno 2013 il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica ha organizzato, per la Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso Laurea Magistrale (CLM) in Medicina, un atelier pedagogico dal titolo “Il ruolo organizzativo e pedagogico del Presidente di Corso di Laurea Magistrale in Medicina”  (Medicina e Chirurgia, 60: 2683-2698, 2013. DOI: 10.4487/medchir2013-60-3) che guiderà questo breve inserto e che rappresenta il primo “strumento” della  “cassetta degli attrezzi” che viene consegnata al nuovo Presidente di Corso di laurea.

Il Presidente di CLM si trova oggi ad essere coinvolto sempre di più  in un’impegnativa ricerca di eccellenza didattica e di innovazione pedagogica,che ne esalta le doti di pedagogista, ma anche i crescenti compiti organizzativi (una volta in gran parte demandati alle facoltà) che affronta spesso senza avere adeguate strutture di supporto.

Articolo

Il ruolo del Presidente di CLM tra quello istituzionale a quello pedagogico

Il Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CLMMC) riveste un ruolo oltremodo complesso, in un momento storico caratterizzato da un rapido cambiamento economico e sociale. Andreas Schleicher1 definisce emblematicamente tale complessità: “Today, because of rapid economic and social change, Schools have to prepare students for jobs that have not yet been created, technologies that have not yet been invented and problems that we don’t yet know will arise”. Il Presidente del CLMMC, oltre alle responsabilità formali legate alla gestione del Corso di Laurea, dovrebbe quindi avere anche un ruolo di indirizzo verso modelli pedagogici innovativi, aggiornati e condivisi con la comunità internazionale; dovrebbe essere inoltre promotore dei valori fondanti della professionalità e del comportamento eticamente corretto dei docenti e degli studenti; dovrebbe curare che vi sia il giusto equilibrio all’interno della comunità co-educante costituita dal corpo docente, dagli studenti e dai pazienti.

Il Presidente ha, pertanto, non solo un ruolo istituzionale, ma anche un ruolo a forte caratterizzazione pedagogica, comprendente quello della promozione di valori nell’ambito della comunità co-educante.

Il ruolo istituzionale del Presidente è ben descritto nei regolamenti didattici degli Atenei, anche se, in relazione all’applicazione della Legge n. 240 del 30/12/2010, vi possono essere interpretazioni diverse negli Statuti degli atenei italiani. A titolo di esempio, ai commi 4 e 5 dell’Articolo 13 (Corsi di Studio) dello Statuto della Sapienza di Roma è scritto che al “Presidente spetta il compito di convocare il Consiglio, determinare l’ordine del giorno organizzare la didattica e coordinare – in accordo con il/i Dipartimento/i coinvolto/i le coperture dei singoli insegnamenti” e che “i Consigli operano in conformità al Regolamento Didattico di Ateneo, assicurano la qualità delle attività formative, formulano proposte relativamente all’ordinamento, individuano annualmente i docenti tenendo conto delle esigenze di continuità didattica” (http://corsidilaurea.uniroma1.it/).

In estrema sintesi, il Presidente predispone il documento di programmazione didattica che deve essere approvato dal Consiglio, in relazione al piano degli studi, alle sedi delle attività formative professionalizzanti, alle attività didattiche elettive, al calendario delle attività didattiche e degli appelli d’esame, ai programmi dei singoli corsi integrati ed ai compiti didattici attribuiti ai Docenti ed ai Tutori.

Il Presidente, come recentemente previsto dal Decreto Legislativo 27/01/2012 n. 19, riguardante l’introduzione del sistema di accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, predispone inoltre il rapporto del riesame annuale e provvede ai numerosi adempimenti previsti dall’attivazione della scheda SUA. Questi ultimi compiti previsti dal Decreto Legislativo sono in realtà complessi e ampliano il ruolo del Presidente, là dove alla sua funzione strettamente istituzionale deve essere aggiunta quella che preveda una buona conoscenza e una buona pratica delle regole della pedagogia medica.

Il ruolo pedagogico del Presidente non deve però essere considerato solo nel nuovo confronto con il sistema di valutazione e di accreditamento italiano (ANVUR/AVA), ma soprattutto in relazione al confronto obbligato con la dimensione internazionale della medical education, dove sono costantemente rivalutate le diverse abilità del core curriculum (curriculum planning), la certificazione del loro effettivo raggiungimento (learning outcomes), le nuove strategie di apprendimento/ insegnamento (approaches to teaching and learning), i metodi di verifica dell’apprendimento (assessment tools) e di tutto quello che riguarda, in senso lato, le metodologie ed il management della formazione del medico.2,3,4,5

L’attenzione del Presidente dovrà essere incentrata anche e soprattutto sull’efficacia di singole parti del processo formativo, come ad esempio l’erogazione delle attività e i risultati di apprendimento nei singoli corsi integrati e nei singoli moduli all’interno dei corsi integrati, bilanciando l’attenzione tra qualità del processo e qualità del prodotto, allo scopo di organizzare il curriculum in maniera più sistematica, più trasparente e soprattutto rendendo i docenti più responsabili.6

Uno strumento pratico ed efficace per guidare la riflessione sulle strategie pedagogiche del corso di laurea in Medicina e Chirurgia è sicuramente offerto dalle SPICES di Harden.7 Come suggerito dal metodo SPICES, in una visione moderna, ed ampiamente accettata dalla letteratura internazionale, la didattica moderna dovrebbe essere centrata sull’apprendimento piuttosto che sull’insegnamento (Student-centred education), finalizzata all’apprendimento per problemi (Problem-based learning), con integrazione interdisciplinare e interprofessionale (Integrated education), a misura di studente (Elective-driven education) e sistematica (Systematic education).8

Alcuni esempi di organizzazione curriculare derivano anche da questo modello, come il curriculum dal profilo biomedico-psico-sociale caratterizzato da forte integrazione verticale tra scienze di base e scienze cliniche, dall’inizio precoce della formazione clinica e da un percorso verticale di metodologia medico-scientifica e scienze umane che accompagna lo studente sino alla laurea.9,10,11

Un insegnamento moderno deve inoltre fare espresso riferimento ai valori che possono trarsi dall’apprendere all’interno della comunità, nei cui confronti il Corso di Laurea dovrebbe avere maggiori responsabilità formative.12,13,14

Il ruolo del Presidente di CLM, promotore di valori ed armonizzatore della comunità co-educante. Il ruolo pedagogico del Presidente deve essere considerato in senso ancora più ampio, in relazione ai comportamenti eticamente corretti che dovranno acquisire gli studenti in formazione, all’interno di un contesto formativo che ne sappia far emergere correttamente le potenzialità inespresse.15,16,17

Il ruolo “multifunzionale” del Presidente può essere sinteticamente descritto da queste definizioni

  1. Saper organizzare e coordinare le attività didattiche con attenzione alla realtà internazionale, seguendo le giuste innovazioni e suscitando il dibattito corretto tra Docenti e Studenti;
  2. saper promuovere comportamenti eticamente corretti sia nei Docenti che negli Studenti;
  3. costituire il primo esempio di correttezza professionale, competenza e comportamento nei confronti degli Studenti e dei Docenti;
  4. essere in grado di risolvere con equilibrio le problematiche, invece di alimentare discordie, che dovessero porsi nella gestione del corso.

Nell’ambito dell’atelier, è stato distribuito ai Presidenti un “Questionario delle Priorità”, nel quale si chiedeva di indicare, tra le 29 azioni pedagogico/formative di miglioramento del Corso di Laurea descritte, le cinque azioni giudicate come urgenti e prioritarie.

L’analisi dei questionari compilati ha evidenziato la seguente lista delle cinque priorità scelte dai partecipanti, in ordine decrescente:

  1. organizzo il tirocinio pratico-formativo degli studenti cercando di creare le condizioni che migliorino la qualità dell’apprendimento in laboratorio ed in clinica (piccoli gruppi);
  2. istituisco un gruppo di lavoro per la definizione delle attività didattiche professionalizzanti di concerto con il Preside di Facoltà/Direttore di Scuola e il Direttore Generale dell’Azienda;
  3. istituisco o rinnovo la “Commissione Paritetica” con gli studenti, cercando di metterli realmente al centro del processo formativo;
  4. potenzio i rapporti internazionali cercando di aumentare il numero di accordi bilaterali ERASMUS e il numero di soggiorni internazionali degli studenti e dei docenti.

Bibliografia

1) Schleicher A: The case for 21st-century learning. OECD Education Directorate, 2010: http://www.oecd.org/general/thecasefor21st-centurylearning.htm

2) McLean M, Cilliers F, Van Wyk JM: Faculty Development: Yesterday, Today and Tomorrow. AMEE Education Guide no. 33. Med. Teach. 30: 555-584, 2008.

3) Familiari G: The international dimensions of medical education. Med. Chir. 57: 2537-2538, 2013.

4) Familiari G, Consorti F. The best evidence medical education and the essential skills on medical teaching: important keys for medical education internationalization. Med. Chir. 59: 2662-2663, 2013.

5) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L, Ziparo V, Gallo P, Consorti F, Lenzi A, Gaudio E, Frati L. La Realtà Internazionale della Formazione Medica. MEDIC 2013

6) Gallo P: Insegnare nei Corsi di Laurea in Medicina e Odontoiatria. Espress, Torino, 2011.

7) Harden RM, Sowden S, Dunn WR: Some educational strategies in curriculum development: the SPICES model. Med. Educ. 18: 284-297, 1984.

8) Gallo P, Consorti F, Della Rocca C, Familiari G, Valanzano R, Vettore L. Strategie per pianificare un curriculum degli studi, le SPICES di Harden. Med. Chir. 56: 2481-2484, 2012.

9) Torsoli A, Cascino A, Familiari G, Gallo P, Gazzaniga PP, Rinaldi C, Della Rocca C, Renda T, Serra P, Frati L: Educazione medica come sperimentazione. Un’ipotesi di curriculum integrato pre-laurea. MEDIC 8: 204-210, 2000.

10) Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio G, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The Challenge of reform: 10 years of curricula change in Italian Medical Schools. Med. Teach. 31: 1047-1055, 2009.

11) Familiari G, Falaschi P, Vecchione A: La nuova laurea in medicina e chirurgia e la formazione di un medico con una cultura biomedico-psico-sociale. Med. Chir. 16: 491-506, 2001.

12) Familiari G, Nati G, Ziparo V, Padula M.S., Aggazzotti G. Early patient contact nel curriculum di medicina: esperienze a confronto. Med. Chir. 46: 1982-1987, 2009.

13) Gallo P, Della Rocca C, Familiari G, Casacchia M, Mitterhofer AP, Nati G, Padula MS, Pagano L, Sacchetti ML, Saitto C, Vago G, Valanzano R, Vantini I, Vettore L: L’integrazione del territorio nel sistema delle cure, ricadute sul processo formativo. Med. Chir. 58: 2599-2605, 2013.

14) Gallo P, Becchi MA, Consorti F, Della Rocca C, Familiari G, Furlan PM, Palmeri A, Palumbo C, Valanzano R: L’integrazione del territorio nel sistema delle cure. Parte seconda. Proposta di un curriculum verticale. Med Chir 59: 2642-2649, 2013.

Appendice

Consiglio di Corso di Laurea Magistrale e suoi Organi

Sono Organi del CCLM il Presidente, il/i Vicepresidente/I e la Commissione Tecnica di Programmazione didattico – pedagogica.

Fanno parte del Consiglio di Corso di Laurea:

  1. a) i Professori di Ruolo che vi afferiscono;
  2. b) i Ricercatori ed equiparati ai sensi del DPR 382/1980 e 341/1990 che svolgono, a seguito di delibera del Consiglio di Facoltà e di Corso di Laurea, attività didattica nel Corso di Laurea;
  3. c) quanti ricoprono per contratto corsi di insegnamento e i lettori di lingue afferenti al Corso di Laurea;
  4. d) i rappresentanti degli studenti iscritti nel Corso di Laurea.

Per gli eligendi e i collegi elettorali valgono le regole riportate nel Regolamento di Facoltà.

Il Consiglio di Corso di Laurea è presieduto dal Presidente.

Questi è eletto dal CCLM tra i Professori di Ruolo,  e resta in carica per tre anni accademici.

Il Presidente  coordina  le  attività  del  Corso  di  Laurea,  convoca  e  presiede  il  Consiglio  e  la   Commissione  Tecnica  di  Programmazione  didattico-pedagogica,  e  rappresenta  il  Corso  di  Laurea  nei  consessi   accademici ed all’esterno, nel rispetto dei deliberati del Consiglio.

Il o I Vice-Presidenti coadiuvano  il Presidente in tutte le sue funzioni.

Il vice-Presidente vicario assume i compiti in caso di impedimento del Presidente.

Il Vicepresidente resta in  carica per il mandato del Presidente.

Il Presidente convoca il Consiglio di norma almeno dieci giorni prima della seduta, attraverso comunicazione  scritta e,  ove  possibile,  per  posta  elettronica. La convocazione deve indicare data, ora e sede della seduta, e l’ordine del giorno.

Il Presidente convoca inoltre il  Consiglio  in  seduta  straordinaria  su  richiesta  di almeno  la  metà  dei  componenti  della  CTP  o  di  almeno  il  20%  dei  componenti del Consiglio.

Il funzionamento del CCLM è conforme a quanto disposto dal Regolamento di Facoltà.

 

Ringraziamenti ai componenti All’atelier pedagogico dal titolo Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea in Medicina, organizzato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina (CPPCLM), tenutosi a Roma Sapienza, il 23 Giugno 2013:

Francesco Bandello (Milano San Raffaele), Isabella Barajon (Milano Statale Humanitas), Stefania Basili (RomaSapienza “D”), Tiziana Bellini (Ferrara), Silvia Bocci (SISM, Siena), Maria Filomena Caiaffa (Foggia), Renzo Carretta (Trieste), Paola Cassoni (Torino I), Amos Casti (Segretario della CPPCLM), Sandra Cecconi (L’Aquila), Claudio Ceconi (Ferrara), Gian Paolo Ceda (Parma), Fabrizio Consorti (Roma Sapienza “C”), Francesco Curcio (Udine), Angelo D’Ambrosio (SISM, Roma Sapienza Sant’ Andrea), Carlo Della Rocca (Roma Sapienza “E”), Luigi Demelia (Cagliari), Italia di Liegro (Palermo, Caltanisetta), Maria Luisa Eboli (Roma Università Cattolica S.C.), Giuseppe Familiari (Roma Sapienza, S. Andrea), Amelia Fillippelli (Salerno), Giorgio Fujiano (Catanzaro), Piermaria Furlan (Torino San Luigi Gonzaga – Orbassano), Pietro Gallo (Roma Sapienza “C”), Antonello Ganau (Sassari), Paola Izzo (Napoli Federico II), Marco Krengli (Piemonte Orientale), Andrea Lenzi (Presidente della CPPCLM), Claudia Marotta (SISM, Roma Università Cattolica S.C.), Manuela Merli (Roma Sapienza “B”), Mario Messina (Siena), Gabriella Mincione (Chieti), Bruno Moncharmont (Molise), Licia Montagna (Milano Statale Humanitas), Raffaella Muraro (Chieti), Giovanni Murialdo (Genova), Marco Nicolazzi (SISM, Piemonte Orientale), Alessandro Padovani (Brescia), Carla Palumbo (Modena/Reggio Emilia), Giampaolo Papaccio (Napoli II Università), Maria Penco (L’Aquila), Laura Recchia (Molise), Paolo Remondelli (Salerno), Luca Richeldi (Modena/Reggio Emilia), Giorgio Rosso (Torino San Luigi Gonzaga – Orbassano), Marina Scarpelli (Ancona), Silvio Scarone (Milano Statale, San Paolo), Anna Spada (Milano Statale, Policlinico), Felice Sperandeo (SISM, Roma Sapienza “D”), Francesco Squadrito (Messina), Maria Grazia Strepparava (Milano Bicocca), Rosa Valanzano (Firenze) e Maurizia Valli (Pavia).

Cita questo articolo

Basili S., La cassetta degli attrezzi del Presidente di Corso di Laurea. 1a dispensa – Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea tra quello istituzionale e quello pedagogico, Medicina e Chirurgia, 70: 3187-3190, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-7

Il lavoro di gruppon.70, 2016, pp. 3185-3186; 3191-3199, DOI: 10.4487/medchir2016-70-6

Abstract

Small group activities are widely used in medical education for teaching practical skills and multilevel complex knowledge. Small group is a learning environment where student are involved both from the cognitive and the relational point of view. Not only what is delivered, but also how the learning contents are transmitted and the teaching strategies, have a deep influence on the learning processes and on thier efficacy. Tutorship style is a primary variable in creating the adequate background for improving the learning process and in making the students’ experience fruitful. Structure, processes and problems of small group teaching and basic group dynamics principles will be presented in the paper. A set of suggestion concerning the within group members relational problems and some principles of mindfulness co-working will be described.

Articolo

1. Introduzione

La formazione alla professione medica è un processo complesso che richiede l’attivazione di strategie integrate e multilivello, sia nella pianificazione del curriculum formativo, sia nella sua implementazione. Molte sono le ricerche sul processo formativo,  sulle tecniche didattiche più adeguate o relative ai contenuti e alla valutazione della formazione. Diverse riviste sono specificatamente dedicate a questi aspetti pedagogici: Medical Teacher, Medical Education o Accademic Medicine.  Un ambito interessante ed in costante evoluzione, sono i lavori sulla didattica a piccolo gruppo ed il suo utilizzo nelle diverse situazioni e declinazioni formative.  Due sono i macro-ambiti in cui il lavoro di gruppo , le sue caratteristiche e le sue dinamiche hanno un ruolo centrale in medical education: il lavoro di gruppo con e per gli studenti, “Small Group Teaching” e il lavoro di gruppo nelle attività congiunte dei docenti per l’impostazione, lo sviluppo e l’implementazione del progetto formativo, vale a dire le attività che sottendono al processo di Faculty Development. Nelle pagine che seguono sono presentati gli aspetti strutturali, procedurali ed i principi generali che caratterizzano le attività del lavoro in piccolo gruppo, applicabili – ovviamente con adattamenti – sia al lavoro con gli studenti, sia al lavoro tra i docenti.

La didattica a piccolo gruppo ha acquisito, nell’ambito della medical education, sempre maggiore importanza. I motivi alla base della popolarità crescente di questa scelta didattica sono svariati: ricordiamo che solo il 5% di quanto viene insegnato nelle lezioni frontali è memorizzato sul medio-lungo termine (McCrorie, 2014) e per lo più si tratta di nozioni che potrebbero senza difficoltà essere efficacemente acquisite con la semplice lettura di un testo. Molti altri sono i vantaggi della didattica a piccolo gruppo, anche se solo in tempi relativamente recenti sono stati messi a fuoco con chiarezza i meccanismi che lo rendono un prezioso meccanismo pedagogico nella formazione dei professionisti della cura.

La  collaborazione tra i partecipanti ad un piccolo gruppo didattico è – per diverse discipline e per differenti fasce di età – un elemento che potenzia l’apprendimento (Cohen 1994; Johnson et al. 2007; Roseth et al. 2008); non sempre tuttavia vi è accordo tra i ricercatori sulle spiegazioni teoriche dei meccanismi che rendono possibile questo fenomeno (Slavin et al. 2003). Per quanto riguarda l’ apprendimento collaborativo si distinguono due prospettive teoriche principali: per l’approccio socio-comportamentale lavorare in gruppo agisce  sui processi motivazionali dell’apprendimento e quindi potenzia la spinta ad apprendere, per l’effetto (imitazione, cooperazione, sostegno reciproco) delle dinamiche relazionali che si attivano tra i partecipanti, ma non implica l’attivazione di specifici processi cognitivi; secondo la prospettiva cognitiva, nel lavoro di gruppo invece possono emergere più articolati e complessi processi di elaborazione cognitiva (quali il riferimento all’esperienza concreta o una migliore integrazione delle conoscenze pregresse), che consentono una rielaborazione del materiale da apprendere più profonda e stabile (O’Donnell, 2006). Ricerche recenti secondo questa prospettiva hanno dimostrato come la quantità e la qualità dell’elaborazione necessaria per attivare e condurre la riflessione e la discussione congiunta e per spiegare ai propri compagni il materiale oggetto di studio (comunicazione collaborativa ed esplorativa), favoriscono la memorizzazione sul lungo periodo dei concetti affrontati (Van Blankenstein et al., 2011). Le attività svolte nel piccolo gruppo hanno effetti positivi sia sull’apprendimento, che risulta molto più attivo e auto diretto rispetto ad altre situazioni di apprendimento, quali le lezioni frontali o le attività svolte in grande gruppo, sia sulle prestazioni. Quindi, sul piano cognitivo lavorare in gruppo facilita i processi di elaborazione concettuale, l’utilizzo delle capacità riflessive (meta cognizione), rende più fluido l’accesso e il riferimento all’esperienza e alle conoscenze già acquisite, mentre dal punto di vista comportamentale e sociale promuove la motivazione di chi apprende, generando coesione sociale, favorendo l’autenticità, facilitando l’attivazione emozionale (Durning, Conran, 2013).

L’apprendimento in un piccolo gruppo è un processo altamente interattivo, la cui direzione, qualità ed efficacia  sono determinate sia dalle caratteristiche del gruppo nel suo complesso, che  dalla qualità delle interazioni del gruppo con il/i conduttori. La progettazione della didattica in gruppo richiede perciò: (i) di identificare e definire adeguati contenuti, (ii) di valutare e implementare adeguatamente articolate strategie per regolare il flusso della comunicazione e delle interazioni tra i partecipanti e tra i partecipanti e il conduttore. Nell’analisi dei processi di funzionamento di un piccolo gruppo di lavoro è necessario quindi differenziare gli aspetti di struttura e gli aspetti di processo. Degli  aspetti strutturali fanno parte: la numerosità del gruppo, la qualità dell’ambiente di lavoro, gli ambiti di possibile applicazione del lavoro a piccoli gruppi, il tipo di attività e di strumenti che devono essere usati nel lavoro a piccolo gruppo. Degli  aspetti processuali fanno parte: il flusso della comunicazione all’interno del gruppo, la dinamica del gruppo, le caratteristiche del conduttore e gli stili di conduzione.

2. Aspetti strutturali del piccolo gruppo

2.1 Numerosità

Quanto “piccolo” è un piccolo gruppo? La letteratura in questo senso fornisce riferimenti discordanti, sia per quanto riguarda la formazione in generale, sia nell’applicazione di questo dispositivo formativo alla formazione medica. In senso stretto la numerosità di un piccolo gruppo varia tra due e dieci componenti (Springer, Stanne, Donovan, 1999), ma c’è generale accordo che il numero ottimale vada collocato tra cinque e otto persone (Gibbs, 1992), anche perché in un gruppo con meno di cinque componenti la diversità e varietà delle interazioni interpersonali diminuisce, impoverendo l’attività che è possibile svolgere (Dennicka, Exley, 1998). Se, al contrario, ci si sposta sopra gli otto/dieci elementi, è facile che alcune persone non partecipino pienamente alle attività o si tengano decisamente fuori, che altre, pur volendo partecipare, fatichino a farsi sentire perché la dimensione del gruppo impedisce loro di esprimere il proprio punto di vista (McCrorie, 2014).

Secondo altri autori, al contrario, non ha senso dare indicazioni rigide sul numero di partecipanti, perché il numero ottimale di studenti dipende molto dal tipo di attività svolta e dalla competenza ed esperienza del conduttore: un conduttore esperto è in grado di monitorare, gestire e regolare le interazioni di un gruppo più numeroso, rispetto a quanto riesca a fare un conduttore con meno o poca esperienza; tanto più si è esperti di lavoro di gruppo, tanto più facilmente si possiedono le abilità necessarie a monitorare il gruppo e a coinvolgere tutti i partecipanti anche se numerosi, facendo sì che nessuno resti escluso dal flusso delle attività (Durning, Conran, 2013). In generale, comunque, i parametri di base che possiamo utilizzare per stabilire la numerosità del gruppo sono:

– l’obiettivo formativo dell’attività erogata

– la complessità e la difficoltà del contenuto,  valutata in relazione al grado di preparazione e alla tipologia degli studenti

– l’esperienza del conduttore

La sfida per un formatore è identificare la dimensione del gruppo che può maggiormente facilitare lo scambio delle idee, l’emergere delle più diverse prospettive possibili, consentire la partecipazione attiva di tutti i discenti. Nelle attività che utilizzano il Problem-Based Learning (PBL), ad esempio, la dimensione del gruppo tutoriale raramente supera gli otto elementi, altrimenti il processo potrebbe facilmente risultare frammentario ed eccessivamente disorganizzato. Da una recente indagine condotta con diverse scuole di medicina che, nel mondo, utilizzano il PBL, è emerso che il numero medio di studenti in un gruppo PBL è otto, anche se in alcune scuole si lavora anche con gruppi di venti persone; solitamente un numero così elevato viene utilizzato nelle attività che possono essere svolte nel formato del workshop, in cui il gruppo per svolgere le attività si divide in sottogruppi e in cui è prevista una fase iniziale e una finale con tutto il gruppo (McCrorie, 2014). In fondo, per decidere sia il numero dei componenti del gruppo, che il tipo di attività da svolgere nel gruppo, basta ripensare alla definizione di “insegnamento centrato sul discente”: si ha un approccio autenticamente learner centred  quando tutti i partecipanti hanno in partenza le stesse opportunità e le stesse possibilità di apprendimento e di partecipazione;  quando lo studente è messo nelle condizioni di poter riflettere adeguatamente sul contenuto dell’insegnamento e di costruire attivamente la propria comprensione dell’argomento (Blumberg, 2009). Il calcolo della dimensione del gruppo deve quindi essere fatto in modo strettamente correlato al tipo di attività che viene svolta in modo che sia assicurato a tutti un’uguale possibilità e quantità di partecipazione e di interazione.

2.2 Ambiente

Non sempre è facile essere consapevoli di quanto lo spazio disponibile e la sua organizzazione condizionino le attività e le dinamiche  di un gruppo di lavoro, ma lo studio di queste relazioni nella Medical Education è forse uno degli aspetti che sono emersi come tra i più rilevanti degli ultimi anni. Nordquist e Laing (2014; 2015) osservano quanto lo spazio fisico abbia impatto sul grado di successo dell’apprendimento: la formazione medica è a tutt’oggi erogata in spazi di apprendimento e didattici tradizionali, mentre le nuove tecnologie offrono possibilità e flessibilità che con questi spazi sono incompatibili o quantomeno scarsamente fruibili. Gli autori utilizzano il termine learning landscape  per indicare il complesso insieme di modificazioni strutturali e ambientali  che sarebbe necessario introdurre nelle nostre università per rendere implementabili i cambiamenti nel curriculum medico, in modo che la formazione possa realmente utilizzare le nuove tecnologie e, soprattutto, il nuovo stile di relazione che il grado di interconnessione o la disponibilità degli ambienti virtuali e digitali oggi ci offre.

Restando nei vincoli strutturali dei nostri ambienti di apprendimento, ci sono alcuni accorgimenti essenziali da seguire nell’organizzare lo spazio per le diverse attività formative. Nel caso del PBL, ad esempio, è importante che le persone, compreso il tutore, prendano posto intorno a un tavolo, rotondo o ovale, ampio a sufficienza per stare comodi e con lavagne a  fogli mobili o simili sulle pareti circostanti (Fig. 1). Per un’attività di gruppo in cui l’aspetto principale non è recuperare, organizzare e analizzare congiuntamente delle informazioni, ma dibattere all’interno del gruppo un tema o un problema, portando prospettive e argomentazioni differenti, la soluzione più adeguata è il circolo di sedie, soprattutto quando si vuole facilitare l’emergere dell’esperienza personale o degli atteggiamenti dei partecipanti. Anche in questo caso, per favorire il processo della condivisione dei punti di vista e la discussione e per regolare al meglio il flusso della comunicazione, è essenziale che il conduttore/tutore sieda in mezzo al gruppo, in modo equidistante e paritetico (Fig. 2). Nel caso in cui il gruppo sia più ampio, a partire da 18/20 persone, il formato ottimale è quello di creare diversi gruppi (con o senza tavolo), collocando il conduttore in posizione esterna (Fig.  3); durante lo svolgimento delle attività previste è bene che il conduttore si muova tra i tavoli per poter avere un contatto costante con tutti. È la struttura che si può usare per il TBL, Team-Based Learning (Parmelee, Hudes, Michaelsen, 2013).

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2.3 Caratteristiche dell’attività a piccolo gruppo

Le caratteristiche fondamentali dell’attività a piccolo gruppo sono, secondo Newble e Cannon (2001): la partecipazione attiva, l’attività orientata allo scopo e il contatto face-to-face; solo se questi tre aspetti sono contemporaneamente presenti si ha un’ottimale efficacia didattica. L’elaborazione e la riflessione condivisa sono possibili solo quando ogni partecipante porta attivamente il proprio contributo al discorso e nel contempo la stretta interrelazione tra i partecipanti genera un’attivazione emozionale e relazionale tali da massimizzare il livello di motivazione e partecipazione dei singoli. In un lavoro a piccolo gruppo è più semplice per il tutore ricordare  le criticità dei singoli studenti,  il grado di preparazione e le caratteristiche relazionali di ciascuno,  potendo così implementare nel modo più rapido ed efficace gli interventi correttivi, ad esempio suggerire letture integrative, indicare le carenze nella preparazione precedente,  effettuare gli opportuni chiarimenti sui contenuti o stimolare direttamente i partecipanti ad esprimere le proprie opinioni.  Quanto più il materiale oggetto di apprendimento è complesso, tanto maggiore è l’effetto del grado di conoscenze pregresse o le esperienze precedenti dello studente; ciò implica anche la maggiore necessità di un intervento precoce sulle carenze individuate.

Nel lavoro a piccolo gruppo le possibilità di fornire feedback immediati, precisi e soprattutto individualizzati, è maggiore rispetto ad altre situazioni formative. Il gruppo costituisce inoltre uno spazio di apprendimento in cui è più facile per lo studente avere un riscontro sul proprio grado di conoscenza o esperienza anche dai pari (peer evaluation) e dove vi sono svariati momenti e stimoli che possono innescare i processi riflessivi e di autoconsapevolezza sui diversi aspetti che le attività mettono in gioco.

Nell’identificare le attività formative che possono beneficiare della didattica in gruppo o che non possono che essere svolte in questo format va ricordato che: (i) gli studenti affrontano e svolgono le attività in gruppo a partire dal livello di conoscenza pregressa e sulla base dalle esperienze precedenti, e che quindi questi aspetti devono essere monitorati in fase iniziale; (ii) perché si abbia un’adeguata attivazione personale a motivare e sostenere nel tempo l’impegno del singolo nei lavori di gruppo, ciò che viene proposto deve essere saldamente legato ai bisogni formativi dello studente in quel preciso punto della sua formazione; (iii) deve implicare forme di apprendimento attivo, che implicano un agire pratico del discente; (iv) deve essere focalizzato su problemi specifici. Perché un’attività svolta in gruppo sia davvero efficace deve essere possibile a chi la svolge cogliere in modo visibile ed immediato la relazione con la propria pratica quotidiana e vederne l’applicabilità concreta. È  essenziale, nella progettazione delle attività di gruppo, immaginare cicli di sequenze formative in cui l’esecuzione delle attività si alternino a momenti di rielaborazione riflessiva e discussione su queste stesse attività (De Villiers, Bresick, Mash, 2003).

In un lavoro di gruppo ben funzionante tutti gli studenti partecipano attivamente, vi sono frequenti e adeguate interazioni di gruppo, il gruppo lavora restando aderente e orientato agli obiettivi, le attività hanno sempre una rilevanza dal punto di vista della pratica e favoriscono lo sviluppo del pensiero critico e delle capacità di problem-solving. Deve sempre essere percepibile l’effetto di facilitazione del gruppo sul processo di apprendimento e l’atmosfera di lavoro deve mantenersi il più possibile positiva (Steynert, 2004).

Un gruppo funziona bene quando il conduttore è in grado di monitorare costantemente  tutti gli aspetti sopra elencati, regolandoli adeguatamente in funzione sia del raggiungimento dell’obiettivo, che del mantenimento di un flusso ottimale di esperienza per il gruppo stesso. Si richiede perciò al conduttore di avere adeguata sensibilità per rispondere sempre in modo costruttivo alle dinamiche che possono generarsi nel gruppo; a volte può essere necessario, per rispondere adeguatamente alle eventuali criticità (vedi 4.4), ri-orientare in corso d’opera le attività e talvolta è necessario mettere il raggiungimento dell’obiettivo didattico prefissato in subordine alla risoluzione delle criticità emerse nel gruppo.

2.4 Contenuti

Identificare quali sono i contenuti formativi che, nel curriculum,  si prestano ad una didattica in piccolo gruppo non è sempre agevole: una parte considerevole della didattica è, attualmente, erogata con lezioni frontali, lasciando per lo più al tirocinio pratico o ad alcune esercitazioni basate sulla simulazione, il compito di far acquisire le competenze cliniche e le abilità pratiche. In realtà molti sono gli argomenti e i temi che possono essere insegnati attraverso le attività del piccolo gruppo, il cambiamento però richiede una rivisitazione di contenuti e strategie che non sempre è facile. Proviamo a vedere i parametri che ci possono essere utili per individuare i contenuti che meglio si prestano per la didattica a piccolo gruppo:

– contenuti non troppo semplici

– conoscenze teoriche che è necessario calare nella pratica clinica

– contenuti che richiedono un monitoraggio più stretto del processo e dell’esito dell’apprendimento, perché più vulnerabili ad un’errata o disfunzionale organizzazione delle conoscenze nella mente dello studente

– contenuti complessi o condizionati in modo importante da una possibile disomogeneità delle conoscenze pregresse degli studenti e che quindi hanno bisogno che vi sia ampio spazio per le domande di chiarimento degli studenti

– contenuti che richiedono un importante lavoro di integrazione con altri contenuti che lo studente sta apprendendo in parallelo

– contenuti, come l’acquisizione di abilità pratiche, che richiedono un costante monitoraggio e più frequenti feedback

– contenuti che, per le loro caratteristiche o complessità, richiedono che si debba aggiustare spesso il tiro

– attitudini e/o atteggiamenti che è necessario monitorare e modificare

– aree o contenuti per i quali è essenziale sviluppare il ragionamento critico

– aree o contenuti per i quali è essenziale sviluppare la capacità di lavorare in team

2.5 Format di insegnamento

Vi sono diversi format di insegnamento in piccolo gruppo ormai consolidati nella pratica didattica in ambito medico : Problem-based learning [PBL], Case-based learning [CBL] e Team-based learning [TBL].

Nel PBL l’apprendimento avviene attraverso il processo di risoluzione di un problema aperto, vengono apprese sia strategie di ragionamento che contenuti relativi a un dato dominio di conoscenza, per favorire anche l’acquisizione di abilità di problem-solving, competenze di lavoro in gruppo e una conoscenza fortemente orientata alla pratica. Lavorando in gruppo gli studenti identificano le conoscenze che già possiedono, le informazioni che devono recuperare e dove e come trovarle per risolvere il problema proposto. Il lavoro avviene in fasi: un momento comune in cui viene presentato il problema e durante il quale la discussione tra gli studenti ha lo scopo di far emergere le conoscenze già possedute relative all’argomento proposto; nel corso della discussione il gruppo sviluppa possibili teorie o ipotesi e i partecipanti costruiscono insieme un possibile modello concettuale esplicativo. Segue una fase di lavoro individuale di approfondimento auto-organizzato e da ultimo una fase di nuovo di lavoro collettivo per discutere quanto trovato individualmente e mettere così a punto il modello finale.

Nel CBL vengono usati dei casi clinici (trigger) per far lavorare un gruppo alla ricerca della soluzione. I partecipanti hanno il compito di approfondire e integrare altre conoscenze allo scopo di trovare la soluzione in un arco di tempo variabile (anche un paio di settimane) in cui organizzano come meglio credono le loro attività. La restituzione avviene sotto la supervisione di un tutore in un gruppo di lavoro. A differenza del PBL, nel CBL viene enfatizzata soprattutto la dimensione clinica e l’applicazione alla pratica di quanto appreso.

Nel TBL gli studenti, dopo una fase iniziale in cui devono approfondire una serie di informazioni e letture di preparazione, si trovano a lavorare insieme, di solito con una composizione del gruppo multi professionale, su uno specifico caso clinico.

Uno degli aspetti che maggiormente differenzia tra loro questi format di lavoro in gruppo è il ruolo e la funzione del conduttore: nel caso del PBL svolge sostanzialmente il ruolo di facilitatore, non deve necessariamente essere esperto del contenuto specifico oggetto del PBL, mentre deve essere molto competente come facilitatore del lavoro di gruppo; nel caso del CBL, invece, il tutore deve essere un esperto del settore. Il suo compito è commentare adeguatamente dal punto di vista dei contenuti le attività svolte dagli studenti e i loro risultati, deve essere in grado di riassumere i punti salienti del problema e poter fornire spiegazioni tecniche al grado di dettaglio che è funzionale all’apprendimento.  Nel TBL infine, il ruolo del conduttore è una combinazione dei primi due: deve essere nello stesso tempo esperto della materia per guidare concettualmente in modo adeguato gli studenti, fornendo loro le informazioni e le indicazioni di contenuto iniziali e i feedback tecnici nel corso delle attività, e nello stesso tempo deve svolgere la funzione di facilitatore nei diversi momenti del lavoro in gruppo.

2.6 Durata e altri aspetti strutturali

Qual è il tempo giusto per un lavoro di gruppo? Ovviamente dipende dal tipo di contenuto e di format che è stato scelto, ma in linea di massima il tempo accettabile varia da 45 minuti, per le attività più mirate, alle tre ore (ovviamente con pause).

Nella costituzione e mantenimento del gruppo è importante tenere conto sia del principio di continuità del gruppo, che della necessità di formare gli studenti a saper lavorare in team che possono variare nel tempo. Tipicamente nei gruppi operano sia spinte in senso conservativo (il gruppo che funziona bene cerca di non modificare la sua composizione), sia spinte centrifughe da cui nascono le richieste di cambiare gruppo per motivazioni esterne, esigenze personali, disagio con i compagni. L’indicazione di massima è che un gruppo di lavoro sia mantenuto stabile almeno per un semestre. Quando uno studente chiede di cambiare gruppo cosa è meglio fare? Appurare le ragioni della richiesta è essenziale: se questa nasce unicamente da aspetti relazionali è bene non consentire il cambiamento,  ma cercare di far emergere le criticità, usandole come un momento formativo per la presa di coscienza della dimensione relazionale del lavoro di gruppo. Medici e infermieri dovranno lavorare in team per tutto il resto della loro vita professionale ed è bene che sviluppino il prima possibile le capacità relazionali per gestire le criticità che possono emergere nell’interazione con i colleghi.

In generale è bene che il gruppo di lavoro sia affiancato dal medesimo conduttore per tutta la durata dell’attività formativa (da poche lezioni a un semestre), soprattutto per quelle attività che sono meno strettamente disciplinari e più legate allo sviluppo di competenze trasversali: solo nella continuità della presenza si può sviluppare una relazione costruttiva e soprattutto di fiducia tra gruppo e conduttore. Nel caso in cui siano previste diverse figure di “esperti”che intervengono a guidare le attività del gruppo è necessario che ci sia un tutore  di coordinamento costante nel tempo. A volte può accadere che – per motivi di tempo o disponibilità – più gruppi diversi siano seguiti simultaneamente nelle loro attività da un solo tutore. Si tratta però di una soluzione che limita molto l’efficacia formativa, soprattutto per le attività collocate all’inizio del curriculum degli studi. È altrettanto vero però che con il tempo gli studenti possono sviluppare buone competenze nell’organizzazione e gestione del lavoro di gruppo, al punto da poter essere in grado, verso la fine del percorso formativo, di lavorare in gruppo anche in assenza di un tutore, a patto però che l’obiettivo del lavoro di gruppo sia stato chiaramente definito in precedenza.

3. Processi e strumenti di lavoro

La preparazione di un’attività per il lavoro in gruppo richiede un’attenta pianificazione. L’aspetto più interessante, ma che rende più complesso rispetto all’erogazione della didattica frontale il programmare, implementare, seguire e valutare attività svolte in gruppo, è il fatto che non si tratta solo di fornire contenuti informativi alle persone che partecipano: è l’attività del lavorare insieme ad essere formativa di per sè. Essere in gruppo attiva i partecipanti sia sul piano cognitivo, che sul piano relazionale, che è per sua natura dinamico e processuale, caratterizzato da azioni e reazioni che si svolgono nel tempo e che  generano cambiamenti; per garantire la migliore qualità didattica a questo tipo di esperienza è necessario avere in mente a priori come le attività proposte si integrano tra loro e soprattutto quali effetti generano sul comportamento e le interazioni degli studenti.

3.1 Predisporre l’attività

La fase organizzativa dell’attività a piccolo gruppo richiede per prima cosa di stabilire gli obiettivi di apprendimento sia globalmente, che sessione per sessione, traducendoli in termini di competenze da acquisire: “alla fine di questa sessione gli studenti saranno in grado di …” e “essere riusciti alla fine di questo incontro di gruppo significa …..”. È importante tenere conto che l’attività a piccolo gruppo, come detto poco sopra, è lo spazio ideale per lo sviluppo delle capacità più complesse, dal problem-solving, al ragionamento clinico, allo sviluppo delle competenze riflessive. Un altro aspetto importante nella pianificazione delle attività è avere in mente quale sia fino a quel momento l’esperienza pregressa degli studenti, il livello di formazione che hanno raggiunto, qual è il loro grado di conoscenza degli argomenti che sono oggetto del lavoro in gruppo e così via.

È necessario valutare adeguatamente la complessità o difficoltà del materiale, identificando i concetti o i contenuti più critici. È fondamentale dare precise istruzioni ai propri collaboratori che conducono i gruppi su quali siano e debbano essere i punti chiave dell’insegnamento sessione per sessione. In particolare per le attività CBL e TBL l’efficacia del lavoro con il gruppo è massima quando ai collaboratori sono stati indicati con precisione i key-teaching-points (Durning, Conran, 2014, p. 72). Sostanzialmente si tratta, prima di iniziare, di:

– Definire gli obiettivi didattici

– Individuare i concetti critici

– Definire una “agenda” per il lavoro di gruppo

– Indicare i punti chiave  dell’insegnamento

– Mettere in luce le criticità di quello specifico gruppo di studenti

3.2 Strumenti e Tecniche

La gamma delle tecniche che possono essere utili nel lavoro di gruppo è ampia e articolata. Qui di seguito vediamo alcune delle tecniche più comunemente utilizzate, alcune più adatte per la fase o gli incontri iniziali, altri da usare un po’ più avanti. Una buona strategia adatta alle fasi iniziali per ingaggiare velocemente un gruppo di lavoro nella discussione su un tema è la tecnica detta Snowballing, palla di neve. Agli studenti viene presentata una domanda o una questione e si chiede loro di pensarci su per circa cinque minuti, senza confrontarsi con gli altri. Allo scadere dei cinque minuti viene dato mandato di mettersi in coppia con un compagno e discutere per altri cinque minuti, allo scadere dei quali la coppia si unisce ad un’altra coppia e prosegue nella discussione. Di nuovo dopo cinque minuti il quartetto si unisce ad un altro quartetto e prosegue nel  confronto. In questo modo tutti gli studenti, anche i più evitanti e restii ad esprimere il loro pensiero, finiscono per essere coinvolti. Una variante è la tecnica del mosaico o Jigsaw groups: i partecipanti divisi in gruppi – ad esempio 6 gruppi per 36 partecipanti o 5 gruppi se i partecipanti sono 25 – iniziano la discussione; dopo dieci minuti i gruppi si sciolgono, formandone altri che contengono ciascuno solo uno dei componenti della precedente divisione (Fig .4). Nella tecnica del Brainstorming agli studenti è fornito un problema: un componente del gruppo funge da scriba e trascrive su una lavagna fedelmente e senza alcuna censura tutto ciò che agli altri partecipanti viene in mente e che viene verbalizzato. È fatto divieto a chiunque di giudicare,  censurare, criticare o semplicemente indicare le criticità di ciò che viene proposto in questa fase del lavoro. Solo quando la fase di brainstorming è finita ed inizia la parte di lavoro riflessivo è data ai partecipanti facoltà di valutare, discutere, giudicare l’appropriatezza delle proposte o interpretazioni emerse, lavorando congiuntamente per raggruppare, organizzare o eliminare le diverse opzioni.

La tecnica del Buzz groups può essere usata in qualsiasi momento o contesto, anche nel corso delle lezioni frontali; nei piccoli gruppi viene solitamente utilizzata quando il gruppo è entrato in uno stato di stallo e sta girando intorno al problema, senza vedere alternative: il conduttore propone al gruppo una domanda correlata, ma in modo non troppo evidente, al problema che ha generato lo stallo, facendo discutere i partecipanti a  gruppi di due/tre persone.

Chairing discussion o Formal debate sono due tecniche da usare in fase avanzata, in particolare quando un gruppo si trova davanti ad una contrapposizione tra alternative, assegnando a due persone le tesi contrapposte e oggetto di discussione, ad un altro partecipante il ruolo di chair e facendo esporre i pro e i  contro di ciascuna posizione. Una variante del gruppo di discussione è il Line-ups: in questo caso il tutore esprime un’affermazione controversa sul tema oggetto della discussione; colloca in un angolo della stanza il punto di massimo accordo con l’affermazione stessa e all’estremo opposto la posizione contraria e invita gli studenti ad allinearsi lungo la linea immaginaria che collega i due punti, in base a quanto si sentono vicini all’una o all’altra delle due posizioni. Si può poi far dibattere tra di loro i vicini lungo la linea. Se utilizzata all’inizio e alla fine di un’attività, le variazioni nella distribuzione dei partecipanti sulla linea possono essere utilizzate come indicatore di cambiamento nelle opinioni del gruppo a seguito dell’esercitazione stessa.

4. La conduzione del gruppo

4.1 Il conduttore

Come probabilmente è già emerso nelle pagine precedenti il conduttore ha un ruolo fondamentale nella maggiore o minore efficacia della didattica a piccoli gruppi. In realtà non si tratta solo di essere/non essere didatticamente efficaci, perché, a differenza di quanto avviene con le lezioni frontali,  l’esperienza formativa in un piccolo gruppo può essere buona, neutra, ma anche cattiva o molto cattiva.  Nella lezione ex-cathedra la cosa peggiore che può accadere allo studente è sentirsi annoiato o avere la sensazione di perdere tempo, un’esperienza negativa di lavoro in gruppo, proprio perché investe anche il piano relazionale, può lasciare tracce importanti sul senso del proprio valore o sulla propria autostima. È quindi necessario che chi sceglie questo approccio didattico non solo abbia piena consapevolezza della complessità della formazione, ma abbia anche in mente le strategie più utili per la gestione del gruppo e una adeguata sensibilità interpersonale. Un tutore che riesce a creare un’atmosfera serena, non giudicante o stigmatizzante, che riesce a mantenere il gruppo focalizzato sul mandato del lavoro senza essere percepito come controllante, che lascia e crea spazio per tutti i partecipanti, che riesce a gestire adeguatamente le dinamiche di gruppo creando un clima cooperativo e positivo, ha il potere di generare un ambiente di apprendimento estremamente potente e fruttuoso per i suoi studenti; al contrario un tutore che parla continuamente, che non incoraggia la partecipazione del gruppo, che ha un atteggiamento critico e squalificante verso tutti gli interventi che non ritiene pertinenti, che crea disequilibrio nel gruppo favorendo alcune persone a scapito di altre, non solo crea uno spazio altamente disfunzionale all’apprendimento, ma può innescare cicli interpersonali (segnali in prevalenza non verbali, automatici ed emozionali scambiati nel corso delle interazioni e interpretati dai partecipanti in modo da confermare le loro aspettative sulla qualità buona o cattiva della relazione in corso) estremamente disturbanti, quando  non distruttivi (cfr. Safran, Siegal, 1993).

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Ruoli che può ricoprire il conduttore del gruppo (Rudduck, 1979; McCrorie 2014):

istruttore, quando fornisce informazioni agli studenti

avvocato del diavolo, quando intenzionalmente assume il punto di vista contrario per stimolare la discussione

sedia neutra, quando dirige la discussione senza esprimere alcuna opinione in merito a ciò di cui si discute

consulente, quando non fa parte del gruppo, ma è presente solo per rispondere alle domande degli studenti

facilitatore, quando, con le più diverse strategie, agisce da stimolo e guida alla discussione fornendo spunti, domande e commenti per far progredire l’apprendimento e la formazione.

In realtà un buon conduttore non assume nessuno di questi ruoli stabilmente, ma è in grado di ricoprirli tutti, in modo flessibile, a seconda di ciò che è più necessario per il gruppo in quel momento. Secondo Richmond (1984) il tutore deve essere in grado di fare, nel corso delle attività, diversi tipi di interventi strategici:

– Iniziare e terminare la discussione di gruppo: ricordando ai partecipanti il compito del lavoro di gruppo; riassumendo i risultati/conclusioni raggiunte dal gruppo; indicando, al termine della sessione di lavoro, i compiti futuri

– Regolare adeguatamente il flusso del lavoro. Sia dal punto di vista del discorso vero e proprio che si dipana tra i partecipanti, in modo da evitare che la discussione si incagli o inizi a girare su stessa, sia nel senso di tenere bene a mente la rotta (l’obiettivo) e orientare in quella direzione il gruppo, quando questo sembra avere perso la direzione

– Gestire la dinamica del gruppo, regolando il comportamento dei singoli, agendo da facilitatore per chi tende ad evitare di esporsi e contenendo chi fatica a regolare adeguatamente il  proprio comportamento. È necessario che sia contemporaneamente in grado di monitorare il sistema nel suo complesso e nei suoi processi, leggendo adeguatamente i segnali individuali e collettivi (stanchezza, irritazione, competizione, aggressività manifesta e nascosta, sostegno, giudizio valutativo), sia dei partecipanti tra loro, che verso se stesso e il proprio ruolo

– Facilitare il raggiungimento dell’obiettivo formativo, utilizzando tutte le tecniche e le strategie sopra descritte

– Predisporre e monitorare l’ambiente circostante per far sì che sia sempre nelle migliori condizioni per gli studenti, individuando e riducendo l’effetto degli stimoli distraenti, dai rumori esterni, alla mancanza della strumentazione adeguata

Oltre alla somma di queste abilità e competenze tecniche nella gestione del gruppo, il buon conduttore deve anche possedere quella che Brown (1982) chiama super-skill e che è la capacità di individuare quale skill specifica è necessario usare in quale situazione.

4.2 Il processo di conduzione

Le fasi iniziali di un incontro di gruppo impostano il lavoro che verrà fatto più avanti e hanno la funzione di creare un adeguato clima partecipativo e collaborativo. Una delle strategie più comunemente utilizzate per “rompere il ghiaccio” e facilitare il contatto tra i partecipanti è quella di invitare le persone a presentarsi brevemente a coppie, raccontando qualche cosa di sé, il compagno riferirà poi all’intero gruppo quanto ha saputo. Un po’ più complesso come procedura, ma che velocizza il processo di costruzione di relazioni, è il gioco del ponte che richiede la disponibilità di una quantità adeguata di pezzetti di Lego e un po’ più di tempo.  Ai partecipanti, divisi in due gruppi, viene dato mandato di costruire il più rapidamente possibile un ponte, di dimensioni specifiche, con alcuni vincoli che hanno lo scopo di rendere più complesso il compito (es. un gruppo non può usare i mattoncini blu; un altro gruppo quelli quadrati; chi monta i mattoncini non può sceglierli direttamente ma deve farli selezionare ad un altro che però non può vedere la costruzione, e così via). Chi finisce per primo vince. L’esercizio serve al conduttore non solo a rompere il ghiaccio, ma soprattutto per avere una prima idea delle dinamiche relazionali tra i partecipanti. Una fase di rielaborazione di quanto successo, valutando ad esempio come il gruppo si è strutturato,  lo stile di leadership o di comunicazione, consente un passaggio formativo ulteriore. Sempre nel primo incontro un’azione importante è che il gruppo stesso fissi le “regole del gioco” (ground rules) che regolamentano gli aspetti pratici della partecipazione al gruppo. È importante che non sia il conduttore a imporle dall’esterno, ma che emergano dalla negoziazione tra i partecipanti. Alcuni esempi di ground rules: presentarsi puntuali, finire per tempo, rispettare i turni di parola, non interrompere, criticare o squalificare chi sta parlando, rispettare i punti di vista degli altri, spegnere i cellulari, mantenere il riserbo su quanto avviene nel gruppo. Un aspetto formativo è il fatto che è il gruppo stesso a fissare i correttivi da applicarsi qualora le regole vengano  violate.

4.3 Le dinamiche del gruppo

I gruppi sono come persone: hanno una loro fisionomia, un loro carattere e modi di reagire e la loro personalità è il risultato dell’interazione tra i singoli individui che compongono il gruppo e con il conduttore. La vita di un gruppo attraversa solitamente quattro fasi (Mulholland, 1994; Walton, 1997):

Forming: la fase iniziale in cui i partecipanti iniziano a conoscersi, esplorano i confini dei comportamenti accettabili nel gruppo, mettono alla prova la leadership

Storming: i componenti del gruppo non sono ancora in grado di lavorare insieme, devono “prendersi le misure”, è la fase in cui si definiscono i ruoli all’interno del gruppo, possono essere presenti momenti critici e intense attivazioni emotive. A seconda della storia del gruppo e degli eventi che il gruppo vive, momenti di crisi e riorganizzazione del gruppo possono presentarsi più volte nel corso del tempo

Norming: è la fase in cui il gruppo si assesta, le differenze vengono ammortizzate e, definite le regole di lavoro, il gruppo può concentrarsi sull’obiettivo; la relazione tra i partecipanti diventa maggiormente cooperativa

Performing: in questa fase i componenti del gruppo hanno accettato i punti di forza e le criticità di ciascuno; hanno fiducia reciproca, sono in grado di individuare obiettivi e raggiungerli attraverso il lavoro congiunto, in un clima positivo che amplifica il senso di appartenenza e di fiducia reciproca

Adjourning (o anche Mourning): è la fase conclusiva del lavoro di gruppo, che precede il momento in cui il gruppo si scioglie; prevede la riflessione su quanto è stato fatto insieme, sugli obiettivi che sono stati raggiunti e sul contributo di ciascuno. È importante che il tutore, in modo supportivo,  incoraggiante e non squalificante accompagni questa fase finale di auto-valutazione.

4.4 Situazioni difficili

Una competenza preziosa per un tutore che svolge attività didattica e  formativa con il piccolo gruppo è la capacità di individuare per tempo l’emergere delle criticità relazionali tra i partecipanti, sé compreso. Per gestire adeguatamente questi momenti di difficoltà è importante segnalarle al gruppo in modo non punitivo o giudicante, ma come un fatto che sta accadendo e che può essere affrontato, e intervenire adeguatamente, nel tempo giusto,  per ripristinare una adeguata regolazione interpersonale che consenta lo svolgimento delle attività previste. Nel regolare i propri ed altrui interventi è necessario tenere conto sia dei singoli individui che del gruppo nel suo insieme. Non si tratta di risolvere dall’esterno o con la forza dell’autorità i problemi, ma di far sì che il gruppo stesso, se ne faccia carico e provi a cercare una soluzione. È ovvio che questa è un’abilità che il gruppo nelle sue fasi iniziali non possiede, soprattutto se si sta lavorando con studenti dei primi anni, e che deve essere acquisita e sviluppata attraverso un processo meta cognitivo di riflessione guidata dal conduttore sui processi e le dinamiche del gruppo.

Non è semplice individuare il momento in cui fermare le attività per effettuare un intervento che attivi la riflessione del gruppo e lo porti a far emergere le difficoltà di funzionamento. Spesso i momenti di maggiore criticità per un gruppo sono quelli in cui uno o più elementi intervengono in modo giudicante, valutativo e squalificante nei confronti del comportamento o delle affermazioni fatte da una o più persone, quando vengono utilizzate espressioni linguistiche giudicanti o squalificanti, quando si crea una contrapposizione non legata al contenuto delle idee o delle opinioni espresse,  ma legata alla contrapposizione di potere (in senso ampio) tra chi sostiene le diverse opzioni. Per effettuare questa interruzione riflessiva il conduttore può, ad esempio, fermare le attività e domandare al gruppo “Prendiamoci un momento per pensare. Siete tutti soddisfatti del modo in cui questo gruppo sta lavorando? C’è qualcuno che vuole fare qualche commento su come stiamo procedendo?”. Non sempre il gruppo è in grado in modo autonomo di spostare l’attenzione dai contenuti della discussione al processo relazionale, è quindi compito del conduttore effettuare questo spostamento quando il gruppo non possiede ancora le abilità sufficienti per farlo in modo indipendente, ma molto spesso gli studenti sono più che pronti e disposti a mettersi in gioco su questo piano. È importante che il conduttore, anche quando la situazioni sia diventata critica o irritante anche per lui, non faccia mai interventi che abbiano una connotazione giudicante o valutativa sulle persone coinvolte. La strategia migliore è commentare in modo neutro e fattuale il comportamento osservato, facendo verbalizzare l’effetto che ha avuto sulle persone coinvolte, limitandosi a dirigere il traffico e regolare gli interventi : “… quando il tuo compagno/a XY ha usato l’espressione JZ come ti sei sentito? Cosa hai pensato? “ “Sarebbe stato possibile esprimere questa tua posizione in modo diverso? Come?”. In taluni casi può porsi come modello riformulando i commenti fatti dagli studenti eliminando o modificando le espressioni linguistiche che abbiano un tono critico, giudicante, valutativo o squalificante. Sostanzialmente si tratta di fare sempre interventi con lo scopo di incrementare nei partecipanti la consapevolezza dell’effetto che le proprie azioni o parole hanno sugli stati mentali (pensieri, emozioni, intenzioni) altrui. Possedere un’adeguata teoria della mente per fare inferenze adeguate su cosa c’è nelle mente dei nostri interlocutori e formulare ipotesi pertinenti su come le intenzioni e le emozioni altrui sono legate al comportamento osservabile, è una competenza essenziale per i professionisti della cura: il lavoro in gruppo è uno spazio ideale in cui far crescere e sviluppare queste capacità, preziose dal punto di vista professionale per il lavoro in equipe. È comunque necessario non lasciare mai passare sotto silenzio le criticità che si generano nel gruppo perché raramente passano da sole, mentre possono più spesso amplificarsi con il passare del tempo rendendo l’esperienza di apprendimento molto meno buona di quanto potrebbe essere.

Una situazione frequente nel lavoro in gruppo è l’emergere di comportamenti dominanti da parte di uno o più componenti, ad  esempio monopolizzando una discussione. La conseguenza più immediata è che parte del gruppo si senta irritata, altri si blocchino e non intervengano pur desiderandolo, altri ancora semplicemente abbandonino il gruppo fisicamente o metaforicamente, pensando ad altro. In questo caso si può intervenire su diversi piani: a parte chi è consapevole della propria tendenza a dominare il campo e che accetta solitamente di buon grado la richiesta esplicita di farsi da parte, molti altri non sono consapevoli del loro comportamento. In questi casi attribuire a queste persone un ruolo a servizio del gruppo – ad esempio tenere le note di una discussione – può essere una soluzione per disinnescare il loro comportamento (a patto di monitorare che la persona riporti quanto effettivamente detto dai compagni e non i solo i propri pensieri). Un’altra strategia è chiedere la loro opinione su un punto specifico, per poi intervistare gli altri compagni su altri punti. Anche la posizione può aiutare: quando il tutore siede direttamente in fronte a questo tipo di studenti la loro tendenza a monopolizzare l’attenzione risulta amplificata, mentre viene ridotta se il conduttore si colloca in modo da averli alle spalle, riducendo la quantità possibile di contatto oculare e di interazioni. Assegnare un compito specifico da svolgere nell’interesse del gruppo funziona molto bene anche nel caso degli studenti con uno stile evitante, che faticano ad esporsi e a partecipare attivamente.  Profondamente disfunzionali per una buona atmosfera di gruppo sono gli interventi o i commenti  ironici o eccessivamente scherzosi, al limite dello squalificante, verso il conduttore o i compagni. L’intervento d’elezione in questo caso è fermare il lavoro di gruppo e far riflettere il gruppo sul processo in atto.

5. Mindful co-working: principi di lavoro di gruppo

I concetti di base della mindfulness sono oggi utilizzati come riferimento in diverse discipline, ad esempio nel trattamento di numerose condizioni cliniche, dal dolore cronico (Kabat-Zinn et al.1987), alla depressione (Teasdale et al. 1995), ai disturbi alimentari  (Kristeller et al. 2006) e l’interesse per l’applicazione e gli effetti degli interventi mindfulness-oriented sono presenti in molte aree della psicologia e non solo.  Anche nel campo della Medical Education, interventi basati su questo approccio si sono dimostrati efficaci sul miglioramento della qualità della vita e del benessere nei professionisti della salute (Beckman et al., 2012) e di recente iniziano ad essere studiati anche nell’ambito della formazione medica (Ardenghi et al. 2016) e nel campo della gestione dei gruppi di lavoro (Baim, 2014).

Una delle definizioni di mindfulness più nota si rifà alle ricerche di Kabat-Zinn (1990) ed è in stretta relazione  il concetto di mindfulness della pratica Buddista. La mindfulness è definita come la consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione allo svolgersi dell’esperienza momento per momento, con intenzione,  nel presente,  in modo non giudicante (Kabat-Zinn 2003) ed anche come osservazione non giudicante dell’incessante flusso degli stimoli interni ed esterni, così come essi arrivano alla coscienza, lasciando da parte i pensieri giudicanti, valutativi e i rimuginii che tendono ad affollare la mente, impedendoci di restare nel presente, nel qui-ed-ora. Curiosità, apertura,  accettazione e gentilezza verso gli altri e verso se stessi, sono le caratteristiche di un atteggiamento mentale autenticamente mindful (Bishop et al., 2004). L’applicazione di questi principi al lavoro di gruppo ha permesso a Baim (2014) di individuare alcuni capisaldi che, applicati al lavoro di gruppo, possono aiutare il buon funzionamento del gruppo stesso, generando un’atmosfera di lavoro autenticamente collaborativa e positiva e che possono essere utili sia che si tratti di lavorare in gruppo con i propri studenti, sia che si tratti di lavoro di gruppo da svolgere con i colleghi. Qui di seguito i cinque principi del Mindful Co-working:

  1. Trattarsi l’un l’altro con rispetto

Avere un genuino rispetto per le altre persone, che nasca da una autentica sensazione dell’importanza e del valore degli altri, così come del nostro, in qualsiasi tipo di attività, ruolo e momento di vita; avere un’attenzione incondizionata per la persona di fronte a noi “in quanto” persona e applicare  una Leadership rispettosa dell’altro, mai inutilmente aggressiva o squalificante, rispettando i confini  (no all’intrusività o alla manipolazione emozionale dell’atro) e utilizzando sempre forme di comunicazione adulte, mai inutilmente critiche o squalificanti: sbagliati sono i comportamenti o le azioni, mai le persone.

  1. Non agire mai in modo oppressivo

Si tratta di accogliere, comprendere e lavorare in modo costruttivo con le differenze, di ogni tipo,  rifiutando ogni forma di pregiudizio. Non si tratta solo di trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi, ma di rispettare le esperienze, i valori e i principi delle altre persone, in qualche modo cercando di avvicinarci in modo aperto e comprensivo alla visione del mondo che l’altro ha e che può non coincidere con la nostra. Si tratta di entrare in relazione avendo cura di provare ad assumere la prospettiva dell’altro diverso da noi,  cercando sempre di sentirsi coinvolti in prima persona e non accettare mai atteggiamenti discriminatori od oppressivi.

  1. Usare una comunicazione socialmente e emozionalmente intelligente

Vale a dire cercare in ogni occasione di sentire, riconoscere, nominare e riflettere sulle nostre ed altrui emozioni , riconoscendone l’importanza ed utilizzando la consapevolezza emotiva come una fonte preziosa di informazioni sul mondo, sulle relazioni, sulle interazioni tra noi e gli altri; è l’invito a riconoscere e  regolare i propri comportamenti impulsivi, i propri stati affettivi, le proprie reazioni emozionali, seguendo sempre nel proprio modo di comunicare i principi di trasparenza e autenticità.

  1. Condividere la responsabilità del lavoro

Sentirsi responsabili del proprio lavoro, riconoscendo altresì la propria dipendenza dagli altri come un fattore essenziale per il raggiungimento degli obiettivi; avvertire la condivisione di responsabilità, ma anche il sostegno che viene dalla cooperazione autentica;  riconoscere il valore della fiducia reciproca nel lavorare insieme e del valore dell’affidabilità condivisa. Riconoscere il valore positivo di cooperare e “fare gioco di squadra”.

  1. Aiutarsi reciprocamente nella crescita professionale, fidarsi della relazione condivisa per lavorare insieme

Approcciarsi ai propri colleghi con un atteggiamento di genuina apertura all’esperienza e alla relazione; essere autenticamente interessati  alle competenze, abilità e conoscenze che l’altra persona possiede e dare valore ai feedback che dai compagni di lavoro possono arrivare nelle diverse situazioni, senza interpretarli come un giudizio negativo su di sé.

Tutto questo è reso possibile dall’applicazione di tre abilità che facilitano la condivisione:

  1. trasparenza: i colleghi devono essere il più possibile trasparenti nella condivisione delle proprie opinioni e posizioni , mantenendo sempre un elevato livello di rispetto reciproco, esplicitando in modo non giudicante o valutativo le criticità che si osservano, facendo il più possibile riferimento ai riverberi che le azioni altrui hanno su di noi quando vengono messe in atto, evitando il più possibile il ricorso a principi astratti e scollati dall’esperienza concreta del qui-ed-ora.
  2. uguaglianza : uno stile di comunicazione in cui tutti i partecipanti siano messi nelle condizioni di collaborare in ugual misura, mantenendo sempre il rispetto delle persone, anche quando vi sono differenze di potere o di status
  3. supportarsi reciprocamente anche nelle criticità: rinforzando, non giudicando, osservando con rispetto le scelte altrui

Indicazioni sicuramente non facili da seguire, ma l’importante è provare a tenerle nella mente come un possibile sistema di guidelines.

Bibliografia

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Cita questo articolo

Streppafava M.G., Il lavoro di gruppo, Medicina e Chirurgia, 70: 3185-3186;3191-3199, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-6

Stato dell’arte dei Gruppi di lavoron.70, 2016, pp. 3184

Gruppo di lavoro

MD – PhD

Il Gruppo comprende attualmente Marco Krengli (Piemonte Orientale, Novara), Daniele Santini (Campus Biomedico, Roma), Antonio Moschetta (Bari), Raffaella Muraro (Chieti), Francesco Curcio (Udine), Calogero Caruso (Palermo), Luciano Daliento (Padova), Paolo Remondelli (Salerno), Mauro Tognon (Ferrara), Antonella Calogero (Roma La Sapienza, Polo Pontino) e Riccardo Zucchi (Pisa). E’ stata recentemente acquisita la collaborazione di Massimiliano Corsi Romanelli delegato del rettore dell’Università Statale di Milano per il percorso MD-PhD.

 

L’obiettivo è quello di individuare le possibili caratteristiche del percorso MD-PhD in termini di accesso e svolgimento, nonché le modalità di integrazione di tale percorso nell’ambito del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al fine di formulare una proposta utile alla redazione di un documento della Conferenza che fornisca indicazioni per la stesura di una normativa ministeriale.

L’attività prosegue come previsto con la raccolta di informazioni su percorsi simili in ambito internazionale al fine di giungere alla formulazione di una proposta finale.

È stata preparata una scheda di raccolta dati e i componenti del gruppo hanno iniziato a raccogliere informazioni sulla base di contatti nei vari Paesi Europei ed extra-Europei. La scheda prevede di indagare il piano di studi in termini di ore di impegno nelle diverse attività didattiche (lezioni, tirocinio, laboratorio) e loro distribuzione negli anni di corso, tipi di ricerca svolta, criteri di ammissione e di permanenza nel percorso, modalità di accesso, nonchè modalità di assegnazione di borse di studio ed eventuali altri benefits per gli studenti inseriti nel percorso.

Sono stati finora raccolti dati, che sono in fase di elaborazione, dalle seguenti sedi:

Phillips University, Marburg, Germany; Ruprecht-Karls University of Heidelberg, Germany; University of Zurich, Switzerland; University of Tours, France; Virgina Commonwealth University, USA; Yale University, USA; Johns Hopkins University, USA.

Sono in corso contati con altre sedi fra cui le Università di Belfast, Tubingen, Leiden, Cordova e Danzica.

Da una prima analisi delle informazioni raccolte dalle sedi contattate e da dati di letteratura risulta che i percorsi hanno alcune caratteristiche simili in Europa e in Nordamerica. Negli USA vi sono 120 programmi (Alamri Y, Clinical Medicine, 2016, 16:215-8), 45 dei quali finanziati da NIH. In Canada il supporto del Canadian Institutes of Health Reserach verrà meno a partire proprio dal 2016, tuttavia alcune Università proseguiranno a offrire percorsi Md/PhD. La maggior parte di questi percorsi ha una durata di 8 anni che consentono di ottenere sia la laurea sia il titolo di dottorato. In Europa il programma MD/PhD è nato in UK all’Università di Cambridge e poi si è esteso ad altre istituzioni accademiche nel Regno Unito e in altri Paesi fra cui Svezia, Svizzera, Germania, Francia. Analogamente, in Asia, Giappone e Singapore hanno simili programmi e Australia, Nuova Zelanda e, più recentemente, Sudafrica hanno pure adottato analoghi percorsi.

Per meglio definire lo scenario Europeo sono previsti contatti anche con la “European MD/PhD Association (EMPA)” (http://www.eumdphd.com/empa-2/), che riunisce studenti inseriti nei percorsi MD/PhD.

Si prevede di completare la survey in modo da presentare un report preliminare alla riunione di Roma il 4 luglio e completo alla riunione di Messina il 16-17 settembre 2016.

(Marco Krengli)

 

Studio comparativo fra risultati degli immatricolati “regolari” e “ricorrenti”

Abbiamo terminato l’analisi dei dati forniti dai Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia di Milano Statale, Milano Bicocca, Modena e Reggio Emilia, Molise, Novara, Pavia, Roma (La Sapienza) e Torino (Orbassano e Molinette) che hanno permesso di valutare l’eventuale relazione tra voto di maturità e punteggio al test di ingresso, tra punteggio al test di ingresso e score di rendimento (punteggio che tiene conto del numero di esami superati e del voto conseguito, pesato per il numero di CFU attribuiti al corrispondente insegnamento), tra score di rendimento e alcune delle variabili incluse nello studio.  Come già ricordato in occasione dell’incontro di Siena (ed inviato, come richiesto, il 22 febbraio scorso), i risultati preliminari hanno evidenziato una differenza, più o meno rilevante a seconda della sede, tra il rendimento ottenuto dagli studenti immatricolati regolarmente e quello degli immatricolati in sovrannumero: con risultati migliori per i primi.

Per fornire la sintesi definitiva è necessario che i Presidenti dei CdL coinvolti commentino i risultati che saranno loro inviati la prossima settimana.

Il lavoro potrebbe proseguire valutando i risultati al termine del primo triennio (AA: 2016/17); a tal fine sarebbe estremamente utile poter includendo CdL del Centro-Sud Italia dove maggiore è stato il numero di studenti immatricolati in sovrannumero.

(Anna Bossi)

 

Progress Test- Progetti futuri

Il gruppo di lavoro comprende: Salvatore Bozzaro (Torino – Polo San Luigi Gonzaga di Orbassano), Agostino Palmeri (Catania), Giulia Morace (Milano  -Polo San Paolo), Maria Penco (L’Aquila),  Antonio Lanzone (Roma – Cattolica), Manuela Merli (Roma – SAPIENZA-CLMB), Stefania Basili (ROMA-CLMD), Felice Sperandeo (SISM), Alfred Tenore (past-president – Udine – Chair, Department of Medical Education, University of Science and Medicine Colton, California, USA).

In occasione della riunione della Conferenza tenutasi a Siena sono stati mostrati i dati finali dell’ultimo PT. In seguito ad ogni Presidnte è stata inviata una richiesta di creazione di domande di tipo nozionistico e a vignetta clinica da selezionare per il PT 2016.  Ogni Presidente dovrà inviare il form al corpo docente del CLM e la collezione di domande dovrà essere inviata alla Commissione validatrice entro il mese di Luglio. Attualmente abbiamo ricevuto solo 150 domande.

Il prossimo Progress Test si terrà il 16 Novembre 2016.

(Alfred Tenore, Stefania Basili)

La simulazione nei corsi di laurea. Analisi del questionarion.70, 2016, pp. 3181-3183, DOI: 10.4487/medchir2016-70-5

Abstract

A nome del Gruppo di lavoro Simulazione didattica e altre attività professionalizzanti e di tirocinio

Coordinatori: Antonello Ganau (Sassari), Renzo Carretta (Trieste), Mario Messina (Siena).

Componenti effettivi: Giovanni Murialdo (Genova), Marco Elli (Milano), Francesco Curcio (Udine), Domenico Prisco (Firenze), Francesco Squadrito (Messina), Antonio Lanzone (Roma),

Oliviero Riggio (Roma), Marina Scarpelli (Ancona).

Esperti esterni: Giancarlo Torre (Genova), Fabio Fiorino (Palermo), Giustino Morlino (S.I.S.M.).

Articolo

In Italian medical education teaching by lectures widely prevails over the practical activities, unlike what happens in most European countries. This gap between theory and practice needs to be filled quickly, especially in perspective of the enabling graduation. As both ethical reasons and attention to patient safety do not allow to acquire directly on patients numerous practical skills (for instance wound suture, thoracentesis, airway intubation, defibrillation, and so on), the simulation techniques have quickly become an essential part of the teaching tools for obtaining a complete and balanced medical education.

Conscious of the need to strengthen the learning of vocational educational activities in the Italian courses of degree in medicine and surgery, even  through the extensive use of medical simulation techniques, the Italian Standing Conference of the Presidents has developed a list of about 130 theoretical and practical skills deemed essential in medical education, 30% of which are expected to be acquired in simulation. The aim of the Conference is that the Italian courses of degree adopt them as educational goals of the vocational training and get to share at least 80% of them.

To act more effectively in this direction, the Conference has established a special Working Group named “Medical simulation and other vocational training activities”. According to the mandate entrusted to him, the working group has set itself the primary objective to know the state of diffusion of the simulation and the level of sharing of the skills indicated by the Conference among the Italian courses of degree in medicine and surgery. For this purpose has been prepared and distributed an information questionnaire. The final results of this survey are here briefly reported.

Bibliografia

È noto che in Italia la didattica frontale è largamente prevalente rispetto alle attività teorico-pratiche nella formazione del medico, a differenza di quanto accade nella maggior parte dei paesi europei. Questo gap tra teoria e pratica richiede di essere colmato rapidamente, tanto più nella prospettiva non lontana della laurea abilitante. Poichè ragioni etiche e di sicurezza del paziente non consentono di acquisire direttamente sul malato numerose abilità pratiche (si pensi alle suture di ferite, alle toracentesi, all’intubazione delle vie aeree, etc), le tecniche della simulazione si sono rapidamente affermate come parte essenziale degli strumenti didattici per una formazione completa ed equilibrata del medico.

Conscia della necessità di dover potenziare le attività didattiche professionalizzanti (ADP) nei  Corsi di laurea in medicina e chirurgia italiani (CdL), anche attraverso un ampio uso delle tecniche di simulazione medica, la Conferenza permanente dei Presidenti ha elaborato un elenco di circa 130 ADP ritenute necessarie o imprescindibili, di cui circa il 30% da svolgere in simulazione. Ai CdL è stato chiesto di adottarle come obiettivi didattici dei tirocini professionalizzanti, nella prospettiva di arrivare a condividere almeno l’80% delle ADP tra tutti i CdL.

Costituzione del Gruppo di lavoro

Per agire più efficacemente in questa direzione, la Conferenza ha successivamente ritenuto utile istituire uno specifico gruppo di lavoro denominato “Simulazione didattica e altre attività professionalizzanti e di tirocinio”.

Il 25 settembre 2015 a Portonovo si è svolta la prima riunione operativa di questo nuovo gruppo di lavoro. Sulla base del mandato affidatogli, il gruppo di lavoro si è posto come primo obiettivo di conoscere lo stato di diffusione della simulazione e il livello di condivisione delle ADP indicate dalla Conferenza nei corsi di laurea in medicina e chirurgia italiani. A questo fine è stato elaborato un questionario informativo (Fig. 1) e lo si è distribuito a ciascun presidente di CdL.

Il questionario ha posto alcune domande utili a sapere in quanti e quali CdL si utilizza la simulazione, con quali strumenti (dai semplici task trainers ai simulatori avanzati), in quali strutture didattiche (Skill lab /Centri di simulazione avanzata), con quale personale (facilitatori/istruttori di simulazione) e con quale tipologia di corsi (corsi BLSD, ALS, etc). Il questionario ha chiesto inoltre se ci sia interesse da parte di alcuni CdL di fruire di corsi sulla simulazione organizzati o promossi dal gruppo di lavoro, con tipologie differenziate a seconda delle esigenze (letture o seminari sulle applicazioni  didattiche della simulazione; corsi per formare tutori /facilitatori di simulazione; corsi di simulazione ad alta fedeltà per formare istruttori di simulazione). Per quanto riguarda le ADP proposte dalla Conferenza, il questionario ha chiesto se esse siano state deliberate dai Consigli di CdL e ufficialmente adottate come obiettivi formativi dei tirocini professionalizzanti.

Analisi del Questionario

I risultati definitivi di questa indagine conoscitiva, illustrati in via preliminare nella riunione della Conferenza di Siena (8/4/2016), vengono ora descritti in dettaglio.

Hanno risposto al questionario i seguenti 27 CdL in medicina e chirurgia: Bologna, Brescia, Cagliari, Caserta, Chieti, Ferrara, Firenze, Foggia, Genova, Messina, Milano, Milano S. Paolo, Milano Vialba, Molise, SUN Napoli, SUN Napoli II inglese, Palermo, Pisa, Roma Campus Biomedico, Roma USCS, Roma Sapienza, Sassari, Siena, Torino, Trieste, Udine, Verona.

Tra questi, 24 sono dotati di manichini per corsi di BLSD, 23 di task trainers, 17 dispongono di manichini per corsi di ALS, 8 possiedono manichini per la gestione del trauma.

Per quanto attiene le strutture didattiche dedicate, 16 CdL dichiarano di disporre di centri di simulazione con manichini ad alta fedeltà, che in 14 casi sono di proprietà dell’Università.

Per quanto riguarda il personale utilizzato nelle attività didattiche di simulazione, 21 CdL dispongono di tutori/facilitatori di numerosità assai variabile (da 3 a oltre 20), mentre 15 dispongono di istruttori di simulazione certificati per scenari ad alta fedeltà.

Le tipologie di attività di simulazione svolte nei CdL riguardano i corsi di Body Life Support and Defibrillation (BLS-D; 22 casi), le esercitazioni con l’uso di semplici task trainers (17 casi), i corsi di Advanced Life Support (ALS; 14 casi), i seminari sull’errore in medicina (11 casi), i corsi con scenari ad alta fedeltà (9 casi),  i corsi di Immediate Life Support (ILS; 4 casi), i corsi avanzati di Crisis Resources Management (CRM; 2 casi). Il numero di studenti coinvolti in queste attività varia grandemente, a seconda del CdL e della tipologia (e complessità) del corso.

Infine, solo 15 CdL hanno adottato con regolare delibera almeno parte delle ADP proposte dalla Conferenza, inserendole ufficialmente come obiettivi formativi dei tirocini professionalizzanti.

Commento

Complessivamente hanno risposto al questionario il 57% dei corsi di laurea in Medicina e chirurgia italiani e dalle loro risposte risulta che in quasi tutti la didattica professionalizzante utilizza qualche forma di simulazione. Nell’ 81% di queste realtà si organizzano corsi di BLSD  per gli studenti e in oltre il 60% dei casi gli studenti frequentano uno skill lab dotato di strumenti di simulazione a bassa fedeltà (task trainers). Meno diffusi o addirittura rari sono i corsi più avanzati di ALS (51% dei casi), di simulazione ad alta fedeltà, di ILS e CRM (dal 33% al 7%), in quanto richiedono manichini più sofisticati e costosi ed istruttori particolarmente esperti.

È interessante notare che un buon numero di corsi di laurea (il 59%) dichiarano di disporre di veri e propri Centri di simulazione ad alta fedeltà, per lo più di proprietà dell’Ateneo. Tuttavia l’utilizzo di questi centri è raramente destinato agli studenti, come dimostrano i dati precedenti, e assai più frequentemente alla formazione degli specializzandi e dei medici e infermieri delle aziende ospedaliero universitarie di riferimento. Un forte limite ad un uso più diffuso per gli studenti di scenari di simulazione ad alta fedeltà è rappresentato dal fatto che questi corsi si svolgono a piccoli gruppi e impegnano tecnici e istruttori esperti, a fronte del numero elevato degli studenti.

Il fatto che oltre la metà dei corsi di laurea che hanno risposto al questionario richieda un supporto esterno per programmare corsi di formazione per facilitatori e/o istruttori di simulazione dimostra che il principale limite allo sviluppo della simulazione in medicina non è tanto il costo di acquisto di task trainers e  manichini  (che pure va considerato) quanto piuttosto la scarsità di docenti   disponibili a diventare istruttori e dedicare non poco tempo all’insegnamento a piccoli gruppi. La richiesta di supporto informativo e formativo esterno rappresenta per il gruppo di lavoro un importante ambito di intervento nel prossimo futuro.

Non va trascurato il dato che solo 15 corsi di laurea hanno adottato con regolare delibera le ADP proposte dalla Conferenza, almeno in parte, indicandole ufficialmente come obiettivi formativi dei tirocini professionalizzanti. Questo dato indica un serio ritardo nell’affrontare con decisione il potenziamento delle attività professionalizzanti, indispensabile affinchè la prospettiva della laurea abilitante diventi concreta e non velleitaria

Un ultimo importante commento va rivolto alla mancata risposta al questionario, pur dopo solleciti, del 43% dei corsi di laurea. Ciò fa supporre che in gran parte di questi la simulazione sia poco utilizzate e le ADP non ricevano sufficiente attenzione.

Prospettive di lavoro

Il prossimo impegno del Gruppo di lavoro verterà sullo studio delle iniziative necessarie e possibili per estendere l’uso della simulazione nella formazione del medico, soprattutto per l’apprendimento di quelle attività didattiche professionalizzanti che non possono essere apprese direttamente sul paziente. In particolare il gruppo si impegnerà a valutare, studiare e selezionare le abilità generali di simulazione che potranno essere condivise e adottate da tutti i corsi di laurea, in modo che tutti abbiano uguali abilità da valutare nella prospettiva della laurea abilitante.

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* indicare se il Centro a disposizione del CdS afferisce alla Facoltà / Scuola di Medicina o appartiene ad altre istituzioni (AOU, AO, ASL, privati)

** CRM (Crisis Resource Management), gestione ottimale delle risorse in situazioni critiche

§ Attività didattiche professionalizzanti (ADP)

Cita questo articolo

Ganau A., La simulazione nei corsi di laurea. Analisi del questionario, Medicina e Chirurgia, 70: 3181-3183, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-5

Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli Studenti di Medicina. Primi risultati della Fase 1 – Le caratteristiche degli Studenti selezionatin.70, 2016, pp. 3176-3180, DOI: 10.4487/medchir2016-70-4

Claudio Barbaranelli, Giuseppe Familiari, Valerio Ghezzi, Maurizia Valli, Sabino De Placido, Raffaella Muraro, Francesco Maria Bandello, Vittorio Locatelli, Salvatore Bozzaro, Italia Di Liegro, Maria Filomena Caiaffa, Sergio Morini, Maria Grazia Strepparava e Gabriele Cavaggioni

(Gruppo di Lavoro Accesso a Medicina e Test Attitudinali: riforma e monitoraggio)

Abstract

We present the first results of a longitudinal study for the recognition and assessment of non-cognitive aspects of the candidates access to medicine course, and throughout the course. This study considered 8 CLMs equally distributed throughout the country and 980 students enrolled in the first year, in the academic year 2013-2014.

Preliminary results obtained from the analysis of the questionnaire used in the research show that students expect a profession characterized by the aid for patients and socially useful, while they do not expect a low pay as well as a work activity risky for health. Students are motivated to the academic course mainly by the desire to care for others, while variously opportunistic aspects are much less relevant.

Students show high capacity of self-regulation, a high level of empathy in its both aspects of propensity to engagement with others in their difficult moments, as well as of tendency to spontaneously take the perspective of others, while they are able to maintain a goal directed behavior even in the presence of suffering others. These students are basically satisfied, they show a confident and positive attitude towards life and a substantial psychological health.

However, it is possible to identify a sub-group of students showing signals of psychological fragility who must be carefully monitored: their profiles will be analyzed in more detail, through in-depth interviews scheduled for the third/fourth year as part of faculties counselling services.

Articolo

Introduzione

Un buon “processo di selezione” si raggiunge attraverso ricerche scientifiche applicate ai metodi utilizzati, allo scopo di produrre evidenze in grado di rendere quei termini irrinunciabili di validity, reliability, feasibility e acceptability alla selezione (Familiari et al., 2002a, b; 2003, 2005; 2014; Patterson et al., 2016).

In particolare, una importante revisione sistematica della letteratura sull’argomento ha chiaramente dimostrato che le evidenze correnti dimostrano come gli “academic records, interviews and multiple mini-interviews, aptitude test, situational judgement tests and selection centres are more effective selection methoods and are generally fairer than traditional interviews, references and personal statements” (Patterson et al., pag.36, 2016).

Il Gruppo di Lavoro della Conferenza ha proposto uno studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli studenti di Medicina, i cui risultati, nelle 4 fasi dello studio previste (all’inizio del corso, all’inizio del terzo anno, alla fine del quarto anno e alla fine del sesto anno) e nel a due anni dopo la laurea, dovrebbero dare importanti indicazioni sul migliore riconoscimento delle caratteristiche psicoattitudinali dei candidati, sul migliore orientamento professionale per gli stessi, finalizzato a fornire evidenze per la costruzione di un migliore processo di selezione a Medicina in Italia (Cavaggioni et al., 2013; Familiari et al., 2014; Barbaranelli et al., 2014).

I risultati attesi da questo studio sono anche finalizzati al miglioramento della qualità della professione, alla diminuzione del drop out e quindi i tempi di latenza tra la fine della scuola superiore e l’ingresso nel lavoro, alla rilevazione dei potenziali studenti che potrebbero presentare condizioni di disagio e avere necessità di aiuto psicologico durante il percorso di studio (Cavaggioni et al., 2013; Familiari et al., 2014; Barbaranelli et al., 2014).

In questo lavoro sono sinteticamente presentati i risultati relativi alle caratteristiche sociodemografiche del campione, le aspettative sulla professione e le caratteristiche motivazionali che hanno guidato la scelta di iscriversi ad un corso di laurea di medicina, le caratteristiche individuali psicosociali e gli aspetti psicologico-clinici che caratterizzano il campione degli studenti in entrata (Fase 1 dello studio).

Il questionario e le caratteristiche socio-demografiche del campione

Hanno partecipato alla prima fase del progetto di ricerca 980 studenti provenienti da 8 corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia equamente distribuiti sul territorio (Figura 1). L’età degli studenti è compresa tra i 18 e i 30 anni (M =19.71, DS = 1.05), con il 60% del campione di sesso femminile. Gli studenti provengono principalmente dal Liceo Scientifico (Figura 2), mentre la media del loro voto di maturità è 91.4 centesimi (SD = 9.7). Il 56% degli studenti ha conseguito la maturità nel 2013, il 29% nel 2012 . La quasi totalità è celibe/nubile. Circa il 9% degli studenti lavorava contemporaneamente agli studi, sebbene l’attività di studio venga considerata comunque l’occupazione principale.

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Circa l’85% degli studenti proviene da famiglie in cui i genitori sono ancora sposati. La maggioranza dei genitori possiede almeno il diploma di maturità (Figura 3). La maggioranza dei padri è rappresentata da liberi professionisti o impiegati, così come lo sono le madri, dove anche la categoria dell’insegnante è consistentemente rappresentata (Figura 4). Oltre l’80% degli studenti ritiene che il proprio reddito familiare sia sufficiente o più che sufficiente.

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Il questionario distribuito durante il primo semestre del primo anno di frequenza, oltre ad analizzare le caratteristiche socio demografiche degli studenti, conteneva i seguenti strumenti di misura: scale di auto efficacia (Caprara, 2001), una versione semplificata del Big Five Questionnaire 2 (Caprara et al., 2008), l’indice di reattività personale (IRI, Davis, 1983), l’SCL-90R (Derogatis, 1994), la scala di positività (Caprara et al., 2012) e altre scale motivazionali costruite ad hoc per questo studio. Il questionario era approvato dalla Conferenza Permanente e dai Comitati Etici delle diverse sedi, e veniva distribuito con il consenso informato degli studenti che autorizzavano la diffusione ai fini scientifici dei soli dati aggregati dello studio stesso.

Risultati

Per quanto riguarda le aspettative degli studenti sulla professione, prevale nettamente il desiderio di aiutare gli altri e di fare un lavoro utile per la società (Figura 5) mentre per quanto riguarda le loro caratteristiche motivazionali prevale l’altruismo sull’opportunismo e la mancanza di alternative (Figura 6).

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Per quanto riguarda le caratteristiche psicosociali degli studenti, sono stati considerati i tratti di personalità, le convinzioni di autoefficacia, l’empatia, la soddisfazione di vita e la positività.

In particolare, per quanto riguarda i tratti di personalità, sono stati valutati:

  1. l’energia (tendenza ad affrontare situazioni e contesti di vita di vita differenti con vigore);
  2. l’amicalità (orientamento alla socialità e all’atteggiamento positivo nei confronti degli altri);
  3. la coscienziosità (disposizione all’ordine, al metodo e alla perseveranza nelle attività che si intraprendono);
  4. la stabilità emotiva (propensione al mantenimento costante del controllo delle emozioni negative);
  5. l’apertura mentale (tendenza all’apertura alle novità e agli stimoli non conformi alle abitudini personali).

I risultati generali mostrano valori sopra la media teorica in tutte le dimensioni: in particolare sembrano elevati i valori relativi all’amicalità, alla coscienziosità e all’apertura mentale (Figura 7).

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Per quanto riguarda le convinzioni di autoefficacia sono stati valutati i risultati:

  1. nelle attività accademiche (percezioni della propria efficacia nella gestione dello studio, delle attività di gruppo e nelle relazioni con docenti e colleghi);
  2. nell’essere assertivi (capacità percepite di esprimere e sostenere con forza le proprie opinioni e i propri diritti);
  3. nella gestione delle emozioni ( capacità percepita nella gestione degli effetti delle emozioni negative come la paura e la tristezza);
  4. nell’empatia (percezioni relative alla propria competenza di aiutare e comprendere gli altri nei loro momenti di difficoltà);
  5. nella sfera sociale (percepirsi in grado di stringere nuove amicizie e partecipare attivamente nelle occasioni sociali);
  6. nella regolazione delle condotte trasgressive (percepirsi capaci di resistere alla pressioni degli altri e a persistere in attività in cui non ci si sente coinvolti);
  7. nel problem solving (percezioni delle proprie competenze nella risoluzione dei problemi e nella ricerca di strategie alternative per contribuire alla loro risoluzione).

Anche in questo caso, i risultati mostrano che gli studenti si percepiscono come capaci di agire efficacemente nei diversi domini considerati dalle scale: di particolare rilevanza sono i punteggi nell’autoefficacia empatica e nell’autoefficacia nella regolazione delle condotte trasgressive (Figura 8).

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La valutazione delle dimensioni psico-sociale è completata dalle seguenti dimensioni:

  1. Empatia – fantasia (tendenza a trasporre i propri sentimenti e le proprie azioni in quelle di personaggi non reali, come gli eroi dei film e dei fumetti);
  2. Empatia – considerazione empatica (propensione a sentirsi coinvolto e vicino agli altri nei loro momenti difficili);
  3. Empatia – perspective taking (tendenza ad assumere spontaneamente la prospettiva degli altri circa un problema o una situazione);
  4. Empatia – disagio personale (sperimentare sentimenti di discomfort quando gli altri stanno soffrendo o si trovano in difficoltà, non riuscire a mantenere un comportamento finalizzato allo scopo in tali situazioni);
  5. Soddisfazione di vita generale (valutazione globale della propria vita al momento della compilazione del questionario);
  6. Positività (tendenza ad assumere un approccio e una visione positiva della vita e delle proprie esperienze).

Nelle quattro dimensioni dell’empatia spiccano gli elevati punteggi nelle scale di considerazione empatica e perspective taking, e il punteggio decisamente più basso nella scala relativa alla sperimentazione di disagio personale di fronte alle difficoltà altrui. I punteggi nelle scale di Soddisfazione di vita e di Positività evidenziano infine un vissuto di sostanziale benessere individuale e un atteggiamento largamente positivo verso la vita (Figura 9).

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Per quanto riguarda le dimensioni psicologico-cliniche, sono strati valutati i risultati derivanti dalla somministrazione della scala SCL-90 R (Derogatis, 1994). Tale scala fornisce punteggi in 9 differenti scale relative ad altrettante tendenze verso specifici disturbi psicologici (Somatizzazione, Ossessività-compulsività, Ipersensibilità personale, Depressione, Ansia, Ostilità, Ansia fobica, Ideazione paranoide, Psicoticismo); tramite l’SCL-90 è possibile ricavare anche un punteggio complessivo, il Global Severity Index (GSI), che rappresenta il migliore indice generale dell’intensità o della profondità attuale del disturbo, e combina informazioni riguardanti il numero di sintomi riferiti e l’intensità del disagio percepito, e che può essere utilizzato come singolo indice riassuntivo.

I punteggi nelle 9 scale dell’SCL-90 evidenziano  valori tendenzialmente bassi che fotografano un quadro di sostanziale salute psicologica del gruppo di studenti considerati in questo studio. Anche se tutti i punteggi risultano abbondantemente inferiori alla media teorica, le scale nelle quali si evidenziano punteggi meno bassi sono quelle relative alla ossessività-compulsività e  alla ipersensibilità personale (Figura 10).

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Se si considera il punteggio nell’indice globale GSI il quadro evidenziato dalle 9 scale specifiche viene confermato, poiché circa il 90% dei partecipanti non mostra alcun segno di disagio psicologico, o mostra segni di disagio nella norma o comunque sotto livelli di attenzione critica. Vi è tuttavia un numero di giovani partecipanti che riporta un livello generale di disagio oltre la soglia di attenzione critica (definita da un punteggio standardizzato T nel GSI maggiore di 65). La percentuale di tali giovani è compresa tra circa il 9% e circa l’11% (da 85 a 110 studenti). Si tratta di un numero di studenti sicuramente minoritario, ma che andrebbe seguito con grande attenzione da parte dei servizi di sostegno e counselling delle diverse sedi coinvolte nella ricerca.

A questo riguardo emergono delle interessanti e significative differenze tra gli studenti che presentano  maggiore disagio e quelli che non mostrano alcun segno di disagio psicologico, se si considerano le dimensioni che sono state indagate in questo studio e che sono state riportate nelle figure precedenti. In particolare, gli studenti che presentano maggiori livelli di disagio:

–   Si aspettano maggiormente che il lavoro del medico sia caratterizzato da aspetti negativi per la salute (es. turni pesanti) e legati al coinvolgimento emotivo con i pazienti;

–   Si sentono maggiormente guidati dalla mancanza di alternative (es. disoccupazione,  scarsa confidenza nel futuro) e dall’opportunismo nella scelta del corso di laurea (es. vantaggi economici, carriera, parenti già nell’ambiente);

–   Sognano più facilmente ad occhi aperti (sono più facilmente trasportabile dall’immaginazione);

–   Si sentono maggiormente a disagio nel contatto umano che comporta il coinvolgimento emotivo con l’altro.

–   Si sentono meno capaci nella autoregolazione dell’apprendimento e nelle attività accademiche, nella regolazione delle emozioni negativi, nell’essere assertivi, nell’essere empatici, nelle attività sociali e nel resistere alle pressioni e alle trasgressioni, e nella risoluzione dei problemi;

–   Si percepiscono come meno energici, amicali , stabili emotivamente, e aperti mentalmente;

–   Si percepiscono come meno adatti ad assumere la prospettiva dell’altro nei momenti di difficoltà;

–   Ritengono  di affrontare la vita e i suoi avvenimenti in modo meno positivo;

–   Sono  meno soddisfatti della propria vita in generale.

Conclusioni

Gli studenti si aspettano principalmente che la loro professione futura sarà caratterizzata dall’aiuto per i pazienti e che il loro lavoro avrà una utilità sociale. Tendenzialmente, si aspettano in maniera minore di avere una retribuzione scarsa e che la professione rappresenti un’attività lavorativa rischiosa per la salute.

Gli studenti selezionati sono motivati al percorso accademico per diventare medici, principalmente dalla volontà di prendersi cura degli altri, mentre aspetti opportunistici o legati alla mancanza percepita di opportunità risultano caratteristiche motivazionali meno rilevanti ai fini della scelta di tale carriera accademica.

Gli studenti evidenziano inoltre una discreta capacità di autoregolazione della condotta, soprattutto nelle dimensioni connesse con l’empatia e con la capacità di non mettere in atto comportamenti trasgressivi. Essi evidenziano un profilo di personalità nel quale spiccano le dimensioni dell’Amicalità, della Coscienziosità e dell’Apertura Mentale.

I dati raccolti evidenziano che gli studenti ammessi a medicina presentano un livello elevato di empatia, sia per quanto riguarda la propensione a sentirsi coinvolto e vicino agli altri nei loro momenti difficili, sia per quanto riguarda la tendenza ad assumere spontaneamente la prospettiva degli altri circa un problema o una situazione, mentre riescono a mantenere un comportamento finalizzato allo scopo, anche in presenza di segnali di sofferenza altrui.

Si tratta quindi di studenti sostanzialmente soddisfatti di sé stessi e che mostrano un atteggiamento fiducioso e positivo verso la vita. Essi evidenziano pertanto uno stato di sostanziale “salute psicologica”, con punteggi sotto la media in tutte le dimensioni connesse con il disagio psicologico.

È possibile tuttavia identificare un gruppo di studenti (85-110 studenti) che denota una fragilità da monitorare con attenzione, il cui profilo verrà analizzato in modo più dettagliato, e che sono candidati ai colloqui di approfondimento pianificati per il terzo anno da parte dei Servizi di supporto/counselling.

Le prossime fasi dello studio

Le attività previste per il terzo anno di studio (la fase 2) sono attualmente in corso di realizzazione. Esse comprendono:

1)   La Somministrazione del questionario “Fase 2”, tutt’ora in corso di distribuzione agli studenti arruolati, ora iscritti al terzo anno di corso. Nel questionario della Fase 2, approvato nella Riunione della Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia che si è recentemente tenuta a Siena l’8 e il 9 Aprile 2016, sono stati eliminati gli item relativi alle motivazioni della scelta di Medicina, mantenuti gli item per misurare le dimensioni personali, e aggiunti item per misurare la soddisfazione verso l’esperienza accademica, le attività sociali extra-accademiche, lo stress, l’atteggiamento verso lo studio;

2)   La raccolta e la valutazione degli indicatori di successo accademico, quali il numero di CFU ottenuti nei primi due anni di corso, il numero degli esami sostenuti e la media dei voti ottenuti agli esami;

3)   Lo svolgimento e la pianificazione dei colloqui con gli studenti, con particolare attenzione a chi ha ottenuto punteggi elevati nell’indice GSI, sulla base di uno schema tipo che sarà discusso nella prossima riunione del Gruppo di Lavoro.

Una considerazione conclusiva

Come si evince dalla lettura della review sistematica recentemente pubblicata da Fiona Patterson (2016) i test attitudinali sembrano un buon metodo di selezione. Nella letteratura analizzata in questo studio sono stati considerati 55 studi, di cui 6 reviews, 34 studi longitudinali e 15 di tipo cross-sectional. Alcune evidenze suggeriscono che “students selected using an aptitude test may be more able and better motivated to study medicine than those selected using a process not including an aptitude test” (pag. 40), mentre è pur vero che in uno studio viene riportato che “Section 2 (science knowledge and applications) of the BMAT was predictive of medical school performance, whereas Section 1 (aptitude and skills) was not” (pag. 40).

Non esiste, ad oggi, letteratura internazionale Italiana su questo argomento, su cui ancora debbono essere prodotte convincenti evidenze di validity, reliability, feasibility e acceptability nel contesto internazionale del processo di selezione. Con questo studio longitudinale, il primo su scala nazionale in Italia, pensiamo di dare un contributo su questo tema sempre di attualità e importante per la Società Civile.

Bibliografia

1) Barbaranelli C, Cavaggioni G, et al. Selection of Medical Students and non-cognitive skills: A national, longitudinal written-test validation study. AMEE International Conference, Milan, Italy 2014. Abstract Book, pp 899, 2014.

2) Caprara GV.  (a cura di) La valutazione dell’autoefficacia. Trento: Edizioni Erickson.

3) Caprara GV, Barbaranelli C, Borgogni L, Vecchione M. Big Five Questionnaire 2: Manuale. Organizzazioni Speciali, Firenze, 2008.

4) Caprara GV, Alessandri G, et al. The Positivity Scale. Psychol Assess 2012: 24, 701–712.

5) Cavaggioni G, Barbaranelli C, et al.  Proposta di un modello sperimentale per la selezione e l’accesso ai Corsi di Studio in Medicina e Chirurgia. Med Chir 2013; 57: 2555-2558.

6) Davis MH. Measuring individual differences in empathy: Evidence for a multidimensional approach.  J Pers Soc Psychol 1983: 44, 113–126.

7) Derogatis LR. Symptom Checklist 90–R: Administration, scoring, and procedures manual (3rd ed.). Minneapolis, MN: National Computer Systems, 1994.

8) Familiari G, Binetti P, et al. Selezionare gli studenti delle Facoltà di Medicina, stato attuale e prospettive future. Med Chir 2002a; 17: 600-608.

9) Familiari G, Binetti P, et al. Orientamento, accesso a Medicina e debito formativo. Ipotesi di studio e prospettive future. Med Chir 2002b; 19: 695-703.

10) Familiari G, Binetti P, et al. L’accesso a Medicina, il miglioramento del processo di selezione. Med Chir 2003; 22: 840-845.

11) Familiari G, Binetti P, et al. Scegliere i medici del futuro: è possibile migliorare il metodo di selezione? Med Chir 2005; 29: 1099-1102.

12) Familiari G. Scegliere i Medici del futuro, proposta per l’aggiornamento del test d’ingresso. Med Chir 2006; 33: 1325-1327.

13) Familiari G, Barbaranelli C, et al. L’accesso a Medicina. Best evidence-based practice, requisito indispensabile per una ipotesi di “Processo di Selezione” centrato sulla realtà formativa italiana e di caratura internazionale. Med Chir 2014; 63: 2853-2858.

14) Patterson F, Knight A, et al. How effective are selection methods in medical education? A systematic review. Med Educ 2016; 50:36-60.

Cita questo articolo

Barbaranelli C., Familiari G., et al., Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli Studenti di Medicina. Primi risultati della Fase 1 – Le caratteristiche degli Studenti selezionati, Medicina e Chirurgia, 70: 3176-3180, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-4

L’aderenza alla terapia in medicina. Il problema, i modelli, cosa insegnare agli studenti e quandon.70, 2016, pp. 3173-3175, DOI: 10.4487/medchir2016-70-3

Abstract

Medication adherence usually refers to whether patients take their medications as prescribed (eg, twice daily), as well as whether they continue to take a prescribed medication.

Medication adherence is a growing concern to clinicians and healthcare systems because of mounting evidence that non-adherence is prevalent and associated with adverse outcomes and higher costs of care.

Medication mismanagement is a serious health issue affecting elders and people with disabilities, who often manage multiple medications.  This project’s goal is to evaluate the factors that contribute to this problem and identify a possible strategy to easily incorporate this into the medical curriculum.

Articolo

Ogni intervento terapeutico ha come scopo quello di migliorare lo stato di salute del paziente.  Contribuiscono a questo scopo: i) l’efficacia della terapia comprovata dalla ricerca di base e clinica, ii) la facilità per il paziente di assumere il trattamento che può dipendere sia da aspetti economici che dalla tipologia di dispensazione del farmaco, iii) la sicurezza e la tollerabilità dell’intervento terapeutico e iv) l’aderenza.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’aderenza terapeutica è definibile come ”il grado di effettiva coincidenza tra il comportamento individuale del paziente e le prescrizioni terapeutiche (che possono riguardare farmaci, dieta o stile di vita) ricevute dal personale sanitario curante ”1.

La non aderenza alla terapia porta ad una riduzione dell’outcome atteso per quel trattamento ed ad un incremento delle ospedalizzazioni e di conseguenza all’aumento del costo per il sistema sanitario.

Il Ministero della salute ha recentemente rilevato la necessità di “prescrizioni appropriate” ma anche come la mancanza di aderenza al trattamento, e quindi una prescrizione non appropriata per quel tipo di paziente, si traduca in un danno ai pazienti, con incremento dei costi del sistema sanitario nazionale. La problematica è rilevante in considerazione dell’aumento di pazienti anziani affetti da patologie croniche degenerative, in trattamento con un numero elevato di farmaci e con terapie complesse nonché degli stranieri con difficoltà di comprensione della lingua.   Per la riuscita della cura, rileva il Ministro Lorenzin, occorrono (a) interventi  mirati che si fondano su una solida rete di professionisti (medici, infermieri e farmacisti), operanti in ospedale e sul territorio, che garantiscano il passaggio, in maniera interdisciplinare e condivisa, delle informazioni riguardanti i trattamenti farmacologici prescritti, (b) un’efficace comunicazione che coinvolga il paziente nelle terapia da seguire e che tenga conto delle sue necessità  e (c) un sistema puntuale e costante di monitoraggio, soprattutto nel caso di terapie a lungo termine, poli-terapie o complessità del trattamento

Anche l’Agenzia Nazionale del Farmaco (AIFA) afferma come la scarsa aderenza alle prescrizioni del medico sia la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche e si associa a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, della morbilità e della mortalità, rappresentando un danno sia per i pazienti che per il sistema sanitario e per la società.  L’Italia è al secondo posto in Europa per indice di vecchiaia, con intuibili conseguenze sull’assistenza sanitaria a causa del numero elevato dei malati cronici. L’aderenza alle terapie è pertanto fondamentale per la sostenibilità del SSN. (http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/aderenza-alle-terapie-e-strategie-migliorare-l%E2%80%99uso-sicuro-ed-efficace-dei-farmaci).

Nonostante la diffusa accettazione dell’importanza del concetto di aderenza, nei paesi occidentali i tassi di adesione al trattamento in corso di malattie croniche si attestano intorno al 50%2.

Le più comuni caratteristiche che identificano la malattia a più alto rischio di non-aderenza terapeutica sono:

–  Pochi o no sintomi

–  Terapia non associata a benefici immediati o precoci

–  Richiesta di terapia a lungo termine

–  Richiesta di assunzione frequente e multipla di farmaci

–  Necessita di controlli periodici

–  Richiesta di un trattamento che può indurre effetti indesiderati.

A tal proposito, il diabete e ipertensione arteriosa hanno percentuali di non aderenza intorno al 50% e l’artrite addirittura del 70%3.

I principali fattori correlati al paziente a più alto rischio di non-aderenza terapeutica sono:

–  Paura dei farmaci

–  Non comprensione della malattia e dei rischi

–  Paura di effetti indesiderati

–  Depressione, o disordini cognitivi

–  Cattiva informazione

Quest’ultima è supportata anche da una valutazione condotta in un ospedale d’insegnamento a New York che ha evidenziato (Figura 1) percentuali molto basse di comprensione da parte del malato rispetto a quanto era stato spiegato dal medico4 Joseph S. Alpert5, dell’Università dell’Arizona Health Science Network, Tucson, in un editoriale su “The American Journal of Medicine” scrive “se c’è una caratteristica della pratica clinica quotidiana che trovo frustrante, è il fallimento nel convincere i pazienti a seguire le raccomandazioni cliniche, quando è chiaramente nel loro interesse.

C’è un paradigma clinico, aggiunge Alpert, secondo cui più farmaci sono prescritti a un paziente, maggiore è la probabilità di non conformità. Ciò è vero soprattutto in un paziente anziano con capacità visive o funzione cognitiva ridotte. Il tasso medio di aderenza per i pazienti statunitensi che assumono un farmaco una volta al giorno è dell’80%. Purtroppo, questo numero diminuisce rapidamente se ai pazienti sono prescritti più farmaci o se li devono assumere più di una volta al giorno; ad esempio, l’aderenza è solo il 50% per i farmaci che devono essere assunti 4 volte al giorno. Infatti, ben il 75% di tutti i pazienti e il 50% degli individui con malattie croniche non riescono ad aderire al regime medico prescritto.

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Le cause della mancata o della scarsa aderenza ai trattamenti sono di varia natura e comprendono fattori socioeconomici, fattori legati al sistema sanitario ed al team di operatori sanitari, alla condizione patologica, al trattamento e al paziente.

“Che cosa si può fare per migliorare l’aderenza del paziente alla terapia?” Si chiede Alpert. “A mio parere, – scrive– il fattore più importante è la comprensione delle ragioni per cui un dato farmaco è importante per il benessere del paziente. Altre azioni possibili sono: valutare il numero di farmaci e la complessità del regime terapeutico per ogni paziente ed eliminare quanti più farmaci possibile, così come cercare di usare i farmaci una volta al giorno; individuare il regime farmacologico sulla base della percezione della capacità del paziente di pagare e di aderire al protocollo prescritto; dare al paziente un pro-memoria scritto che elenchi i farmaci, inclusi le modalità e i tempi in cui questi vanno assunti; sviluppare un rapporto di dialogo e di fiducia con il paziente ed educare, educare, educare per quanto riguarda i come e i perché dei farmaci… Ci sono poi in vendita dei dispositivi che aiutano il paziente a ricordare quando assumere un farmaco, come le confezioni pro-memoria o gli alert elettronici. Nel tentativo di costruire un sistema di monitoraggio dell’aderenza del paziente al protocollo terapeutico – conclude Alpert – cerco spesso anche l’aiuto dei membri della famiglia.”

Esiste una vasta letteratura sugli interventi possibili per migliorare l’aderenza.

I ricercatori del Cochrane Collaboration hanno recentemente proposto una panoramica di revisioni sistematiche (6) che analizzano gli effetti degli interventi attuati nella pratica clinica per migliorare l’efficacia delle terapie farmacologiche.

Il lavoro riassume le evidenze di 75 revisioni sistematiche pubblicate fino a marzo 2012 su Cochrane Database of Systematic Reviews e sul Database of Abstracts of Review of Effect, che riguardano sia malattie acute che croniche in popolazioni e contesti differenti e valutano una vasta gamma di strategie per migliorare l’uso dei farmaci, incluso il sostegno per il cambiamento dei comportamenti, la riduzione dei rischi e l’acquisizione di competenze. L’aderenza ai farmaci è l’outcome più comunemente riportato, seguito dalla conoscenza e dai risultati clinici.

Complessivamente, i risultati dello studio suggeriscono che ci sono molti potenziali percorsi per ottimizzare l’uso dei farmaci, tuttavia non ne esiste uno efficace per ogni patologia, popolazione o contesto.

Le strategie che sembrano migliorare l’utilizzo dei farmaci comprendono i programmi di auto-monitoraggio e auto-gestione dei medicinali, mentre sembrano promettenti i regimi semplificati di dosaggio e il coinvolgimento diretto dei farmacisti nella gestione dei farmaci. Altre strategie, come ad esempio le prescrizioni di antibiotici in ritardo, strumenti pratici (ad esempio confezioni pro-memoria); istruzioni o informazioni combinate con altre strategie (ad esempio, formazione di competenze di auto-gestione e consulenza) e incentivi finanziari possono avere anche alcuni effetti positivi, ma i dati a supporto sono meno consistenti.

(http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/aderenza-alle-terapie-e-strategie-migliorare-l%E2%80%99uso-sicuro-ed-efficace-dei-farmaci)

Alcune strategie, come la terapia direttamente osservata, possono essere inefficaci. Altre, come il fornire solo informazioni o istruzioni, producono effetti variabili, essendo poco efficaci per cambiare alcuni risultati (aderenza ai farmaci), pur migliorando la conoscenza, che è fondamentale per le scelte informate sui farmaci. Da tali dati permane comunque l’incertezza sugli effetti di molti interventi, e le evidenze su ciò che funziona sono particolarmente scarse per specifiche popolazioni, tra cui bambini e giovani e persone con multimorbilità.

“Sono state proposte una serie di ragioni per la mancata osservanza delle prescrizioni di un farmaco – scrive Alpert – dimenticanza, costo dei medicinali, mancata comprensione del regime farmacologico, che a volte è dovuta a insufficiente spiegazione da parte del medico, ansia creata da un eccesso di enfasi sulle potenziali reazioni avverse di un farmaco, mancanza di fiducia nel giudizio del medico. Certo, in alcuni casi, concorrono molteplici fattori. In più, l’eccessivo carico di impegni cui sono sottoposti i medici prescrittori nella pratica clinica può portare ad una spiegazione breve e forse inadeguata della logica che sta alla base di una determinata prescrizione di un farmaco.”

Diventa di conseguenza importante migliorare durante i sei anni del corso di laurea l’insegnamento della “comunicazione efficace” e di conseguenza l’aderenza terapeutica.

Tale argomento è stato affrontato recentemente nel corso della 121nesima Riunione  della Conferenza Permanente Dei Presidenti Di Consiglio Di Corso Di Laurea Magistrale In Medicina E Chirurgia.

I modelli d’insegnamento dell’aderenza terapeutica dovrebbero percorrere in maniera longitudinale il corso di laurea dal primo all’ultimo anno inseriti in tutti i corsi integrati dove l’aderenza alla terapia sia una UDE presente nei corsi di Metodologia così come in quelli delle discipline specialistiche e nei corsi di sanità pubblica.  Il vero problema è riuscire poi a valutare in maniera specifica l’apprendimento degli studenti.

E’ esemplare la strategia usata dalla University of Massachusetts Medical School  che ha sottoposto studenti del primo anno a sperimentare il concetto di aderenza randomizzandoli a riempire un questionario sui problemi dell’aderenza con o senza assumere uno schema terapeutico (a base di mentine) per 7 giorni.  E’ veramente interessante come il gruppo sottoposto al braccio di intervento abbia risposto in maniera completamente diversa al questionario “The most common lesson noted was that adherence was difficult”!!

Su questi basi la Conferenza cercherà di lavorare in maniera costruttiva negli atelier pedagogici al fine di affrontare anche questa nuova esigenza dei bisogni di salute di una popolazione in continuo cambiamento.

Bibliografia

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Cita questo articolo

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La valutazione dell’esame di laurea La necessità di una standardizzazionen.70, 2016, pp. 3170-3172, DOI: 10.4487/medchir2016-70-2

Abstract

It is widely accepted that the final exam grade synopsize the student’s commitment throughout his/her training. This score (graduation mark) is considered for job selection through public competition and, not least, has a weight in the national competition for admission to graduate schools or residency. For this reason, it would be appropriate that all of the Italian MD programs use uniform and shared criteria for the final exam assessment. The conference unanimously adopted a proposal for the composition of the final mark, which, while leaving space for the autonomy of the different locations, adopt uniform criteria and weights. We are confident that all MD programs in Italian universities will soon adopt this proposal.

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Il 110 e lode è un traguardo a cui ambiscono tutti gli studenti, ma l’impegno nel percorso formativo di coloro che lo raggiungono è uguale per tutti?

Il Regolamento approvato dal Regio decreto no. 1269 del 4 giugno 1938, per molti aspetti anacronistico ma mai abrogato, prevede che la valutazione della prova finale (esame di laurea) sia espressa con un voto in centodecimi da una commissione di 11 componenti, ciascuno dei quali dispone di 10 punti e che il voto finale corrisponda alla somma dei voti dei singoli commissari. In caso di “pieni voti assoluti” (110/110), la commissione può concedere la lode, nel solo caso di unanimità.

Tale formulazione, sebbene molto lineare ed equilibrata, non consente di includere, nella sintetica valutazione dell’esame finale, un rendiconto dell’intera carriera dello studente ma si limita a consentire una valutazione del lavoro di tesi e della sua presentazione alla commissione.

Dal momento che il voto di laurea rappresenta, per sintesi e con valore legale, la stima del titolo di studio conseguito, da moltissimi anni le commissioni si avvalgono, per la composizione del voto finale, di criteri orientativi che prendono in considerazione anche la carriera dello studente al fine di realizzare un’analisi efficiente e non eccessivamente riduttiva. I criteri in questione sono solitamente riportati nel regolamento didattico del Corso di Studi oppure in apposito regolamento e, sebbene siano diversi per ciascuna sede e CdS, in generale tengono conto sia della carriera, misurata come media dei voti conseguiti negli esami curriculari, a cui sono aggiunte in modo variabile altre premialità (lodi, soggiorni all’estero, etc), che della performance nella prova finale in termini di qualità della tesi e della sua presentazione.

La CPPCLMMC aveva già evidenziato questo problema nel 2008 e, sulla base di una proposta del gruppo di lavoro coordinato dai proff. Tenore e Gaudio, aveva una formulato una raccomandazione di adozione, in tutte le sedi, di criteri omogenei per la composizione ed il calcolo del voto, così come proposti dalla commissione. Tale proposta, che non fu resa cogente, prevedeva che il punteggio venisse calcolato dalle componenti riportate qui di seguito:

  1. Punteggio medio derivato dal curriculum (media aritmetica semplice, convertita in centodecimi);
  2. Punteggio attribuito dalla Commissione in seduta di laurea:

B.1  punteggio per la discussione della tesi;

B.2  punteggio aggiuntivo per le lodi;

B.3  punteggio aggiuntivo per partecipazione a programmi di scambio internazionale;

B.4  punteggio aggiuntivo per la durata del corso.

La proposta prevedeva che, alla media espressa in centodecimi, fosse aggiunto un massimo di 14 punti, di cui sette per la valutazione della tesi e sette per gli altri punteggi aggiuntivi e che la commissione, con parere unanime, potesse attribuire la lode ai candidati che avessero conseguito un punteggio finale superiore o uguale a 113.

Malauguratamente, da una ricognizione effettuata nell’estate 2015 è emerso che pochissimi Corsi di Laurea avevano adottato il sistema proposto. La commissione della CPPCLMMC, coordinata dalla professoressa Basili, ha quindi svolto un’analisi comparativa dei criteri utilizzati nelle varie sedi. Da tale analisi è emerso che, in tutte le sedi, gli elementi concorrenti alla composizione erano costanti (valutazione conseguita nelle verifiche di profitto ed votazione aggiunta dalla Commissione in seduta di laurea, una parte della quale era costituita dalla valutazione della tesi di laurea) ma estremamente variabili erano le votazioni che a questi elementi erano attribuite. Tale variabilità riguardava vari aspetti:

–  la valutazione conseguita nelle verifiche di profitto (media aritmetica semplice vs media ponderata, esclusione dal calcolo della media dei voti più bassi, considerazione delle attività elettive nel calcolo della media);

–  gli elementi della carriera oggetto di premialità (durata degli studi, partecipazione a programmi di scambio internazionali, numero di lodi conseguite o corrispondenti CFU);

–  i criteri di valutazione della tesi presentata (sperimentale vs compilativa, qualità della presentazione, etc).

La correlazione tra le medie del punteggio degli esami ed i voti medi di laurea per ciascuna sede ci restituisce un visualizzazione grafica della variabilità tra le varie sedi, ponendo in evidenza il peso differenziale della quota che viene aggiunta al punteggio derivato dalla media degli esami di profitto nel calcolo del voto finale di laurea. I dati del grafico, estratti da AlmaLaurea, riguardano 6312 laureati dell’anno 2015 in 39 sedi (vedi figura 1). Anche i criteri di assegnazione della lode variavano da sede a sede, con differenti soglie minime relative alla votazione della carriera o a quella finale.

La conseguenza di questa situazione variegata è che il voto di laurea di uno stesso ipotetico studente “standard” può differire di più punti da una sede ad un’altra.

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Questa disparità di valutazione tra le sedi risulta inaccettabile considerando che l’attuale concorso nazionale di accesso alle Scuole di Specializzazione dell’area medica prevede una premialità (max 2 punti) attribuita in maniera proporzionale al voto di laurea conseguito nel range tra 105 e 110 e lode.

Nel settembre 2015, La CPPCLMMC ha dato mandato ad una commissione, coordinata dal professor Della Rocca, di formulare una proposta semplificata che consentisse di uniformare i criteri di calcolo del voto di laurea, lasciando alle varie sedi un margine di autonomia per l’adattamento alla situazione di contesto.

Nel novembre 2015, tale proposta è stata condivisa dalla Conferenza durante la 120ma riunione, con approvazione di una mozione affinché entro la sessione di luglio 2016 tutti i CdS adottino le modalità riportate nella tabella (vedere Mozione).

I punti fondanti della proposta sono:

–  utilizzo di un numero fisso di esami ( max 36, relativi ad attività didattiche di discipline di base, caratterizzanti o affini) nel calcolo, tramite media aritmetica semplice, del punteggio derivato dalle valutazioni delle verifiche di profitto;

–  valutazione della prova finale, in termini di qualità, tipologia e presentazione dell’elaborato, secondo criteri e modalità scelti dalla sede, fino ad un massimo categorico di 7 punti;

–  ampia libertà per la sede di scegliere i criteri di attribuzione delle premialità relative alla carriera dello studente, ma fino ad un massimo categorico di 7 punti

–  uniformità del criterio di determinazione della soglia minima per l’attribuzione della lode e della necessità del parere unanime della commissione.

L’adozione delle suddette modalità di attribuzione del voto di laurea da parte di tutte le sedi consentirà una valutazione equa dell’impegno dello studente nel proprio percorso formativo, tenendo conto delle opportunità e delle difficoltà caratteristiche di ciascuna sede.

Al momento, l’adozione del modello in questione è ancora incompleta. In una buona percentuale delle sedi che l’hanno adottato si è reso necessario il ricorso a sistemi correttivi transitori per le più immediate sessioni di laurea. Ciononostante, l’auspicio è che si possa raggiungere la completa uniformità in un tempo non superiore a 12-18 mesi e che l’adeguamento coinvolga tutti i corsi di laurea/CdS. L’esercizio di un’adeguata azione di monitoraggio sarà compito della Conferenza stessa.

Un probabile limite del modello proposto è quello di non prendere in specifica considerazione la valutazione delle competenze acquisite nella attività didattica professionalizzante. Attualmente, nella maggior parte delle sedi tale valutazione è integrata nella valutazione degli esami di profitto delle discipline cliniche ma, in previsione della prossima adozione di una moderna “laurea con abilitazione”, sarebbe opportuno iniziare la sperimentazione di un’evoluzione di questo modello che possa accogliere, in una fase più matura, anche la valutazione dell’attività professionalizzante.

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Moncharmont B., La valutazione dell’esame di laurea  La necessità di una standardizzazione, Medicina e Chirurgia, 70: 3170-3172, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-2