La Cassetta degli attrezzi del Presidente del Corso di Laurea – Il ruolo del Coordinatore di Semestren.73, 2017, pp. 3225-3228, DOI: 10.4487/medchir2017-73-4.

Abstract

The Semester Coordinator (SC) plays a crucial role in the organization and in the realization of the pedagogical project of the italian course degrees in medicine and surgery. Its presence is increasingly widespread and now more than 2/3 of the courses in Italy uses such figure. The organizational and the pedagogical actions are really intermingled and they can benefit of the utilization of several instruments. A number of these are here suggested to start filling the SC toolbox.

Key words: Semester Coordinator, Organization, Pedagogical Project, Toolbox

Parole chiave: Coordinatore di semestre, Organizzazione, Progetto Pedagogico, Cassetta degli attrezzi

Articolo

Introduzione

Il Coordinatore di Semestre (CS) è figura cruciale nell’organizzazione del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia sebbene, a livello dei CLMMC italiani, essa non sia ancora completamente consolidata. In questo senso sembra che l’intervento della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia in termini di sensibilizzazione delle singole realtà stia portando a una progressiva diffusione della presenza del CS in tutte le sedi1, ma l’ultimo ciclo di site visit effettuato2 dimostra che, a differenza delle altre fondamentali strutture/figure organizzative, il CS non è presente ancora in quasi 1/3 dei corsi (Fig 1).

Classicamente, al Coordinatore di Semestre sono attribuiti un ruolo didattico organizzativo e un ruolo pedagogico3. Il fatto che il ruolo didattico-organizzativo del CS sia oggi particolarmente rilevante ai fini della funzionalità del CdL, è paradossalmente in sé un limite in quanto testimone dell’esistenza di semestri costruiti per mero assemblaggio di corsi tra loro separati, senza un progetto pedagogico unitario di semestre. Prova di ciò è, da una parte la difficoltà di introdurre iniziative di reale integrazione tra i corsi, quali ad esempio l’esame di semestre, e dall’altra la frequente mancanza di consapevolezza del CS di aver anche un ruolo pedagogico.

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Fig. 1

I due ruoli, nei fatti, sono inestricabilmente integrati e, se è vero che compiti organizzativi ben eseguiti facilitano di fatto l’attività pedagogica, è altrettanto vero che il CS acquista un reale ruolo pedagogico se il curriculum è stato programmato secondo un progetto che abbia individuato, per ciascun semestre, un quadro coerente di obiettivi a livello di CLM. In mancanza di un progetto pedagogico di semestre stabilito centralmente, il CS può e deve elaborare un proprio progetto da integrare in modo longitudinale, tramite il confronto con gli altri CS del CdL, all’interno del percorso formativo globale, cosa questa estremamente facilitata dalla partecipazione attiva nella CTP della quale il CS dovrebbe essere sempre membro di diritto.

Ruolo didattico-organizzativo del Coordinatore di Semestre

Il ruolo didattico-organizzativo del Coordinatore Didattico di Semestre (CS) è di notevole importanza e lo rimarrà almeno fino a quando non sarà possibile arrivare ad una integrazione dei corsi tale da far coincidere il coordinatore di semestre con il coordinatore di corso integrato (per esempio, se vi fosse un unico corso integrato a semestre con obbiettivi didattici ed esame di semestre). Di fatto, l’attuale situazione di coesistenza di un numero variabile di corsi con differenti quantità di crediti all’interno di ciascun semestre, rende indispensabile il ruolo del CS, il quale, in questo senso, rappresenta la figura di collegamento tra i Coordinatori di Corso Integrato (CCI), gli studenti del semestre e la CTP. I compiti principali del CS sono:

  • convocare i CCI e/o i docenti dei CI del semestre due volte/anno (prima dell’inizio, per organizzare e, alla fine, per verificare e valutare complessivamente il semestre);
  • definire l’orario dei singoli corsi e gli eventuali “cunei didattici” (per cuneo didattico si intende una forma organizzativa del semestre che prevede lo svolgimento dei corsi integrati non in parallelo, ma in serie, molto utile, ad esempio, quando si affrontano le patologie d’organo nelle patologie integrate o dove si ritiene opportuna una propedeuticità di apprendimento all’interno dello stesso semestre), eventualmente raccogliendo anche, in un unico orario aggiuntivo di semestre, la suddivisione in moduli interna dei singoli corsi integrati; tale orario dovrebbe essere costruito non come mero assemblaggio di diversi moduli, ma raccogliendo le risorse disciplinari su obbiettivi didattici realmente integrati, stimolando in questo senso il lavoro dei CCI;
  • organizzare in collaborazione con i CCI il calendario degli esami per evitare sovrapposizioni e nella logica di una “corsia preferenziale” rispettosa delle eventuali propedeuticità;
  • definire, ove possibile, e coordinare le prove di valutazione di semestre (esame pratico di semestre-OSCE, esame di semestre);
  • proporre alla CTP eventuali modifiche dell’organizzazione dei Corsi Integrati del semestre, sentiti i CCI e i docenti interessati;
  • proporre annualmente la conferma/nomina dei CCI alla CTP che ne investe il CCLM;
  • verificare la disponibilità dell’aula assegnata per il semestre e la presenza di tutti i supporti didattici, individuando il referente della stessa per la soluzione, in tempi reali, di ogni eventuale problema che ne possa compromettere la fruibilità;
  • curare l’organizzazione delle Attività Didattiche Professionalizzanti (ADP) del semestre e/o dell’intero corso, in collaborazione con gli altri CS o eventualmente con figure individuate “ad hoc”, (a seconda delle modalità di erogazione delle ADP scelte dal CdL) e verificarne l’effettiva esecuzione;
  • curare l’offerta delle Attività Didattiche Elettive (ADE) del semestre e/o dell’intero corso, in collaborazione con gli altri CS (a seconda delle modalità di erogazione delle ADE scelte dal CdL), precisandone le procedure d’accesso e di organizzazione (iscrizione, limiti numerici di partecipazione, tempi, valore in crediti, ecc);
  • presentare l’organizzazione del semestre agli studenti il primo giorno di lezione del semestre stesso.

Per adempiere in modo soddisfacente ai compiti descritti, il Coordinatore di semestre può, e dovrebbe, allestire e utilizzare gli strumenti indicati nella tabella 1.

Tab 1

* Organizzare un elenco aggiornato di tutti i docenti del semestre con indirizzi e-mail e telefono fisso e mobile
* Predisporre almeno le due seguenti mailing list: • Coordinatori di         Corso Integrato del semestre  + Presidente e Vicepresidente CLM • Docenti del semestre + Presidente e Vicepresidente CLM
* Essere rintracciabile nelle 24 h da docenti e rappresentanti degli studenti (via telefono o via posta elettronica)
* Curare e aggiornare l’informazione relativa alle attività del semestre tramite una bacheca fisica e una virtuale.

 

Ruolo pedagogico del Coordinatore di Semestre

Come già ricordato, non v’è dubbio che una corretta organizzazione del semestre faciliti di per sé l’attività pedagogica, ma il CS acquista un reale ruolo pedagogico qualora il curriculum sia stato programmato secondo un progetto che preveda, per ciascun semestre, il raggiungimento di obiettivi coerenti con il percorso formativo stabilito a livello centrale dal CdLM. In mancanza di ciò, è auspicabile che il CS elabori un proprio progetto che, comunque, corre il rischio di rimanere isolato se non in presenza di un’integrazione longitudinale di quanto elaborato dai singoli semestri; questo può avvenire solo tramite la partecipazione attiva dei CS nella CTP della quale, si ribadisce, sarebbe indispensabile che fossero membri di diritto.

Volendo cercare di delineare alcuni tra i principali compiti pedagogici del CS che possano essere utili alla costituzione di un reale progetto di semestre, si ritiene di potere far riferimento ai seguenti:

  • creare una comunità formativa di studenti e docenti (utilizzando piattaforme interattive tipo “Moodle”, liste di discussione, ecc) centrata sulla trasparenza del patto formativo che va sancito fin dall’inizio del semestre mediante presentazione dello stesso da parte del CS e, fin dall’inizio dei CI, mediante presentazione del Corso Integrato da parte del CCI (il CS assume il compito di verificare che questo avvenga);
  • agire affinché sia applicato il concetto fondamentale che le attività didattiche debbano essere pianificate collegialmente in funzione degli obiettivi didattici del semestre ed eseguite in modo coordinato e interdisciplinare. Agire, inoltre, affinché la preparazione dello studente sia valutata in modo pertinente ed obiettivo;
  • valutare i contenuti didattici, integrarli e disporli in una progressione di apprendimento;
  • suggerire una corsia preferenziale di esami, in funzione della progressione dell’apprendimento;
  • imparare a valutare l’efficacia dei propri interventi organizzativi e pedagogici:

– con indicatori soggettivi (i giudizi degli studenti e dei docenti);

– oggettivi: di processo (acquisizione di competenze pedagogiche da parte dei docenti, ecc) e di risultato (valutazioni formative, il progress test, il flusso degli studenti nel semestre, ecc).

Si suggeriscono nella tabella 2 alcuni strumenti utili all’assolvimento dei compiti delineati.

 

Tab 2

* Attivare liste di discussione e/o piattaforme informatiche interattive tipo “Moodle” per fare “gruppo” e scambiare notizie e opinioni in tempo reale
* Preparare e condividere modelli di presentazione (power-point, key-note) del semestre e dei corsi integrati da utilizzare all’inizio del semestre/corso per informareglistudentidell’organizzazione, degli obiettivi e dei sistemi di verifica che saranno adottati
* Allestire e condividere griglie • di comparazione degli obbiettivi didattici dei corsi integrati per facilitarne il confronto • di distribuzione e “presa in carico”, da parte dei corsi, degli obbiettivi professionalizzanti (chi cura l’erogazione delle “skills” e ne verifica l’apprendimento)
* Allestire modelli di calendari di esame che prevedano “fasce” di tempi/date dedicate per le verifiche dei singoli corsi, secondo una logica di “corsia preferenziale” rispettosa anche delle propedeuticità di apprendimento
* Elaborare i risultati delle valutazioni soggettive (questionari di valutazione degli studenti) e oggettive (progresstest; tasso di superamento degli esami di semestre) e prevedere momenti di discussione periodica collettiva

 

Considerazioni conclusive

Nello spirito della destinazione di questo breve scritto, cioè quello di far parte di una cassetta degli attrezzi utile per il lavoro pratico di chi crede che nonostante tutto si possa realmente fare “buona” didattica nei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia italiani, lo stesso non ha la pretesa di essere esaustivo del dibattito che da anni esiste sul ruolo del Coordinatore di Semestre all’interno dei CLMMC (3). Certo è che il ruolo del CS oggi è sempre più indispensabile sia per l’organizzazione pratica dei CdL, sia per la realizzazione e l’implementazione continua del progetto pedagogico che dovrebbe essere alla base di ogni CdL. In questo senso il ruolo organizzativo e quello pedagogico del CS si intrecciano intimamente e il primo funge da facilitatore per l’attuazione e l’efficacia del secondo. Negli ultimi dieci anni, inoltre, probabilmente anche grazie al lavoro della CPPCLMMC, la figura del CS si è consolidata e oggi si può giovare anche di strumenti, se non completamente nuovi, certamente ormai capillarmente diffusi e migliorati (informatizzazione di dati relativi alle carriere degli studenti e loro fruibilità, informatizzazione della raccolta delle opinioni degli studenti e conseguente maggior disponibilità dei dati e facilità di elaborazione, disponibilità di piattaforme informatiche interattive semplici e intuitive da utilizzare, adozione del progress test in tutti i CdL italiani, ecc). Tali strumenti non devono rimanere inutilizzati, ma vanno sfruttati al massimo delle loro potenzialità. Tutto ciò costa fatica e poiché il CS, a fronte del molto lavoro che svolge, gode di scarsa visibilità, non è difficile che tale figura possa soffrire di difficoltà “motivazionali”. In tal senso è indispensabile che il ruolo del CS sia valorizzato, valutato e gratificato per le attività più efficaci nell’ambito di un sistema di valutazione dell’attività didattica della cui necessità, finalmente, sembra esserci sempre più consapevolezza.

Bibliografia

1) Della Rocca C., Lenzi A., Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoro, Medicina e Chirurgia, 2016; 69: 3138-3149. DOI:10.4487/medchir2016-69-4

2) Della Rocca C., Lenzi A., On site visit 20042014. Risultati del primo esercizio del secondo ciclo, Medicina e Chirurgia, 2015; 68: 3094-3104. DOI: 10.4487/medchir2015-68-4

3) Gallo P., Binetti P., Della Rocca C., Familiari G., Maroder M., Valanzano V. e Vettore L. (Gruppo di Studio Innovazione Pedagogica della Conferenza Permanentedei Presidenti di CLM in Medicina) con il contributo di Attili A., Basili S., Consorti F., d’Amati G. e Fantoni A. Il ruolo didattico e pedagogico del Coordinatore di CorsoIntegrato e di Semestre, 2006; 35: 1454-1458. DOI: 10.4487/medchir2006-35-4

Ringraziamenti

Si ringrazia la Dott.ssa Maria Carmen Mazzitelli per la rilettura critica del testo.

Cita questo articolo

Della Rocca C., Angeloni A., Calogero A., Del Ben M., Familiari G., Merli M., Riggio O., Gallo P., La Cassetta degli attrezzi del Presidente del Corso di Laurea – Il ruolo del Coordinatore di Semestre, Medicina e Chirurgia, 73: 3325-3328, 2017. DOI:  10.4487/medchir2017-73-4

3a dispensa – Il Codice Etico di Comportamento del Docente e dello Studente in Medicina e Chirurgian.71, 2016, pp. 3283-3286

Il Gruppo di Studio Innovazione Pedagogica, in occasione della 104a riunione della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, tenutasi a Parma il 19 Novembre 2011, tenne un “Atelier Pedagogico” su un argomento di grande importanza, quello dell’etica della docenza. All’atelier pedagogico fecero seguito una “Pillola Pedagogica” e un “Forum” allargato a esperienze concrete su iniziative riferite da diversi Corsi di Laurea. Da questi eventi ne originò Il Codice Etico di comportamento del Docente e dello Studente in Medicina e Chirurgia, che è stato formalmente approvato dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea In Medicina e Chirurgia a Padova, il 12 Aprile 2012, e dalla Conferenza Permanente dei Presidi/Presidenti delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia a Roma, il 19 Aprile 2012 (Med Chir 54: 2383-2391, 2012; Med. Chir. 55: 2465-2474, 2012). Ancora oggi, il Codice Etico appare un documento attuale e se ne auspica la sua applicazione e soprattutto il suo rispetto nei Corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia Italiani, allo scopo di promuovere un vero raggiungimento della “consapevolezza della professionalità” nei nostri studenti, alla laurea.

Stefania Basili

  1. Premessa

Un reale rinnovamento curriculare e organizzativo del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia non può prescindere da un impegno forte e costante dei docenti e degli studenti, all’interno di una vera e propria comunità educante che sappia condividere uno spirito di piena collaborazione nell’interesse superiore del doversi prendere cura di una persona e del suo pieno benessere psico-fisico e sociale. Docenti e studenti, insieme, debbono pertanto condividere intenti, valori e doveri nello svolgimento delle attività tutoriali condotte all’interno delle strutture assistenziali e del territorio.

  1. I fondamenti etici

L’etica come base di azione del Docente e dello Studente

La comunità accademica si dovrà avvalere di docenti che siano consapevoli della loro missione ed osservino nel loro comportamento professionale l’etica dell’impegno, l’etica della responsabilità, l’etica della comunicazione e l’etica della relazione; la dialettica tra le forme etiche troverà il giusto baricentro nella responsabilità, per poter essere organicamente costruttiva.

L’etica dell’impegno consisterà nell’assunzione di un compito formativo, nel partecipare attivamente a un processo che deve coinvolgere il docente e l’allievo. Impegnarsi significa collaborare, pianificare obiettivi e darsi compiti.

L’etica della responsabilità vedrà il docente disponibile, efficiente, valutabile, una risorsa per lo studente e per il suo futuro.

L’etica della comunicazione dovrà essere intesa come capacità di ascolto, dialogo, argomentazione, conversazione, che sono la dimensione tipica dell’insegnare.

L’etica della relazione parte dal rispetto e dalla conferma dell’altro come interlocutore paritario (partner). I docenti devono essere testimoni di una relazione costruttiva e rispettosa con gli altri docenti, con tutti i professionisti della salute che collaborano al benessere del paziente, con gli studenti (evitando qualsiasi forma di “didattica per umiliazione”), e con i pazienti. I docenti devono mostrare e insegnare rispetto per il paziente, per la sua persona, e insegnare a vedere in lui un interlocutore competente del processo di cura. I docenti devono presentare gli studenti ai pazienti come futuri membri della professione medica, e responsabilizzarli a collaborare nel loro processo formativo. Gli studenti devono sviluppare una relazione positiva e rispettosa con gli altri studenti (apprendimento cooperativo), con i docenti e i professionisti della salute ed, evidentemente, con i pazienti.

Il Rapporto con il Paziente: norme di etica “essenziale”

Nei rapporti con i pazienti, sia gli studenti che i docenti saranno ispirati ai diritti irrinunciabili dei pazienti stessi. Questi comprendono non solo la salute come diritto umano fondamentale e l’equa distribuzione di tale diritto pianificata dal Governo Nazionale, Regionale e dalle Istituzioni Universitarie e Ospedaliere, ma anche e soprattutto il rapporto individuale con il professionista che sia basato sui principi della beneficenza, della non maleficenza, del rispetto dell’autonomia del paziente e secondo le norme del codice deontologico e quelle più importanti dell’etica sociale.

Questi principi dovranno essere quindi insegnati agli studenti da docenti che dovranno essere modello di comportamento professionale nell’evidenziare, oltre il corretto agire clinico, i diritti dei pazienti con particolare riferimento ai rischi di perdita della dignità personale o della fiducia, soprattutto quando il paziente è confinato all’interno di un reparto di degenza.

Il tirocinio clinico, pertanto, oltre al raggiungimento degli obiettivi clinici specifici del “saper fare” previsti nel core curriculum, assicurerà anche le basi del “saper essere” attraverso una pratica clinica che sappia mettere in evidenza i diritti fondamentali dei pazienti in termini di:

– dignità della persona come riconoscimento dei valori individuali di ogni singolo paziente;

– rispetto del paziente soprattutto in considerazione della vulnerabilità che accompagna l’uomo ammalato diminuendone l’autonomia, specie all’interno di un ambiente spersonalizzato come il contesto ospedaliero;

– impegno ad agire nell’interesse del paziente, come base fondante della professionalità medica;

– corretta informazione del paziente, come base irrinunciabile di ogni decisione di cura della salute, sia per il medico sia per il paziente;

– fiducia del paziente, come fiducia nella competenza, integrità, abilità e cortesia del medico e dello studente.

  1. Aspetti didattici e pedagogici

Competenza e responsabilità crescenti

Gli studenti iscritti al corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, nel loro percorso formativo e sotto la guida attenta del docente tutore, debbono essere in grado di assumersi un livello crescente di responsabilità di cura del paziente, in accordo con l’accrescersi del loro livello di preparazione teorica e della loro abilità clinica. Gli studenti non possono, in ogni caso, assumersi dirette responsabilità cliniche che eccedano il loro grado di autonomia, così come previsto nell’ordinamento didattico, né sostituirsi impropriamente in azioni cliniche di competenza dei docenti di ruolo o altro personale sanitario del SSN.

Contemporaneamente alle opportunità legate all’incremento delle loro abilità cliniche e di competenza professionale, gli studenti debbono poter avere ampie opportunità di consolidare le loro conoscenze attraverso la concessione di un tempo adeguato per la revisione critica di quanto appreso (il fine del CL è quello di formare un professionista riflessivo), per lo studio autonomo, e per la preparazione delle prove di esame, nonché del giusto tempo libero da dedicare alle attività extrauniversitarie ed alla cura della propria persona.

Obblighi di frequenza

Gli studenti sono tenuti alla frequenza delle attività cliniche per le ore pianificate dal Consiglio di Corso di Laurea. Essi sono inoltre tenuti a rispettare la loro assegnazione ai docenti tutor clinici, così come previsto nell’Ordine degli Studi. L’osservanza della puntualità agli impegni clinici pianificati è obbligatoria per studenti e docenti, ed eventuali eccezioni, da parte di studenti, debbono essere limitate e avere il carattere della circostanza unica o essere seriamente giustificate. Eccezioni da parte dei docenti debbono essere comunicate agli organi di coordinamento del corso ed agli stessi studenti interessati con anticipo, rispetto al calendario degli incontri previsti. L’impegno orario complessivo, pianificato settimanalmente, deve essere congruo con quanto previsto nell’Ordinamento didattico.

  1. Per un Codice di condotta dello Studente

Gli studenti dovranno, durante la loro frequenza clinica e sotto la guida del docente tutor, sviluppare le capacità per saper condurre una relazione “medico-paziente” competente, che sappia riflettere il livello di pari dignità tra l’uno e l’altro, tenendo conto della naturale asimmetria, sia sul piano della competenza professionale che su quello del diverso coinvolgimento emotivo ed esistenziale. Al termine del loro percorso di formazione clinica, gli studenti dovranno quindi raggiungere la consapevolezza che nel rapporto medico-paziente il nucleo centrale dell’alleanza terapeutica è rappresentato da due elementi fondamentali: competenza scientifico-professionale e disponibilità umana del medico, che dimostra di essere in grado di suscitare la fiducia del paziente, che quindi gli riconosce capacità di cura (cure) e volontà di prendersi cura di lui e della sua malattia (care).

Gli studenti dovranno dar prova del livello di competenza e consapevolezza professionale raggiunto nell’intero periodo della formazione clinica, attraverso la discussione delle esperienze raccolte nel portfolio, una prova pratica che sia oggettiva, strutturata e ripetibile (uso di pazienti simulati e standardizzati, prove bedside, esame clinico strutturato – OSCE), e l’esame orale.

Nel periodo della formazione clinica gli studenti sono pertanto tenuti al rispetto delle seguenti norme di condotta generale:

Saper rispettare il paziente e l’équipe sanitaria. Lo studente avrà rispetto per gli “altri attori della relazione didattica e di cura”: pazienti, professionisti della salute, docenti e altri studenti. Ogni studente è tenuto a trattare i pazienti con considerazione e pieno rispetto del loro punto di vista, della loro privacy e della loro dignità. In tutte le attività riguardanti la relazione con i pazienti, i colleghi e i docenti, gli studenti agiranno senza alcuna discriminazione che possa riguardare l’identità di genere, l’età, la nazionalità, le etnie, lo stato socio-economico, la razza, l’orientamento sessuale, il credo religioso, la disabilità, la malattia.

Saper essere un efficace e attento comunicatore. Lo studente dovrà sempre tenere bene a mente di essere uno studente e non un medico abilitato alla professione. Dovrà pertanto essere consapevole delle proprie limitazioni e non eccedere dalle proprie prerogative quando si forniscono informazioni ai pazienti. Lo studente accetterà e osserverà strettamente il principio della confidenzialità dei dati che riguardano i pazienti. Lo studente non discuterà dei pazienti con altri studenti o professionisti, al di fuori del proprio reparto clinico, se non in forma del tutto anonima.

Saper osservare e rispettare i regolamenti, le procedure e le linee guida. Lo studente dovrà essere a conoscenza, osservandone il pieno rispetto, dei regolamenti e delle procedure prescritte dall’Università e dall’Azienda Ospedaliera. In particolare, conoscerà le norme e le procedure riguardanti la sicurezza, osserverà gli obblighi sulle prescrizioni vaccinali, e si sottometterà, quando prescritto, alle procedure di accertamento da parte del Medico Competente.

Acquisire un comportamento aperto, chiaro ed onesto. Lo studente non infrangerà la legge per alcun motivo, non avrà per nessun motivo atteggiamenti violenti, o userà la violenza contro altri o agirà disonestamente. Sono assolutamente esecrabili anche i comportamenti truffaldini durante gli esami, che non sono degni della professione medica.

Aver cura del proprio aspetto. Lo studente dovrà avere cura del proprio aspetto, della propria igiene personale e del proprio comportamento che dovrà essere improntato alla modestia, alla sobrietà e ai costumi correnti. L’aspetto dello studente, così come quello del docente, dovrà essere tale da non influire negativamente sulla fiducia del paziente.

Saper agire con prontezza in risposta a qualsiasi problema. Lo studente dovrà immediatamente informare il Responsabile medico del Reparto e/o il docente tutor cui è affidato su qualsiasi tipo di problema personale o del paziente che possa presentarsi e che sia tale da mettere a rischio la propria salute e quella del paziente stesso. Lo studente è tenuto inoltre a riferire e chiedere consiglio al proprio docente tutor se pensa che altri studenti o medici non abbiano agito correttamente.

Non abusare di alcolici; non assumere sostanze stupefacenti, evitare il fumo di sigaretta. L’abuso di alcolici come pure l’assunzione di sostanze stupefacenti, da parte di docenti e studenti, può comportare rischio grave per i pazienti; le problematiche legate a tali abusi ed ai comportamenti aggressivi e scorretti che ne conseguono possono essere tali da compromettere la futura carriera professionale. Si osserveranno scrupolosamente, parimenti, le leggi vigenti sul divieto di fumo all’interno dell’Ospedale. Anche se non espressamente vietato dalla legge, sarebbe auspicabile evitare il fumo di sigaretta anche negli spazi aperti interni all’Ospedale, nel rispetto dei pazienti che transitano in questi luoghi.

  1. Aspetti normativi finali

Si auspica che il presente Codice di condotta, approvato dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia, e dalla Conferenza Permanente dei Presidi/Presidenti delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia, divenga parte integrante del Regolamento Didattico dei CLM in Medicina e Chirurgia.

La cassetta degli attrezzi del Presidente di Corso di Laurea. 1a dispensa – Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea tra quello istituzionale e quello pedagogicon.70, 2016, pp. 3187-3190, DOI: 10.4487/medchir2016-70-7

Abstract

Nel Giugno 2013 il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica ha organizzato, per la Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso Laurea Magistrale (CLM) in Medicina, un atelier pedagogico dal titolo “Il ruolo organizzativo e pedagogico del Presidente di Corso di Laurea Magistrale in Medicina”  (Medicina e Chirurgia, 60: 2683-2698, 2013. DOI: 10.4487/medchir2013-60-3) che guiderà questo breve inserto e che rappresenta il primo “strumento” della  “cassetta degli attrezzi” che viene consegnata al nuovo Presidente di Corso di laurea.

Il Presidente di CLM si trova oggi ad essere coinvolto sempre di più  in un’impegnativa ricerca di eccellenza didattica e di innovazione pedagogica,che ne esalta le doti di pedagogista, ma anche i crescenti compiti organizzativi (una volta in gran parte demandati alle facoltà) che affronta spesso senza avere adeguate strutture di supporto.

Articolo

Il ruolo del Presidente di CLM tra quello istituzionale a quello pedagogico

Il Presidente del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CLMMC) riveste un ruolo oltremodo complesso, in un momento storico caratterizzato da un rapido cambiamento economico e sociale. Andreas Schleicher1 definisce emblematicamente tale complessità: “Today, because of rapid economic and social change, Schools have to prepare students for jobs that have not yet been created, technologies that have not yet been invented and problems that we don’t yet know will arise”. Il Presidente del CLMMC, oltre alle responsabilità formali legate alla gestione del Corso di Laurea, dovrebbe quindi avere anche un ruolo di indirizzo verso modelli pedagogici innovativi, aggiornati e condivisi con la comunità internazionale; dovrebbe essere inoltre promotore dei valori fondanti della professionalità e del comportamento eticamente corretto dei docenti e degli studenti; dovrebbe curare che vi sia il giusto equilibrio all’interno della comunità co-educante costituita dal corpo docente, dagli studenti e dai pazienti.

Il Presidente ha, pertanto, non solo un ruolo istituzionale, ma anche un ruolo a forte caratterizzazione pedagogica, comprendente quello della promozione di valori nell’ambito della comunità co-educante.

Il ruolo istituzionale del Presidente è ben descritto nei regolamenti didattici degli Atenei, anche se, in relazione all’applicazione della Legge n. 240 del 30/12/2010, vi possono essere interpretazioni diverse negli Statuti degli atenei italiani. A titolo di esempio, ai commi 4 e 5 dell’Articolo 13 (Corsi di Studio) dello Statuto della Sapienza di Roma è scritto che al “Presidente spetta il compito di convocare il Consiglio, determinare l’ordine del giorno organizzare la didattica e coordinare – in accordo con il/i Dipartimento/i coinvolto/i le coperture dei singoli insegnamenti” e che “i Consigli operano in conformità al Regolamento Didattico di Ateneo, assicurano la qualità delle attività formative, formulano proposte relativamente all’ordinamento, individuano annualmente i docenti tenendo conto delle esigenze di continuità didattica” (http://corsidilaurea.uniroma1.it/).

In estrema sintesi, il Presidente predispone il documento di programmazione didattica che deve essere approvato dal Consiglio, in relazione al piano degli studi, alle sedi delle attività formative professionalizzanti, alle attività didattiche elettive, al calendario delle attività didattiche e degli appelli d’esame, ai programmi dei singoli corsi integrati ed ai compiti didattici attribuiti ai Docenti ed ai Tutori.

Il Presidente, come recentemente previsto dal Decreto Legislativo 27/01/2012 n. 19, riguardante l’introduzione del sistema di accreditamento iniziale e periodico dei corsi di studio, predispone inoltre il rapporto del riesame annuale e provvede ai numerosi adempimenti previsti dall’attivazione della scheda SUA. Questi ultimi compiti previsti dal Decreto Legislativo sono in realtà complessi e ampliano il ruolo del Presidente, là dove alla sua funzione strettamente istituzionale deve essere aggiunta quella che preveda una buona conoscenza e una buona pratica delle regole della pedagogia medica.

Il ruolo pedagogico del Presidente non deve però essere considerato solo nel nuovo confronto con il sistema di valutazione e di accreditamento italiano (ANVUR/AVA), ma soprattutto in relazione al confronto obbligato con la dimensione internazionale della medical education, dove sono costantemente rivalutate le diverse abilità del core curriculum (curriculum planning), la certificazione del loro effettivo raggiungimento (learning outcomes), le nuove strategie di apprendimento/ insegnamento (approaches to teaching and learning), i metodi di verifica dell’apprendimento (assessment tools) e di tutto quello che riguarda, in senso lato, le metodologie ed il management della formazione del medico.2,3,4,5

L’attenzione del Presidente dovrà essere incentrata anche e soprattutto sull’efficacia di singole parti del processo formativo, come ad esempio l’erogazione delle attività e i risultati di apprendimento nei singoli corsi integrati e nei singoli moduli all’interno dei corsi integrati, bilanciando l’attenzione tra qualità del processo e qualità del prodotto, allo scopo di organizzare il curriculum in maniera più sistematica, più trasparente e soprattutto rendendo i docenti più responsabili.6

Uno strumento pratico ed efficace per guidare la riflessione sulle strategie pedagogiche del corso di laurea in Medicina e Chirurgia è sicuramente offerto dalle SPICES di Harden.7 Come suggerito dal metodo SPICES, in una visione moderna, ed ampiamente accettata dalla letteratura internazionale, la didattica moderna dovrebbe essere centrata sull’apprendimento piuttosto che sull’insegnamento (Student-centred education), finalizzata all’apprendimento per problemi (Problem-based learning), con integrazione interdisciplinare e interprofessionale (Integrated education), a misura di studente (Elective-driven education) e sistematica (Systematic education).8

Alcuni esempi di organizzazione curriculare derivano anche da questo modello, come il curriculum dal profilo biomedico-psico-sociale caratterizzato da forte integrazione verticale tra scienze di base e scienze cliniche, dall’inizio precoce della formazione clinica e da un percorso verticale di metodologia medico-scientifica e scienze umane che accompagna lo studente sino alla laurea.9,10,11

Un insegnamento moderno deve inoltre fare espresso riferimento ai valori che possono trarsi dall’apprendere all’interno della comunità, nei cui confronti il Corso di Laurea dovrebbe avere maggiori responsabilità formative.12,13,14

Il ruolo del Presidente di CLM, promotore di valori ed armonizzatore della comunità co-educante. Il ruolo pedagogico del Presidente deve essere considerato in senso ancora più ampio, in relazione ai comportamenti eticamente corretti che dovranno acquisire gli studenti in formazione, all’interno di un contesto formativo che ne sappia far emergere correttamente le potenzialità inespresse.15,16,17

Il ruolo “multifunzionale” del Presidente può essere sinteticamente descritto da queste definizioni

  1. Saper organizzare e coordinare le attività didattiche con attenzione alla realtà internazionale, seguendo le giuste innovazioni e suscitando il dibattito corretto tra Docenti e Studenti;
  2. saper promuovere comportamenti eticamente corretti sia nei Docenti che negli Studenti;
  3. costituire il primo esempio di correttezza professionale, competenza e comportamento nei confronti degli Studenti e dei Docenti;
  4. essere in grado di risolvere con equilibrio le problematiche, invece di alimentare discordie, che dovessero porsi nella gestione del corso.

Nell’ambito dell’atelier, è stato distribuito ai Presidenti un “Questionario delle Priorità”, nel quale si chiedeva di indicare, tra le 29 azioni pedagogico/formative di miglioramento del Corso di Laurea descritte, le cinque azioni giudicate come urgenti e prioritarie.

L’analisi dei questionari compilati ha evidenziato la seguente lista delle cinque priorità scelte dai partecipanti, in ordine decrescente:

  1. organizzo il tirocinio pratico-formativo degli studenti cercando di creare le condizioni che migliorino la qualità dell’apprendimento in laboratorio ed in clinica (piccoli gruppi);
  2. istituisco un gruppo di lavoro per la definizione delle attività didattiche professionalizzanti di concerto con il Preside di Facoltà/Direttore di Scuola e il Direttore Generale dell’Azienda;
  3. istituisco o rinnovo la “Commissione Paritetica” con gli studenti, cercando di metterli realmente al centro del processo formativo;
  4. potenzio i rapporti internazionali cercando di aumentare il numero di accordi bilaterali ERASMUS e il numero di soggiorni internazionali degli studenti e dei docenti.

Bibliografia

1) Schleicher A: The case for 21st-century learning. OECD Education Directorate, 2010: http://www.oecd.org/general/thecasefor21st-centurylearning.htm

2) McLean M, Cilliers F, Van Wyk JM: Faculty Development: Yesterday, Today and Tomorrow. AMEE Education Guide no. 33. Med. Teach. 30: 555-584, 2008.

3) Familiari G: The international dimensions of medical education. Med. Chir. 57: 2537-2538, 2013.

4) Familiari G, Consorti F. The best evidence medical education and the essential skills on medical teaching: important keys for medical education internationalization. Med. Chir. 59: 2662-2663, 2013.

5) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L, Ziparo V, Gallo P, Consorti F, Lenzi A, Gaudio E, Frati L. La Realtà Internazionale della Formazione Medica. MEDIC 2013

6) Gallo P: Insegnare nei Corsi di Laurea in Medicina e Odontoiatria. Espress, Torino, 2011.

7) Harden RM, Sowden S, Dunn WR: Some educational strategies in curriculum development: the SPICES model. Med. Educ. 18: 284-297, 1984.

8) Gallo P, Consorti F, Della Rocca C, Familiari G, Valanzano R, Vettore L. Strategie per pianificare un curriculum degli studi, le SPICES di Harden. Med. Chir. 56: 2481-2484, 2012.

9) Torsoli A, Cascino A, Familiari G, Gallo P, Gazzaniga PP, Rinaldi C, Della Rocca C, Renda T, Serra P, Frati L: Educazione medica come sperimentazione. Un’ipotesi di curriculum integrato pre-laurea. MEDIC 8: 204-210, 2000.

10) Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio G, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The Challenge of reform: 10 years of curricula change in Italian Medical Schools. Med. Teach. 31: 1047-1055, 2009.

11) Familiari G, Falaschi P, Vecchione A: La nuova laurea in medicina e chirurgia e la formazione di un medico con una cultura biomedico-psico-sociale. Med. Chir. 16: 491-506, 2001.

12) Familiari G, Nati G, Ziparo V, Padula M.S., Aggazzotti G. Early patient contact nel curriculum di medicina: esperienze a confronto. Med. Chir. 46: 1982-1987, 2009.

13) Gallo P, Della Rocca C, Familiari G, Casacchia M, Mitterhofer AP, Nati G, Padula MS, Pagano L, Sacchetti ML, Saitto C, Vago G, Valanzano R, Vantini I, Vettore L: L’integrazione del territorio nel sistema delle cure, ricadute sul processo formativo. Med. Chir. 58: 2599-2605, 2013.

14) Gallo P, Becchi MA, Consorti F, Della Rocca C, Familiari G, Furlan PM, Palmeri A, Palumbo C, Valanzano R: L’integrazione del territorio nel sistema delle cure. Parte seconda. Proposta di un curriculum verticale. Med Chir 59: 2642-2649, 2013.

Appendice

Consiglio di Corso di Laurea Magistrale e suoi Organi

Sono Organi del CCLM il Presidente, il/i Vicepresidente/I e la Commissione Tecnica di Programmazione didattico – pedagogica.

Fanno parte del Consiglio di Corso di Laurea:

  1. a) i Professori di Ruolo che vi afferiscono;
  2. b) i Ricercatori ed equiparati ai sensi del DPR 382/1980 e 341/1990 che svolgono, a seguito di delibera del Consiglio di Facoltà e di Corso di Laurea, attività didattica nel Corso di Laurea;
  3. c) quanti ricoprono per contratto corsi di insegnamento e i lettori di lingue afferenti al Corso di Laurea;
  4. d) i rappresentanti degli studenti iscritti nel Corso di Laurea.

Per gli eligendi e i collegi elettorali valgono le regole riportate nel Regolamento di Facoltà.

Il Consiglio di Corso di Laurea è presieduto dal Presidente.

Questi è eletto dal CCLM tra i Professori di Ruolo,  e resta in carica per tre anni accademici.

Il Presidente  coordina  le  attività  del  Corso  di  Laurea,  convoca  e  presiede  il  Consiglio  e  la   Commissione  Tecnica  di  Programmazione  didattico-pedagogica,  e  rappresenta  il  Corso  di  Laurea  nei  consessi   accademici ed all’esterno, nel rispetto dei deliberati del Consiglio.

Il o I Vice-Presidenti coadiuvano  il Presidente in tutte le sue funzioni.

Il vice-Presidente vicario assume i compiti in caso di impedimento del Presidente.

Il Vicepresidente resta in  carica per il mandato del Presidente.

Il Presidente convoca il Consiglio di norma almeno dieci giorni prima della seduta, attraverso comunicazione  scritta e,  ove  possibile,  per  posta  elettronica. La convocazione deve indicare data, ora e sede della seduta, e l’ordine del giorno.

Il Presidente convoca inoltre il  Consiglio  in  seduta  straordinaria  su  richiesta  di almeno  la  metà  dei  componenti  della  CTP  o  di  almeno  il  20%  dei  componenti del Consiglio.

Il funzionamento del CCLM è conforme a quanto disposto dal Regolamento di Facoltà.

 

Ringraziamenti ai componenti All’atelier pedagogico dal titolo Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea in Medicina, organizzato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina (CPPCLM), tenutosi a Roma Sapienza, il 23 Giugno 2013:

Francesco Bandello (Milano San Raffaele), Isabella Barajon (Milano Statale Humanitas), Stefania Basili (RomaSapienza “D”), Tiziana Bellini (Ferrara), Silvia Bocci (SISM, Siena), Maria Filomena Caiaffa (Foggia), Renzo Carretta (Trieste), Paola Cassoni (Torino I), Amos Casti (Segretario della CPPCLM), Sandra Cecconi (L’Aquila), Claudio Ceconi (Ferrara), Gian Paolo Ceda (Parma), Fabrizio Consorti (Roma Sapienza “C”), Francesco Curcio (Udine), Angelo D’Ambrosio (SISM, Roma Sapienza Sant’ Andrea), Carlo Della Rocca (Roma Sapienza “E”), Luigi Demelia (Cagliari), Italia di Liegro (Palermo, Caltanisetta), Maria Luisa Eboli (Roma Università Cattolica S.C.), Giuseppe Familiari (Roma Sapienza, S. Andrea), Amelia Fillippelli (Salerno), Giorgio Fujiano (Catanzaro), Piermaria Furlan (Torino San Luigi Gonzaga – Orbassano), Pietro Gallo (Roma Sapienza “C”), Antonello Ganau (Sassari), Paola Izzo (Napoli Federico II), Marco Krengli (Piemonte Orientale), Andrea Lenzi (Presidente della CPPCLM), Claudia Marotta (SISM, Roma Università Cattolica S.C.), Manuela Merli (Roma Sapienza “B”), Mario Messina (Siena), Gabriella Mincione (Chieti), Bruno Moncharmont (Molise), Licia Montagna (Milano Statale Humanitas), Raffaella Muraro (Chieti), Giovanni Murialdo (Genova), Marco Nicolazzi (SISM, Piemonte Orientale), Alessandro Padovani (Brescia), Carla Palumbo (Modena/Reggio Emilia), Giampaolo Papaccio (Napoli II Università), Maria Penco (L’Aquila), Laura Recchia (Molise), Paolo Remondelli (Salerno), Luca Richeldi (Modena/Reggio Emilia), Giorgio Rosso (Torino San Luigi Gonzaga – Orbassano), Marina Scarpelli (Ancona), Silvio Scarone (Milano Statale, San Paolo), Anna Spada (Milano Statale, Policlinico), Felice Sperandeo (SISM, Roma Sapienza “D”), Francesco Squadrito (Messina), Maria Grazia Strepparava (Milano Bicocca), Rosa Valanzano (Firenze) e Maurizia Valli (Pavia).

Cita questo articolo

Basili S., La cassetta degli attrezzi del Presidente di Corso di Laurea. 1a dispensa – Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea tra quello istituzionale e quello pedagogico, Medicina e Chirurgia, 70: 3187-3190, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-7

Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoron.69, 2016, pp. 3138-3149, DOI: 10.4487/medchir2016-69-4

Abstract

The ten years Site Visit Project by CPPCLMC leaded, during the last repetition, to the first internal provisional validation of all Italian CLMMC, within the CPPCLMC, on the basis of the requisites commonly accepted. Comparison among the four repetitions performed from 2004 and 2014 shows that the project itself and the other Conference activities contributed to the gradual quality improvement of the courses educational and training programs and execution. Such improvements appear to enhance students performances, courses Presidents opinions and evaluation committees judgements through the years. An efficient quality control system is established, now the goals for the CPPCLMC are to maintain it in the future and to make it more sustainable.

Articolo

Introduzione

Come è noto il progetto On Site Visit della CPPCLMMC rappresenta il tentativo della Conferenza, e di tutti i corsi di laurea magistrale di medicina e chirurgia italiani, di ricercare un sistema di valutazione tra pari il più obbiettivo e affidabile possibile. A questo scopo, per ben quattro volte, a distanza mediamente di circa due anni accademici l’una dall’altra, sono state visitate tutte le sedi universitarie italiane dove è presente un corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia.A nostra conoscenza si tratta di un’esperienza unica a livello europeo, e verosimilmente mondiale, realizzata in completa autonomia dalla Conferenza e resa sostenibile dall’impegno individuale di tutti i suoi membri anche in termini di reperimento delle poche risorse utilizzate. A fronte di una gestione in gran parte “volontaristica” e grazie all’inesauribile desiderio e capacità di confronto edi ricerca di soluzioni che da sempre caratterizzano le attività della CNPCLMMC, il risultato raggiunto sembra di essere di assoluta qualità e in grado di innescare quel circolo virtuoso che porta al miglioramento continuo dell’attività dei nostri corsi tramite la progressiva eliminazione delle criticità e la condivisione delle eccellenze riscontrate e divulgate. Scopo di questo articolo è quello di ripercorrere l’evoluzione dell’esperienza decennale nella prospettiva di innescare una riflessione collettiva su quello che sembra possa essere considerato un buon modello metodologico per il raggiungimento di un sistema di valutazione condiviso e partecipato, avvertito come realmente utilizzabile ai fini del miglioramento della propria attività e non come strumento di censura. Al tempo stesso si tenterà di valutare l’impatto del progetto e delle altre attività della Conferenza sull’offerta formativa dei CdL in base ai requisiti adottati.

L’evoluzione della metodologia

Come già ricordato in questi dieci anni sono stati svolti quattro esercizi del progetto Site Visit; tre di questi hanno costituito il primo ciclo del progetto durante il quale sono state compiute sperimentazioni anche di tipo metodologico che sono servite ad affinare lo strumento rendendolo di volta in volta più agile e concreto; i risultati dei primi tre esercizi sono serviti anche ad effettuare le simulazioni necessarie per arrivare a stabilire requisiti minimi che garantissero al tempo stesso il raggiungimento di un livello di accreditamento di qualità certa e la sua reale sostenibilità da parte dei singoli CdL. Il primo esercizio del II ciclo ha rappresentato invece il primo vero tentativo di accreditamento dei CLMMC italiani interno alla Conferenza, secondo i requisiti minimi stabiliti e condivisi alla fine del primo ciclo.

Tutti gli esercizi sono stati svolti in almeno tre fasi:

– la prima fase è stata costituita dalla compilazione di un questionario di autovalutazione che nel tempo è stato semplificato e perfezionato da parte del CdL; tale questionario nel primo esercizio è stato somministrato per via cartacea mentre nei successivi tre è stato somministrato per via informatica onde facilitare sia la raccolta, sia l’analisi dei dati

– la seconda fase è stata costituita dalla visita in loco da parte di una commissione visitatrice costituita da presidenti e/o ex presidenti di CdL italiani i quali quindi erano, o erano stati, membri del Conferenza per i primi tre esercizi. La commissione è stata obbligatoriamente formata da tre commissari di cui almeno due Presidenti in carica. Mentre per il terzo esercizio il terzo componente è stato considerato facoltativo per permettere maggiore agilità alla fase di visita; nella composizione delle commissioni nel tempo si è avuto sempre cura di di mantenere almeno un componente, garantendo così la possibilità di un confronto anche “diretto” tra le visite, e di variarne almeno uno per prevenire fenomeni, anche involontari, di adattamento/cooptazione.

– una terza fase in cui le commissioni hanno compilato e trasmesso alla commissione centrale le relazioni conclusive su quanto riscontrato.

Il I esercizio del II ciclo ha visto una fase aggiuntiva caratterizzata dalla comunicazione preventiva ai singoli CdL del risultato delle simulazioni effettuate sui risultati del III esercizio del I ciclo, analizzati in base ai requisiti stabiliti. Ciò ha permesso ai singoli CdL di focalizzare le proprie criticità e agire per il loro superamento. È evidente cha a regime questa fase sarà nei fatti costituita dal risultato della visita di accreditamento precedente e consentirà il perseguimento del miglioramento continuo aspirato.

L’analisi dei dati effettuata nei diversi esercizi ha fatto emergere nel tempo la necessità di standardizzare il più possibile sia le attività delle commissioni visitatrici, sia le modalità di resa dei risultati delle visite stesse per garantire da un lato che tutti i CdL fossero visitati in modo analogo, dall’altro per permettere un confronto più agevole dei dati tra sedi e tra visite singolarmente e nel loro complesso. Tale necessità ha portato ad adottare nel tempo diversi sistemi di standardizzazione essenzialmente costituiti da check-list condivise e da un form di resa per la relazione conclusiva, cosicché nel I esercizio del II ciclo sono state adottate nello specifico:

– Una check-list che prevedesse i passi fondamentali da effettuare durante la visita della commissione (Fig.1)

– Una check-list che prevedesse gli adempimenti della commissione dopo la visita (Fig.2)

– Una check-list che riassumesse schematicamente la presenza/assenza dei requisiti minimi stabiliti (Fig.3)

– Un form per la relazione conclusiva della commissione

L’effetto positivo della standardizzazione è ben evidenziato dal confronto dell’aderenza alla check-list tra l’ultimo esercizio del I ciclo e il I esercizio del II ciclo (Fig. 4)

Fig.2_2 Fig.1_2

Schermata 2016-04-12 alle 15.36.51 Fig.4_2

È evidente che l’aderenza delle visite alla check-list approvata dalla CPPCLMMC nell’ultimo esercizio è stata praticamente ottimale, ma soprattutto sembra inoppugnabile che il metodo sia ormai giunto a maturità in termini anche di riproducibilità e confrontabilità dei risultati La standardizzazione del metodo, e in particolare l’utilizzazione di check-list da compilare e restituire insieme alla relazione, permette di superare le criticità legate alle differenti modalità di “resa” delle relazioni, stante l’eterogeneità degli stili, e fornisce uno stimolo importante per commissari e visitati nell’organizzazione della visita.

Il confronto dei risultati dei diversi esercizi

Il confronto dei dati dei questionari interpretati alla luce dei requisiti minimi

Nel tempo, come già ricordato, i questionari sono sati rielaborati e semplificati, mantenendo comunque un impianto di indagine su diversi ambiti; nello specifico le aree di interesse sono state costantemente le seguenti:

L’accreditamento e la qualità

L’organizzazione

Le risorse umane

Le risorse strutturali e i servizi

La didattica

L’internazionalizzazione

Il controllo e la valutazione degli studenti

Il controllo e la valutazione dei corsi e dei docenti

La medicina generale

I risultati

La percezione soggettiva della qualità del corso

Con l’introduzione dei requisiti minimi, che evidentemente sono in relazione con le aree di indagine, si è cercato di focalizzare l’attenzione su ciò che si ritiene indispensabile essere presente in un corso di qualità per un offerta formativa efficace. In questo senso, e per valutare l’andamento in questi dieci anni dei parametri rapportabili a tali requisiti, si è tentato di comparare i risultati dei diversi esercizi. Ovviamente non è stato sempre possibile derivare i dati specifici di ogni singolo requisito, stanti le modifiche effettuate nel tempo per ottimizzare la metodica, ma alla fine complessivamente si è riusciti a mettere in relazione ben 22 parametri su almeno 3 esercizi dei 39 totali stabiliti. I risultati di questo confronto, che si ritengono di interesse, sono appresso riportati.

– Area dell’organizzazione dei CdL

L’evoluzione della situazione organizzativa dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia italiani nel tempo è raffigurata nella Fig. 5 dove è riportata la percentuale di presenza nei vari corsi delle principali strutture e figure organizzative e/o di elaborazione pedagogica riscontrato nei diversi esercizi. Come si evince dal grafico, con l’unica eccezione del Coordinatore di corso integrato che fin dal secondo esercizio è risultato presente della pressoché totalità delle sedi, è evidente la tendenza a un costante miglioramento nel tempo della situazione di coordinamento e di supporto dei corsi che appare nell’ultimo esercizio raggiungere livelli assolutamente soddisfacenti di frequenza nei diversi CdL. In particolare le commissioni tecnico-pedagogiche sono la struttura portante praticamente in tutte sedi fin dal penultimo esercizio mentre, pur essendo molto migliorato il dato relativo ai coordinatori di semestre, 1/3 delle sedi ne risulta ancora privo. Interessante sembra in proposito l’aumento percentuale importante acquisito tra gli ultimi due esercizi verosimilmente effetto dell’inclusione della presenza di tale figura tra i requisiti minimi approvati. Non si esclude che lo stesso effetto sia alla base dell’importante incremento della frequenza delle sedi che hanno a disposizione un supporto di personale amministrativo dedicato a tempo pieno alle attività del CLM.

Fig.5_2

– Area della qualità e dell’accreditamento dei CdL

In tutti gli esercizi è risultato che la totalità dei corsi di laurea possiede documenti pubblici in cui sono indicati la “mission e gli obiettivi formativi del CLM a dimostrazione del fatto che l’attitudine alla trasparenza e alla dichiarazione di intenti pubblicamente verificabile è patrimonio di antica tradizione nei CLMMC italiani. Interessante è l’andamento dei parametri relativi alla costituzione e attivazione dei sistemi di controllo di qualità. Tra gli ultimi due esercizi è evidente un grande balzo in avanti in questo ambito e attualmente oltre il 95% dei CLM ha elaborato una strategia per assicurare la qualità dell’offerta formativa e nelle relative dichiarazioni di intenti e oltre il 90%è realmente operativo (Figg. 6 e 7). Il fatto che, pur essendo presente un trend in aumento tra il II e il III esercizio testimonianza della già presente consapevolezza dell’importanza della presenza di un sistema qualità efficiente, la vera crescita esponenziale sia avvenuta tra il III e IV è verosimilmente dovuto anche ad una necessità di adempimento formale (ANVUR – AVA). Certo la risposta è stata eccezionale e quindi c’è da sperare che si possa colmare il divario tra adempimento formale e adeguamento sostanziale e intraprendere un virtuoso cammino di miglioramento continuo della qualità dell’offerta formativa dei corsi.

FIg.6_2 Fig.7_2

– Area delle risorse umane

La contrazione del personale docente, che tra gli ultimi due esercizi è stata di circa il 20% con una perdita secca di quasi 40 unità per corso,è ben rappresentata dall’andamento dei due parametri riportati in Fig. 8. A fronte di una virtuosa strategia di reclutamento che ha permesso un graduale aumento della copertura dei SSD presenti nei CdL fino alla quasi totalità degli stessi, è diminuito il rapporto tra docenti e crediti e quindi aumentato di molto il carico didattico per unità di docente. È evidente che la crescente abitudine al buon governo si scontra con la limitatezza delle risorse e le buone scelte strategiche rischiano di esser vanificate. Il dato registra molto bene l’impressione diffusa, riscontrata direttamente durante le visite, di un aumento soverchiante del carico di lavoro con possibile ricadute negative sulla qualità della didattica.

Fig.8_2

– Area delle risorse strutturali

L’andamento delle risorse strutturali nel tempo appare peculiare (Fig. 9). La scelta effettuata dal penultimo esercizio in poi di rapportare le aule non già al numero assoluto dei posti in esse contenuto, ma alla loro capacità di ospitare o meno la totalità o un percentuale degli immatricolati, ha evidenziato molto bene l’effetto dirompente del superamento del numero programmato degli accessi a causa del’aumento sconsiderato degli immatricolati dovuto ai cosiddetti “ricorsisti” (immatricolati in sovrannumero per effetto di sentenze favorevoli su ricorsi per i più svariati motivi inerenti presunte irregolarità nell’effettuazione del test di accesso). In questo senso è ben visibile la difficoltà sopravvenuta negli ultimi anni, registrata dall’ultimo esercizio, dove è presente una flessione della percentuale delle sedi in grado di ospitare adeguatamente gli studenti, in netta controtendenza con quanto precedentemente rilevato. L’aumento delle aule per piccoli gruppi è ovviamente dovuto al completamento di progetti di ristrutturazione basati sugli obbiettivi, assolutamente corretti, che i CdL si erano dati in anni non sospetti per aumentare al massimo la quota di didattica interattiva e che, pur costituendo una godibile risorsa strutturale, purtroppo la carenza di docenti già ricordata rischia di rendere poco utilizzabile tale risorsa.

Fig.9_2

In questo senso il continuo miglioramento dell’informatizzazione testimoniato dal confronto tra i tre ultimi esercizi può rappresentare una risorsa importante anche per l’utilizzo di spazi autogestiti e in cui l’interazione sia gestita mediante approccio telematico o comunque tramite fruizione di sistemi  e/o piattaforme informatiche.

– Area del diritto allo studio

Anche per quel che concerne il diritto allo studio (Fig. 10) l’offerta dei servizi risulta essere andata sempre in graduale miglioramento con evidenti impennate soprattutto per quel che riguarda l’assistenza ai disabili e la presenza del trasporto pubblico tra gli ultimi due esercizi. Non sembra disgiunto tale fenomeno da quello già commentato relativo ai sistemi di controllo della qualità anche per le ovvie necessità di adempiere alle normative sulla disabilità. Ciò non sminuisce assolutamente l’impegno costante per il raggiungimento di qualità di offerta di servizi per lo studente, accettabili e dignitosi in periodi di grande difficoltà, ed è segno evidente dell’attenzione dei Cdl e degli Atenei ai problemi del diritto allo studio.

Fig.10_2

– Area del potenziale assistenziale

Anche la fruibilità delle strutture assistenziali appare in continuo miglioramento secondo le rilevazioni degli ultimi tre esercizi (Figg. 11 e 12). Gradualmente si è giunti ad un fisiologico 100% di casi con presenza di più strutture diagnostiche e cliniche accessibili ai fini didattici e, nella ormai quasi totalità dei casi esiste un Dipartimento Emergenza Accettazione a diretta gestione da parte di Unità Operative Complesse a direzione universitaria o in convenzione. L’esposizione alla medicina di prossimità si è stabilizzata negli ultimi due esercizi a quasi il 90% delle sedi e necessita di un ultimo guizzo soprattutto in ragione dei nuovi orientamenti di politica sanitaria, unici a garantire la sostenibilità del nostro SSN a carattere universalistico. Il grande impegno della Conferenza in questo ambito, tramite tutte le iniziative di monitoraggio e di proposta di sperimentazione pedagogica, ha generato la maggioranza dei frutti tra il II e i III esercizio con un aumento di circa il 20% delle sedi in grado di esporre gli studenti alla pratica della medicina generale e di prossimità. Sarà necessario elaborare nuove iniziative, anche mirate, per raggiungere anche in questo specifico ambito un fisiologico 100%. Per quel che concerne il rapporto posti letto/studenti immatricolati pari o superiore a 3, si registra un aumento di circa il 10% delle sedi che lo rispettano tra il penultimo e ultimo esercizio, ma è evidente che le politiche di revisione del rapporto minimo abitanti posti letto, in funzione dell’orientamento già ricordato verso una sempre maggiore prossimità delle cure renderanno sempre più difficile il mantenimento di questo parametro. È ormai giunto il momento di passare a parametri che tengano conto più delle attività espletate dalle strutture che ospitano i CdL più che della consistenza numerica dei posti letto che albergano.

Fig.11_2

Fig.12_2

– Area della didattica e della valutazione

L’area della didattica e della valutazione degli studenti è sicuramente quella dove la possibilità di confronto tra i diversi esercizi è maggiormente difficile. È infatti evidente come anche gli stessi requisiti relativi a tale area invochino la presenza di strumenti in senso generico in quanto, nonostante la grande attenzione e l’entità del dibattito che si è sviluppato in questi anni all’interno della Conferenza, risulta ancora difficile stabilire indicatori reali che possano registrare l’integrazione didattica e l’integrazione nella valutazione dell’apprendimento. Mentre infatti risulta “empaticamente” chiaro il concetto di integrazione disciplinare, non è altrettanto chiaro come misurarla. È indubbio che in termini di apprendimento efficace, corsi realmente integrati danno risultati migliori e in tempi più brevi facilitano l’elaborazione delle informazioni da parte dello studente e soprattutto finalizzandole preventivamente allo scopo della formazione della competenza sullo specifico problema, ma come misurare in modo obbiettivo l’effettiva integrazione sia orizzontale sia verticale, è effettivamente difficile. In questo senso l’intervento nella metodologia didattica segna il passo, in termini almeno di risultati, come è evidente dal prevalere, nell’ultimo esercizio ancora del “abbastanza” ai quesiti sulla integrazione tra gli insegnamenti probabilmente proprio per i problemi di misurazione ricordati da una parte e per la sensazione di non essere ancora riusciti a far breccia tra le resistenze culturali e “politiche” legate agli “interessi” disciplinari. Peraltro la limitatezza delle risorse non aiuta certo l’organizzazione di corsi in multi-presenza, presenti, con ottimi risultati, solo occasionalmente nei CdL visitati. È ormai verosimilmente necessaria una riflessione che prenda atto dell’oggettiva difficoltà di raggiungere in modo diffuso le ideali condizioni di integrazione formativa e porti la Conferenza a proporre soluzioni anche di minima, ma sostenibili e attuabili in modo diffuso. Ciò detto è innegabile che i risultati del I esercizio del II ciclo relativi a quest’area, siano sicuramente incoraggianti (Fig. 13) in particolare per quel che riguarda le procedure di accreditamento delle ADE, l’organizzazione e l’effettuazione del controllo delle presenze e il controllo delle modalità di valutazione dell’apprendimento.

Fig.13_2

Queste ultime sono ancora prevalentemente effettuata tramite l’esame orale (nel 60% dei casi), presenti prove scritte, integrate o no con le prove orali, in circa il 30% dei casi e prove pratiche per la verifica delle abilità acquisite in circa il 10%. Sempre molto incentivata è la valutazione espressa da più esaminatori appartenenti a diversi SSD presenti nel medesimo corso integrato ed è sicuramente maggiormente realizzata rispetto all’integrazione nel momento formativo, rispetto alla quale è ormai verosimilmente necessaria una riflessione che prenda atto delle difficoltà oggettive (limitatezza delle risorse) e della permanenza di resistenze culturali e “politiche” legate agli interessi disciplinari. Un discorso a parte merita il risultato relativo alle ADP che nei diversi esercizi sono risultate spesso croce e delizia dei diversi CdL, nel senso che, sebbene di sovente abbiano rappresentato e siano state riportate come criticità anche rilevanti, sono state anche campo di sperimentazioni organizzative e metodologiche degne di esser riportate come eccellenze. Ormai le ADP risultano programmate in modo reale nella totalità dei corsi e, malgrado restino in grandissima parte svolte presso i plessi assistenziali, la diffusione dell’utilizzo dei laboratori di simulazione ha avuto in’importante impennata tra i due ultimi esercizi di Site Visit e attualmente risultano presenti in embrione almeno nei ¾ dei CDL (Fig. 14).

Fig.14_2

– Area del controllo e della valutazione dei corsi e dei docenti

Come è noto la valutazione e il controllo dei corsi e dei docenti è ubiquitario e principalmente effettuato tramite la somministrazione semestrale agli studenti dei questionari di valutazione, ma il rischio reale è che questa pratica, di per sé virtuosa, scada a livello di mero adempimento formale in assenza di momenti di discussione e divulgazione dei risultati di tali sondaggi. Nel tempo le sedi privilegiate di discussione dei dati dei questionari sono sempre più diventate il CCL e la CTP indicando un sano aumento dell’esigenza di discussione collegiale a fronte di una comunque sempre ben rappresentata abitudine alla discussione diretta tra docenti e Presidente di CdL. Ancora scarso appare il coinvolgimento in questa fase così delicata e importante, delle figure di coordinamento, CS e CCI (circa 1/3/dei casi). Il confronto tra il II esercizio del I ciclo (2007-2008) e il I esercizio del II ciclo (2013-14) (Fig. 15) dimostra un enorme incremento della presenza di momenti/sedi specifiche di discussione dei risultati delle varie forme di valutazione dei corsi e dei docenti dimostrando una sempre maggior abitudine al confronto che non può certo essere disgiunta dalla già rilevata maggiore abitudine alla ricerca di sistemi di qualità che permettano il miglioramento continuo delle attività dei CdL. Anche questo dato deve essere molto incoraggiante se si pensa all’estrema difficoltà che nemmeno dieci anni fa era presente nel corpo docente ad accettare ogni forma di valutazione da parte non solo degli studenti, ma anche dai propri pari. Non è un caso che, nell’esercizio 2007/08, meno della metà dei corsi discuteva i dati dei questionari, cosiddetti OPIS, e/o possedeva momenti di valutazione collegiale delle proprie attività.

Fig.15_2

L’adesione ai progetti della Conferenza

La scelta unanime di inserire tra i requisiti minimi per l’accreditamento interno alla Conferenza i Progetti strategici che la stessa persegue da almeno un decennio, rappresenta la volontà di ogni singolo CdL di partecipare attivamente ai progetti e di riconoscere agli stessi una valenza cruciale per le proprie attività. D’altro canto i tre progetti sono funzionali al monitoraggio, miglioramento e omogeneizzazione della attività fondamentali di un CdL: la formazione (il core curriculum), la valutazione dell’apprendimento (il progress test), il controllo di qualità (le Site Visit).

Non è certo un caso che fin dalla loro istituzione i progetti abbiano avuto la partecipazione della stragrande maggioranza dei CdL. Dal confronto tra gli esercizi (Fig. 16), infatti, è evidente come fin dal II esercizio del I ciclo almeno l’80% dei CdL abbia preso parte a tali iniziative.

Fig.16_2

Nello specifico nell’ultimo esercizio l’applicazione del Core Curriculum Nazionale, parrebbe presente in circa il 90% delle sedi, anche se tale dato andrebbe verificato in termini di riscontro sui programmi pubblicati, essendo frequente la dichiarata mancanza di utilizzo delle UDC e delle UDE in cui è declinato il Core Curriculum della Conferenza. Lo stesso andamento “basculante” nei tre esercizi confrontati del dato dell’adesione da parte dei CdL italiani denuncia una probabile soggettività dell’affermazione circa l’adozione del Core Curriculum sebbene sia indubitabile che gli argomenti trattati nei singoli CdL siano in gran parte sovrapponibili a quelli declinati nelle Unità Didattiche pubblicate dalla Conferenza. Se questo sicuramente rassicura circa la presenza di una certa omogeneità dei contenuti trattati nei diversi CLMMC italiani, il senso del progetto è certamente più ampio e, quindi, è verosimilmente necessario arrivare a stabilire criteri precisi che definiscano l’adesione al progetto e rendano quindi più obiettiva la partecipazione allo stesso. In questo senso la revisione del Core Curriculum Nazionale attualmente in atto è una buona occasione per ridefinire gli obiettivi del progetto e stabilire i criteri per la sua applicazione.

Per quel che concerne il Progress Test, che nell’ultimo esercizio risulta essere stato utilizzato dalla totalità delle sedi, sembra ormai chiaro che se ne sia compreso il valore in termini sia di autovalutazione della capacità formativa, sia di strumento obbiettivo di controllo dell’apprendimento, tanto che risulta sempre più utilizzato come strumento di valutazione dei corsi al’interno dei CdL (Figg. 17 e 18) anche verosimilmente per la sua caratteristica di metodo non formale, ma evidentemente utile e specificamente informativo. In realtà è possibile che le enormi potenzialità di questo eccezionale strumento messo a punto dalla Conferenza, siano ancora non completamente sfruttate sia a livello centrale, sia periferico. Utile sarebbe se la Conferenza trovasse il modo di lavorare su modelli applicativi da suggerire per la gestione periferica dei risultati.

Fig.17_2 Fig.18_2

Il progetto Site Visit ha ottenuto fin dal II esercizio del I ciclo la partecipazione totale di tutti CdL italiani e ci piace pensare che questo sia dovuto al grande clima di fiducia e stima reciproca che contraddistingue l’ambiente della Conferenza nel quale non si teme il confronto nella convinzione che, se effettuato secondo regole condivise, non può che esser fruttuoso. E che questo corrisponda a realtà è confermato dell’enorme messe di dati, impressioni ed emozioni che scaturisce dalla lettura delle relazioni delle commissioni che hanno effettuato le Site Visit: l’atto della visita, andando oltre l’istituzionale funzione di verifica e di correzione di quanto riportato nei questionari, ha rappresentato da sempre, infatti un formidabile momento di confronto e di crescita culturale, organizzativa ed umana, sia per coloro che hanno effettuato, sia per coloro che hanno ricevuto la visita. Il fatto di aver adottato progressivamente, soprattutto nel I esercizio del II ciclo, sistemi di standardizzazione sia della visita, sia della resa in relazione, ha permesso un più facile confronto delle esperienze. A mo’ di esempio si riporta un tentativo di analisi di raffronto tra criticità ed eccellenze rinvenute negli ultimi due esercizi (Figg. 19 e 20) già analizzato nel dettaglio in un precedente articolo. Senza entrare nello specifico in questa sede ci si limiterà a considerare un evidente fenomeno di “adattamento” particolarmente interessante per interpretare nel modo giusto i confronti nel tempo tra i diversi esercizi. Il dato oggettivo di un Progress Test ormai diffuso ovunque ne dimostra la condivisa affermazione e quindi la sua presenza non viene più percepita come eccellenza. Al contrario il dato, anch’esso obbiettivo, della contrazione del corpo docente, evidentemente ormai considerato scontato, è meno denunciato come criticità.

Fig.19_2

Fig.20_2

Il quadro complessivo

Il quadro complessivo dei risultati analizzati è riassunto nella Tabella I

Tab.1_2

È evidente il progressivo miglioramento della situazione della presenza dei requisiti che è stato possibile confrontare nel tempo nei CLMMC italiani. Pur utilizzando una soglia alta, pari alla presenza in almeno il 90% delle sedi, per la maggioranza dei parametri si è riusciti a uscire dalla “zona grigia” nella rilevazione dell’ultimo esercizio che, si ricorda, è stato anche il primo che ha perseguito un accreditamento se pur provvisorio dei CdL visitati. Si ricorderà che in prima applicazione la percentuale dei requisiti stabilita come soglia per l’ottenimento dell’accreditamento provvisorio era corrispondente all’80%. La Fig. 21 mostra i risultati dell’esercizio in questione.

Fig.21_2

Tutti i CLMMC italiani hanno raggiunto la soglia stabilita e pertanto sono titolari dell’accreditamento provvisorio interno alla CPPCLMMC. Tale risultato, come già in passato rilevato, riveste un significato ancora più importante alla luce di quanto dimostrato dalla simulazione, effettuata relativamente ai medesimi parametri, in base alle rilevazioni del precedente esercizio di Site Visit visibili nella Fig. 22 che fotografano una situazione ben diversa con più di 1/3 delle sedi sotto il livello di accreditamento e nessuna con il 100% dei requisiti.

Fig.22_2

In altre parole in dieci anni di lavoro si è riusciti a fare in modo che la stragrande maggioranza dei requisiti considerati oggi necessari per l’accreditamento fossero presenti in almeno il 90% dei CLMMC italiani e in tre anni di lavoro mirato, i CLMMC italiani sono stati in grado di mettere in atto i correttivi necessari al raggiungimento dei parametri che si erano comunemente dettati dimostrando che si può ingenerare quel circolo virtuoso di miglioramento continuo alla base di un reale sistema di qualità votato non già alla censura o alla “punizione” di chi è in difficoltà, ma alla individuazione delle criticità al fine della loro soluzione e alla condivisone delle eccellenze. Ci piace pensare che ciò sia stato possibile anche grazie allo stimolo e alla motivazione indotti dalla partecipazione al progetto Site Visit della Conferenza e agli strumenti messi in comune e a disposizione dalla Conferenza stessa.

L’effetto del raggiungimento dei requisiti minimi

Per capire se il raggiungimento dell’accreditamento interno alla Conferenza, e il conseguente raggiungimento di almeno l’80% dei requisiti considerati indispensabili per garantire una buona offerta didattica, abbia influito sull’efficacia didattica si è cercato di analizzare alcuni indicatori.

I risultati in termini di situazione della popolazione studentesca

Dalla rilevazione dell’ultimo esercizio risulta che circa il 55% degli studenti dei CLM italiani si laurea in corso e l’80% lo fa entro il I anno fuori corso. Tale dato è rimasto costante negli ultimi due esercizi. Inoltre attualmente in media la percentuale degli iscritti come ripetenti o fuori corso è del 20%, in netto miglioramento rispetto al 30% precedentemente registrato. Se tale ultimo dato viene riferito solo ai fuori corso e non ai ripetenti è possibile effettuare un confronto anche con il II esercizio del I ciclo e i risultati sono visibili in Fig. 23. In ultimo, confrontando il dato relativo al tempo medio di laurea tra il II esercizio del I ciclo e il I esercizio del II ciclo, è evidente un certo miglioramento (Fig. 24).

Fig.23_2 Fig.24_2

È evidente il trend positivo che, comunque, partendo da una situazione già buona, probabilmente necessità di più tempo per mostrare risultati più consistenti. Sembra comunque che obbiettivamente, il miglioramento dell’efficacia dei corsi sia un dato assumibile.

La percezione soggettiva dei Presidenti di CdL e quella oggettiva delle commissioni

Questo è sicuramente un indicatore relativamente affidabile perché comunque ricavato da una percezione, ma che essendo simile sia da parte dei valutati che dei valutatori può essere comunque considerata significativa. Il 97% dei Presidenti di CLM dichiara da abbastanza a del tutto raggiunti la missione e gli obiettivi del corso con un importante superamento da parte dei molto sugli abbastanza rispetto al penultimo esercizio. (Fig. 25)

Fig.25_2

Tale percezione soggettiva appare confermata dalla percezione delle commissioni che nelle conclusioni delle loro relazioni hanno giudicato positivamente i CdL in ordine a organizzazione e sintonia con il nuovo ordinamento didattico nella grande maggioranza dei casi (rispettivamente nel 75% e nel 63%). Anche in questo caso sembrerebbe che il raggiungimento dell’accreditamento interno sia coinciso con una migliore impressione da parte degli attori e dei verificatori dello stesso sullo “stato di salute” dei nostri CdL confermando l’efficacia del sistema messo in essere anche ai fini del reale miglioramento della qualità dei CLMMC italiani.

Considerazioni conclusive

Come già precedentemente rilevato, il processo di trasformazione del Progetto Site Visit in un vero sistema di accreditamento tra pari è ormai concluso; i requisiti minimi di accreditamento stilati e condivisi sono ormai un importante punto di riferimento per l’attività dei CdL e le linee guida per il loro raggiungimento/mantenimento in tempi ragionevoli, così come sono state indicate, sembrano utilizzate e utilizzabili. Per il futuro ogni corso, conoscendo in base ai risultati della precedente site visiti gli eventuali punti di debolezza che il sistema ormai standardizzato permette di individuare con maggiore facilità, potrà lavorare per il superamento delle specifiche criticità anche con l’aiuto della Conferenza che è impegnata da sempre nel supporto alle singole realtà. L’enorme lavoro effettuato in questi dieci anni di vita del Progetto Site Visit della CPPCLMC ha dato risultati estremamente positivi portando all’accreditamento, se pur provvisorio e relativo almeno all’80% dei requisiti stabiliti, della totalità dei corsi. Tutto ciò oltre a rappresentare il successo del metodo di lavoro della Conferenza, in termini di attenzione alla condivisione e alla sostenibilità di quanto ritenuto indispensabile per le attività dei corsi ricercata per la via del confronto continuo e della simulazione degli effetti delle decisioni prese, può essere di grande utilità anche in considerazione dell’avvenuto avvio delle Site Visit dell’ANVUR con le quali è sempre più necessario un processo di reale integrazione anche in considerazione del fatto che, almeno apparentemente, i criteri ANVUR non sembrano sufficienti a valutare le specificità dei CdL di area sanitaria. La sfida che attende la Conferenza è quella di riuscire a mantenere vitale nel tempo il sistema messo in essere, anche migliorandolo, ma soprattutto rendendolo più facilmente “sostenibile” per la Conferenza stessa.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano i colleghi Presidenti di tutti i CLMMC passati, presenti e futuri per la fattiva collaborazione. Un particolare ringraziamento va ai componenti delle commissioni centrali che si sono susseguite nella gestione dei diversi esercizi e a tutti i commissari che hanno effettuato le visite durante gli stessi, senza i quali nulla di quanto fatto e raggiunto sarebbe stato possibile.

Si ringraziano infine la dottoressa Carmen Mazzitelli per il supporto costante in tutte le fasi della realizzazione degli ultimi due esercizi e per l’attenta revisione dell’articolo e la dottoressa Martina Leopizzi per il prezioso ausilio nell’elaborazione dei dati.

Cita questo articolo

Della Rocca C., Lenzi A., Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoro, Medicina e Chirurgia, 69: 3138-3149, 2016. DOI:10.4487/medchir2016-69-4

Il Progress Test 2013n.64, 2014, pp.2893-2900, DOI: 10.4487/medchir2014-64-4

Abstract

The Progress Test (PT) is a particular type of examination that recognizes particular and distinctive characteristics such as: (a) students cannot specifically study for the test but can only prepare to take the exam by continuously following and studying their individual courses on a day- by-day basis and (b) the PT covers subject matter that spans the entire 6 years of study. These two characteristics allow for the opportunity (a) to assess students’ accumulated knowledge at any particular time in the course of their studies, and (b) to evaluate their analytical and reflective abilities. The use of this powerful tool goes beyond the simple evaluation of a single medical-related discipline or subject; rather, it concentrates on the overall objectives of the entire 6 year medical curriculum by focusing on how knowledge is integrated and used in an holistic manner.

In 2013, 17,486 medical students from 37 Italian Medical Schools took the PT for the eight year in a row. The students who participated spanned the full 6 years of the Italian medical curriculum. As usual, the exam was administered in the month of November which is close to the beginning of the academic year.  The test was composed of 300 questions equally divided between the Basic and Clinical Sciences, with each section administered over a 3-hour period for a total of 6 hours of examination time.

An analysis of the current results can best be understood by comparing them with those of previous PT’s. The data presented tend to give an overall idea of both the national as well as local outcomes.   Although the results may tend to be thought of as reflecting the progressive acquisition of knowledge and the learning outcomes of our students, underneath it all, they may in reality, be reflecting our teaching methods and content delivery.  Data obtained from consecutive PT’s have been very useful to better understand the principal objective of the PT which is to continuously improve both the learning abilities of our students, as well as the teaching qualities of our professors.

Articolo

Introduzione

Il 13 novembre 2013 è stato condotto in molte Facoltà di Medicina e Chirurgia Italiane l’ottavo Progress Test (PT). Il PT rappresenta un metodo essenziale per la valutazione del miglioramento e del mantenimento, durante i sei anni di corso, delle conoscenze che porteranno poi al raggiungimento della competenza professionale distintiva del laureato in Medicina e Chirurgia.

Schermata 2015-01-20 alle 12.08.04

Il PT  com’è noto, è adesso incorporato nel curriculum medico di diverse Università americane ed europee. Una delle sue caratteristiche peculiari è rappresentata dal fatto che lo studente non può “prepararsi per il PT”, nel senso che non ha indicazioni preliminari sulle domande che saranno somministrate, ma conosce soltanto gli ambiti disciplinari sui quali saranno sviluppate le domande.  Altra caratteristica peculiare è quella che il risultato e la valutazione del PT sono basati solo sulla capacità dello studente di acquisire e ritenere le conoscenze riguardo agli obiettivi del curriculum formativo globale e non del singolo corso integrato.

Schermata 2015-01-20 alle 12.08.21

Negli ultimi otto anni nelle Facoltà di Medicina e Chirurgia italiane, il PT, come riportato nella Tab. 1, è stato sempre svolto nel mese di novembre.

Nel 2006 parteciparono il 55% delle Facoltà in Medicina e Chirurgia (25 dei CLMMC attivi); nel 2013, ottavo anno di PT, il 73% (37 dei 51 CLMMC attivi).

Il quarantotto CLMMC (il 94% del totale) avevano inizialmente aderito, ma ben 11, per motivi organizzativi, non hanno potuto partecipare.

E’ da segnalare che nel corso di questi otto anni di osservazione soltanto un Corso di Laurea non ha mai partecipato al PT.

Metodi e Risultati

Come negli scorsi anni il PT è stato composto da 300 domande a scelta multipla, con una sola risposta giusta sulle cinque proposte. Le prime 150 domande relative alle Scienze di base sono somministrate in tre ore nel corso della mattina del giorno prescelto; le successive 150, inerenti le Scienze cliniche, nel pomeriggio.

Nella Tab. 2, viene riportato il numero delle domande per aree disciplinari.

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Coinvolgimento dei diversi anni di corso

Il 73% dei corsi di Laurea ha somministrato il PT in tutti i sei anni di corso.

La Fig. 1 riporta il numero di anni di corso coinvolti negli otto anni in cui si è svolta l’esperienza.

Schermata 2015-01-20 alle 12.08.57

Fig. 1

Come si può notare dal 2006 ad oggi si è osservato un coinvolgimento sempre più numeroso di tutti gli anni di corso, con un aumento significativo (+17%) soprattutto al primo anno.

In particolare, dei 37 CLMMC, 28 hanno condotto il test a 1° anno, 34 al 2° anno, 35 al 3°, 35 al 4°, 36 al 5° e 35 al 6° anno per un totale di 203 anni accademici. E’ evidente come quasi tutti i corsi tranne due abbiamo somministrato il PT dal 3° al 6° anno consentendo una elaborazione interna del PT e non solo nazionale.

Nonostante la mancanza di 11 CLMMC, inizialmente aderenti, la numerosità totale degli studenti partecipanti è stata simile a quella registrata nel 2012 (17486 vs. 18687, -6%) quando i CLMMC partecipanti erano 41.

La partecipazione al Progress test, che è attualmente su base volontaria in quasi tutte le sedi, dimostra incrementi in anni di corso peculiari. Infatti proprio all’inizio del percorso di studi, ossia al primo anno, si è osservato (Fig. 2) un incremento del 9%, rispetto all’anno precedente ed alla fine del percorso, ossia al 6° anno, un incremento ancora più ragguardevole.

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Fig. 2

Da questo si evince come pian piano i nostri studenti comincino ad avvertire l’importanza di questa sperimentazione. Se si considera che nell’esercizio 2006, si poteva contare su una popolazione di poco più di 3000 studenti, nell’ottavo anno di esercizio tale popolazione si è quasi sestuplicata.

Infatti, come si osserva nella fig. 3, la partecipazione degli studenti rispetto a quella attesa è stata,  in questo ultimo anno di esercizio intorno al 54%.

Schermata 2015-01-20 alle 12.09.31

Fig. 3

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Fig. 4

 

La figura 4 confronta l’esercizio 2012 con quello del 2013 mostrando che anno dopo anno si conferma che la partecipazione si aggira sempre tra il 50 ed il 60% per gli anni centrali del corso di studi e si intensifica nel primo e nel sesto anno.

Analisi dei risultati per anno di corso

Nella figura 5 è riportato il numero dei partecipanti alle due tipologie di esame (Scienze di Base e Scienze Cliniche).

Schermata 2015-01-20 alle 12.09.57

Fig. 5

Quest’anno, si è osservata una leggera tendenza alla maggiore partecipazione ai test concernenti le Scienze di Base anche se con minime differenze.

Questo potrebbe riflettere la difficoltà di una piccola percentuale di studenti a sostenere nella stessa giornata, il test relativo alle Scienze di base al mattino e quello delle Scienze cliniche nel pomeriggio.

Considerando la media della percentuale delle risposte corrette di tutti gli anni (Fig. 6) e confrontandola con quelle ottenute nel 2012 e nel 2011 (anno quest’ultimo in cui non fu coinvolto il primo anno di corso), si osserva un incremento della media nel 2013 rispetto al 2012 e una sovrapposizione di dati rispetto al 2011.

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Fig. 6

Schermata 2015-01-20 alle 12.10.22

Fig. 7

Prendendo in considerazione il dettaglio per singolo anno di corso (Fig. 7, barre in bianco) in relazione alle Scienze di Base, il PT 2013 ci ha mostrato che per il primo anno la media delle risposte giuste è simile a quella del 2012, mentre dal II al VI anno è sempre più alta del 4-6% rispetto a quella rilevata nel 2012.

Inoltre, guardando il grafico riportato nella figura 8, è evidente la progressione del numero delle risposte giuste dal primo al sesto anno di corso a riprova della capacità di mantenimento ed incremento negli anni delle nozioni di base.

Schermata 2015-01-20 alle 12.10.35

Fig. 8

Per quanto riguarda invece le Scienze Cliniche, si è messo in evidenza un deciso divario rispetto al 2012, con una media del 22,5% (DS: 9,3%) rispetto al 31.6% (DS: 15.6%) del 2012.

Questo comportamento, che appare evidente nella figura 9, è presente in tutti gli anni di corso analizzati, seppur esista un incremento medio passando dal triennio pre-clinico a quello clinico.

Schermata 2015-01-20 alle 12.10.51

Fig. 9

Al momento della stesura di questo articolo non sono attualmente disponibili i dati relativi alle percentuali delle risposte esatte, stratificate  per aree disciplinari nei sei anni del corso di laurea.

Analisi dell’incremento delle competenze al sesto anno suddivisi per CLMMC

L’analisi molto puntiforme, relativa alla valutazione delle competenze al sesto anno è riportata nella figura 10.

Schermata 2015-01-20 alle 12.11.08

Fig. 10

I vari CLMMC sono indicati con un numero progressivo per cui è impossibile individuarli. Tuttavia, com’è estrapolabile dalla figura, comportamenti particolarmente anomali sono presenti soltanto in alcuni casi. Vi è poi da segnalare che vi è un corso di laurea (n° 7) nel quale la media delle risposte sia delle scienze di base che di quelle cliniche è bassissima rispetto a quella nazionale riscontrata al sesto anno. Vi sono infine corsi di laurea, dove la media delle risposte alle scienze di base supera notevolmente la deviazione standard.

Dati più dettagliati su questi otto anni di sperimentazione, presentati ad una Special Conference del Congresso internazionale dell’AMEE, tenutosi a Milano dal 30 Agosto al 3 settembre, verranno commentati successivamente da Alfred Tenore.

Conclusioni

Il PT 2013 ha mostrato un aumento significativo del numero di studenti, più evidente per quelli  iscritti al primo e al sesto anno di corso, malgrado l’assenza, all’ultimo momento, per problemi organizzativi, di ben 11 corsi di laurea.

Questo probabilmente è dovuto alla capacità degli studenti e dei docenti di aver finalmente compreso il significato del PT.

Siamo quindi fiduciosi che anche nei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia in Italia, il PT possa rappresentare un test affidabile nella valutazione delle conoscenze acquisite durante il corso di laurea. Partecipare al PT è per lo studente uno strumento per migliorare la propria formazione e per il Corso di Laurea un mezzo per migliorare l’iter educativo (assessment drives curricular improvements).

Dopo otto anni di applicazione la CPPCLM&C è fiduciosa che il PT, nei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia in Italia, rappresenti un test affidabile per la valutazione delle conoscenze acquisite durante il corso di laurea, tanto che nel 2010 ha proposto al MIUR che, a valle dei sei anni, l’ultimo PT divenga una delle due tappe dell’esame di abilitazione (settimo PT), accanto alla valutazione delle abilità professionali.

Tale ipotesi è divenuta una realtà (una Commissione ad hoc è stata costituita) ed anche una necessità, alla luce dei ben noti risultati dell’esame di abilitazione che ogni anno non riescono a discriminare la preparazione dei nostri laureati con percentuali di abilitati che si avvicinano al cento per cento dei valutati.

Bibliografia

1) Mennin SP, Kalishman S. (1998). Student assessment. Acad Med.;73(9 Suppl):S46-54.

2) Newble DI, Jaeger K. (1983) The effect of assessments and examinations on the learning of medical students. Med Educ.;17: 165-171.

3) Tenore A. (2010). Il Progress Test- Considerazioni e speranze per il futuro delle Facoltà di Medicina Italiane. Med Chir 49; 2123-2130.

4) Recchia L, Moncharmont B. Elaborazione dei dati relativi al nuovo Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi del Molise. I risultati del Progress Test. Med Chir 51, 2237-2242.

Cita questo articolo

Tenore A., Basili S., Lenzi A., Il Progress Test 2013, Medicina e Chirurgia, 64: 2893-2900, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-64-4

Il tabagismo e le strategie di cessazionen.63, 2014, pp.2849-2852, DOI: 10.4487/medchir2014-63-4

Abstract

The World Health Organization (WHO) considers tobacco smoke as the leading cause of preventable death in industrialized countries. In Italy, smokers are 22% adult population. Although the smoker is aware of the damage caused by smoking cigarettes, this is not enough to make him quit. In this context, the role of the physician can be crucial to counteract tobacco addiction, even just through brief interventions, because of the relationship of trust between him and his patient. It is therefore necessary that the physician develops adequate knowledge and appropriate attitudes and skills in the context of a specific training on these matters.

Articolo

Introduzione

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il fumo di tabacco è la singola causa di morte maggiormente prevenibile ed uccide circa 6 milioni di persone ogni anno1. Un rapido sguardo alla situazione nel mondo ci dimostra che in 22 anni è diminuita la prevalenza dei fumatori di circa 10 punti percentuali e delle fumatrici di circa 4 punti percentuali, ma il numero assoluto di fumatori, a causa dell’incremento della popolazione generale, è aumentato di circa 250 milioni di fumatori. Così è aumentato il numero di sigarette fumate (+26%) e il mercato globale delle sigarette continua a crescere2. L’Italia, insieme ai Paesi orientali, si colloca tra i Paesi con la maggior prevalenza di consumi giornalieri superiori al pacchetto di sigarette2. In Italia il fumo di tabacco è responsabile di circa 71.500 morti all’anno, pari al 12,5% della mortalità totale3. Il fumo è dannoso a ogni età, e il rischio di contrarre una patologia ad esso correlata (cardiovascolare, oncologica, pneumologica) è strettamente dipendente dall’età di inizio: un ragazzo che comincia a fumare a 15 anni ha una probabilità tre volte superiore di ammalarsi di tumore rispetto a un individuo che inizia a fumare a 20 anni4-5. Inoltre, è stato dimostrato che l’uso precoce di tabacco è in grado di modificare lo sviluppo polmonare nell’adolescenza con un’induzione precoce della crescita neoplastica6.

La raccomandazione a smettere di fumare, il supporto alla motivazione e l’offerta del necessario sostegno dovrebbero essere quanto più possibile puntuali e incisivi soprattutto in presenza di particolari categorie di fumatori: i giovani, le donne in gravidanza e i pazienti con gravi patologie fumo-correlate (tumore, BPCO, enfisema, insufficienza respiratoria etc..). In particolare, viene data molta importanza agli interventi che favoriscono la disassuefazione dal fumo, tramite il contributo dei Medici e dei Centri Antifumo già operanti su tutto il territorio nazionale.

Epidemiologia nel tabagismo in Italia

L’indagine DOXA effettuata per conto dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri rivela che nel 2014 in Italia i fumatori sono 11,3 milioni (il 22% della popolazione adulta di età superiore ai 15 anni): di questi il 25,4% sono uomini e il 18,9% sono donne7.

Nel corso degli ultimi anni la prevalenza del fumo di sigarette nella popolazione è rimasta sostanzialmente invariata. Nel 2014 tuttavia si assiste ad un incremento di 1,4 punti nella percentuale dei fumatori, che passano dal 20,6% del 2013 al 22,0% del 2014. Questo incremento è da attribuirsi alle fumatrici la cui prevalenza subisce un aumento di ben 3,6 punti percentuali (15,3% nel 2013 versus 18,9% nel 2014) (Fig.1).

Pacifici 63_2014_1 Stratificando i fumatori in funzione delle diverse fasce d’età si osserva come la prevalenza di fumatori è costantemente superiore a quella delle fumatrici in tutte le fasce d’età. Inoltre, la percentuale maggiore di fumatori si riscontra tra gli uomini di età compresa tra i 25 e 44 anni mentre la percentuale minore tra le donne di età superiore ai 65 anni. L’analisi relativa all’andamento della prevalenza dei fumatori suddivisi per classi d’età individua nella fascia 25-44 anni quella dove nel 2014 si è registrato l’aumento principale di fumatori.

Per quanto riguarda invece la distribuzione dei fumatori italiani rispetto alle varie aree geografiche, è possibile notare che nel Centro Italia si registra la prevalenza maggiore di fumatori (29,2%) e la prevalenza minore di fumatrici (17,4%).

Gli italiani fumano mediamente 13 sigarette al giorno: tale consumo medio si è mantenuto stabile nel corso degli ultimi 3 anni. Va sottolineato tuttavia che a fronte di un consumo medio di 13 sigarette/die, oltre il 69% dei fumatori fuma più di 10 sigarette al giorno e che di questi fumatori, il 28,5% fuma più di 1 pacchetto al dì.

Un dato particolarmente preoccupante riguarda la fascia di età tra i 15 ed i 24 anni. Sebbene infatti i giovani fumino mediamente meno di 15 sigarette al giorno, i dati DOXA per il 2014 mostrano che tale consumo medio è in deciso calo rispetto all’anno precedente passando dall’ 80,7% al 67,8%. L’1,3% dei giovani inoltre dichiara di fumare più di 25 sigarette al giorno.

L’età media in cui si inizia a fumare è 17,8 anni: le ragazze iniziano 1 anno e 4 mesi in ritardo rispetto ai ragazzi. Comunque, oltre il 72% dei fumatori inizia a fumare tra i 15 e i 20 anni, ed un 13,2% inizia prima dei 15 anni.

Fra i principali motivi che hanno spinto il 59% dei fumatori ad iniziare a fumare troviamo l’influenza degli amici: tale motivazione non mostra differenze di genere e rimane costante nel corso del tempo (era valida per il 60,5% degli intervistati nel 2009).

Cosa e come si fuma

Secondo l’ultima indagine DOXA, circa il 95% dei fumatori fuma quotidianamente sigarette tradizionali: questa tipologia di consumo si è consolidata nel corso degli anni. Probabilmente a causa del minor costo del tabacco trinciato, tuttavia, si registra nel 2014 un raddoppio della percentuale di chi fuma (occasionalmente o abitualmente) sigarette fatte a mano (9,6% nel 2013, 18,0% nel 2014): tale tipologia di consumo è significativamente più diffusa tra i giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni. Il dato storico relativo al fumo di sigarette fatte a mano indica inoltre che negli ultimi 5 anni è quasi triplicato il consumo prevalente di tali sigarette (2,7% nel 2009, 7,8% nel 2014)7.

Tra i diversi canali di acquisto delle sigarette, i fumatori italiani prediligono rivolgersi ai tabaccai (89,0%), sebbene il 7,8% di essi acquisti le sigarette ai distributori automatici e il 3,6% utilizzi “altri canali”, presumibilmente Internet o il contrabbando illegale.

La sigaretta elettronica

La sigaretta elettronica (o electronic cigarette, e-cig) è un prodotto commerciale inventato con lo scopo di imitare il sistema di inalazione della nicotina della sigaretta di tabacco convenzionale. Esistono attualmente molti tipi di sigarette elettroniche, con diverse forme estetiche e cartucce per il funzionamento contenenti miscele di sostanze che vengono vaporizzate e che possono contenere aromi e nicotina. In pochi anni le e-cig sono diventate molto popolari nei Paesi ad alto reddito e dal 2010 hanno conquistato il mercato italiano. Dall’ultima indagine DOXA, tuttavia, risulta che nel 2014 l’uso della sigaretta elettronica in Italia si è più che dimezzato: gli utilizzatori (occasionali o abituali) sono passati infatti dal 4,2% del 2013 all’1,6% del 2014. Gli “svapatori” che la usavano abitualmente nel 2013 erano circa 510 mila persone (l’1% della popolazione): nel 2014 sono passati a circa 255 mila (lo 0,5%). I consumatori occasionali, che erano 1,6 milioni nel 2013 (il 3,2%) sono passati a circa 550 mila (l’1,1%) nel 2014.

Gli utilizzatori della e-cig hanno mediamente 42 anni e sono soprattutto uomini (66%). Questo prodotto viene utilizzato principalmente da giovani adulti e adulti poiché l’84,4% dei consumatori ha un’età compresa tra i 25 e 64 anni. La e-cig più utilizzata è quella contenente nicotina (66,2%).

Nel 2014 sono mutate rispetto al passato le preferenze dei consumatori circa il canale di acquisto delle sigarette elettroniche: diminuiscono infatti gli acquisti presso i rivenditori specializzati e aumentano quelli presso i tabaccai e le farmacie.

L’utilizzo della e-cig come ausilio per smettere di fumare è ad oggi molto dibattuto8-10.

Dall’indagine DOXA emerge un aumento, tra gli utilizzatori della e-cig, della percentuale di chi ha dichiarato di aver smesso di fumare le sigarette tradizionali (18,8% nel 2014, 10,6 % nel 2013). Diminuisce invece la percentuale di chi ha dichiarato di aver ridotto leggermente o drasticamente il numero di sigarette fumate (41,8% nel 2014 rispetto al 67,3% nel 2013). Una osservazione interessante riguarda il dato relativo ad un quarto dei fumatori di e-cig che ha dichiarato di non aver modificato le proprie abitudini tabagiche, aggiungendo quindi l’uso della e-cig allo stesso numero di sigarette tradizionali fumate (25,1% nel 2014, 22,1% nel 2013). Preoccupante inoltre la percentuale relativa agli utilizzatori della e-cig che hanno dichiarato di aver aumentato il numero di sigarette tradizionali (1,7%) e che hanno iniziato a fumare sigarette tradizionali sebbene prima non avessero questa abitudine (12,1%).

Smettere di fumare

Il fumatore è consapevole dei danni provocati dal fumo (non solo alla propria salute): spesa economica costante, senso di dipendenza dalla sigaretta, alito e odore cattivi, fastidio e danno alla salute delle persone vicine, difficoltà respiratorie e rischio di gravi malattie. Tutti sanno che fumare ha conseguenze più o meno importanti, eppure questo non basta per smettere.

Mediamente ogni anno tentano di smettere di fumare senza successo il 30% dei fumatori e lo fanno nella maggior parte dei casi senza alcun supporto. Infatti, poco più del 5% utilizza prodotti farmaceutici indicati per sostenere il percorso della disassuefazione. A questo problema si unisce il dato che oltre la metà dei fumatori dichiara di non aver mai ricevuto un consiglio circa l’opportunità di smetter di fumare da parte del proprio medico di base7. Inoltre poco conosciuti sono i servizi territoriali per la cessazione dal fumo di tabacco (Centri Antifumo) che sono dei servizi del SSN distribuiti su tutto il territorio nazionale e dedicati alla cura del tabagismo e dei problemi fumo-correlati. Eppure è ormai dimostrato11 che un intervento breve di pochi minuti da parte di un operatore sanitario può avere un rilevante impatto nello spingere le persone a smettere di fumare o comunque a prendere in considerazione la possibilità di farlo: un approccio mirato da parte di un medico o del personale sanitario può essere un forte incentivo a tentare o comunque a prendere coscienza del problema. Tale approccio riporta un generale apprezzamento da parte dei pazienti, anche se può sembrare aggiuntivo rispetto al motivo della consultazione. Il rapporto costo/beneficio è decisamente favorevole: 3 soli minuti, utilizzati per affrontare l’argomento fumo, permettono di avere un incremento delle cessazioni pari al 3%11.

Il ruolo del medico

Il medico può essere determinante per combattere la dipendenza da tabacco, anche semplicemente attraverso interventi brevi, attuabili nel corso della propria attività clinica quotidiana. Le linee guida per il trattamento del tabagismo  raccomandano di inserire, nei protocolli ambulatoriali e ospedalieri, la valutazione dello status di ogni paziente riguardo al fumo e indicano quale approccio adottare per rendere quanto più possibile efficace ed incisivo un intervento preliminare di pochi minuti. Tale intervento è conosciuto con la sigla 5A: – Ask (chiedere) – Advice (raccomandare) – Assess (identificare) – Assist (assistere) – Arrange (pianificare)

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Ad ogni visita il medico dovrebbe chiedere (ASK) al paziente in maniera chiara e diretta (Fig. 2), se è un fumatore o meno ed indicarlo nella cartella clinica. Già questo primo passo veicola implicitamente un’importante informazione trasversale al motivo della consultazione medica: “L’essere o meno un fumatore incide sul tuo stato di salute!”. Di fronte ad un paziente fumatore la raccomandazione (ADVICE) di smettere deve essere fatta in maniera chiara e diretta, spiegando che è la cosa più importante che può fare per la sua salute. Dopo il primo approccio va valutato se la persona ha intenzione di smettere (ASSESS) e, in caso positivo, va fornito l’aiuto necessario (ASSIST), concordando con il soggetto stesso la strategia (ARRANGE) in modo che sia quanto più possibile rispondente alle sue capacità.

Si ricordi che tra le patologie maggiormente chiamate in causa dal fumo di tabacco troviamo la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), il tumore al polmone e le malattie cardiovascolari13. I pazienti con malattie respiratorie (ma non solo essi) hanno un più grande e più urgente bisogno di smettere di fumare rispetto alla media dei fumatori. Il trattamento per la cessazione del fumo dovrebbe essere considerato parte integrante della gestione di pazienti con malattie respiratorie.

Considerazioni conclusive

Gli interventi brevi sul fumatore, la cui efficacia è ampiamente dimostrata dalla letteratura, sono di importanza fondamentale soprattutto se attuati dal personale medico in generale e dal medico di famiglia in particolare, a causa del particolare rapporto di fiducia che lo lega al paziente. Nel fornire risposte, il medico dovrebbe lasciar percepire l’offerta di comprensione e l’accettazione dei dubbi, delle difficoltà o delle paure del fumatore, cercando di spiegare che ciò fa purtroppo parte integrante del percorso di disassuefazione e non è una conferma di debolezza. Come è ovvio, tali strategie di intervento impongono al medico adeguate conoscenze ed appropriate attitudini e capacità, ovvero una sensibilizzazione sulle tematiche del tabacco e sulle modalità di intervento sul paziente che non possono essere lasciate all’improvvisazione, ma che rendono piuttosto necessaria una formazione specifica su tali tematiche che dovrebbe essere fornita secondo standard professionali di elevato livello.

Bibliografia

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4) Simonato L, Agudo A, Ahrens W et al. Lung cancer and cigarette smoking in Europe: an update of risk estimates and an assessment of inter-country heterogeneity. Int J Cancer 2001;91(6):876-87.

5) McCarron P, Smith GD, Okasha M, McEwen J. Smoking in adolescence and young adulthood and mortality in later life: prospective observational study. J Epidemiol Community Health 2001;55(5): 334-5.

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7) DOXA. Il fumo in Italia – Indagine Demoscopica effettuata per conto dell’Istituto Superiore di Sanità, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/binary/fumo4/cont/Indagine_Doxa_2013.pdf Ultima consultazione 25/06/14.

8) Action on Smoking and Health. ASH briefing: electronic cigarettes. London: ASH; 2013. Disponibile all’indirizzo: http://www.ash.org.uk/files/documents/ASH_715.pdf; ultima consultazione 25/06/14.

9) Goniewicz ML, Lingas EO, Hajek P. Patterns of electronic cigarette use and user beliefs about their safety and benefits: an Internet survey. Drug Alcohol Rev 2013;32(2):133-40

10) Polosa R, Caponnetto P, Morjaria JB, Papale G, Campagna D, Russo C. Effect of an electronic nicotine delivery device (e-Cigarette) on smoking reduction and cessation: a prospective 6-month pilot study. BMC Public Health 2011;11:786.

11) Clementi F, Dragani L, Gorio R, Principe R. Manuale di sensibilizzazione e informazione sulle tematiche collegate al fumo di tabacco. 2012. Ed. Istituto Superiore di Sanità. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/binary/fumo/cont/Manuale_di_sensibilizzazione.pdf; Ultima consultazione25/06/2014.

12) Zuccaro P, Caraffa G, Corti FM et al. Linee guida cliniche per promuovere la cessazione dell’abitudine al fumo. Osservatorio Fumo Alcol e Droga, 2002. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/binary/fumo4/cont/lg_LUNGHE.pdf; ultima consultazione 25/06/14.

13) Zuccaro P, Pichini S, Mortali C, Pacifici R et al. Fumo e patologie respiratorie: le carte del rischio per Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva e Tumore al polmone. Istituto Superiore di sanità – 2004 – III Ristampa. Disponibile all’indirizzo: http://www.iss.it/binary/fumo4/cont/carte_del_rischio_BPCO_e_TaP.pdf. Ultima consultazione: 25/06/2014.

Cita questo articolo

Pacifici R., Palmi I., Il tabagismo e le strategie di cessazione, Medicina e Chirurgia, 63: 2849-2852, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-63-4

Dipendenza da nicotina e terapia del tabagismo. Come formare una cultura medica per l’epidemia da fumo del XXI secolon.63, 2014, pp.2845-2848, DOI: 10.4487/medchir2014-63-5

Abstract

Tobacco smoking is the leading cause of preventable death in developed countries and every smoker should be encouraged to give up smoking. Physicians are in a privileged position to advise and educate patients about smoking dangers, however the opportunity to provide this advice is often missed. Among the reasons of this failure the inadequate specific training that doctors have received when they were medical students. Recent studies on medical education in various European countries have consistently shown that undergraduate training in this area is insufficient. This is surprising when considering that well-conceived educational interventions to improve knowledge, skills, and attitudes of medical students regarding the treatment of smokers are available. Arguably, one factor limiting the implementation of such programs is their cost in terms of resources and teacher time. There is a need for straightforward and relatively simple but yet effective tobacco curricula. Adopting a questionnaire addressed to different aspects of tobacco dependence we have found that Italian medical students have limited knowledge about tobacco dependence, smoking related pathologies, smoking cessation and the role of physician in promoting cessation. Our aim is to improve the Italian medical core curriculum including more information on tobacco dependence, treatment and prevention, through an e-learning course online.  

Articolo

Introduzione

Il fumo di tabacco è attualmente la causa maggiore di morte nei paesi sviluppati e il beneficio della cessazione del fumo è stato ampiamente dimostrato. In particolare il rischio cardiovascolare e le malattie polmonari possono essere notevolmente ridotte se i fumatori smettono di fumare. L’aspettativa di vita aumenta da 4 a 10 anni tra i fumatori che smettono di fumare, a seconda della loro età al momento della cessazione, e diminuisce di più di 10 anni tra i fumatori rispetto ai non fumatori. In termini di benefici per la salute: “non è mai troppo tardi per smettere di fumare” e i medici, in particolare quelli che si occupano di pazienti con malattie causate dal fumo (oncologi, cardiologi, pneumologi, medici di emergenza, psichiatri e medici di base), dovrebbero impegnarsi al fine di stimolare i tentativi di cessazione del fumo ed elevare l’importanza del fumo come pericolo per la salute1,2.

La prevenzione dei danni alla salute derivanti dall’esposizione attiva e passiva al fumo di tabacco costituisce un obiettivo prioritario della politica sanitaria del nostro Paese e dell’UE. Nel mondo muoiono per patologie fumo-correlate 4 milioni di persone l’anno (85.000-90.000 in Italia), che diventeranno 10.000.000 nel 2020, se si mantiene l’attuale tendenza. Attualmente in Italia 11.3 milioni di adulti sono fumatori, il 22.0% circa dell’intera popolazione e di questi fumatori solo il 28.4% dichiara di aver provato a smettere almeno una volta nella vita3. Il fumo del tabacco ha un ruolo determinante nelle cause più comuni di morte negli Stati Uniti: i) malattie coronariche, ii) tumori, iii), BPCO e iv) patologie cerebro-vascolari4. Il 70-90% dei fumatori dichiarano che vorrebbero smettere di fumare ma solo 1 su 3 ci riesce a causa della dipendenza causata dalla nicotina. La nicotina è inclusa nel DSM-5 tra le sostanze d’abuso e la dipendenza da nicotina è considerata una “malattia cronica recidivante”5. Poiché molte patologie correlate con il fumo del tabacco migliorano in seguito alla cessazione, sono state messe a punto, in aggiunta alla legge introdotta in Italia nel gennaio 2005, che ha vietato il fumo in tutti i luoghi pubblici, linee guida al fine di promuovere la cessazione dal fumo6,7. Le linee guide raccomandano l’uso: i) della terapia farmacologica (terapia sostitutiva nicotinica; bupropione, farmaco antidepressivo agonista dopaminergico; vareniclina, agonista parziale dei recettori nicotinici a4b2, responsabili della dipendenza da nicotina) e ii) della terapia di counseling cognitiva comportamentale individuale o di gruppo. L’associazione della terapia farmacologica con il counseling è quella che ha consentito di ottenere le maggiori percentuali di cessazione; in particolare quando associata a terapia cognitivo comportamentale di gruppo aumenta l’astinenza dopo un anno dalla cessazione (odds ratio: 4.3, 95% CI=2.1-8.9)8-10.

*115° Riunione, 9 giugno 2014, Conferenza Permanente dei CLM in Medicina e Chirurgia – Sapienza Università di Roma

Poca attenzione è rivolta a questo argomento nei corsi di laurea in medicina, come conseguenza i medici in Italia non consigliano i fumatori di smettere né prescrivono la relativa terapia farmacologica11. Importante, nella dipendenza tabagica, infatti, l’assistenza da parte dei medici di base nel consigliare e motivare i fumatori a smettere, il così detto: “intervento minimo” che ha lo scopo di creare o rafforzare la motivazione a smettere accompagnando il paziente all’azione. E’ un intervento rapido ed efficace che si basa sul modello delle cinque “A”: Ask, Advice, Assess, Assist, Arrange6.

In definitiva, se gli interventi legislativi costituiscono un deterrente generalizzato al fumo, specifiche procedure farmacologiche e psico-comportamentali per indurre alla disassuefazione dal fumo sono state sviluppate sulla base del concetto che il tabagismo costituisce una condizione di dipendenza6. Sebbene l’efficacia di questi interventi incoraggi ad un sempre più attivo impegno del medico nella lotta al tabagismo, un’adeguata conoscenza della dipendenza da nicotina e delle terapie di disassuefazione dal tabagismo non costituisce uno specifico obiettivo dei curricula delle facoltà mediche in Italia. Come conseguenza i medici in Italia non consigliano i fumatori di smettere né prescrivono la relativa terapia farmacologica11.

Al fine di valutare gli elementi essenziali da introdurre nel Core Curriculum delle facoltà mediche italiane sulla dipendenza tabagica, gli effetti dannosi del fumo e le strategie per la cessazione, abbiamo condotto nel 2010 e 2011, una ricerca che ha coinvolto quattro sedi di Medicina e Chirurgia (Roma: Sapienza e Cattolica, Udine e Verona). Lo studio, coordinato dalla Sapienza, ha valutato, per mezzo di un questionario somministrato agli studenti del quarto e quinto anno di tutti i CdL, la conoscenza e le convinzioni dei futuri medici sulla dipendenza tabagica ed i relativi trattamenti12.

Abbiamo quindi condotto un ulteriore studio (2011-2013) nelle stesse sedi universitarie, sempre coordinato dalla Sapienza, finalizzato a valutare l’adeguatezza dell’insegnamento impartito agli studenti delle facoltà mediche relativo alle conoscenze di base sulla dipendenza da nicotina, la relativa terapia e l’assistenza dei pazienti fumatori13. Attraverso la somministrazione del medesimo questionario sono state verificate le conoscenze degli studenti del quarto anno di medicina prima di essere sottoposti ad una lezione di farmacologia sulla dipendenza da nicotina, e a distanza di uno e due anni dall’intervento educativo. Le conoscenze degli studenti di medicina, prima di essere stati esposti alla lezione, sono state inoltre confrontate con quelle di studenti coetanei di facoltà non mediche (Architettura e Giurisprudenza). Lo studio ha evidenziato che gli studenti di medicina rispetto agli studenti di facoltà non mediche (Architettura e Giurisprudenza) fumano di meno (16.9 % vs. 26.3%), ma ha confermato che hanno una conoscenza soltanto marginalmente superiore sulle malattie correlate al fumo e sulle terapie farmacologiche e comportamentali per raggiungere la cessazione (Figura 1). Lo studio ha ulteriormente sottolineato la assoluta necessità che gli studenti di medicina divengano consapevoli del ruolo centrale che i medici devono svolgere nel promuovere la cessazione dal fumo. Il compito fondamentale dei corsi di laurea in medicina deve essere quello di fornire agli studenti un insegnamento sulla dipendenza da nicotina e le sue conseguenze che preveda la partecipazione integrata di docenti di discipline diverse.

Al fine di ovviare a questa carenza senza modificare eccessivamente il già nutrito curriculum didattico degli studenti del secondo triennio delle facoltà mediche, abbiamo sviluppato un corso online per gli studenti della Sapienza.

Razionale e finalità del progetto

Date le suddette premesse il nostro obiettivo è sviluppare un corso online con la finalità di:

1. Illustrare agli studenti di medicina i su esposti argomenti, in modo tale che essi possano avere un’adeguata preparazione su:

i) l’epidemiologia del fumo,

ii) gli effetti dannosi del fumo in termini di patologie legate all’uso del tabacco e i benefici che derivano dallo smettere di fumare;

iii) la nozione di dipendenza da nicotina;

iv) le terapie farmacologiche e di “counseling” attuate per la cessazione del fumo;

iv) il ruolo che deve svolgere il medico di base nel promuovere la cessazione del fumo;

v) come assistere i pazienti nel “counseling” e nella terapia di cessazione dal fumo.

2. Estendere, la conoscenza della dipendenza di nicotina, delle patologie correlate all’uso del tabacco e dei benefici della cessazione, agli studenti delle facoltà sanitarie e delle facoltà non mediche, al fine di sensibilizzare su questo tema gli studenti universitari e promuovere la cessazione del fumo in tutta la popolazione.

Per raggiungere tale obiettivo, abbiamo messo a punto un Questionario online (con limiti di tempo) e stiamo progettando un Corso e-learning online.*

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a) Questionario online

Somministrando il Questionario: Conoscenze e percezioni sui comportamenti di assunzione tabagica, da noi elaborato, validato e costituito da sessanta domande, su diversi aspetti del tabagismo abbiamo dimostrato che gli studenti delle Facoltà Mediche italiane hanno limitate conoscenze sugli argomenti innanzi illustrati al punto 111, 12.

Abbiamo quindi inserito il Questionario online su piattaforma e-learning perché possa essere compilato dagli studenti “prima” e “dopo” il corso e-learning al fine di verificare l’apprendimento degli studenti.

b) Corso e-learning online per gli studenti di Medicina trasferibile agli studenti delle Facoltà Sanitarie e delle Facoltà Non Mediche.

Il corso online sarà basato sul curriculum SA e Rx for Change, sviluppato presso l’Università di San Francisco (California) (http://rxforchange.ucsf.edu/about.php) e che può essere utilizzato per scopi didattici.

Il corso sarà costituito da moduli, dodici in totale, sei per ciascun semestre, saranno inseriti parallelamente al Corso di Farmacologia e Tossicologia (IV anno II semestre e V anno I semestre, per i corsi di laurea di Medicina di Roma) tenendo conto del coinvolgimento dei singoli docenti. I moduli tratteranno argomenti quali: Epidemiologia del fumo; La nicotina: dipendenza, craving astinenza; Terapia del tabagismo: linee guida; Ruolo del medico nella cessazione del fumo; Tossicologia del fumo; e in essi sarà inserita anche la Bibliografia essenziale. I moduli saranno completati da ulteriori questionari online, appositamente progettati da compilare prima e dopo il loro ascolto.

Le relative diapositive saranno in inglese e saranno accompagnate da un’esposizione audio in inglese, effettuate da un professore di madre lingua inglese.

Per i corsi di laurea delle facoltà Sanitarie e delle facoltà non mediche, i moduli saranno inseriti nell’anno di corso valutato più appropiato, a secondo dei diversi curricula e del coinvolgimento degli altri docenti.

Prodotti del progetto

La valutazione dei questionari consentirà di verificare: i) il grado di conoscenza, le convinzioni e le tendenze dei futuri medici riguardo le patologie fumo-correlate, i benefici conseguenti alla cessazione del fumo e le procedure per ottenere tale cessazione, ii) il livello di apprendimento conseguito mediante un corso online su detto argomento sia dagli studenti delle facoltà mediche sia da quelli di facoltà non mediche. L’uso di tali questionari favorirà, inoltre, la realizzazione di un registro online delle università italiane circa le conoscenze e le tendenze della popolazione universitaria, con immediata esportabilità e fruibilità dei dati al fine di poter intervenire sulla prevenzione e cessazione del fumo a livello nazionale.

Sarà infine possibile individuare ed elaborare gli elementi essenziali da introdurre nel Core Curriculum degli studenti di Medicina e Chirurgia relativamente alla dipendenza tabagica, l’epidemiologia e gli effetti dannosi del fumo, le strategie per la cessazione.

*Questionario e Corso online per gli studenti della Sapienza, Università di Roma: Comportamenti di assunzione tabagica, patologie correlate all’uso del tabacco, dipendenza da nicotina e terapia per la cessazione del fumo(S. Basili*, A.K. Ferketich**, M.C. Grassi*, *Sapienza Università di Roma, **The Ohio State University College of Public Health, Columbus, Ohio).

Bibliografia

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10) Grassi MC, Enea D, Ferketich AK, Lu B, Pasquariello S, Nencini P, (2011). Effectiveness of varenicline for smoking cessation: A 1-year follow-up study. J Subst Abuse Treat, 41, 64-70. doi: 10.1016/j.jsat.2011.01.014

11)  Ferketich AK, Gallus S, Colombo P, Fossati R, Apollone G, Zuccaro P, La Vecchia C, (2008). Physician-delivered advice to quit smoking among Italian smokers. Am J Prev Med, 35, 60-3. doi:10.1016/j.amepre.2008.03.022

12) Grassi MC, Chiamulera C, Baraldo M, Culasso F, Ferketich AK, Raupach T, Patrono C, Nencini P, (2012). Cigarette smoking knowledge and perceptions among students in four Italian medical school. Nicotine Tob Res, 14 (9), 1065-72. doi: 10.1093/ntr/ntr330

13) Grassi MC, Baraldo M, Chiamulera C, Culasso F, Raupach T, Ferketich AK, Patrono C, Nencini P, (2014). Knowledge about Health Effects of Cigarette Smoking and Quitting among Italian University Students: The Importance of Teaching Nicotine Dependence and Treatment in the Medical Curriculum. BioMed Res Int, ID: 321657, http://dx.doi.org/10.1155/2014/321657

Cita questo articolo

Grassi M.C., Dipendenza da nicotina e terapia del tabagismo. Come formare una cultura medica per l’epidemia da fumo del XXI secolo, Medicina e Chirurgia, 63: 2845-2848, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-63-5

Verso una Laurea professionalizzante. 1° Acquisizione delle competenze professionalin.62, 2014, pp.2797-2804, DOI: 10.4487/medchir2014-62-4

Abstract

At present, becoming a practitioner in Italy implies taking a graduation in ‘Medicine and Surgery’ in one of the Italian Universities and passing a state qualifying examination, managed by the Ministry of Health. In order to avoid duplications and to shorten the long training period spent by future doctors, the National Conference of Undergraduate Curricula Presidents has proposed to the Ministries of Education and of Health to unify the procedures and create a qualifying medical degree.

Such a new examination will necessarily imply the check of practical abilities and this stresses the importance of teaching both practical skills and professional competencies.

In this setting, the Educational Innovation Committee of the National Conference organized a workshop, open to all the Undergraduate Curricula Presidents, on the topic of teaching professional competencies in the undergraduate curricula. The workshop was held in Milan (State University) on the 21st February 2014. 

The workshop was subdivided into four contemporary working groups. Each class was lead by an expert in medical education, introduced by a demonstration by a medical student, and guided by a chairperson, and worked separately on a different topic. At the end of the team work, a plenary debriefing allowed all participants to share the conclusions of the different groups. The topics addressed in the single groups were: 1: the skill lab; 2: the simulated patient; 3: the technology-enhanced learning, and 4: the peer-clinical examination.

Articolo

 

Introduzione

Questo articolo riferisce i tratti essenziali dell’atelier pedagogico dal titolo Verso una Laurea professionalizzante: Acquisizione delle Competenze Professionali. L’evento è stato organizzato dal Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica per conto della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale (CPPCLM) in Medicina, e si è svolto a Milano Ca’ Granda il 21 Febbraio 2014.

Scopo di questo atelier era di fare il punto sulle modalità di insegnamento delle attività formative professionalizzanti (AFP) nel Corso di Laurea Magistrale (CLM) in Medicina, soprattutto in vista dell’esame di laurea abilitante che la CPPCLM sta proponendo di attuare.

Quando si parla di acquisizione di competenze professionali occorre distinguere tra:

– abilità operative e relazionali (le practical skills della letteratura anglosassone), quali saper misurare la pressione arteriosa o saper comunicare una notizia al paziente, e

– competenze professionali vere e proprie, quali saper fare una diagnosi, somministrare una terapia o impostare una procedura

Le competenze professionali sono, in realtà, competenze metacognitive, in quanto implicano l’acquisizione di conoscenze e di abilità. Per impostare la terapia dell’ipertensione, il medico deve intanto conoscere le basi molecolari e fisio-patologiche di questa condizione morbosa (competenza conoscitiva), e poi essere in grado di misurare la pressione arteriosa del paziente (competenza operativa).

In passato, l’insegnamento della Medicina era concentrato sulla trasmissione di conoscenze e solo in piccola parte sull’insegnamento a letto del malato. Oggi la formazione alla professionalità impone un insegnamento molto più pratico e ciò richiede un crescente utilizzo di tecniche di simulazione (Simulation-Based Medical Education, SBME).

L’espansione della SBME si spiega con motivazioni che sono comuni a tutto il Mondo occidentale e con altre che sono specifiche del nostro Paese.

Nel mondo i principali motivi che hanno condotto alla diffusione della SBME1 sono:

– l’etica del Paziente: c’è una crescente consapevolezza del diritto del malato alla privacy e a essere protetto dai rischi che possono derivare dall’intervento dello studente;

– la Medicina difensiva: la simulazione è utile per accrescere la competenza dei professionisti della salute e per ridurre il tasso di errori;

– le esigenze di Sanità pubblica: la necessità di ridurre i costi della sanità impone ricoveri sempre più brevi, riducendo la possibilità che gli studenti possano avere accesso ai pazienti;

– l’adesione al Core Curriculum: gli studenti devono affrontare un ampio numero di malattie, setting clinici e situazioni realistiche di problem-solving e decision-making, che non possono essere presentate dai pazienti di volta in volta ricoverati in reparto;

– la necessità di strumenti per una valutazione pertinente ed obiettiva: tutti gli sforzi profusi nell’insegnamento professionalizzante sono vanificati da una valutazione solo teorica, e la valutazione dell’acquisizione delle competenze professionali richiede lo sviluppo di nuovi strumenti;

– la pressione da parte dell’Industria della Simulazione: inevitabilmente, la necessità di strumenti di simulazione sempre più sofisticati alimenta il mercato, ma per il CLM in Medicina non servono le costosissime “high-tech simulation modalities”, necessarie per alcune forme di addestramento infermieristico o medico-specialistico, ma bastano le economiche “low-tech simulation modalities” (una coscia di pollo è efficace per imparare a fare una sutura come un manichino sofisticato).

In Italia vi sono poi condizioni peculiari, che riflettono la realtà sociale del nostro Paese:

– il portato degli anni ’60 e ‘70: in quegli anni frotte di baby-boomers hanno studiato Medicina portando il rapporto medici/popolazione Italiana ad essere uno dei più alti d’Europa, con la conseguente introduzione del numero chiuso. Questo, oltre a calmierare il numero di laureati, ha permesso – insieme alla frequenza obbligatoria – di passare da una didattica teorica, frontale, ad un insegnamento professionalizzante, a piccoli gruppi, divenuto sostenibile grazie alla riduzione degli iscritti;

– il cambiamento odierno: i baby-boomers stanno andando in pensione e, per ragioni economiche, questi non vengono rimpiazzati; di contro, dopo decenni di numero chiuso (e non di numero programmato), il numero di medici in Italia sta per divenire insufficiente. Di conseguenza, il rapporto docenti/studenti sta diminuendo rapidamente e ciò mette a repentaglio le prospettive reali della didattica a piccoli gruppi. In questo scenario, almeno la low-tech SBME – consentendo agli studenti di migliorare e valutare le proprie abilità operative con un minimo supporto tutoriale – può essere di grande utilità.

L’atelier ha affrontato la tematica dell’acquisizione delle competenze professionali toccando, in altrettanti laboratori, quattro tematiche fondamentali:

– lo skill lab

– il paziente simulato

– l’e-learning

– l’esame obiettivo tra pari

Ogni Laboratorio è stato animato da un esperto (con specifica esperienza sul tema), uno o più dimostratori (studenti del SISM e un’attrice) e da un facilitatore (un Presidente di CLM e il Presidente della SIPeM).

A tutti i laboratori è stato dato il medesimo mandato: “il Gruppo formuli una proposta di acquisizione di competenze professionali, mediante la modalità di insegnamento-apprendimento illustrata nel laboratorio, che sia proponibile e fattibile nei CL italiani in vista dell’esame di laurea abilitante”

Laboratorio No. 1

Tema: Lo skill lab

Esperto: Riccardo Lubrano (Roma Sapienza “C”)

Dimostratori: Stefano Guicciardi (SISM Modena) e Marco Nicolazzi (SISM Piemonte Orientale)

Facilitatore: Giuseppe Familiari (Roma Sapienza “S. Andrea”)

Contenuti del Laboratorio

In medicina con la dizione “skill” si intende una serie di manovre finalizzate a permettere l’esecuzione di un atto medico o chirurgico secondo linee guida internazionali. L’introduzione delle skill nel core curriculum del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia pone delle difficoltà organizzative ma al contempo è un’occasione importante per apportare delle innovazioni al modo di fare didattica e all’incisività del piano formativo. Il processo per renderle fruibili dovrebbe articolarsi attraverso tre fasi preparatorie tra loro interdipendenti: la progettazione della skill, la tecnica di insegnamento e quella di valutazione.

Progettare la skill significa disegnare l’esecuzione dell’atto, secondo quanto riconosciuto come appropriato dalla letteratura scientifica. L’obiettivo da raggiungere sarà quello di preparare una nozione tecnica in un formato facilmente distribuibile agli studenti i cui contenuti non devono poter essere alterati affinché tutti ricevano nello stesso modo la stessa informazione. Questo concetto di diffusione e condivisione del sapere, necessariamente si rifletterà sulla modalità di insegnamento che non potrà più essere affidata all’estrosità del singolo, ma dovrà essere codificata e standardizzata. Processo questo che trasformerà l’insegnante in un facilitatore dell’apprendimento e sarà il garante dell’uniformità della distribuzione del saper fare. End-point di questa successione di eventi, sarà una prova di verifica del processo di formazione in cui il facilitatore valuterà l’esecuzione dell’intervento educativo con le stesse caratteristiche di analisi per ogni soggetto esaminato. Ovviamente il denominatore comune di queste tre fasi sarà l’uniformità, che potrà essere realizzata solo rendendo ovunque uguali questi momenti.

La diffusione uniforme dell’informazione potrebbe richiedere la creazione di una collana di e-book,  e/o DVD, o di un sito web a cui possano accedere liberamente tutti gli studenti. Così, nella successiva fase pratica dell’apprendimento il facilitatore potrà più semplicemente operare su una popolazione che ha ricevuto la stessa formazione teorica e, ove possibile, sfruttare la tecnica di insegnamento “pratica mentre guardi”. Da qui la necessità di realizzare un irrinunciabile programma di formazione dei formatori per avere una metodica di “insegnamento standard” più adatta al moderno ruolo del facilitatore. Chi vorrà “insegnare” l’abilità dovrà mostrare di saper utilizzare il processo standard di formazione proposto per il singolo atto. Ovviamente la formazione del formatore a sua volta comprenderà per ogni skill l’apprendimento dello schema standard del processo di valutazione che lo studente dovrà superare per acquisire l’abilitazione alla sua esecuzione.

Affinché la skill non perda la sua capacità formativa, e determini l’ottimizzazione del saper fare, questa andrà integrata nelle scienze di base e nelle scienze cliniche del nostro curriculum e in processi di apprendimento via via più complessi come il basic life support, gli scenari ed i megacode, ne quali gli studenti saranno chiamati a risolvere situazioni cliniche di progressiva complessità. Si potrà così costruire una scala progressiva di apprendimento pratico dal I al VI anno di corso.

Molti saranno portati a pensare che tutto questo significherà costi elevatissimi per i corsi di laurea, ma in realtà la simulazione della skill può e deve essere realizzata a basso costo. Infatti a stabilire l’efficacia del processo formativo non sarà il manichino a bassa od ad alta fedeltà ma la capacità didattica del facilitatore, opportunamente integrata in un processo standard di formazione e valutazione. Per permettere a tutti i Corsi di Laurea di iniziare ad organizzare in modo uniforme ed efficace questa didattica, si potrebbe sviluppare un modello progressivo, in cui le nuove skill potranno essere inserite man mano che le precedenti raggiungeranno  la piena efficienza nella formazione.

In conclusione la realizzazione di un programma comune di preparazione, insegnamento e valutazione delle skill significherà dare alla nostra didattica un ruolo più definito, permettendo di dare l’avvio ad un interessante processo di omogenizzazione e integrazione tra i Corsi di Laurea in Medicina delle facoltà italiane.

L’elaborazione del mandato

A conclusione della relazione iniziale, gli studenti del SISM hanno reso una eccellente dimostrazione di insegnamento e di valutazione dell’apprendimento, con l’uso del manichino per basic life support (BLS), avente per oggetto la corretta esecuzione delle manovre di BLS. A conclusione della dimostrazione, in cui sono stati messi chiaramente in evidenza i concetti espressi nella relazione dell’esperto, si è avviata una interessante discussione sul mandato ricevuto dal gruppo di lavoro.

Al termine del dibattito sono state formulate le proposte sotto descritte, che sono messe all’attenzione dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

A) Le abilità: core curriculum condiviso e per complessità crescenti

– Assoluta necessità di definire un core curriculum di attività pratiche da eseguire con uso di skill lab, che sia condiviso a livello nazionale;

– debbono essere previste modalità condivise di erogazione corretta agli studenti;

– deve essere fatto riferimento ai diversi gradi di complessità, dallo skill al megacode alla simulazione, da posizionare in progressione verticale all’interno del corso in anni diversi dal primo al sesto;

– è preferibile utilizzare un numero limitato di abilità, ma che siano standardizzate, essenziali e erogate sistematicamente a tutti gli studenti iscritti.

B) Preparazione all’insegnamento ed alla valutazione in forma standardizzata

– Vi deve essere la responsabilità di un docente coordinatore che sappia dare le basi standardizzate della formazione, in questo setting particolare, ai facilitatori che opereranno a diretto contatto con gli studenti;

– il gruppo di lavoro ha sottolineato l’importanza che il facilitatore debba essere adeguatamente preparato e sappia gestire un rapporto di comunicazione corretto con gli studenti con cui dovrà interagire;

– il processo di formazione non può prescindere dalla valutazione di quanto appreso dallo studente, che sia correttamente standardizzata ed effettuata attraverso l’uso corretto di griglie condivise per la misurazione delle abilità apprese dagli studenti.

C) Integrazione verticale delle abilità nel corso di studi

– Il gruppo di lavoro ha ribadito l’importanza dell’integrazione delle scienze di base con le scienze cliniche, soprattutto nella fase precoce del percorso di studio;

– l’integrazione nei sei anni di corso deve essere inoltre organizzata per complessità crescente delle manualità da apprendere attraverso l’uso dello skill lab (BLS, scenario, megacode);

– sarebbe inoltre auspicabile un accordo nazionale sulla distribuzione delle abilità negli anni di corso, necessario a garantire trasferimenti corretti e preparazione omogenea, almeno per quelli definiti come irrinunciabili.

D) Ipotesi di risorse e costi riferibili ad un corso con 80 studenti per BLS/ALS

– Necessità della presenza di almeno 6 formatori per BLS e ALS;

– uso di manichini a basso costo (n. 4 family pack per BLS) da utilizzare per tutti gli studenti dal primo anno di corso (turnazioni con gruppi di 12 studenti);

– uso di manichini a costo maggiore (n. 2 per ALS) per scenari più comuni di intervento negli anni successivi (turnazioni con gruppi di 12 studenti);

– i simulatori sono utili soprattutto nell’area dell’emergenza, ma sono caratterizzati dall’altissimo costo.

E’ ipotizzabile un investimento iniziale di circa 15.000 euro.

Laboratorio No. 2

Tema: Il Paziente Simulato

Esperto: Egidio A. Moja (Milano Statale)

Dimostratori: Felice Sperandeo (SISM Roma Sapienza “D”) e Giulia Casoli (Milano, attrice)

Facilitatore: Fabrizio Consorti (Roma Sapienza “C” – SIPeM)

Contenuti del Laboratorio

Un paziente simulato o standardizzato – chiariremo in seguito alcune differenze tra questi due termini – può essere definito come una persona che:

1) ha avuto un training per interpretare un paziente (la sua storia, i suoi sintomi) in un modo realistico,

2) utilizza tale competenza in corsi pre- o post-laurea di educazione medica.

Pazienti simulati e standardizzati vengono con crescente frequenza utilizzati nei percorsi formativi in medicina. In queste note, dopo una breve precisazione terminologica, accenneremo alle ragioni di questo sempre più largo utilizzo e descriveremo la nostra esperienza di giochi di ruolo con pazienti simulati all’interno del Corso di Laurea in Medicina (Polo San Paolo) di Milano.

Terminologia

Molti autori usano in modo intercambiabile i termini simulato e standardizzato; altri sottolineano che la principale caratteristica del primo termine rimanda alla capacità di simulare, il secondo alla capacità di simulare ed alla stabile coerenza dei dati forniti. Un esempio: portando una storia di alcolismo un paziente simulato sarà tenuto a fornire una serie di dati appresi sulla sua dipendenza e sui suoi sintomi ma avrà una certa libertà nel descrivere altri dati personali, famigliari o sociali; in una situazione standardizzata anche questi dati verranno con ogni cura predefiniti e appresi dal paziente attore.

Sia i pazienti simulati che i pazienti standardizzati possono naturalmente essere utilizzati per l’insegnamento e la valutazione di abilità nel campo della comunicazione e dell’esame obiettivo fisico. I pazienti-attori – sia simulati che standardizzati – sono però persone sane che possono mimare un sintomo ma non averne l’obiettività. A questa “mancanza” pone un parziale rimedio quello che va sotto il nome di simulazione ibrida. Nella simulazione ibrida ai pazienti-attori si aggiungono dispositivi tecnologici che forniscono le componenti fisiche che i pazienti-attori non possono avere. Ad esempio, in una situazione di simulazione ibrida lo studente appoggia lo stetoscopio al torace dell’attore e una fonte remota trasmette i suoni di una predeterminata patologia.

Le ragioni di un utilizzo sempre più frequente

Tradizionalmente il contatto con il paziente (raccogliere la sua storia, visitarlo…) rappresenta il momento fondamentale e irrinunciabile nella formazione dei futuri medici. Perché, allora, introdurre (anche) pazienti-attori nel loro curriculum?

Si possono elencare una serie di condivisibili ragioni. Una prima serie di ragioni nasce dai percorsi di cura contemporanei che vedono una progressiva contrazione dei posti-letto ospedalieri e dei tempi di degenza ed una maggiore attenzione alla medicina territoriale: tutto questo determina una riduzione del numero dei pazienti che gli studenti possono incontrare nel loro percorso formativo. Una seconda serie di ragioni nasce dalla crescente riluttanza da parte di molti pazienti a collaborare con le esigenze educative di Ospedali universitari. Una terza nasce dall’attuale maggiore attenzione a evitare ai pazienti ogni manovra o passaggio non strettamente necessari.

Si può osservare che le ragioni finora citate sono, come dire, in negativo: siamo costretti ad utilizzare (anche) pazienti-attori. Ve ne sono però molteplici in positivo. Sul piano comunicativo ci sono aree drammatiche o delicate – ad esempio, dare cattive notizie o raccogliere dati in ambito sessuale – in cui esercitarsi in un ambito protetto prima di incontrare pazienti reali appare doveroso addirittura da un punto di vista etico. Sul piano delle storie cliniche i pazienti-attori possono essere formati ad interpretare i casi più disparati fornendo agli studenti una varietà di esperienze che può superare quella dei pazienti ricoverati. Sul piano pratico i pazienti-attori possono imparare ad adeguare la difficoltà del caso al livello di esperienza dello studente; possono replicare più e più volte il medesimo caso favorendo un progressivo apprendimento da parte dei discenti; possono, al termine della consultazione, discuterne punti di forza e punti di debolezza. Un ultimo, certo non trascurabile, vantaggio dei pazienti simulati risiede nel loro utilizzo nei momenti valutativi. L’esame al letto del paziente dovrebbe rappresentare l’ultimo e più convincente passaggio della formazione dello studente. Due sono i principali fattori che rendono discutibile l’oggettività di una valutazione di tale passaggio: la variabile difficoltà dei casi clinici e la soggettività dell’esaminatore. L’impiego di  simulazioni, e in particolare di simulazioni ibride, potrebbe azzerare il primo fattore e ridurre considerevolmente il secondo.

L’elaborazione del mandato

Il laboratorio ha avuto un taglio fortemente interattivo, proponendo alcune riflessioni teoriche iniziali, seguite da numerosi esempi dal vivo o video-ripresi, che hanno permesso ai partecipanti di percepire, anche se solo attraverso rapidi assaggi, caratteristiche e potenzialità delle attività educative basate su pazienti simulati.

L’elaborazione del gruppo rispetto al mandato di lavoro si è prodotta quasi spontaneamente, nel corso stesso delle attività laboratoriali. Sono state condivise alcune esperienze in atto, relative alla disponibilità di locali attrezzati a laboratorio delle abilità, capace di ospitare azioni simulate e videoriprese o all’utilizzo già sperimentato di pazienti simulati, limitatamente alla formazione alle sole abilità cliniche, senza particolare attenzione agli aspetti comunicativi e relazionali.

Circa la collocazione curriculare dell’utilizzo dei pazienti simulati, il gruppo ha convenuto sulla loro utilità negli anni clinici, anche se sono stati ravvisati buoni motivi per iniziare già dagli anni di base, come introduzione progressiva e controllata alle abilità relazionali. Quest’ultimo dominio è stato unanimemente riconosciuto come quello più peculiare per questa metodica.

Le criticità riscontrate sono riassumibili nel problema della sostenibilità di questo tipo di attività per un intero gruppo-classe, qualora si volesse uscire dall’utilizzo limitato ad un’ADE e indirizzato a pochi studenti. Esistono problemi di tempo curriculare, di spazi dedicati e soprattutto di preparazione dei docenti. Volendo però cogliere quest’ultimo aspetto come opportunità, è stato osservato che la formazione all’impiego dei pazienti simulati è utilizzabile anche per promuovere un approccio alla formazione che sia maggiormente student-centred.

Sono state indicate come azioni propedeutiche l’utilizzo dei film, la  formazione dei formatori e la formazione degli attori. E’ anche indispensabile l’adozione di un modello pedagogico del CLM che non renda l’esperienza coi pazienti simulati un evento avulso e isolato.

Laboratorio No. 3

Tema: L’e-learning

Esperti: Marco Masoni e Maria Renza Guelfi (Firenze)

Dimostratore: Eleonora Leopardi (SISM Roma Sapienza “B”)

Facilitatore: Rosa Valanzano (Firenze)

Contenuti del Laboratorio

Per meglio comprendere quale possa essere il vero apporto della formazione a distanza nel futuro dell’educazione è opportuno sostituire il termine e-learning, che indica genericamente l’uso delle tecnologie telematiche a fini di apprendimento, con Technology Enhanced Learning (TEL) che si focalizza sulle modalità offerte dalla Information and Communications Technology (ICT) di migliorare/ottimizzare i processi di apprendimento, favorendo i differenti stili ed offrendo flessibilità in termini di spazio, tempo, ritmi personali nell’affrontare gli argomenti di studio.2

Il TEL appare particolarmente appropriato in ambito universitario, in cui la qualità della didattica deve essere elevata e mai subordinata ad istanze aziendali, economiche o politiche, come può invece accadere in altri contesti.

Sono stati analizzati gli approcci TEL considerati più adeguati ed efficaci per la formazione professionalizzante degli studenti del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Il dimostratore (studente SISM) ha navigato all’interno di corsi online a differente strutturazione, cercando di esplicitare i processi mentali coinvolti durante l’interazione, trasferendo ai presenti considerazioni e meta riflessioni che sono state oggetto di discussione. In questo modo sono stati visionati e analizzati diversi ambienti virtuali di apprendimento, alcuni dei quali prediligevano l’interazione con i materiali ed altri in cui prevaleva la componente di costruzione collaborativa di conoscenza. Gli approcci TEL mostrati sono stati ordinati e tassonomizzati, in funzione di una classificazione proposta da Trentin.3 La maggioranza dei corsi online analizzati sono stati sviluppati all’interno della Scuola di Scienze della Salute Umana dell’Università di Firenze.

Se opportunamente progettato, il TEL può favorire l’acquisizione di competenze trasversali di tipo tecnologico, cooperativo/collaborativo e interdisciplinare che superano le tradizionali di dominio e che possono essere molto utili nell’esercizio della pratica clinica. Benché le potenzialità del TEL nell’apprendimento individuale siano non trascurabili, occorre sottolineare che è soprattutto tramite la costruzione di ambienti di apprendimento collaborativi che si crea un humus adatto all’acquisizione delle competenze trasversali sopra menzionate.4

In merito alle competenze tecnologiche, è intuitivo che una didattica basata su ICT contribuisca ad un migliore uso professionale della rete sia nell’auto-apprendimento che nell’interazione con una comunità professionale.

Proporre ambienti virtuali di apprendimento in cui lo studente deve interagire con docenti e discenti favorisce l’acquisizione di competenze cooperative/collaborative. La progettazione e la realizzazione a più mani di artefatti, il rispetto delle scadenze e le modalità di relazionarsi nel lavoro di gruppo sono attività che comportano educazione alla mediazione, alla negoziazione ed all’argomentazione di idee, favorendo l’accettazione di quelle altrui. A ciò consegue la necessità di acquisire la capacità di dialogare attraverso la parola scritta, con continuo confronto e mediazione, alla luce della necessità di accettare e confrontarsi con visioni multiprospettiche spesso non coincidenti.

Infine, l’utilizzo di strategie collaborative in rete favorisce l’educazione all’interdisciplinarietà, aspetto centrale di fronte al rapido avanzamento della conoscenza in ogni settore del sapere. In particolare il corpus informativo presente in rete rende la ricerca di informazioni un’attività fondamentale per l’aggiornamento del medico che conduce al recupero di documenti con contenuti che vanno oltre la disciplina di studio, che comunque necessitano di oculata interpretazione e valutazione.

L’elaborazione del mandato

In un’epoca di sempre più rapido progresso scientifico e tecnologico, l’acquisizione di competenze tecnologiche, cooperative/collaborative e interdisciplinari è centrale in un’ottica di life-long learning, in cui il medico dovrà provvedere autonomamente al proprio aggiornamento sia mediante un apprendimento individuale che attraverso processi di gestione/condivisione della conoscenza che si attuano in collaborazione con altri. Queste due diverse modalità di aggiornamento possono essere influenzate in misura considerevole dalla rete.5 Secondo questa visione, il TEL diventa cruciale come preparazione ad uno sviluppo professionale continuo poiché consente l’acquisizione di competenze che spaziano oltre lo specifico ambito disciplinare, ma che possono rivelarsi determinanti nell’esercizio della prassi clinica.

Per diffondere nuovi approcci al TEL capaci di migliorare la qualità della formazione all’interno di un Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia occorre superare un’ottica individuale e talora autoreferenziale per passare a una visione organizzativa. È necessaria una strategia che miri a ottenere un consenso ampio tra tutte le componenti di governance, attuando politiche globali di coinvolgimento del personale docente, accompagnate a una mission ed operatività tali da garantire un appropriato sviluppo istituzionale capace di trasformazione.6

Laboratorio No. 4

Tema: L’esame obiettivo tra pari e l’insegnamento al letto del paziente

Esperto: Oliviero Riggio (Roma Sapienza “B” e “C”)

Dimostratore: Laura Vivalda (SISM Torino)

Facilitatore: Carlo Della Rocca (Roma Sapienza “E”)

Contenuti del Laboratorio

Preliminarmente è stata sottolineata l’importanza dell’esame obiettivo nella pratica clinica, anche attuale, nonostante la sempre maggiore, deprecabile, tendenza di sostituirlo mediante l’utilizzo di tecniche di immagine ed esami di laboratorio sempre più sofisticati. In questo senso è stato rilevato come l’introduzione dell’esame obiettivo tra pari possa almeno parzialmente ovviare alle sempre maggiori difficoltà connesse all’insegnamento di questa abilità “teorico-pratica”, ma anche “metodologica”, nell’attuale contesto di sempre maggiore diminuzione dei rapporti docenti/discenti e discenti/assistiti “fruibili” per attività didattiche. Nel tentativo di definire le reali potenzialità di tale metodologia didattica è apparso utile confrontare, prima di tutto, le due tipologie classiche di esame obiettivo: l’esame obiettivo sistematico e l’esame obiettivo guidato da ipotesi (Figg. 1 e 2).

A questo punto è apparso utile analizzare i vantaggi e i problemi dell’apprendimento tanto dell’esame obiettivo in ambiente clinico che nella situazione tra pari.

Schematicamente:

Apprendimento dell’esame obiettivo in ambiente clinico

Vantaggi

– Didattica focalizzata su problemi reali

– Svolto nel contesto professionale reale

– E’ il solo ambiente in cui abilità come la raccolta dell’anamnesi, l’esecuzione dell’E.O., il ragionamento clinico, il prendere decisioni, l’empatia e la professionalità possono essere apprese nel loro insieme.

Problemi

– Tempi limitati

– Esigenze in conflitto (cliniche, amministrative)

– Troppi studenti, pochi pazienti, scarse risorse

– Didattica spesso contingente ai pazienti disponibili (difficilmente pianificabile)

– Sistematicità difficile

– Dignità e privacy del paziente

 

Apprendimento dell’esame obiettivo tra pari

Vantaggi

– Attuabilità: basta una stanza con un lettino

– Attrezzatura: minima (Sfignomanometro, termometro)

– Costi: praticamente zero

– Apprendimento rinforzato da possibilità di ripetizione del gesto (allenamento) praticamente infinita dall’osservazione reciproca

Problemi

– Reperti patologici

• praticamente assenti

• necessità di affiancare lo studio dei reperti patologici con sussidi didattici come foto, registrazioni di rumori patologici, ecc. che non potranno mai sostituire la pratica sul paziente.

Infine è stata elaborata la problematica connessa alla differenza di genere naturalmente presente negli studenti attori dell’esame tra pari, rilevando che anche con l’esclusione della sfera genitale, dell’esplorazione rettale e della mammella femminile, per le quali non esiste spazio nell’ambito di questa metodologia didattica, possono generarsi situazioni di disagio che devono essere serenamente gestite nel rispetto del pudore dei singoli e che comunque, anche in base alla letteratura internazionale, sono confinate a piccole percentuali di casi di solito insorti a causa di una non appropriata gestione da parte del tutor dell’approccio iniziale.

 L’elaborazione del mandato

Questa fase del laboratorio è stata introdotta da un’efficacissima dimostrazione, condotta dagli studenti del SISM, di un esempio di esame obiettivo tra pari. Gli studenti si sono alternati nei ruoli di “attore”, colui che esegue l’esame obiettivo, di “modello”, colui che simula l’assistito, e di “scriba”, colui che rileva l’uso corretto della terminologia usata e degli atti ispettivi effettuati mediante l’uso di “griglie” standardizzate pre-confezionate.

A seguito della dimostrazione è apparsa chiara a tutti l’estrema applicabilità ed utilità dell’esame obiettivo tra pari per l’apprendimento dell’esame obiettivo sistematico. Il dibattito in seno al laboratorio si è incentrato sulle ragioni per le quali l’esame tra pari rappresenti attualmente una pratica poco diffusa. Le problematiche rilevate sono state essenzialmente di tipo organizzativo e logistico, ma che appaiono comunque risolvibili tramite un’almeno parziale centralizzazione dell’organizzazione delle ADP a livello di coordinamento di semestre o comunque tramite un reale coordinamento delle stesse. E’ evidente che necessitano comunque spazi nei quali gli studenti possano “allenarsi” anche in autonomia e un certo numero, se pur limitato rispetto a quello richiesto nella ADP in contesto clinico, di tutor clinici, formati, che avviino e controllino le attività di apprendimento degli studenti. E’ stato infine ricordato il vantaggio della valutabilità della performance anche ai fini di una sua eventuale inclusione in contesti di esame pratico.

In conclusione si è ritenuto che l’esame obiettivo tra pari rappresenti una valida metodologia didattica che può permettere l’acquisizione di competenze professionali metodologiche di base (esame obiettivo sistematico) come la semeiotica del “normale” anche in ambito specialistico. La fattibilità, sebbene con i limiti ricordati, è ampia ed è estendibile anche all’apprendimento dell’esecuzione di indagini strumentali non invasive (come l’ecografia).

Fig. 1 – Caratteristiche degli esami obiettivi sistematici e guidati da ipotesi. 

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Fig. 2 – Caratteristiche dell’insegnamento degli esami obiettivi sistematico e guidato da ipotesi. 

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Conclusioni

Al termine di questo atelier, a partire dal contributo degli esperti e dal dibattito nei laboratori è stato possibile concludere che le attività di simulazione sono diventate uno strumento indispensabile di insegnamento nei Corsi di Laurea in Medicina lungo tutto il percorso curriculare.

Dall’atelier sono emerse alcuni dei punti di forza dell’educazione medica basata sulla simulazione:

– risponde alle crescenti esigenze di attuare attività formative professionalizzanti (AFP);

– ovvia al problema della riduzione del numero dei docenti;

– ottimizza l’impiego del tutor clinico;

– favorisce forme attive e collaborative di apprendimento e forme pedagogicamente innovative (più efficaci) di insegnamento.

Dalla presentazione degli esperti e, ancor più, dai laboratori, è emerso che l’educazione medica basata sulla simulazione è fattibile nella generalità dei CLM in Medicina Italiani:

– i costi della simulazione (a bassa tecnologia) necessaria alle esigenze di un CLM in Medicina sono contenuti;

– le attività di simulazione richiedono l’intervento iniziale di un tutor clinico ma poi gli studenti possono esercitarsi “tra pari”;

– anche la progressiva creazione di un centro di simulazione è fattibile.

Certo, è apparso chiaro che la simulazione richiede un forte coordinamento (trasversale e longitudinale) dell’attività didattica. Occorre:

– programmare le AFP del core curriculum in una progressione curriculare;

– programmare la valutazione dell’acquisizione delle AFP (nell’ottica dell’esame di laurea abilitante);

– programmare in modo omogeneo la formazione dei formatori (all’insegnamento e alla valutazione).

Non va nascosta una criticità che risiede nel fatto che.la simulazione è di facile realizzabilità in un contesto elettivo, mentre è nel contempo necessario ma anche assai più impegnativo estenderla all’intero gruppo-classe.

La CPPCCLM ha fin qui svolto un ruolo prezioso nella valorizzazione delle AFP, fino alla promozione dell’esame di laurea abilitante. Per favorire l’adozione in tutti i CLM Italiani di tecniche di educazione medica basata sulla simulazione la CPPCCLM deve continuare a svolgere un ruolo trainante. Per farlo, la CPPCCLM deve favorire:

– progetti formativi condivisi,

– il core curriculum nazionale,

– la standardizzazione delle attività formative e valutative,

– il coordinamento trasversale e longitudinale delle attività formative,

– la formazione dei formatori,

– l’analisi dei costi e la programmazione.

La prosecuzione naturale di questo atelier sarà un nuovo incontro (Alghero, Ottobre 2014) dal titolo “Verso una laurea professionalizzante: certificazione delle Competenze professionali”. I temi dei 4 laboratori saranno

– Il Paziente standardizzato

– L’OSCE

– Il Portfolio

– Il Tirocinio certificativo

Medicina e Chirurgia darà prontamente conto dei risultati di questo nuovo atelier in un prossimo numero della Rivista.

Bibliografia

1) Ziv A: Simulators and simulation-based medical education. In: Dent JA e Harden RM (eds) A Practical Guide for Medical Teachers, pp. 217-222. Churchill Livingstone, Edinburgh, 2009.

2) TEL Committee, University of Texas (2004), Report of Technology Enhanced Learning Committee. URL: http://www.utexas.edu/provost/research/TEL_Report_2004.pdf (acceduto il 13/3/2014)

3) Trentin G Tecnology Enhanced Learning e didattica universitaria: i diversi approcci e i motivi della loro scelta. Tecnologie Didattiche 2006 37(1):3-9

4) Trentin G Dallo studio individuale all’apprendimento in rete: i diversi ruoli delle tecnologie informatiche e della comunicazione. In book: Simulazioni interattive per la formazione giuridica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2007 Editors: D. Giuli, N. Lettieri, N. Palazzolo, O. Roselli, pp.55-71

5) Masoni M, Guelfi MR, Conti A, Gensini GF. E-learning in Sanità. Springer 2011

6)Masoni M, Guelfi MR, Conti A, Gensini GF.  Gli Atenei e le Facoltà di Medicina e Chirurgia di fronte alla sfida dell’e-learning. Clinical Management Issue 2009; 3(4):133-180

Cita questo articolo

Gallo P., Casoli R., Consorti F., et al., Verso una Laurea professionalizzante. 1° Acquisizione delle competenze professionaliMedicina e Chirurgia, 62: 2797-2804, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-62-4

 

Il Corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Riflessioni e prospettive sul percorso formativo e sulla figura del laureato magistralen.61, 2014, pp.2747-2752, DOI: 10.4487/medchir2014-61-7

Abstract

The current epidemiological situation suggests the need for major reflections to the Master of Science in Nursing and Midwifery (Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche). The curriculum of this Master of Science should integrate elements of the methodology of science useful to consolidate disciplinary knowledge. The intent is to offer professionals with a more solid cultural – scientific methodology to the society (magister).

The training should be developed in four areas: clinical care , organization, education and research. The advanced competences that must be developed in this training must be applied in management, education, research and clinical practice.

Articolo

La Commissione Nazionale dei Corsi di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche della prima classe (LM/SNT 1) ha avvertito l’esigenza di procedere ad una più puntuale e obiettiva definizione del laureato magistrale e ha avviato, costituendo un apposito gruppo di lavoro, un’articolata riflessione i cui risultati vengono di seguito proposti alla comunità nazionale.

Il documento presentato costituisce una prima sintesi ragionata delle riflessioni prodotte dal gruppo di lavoro e acquisite tramite un “documento di consenso” (inviato a tramite posta elettronica) in cui è stato richiesto, ai Presidenti e/o Coordinatori del corso di Laurea Magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche che hanno accettato di aderire al gruppo di lavoro, di esprimere il proprio livello di consenso, di esplicitare motivandole eventuali obiezioni, di suggerire integrazioni o perfezionamenti.

In quanto sintesi, il presente documento fornisce elementi e collegamenti utili per ulteriori approfondimenti che potranno costituire gli step di avvicinamento ad un sistema di riferimento nazionale per la predisposizione del core curriculum da parte dei singoli Atenei.

Il documento è stato articolato su sei nuclei tematici: Contesto di riferimento / Caratteristiche del percorso formativo/ Nuclei concettuali caratterizzanti il laureato magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche / Saperi di riferimento/Apprendimento tramite tirocinio / Prospettive e tendenze

Contesto di riferimento

L’attuale quadro epidemiologico1 individua un invecchiamento progressivo della popolazione con un aumento delle cronicità, implicando il rafforzamento e/o lo sviluppo di nuove forme di assistenza.

Nel sistema sanitario si può ipotizzare uno scenario caratterizzato dalla progressiva riduzione di posti letto negli ospedali per acuti2, dalla presenza e dallo sviluppo di strutture intermedie (come le strutture protette, i centri diurni, le residenze assistenziali, i centri riabilitativi, gli hospice, ed altri ancora) e dalla ridefinizione dell’organizzazione degli ospedali per intensità assistenziale e non più o solo per disciplina medica scientifica. Ciò comporta un ripensamento logico – infrastrutturale degli edifici, ma anche una ridefinizione dei rapporti tra le varie professioni sanitarie. Inoltre importanti spinte culturali, professionali e di razionalizzazione organizzativa prevedono la separazione del governo clinico dal governo dei servizi sugli aspetti logistici e dei fattori produttivi.

La definizione di percorsi per pazienti cronici, la necessità di risolvere i problemi in acuzie in tempi brevi, lo sviluppo di reti/servizi per gestire la post-acuzie determinano la necessità di nuove soluzioni organizzative atte a garantire il coordinamento tra i servizi e il case management interorganizzativo3. Lo sviluppo di strutture di raccordo tra ospedale e territorio, quali ad esempio il country hospital o l’ospedale di comunità, saranno soluzioni che potranno migliorare la gestione delle dimissioni insieme allo sviluppo delle cure primarie, che dovranno prevedere, oltre ai Medici di Medicina Generale e ai Pediatri di libera scelta, anche infermieri dedicati.

Altro aspetto che inciderà nel sistema sanitario è l’importante evoluzione delle tecnologie, che aumenteranno la complessità del sistema, ma che garantiranno anche lo sviluppo di modalità assistenziali innovative.

Inoltre nel prossimo futuro, si assisterà a una progressiva ridefinizione, per numero, tipologia, distribuzione e competenze, delle professioni sanitarie. In particolare, si fa riferimento a una riduzione del numero di medici4, alla re-definizione delle competenze, anche specialistiche, per gli infermieri5 e a una possibile revisione dei profili professionali e non (si fa riferimento, ad esempio, al prolungato dibattito in merito alla figura dell’infermiere pediatrico e dell’OSS specializzato).

Lo scenario sopra descritto e le numerose e differenziate esperienze condotte nella progettazione e gestione della Laurea prima Specialistica, ora Magistrale, in Scienze infermieristiche e Ostetriche, rendono urgente un dibattito e un confronto sia sulla figura del laureato magistrale sia sul bisogno di competenze professionali in generale e di governance in particolare.

Caratteristiche del percorso formativo

Una prima riflessione riguarda la ridenominazione della Laurea da “Specialistica” a “Magistrale”. Ciò induce una ridefinizione del percorso formativo in ragione di un approccio più disciplinare che professionale, caratterizzato più dal metodo e dal sapere scientifico che da competenze professionali specializzate.

Anche se la norma attuale6 sembra privilegiare gli aspetti di cultura del management, il percorso formativo della Laurea Magistrale dovrebbe integrare elementi di metodologia della scienza con riflessioni su dimensioni costitutive di un sapere multidimensionale trasversale, utile per consolidare un sapere disciplinare appropriato. L’intento è quello di offrire alla società, professionisti con una più solida formazione culturale scientifico-metodologica (magister), capaci di contestualizzarsi nei vari contesti di esercizio professionale con un approccio più robusto e innovativo.

Il nostro sistema formativo si caratterizza per:

– laurea triennale: abilitante all’esercizio di una professione;

– dottorato di ricerca: che fornisce la competenza necessaria per la produzione scientifica quale ambito di attività professionale primaria;

– altri percorsi di alta formazione, quali:

• master di I livello (escluso quello per il coordinamento che ha altre peculiarità), che fornisce competenze più elevate su casistica definita, spesso per ambiti clinici specialistici;

• master di II livello, che fornisce competenza elevata a soggetti già esperti di metodo (Laurea Magistrale) e di pratica professionale, per la gestione di casistica o di percorsi clinici complessi multiprofessionali con maggiore indipendenza di valutazione, giudizio e decisione anche nella attivazione di servizi e altri operatori.

Il percorso di Laurea Magistrale (che è requisito di accesso al dottorato e al master di secondo livello) dovrebbe fornire agli studenti teorie, chiavi di lettura disciplinari, modelli e metodi per leggere criticamente fenomeni, contestualizzati e non, per valutare livelli e interazioni di sistema necessari per assumere funzioni di responsabilità nel governo, nell’analisi e nella proposta migliorativa di processi e di servizi.

Una seconda riflessione sul percorso formativo deriva dall’abbinamento, esistente nella sua denominazione, tra “scienze infermieristiche e ostetriche”; fatto che presupporrebbe  l’esistenza di elementi comuni che superano  la distinzione di ruolo professionale tra infermiere e ostetrica. Il tema, però, è molto dibattuto: esiste un sapere scientifico-metodologico trasversale e comune oppure no? E ancora, tale sapere comune dovrebbe attestarsi a un livello disciplinare più elevato rispetto allo specifico sapere professionale di infermiere e di ostetrica? Se si, quanto e come il sapere professionale specifico dovrebbe essere incluso nel percorso di Laurea Magistrale?

A questo proposito si pensa che il percorso formativo dovrebbe focalizzarsi su:

– studio della dimensione disciplinare rispetto a quella professionale specifica del ruolo, perché scienza e metodologia trascendono i ruoli, anche se sono da essi utilizzate;

– sviluppo di metacompetenze applicate a varie fenomenologie;

– analisi delle problematiche che caratterizzano il bisogno nella popolazione, lo sviluppo dell’assistenza professionale, il miglioramento dell’organizzazione dei servizi di salute.

Una terza riflessione riguarda i requisiti di accesso al percorso formativo. Si ritiene che l’esperienza professionale post laurea triennale sarà un requisito di accesso complementare sempre meno presente. Infatti, la popolazione target sarà sempre più costituita da giovani neo-laureati che intendono mantenersi attivi nel completare il loro percorso formativo e da una quota di professionisti giovani con limitata esperienza sul campo. Ciò determinerà la necessità di rivedere le modalità della didattica adattandola agli stili di apprendimento delle nuove generazioni e alla mancanza di un substrato esperienziale.

Nuclei concettuali caratterizzanti il laureato magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche

I concetti-chiave che connotano il profilo culturale del laureato magistrale sono identificabili in:

a) Competenza “avanzata”. L’idea di una dimensione “avanzata” di competenza professionale si colloca nella visione di un sistema  di competenze professionali e/o metodologico-scientifiche stratificato su livelli progressivi e indipendenti.

La competenza “avanzata” non deve essere confusa con il concetto di competenza “esperta” (expertise) che, secondo Benner7, si sviluppa nella prassi con la riflessione sistematica sull’esperienza e che si caratterizza per alcune peculiari capacità: discriminativa della ridondanza informativa, di collegamento di insieme pur disponendo solo di elementi deboli, di formulazione di ipotesi interpretative iniziali con pochi dati e, infine, di ponderazioni di stima del rischio e del beneficio nella decisione clinica.

La competenza “avanzata”, invece, è di norma associata, nella letteratura internazionale, a un livello superiore, all’Advanced Practice Nursing, attributo di chi possiede un dominio più ampio della pratica e non riferibile solo alle capacità di un soggetto maturate con l’esercizio e la riflessione. La competenza avanzata supera il livello della prassi poiché mette in gioco modelli interpretativo-valutativi, metodologie di identificazione, di discriminazione, di decisione, di applicazione e di controllo acquisibili solo con una formazione ulteriore, strutturata, tutorata e con forti implicazioni ontologiche ed epistemologiche relative all’ambito culturale di riferimento e non solo alla sua prassi applicativa.

L’ICN nel 2002 ha distinto il Nurse Practitioner (NP), cioè il nostro infermiere con laurea triennale, dall’Advanced Practice Nurse (APN), definito come un infermiere abilitato che, avendo acquisito conoscenze a livello di esperto (expert knowledge based), manifesta anche capacità di prendere decisioni complesse e competenze cliniche per un esercizio professionale ampliato (expanded practice) nel proprio contesto nazionale8).

Secondo questa definizione la differenza tra un infermiere esperto e un infermiere con competenze avanzate sta nel grado di ampiezza, approfondimento, complessità con cui valutazioni, decisioni e azioni professionali sono poste in essere.

Il competente avanzato, in altri termini, fruisce di un’“espansione” delle proprie categorie mentali, delle dotazioni teoriche, delle chiavi di lettura del contesto e dei problemi. Espansione che gli consente, grazie anche al possesso di modelli interpretativi più sofisticati, di estendere l’ambito di interesse su molteplici fenomeni inerenti la salute, su variegati trattamenti e strategie di recupero di incapacità, su relazioni primarie e correlate in situazioni complesse in campo sanitario.

Il concetto di “espansione” non è, quindi, da confondere con quello di “estensione” che si riferisce, invece, all’esercizio di attività tradizionalmente attribuite ad altre professioni.

Un ulteriore riferimento per la definizione di “competenza avanzata” proviene dai Descrittori di Dublino del 2° ciclo, allorché fanno riferimento a:

– conoscenze e capacità di comprensione che ampliano e/o rafforzano quelle tipicamente associate al primo ciclo e che consentono di elaborare e/o applicare idee originali, spesso in un contesto di ricerca;

– applicazione di conoscenze, di capacità di comprensione e di abilità nel risolvere problemi a tematiche nuove o non familiari, inserite in contesti più ampi (o interdisciplinari) connessi al proprio settore di studio;

– integrazione di conoscenze e gestione di complessità, nonché formulazione di giudizi sulla base di informazioni limitate o incomplete, includendo la riflessione sulle responsabilità sociali ed etiche collegate all’applicazione delle conoscenze e dei giudizi.

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba privilegiare, sulla base della migliore teoria disponibile, la riflessione critica per l’acquisizione di nuovi saperi e di maggior consapevolezza professionale, la coniugazione del metodo della scienza con l’idea divergente, con l’attitudine a problematizzare e a rivedere i propri punti di vista, così come richiesto a futuri leader professionali, dirigenti di servizi, cultori della disciplina.

Il precedente distinguo posto tra “avanzato” ed “esperto” pone, però, un ulteriore problema di efficacia formativa allorché uno studente accede alla Laurea Magistrale senza un’esperienza professionale intermedia. Si ritiene che un ambito privilegiato entro il quale sia possibile avviare lo sviluppo di tale competenza sia quello del tirocinio che va concepito non in termini di tirocinio esperienziale o, meno ancora, osservativo, ma come percorso progettuale/di ricerca accompagnato da un robusto sistema tutoriale in grado di personalizzare le condizioni e gli obiettivi di apprendimento.

b) Complessità. La naturale evoluzione dei sistemi, sempre più caratterizzati da imprevedibilità e non linearità9, e l’evoluzione del pensiero e della scienza hanno introdotto con forza, negli ultimi decenni, il tema della complessità che induce ad affrontare la realtà con un pensiero multidimensionale ed esplorativo.

La sfida della complessità nella formazione rende inadeguati i nostri saperi disgiunti, poiché le singole discipline non sono più sufficienti per capire e affrontare la realtà.

Non solo, le vecchie ripartizioni e divisioni tra formazione, organizzazione, ricerca e pratica professionale, non reggono più alla prova dei fatti.

Alla luce di tali considerazioni si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba essere progettato in termini multidimensionali non limitandosi a una buona articolazione degli insegnamenti nei piani di studio ma anche prevedendo esperienze significative sul piano dell’analisi e della soluzione di problemi, della progettazione strategica e della ricerca, che integrano, giocoforza, diversi saperi. I metodi di insegnamento adottati devono privilegiare la scoperta, l’analisi e l’integrazione di saperi diversi, inducendo lo studente ad assumere un atteggiamento esplorativo, critico e propositivo.

c) Innovazione. L’innovazione è definita come l’apporto di nuove idee o l’applicazione delle idee attuali a una nuova situazione per  migliorare un servizio, un programma, una struttura, un prodotto, un sistema.

L’innovazione sostenibile, nel campo sociale e sanitario, è concepita con l’obiettivo di incidere, in modo non episodico, nella realtà, migliorandola stabilmente. Nei servizi sanitari, quindi, l’innovazione è rappresentata non tanto dalla miglior risposta assistenziale alla singola domanda di assistenza, fornita da un professionista esperto, quanto da un valore aggiunto nella qualità assistenziale, stabilmente mantenuto nel sistema considerato.

Alla luce di tali considerazioni si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba alimentare il pensiero divergente più che quello conformistico, l’atteggiamento di ricerca più che quello della riproduzione, l’umiltà scientifica più che l’arroganza dogmatica, la revisione critica più che il fatalismo.

Saperi di riferimento

Sembra sensato ritenere che nel percorso formativo magistrale si debba tendere con strutturale sistematicità allo sviluppo del sapere critico riflessivo, capace di collegare teorie, modelli e metodi nell’identificazione, problematizzazione e analisi dei fenomeni di interesse.

Si ritiene che le aree tematiche, organizzatrici dei saperi, possano essere:

a) ambito clinico-assistenziale

b) ambito organizzativo

c) ambito educativo-professionalizzante

d) ambito dell’indagine e della ricerca

Le quattro aree (Tab. 1) rappresentano contenitori di approfondimenti disciplinari che prevedono, anche il consolidamento di alcuni concetti fondamentali e trasversali riferibili a: competenza avanzata, complessità, innovazione, aver cura, assistenza infermieristica/ostetrica, persona assistita, autonomia.

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Apprendimento tramite tirocinio

Molte sono le possibilità esperienziali che le varie sedi formative hanno adottato per facilitare negli studenti lo sviluppo di competenze avanzate. Non è questo il luogo per procedere a una loro disamina complessiva. Si intende solo porre l’accento su un aspetto che favorisce la predisposizione di condizioni organizzative e di setting formativi necessari per attivare, nello studente, processi innovativi e per consentirgli la messa in gioco, in prima persona e direttamente sul campo, delle sue capacità relazionali e intellettuali: la messa a punto e sperimentazione di progetti rivolti alla gestione di situazioni problemiche reali o situazioni insoddisfacenti da migliorare relativamente a dimensioni di specifico interesse professionali.

Rimane comunque necessario prevedere anche ulteriori modalità e strategie didattiche con stage e laboratori di messa in prova e sperimentazione di abilità considerate essenziali nella determinazione della competenza finale di tale laureato.

Prospettive e tendenze

La competenza avanzata fornita dalla Laurea Magistrale dovrebbe trovare coerente applicazione nelle seguenti aree:

a) area clinico assistenziale

b) area dei processi organizzativi

c) area dei processi educativi e formativi

d) area della ricerca

a) area clinico-assistenziale: il laureato magistrale deve sapersi inserire nella clinica, in rapporto soprattutto alla complessità di pazienti pluripatologici, instabili e cronici, utilizzando aree della competenza avanzata, clinica, organizzativa – per gestire la rete di servizi necessari ai gruppi di utenti e alle loro famiglie o care giver – e relazionale per entrare nelle dinamiche interprofessionali. La sua capacità di connettere le varie componenti dei processi clinico assistenziali complessi con i processi organizzativi e professionali necessari alla gestione degli stessi, lo pone in grado di adottare modelli di gestione quali il Primary Nursing10,11,12 e il Case Management13. Affinché tali modelli possano essere applicati adeguatamente, è necessario che il professionista abbia già acquisito una solida competenza clinica e per il primo modello anche una buona capacità di pianificazione dell’assistenza infermieristica mentre per il secondo anche una capacità evidence based di gestire il percorso clinico – assistenziale del paziente.

Ma è anche necessario pensare a nuovi ambiti di esercizio professionale, oggi non esistenti, per i quali può essere necessaria la competenza di un laureato magistrale. Ad esempio: il follow up e l’educazione terapeutica di gruppi di pazienti e famigliari, il governo di percorsi assistenziali, la gestione delle dimissioni difficili e della continuità assistenziale, la gestione assistenziale di aree residenziali di cronicità, screening e campagne di prevenzione.

b) area organizzativa: il laureato magistrale già oggi può utilizzare le proprie competenze svolgendo attività organizzativo/gestionali apicali. E’, però, opportuno riflettere anche su nuove interpretazioni dell’apicalità, oltre a quelle tradizionali previste dalle attuali organizzazioni. Ad esempio:  responsabile infermieristico di dipartimento o della formazione o della ricerca in ambito aziendale; oppure ancora su un ambito più clinico: coordinamento e/o responsabile di processi o di percorsi assistenziali o di aree residenziali di cronicità, della qualità clinico assistenziale, dell’accreditamento, del rischio clinico assistenziale nella misura in cui tale professionista abbia già un suo consolidato bagaglio di competenze cliniche specifiche.

c) area formativa: nell’area della formazione universitaria il laureato magistrale può utilizzare le proprie competenze nel coordinamento (direzione), nella progettazione, nel tutorato, nella docenza. Nell’area della formazione nel sistema ECM può spendersi nella progettazione, realizzazione e valutazione di percorsi formativi.

d) area ricerca: le conoscenze e le competenze che si acquisiscono nel campo della ricerca durante il percorso di Laurea Magistrale possono costituire il prerequisito per affrontare un dottorato di ricerca che può essere disciplinare, con approfondimento delle conoscenze all’interno dell’infermieristica, e non disciplinare, con approfondimento di conoscenze appartenenti ad altre discipline importabili all’interno dell’infermieristica14, 15, 16. In ogni caso la ricerca deve diventare metodo di lavoro presente nell’attività del laureato magistrale, ovunque svolga la propria attività.

Conclusioni

La tematica affrontata in questo documento e cioè “Quale profilo culturale dovrebbe caratterizzare il laureato in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche”  necessita certamente di ulteriori approfondimenti e analisi sia per la contestualizzazione al nostro Paese che per la dimensione di coerenza con il contesto internazionale. Quindi, si è ritenuto indispensabile da parte della Commissione Nazionale dei Corsi di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, produrre gli elementi utili per iniziare  un opportuno dibattito.

La formazione di livello magistrale è, infatti, una opportunità irrinunciabile allo sviluppo del pensiero riflessivo e ipotetico-deduttivo, dell’atteggiamento di attenzione all’idea e al discorso prima che allo strumento. Tale opportunità richiede però, per essere colta, un forte investimento sulla dimensione epistemologica e di metodologia applicata nella revisione critica e avanzamento del sapere professionale disponibile. Tali elementi costituiscono, infatti, l’essenza culturale del laureato magistrale nel percorso di costruzione della sua personale conoscenza e adeguata consapevolezza critica per distinguere, comparare e valutare con indipendenza di pensiero.

Bibliografia

1) Ministero della salute. Situazione Sanitaria del Paese. 2009 – 2010. [internet] [visitato il 21 maggio 2012]; disponibile da  http://www.rssp.salute.gov.it/rssp/paginaCapitoloRssp.jsp?sezione=situazione&capitolo=quadro&lingua=italiano

2) Ministero della Salute- Direzione Generale del Sistema Informativo – Ufficio Direzione Statistica. Attività gestionali ed economiche delle ASL e Aziende Ospedaliere. Annuario statistico del Servizio sanitario Nazionale [internet]. Anno 2008 [visitato il 12 settembre 2011]; disponibile: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1488_allegato.pdf

3) Longo F, Del Vecchio M, Lega F. La Sanità futura – Come cambieranno gli utenti, le istituzioni, i servizi e le tecnologie. EGEA Milano. 2010

4) Palermo C, Reginato E, Analisi Anaao-Assomed sugli effetti fino al 2021 della gobba pensionistica “negativa” – Medici: 30mila in dieci anni. Il Sole 24ore Sanità. 27 sett-3 ott 2011

5) Gobbi B, Magnano R, All’esame di Regione e categorie il documento che amplia prerogative e competenze del nursing – Così l’infermiere cambia pelle. Il Sole 24ore Sanità. 24-30 aprile 2012: 24

6) D. MIUR 8 gennaio 2009 “Determinazione delle classi delle lauree magistrali delle professioni sanitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270 – G.U. serie generale n. 122 del 28/5/2009 allegato “Numerazione e denominazione delle classi delle lauree magistrali”  – Obiettivi formativi qualificanti

7) Benner P, From novice to expert. Am J Nurs. 1982: 82(3): 402-7

8) ICN. Definition and Characteristics of the Role. (2002). [internet] [visitato il 29 marzo 2013]; disponibile da http://www.icn-apnetwork.org/

9) Clancy TR, et al., Applications of complex systems theory in nursing education, research and practice. Nurs Outlook. 2008,56:248-56

10) Manthey M . La Pratica del Primary Nursing . Il Pensiero Scientifico Editore. 2008: 43 – 64

11) Manthey M, Ciske K, Robertson P, Harris I. Primary nursing. Nurs Forum. 1970; 9(1): 64-83;

12) Steven A, Named Nursing: in Whose Best Interest?, Journal of Advanced Nursing; 1999; 29: 341 – 7

13) Chiari P, Santullo A, L’Infermiere Case Manager, McGraw – Hill, Milano, 2001

14) Dreher HM, et al.,Global perspectives on the professional doctorate. Int J Nurs Stud. 2011 Apr;48(4):403-8. Epub 2010 Oct 14

15) Ellis LB. Professional doctorates for nurses: mapping provision and perceptions. J Adv Nurs. 2005 May;50(4):440-8

16) Palese A, Tomietto M, Da Dalt S, Saiani L., I dottorati di ricerca nelle Professioni Sanitarie: Uno sguardo all’esperienza degli altri Paesi. Med Chir. 44/2008 pp 1864

Cita questo articolo

Dal Molin A., Galletti C., Marmo G., Il Corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Riflessioni e prospettive sul percorso formativo e sulla figura del laureato magistrale, Medicina e Chirurgia, 61: 2747-2752, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-7

La Terza Missione dell’Università Italiana. Una nuova occasione per crescere?n.61, 2014, pp.2739-2746, DOI: 10.4487/medchir2014-61-6

Abstract

“Technology transfer has become a focus of innovation policy in many places, and there are some high expectations,” says economic sociologist Martin Kenney of the University of California, Davis. The challenge, he says, is “to get the incentives aligned right, so that everyone benefits: the inventor, the university, society. Many advise schools to focus instead on “knowledge transfer” – helping society benefit from the discoveries and skills of faculty members and students without focusing just on finances. “You are seeing a lot of reassessing, a lot of experiments,” says Phyl Speser, CEO of Foresight Science & Technology, a consulting firm in Providence, and a vice president of the U.S. Association of University Technology Managers (AUTM). And there are plenty of ways you can get them wrong.”

This paper is a contribution trying to define a strategic roadmap, focussed on italian universities, for the so called “third mission”. A framework where all the actors of the university are involved and called to create a bridge between university and society, where research results, educational skills will be transferred to an added value set of activities for driving the university to the new challenges of the future society needs. 

Articolo

In una fase – come quella attuale – di forte difficoltà economica e di importante contrazione delle risorse, la sfida della conoscenza è la prima delle più importanti prove con le quali dobbiamo confrontarci: “cultura e ricerca rappresentano le energie morali che possono salvare il Paese dalla crisi”, citando le illuminanti parole pronunciate di recente dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

In questo quadro, l’Università italiana ha il dovere di “cambiare volto”, anche attuando in modo positivo quanto disposto dalla recente riforma. L’Università italiana ha anche l’opportunità di non sprecare un’altra occasione, valorizzando i talenti, facendo crescere le idee, moltiplicando le “energie morali” del Paese.

Ciò ovviamente richiede un insieme di azioni impegnative e coraggiose. Questo implica, in primo luogo, affiancare alle tradizionali mission degli Atenei (da un lato, “alta educazione e formazione” e, dall’altro, “ricerca”) nuove linee di attività legate alla cosiddetta “terza Missione”.

Con “terza Missione” si fa riferimento all’insieme delle attività con le quali le Università attivano processi di interazione diretta con la società civile e il tessuto imprenditoriale, con l’obiettivo di promuovere la crescita di un territorio, in modo che la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di output produttivi. Come affermato in un recente articolo pubblicato da Science*, “Terza missione” rappresenta lo strumento principale di reperimento di risorse da parte degli Atenei nazionali ed internazionali. I beni ed i servizi del sistema produttivo che si fonda sulla ricerca scientifica (beni e servizi hi-tech) rappresentano il 30% del PIL mondiale. La formazione (dalla scuola materna all’università) rappresenta almeno il 6-7% del PIL mondiale. A questo si aggiunge un altro 8-10% rappresentato dalla Sanità e che è quasi per intero fondata sulla medicina scientifica e l’alta qualificazione. La cultura e la formazione nel suo complesso rappresentano quindi il 50% circa del PIL mondiale. È evidente pertanto che è necessario sviluppare politiche e azioni adeguate per intercettare parte di questo flusso con sistemi innovativi e creativi.

È per questo che una delle strade per rendere più forte l’Università italiana – forse, la strada principale – è l’apertura al mondo esterno, alle imprese, al settore pubblico, agli organismi di ricerca privati e pubblici, agli investitori. Nel perimetro di ogni Ateneo vivono, infatti, competenze, professionalità, idee, progetti, prodotti che – se indirizzati “verso il mondo” – possono avere un valore enorme e a oggi nascosto: un valore di “reputazione”, un valore economico, un valore di miglioramento della vita di tutti. Chiudere queste competenze nei confini del Campus e non saper valorizzare e trasferire il lavoro di innovazione e di produzione di conoscenza è una grave mancanza e una perdita di opportunità rilevanti.

“Terza Missione” significa dunque mettere in relazione “scienza” e “società”, incoraggiare il dialogo tra le parti, valorizzare il territorio di riferimento e consolidare il network  degli attori che in tale territorio operano.

E ancora, “terza Missione” significa realizzare un collegamento tra il mondo della formazione universitaria con quella scolastica e con il mondo del lavoro, in modo da assicurare alle aziende ed alla società civile di reperire sul territorio le competenze di cui necessitano, garantendo ai giovani un corretto orientamento per il proprio inserimento (placement) nel mondo del lavoro.

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In questo senso, l’Università deve anche diventare un partner vero del mondo economico e delle aziende, essere riconosciuta nelle sue potenzialità, deve poter esprimere le proprie competenze oltre il proprio “fossato”, deve essere capace di diventare soggetto ricercato per collaborazioni scientifiche e professionali (e non organismo alla ricerca affannosa e spesso vana di quattrini). “Accademia” deve tornare ad essere una parola utile, positiva, interessante, conveniente. “Sinonimo” di creatività, di partecipazione,di luogo di incontro di idee e necessità dal punto di vista sociale ed economico.

Si tratta dunque di un ambito in cui occorre investire sensibilmente e con determinazione, affinché le nostre politiche di ricerca e di innovazione possano fare un decisivo passo in avanti.

La valorizzazione dei risultati di queste attività, all’interno di un contesto di trasferimento delle migliori tecnologie e delle migliori pratiche, è una possibile chiave di successo per garantirne lo sviluppo nei prossimi anni.

Questa condizione si raggiunge con una organizzazione universitaria che faccia dialogare l’Industria e l’Università per sviluppare obiettivi di ricerca industriale e ricadute economiche condivise. Il modello è quello dello scambio continuo tra le due entità, con l’attenzione da parte di chi “guida l’auto” di cercare la strada giusta da intraprendere e da perseguire. Le conoscenze e le competenze presenti nelle Università non sono, infatti, facilmente fruibili per l’applicazione industriale perché sono state generate finalizzandole alla ricerca scientifica e non alla ricerca industriale. I ricercatori universitari devono assumere consapevolezza e innestare la capacità di applicare il metodo scientifico alla ricerca industriale. Questa è la chiave del successo della terza missione!

L’ANVUR ha recentemente promosso un dibattito per discutere i possibili indicatori di terza missione in una prospettiva di sperimentazione. In questo modo si cerca di rendere valutabile l’attività di terza missione degli Ateneinon solo in riferimento alla valorizzazione della ricerca (brevetti, spinoff, ricerca conto terzi, infrastrutture territoriali) ma anche all’impatto sulla società (rapporti scienza società, civic engagement, beni culturali, salute). Questo è certamente positivo nell’ottica di sostenere l’attività di terza missione degli Atenei e stimolarne lo sviluppo.

Terza missione culturale e sociale

Di seguito proponiamo a titolo di esempio alcuni Servizi, Interventi educativi, attività erogabili dagli Atenei ed aventi impatto sociale e culturale valutabile anche attraverso indicatori quali:

– Numero di interventi;

– Numero di partecipanti;

– Valutazione dell’impatto sul territorio (per esempio: possibilità che l’Intervento si ripeta negli anni, cioè divenga un punto fermo dell’Ateneo nel contesto sociale sul quale esso insiste, piuttosto che un evento singolo organizzato dall’università “furbetta” per acquistare punteggio);

– Risultati di impatto sociale: miglioramento della qualità della vita per i cittadini e tipologia e quantità di servizi o prodotti a supporto delle istituzioni.

Ogni tipo di intervento può prevedere due diverse modalità.

– Erogazione diretta al cittadino;

– Erogazione  indiretta: in tal caso l’intervento si rivolge ad insegnanti, educatori, ecc. che dovrebbero poi riportare nelle rispettive realtà quanto appreso.  La presenza degli insegnanti di vario ordine e grado potrebbe essere incentivata se il Ministero assegnasse dei “punteggi” alle scuole (come forse in parte già avviene) in base  alle partecipazioni.

Se la “terza missione” diviene un obiettivo degli Atenei, in quanto incentivato dal Ministero e valutato dall’ANVUR, ogni  Intervento dovrà essere pubblicizzato dettagliatamente e con congruo anticipo presso la popolazione: per es.  con sito WEB dedicato, newsletter che raggiunga via mail gli interessati (immaginiamo, per esempio, degli iscritti gratuitamente ad un “Programma Terza Missione Tor Vergata”) e, per interventi selezionati, anche a mezzo stampa.

Naturalmente è importante che tutti gli eventuali Servizi ed Eventi offerti al cittadino dall’Ateneo nel campo del culturale e del sociale non si collocano in contrapposizione o concorrenza con strutture od Enti – pubblici e privati – già presenti sul territorio locale sul quale insiste l’Ateneo come, centri ed agenzie di Servizi, teatri, consultori familiari, ONLUS, parchi, musei e biblioteche comunali. Al contrario le Università, ponendosi come polo attrattore nel territorio, senza soffocare la “pluralità di voci” di questi Enti o Strutture, dovrebbero entrare in sinergia con essi, (per es. mettendo a disposizione spazi e competenze accademiche, ma anche sfruttandone esperienze pregresse, capillarità di diffusione nel tessuto sociale ecc.).

Possiamo suddividere le attività di terza missione nelle seguenti macroaree:

Qualità della vita delle persone

– Servizi al cittadino

– Supporto ai cittadini nella verifica della qualità dei servizi

– Trasferimento di conoscenza sulla qualità dei servizi e prodotti

– Servizi alle comunità di persone

– Servizi socio-sanitari

Qualità dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese

– Consulenza esperta

– Certificazione e validazione di dati, processi e informazioni

Trasferimento di idee e risultati innovativi

– Risultati economici sui soggetti terzi coinvolti (per es.: ricchezza creata dallo sviluppo e trasferimento di idee innovative) quali spin-off, start-up e imprese innovative.

– Condivisione di ambienti di sperimentazione e validazione di idee di prodotto e brevetti con soggetti esterni

– Qualità e quantità del trasferimento tecnologico, tipologia delle infrastrutture condivise, originalità e operatività degli ambienti di sperimentazione risultati delle attività di ricerca.

Sperimentazione di modalità innovative di interazione tra cittadini e comunità professionali

– strutture sanitarie

– formazione continua

– e-partecipation

Diffusione di idee ed eventi artistico-culturali

– Integrazione di meccanismi di comunicazione multimodali per divulgare, interessare, sensibilizzare su argomenti a carattere etico-sociale

– Promozione della cultura scientifica e dei suoi risultati

– Promozione e diffusione della cultura umanistica e dei suoi risultati

Alcuni esempi di altre specifiche azioni di terza missione:

1. Salute e prevenzione delle più diffuse patologie (solo alcuni esempi)

– Screening della popolazione con metodi non o poco invasivi (esempio: postura scorretta e dismetrie della colonna, odontoiatria, oftalmologia);

– educazione dei cittadini di mezza età o dei loro parenti ad un corretto stile di vita in età geriatrica;

– Educazione Alimentare: Prevenzione del diabete e dell’obesità sin dall’età infantile,…;

– Sensibilizzazione attraverso attività mirate a sui danni causati dalle droghe, dall’alcool, dal tabacco, …

– Counselling psicologico soprattutto per le fasce più deboli

– Servizi di consulenze volontarie

– Sensibilizzazione all’uso delle nuove tecnologie sulle potenzialità e i rischi: le nuove opportunità derivanti dalle comunità virtuali a livello culturale, sociale ed economico nonché le cautele da adottare e i pericoli connessi alla protezione dei minori, cyber crime, protezione dei dati personali, bullismo attraverso social network, …

2. Diffusione delle arti e della cultura

– Progetti teatrali incentivazione alla partecipazione a corsi di teatro. Penso per esempio a sinergie con teatri medio/piccoli nel territorio

– Cinema d’essai, per la riscoperta di autori ma anche per il  lancio di giovani (autori, registi, montatori, scenografi ecc.) delle scuole di cinematografia.

– Concerti (con “ospiti di richiamo, ma anche con musicisti da lanciare) e festival di sperimentazione

– Incentivo alla pittura ed alle arti figurative: mostre di pittori emergenti, concorsi, fiere del libro ecc.

– Eventi in difesa delle tradizioni culturali (nella doppia ottica di preservazione dei tesori culturali italiani (anche orali), e del rafforzamento dell’interculturalità

– Visite organizzate alle aree archeologiche; intervento per i più giovani

3. Integrazione dei cittadini appartenenti alle fasce di popolazione più deboli e pari opportunità

– Interventi a favore dei disabili (non solo gli studenti!), e corsi di formazione ai parenti sui diritti e sulle modalità per migliorare le qualità della vita

– Counselling psicologico

– Corsi per una migliore integrazione degli stranieri da poco in Italia

– Interventi per rafforzare e creare iniziative a supporto nella società al ruolo della donna e soprattutto delle mamme.

4. Educazione alla Cultura dell’ambiente ed allo sfruttamento delle risorse naturali

– Creazione e/o mantenimento e/o ristrutturazione di Orti botanici, parchi naturali, e musei di scienze naturali, acquari, ecc.

– divulgazione scientifica raccordata con metodi nuovi ai musei, ed ai parchi, nonché ai corsi di studio di agraria, di scienze naturali, di biologia ecc.

– Educazione alla cultura del mare della montagna, ecc. (a seconda del territorio di riferimento dell’Università)

– Educazione alla sostenibilità, alle fonti rinnovabili, al riciclaggio (promozione di visite organizzate ed eventi anche per i più piccoli)

5. Educazione del cittadino e Sviluppo urbano

– Educazione civica e stradale

– Prevenzione del fenomeno del bullismo

– Educazione Alimentare

– Educazione alle norme igieniche come strumento di prevenzione

– Norme basilari di Prevenzione e Protezione (nelle case, nei luoghi di lavoro

– Educazione alla prevenzione degli incendi e di altri disastri ambientali

– Corsi (rivolti soprattutto ai piccoli) per l’educazione all’amore per la propria città o paese: l’educazione alla pulizia, al rispetto delle cose pubbliche, ecc.

– Concorsi su progetti per lo sviluppo urbano (rivolto per esempio a laureandi in architettura, ingegneria, belle arti)

6. Educazione alla cultura dello sport

– Eventi con premiazione di campioni dello sport e del fair play

– Festa dello sport, per le famiglie, e per le scuole

– Messa a disposizione a prezzi sostenibili (per esempio sconti agli iscritti al Programma “Terza Missione”) di strutture di Ateneo come stadi e piscine

– Corsi sulla prevenzione attraverso una sana cultura sportiva

7. Editoria, audiovisivi e multimedia

– Creazione di piccole case editrici “di Ateneo” o supporto alle esistenti che, previa selezione, stampino in piccola tiratura opere di autori emergenti, allo scopo di lanciare giovani

– Canali radio e/o TV locali, tematici, per la divulgazione e l’informazione (avrebbero forse pochi ascoltatori, ma sarebbero fucina per le scuole di giornalismo, di musica ecc.)

– Progetti sperimentali per la formazione, lo sviluppo e la creazione di  strumenti multimediali innovativi e per la progettazione di nuovi contenuti che tengano conto dei nuovi linguaggi di comunicazione.

8. Alfabetizzazione Informatica

– Corsi divulgativi per la creazione di siti web e dei più comuni linguaggi per la gestione degli stessi

– Erogazione della patente europea, o meglio delle sue “evoluzioni”

– Corsi per l’educazione alla navigazione ed alla comunicazione via Internet,

– Corsi di “etica della rete”, ovvero aiutare le persone a capire la complessità di internet, con i suoi rischi e pericoli, ma anche con gli aspetti positivi in termini di opportunità. Ciò anche al fine, ad esempio, di prevenire il bullismo informatico, anche attraverso indicazioni alle famiglie degli adolescenti

9. Divulgazione scientifica

– Divulgazione scientifica (corsi sugli argomenti più attuali e controversi) con workshop tematici aperti ad ogni tipo di audience;

– Divulgazione attraverso canali TV locali, oppure attraverso internet e social network, (in modalità on-line e off-line);

– creazione di piccoli musei/aree gioco per i più piccoli per avvicinarli alle scienze con divertimento

Nell’ultimo rapporto VQR dell’ANVUR la terza missione delle Università è stata catalogata nel settore  “Altre Attività” non qualificabili come attività conto terzi. E’ interessante osservare come in questo report siano state compilate 8145 schede da 63 università (su un totale di 95 partecipanti) e 689 schede da 15 centri di ricerca (su un totale di 39). L’ampiezza dell’indicatore ha fatto sì che diventasse un contenitore di attività di ogni genere, e, pertanto, i dati non sono oggettivabili e valutabili. E’ necessario quindi procedere alla ricodifica delle attività con l’obiettivo di creare macroaree specifiche di Terza Missione, che contengano al loro interno una serie di descrittori che agevolino la ricodifica e quindi la valutazione da parte dell’ANVUR.

Possibile metodologia per una valutazione

La terza missione si pone l’obiettivo di valorizzare il ruolo dell’università con il resto della società. Bisogna quindi partire dalla matrice originale che è alla base dell’idea di università per non snaturare la sua missione o prospettare soluzioni artificiose. Il ruolo dell’università nella terza missione è quello di svolgere in modo organico e strutturato un’attività di trasferimento delle conoscenze ad alto impatto economico e sociale. Il trasferimento tecnologico è una di queste attività e, come vedremo, va inquadrato nel ciclo di vita che porta da un’idea di ricerca a una soluzione che modifichi i processi di natura tecnologica con il relativo impatto economico e sociale.

Tre elementi devono essere tenuti presenti:

1) la capacità di produrre idee originali o di integrare conoscenze tra loro eterogenee, dando ad esse un valore nuovo

2) comprendere quali processi economici e/o sociali possono essere migliorati e/o razionalizzati da uno o più di questi elementi

3) garantire credibilità all’istituzione “Università” nei confronti del territorio, sia ponendosi come soggetto educatore, sia ponendosi come struttura che vive nella realtà, condividendo le conoscenze e le esperienze delle strutture economiche e sociali che la circondano e con le quali l’università deve costruire un virtuoso luogo di condivisione di conoscenze.

Da tutto ciò si può creare, attraverso appositi strumenti e metodologie, il processo base della terza missione: si parte da un’idea di valore (ricerca) e da una sua opportunità di applicazione – scoperta attraverso la condivisione di conoscenze con la società civile – fino ad arrivare allo sviluppo di una soluzione innovativa che può avere, nella sua applicazione, un valore economico rilevante e un impatto sociale in grado di migliorare la qualità della vita delle persone.

La terza missione si vuole porre così  un obiettivo di natura strategica per il futuro dell’Università: dalla formazione e dalla ricerca  per arrivare ad influire positivamente sulla società con iniziative e soluzioni che creino valore.

Come dimostrato, sul piano internazionale, dalle molte e rilevanti esperienze di altre università anche di assoluto prestigio, si deve prima di tutto tener conto del fatto che raggiungere obiettivi significativi e misurabili è un compito molto difficile. Questa è la nuova sfida che le università di tutto il mondo si trovano oggi ad affrontare. Un singolo esempio a puro scopo evocativo può far comprendere come la stessa interpretazione dell’idea di terza missione richieda uno sforzo creativo: la necessaria protezione della proprietà intellettuale dell’Ateneo e della possibilità di valorizzare a livello economico brevetti e scoperte scientifiche, si scontra con la necessità di condividere queste conoscenze per poter meglio verificare sul campo il loro potenziale applicativo. D’altro canto, va detto in modo chiaro che, se l’università non può trarre un vantaggio economico dal proprio lavoro creativo e può esserne addirittura espropriata, allora bisogna tornare ad un ruolo per l’università di “ente assistito” che, oltre a mortificarne il potenziale creativo, è fuori dagli obiettivi richiesti all’università dai policy makers e dall’evoluzione economica e sociale.

E’ necessario più che mai che, per valutare l’impatto delle attività di terza missione dell’Università, siano i risultati raggiunti ad essere misurati, dove per risultati si intende:

– capacità organizzativa dell’ateneo nel realizzare le attività di terza missione;

– risultati tangibili delle attività misurati in termini di:

1) componenti della società coinvolte nei processi di innovazione o di miglioramento della qualità della vita delle persone,

2) rilevanza economica delle soluzioni trasferite,

3) impatto su standard e tecnologie esistenti a livello nazionale e internazionale.

Si cita un esempio concreto: l’invenzione degli algoritmi e dei motori di ricerca non soltanto ha cambiato importanti componenti del mercato, permettendo la crescita di aziende altamente innovative in settori nuovi, ma ha anche aperto nuove linee di ricerca dando vita e delle aree di ricerca totalmente nuove, sostituendo o modificando le aree pre esistenti, e, non da ultimo, l’indiscutibile impatto sociale.

L’Università è chiamata quindi ad uscire dalle sue stanze del sapere, a fare lo sforzo di creare, se già non lo ha fatto, un rapporto privilegiato con il territorio e la società nel quale si trova. Questo rapporto dovrà essere non più unilaterale, ma, per creare il vero valore aggiunto della terza missione, dovrà essere una modalità flessibile, dinamica e strutturata di scambio di conoscenze ed esperienze con la società civile nell’ottica della reciproca crescita.

In particolare, l’Università deve essere per i giovani un punto di riferimento, non solo culturale, ma anche sociale.

Si deve fare lo sforzo di creare, prima di tutto all’interno dell’Università, lo spirito della terza missione, mettendo a fattor comune i risultati di ricerca, individuando le proprie “eccellenze”, identificando  le opportunità e dando ad ognuna la giusta collocazione attraverso un modello organizzativo trasversale rispetto alle realtà amministrative e di ricerca attuali.

Semplicità e flessibilità devono essere alla base di tutti i processi organizzativi in gioco.

L’individuazione di un’opportunità, come già accennato, è la verifica dell’efficacia dell’applicazione di un’idea nel risolvere un problema o migliorare una soluzione esistente in un contesto sociale reale.

Resta chiaro che ciò non vuole tralasciare tutto quello che è stato fatto, anzi, uno degli scopi è proprio quello di far convergere con azioni di coordinamento tutte le realtà esistenti all’interno di un ateneo (uffici amministrativi, dipartimenti, spin off, ecc.) verso l’obiettivo strategico che l’Università si pone con la terza missione.

L’importanza di una Infrastruttura operativa dedicata

Per il raggiungimento dell’obiettivo strategico della terza missione dell’università, è necessario, a nostro avviso, la creazione di una infrastruttura operativa dedicata alle attività di terza missione. Questa infrastruttura dovrà  comprendere le componenti dell’ateneo che sono maggiormente coinvolte: gli uffici amministrativi, i tecnici, i docenti e i ricercatori  e coloro che sono i veri protagonisti e che possono e devono avere un ruolo importante, gli studenti.

In primo luogo questa infrastruttura avrà il difficile compito di individuare, raccordare, valorizzare e coordinare i Progetti e le iniziative esistenti all’interno di un ateneo. Insieme a ciò, dovrà avviare progetti e iniziative nuove che rispecchino le eccellenze proprie dell’ateneo e della realtà sociale, culturale ed economica in cui quella università si muove.

Sarà importante a questo punto la realizzazione di alcuni progetti strategici  ben definiti e di riferimento per la messa a punto della infrastruttura operativa che colgano sin da subito ed in pieno lo spirito della terza missione e diventivo il modello di riferimento per progettualità future.

E’ necessario definire e condividere un piano strategico delle attività di terza missione che un ateneo vuole portare avanti con tempi e obiettivi precisi.

Ogni attività di terza missione avrà dunque un ciclo di vita che parte dalla individuazione di idee per arrivare alla creazione di prodotti e/o servizi utili ai cittadini, alle istituzioni, alle realtà imprenditoriali e più ancora alle persone.

Un ultimo aspetto da non trascurare ma molto importante per arrivare al raggiungimento degli obiettivi è quello di definire, all’interno dell’infrastruttura operativa, un piano mirato di comunicazione e marketing verso l’esterno molto innovativo ed efficace, proprio per informare e coinvolgere le realtà sociali e spingere alla partecipazione. L’Università non deve essere comunicato come un luogo auto referente e “noioso”, ma come un luogo dove saperi si formano, si trasformano e si condividono in modo creativo, libero e proiettato in modo concreto verso il futuro.

Bibliografia

Cita questo articolo

Novelli G., Talamo M., La Terza Missione dell’Università Italiana. Una nuova occasione per crescere?, Medicina e Chirurgia, 61: 2739-2746, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-6