Indice n. 61/2014

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

61/2014

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SOMMARIO

 

Editoriale

La via italiana all’autovalutazione della didattica e della ricercadi Massimo Castagnaro e Stefania Capogna

Il dibattito

Quale formazione per i laureati in Medicina? Scienziati applicati al malato o Medici che si prendono cura della persona?  di Giuseppe Realdi

Ospedali di Ricerca e Ospedali di Insegnamento nell’educazione medica. È necessario un dibattito? di Giuseppe Familiari e Eugenio Gaudio

Conferenza permanente dei CLM in Medicina e Chirurgia

Identificazione precoce e intervento breve nei confronti del bere a rischio. Cosa insegnare ai futuri medici, di Maria Fiore, Gaetano Catania, Maria Grazia d’Agati, et al.

Il Master di secondo livello in Medicina d’Emergenza-Urgenza. Esperienza dopo tre anni di attivazione, di Giuliano Bertazzoni e Riccardo Pini

Il Gruppo di lavoro Innovazione Pedagogica, di Pietro Gallo, Fabrizio Consorti

Conferenza permanente delle professioni sanitarie

Linee di indirizzo per la prova finale dei Corsi di Laurea afferenti alle Classi delle Professioni Sanitarie avente valore di esame di stato per l’esercizio professionale

Dossier

La terza missione dell’università italiana. Una nuova occasione per crescere? di Giuseppe Novelli e Maurizio Talamo

Il Corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Riflessioni e prospettive sul percorso formativo e sulla figura del laureato magistrale, di Alberto dal Molin, Caterina Galletti, Giuseppe Marmo, et al.

Libri che hanno fatto la storia della Medicina

Il libro per chi fa a meno dei (degli altri) libri, di Paola Carusi

Scuole italiane di Medicina

La scuola internistica di Alessandro Beretta Anguissola, di Alessandro Rappelli e Ettore Bartoli

AMEE Congress

AMEE 2014: Excellence in Education – The 21st Century Teacher. Meeting in Milan from the 30th August to the 3rd September 2014, di Giuseppe Familiari e Fabrizio Consorti

News

Notizie dal CUN, di Manuela di Franco

Notizie dalla Conferenza Permanente di CLM in Medicina e Chirurgia, di Amos Casti

Notizie dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, di Alvisa Palese

Il libro per chi fa a meno dei (degli altri) libri di Abū’l-Qāsim Khalaf ibn ‘Abbās al-Zahrāwīn.61, 2014, pp.2753-2759, DOI: 10.4487/medchir2014-61-8

Abstract

For several centuries in the Latin Middle Ages and until the modern era, the name of the Spanish Muslim al-Zahrāwī (d. 1013?) is well known: the thirtieth book of his treatise on medicine al-Taṣrīf li-man ‘ajiza ‘an al-ta’ālif, dedicated to surgery, was studied and taught by the most famous physicians, from Rogerius Salernitanus (12th century) to Fabricius ab Aquapendente (d. 1619), and his techniques, many of which completely original, were applied and imitated by many. This work provides hints on what is known about his life and his work, and presents some significant passages on surgeries performed by him, and surgical instruments which he described.

Articolo

A seconda del campo in cui si svolge per la maggior parte del tempo la loro attività, nel mondo islamico medievale i medici possono essere divisi approssimativamente in tre grandi gruppi: l’internista, l’oculista, il chirurgo. Il medico più tenuto in considerazione è sempre e dovunque l’internista, considerato anche il maggior teorico della disciplina; solo dopo di lui, abbastanza dopo, vengono l’oculista e il chirurgo, entrambi considerati dei tecnici, sia pure di livello elevato1:  l’oculista – importante, data la grande diffusione di malattie degli occhi, dallo pterigio al tracoma – e il chirurgo, necessario, come ben si comprende, non solo in pace ma anche in guerra, sul campo di battaglia.

Il ruolo subalterno della chirurgia, ruolo che vede il chirurgo costretto ad attività limitate e per così dire di ultima sponda, dipende da motivi pratici e anche teorici:

pratici. Nell’antichità e nel Medioevo non esistono, o esistono solo in una forma molto rudimentale, due grandi e indispensabili collaboratrici del chirurgo:

l’anestesia, necessaria per effettuare interventi di una certa importanza (si utilizzano oppiacei e stupefacenti di tipi diversi, che però non sono risolutivi);

l’antisepsi, che deve garantire il felice esito nel periodo post-operatorio.

Da ciò consegue il fatto che le operazioni che il chirurgo riesce a compiere sono di solito piccoli interventi: salassi, scarificazioni, cauterizzazioni, riduzioni di fratture etc., e tutto questo solo raramente lo porta a chiara fama;

teorici. Da Galeno e da tutta la medicina antica:

il corpo umano è considerato come una sorta di paradigma della bellezza, e lo studio dell’anatomia umana come la porta che conduce dalla medicina alla filosofia e alla riflessione sulla divinità;

l’organismo è considerato come un tutto, come una bilancia il cui equilibrio deve essere mantenuto o restaurato.

Sulla base di queste considerazioni – la medicina è la scienza, scrive Galeno, che si preoccupa di mantenere la salute se c’è, o di ristabilirla se è perduta – compito del medico è occuparsi dell’intero organismo e di cercare di mantenere o di ristabilire la condizione equilibrata naturale che gli è propria. Né l’una né l’altra cosa sono curate dalla chirurgia, scienza che necessariamente si occupa di parti, e che non è conservativa, ma compie sul corpo interventi che sono duri e invasivi.

Nonostante le difficoltà e gli impedimenti, il chirurgo, sia egli d’urgenza, come il medico di guerra, o il risolutore di parti difficili, si rivela tuttavia in molti casi indispensabile; della sua attività sono testimoni non solo i testi, in qualche caso generosamente illustrati con tavole anatomiche e immagini della strumentazione chirurgica (mannaie e coltelli di diverse misure, cateteri e siringhe per irrigazioni, apparecchi per flebotomia, aghi cavi per la rimozione della cataratta, cucchiai affilati per tonsillectomia e operazioni di diverso tipo)2, ma anche un certo numero di reperti archeologici e di strumenti ricostruiti a partire dalle descrizioni dei testi, conservati nei musei di tutto il mondo.

Una molto ampia documentazione – testo e immagini – sulla chirurgia praticata nel mondo islamico tra X e XI secolo si può trovare nella figura e nell’opera di un chirurgo musulmano di Spagna, Abū’l-Qāsim Khalaf ibn ‘Abbās al-Zahrāwī3, cui molto devono in seguito la chirurgia del Medioevo latino e  la chirurgia e medicina italiana e francese della prima epoca moderna.

Abū’l-Qāsim Khalaf ibn ‘Abbās al-Zahrāwī

Noto nel mondo latino come Abulcasis / Albucasis, Alsaharavius e diversi altri nomi4, al-Zahrāwī nasce (come si vede dalla sua isba ((Nome di attribuzione, o relativo, che indica l’origine, la provenienza o l’appartenenza.))) ad al-Zahrā’ presso Cordova, intorno al 936 (Anno della fondazione di al-Zahrā’, la Versailles di Spagna, da parte del Califfo ‘Abd al-Raḥmān III (m. 961).)), e muore nella stessa città, secondo alcuni intorno al 1036, secondo altri (Leone Africano) nel 10135; altre date tuttavia sono state proposte, e la questione è tuttora incerta. Molto poco si sa della sua vita: forse i suoi antenati vengono dall’Arabia (epoca della conquista), e appartengono all’aristocrazia di origine medinese (al-anṣār) vicina al Profeta; certo è che vive in un periodo di grande splendore per la storia della Spagna musulmana. Secondo alcuni, diviene medico personale del califfo omayyade ‘Abd al-Raḥmān III, o di Ḥakam II suo successore, o di al-Manṣūr, il suo famoso ministro; la circostanza è tuttavia poco probabile, perché, anche ammettendo che egli stesso taccia la cosa per modestia, nessuno dei suoi biografi6 ne  fa menzione.

Una indagine sulla personalità scientifica e anche umana di al-Zahrāwī rivela, in primo luogo, tratti di grande umanità e  dedizione alla professione: ammirevoli sono, ad esempio, la cura e l’amorevolezza che dimostra verso i malati e il disinteresse con cui prodiga le sue cure.  Scrive di lui il copista del ms. Istanbul, Süleymaniye ‘Umūmī Kütüphanesi, Veliüddin 2491, f. 228b:

Mi è stato detto che al-Zahrāwī – Dio abbia misericordia di lui – era estremamente ascetico; che metà del suo lavoro ogni giorno la faceva gratuitamente, come carità, e che scrisse questo compendio per i suoi figli in un periodo di quarant’anni. 

I suoi figli, qui menzionati, dovrebbero essere i suoi allievi, o comunque i medici della generazione che lo segue; nel Medioevo islamico, come è noto, una parte rilevante dell’insegnamento, in particolare nelle scienze ‘operative’, si realizza in un rapporto di apprendistato presso il maestro (si veda, ad esempio, in medicina, la presenza degli allievi nei padiglioni, nelle aule e nella biblioteca dell’ospedale7), e può accadere anche che l’allievo vada ad abitare per un certo tempo nella casa del suo maestro.

Nato e morto nella stessa regione e nello stesso luogo, al-Zahrāwī, a differenza di altri studiosi e medici come ad esempio Avicenna, non è uomo che fa grandi viaggi. Si occupa di medicina per cinquant’anni, scrive una sola opera, capitale: Taṣrīf li-man ‘ağiza ‘an al-ta’ālif  [Il libro per chi fa a meno dei (degli altri) libri]8, enciclopedia medica in trenta libri, completandola intorno all’anno 1000. Discute, in questa opera, non solo di chirurgia (trentesimo libro del Taṣrīf,  primo trattato razionale e completo sul tema), ma anche di farmacologia, di preparazioni cosmetiche, di cucina e dietetica, pesi e misure, terminologia tecnica della medicina, chimica medica, terapeutica e psicoterapia.

Il Taṣrīf

Nel trentesimo trattato del Taṣrīf, dedicato alla chirurgia, al-Zahrāwī dichiara di voler seguire gli antichi (auctoritates), da Ippocrate a Paolo di Egina. Uomo dotto e di solida erudizione, non si comporta, tuttavia, come un pedissequo lettore di libri: dando prova di essere un chirurgo lungamente formato ‘sul campo’, le operazioni che egli descrive sono spesso resoconti di vita vissuta; elaborazioni sue proprie, o comunque appartenenti alla pratica araba contemporanea.

In chirurgia, oltre a interventi relativamente semplici e collaudati, come la tonsillectomia, e l’estrazione della safena nel caso di vene varicose, pratica la litotomia e descrive l’estrazione di calcoli per via vaginale; risolve dislocazioni e riduce fratture, intervenendo con successo, in particolare, sulla frattura della rotula; consolida con fili d’oro i denti che si muovono, e accenna al riposizionamento e alla legatura di denti caduti e all’utilizzazione di denti artificiali di osso di bue; lega le arterie e raccomanda diversi tipi di budelli e fili per sutura; applica gessi e bende alle fratture; introduce, in ostetricia, la posizione più tardi detta ‘di Walcher’9; inventa diversi tipi di forcipi e di strumenti chirurgici. Nella descrizione di operazioni chirurgiche, presenta, a parole e con illustrazioni, gli strumenti utilizzati, fornisce in dettaglio i modi della loro utilizzazione, e i tempi e i modi degli interventi dei collaboratori (si noti che anche nel Medioevo islamico la chirurgia si presenta regolarmente come un lavoro di équipe, in cui all’abilità del chirurgo deve aggiungersi quella dei suoi assistenti).

Come abbiamo in precedenza accennato, l’attività di al-Zahrāwī non si limita alla chirurgia. In medicina, descrive diverse malattie, tra cui l’idrocefalo10 e, forse, l’emofilia11; in un rapporto diretto e continuo con il paziente, prescrive misure igieniche, diete per salute e malattia, medicine di buona qualità (nel Medioevo molto spesso il medico prepara egli stesso le medicine). Estende le sue considerazioni all’educazione dei bambini, al buon comportamento, anche a tavola; compie utilissime valutazioni sull’istruzione scolastica e sulla preparazione accademica, ed è in questo contesto, mentre si muove nel campo che gli è più caro, che espone con grande chiarezza l’alto concetto che ha della sua scienza: a suo parere, sarebbe bene iniziare gli studi di medicina dopo avere ricevuto una educazione in lingua, grammatica, religione, poesia, matematica, astronomia, logica e filosofia12.

I suoi interessi, già come si vede molto ampi, vanno anche oltre la medicina: è esperto di scienza naturale e chimico applicato; descrive flora e fauna spagnole, fornendo dati utilissimi per la storia della botanica; cita medicine semplici di origine minerale, vegetale e animale, come si trovano, come si conservano etc. Discute metodi tecnici per purificare sostanze chimiche come il litargirio (ossido di piombo II), la cerussa (o biacca, carbonato di piombo), la pirite (un solfuro di ferro), i vetrioli (in genere sono solfati), il verderame; raccomanda l’uso di minerali, di elementi e anche di pietre preziose a scopo terapeutico.

In psichiatria fa uso di droghe, e non è il solo. Tra queste, un preparato a base di oppio, che rilassa, toglie le preoccupazioni, modera i temperamenti e agisce contro la melancolia.

Come chirurgo al-Zahrāwī è certamente insuperato almeno fino al XIII secolo. Nel Medioevo islamico non ha molto seguito, anche se di lui si moltiplicano le citazioni, ma nell’Occidente latino diviene presto ben noto. Il suo trattato sulla chirurgia, tradotto da Gerardo da Cremona – Toledo, XII secolo – con il titolo di Liber Alsaharavi de cirurgia, diviene famosissimo, ed esercita poi una grande influenza su chirurghi italiani e francesi. Tra i molti medici che lo utilizzano e su di esso fondano le loro conoscenze, dal Medioevo all’età moderna: Rogerio Frugardi (Rogerius Salernitanus, XII secolo)13 e il suo allievo Rolando Capelluti (Rolandus Parmensis, m. dopo il 1279)14, Guglielmo da Saliceto (m. 1277), e forse Arnaldo da Villanova (m. 1311)15. Nel XIV secolo, Guy de Chauliac (m. 1368)16 accosta Albucasis a Ippocrate e Galeno; e ancora nel XVII secolo, Girolamo Fabrici17 (Fabricius ab Aquapendente, m. 1619) lo menziona tra i tre autori a cui deve di più: il romano Celso, il greco Paolo di Egina e, appunto,  l’arabo Albucasis.

Testi

Presentiamo qui di seguito alcuni capitoli del trattato del Taṣrīf  sulla chirurgia: questo perché una corretta comprensione della mentalità e del contesto in cui il chirurgo musulmano del Medioevo si trova a operare si può ottenere soltanto con una diretta meditazione sui testi. Ai primi quattro capitoli che riguardano la pratica chirurgica, direttamente eseguita dal medico, abbiamo aggiunto una sezione dedicata al trattamento dei parti difficili: qui, come è noto, dato il fatto che nella tradizione islamica il medico, uomo, non può intervenire direttamente sulla paziente, le indicazioni fornite dal medico hanno la funzione di  istruzioni per le levatrici. La necessità di ricorrere a terze persone nella diagnosi e nella cura delle pazienti è deplorata con forza dai medici, e dallo stesso Zahrāwī, ed è forse per questo che nella Spagna del XII secolo è segnalata l’esistenza di  dottoresse18, appartenenti alla famiglia del grande medico Avenzoar,  delegate alla cura delle  donne dell’harem del califfo.

1 – Il trattamento della tumescenza delle tonsille e di altre tumescenze che si formano nella gola (Taṣrīf  30.2.36, op. cit.3, pp. 300-305;  v. infra figura alla fine dell’articolo).

A volte si producono nella gola dei bubboni chiamati ‘tonsille’, che somigliano ai bubboni che si producono all’esterno del corpo. Quando hai usato i rimedi descritti nel loro luogo (nella sezione ad essi dedicata), senza effetto, esamina, e se la tumescenza è dura, scura, e priva di sensazione non toccarla con uno strumento. Se è rossa, con una radice grossa, non toccarla ugualmente con uno strumento, per paura di una emorragia, ma lasciala maturare; a questo punto puoi perforarla o lasciarla scoppiare per conto suo. Ma se è di colore pallido, rotonda, con un peduncolo sottile, questo è il tipo che si dovrebbe tagliare.

Prima di operare bisogna vedere se la sua (del paziente) tumescenza infiammata è già completamente esaurita o in qualche misura diminuita. Allora fa sedere il paziente alla piena luce del sole con la sua testa sul tuo grembo. Apri la sua bocca, ed abbi un assistente davanti a te che gli spinga in basso la lingua con uno strumento come questo. Dovrebbe essere fatto di bronzo o d’argento, e sottile come un coltello. E quando la lingua è abbassata con il suo aiuto, la tumescenza ti sarà  manifesta e il tuo sguardo diretto vi cadrà sopra. Allora prendi un uncino e fissalo in una tonsilla e tirala in avanti quanto più puoi, ma sta attento a non tirare via con essa qualche parte di mucosa. Poi tagliala con uno strumento di questa forma. E’ come una forbice, eccetto che le sue estremità sono curve, con il becco di ognuna che incontra l’altro, e molto affilato. Dovrebbe essere fatto di ferro indiano o di acciaio di Damasco. Se non hai questo tipo di strumento, tagliala con uno scalpello di questa forma, da una parte affilato, dall’altra completamente smussato. E quando una tonsilla è stata tagliata, rimuovi l’altra esattamente allo stesso modo. Poi, dopo l’operazione, fa fare al paziente dei gargarismi con acqua fredda o aceto e acqua. Ma se si verifica una emorragia, fagli fare gargarismi con acqua in cui sia stata bollita scorza di melograno o foglie di mirto o simili astringenti finché cessa l’emorragia: poi curalo finché sarà ristabilito…

2. Sul modo di irrigare la vescica con una siringa e le forme degli strumenti che servono a questo (Ibidem, 30.2. 59, pp. 406-409).

61_10_1Quando si produce un’ulcera nella vescica, o vi è dentro un grumo di sangue o un deposito di pus, e tu vuoi instillarvi dentro lozioni e medicamenti, questo si fa con l’aiuto di uno strumento chiamato siringa. E’ fatto di argento o di avorio, cavo, con un lungo tubo fine, come una sonda, interamente cavo, eccetto per la fine che è solida con tre buchi, due da un lato e uno dall’altro come vedi. La parte cava che contiene lo stantuffo è di una misura tale da poter essere esattamente chiusa da esso, in modo che ogni liquido sia aspirato quando lo tiri su; e quando lo spingi giù è spinto in un getto, come è fatto dal proiettore quando si spruzza la nafta nelle battaglie navali. Dunque, quando vuoi iniettare un fluido nella vescica, immergi la punta della siringa nel fluido e tira su il pistone, perché il fluido sia aspirato nella cavità della siringa. Poi introducila nell’uretra come abbiamo descritto per la cateterizzazione; poi espelli il fluido per mezzo del pistone; il fluido scorrerà immediatamente nella vescica e il paziente avvertirà il suo ingresso…

3. L’escissione delle varici (Ibidem, 30.2. 90, pp.  594-597).

Le varici sono vene contorte e ingrossate, piene di superfluità melancoliche. Si verificano in molte parti del corpo, ma generalmente nelle gambe, in particolare nelle gambe dei corrieri, dei contadini e dei facchini. Per prima cosa devi purgare il corpo dalla bile nera, più volte, con forza; poi devi fare un salasso nella vena basilica19. Il trattamento chirurgico (lett.: con il coltello) è di due tipi: uno è che si incide e si porta fuori tutto il sangue nero, l’altro è che si tira fuori la vena e si estrae.

L’incisione si fa in questo modo: prima di tutto tampona (fai un impacco) per bene la gamba con l’acqua calda finché (in modo che) il sangue denso e torbido si sciolga. Poi lega con una benda la gamba del paziente, da sopra alla (dalla parte alta della) coscia a sotto il ginocchio. Poi incidi la vena, con una incisione ampia, in un solo punto, o in due o tre punti. Poi estrai il sangue nero [premendo] con la mano dalla parte bassa della gamba verso l’alto e dall’alto verso il basso, finché viene fuori, del sangue, la quantità che ti sembra sufficiente, o quella che è in grado di sopportare la forza del paziente. Poi fasciala, e ordinagli (al paziente) di astenersi dai cibi che generano la bile nera. L’evacuazione e il salasso si ripetono quando le vene si riempiono di nuovo e ciò reca danno al paziente.

L’estrazione si fa in questo modo: radi la gamba del paziente se è molto pelosa, poi fallo entrare nel bagno e fa’ impacchi alla gamba con l’acqua calda finché diventa rossa e le vene si riempiono. Oppure, se non c’è bagno a disposizione, fagli fare esercizi violenti finché l’arto diviene caldo. Poi pratica una incisione longitudinale nella pelle sopra la vena, o in corrispondenza dell’estremità superiore di essa vicino al ginocchio o nella parte bassa vicino alla caviglia. Poi con gli uncini apri la pelle e distacca la vena da ogni parte finche essa è tutta aperta alla vista. Quando è visibile, la vedrai di color rosso porpora (rosso scuro), e quando è liberata dalla pelle la vedrai come se fosse una corda. Allora introduci sotto di essa un bastoncino, finché, quando si è sollevata ed è uscita dalla pelle, la agganci con un uncino spuntato e levigato. Poi, vicino a quella incisione, fai un’altra incisione ad una distanza di tre dita, e distacca la pelle dalla vena finché diviene visibile. Poi sollevala con il bastoncino come hai fatto in precedenza, e agganciala con un altro uncino come hai fatto prima. Poi fai un’altra incisione o diverse altre, se ne hai bisogno.  61_10_2Poi estrai la vena e tagliala all’altezza dell’incisione più bassa, presso la caviglia, poi tirala ed estraila (tirala fuori) finché emerge dalla seconda incisione. Poi tirala verso l’incisione che è sopra di essa. Fa’ questo finché la tiri dalla terza incisione, che è al di sopra di tutte le altre, finché è uscita tutta: allora taglia. Se non risponde ai tuoi tentativi di tirare e di estrarre, infila in un ago un filo forte e doppio, legala e tirala; introduci sotto di essa il bastoncino e gira con esso la tua mano in ogni direzione finché viene fuori; ma sta attento che non si rompa, perché se si rompe, l’estrazione totale ti sarà molto difficile e da ciò verrà un danno al paziente. Quando hai finito (l’hai estratta tutta), applica alle incisioni lana imbevuta in uno šarāb (it. => sciroppo) e in olio di rose, o in olio [di oliva], e curalo (il paziente) finché si sarà ristabilito…

4. Il trattamento della dislocazione del ginocchio (Ibidem  30.3. 32, p. 828-9).

La dislocazione del ginocchio può essere di tre tipi: verso l’interno, verso l’esterno e verso il basso, cioè posteriore. Non c’è mai dislocazione anteriore. Per sapere se vi è dislocazione, ordina [lett.: il segno della dislocazione è che tu ordini] al paziente di flettere la gamba verso la coscia: se non raggiunge (riesce a raggiungere) la coscia, sappi che il ginocchio è dislocato. Il modo di mettere a posto tutti i tipi di dislocazione del ginocchio è far sedere il paziente con entrambe le gambe distese, se può, con un assistente che siede dietro di lui per tenerlo per la vita e lo tenga un po’ inclinato all’indietro. Poi tu devi sederti sulle sue cosce con la tua schiena rivolta verso la sua fronte e mettere la sua gamba tra le tue; poi devi applicare le palme delle tue mani al suo ginocchio, e unirle insieme allacciando le dita; poi, con le palme, devi esercitare una forte pressione su entrambi i lati del suo ginocchio, mentre un altro assistente gli tira la gamba, finché il ginocchio torna al suo posto. Il segno che il ginocchio è tornato al suo posto è che la gamba può essere flessa indietro facilmente e senza impedimento. Poi applica ad esso (ginocchio) una benda; piega la gamba sulla coscia e fasciali insieme per tre o quattro giorni; poi scioglili. Dovrebbe camminare poco per alcuni giorni finché riguadagna le forze. Ma se non puoi effettuare la riduzione con questo metodo, applica una potente estensione  con le bende come descritto sopra per il trattamento dell’anca, finché torna a posto.

5. Addestramento delle levatrici su come trattare feti viventi quando non escono nel modo naturale (Ibidem, 30.2. 75, pp.  468-471).

Per cominciare, la levatrice deve sapere come avviene un travaglio normale. Tra i segni di questo, eccone alcuni. Se vedi che la donna sforza il suo addome e desidera respirare più aria e le doglie le vengono facilmente ed essa si affretta a spingere fuori il bambino, da questo tu sai che il travaglio seguirà un corso normale e che si presenterà la testa con la placenta o insieme con il bambino oppure attaccata al cordone ombelicale. E quando osservi questi segni sarà necessario spingere sull’addome per fare uscire rapidamente il bambino. Perché quando si presenta di testa la placenta viene giù con essa ed essa (la partoriente) è subito liberata da queste superfluità.

Ma un parto che è contrario a questo è innaturale e sbagliato. A volte il bambino è partorito dai piedi, o dalle mani, prima che dalla testa o dai piedi, o una singola mano o piede, oppure la testa viene insieme con un piede. Oppure viene fuori tutto contorto,  mostrando per primo la nuca del collo, o in altre posizioni sbagliate. Così la levatrice deve avere sapienza e destrezza ed essere accorta in tutti questi casi e guardarsi da insuccessi ed errori. Io spiegherò la tecnica da seguire in questi tipi di parto  in modo che essa possa essere istruita e informata di tutti.

Quando il feto viene fuori dalla testa nel modo normale e tuttavia vedi che il parto è di grande difficoltà per la donna, e vedi che le sue forze stanno venendo meno, allora falla sedere su una sedia, tienila saldamente  e fomenta il suo grembo in un decotto di fienogreco e olii blandi. Poi la levatrice dovrebbe tenere tra due dita un piccolo scalpello e praticare una incisione nella membrana fetale, o aprirla con l’unghia del dito per permettere alle acque contenute di scorrere via; ed esercitare una pressione sull’addome della donna finché il feto viene fuori. Ma se non uscirà allora la donna dovebbe ricevere un clistere di mucillagine di fienogreco con olio di sesamo. Poi dopo il clistere, ordinale di premere e con ptarmica stimolala a starnutire; chiudile la bocca ed il naso per un attimo e il feto verrà fuori alla svelta.

Se si presentano le mani del feto, dovresti lentamente e gentilmente spingerle indietro, e se non vanno indietro, allora metti la donna su di una sedia con i piedi alzati, e intanto muovi la sedia; ma la donna dovrebbe essere tenuta durante il movimento perché non cada. Ma se le mani non vanno indietro e il feto è morto, tagliale (le mani) e tira fuori quel che rimane. Oppure lega dei nastri alle mani e tirale fuori con calma, e verrà fuori.

Presentazione podalica: quanto il feto si presenta con  i piedi, per prima cosa tu dovresti alzarli entrambi, poi dovresti molto gentilmente girare il feto in modo da raddrizzarlo. Poi prendi uno dei piedi e tiralo gentilmente. Quando vengono fuori fino alle anche, ordinale di premere, falla starnutire con ptarmica,  e verrà fuori. Ma se non verrà fuori con questi mezzi che abbiamo descritto, dovresti rigirare gentilmente il feto finché lo avrai posto nella posizione naturale; allora verrà fuori facilmente.

Ma se sfida tutto ciò che abbiamo descritto, prendi mucillagine di altea, fienogreco, olio di sesamo e gomma disciolta,  pestali bene insieme nel mortaio e ungi i genitali della donna e la parte bassa del suo addome, poi falla sedere in acqua calda fino alle costole. E quando vedi che le parti basse sono ammorbidite, fa una supposta di mirra e fagliela mettere, e quando ha preso la supposta, in un attimo falla starnutire, chiudendole il naso e la bocca, e premi gentilmente sull’addome; allora il feto emergerà immediatamente… 

Nonostante il ruolo di primo piano che gli è riconosciuto nella storia della medicina, il Taṣrīf  è forse ancora troppo poco indagato; ciò può dipendere anche dal fatto che dei suoi manoscritti molti non contengono l’intera opera, ma solo, come spesso avveniva in questi casi, singole parti copiate dagli interessati, e non sempre in bella scrittura. Dopo la prima traduzione in un lingua moderna europea, pubblicata da Leclerc nel 186120, alcuni studi rilevanti sono stati tuttavia effettuati sia nell’ambito di storie generali della medicina e della chirurgia che in ricerche dedicate specificamente a Zahrāwī21.  Altri studi condotti su trattati del Taṣrīf che precedono il trentesimo22, e in particolare su sezioni dedicate alla farmacologia23, costituiscono recenti e interessanti aperture volte a riconoscere il valore di al-Zahrāwī oltre che come chirurgo e come internista, come membro di spicco della comunità scientifica e della società musulmana di Spagna degli inizi dell’XI  secolo.

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Cyrurgia Albucasis 30.2.36, in: Guy de Chauliac, Cyrurgia parva…, Venetiis 1500, ff. 6r – 42v, f. 17r: a destra gli strumenti utilizzati nella tonsillectomia, a sinistra la legatura  dei denti instabili.

 

Bibliografia

1) Albucasis, On surgery and instruments. A definitive edition of the arabic text with english translation and commentary, M.S. Spink G.L. Lewis edd., Berkeley Los Angeles, University of California Press, 1973.

2) Champier S., Arnaldi Vita, in: Arnaldi de Villanova medici acutissimi opera nuperrime revisa…, Lyon, G. Huyon, 1520.

3) Chavoushi S.H., Surgery for gynecomastia in the Islamic Golden Age: al-Taṣrīf of al-Zahrawi (936-1013 AD), ISRN Surgery 2012 (2012), Article ID 934965, 5 pages (http://dx.doi.org/10.5402/2012/934965).

4) Donaldson I.M.L., The Cyrurgia of Albucasis and others works, 1500, J Roy Coll Phys Edimbugh 41.1 (2011), pp. 85-89.

5) Hamarneh S.K., al-Zahrāwī, in: Dictionary of Scientific Biography, C.C. Gillispie ed., XIV, New York, C. Scribner’s Sons, 1976, pp. 584-5.

6) Hamarneh S.K. G. Sonnedecker, A pharmaceutical view of Abulcasis al-Zahrāwī in Moorish Spain, Leiden, Brill, 1963.

7) Ibn Abī Uṣaibi‘a, ‘Uyūn al-anbā fī abaqāt al-aibbā, vv 2., al-Qāhira, al-maṭba‘at al-wahhabīya,1882.

8) Ibn al-῾Awwām al-Išbīlī, Le livre de l’agriculture, trad. fr. J.J. Clement Mullet, vv. 3, Tunis, Bouslama, 1983 (I ed. Paris, Librairie A. Frank, 1864-1866).

9) Ibn al-Baiṭār, al-Ğāmi‘ li-mufradāt al-adwiya wa al-aghdhiya, vv. 4 in tt. 2, [al-Qāhira], Dār al-Madīna, [1874].

10) Ibn Futūḥ al-Ḥumaidī, Ğadhwat al-muqtabis, ed. M. b. T. al-Tanjī, al-Qāhira, Maktab nashr al-thaqāfat al-islāmīya, [1953].

11) Issa Bey A., Histoire des bimaristans (hôpitaux) à l’epoque islamique, Le Caire, Imprimerie Paul Barbey, 1928.

12) Kaadan A.N. M. Angrini, Who discovered hemophilia?, J Int Soc History Islamic Med 8-9 / 15-16-17-18 (2009-2010), pp. 46-50.

13) Leclerc L., Histoire de la médecine arabe, vv. 2, Paris, E. Leroux, 1876, I, pp. 437-457 (rist. anast. Rabat, Ministère des habous et des affaires islamiques Royaume du Maroc, 1980).

14) Leclerc L., La Chirurgie d’Abulcasis, Paris, J.-B. Baillière,1861.

15) Leo Africanus (attribuito a), De viris quibusdam illustribus apud Arabes, in: J.H. Hottinger, Bibliothecarius quadripartitus, Tiguri, M. Stauffacher, 1664.

16) Maqqarī al-, Analectes sur l’histoire et la littérature des arabes d’Espagne, R. Dozy et al. edd., tt. 2, Amsterdam, Oriental Press, 1967.

17) Rogerius Salernitanus. Chirurgia  Magistri Rogerii, in: Collectio Salernitana II, Napoli, Sebezio, 1853 (rist. anast. Napoli, D’Auria, 2001).

18) Savage-Smith E., al-Zahrāwī, in The Encyclopaedia of Islam. New Edition, XI, Leiden, Brill, 2002, pp. 398-399.

19) Savage-Smith E., Médecine, in: Histoire des sciences arabes, sous la direction de R. Rashed, III. Technologie, alchimie et sciences de la vie, Paris, Seuil, 1997.

20) Turgut M., Surgical scalpel used in the tratment of “infantile hydrocephalus” by Al Zahrawi (936-1013 A.D.), Child Nerv Syst, 25.9 (2009), pp. 1043-1044.

21) Zahrāwī al-, Un tratado de estética y cosmética en Abulcasis, tr. L. M. Arvide Cambra, [Granada], Grupo editorial universitario, 2010.

22) Zahrāwī al-, Tratado de pastillas medicinales según Abulcasis, tr. L. M. Arvide Cambra, Almeria, Universidad de Almeria, 1996.

23) Zahrāwī al-, Un tratado de odontoestomatología en Abulcasis, tr. L. M. Arvide Cambra, Almeria, Universidad de Almeria, 2003.

24) Zahrāwī al-, Un Tratado de oftalmología en Abulcasis, tr. L. M. Arvide Cambra, Almeria, Universidad de Almeria, 2000.

25) Zahrāwī al-, Un tratado de polvos medicinales en al-Zahrāwī, tr. L. M. Arvide Cambra, Almeria, Universidad de Almeria, 1994.

26) Zanobio B., Fabrici, Girolamo, in: Dictionary of Scientific Biography, C.C. Gillispie ed., IV, New York, C. Scribner’s Sons, 1971, pp. 507-512.

Cita questo articolo

Carusi P., Il libro per chi fa a meno dei (degli altri) libri di Abū’l-Qāsim Khalaf ibn ‘Abbās al-Zahrāwī, Medicina e Chirurgia, 61: 2753-2759, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-8

  1. E. Savage-Smith, Médecine, in Histoire des sciences arabes, sous la direction de R. Rashed, III. Technologie, alchimie et sciences de la vie, Paris, Seuil, 1997, pp. 155-212, in particolare pp. 197-203. Si noti tuttavia che nel Medioevo, data la più o meno totale assenza di ogni idea di specializzazione, è praticamente impossibile incontrare medici che siano esclusivamente oculisti o chirurghi; si tratta, in genere, di esperti di medicina generale che dedicano una parte importante del loro lavoro all’oculistica o alla chirurgia []
  2. Illustrazioni che mostrano diversi tipi di interventi (emorroidi, dislocazioni, odontoiatria), e tavole anatomiche tratte da manoscritti sono mostrate in S.H. Nasr, Islamic Science. An Illustrated Study, [London], World of Islam Festival Publishing Company Ltd, 1976, Chapter VIII. Medicine and Pharmacology, pp. 153-192. In al-Jazarī, The book of knowledge of ingenious mechanical devices, transl.  D.R. Hill, Dordrecht, Reidel, 1974, tra i diversi congegni rappresentati in figura e di cui è spiegato il funzionamento, c’è anche (p. 77) un apparecchio per flebotomia, utilizzato per misurare la quantità di sangue che si preleva. []
  3. Su al-Zahrāwī, la sua biografia e la sua opera la nostra prima fonte è Albucasis, On surgery and instruments. A definitive edition of the arabic text with english translation and commentary, M.S. Spink G.L. Lewis edd., Berkeley Los Angeles, University of California Press, 1973.  Si vedano anche: L. Leclerc, Histoire de la médecine arabe, vv. 2, Paris, E. Leroux, 1876, I, pp. 437-457 (rist. anast. Rabat, Ministère des habous et des affaires islamiques Royaume du Maroc, 1980); S.K. Hamarneh G. Sonnedecker, A pharmaceutical view of Abulcasis al-Zahrāwī in Moorish Spain, Leiden, Brill, 1963; S. Hamarneh, al-Zahrāwī, in Dictionary of Scientific Biography, C.C. Gillispie ed., XIV, New York, C. Scribner’s Sons, 1976, pp. 584-5 ; E. Savage-Smith, al-Zahrāwī,  in The Encyclopaedia of Islam. New Edition, XI, Leiden, Brill, 2002, pp. 398-399. []
  4. Cfr. Hamarneh Sonnedecker, op. cit.3, p. 17. []
  5. Questa data è ritenuta probabile anche da Spink e Lewis, op.cit.3, p. VII; v. anche Hamarneh Sonnedecker, op. cit.3, pp. 18-22, 22. Leo Africanus (attribuito a), De viris quibusdam illustribus apud Arabes (completato nel 1527), in  J.H. Hottinger, Bibliothecarius quadripartitus, Tiguri, M. Stauffacher, 1664, p. 256. []
  6. Scrivono di lui, tra gli altri, ma solo in brevi citazioni, Ibn Ḥazm (m. 1064), Ibn Futūḥ al-Ḥumaidī (m. 1095), che di lui cita ciò che ha scritto Ibn Ḥazm, e Ibn Abī Uṣaibi‘a (m. 1270). Ibn Ḥazm, Risāla  fī faḍā’il ahl al-andalus, riportata per intero in al-Maqqarī, Analectes sur l’histoire et la littérature des arabes d’Espagne, R. Dozy et al. edd., tt. 2, Amsterdam, Oriental Press, 1967, II, p. 109 sgg. (la citazione di al-Zahrāwī si trova a p. 119; a p. 125, in ciò che Ibn Sa‘īd al-Maghribī aggiunge alla Risāla  di Ibn Ḥazm, e che al-Maqqarī puntualmente riporta, al-Zahrāwī è citato come fonte del grande farmacologo Ibn al-Baiṭār); Ibn Futūḥ al-Ḥumaidī, Ğadhwat al-muqtabis, ed. M. b. T. al-Tanğī, al-Qāhira, Maktab nashr al-thaqāfat al-islāmīya, [1953], p. 195, n. 421; Ibn Abī Uṣaibi‘a, ‘Uyūn al-anbā’ fī ṭabaqāt al-aṭibbā’,  vv 2., al-Qāhira, al-maṭba‘at al-wahhabīya,1882, II, p. 52. []
  7. Sugli ospedali islamici e il loro funzionamento è ancora utile: A. Issa Bey, Histoire des bimaristans (hôpitaux) à l’epoque islamique, Le Caire,  Imprimerie Paul Barbey, 1928. []
  8. Albucasis, On surgery…, op. cit.3.  Questo titolo ha creato molte difficoltà ai traduttori, ma nell’introduzione al Taṣrīf  lo stesso al-Zahrāwī ne spiega chiaramente il significato: si tratta di un libro che può essere utile al medico in molti modi, al punto che chi lo conosce può fare a meno degli altri libri (Hamarneh Sonnedecker, op. cit.3, pp. 36-7). []
  9. Posizione in cui la partoriente è distesa sulla schiena con le gambe che pendono dal letto. []
  10. M. Turgut, Surgical scalpel used in the tratment of “infantile hydrocephalus” by Al Zahrawi (936-1013 A.D.), Child’s Nervous System, 25.9 (2009), pp. 1043-1044. []
  11. Cfr. A.N. Kaadan M. Angrini, Who discovered hemophilia?, Journal of the International Society for the History of Islamic Medicine 8-9 / 15-16-17-18 (2009-2010), pp. 46-50. []
  12. Possiamo qui ricordare un altro grande medico, Avicenna, che tra le conoscenze necessarie del medico include anche la musica, indispensabile, scrive nel Canone, per il medico che voglia comprendere la pulsazione: dove la frequenza della pulsazione corrisponde, nella musica, al ritmo, e la durezza della vena al volume del suono. []
  13. Rogerio Frugardi (Rogerius Salernitanus) scrive intorno al 1170 un importante trattato dal titolo Practica Chirurgiae, noto anche come Chirurgia  Magistri RogeriiChirurgia  Magistri Rogerii, in Collectio Salernitana  II, Napoli, Sebezio, 1853 (rist. anast. Napoli, D’Auria, 2001). []
  14. La sua Chirurgia, che può essere considerata quasi come un commento di quella del suo maestro,  anche se non sempre del tutto concorde, è ristampata più volte, a partire dal 1498 (edizioni successive: 1499, 1516, 1519, 1541); le prime volte con Guy de Chauliac, la quinta volta, nel 1541, con Albucasis. []
  15. Nella sua Vita di Arnaldo, premessa all’edizione dell’Opera omnia pubblicata a Lione nel 1520 (Arnaldi de Villanova medici acutissimi opera nuperrime revisa…, Lyon, G. Huyon, 1520), S. Champier ricorda la conoscenza che Arnaldo ebbe della lingua araba e le traduzioni da lui effettuate da questa lingua (cita in particolare il De viribus cordis di Avicenna). []
  16. Chirurgo francese (c. 1300-1368), medico, ad Avignone, del Papa Clemente VI e di due suoi successori. Nella sua Cyrurgia magna (1363), opera usata come manuale di medicina per circa 300 anni, al-Zahrāwī è da lui indicato tra le sue fonti, e citato, anche letteralmente, più di 200 volte. In tre edizioni a stampa realizzate a Venezia negli anni 1497, 1499 e 1500, il suo trattato Cyrurgia parva  viaggia insieme alla Cyrurgia di al-Zahrāwī (traduzione latina di Gerardo da Cremona). []
  17. B. Zanobio, Fabrici, Girolamo, in Dictionary of Scientific Biography,  C.C. Gillispie ed., IV,  New York, C. Scribner’s Sons, 1971, pp. 507-512. []
  18. Leclerc, Histoire…, op. cit.3, II, p. 94. []
  19. La vena ancor oggi detta ‘basilica’ è la vena principale del braccio che corre verso l’ascella. Si noti qui l’utilizzazione del termine greco: basilik» = reale, è il nome di questa vena già nella medicina antica. []
  20. L. Leclerc, La Chirurgie d’Abulcasis, Paris, J.-B. Baillière,1861. []
  21. Segnaliamo qui due articoli apparsi recentemente su riviste pubblicate in rete in ambienti scientifici:  I.M.L. Donaldson, The Cyrurgia of Albucasis and others works, 1500, Journal of the Royal College of Physicians of Edinburgh 41.1 (2011), pp. 85-89.  S.H. Chavoushi, Surgery for gynecomastia in the Islamic Golden Age: al-Taṣrīf of al-Zahrawi (936-1013 AD), ISRN Surgery 2012 (2012), Article ID 934965, 5 pages (http://dx.doi.org/10.5402/2012/934965). []
  22. al-Zahrāwī,  Un tratado de estética y cosmética en Abulcasis, tr. L. M. Arvide Cambra, [Granada], Grupo editorial universitario, 2010. Della stessa studiosa: al-Zahrāwī, Un tratado de polvos medicinales en al-Zahrāwī,  Almeria, Universidad de Almeria, 1994; Tratado de pastillas medicinales según Abulcasis, Almeria, Universidad de Almeria, 1996; Un Tratado de oftalmología en Abulcasis, Almeria, Universidad de Almeria, 2000; Un tratado de odontoestomatología en Abulcasis, Almeria, Universidad de Almeria, 2003. []
  23. Cfr. in particolare Hamarneh Sonnedecker, op. cit.3.  Nel Taṣrīf , tra i libri e le sezioni dedicati alla farmacologia – le indicazioni farmacologiche sono disseminate in libri diversi – il libro 28, sulla preparazione dei semplici, è tradotto in latino, alla fine del XIII secolo, dall’ebreo Abraham Judaeus da Tortosa e da Simone da Genova, con il titolo Liber servitoris,  e più tardi  è stampato più volte, a partire dal 1471. Citazioni di preparazioni farmacologiche tratte dal Taṣrīf  si trovano, nei testi arabi, in due importanti trattati dedicati il primo a botanica e agricoltura, e il secondo alla farmacologia: Ibn al-‘Awwām e Ibn al-Baiṭār. Ibn al-῾Awwām al-Išbīlī, Le livre de l’agriculture, trad. fr. J.J. Clement Mullet, vv. 3, Tunis, Bouslama, 1983 (I ed. Paris, Librairie A. Frank, 1864-1866), Article 4, p. 797 sgg. (acqua di rose); Ibn al-Baiṭār, al-Ğāmi‘  li-mufradāt al-adwiya wa al-aghdhiya, vv. 4 in tt. 2, [al-Qāhira], Dār al-Madīna, [1874], I, pt. 2, p. 109 sg. (olio di mattoni). []

La scuola internistica di Alessandro Beretta Anguissolan.61, 2014, pp.2760-2762

Alessandro Beretta Anguissola nacque a Travo (Piacenza) il 22 Dicembre 1913. Compì gli studi classici a Firenze ove si laureò nel 1936, non ancora ventitreenne, con il Prof. Pio Bastai che seguì, nel 1939, come giovane assistente alla Clinica Medica di Padova. Crebbe scientificamente, insieme al Prof. Gino Patrassi, nell’ateneo patavino sino al 1950 quando seguì il Maestro Bastai alla Clinica Medica di Torino. Nel 1951 vinse la cattedra di Patologia Medica di Sassari dove fu raggiunto da Gian Franco Dal Santo e da Francesco Saverio Feruglio dando così il via alla creazione della Scuola. Quando poi nel 1956 venne chiamato a dirigere la Patologia Medica di Perugia si trasferì nel capoluogo umbro con al seguito gli  allievi sassaresi Salvatore Campus, Giuseppe Pino e Baingio Migheli. Nel trasferimento successivo del 1959 alla Patologia Medica di Torino lo seguirono anche Carlo De Martinis, Livio Chiandussi e Franco Pupita. Il gruppo che arrivava quindi a Torino, già consistente come numero e decisamente valido per potenzialità, si arricchiva innanzitutto di alcune personalità cliniche già presenti ed appartenenti alla scuola di Giulio Cesare Dogliotti come Vincenzo Prato, Vinicio Nazzi, Dario Indovina, Giorgio Bert e Guglielmo Pandolfo. Nel giro di pochissimi anni poi si inserirono  altri giovani,  sia provenienti da altre università italiane, come Ettore Bartoli, Renato Lauro, Piero Zardini e  Paolo Russo, e sia neolaureati “torinesi” come Fabrizio Fabris, Domenico Fonzo, Eugenio Uslenghi, Alessandro Rappelli, Valerio Gai e Lucetta Gastaldi solo per citarne alcuni fra quelli che assistettero sin dall’inizio al formarsi del “gruppo”. Dopo essere stato Preside della Facoltà di Medicina e membro del Consiglio del CNR, nel 1972 il Prof. Beretta Anguissola fu chiamato a Roma alla IIa Clinica Medica sino ad allora diretta dal Prof. Cataldo Cassano dal quale ereditò gli allievi essendo stato seguìto a Roma, degli allievi torinesi, soltanto da Renato Lauro. Oltre ad essere stato Presidente della Società Italiana di Medicina Interna, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Presidente dell’Istituto di Medicina Sociale, il Prof. Beretta Anguissola diresse la 2° Clinica Medica fino al 1984, quando fu collocato fuori ruolo. Egli, tuttavia, continuò a seguire le problematiche universitarie e sanitarie nazionali nonchè quelle dei suoi allievi sino alla morte che lo colse a Fano nel Luglio del 2002.

La  Scuola del Prof. Beretta Anguissola ha avuto ed ha tuttora una connotazione scientifica in larga misura orientata alle malattie cardiovascolari ed endocrino metaboliche. Già durante il periodo perugino il Prof. Beretta diede alle stampe il volume “Malattie dell’apparato cardiocircolatorio” e nei primi anni del periodo torinese l’impegno scientifico dell’Istituto di Patologia Medica fu condensato nella Relazione “Fisiologia della circolazione viscerale distrettuale” al 64° Congresso della Società Italiana di Medicina Interna. Ma fu proprio a Torino che l’Istituto di Patologia Medica vide nascere e svilupparsi numerosi gruppi di ricerca nei vari campi della Medicina Interna: il filone gerontologico-geriatrico con Francesco Saverio Feruglio poi seguito da Fabrizio Fabris, Mario Molaschi e Carmine Macchione; quello endocrino metabolico con Carlo De Martinis, Renato Lauro, Domenico Fonzo e Renato Doglio, quello ematologico con Vincenzo Prato, Umberto Mazza ed Eugenio Gallo, quello nefrologico con Franco Pupita ed Ettore Bartoli, quello di immunologia clinica con Giorgio Bert, Anna Massaro e Donatella Lajolo, quello pneumologico con Giuseppe Pino, Ambrogio Chiesa, Luigi Balbi, Giuliano Ciappi ed Alessandro Dolcetti, quello epatologico con Livio Chiandussi, Luigi Cesano, Gianfranco Sardi  e successivamente Mario Rizzetto ed infine nell’ambito cardiovascolare la creazione di una delle prime Unità Coronariche in Italia affidata a Salvatore Campus e successivamente a Piero Zardini ed il contributo alla nascita e crescita della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa da parte di Salvatore Campus e Alessandro Rappelli a loro volta seguiti poi da Nicola Glorioso, Paolo Dessì Fulgheri, Paolo Madeddu, Riccardo Sarzani, Franco Veglio, Paolo Mulatero e Leonardo Sechi per citare i più conosciuti anche a livello internazionale.

Dal primo nucleo di allievi arricchito da quelli torinesi è iniziata all’inizio degli anni ’70 la ramificazione della Scuola  con gli insediamenti accademici di Feruglio prima a Torino e poi a Trieste, di De Martinis e Russo ad Ancona di Campus a Sassari dove si affermarono anche Rappelli, Chiandussi e Bartoli, Zardini in cardiologia a Verona ed il trasferimento del Professor Beretta a Roma con Lauro. Negli anni ’80 poi, dopo il collocamento fuori ruolo del Maestro, ci furono vari spostamenti di De Martinis a Roma, Chiandussi a Torino, Rappelli ad Ancona e Bartoli ad Udine e successivamente a Novara. Nel frattempo altri allievi raggiungevano l’ordinariato come FabrizioFabris in Geriatria, Mario Rizzetto in gastroenterologia, Umberto Mazza in ematologia a Torino, Lauro a Roma ove divenne prima Preside e poi Rettore a Tor Vergata. Numerosi poi gli allievi di seconda generazione che hanno raggiunto posizioni accademiche di vertice nelle varie sedi. La figura che rappresenta l’albero genealogico della Scuola riporta, per ragioni di spazio,  solo i nominativi dei professori di prima fascia ma molti sono quelli di seconda fascia nonché i primari ospedalieri che costituiscono una grande famiglia che ha contribuito significativamente all’affermazione della Medicina Interna e delle sue branche in Italia e all’estero.

Il Prof. Beretta Anguissola era una personalità ricca di fascino, sicuro, sorridente, elegante nel tratto, nel portamento, nel porgersi agli altri, nell’incedere, nel gestire, nobile nel portamento, nel distacco che lasciava trapelare, senza volerlo, un senso di superiorità vissuta con leggerezza, senza pompa o prosopopea, con un modo di fare che induceva rispetto. Le sue lezioni di Patologia Medica erano sempre affollatissime e seguitissime per la chiarezza espositiva e per la capacità di collegare la fisiopatologia con la spiegazione dei segni e sintomi in una visione clinica moderna e ragionata.

Sua grande passione e motivazione era poi la Ricerca Scientifica, l’Istituto inteso come promozione della Scienza e della formazione. Vide immediatamente la discrepanza fra i dati, originali e innovativi, ottenuti sul circolo coronarico, e la limitatezza della loro diffusione, che avveniva prevalentemente a livello nazionale. Capì lucidamente come fosse urgente la transizione verso l’Inglese, il nuovo latino scientifico. Perciò, incoraggiò ed aiutò gli allievi ad andare in Inghilterra e negli Stati Uniti, per poter operare il salto di qualità verso la proiezione internazionale della Ricerca. Fu così che Chiandussi, Campus, Zardini, Rappelli, Chiesa, Cesano, Fonzo, Sardi, Gallo, Lauro, Rizzetto, e tanti altri andarono all’estero e riuscirono ad imprimere la svolta voluta dal Maestro al loro ritorno in Istituto, che si affacciò quindi al palcoscenico della Ricerca Internazionale.

In corsia sapeva mettere i malati a proprio agio e conquistarne la fiducia dimostrando che i pazienti non vogliono parolone, spiegazioni tecniche, statistiche, probabilità, cercano un Medico del quale avere fiducia, e questa uno se la gioca nei primi due minuti del contatto. Il Prof. Beretta questa consapevolezza la aveva innata, e in due minuti sapeva conquistare la fiducia, la stima, il rispetto del paziente. Non cercava diagnosi astruse o improbabili per stupire, ma atteggiamenti concreti che aiutavano.

La Sua vera opera, di Docente, di Medico, di Ricercatore, di Manager della Ricerca e del progresso, si svolse a Torino.

Fu a Torino che impostò lucidamente un progetto e lo perseguì, controcorrente, tra i contrasti, con una serenità che simulava un apparente distacco, mentre nascondeva, perché irrituali in un aristocratico, le virtù contadine: la tenacia, la convinzione, la continuità, la costanza con cui portava avanti il suo progetto, forte della fede nel progresso, nella convinzione di poter migliorare uomini e cose tramite l’educazione, la ricerca, l’intelletto, la pietas intesa come umanità verso i malati. Non si lasciò mai scoraggiare dalle avversità, perché era terribilmente realista, perseguiva obiettivi e tappe raggiungibili, e non mollava finché non le avesse raggiunte, senza farsele più scappare. Sapeva coniugare il sogno con obiettivi realisticamente conseguibili, con praticità e prammatismo. Vedeva lucidamente il percorso, e lo seguiva rispettandone le tappe e le scadenze.

Se ne andò da Torino, dove aveva dato tutto, perché colpito nell’autostima, nella persona, nell’impegno che sentì degradato da una indagine insensata quanto violenta ed accanita, che finì, come doveva finire, nel fatto non sussiste.

A Roma ottenne gli onori tardivi della senescenza, la Presidenza del Consiglio Superiore di Sanità, dell’Istituto di Medicina Sociale, della Medicina Interna.

Ebbe gli attestati, i riconoscimenti, le croci da cavaliere.

Il Professore non ebbe figli. I figli di Beretta sono stati i suoi allievi. Ha voluto bene loro come un padre, come un padre li ha motivati, educati alla Scienza ed alla professione, li ha aiutati, indirizzati, incoraggiati, temprati alla tenacia, all’impegno, alla intellettualità, allo studio, all’intraprendere un percorso, a seguire un disegno, prefigurarsi obiettivi che avessero valore per sé, per la comunità, per la patria, per il malato, per le generazioni a seguire.

Come un padre, quando furono maturi, li fece camminare con le loro gambe, perché scegliessero la loro strada e la percorressero liberamente.

Come tutte le persone veramente intelligenti, non tenne mai alcuno al guinzaglio, certo della superiorità della libertà.

Ha creato una Scuola, una Scuola medica, un percorso scientifico comune fatto di percorsi individuali convergenti nel valore comune della ricerca, dell’innovazione e del futuro.

Questa Scuola ha impresso soprattutto a Torino l’orma lasciata dal Maestro, ne ha seguito la traccia, ed ha fatto parte attiva del tessuto sociale delle città ove è stata presente con Ricercatori, Primari, Docenti, professionisti che hanno contribuito al progresso ed all’affermazione della Scienza e della Sanità ed ha lasciato testimonianze, idee, risultati, contributi in campo nazionale ed  internazionale, dove hanno ottenuto riconoscimenti e attenzione.

Il maestro ebbe fede nella vita, nel progresso, nella Scienza, nell’uomo, ed i suoi allievi hanno continuato quella fede e quell’impegno, che seguirà in altri, che manterranno viva la curiosità intellettuale, il piacere di migliorarsi, di sacrificarsi, di credere nel perfettibile, di avere un fine, di volere che l’individuo, la nazione, l’uomo avanzino intellettualmente.

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Il Corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Riflessioni e prospettive sul percorso formativo e sulla figura del laureato magistralen.61, 2014, pp.2747-2752, DOI: 10.4487/medchir2014-61-7

Abstract

The current epidemiological situation suggests the need for major reflections to the Master of Science in Nursing and Midwifery (Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche). The curriculum of this Master of Science should integrate elements of the methodology of science useful to consolidate disciplinary knowledge. The intent is to offer professionals with a more solid cultural – scientific methodology to the society (magister).

The training should be developed in four areas: clinical care , organization, education and research. The advanced competences that must be developed in this training must be applied in management, education, research and clinical practice.

Articolo

La Commissione Nazionale dei Corsi di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche della prima classe (LM/SNT 1) ha avvertito l’esigenza di procedere ad una più puntuale e obiettiva definizione del laureato magistrale e ha avviato, costituendo un apposito gruppo di lavoro, un’articolata riflessione i cui risultati vengono di seguito proposti alla comunità nazionale.

Il documento presentato costituisce una prima sintesi ragionata delle riflessioni prodotte dal gruppo di lavoro e acquisite tramite un “documento di consenso” (inviato a tramite posta elettronica) in cui è stato richiesto, ai Presidenti e/o Coordinatori del corso di Laurea Magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche che hanno accettato di aderire al gruppo di lavoro, di esprimere il proprio livello di consenso, di esplicitare motivandole eventuali obiezioni, di suggerire integrazioni o perfezionamenti.

In quanto sintesi, il presente documento fornisce elementi e collegamenti utili per ulteriori approfondimenti che potranno costituire gli step di avvicinamento ad un sistema di riferimento nazionale per la predisposizione del core curriculum da parte dei singoli Atenei.

Il documento è stato articolato su sei nuclei tematici: Contesto di riferimento / Caratteristiche del percorso formativo/ Nuclei concettuali caratterizzanti il laureato magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche / Saperi di riferimento/Apprendimento tramite tirocinio / Prospettive e tendenze

Contesto di riferimento

L’attuale quadro epidemiologico1 individua un invecchiamento progressivo della popolazione con un aumento delle cronicità, implicando il rafforzamento e/o lo sviluppo di nuove forme di assistenza.

Nel sistema sanitario si può ipotizzare uno scenario caratterizzato dalla progressiva riduzione di posti letto negli ospedali per acuti2, dalla presenza e dallo sviluppo di strutture intermedie (come le strutture protette, i centri diurni, le residenze assistenziali, i centri riabilitativi, gli hospice, ed altri ancora) e dalla ridefinizione dell’organizzazione degli ospedali per intensità assistenziale e non più o solo per disciplina medica scientifica. Ciò comporta un ripensamento logico – infrastrutturale degli edifici, ma anche una ridefinizione dei rapporti tra le varie professioni sanitarie. Inoltre importanti spinte culturali, professionali e di razionalizzazione organizzativa prevedono la separazione del governo clinico dal governo dei servizi sugli aspetti logistici e dei fattori produttivi.

La definizione di percorsi per pazienti cronici, la necessità di risolvere i problemi in acuzie in tempi brevi, lo sviluppo di reti/servizi per gestire la post-acuzie determinano la necessità di nuove soluzioni organizzative atte a garantire il coordinamento tra i servizi e il case management interorganizzativo3. Lo sviluppo di strutture di raccordo tra ospedale e territorio, quali ad esempio il country hospital o l’ospedale di comunità, saranno soluzioni che potranno migliorare la gestione delle dimissioni insieme allo sviluppo delle cure primarie, che dovranno prevedere, oltre ai Medici di Medicina Generale e ai Pediatri di libera scelta, anche infermieri dedicati.

Altro aspetto che inciderà nel sistema sanitario è l’importante evoluzione delle tecnologie, che aumenteranno la complessità del sistema, ma che garantiranno anche lo sviluppo di modalità assistenziali innovative.

Inoltre nel prossimo futuro, si assisterà a una progressiva ridefinizione, per numero, tipologia, distribuzione e competenze, delle professioni sanitarie. In particolare, si fa riferimento a una riduzione del numero di medici4, alla re-definizione delle competenze, anche specialistiche, per gli infermieri5 e a una possibile revisione dei profili professionali e non (si fa riferimento, ad esempio, al prolungato dibattito in merito alla figura dell’infermiere pediatrico e dell’OSS specializzato).

Lo scenario sopra descritto e le numerose e differenziate esperienze condotte nella progettazione e gestione della Laurea prima Specialistica, ora Magistrale, in Scienze infermieristiche e Ostetriche, rendono urgente un dibattito e un confronto sia sulla figura del laureato magistrale sia sul bisogno di competenze professionali in generale e di governance in particolare.

Caratteristiche del percorso formativo

Una prima riflessione riguarda la ridenominazione della Laurea da “Specialistica” a “Magistrale”. Ciò induce una ridefinizione del percorso formativo in ragione di un approccio più disciplinare che professionale, caratterizzato più dal metodo e dal sapere scientifico che da competenze professionali specializzate.

Anche se la norma attuale6 sembra privilegiare gli aspetti di cultura del management, il percorso formativo della Laurea Magistrale dovrebbe integrare elementi di metodologia della scienza con riflessioni su dimensioni costitutive di un sapere multidimensionale trasversale, utile per consolidare un sapere disciplinare appropriato. L’intento è quello di offrire alla società, professionisti con una più solida formazione culturale scientifico-metodologica (magister), capaci di contestualizzarsi nei vari contesti di esercizio professionale con un approccio più robusto e innovativo.

Il nostro sistema formativo si caratterizza per:

– laurea triennale: abilitante all’esercizio di una professione;

– dottorato di ricerca: che fornisce la competenza necessaria per la produzione scientifica quale ambito di attività professionale primaria;

– altri percorsi di alta formazione, quali:

• master di I livello (escluso quello per il coordinamento che ha altre peculiarità), che fornisce competenze più elevate su casistica definita, spesso per ambiti clinici specialistici;

• master di II livello, che fornisce competenza elevata a soggetti già esperti di metodo (Laurea Magistrale) e di pratica professionale, per la gestione di casistica o di percorsi clinici complessi multiprofessionali con maggiore indipendenza di valutazione, giudizio e decisione anche nella attivazione di servizi e altri operatori.

Il percorso di Laurea Magistrale (che è requisito di accesso al dottorato e al master di secondo livello) dovrebbe fornire agli studenti teorie, chiavi di lettura disciplinari, modelli e metodi per leggere criticamente fenomeni, contestualizzati e non, per valutare livelli e interazioni di sistema necessari per assumere funzioni di responsabilità nel governo, nell’analisi e nella proposta migliorativa di processi e di servizi.

Una seconda riflessione sul percorso formativo deriva dall’abbinamento, esistente nella sua denominazione, tra “scienze infermieristiche e ostetriche”; fatto che presupporrebbe  l’esistenza di elementi comuni che superano  la distinzione di ruolo professionale tra infermiere e ostetrica. Il tema, però, è molto dibattuto: esiste un sapere scientifico-metodologico trasversale e comune oppure no? E ancora, tale sapere comune dovrebbe attestarsi a un livello disciplinare più elevato rispetto allo specifico sapere professionale di infermiere e di ostetrica? Se si, quanto e come il sapere professionale specifico dovrebbe essere incluso nel percorso di Laurea Magistrale?

A questo proposito si pensa che il percorso formativo dovrebbe focalizzarsi su:

– studio della dimensione disciplinare rispetto a quella professionale specifica del ruolo, perché scienza e metodologia trascendono i ruoli, anche se sono da essi utilizzate;

– sviluppo di metacompetenze applicate a varie fenomenologie;

– analisi delle problematiche che caratterizzano il bisogno nella popolazione, lo sviluppo dell’assistenza professionale, il miglioramento dell’organizzazione dei servizi di salute.

Una terza riflessione riguarda i requisiti di accesso al percorso formativo. Si ritiene che l’esperienza professionale post laurea triennale sarà un requisito di accesso complementare sempre meno presente. Infatti, la popolazione target sarà sempre più costituita da giovani neo-laureati che intendono mantenersi attivi nel completare il loro percorso formativo e da una quota di professionisti giovani con limitata esperienza sul campo. Ciò determinerà la necessità di rivedere le modalità della didattica adattandola agli stili di apprendimento delle nuove generazioni e alla mancanza di un substrato esperienziale.

Nuclei concettuali caratterizzanti il laureato magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche

I concetti-chiave che connotano il profilo culturale del laureato magistrale sono identificabili in:

a) Competenza “avanzata”. L’idea di una dimensione “avanzata” di competenza professionale si colloca nella visione di un sistema  di competenze professionali e/o metodologico-scientifiche stratificato su livelli progressivi e indipendenti.

La competenza “avanzata” non deve essere confusa con il concetto di competenza “esperta” (expertise) che, secondo Benner7, si sviluppa nella prassi con la riflessione sistematica sull’esperienza e che si caratterizza per alcune peculiari capacità: discriminativa della ridondanza informativa, di collegamento di insieme pur disponendo solo di elementi deboli, di formulazione di ipotesi interpretative iniziali con pochi dati e, infine, di ponderazioni di stima del rischio e del beneficio nella decisione clinica.

La competenza “avanzata”, invece, è di norma associata, nella letteratura internazionale, a un livello superiore, all’Advanced Practice Nursing, attributo di chi possiede un dominio più ampio della pratica e non riferibile solo alle capacità di un soggetto maturate con l’esercizio e la riflessione. La competenza avanzata supera il livello della prassi poiché mette in gioco modelli interpretativo-valutativi, metodologie di identificazione, di discriminazione, di decisione, di applicazione e di controllo acquisibili solo con una formazione ulteriore, strutturata, tutorata e con forti implicazioni ontologiche ed epistemologiche relative all’ambito culturale di riferimento e non solo alla sua prassi applicativa.

L’ICN nel 2002 ha distinto il Nurse Practitioner (NP), cioè il nostro infermiere con laurea triennale, dall’Advanced Practice Nurse (APN), definito come un infermiere abilitato che, avendo acquisito conoscenze a livello di esperto (expert knowledge based), manifesta anche capacità di prendere decisioni complesse e competenze cliniche per un esercizio professionale ampliato (expanded practice) nel proprio contesto nazionale8).

Secondo questa definizione la differenza tra un infermiere esperto e un infermiere con competenze avanzate sta nel grado di ampiezza, approfondimento, complessità con cui valutazioni, decisioni e azioni professionali sono poste in essere.

Il competente avanzato, in altri termini, fruisce di un’“espansione” delle proprie categorie mentali, delle dotazioni teoriche, delle chiavi di lettura del contesto e dei problemi. Espansione che gli consente, grazie anche al possesso di modelli interpretativi più sofisticati, di estendere l’ambito di interesse su molteplici fenomeni inerenti la salute, su variegati trattamenti e strategie di recupero di incapacità, su relazioni primarie e correlate in situazioni complesse in campo sanitario.

Il concetto di “espansione” non è, quindi, da confondere con quello di “estensione” che si riferisce, invece, all’esercizio di attività tradizionalmente attribuite ad altre professioni.

Un ulteriore riferimento per la definizione di “competenza avanzata” proviene dai Descrittori di Dublino del 2° ciclo, allorché fanno riferimento a:

– conoscenze e capacità di comprensione che ampliano e/o rafforzano quelle tipicamente associate al primo ciclo e che consentono di elaborare e/o applicare idee originali, spesso in un contesto di ricerca;

– applicazione di conoscenze, di capacità di comprensione e di abilità nel risolvere problemi a tematiche nuove o non familiari, inserite in contesti più ampi (o interdisciplinari) connessi al proprio settore di studio;

– integrazione di conoscenze e gestione di complessità, nonché formulazione di giudizi sulla base di informazioni limitate o incomplete, includendo la riflessione sulle responsabilità sociali ed etiche collegate all’applicazione delle conoscenze e dei giudizi.

Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba privilegiare, sulla base della migliore teoria disponibile, la riflessione critica per l’acquisizione di nuovi saperi e di maggior consapevolezza professionale, la coniugazione del metodo della scienza con l’idea divergente, con l’attitudine a problematizzare e a rivedere i propri punti di vista, così come richiesto a futuri leader professionali, dirigenti di servizi, cultori della disciplina.

Il precedente distinguo posto tra “avanzato” ed “esperto” pone, però, un ulteriore problema di efficacia formativa allorché uno studente accede alla Laurea Magistrale senza un’esperienza professionale intermedia. Si ritiene che un ambito privilegiato entro il quale sia possibile avviare lo sviluppo di tale competenza sia quello del tirocinio che va concepito non in termini di tirocinio esperienziale o, meno ancora, osservativo, ma come percorso progettuale/di ricerca accompagnato da un robusto sistema tutoriale in grado di personalizzare le condizioni e gli obiettivi di apprendimento.

b) Complessità. La naturale evoluzione dei sistemi, sempre più caratterizzati da imprevedibilità e non linearità9, e l’evoluzione del pensiero e della scienza hanno introdotto con forza, negli ultimi decenni, il tema della complessità che induce ad affrontare la realtà con un pensiero multidimensionale ed esplorativo.

La sfida della complessità nella formazione rende inadeguati i nostri saperi disgiunti, poiché le singole discipline non sono più sufficienti per capire e affrontare la realtà.

Non solo, le vecchie ripartizioni e divisioni tra formazione, organizzazione, ricerca e pratica professionale, non reggono più alla prova dei fatti.

Alla luce di tali considerazioni si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba essere progettato in termini multidimensionali non limitandosi a una buona articolazione degli insegnamenti nei piani di studio ma anche prevedendo esperienze significative sul piano dell’analisi e della soluzione di problemi, della progettazione strategica e della ricerca, che integrano, giocoforza, diversi saperi. I metodi di insegnamento adottati devono privilegiare la scoperta, l’analisi e l’integrazione di saperi diversi, inducendo lo studente ad assumere un atteggiamento esplorativo, critico e propositivo.

c) Innovazione. L’innovazione è definita come l’apporto di nuove idee o l’applicazione delle idee attuali a una nuova situazione per  migliorare un servizio, un programma, una struttura, un prodotto, un sistema.

L’innovazione sostenibile, nel campo sociale e sanitario, è concepita con l’obiettivo di incidere, in modo non episodico, nella realtà, migliorandola stabilmente. Nei servizi sanitari, quindi, l’innovazione è rappresentata non tanto dalla miglior risposta assistenziale alla singola domanda di assistenza, fornita da un professionista esperto, quanto da un valore aggiunto nella qualità assistenziale, stabilmente mantenuto nel sistema considerato.

Alla luce di tali considerazioni si ritiene che il percorso formativo della Laurea Magistrale debba alimentare il pensiero divergente più che quello conformistico, l’atteggiamento di ricerca più che quello della riproduzione, l’umiltà scientifica più che l’arroganza dogmatica, la revisione critica più che il fatalismo.

Saperi di riferimento

Sembra sensato ritenere che nel percorso formativo magistrale si debba tendere con strutturale sistematicità allo sviluppo del sapere critico riflessivo, capace di collegare teorie, modelli e metodi nell’identificazione, problematizzazione e analisi dei fenomeni di interesse.

Si ritiene che le aree tematiche, organizzatrici dei saperi, possano essere:

a) ambito clinico-assistenziale

b) ambito organizzativo

c) ambito educativo-professionalizzante

d) ambito dell’indagine e della ricerca

Le quattro aree (Tab. 1) rappresentano contenitori di approfondimenti disciplinari che prevedono, anche il consolidamento di alcuni concetti fondamentali e trasversali riferibili a: competenza avanzata, complessità, innovazione, aver cura, assistenza infermieristica/ostetrica, persona assistita, autonomia.

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Apprendimento tramite tirocinio

Molte sono le possibilità esperienziali che le varie sedi formative hanno adottato per facilitare negli studenti lo sviluppo di competenze avanzate. Non è questo il luogo per procedere a una loro disamina complessiva. Si intende solo porre l’accento su un aspetto che favorisce la predisposizione di condizioni organizzative e di setting formativi necessari per attivare, nello studente, processi innovativi e per consentirgli la messa in gioco, in prima persona e direttamente sul campo, delle sue capacità relazionali e intellettuali: la messa a punto e sperimentazione di progetti rivolti alla gestione di situazioni problemiche reali o situazioni insoddisfacenti da migliorare relativamente a dimensioni di specifico interesse professionali.

Rimane comunque necessario prevedere anche ulteriori modalità e strategie didattiche con stage e laboratori di messa in prova e sperimentazione di abilità considerate essenziali nella determinazione della competenza finale di tale laureato.

Prospettive e tendenze

La competenza avanzata fornita dalla Laurea Magistrale dovrebbe trovare coerente applicazione nelle seguenti aree:

a) area clinico assistenziale

b) area dei processi organizzativi

c) area dei processi educativi e formativi

d) area della ricerca

a) area clinico-assistenziale: il laureato magistrale deve sapersi inserire nella clinica, in rapporto soprattutto alla complessità di pazienti pluripatologici, instabili e cronici, utilizzando aree della competenza avanzata, clinica, organizzativa – per gestire la rete di servizi necessari ai gruppi di utenti e alle loro famiglie o care giver – e relazionale per entrare nelle dinamiche interprofessionali. La sua capacità di connettere le varie componenti dei processi clinico assistenziali complessi con i processi organizzativi e professionali necessari alla gestione degli stessi, lo pone in grado di adottare modelli di gestione quali il Primary Nursing10,11,12 e il Case Management13. Affinché tali modelli possano essere applicati adeguatamente, è necessario che il professionista abbia già acquisito una solida competenza clinica e per il primo modello anche una buona capacità di pianificazione dell’assistenza infermieristica mentre per il secondo anche una capacità evidence based di gestire il percorso clinico – assistenziale del paziente.

Ma è anche necessario pensare a nuovi ambiti di esercizio professionale, oggi non esistenti, per i quali può essere necessaria la competenza di un laureato magistrale. Ad esempio: il follow up e l’educazione terapeutica di gruppi di pazienti e famigliari, il governo di percorsi assistenziali, la gestione delle dimissioni difficili e della continuità assistenziale, la gestione assistenziale di aree residenziali di cronicità, screening e campagne di prevenzione.

b) area organizzativa: il laureato magistrale già oggi può utilizzare le proprie competenze svolgendo attività organizzativo/gestionali apicali. E’, però, opportuno riflettere anche su nuove interpretazioni dell’apicalità, oltre a quelle tradizionali previste dalle attuali organizzazioni. Ad esempio:  responsabile infermieristico di dipartimento o della formazione o della ricerca in ambito aziendale; oppure ancora su un ambito più clinico: coordinamento e/o responsabile di processi o di percorsi assistenziali o di aree residenziali di cronicità, della qualità clinico assistenziale, dell’accreditamento, del rischio clinico assistenziale nella misura in cui tale professionista abbia già un suo consolidato bagaglio di competenze cliniche specifiche.

c) area formativa: nell’area della formazione universitaria il laureato magistrale può utilizzare le proprie competenze nel coordinamento (direzione), nella progettazione, nel tutorato, nella docenza. Nell’area della formazione nel sistema ECM può spendersi nella progettazione, realizzazione e valutazione di percorsi formativi.

d) area ricerca: le conoscenze e le competenze che si acquisiscono nel campo della ricerca durante il percorso di Laurea Magistrale possono costituire il prerequisito per affrontare un dottorato di ricerca che può essere disciplinare, con approfondimento delle conoscenze all’interno dell’infermieristica, e non disciplinare, con approfondimento di conoscenze appartenenti ad altre discipline importabili all’interno dell’infermieristica14, 15, 16. In ogni caso la ricerca deve diventare metodo di lavoro presente nell’attività del laureato magistrale, ovunque svolga la propria attività.

Conclusioni

La tematica affrontata in questo documento e cioè “Quale profilo culturale dovrebbe caratterizzare il laureato in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche”  necessita certamente di ulteriori approfondimenti e analisi sia per la contestualizzazione al nostro Paese che per la dimensione di coerenza con il contesto internazionale. Quindi, si è ritenuto indispensabile da parte della Commissione Nazionale dei Corsi di Laurea Magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, produrre gli elementi utili per iniziare  un opportuno dibattito.

La formazione di livello magistrale è, infatti, una opportunità irrinunciabile allo sviluppo del pensiero riflessivo e ipotetico-deduttivo, dell’atteggiamento di attenzione all’idea e al discorso prima che allo strumento. Tale opportunità richiede però, per essere colta, un forte investimento sulla dimensione epistemologica e di metodologia applicata nella revisione critica e avanzamento del sapere professionale disponibile. Tali elementi costituiscono, infatti, l’essenza culturale del laureato magistrale nel percorso di costruzione della sua personale conoscenza e adeguata consapevolezza critica per distinguere, comparare e valutare con indipendenza di pensiero.

Bibliografia

1) Ministero della salute. Situazione Sanitaria del Paese. 2009 – 2010. [internet] [visitato il 21 maggio 2012]; disponibile da  http://www.rssp.salute.gov.it/rssp/paginaCapitoloRssp.jsp?sezione=situazione&capitolo=quadro&lingua=italiano

2) Ministero della Salute- Direzione Generale del Sistema Informativo – Ufficio Direzione Statistica. Attività gestionali ed economiche delle ASL e Aziende Ospedaliere. Annuario statistico del Servizio sanitario Nazionale [internet]. Anno 2008 [visitato il 12 settembre 2011]; disponibile: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1488_allegato.pdf

3) Longo F, Del Vecchio M, Lega F. La Sanità futura – Come cambieranno gli utenti, le istituzioni, i servizi e le tecnologie. EGEA Milano. 2010

4) Palermo C, Reginato E, Analisi Anaao-Assomed sugli effetti fino al 2021 della gobba pensionistica “negativa” – Medici: 30mila in dieci anni. Il Sole 24ore Sanità. 27 sett-3 ott 2011

5) Gobbi B, Magnano R, All’esame di Regione e categorie il documento che amplia prerogative e competenze del nursing – Così l’infermiere cambia pelle. Il Sole 24ore Sanità. 24-30 aprile 2012: 24

6) D. MIUR 8 gennaio 2009 “Determinazione delle classi delle lauree magistrali delle professioni sanitarie, ai sensi del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270 – G.U. serie generale n. 122 del 28/5/2009 allegato “Numerazione e denominazione delle classi delle lauree magistrali”  – Obiettivi formativi qualificanti

7) Benner P, From novice to expert. Am J Nurs. 1982: 82(3): 402-7

8) ICN. Definition and Characteristics of the Role. (2002). [internet] [visitato il 29 marzo 2013]; disponibile da http://www.icn-apnetwork.org/

9) Clancy TR, et al., Applications of complex systems theory in nursing education, research and practice. Nurs Outlook. 2008,56:248-56

10) Manthey M . La Pratica del Primary Nursing . Il Pensiero Scientifico Editore. 2008: 43 – 64

11) Manthey M, Ciske K, Robertson P, Harris I. Primary nursing. Nurs Forum. 1970; 9(1): 64-83;

12) Steven A, Named Nursing: in Whose Best Interest?, Journal of Advanced Nursing; 1999; 29: 341 – 7

13) Chiari P, Santullo A, L’Infermiere Case Manager, McGraw – Hill, Milano, 2001

14) Dreher HM, et al.,Global perspectives on the professional doctorate. Int J Nurs Stud. 2011 Apr;48(4):403-8. Epub 2010 Oct 14

15) Ellis LB. Professional doctorates for nurses: mapping provision and perceptions. J Adv Nurs. 2005 May;50(4):440-8

16) Palese A, Tomietto M, Da Dalt S, Saiani L., I dottorati di ricerca nelle Professioni Sanitarie: Uno sguardo all’esperienza degli altri Paesi. Med Chir. 44/2008 pp 1864

Cita questo articolo

Dal Molin A., Galletti C., Marmo G., Il Corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche. Riflessioni e prospettive sul percorso formativo e sulla figura del laureato magistrale, Medicina e Chirurgia, 61: 2747-2752, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-7

La Terza Missione dell’Università Italiana. Una nuova occasione per crescere?n.61, 2014, pp.2739-2746, DOI: 10.4487/medchir2014-61-6

Abstract

“Technology transfer has become a focus of innovation policy in many places, and there are some high expectations,” says economic sociologist Martin Kenney of the University of California, Davis. The challenge, he says, is “to get the incentives aligned right, so that everyone benefits: the inventor, the university, society. Many advise schools to focus instead on “knowledge transfer” – helping society benefit from the discoveries and skills of faculty members and students without focusing just on finances. “You are seeing a lot of reassessing, a lot of experiments,” says Phyl Speser, CEO of Foresight Science & Technology, a consulting firm in Providence, and a vice president of the U.S. Association of University Technology Managers (AUTM). And there are plenty of ways you can get them wrong.”

This paper is a contribution trying to define a strategic roadmap, focussed on italian universities, for the so called “third mission”. A framework where all the actors of the university are involved and called to create a bridge between university and society, where research results, educational skills will be transferred to an added value set of activities for driving the university to the new challenges of the future society needs. 

Articolo

In una fase – come quella attuale – di forte difficoltà economica e di importante contrazione delle risorse, la sfida della conoscenza è la prima delle più importanti prove con le quali dobbiamo confrontarci: “cultura e ricerca rappresentano le energie morali che possono salvare il Paese dalla crisi”, citando le illuminanti parole pronunciate di recente dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

In questo quadro, l’Università italiana ha il dovere di “cambiare volto”, anche attuando in modo positivo quanto disposto dalla recente riforma. L’Università italiana ha anche l’opportunità di non sprecare un’altra occasione, valorizzando i talenti, facendo crescere le idee, moltiplicando le “energie morali” del Paese.

Ciò ovviamente richiede un insieme di azioni impegnative e coraggiose. Questo implica, in primo luogo, affiancare alle tradizionali mission degli Atenei (da un lato, “alta educazione e formazione” e, dall’altro, “ricerca”) nuove linee di attività legate alla cosiddetta “terza Missione”.

Con “terza Missione” si fa riferimento all’insieme delle attività con le quali le Università attivano processi di interazione diretta con la società civile e il tessuto imprenditoriale, con l’obiettivo di promuovere la crescita di un territorio, in modo che la conoscenza diventi strumentale per l’ottenimento di output produttivi. Come affermato in un recente articolo pubblicato da Science*, “Terza missione” rappresenta lo strumento principale di reperimento di risorse da parte degli Atenei nazionali ed internazionali. I beni ed i servizi del sistema produttivo che si fonda sulla ricerca scientifica (beni e servizi hi-tech) rappresentano il 30% del PIL mondiale. La formazione (dalla scuola materna all’università) rappresenta almeno il 6-7% del PIL mondiale. A questo si aggiunge un altro 8-10% rappresentato dalla Sanità e che è quasi per intero fondata sulla medicina scientifica e l’alta qualificazione. La cultura e la formazione nel suo complesso rappresentano quindi il 50% circa del PIL mondiale. È evidente pertanto che è necessario sviluppare politiche e azioni adeguate per intercettare parte di questo flusso con sistemi innovativi e creativi.

È per questo che una delle strade per rendere più forte l’Università italiana – forse, la strada principale – è l’apertura al mondo esterno, alle imprese, al settore pubblico, agli organismi di ricerca privati e pubblici, agli investitori. Nel perimetro di ogni Ateneo vivono, infatti, competenze, professionalità, idee, progetti, prodotti che – se indirizzati “verso il mondo” – possono avere un valore enorme e a oggi nascosto: un valore di “reputazione”, un valore economico, un valore di miglioramento della vita di tutti. Chiudere queste competenze nei confini del Campus e non saper valorizzare e trasferire il lavoro di innovazione e di produzione di conoscenza è una grave mancanza e una perdita di opportunità rilevanti.

“Terza Missione” significa dunque mettere in relazione “scienza” e “società”, incoraggiare il dialogo tra le parti, valorizzare il territorio di riferimento e consolidare il network  degli attori che in tale territorio operano.

E ancora, “terza Missione” significa realizzare un collegamento tra il mondo della formazione universitaria con quella scolastica e con il mondo del lavoro, in modo da assicurare alle aziende ed alla società civile di reperire sul territorio le competenze di cui necessitano, garantendo ai giovani un corretto orientamento per il proprio inserimento (placement) nel mondo del lavoro.

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In questo senso, l’Università deve anche diventare un partner vero del mondo economico e delle aziende, essere riconosciuta nelle sue potenzialità, deve poter esprimere le proprie competenze oltre il proprio “fossato”, deve essere capace di diventare soggetto ricercato per collaborazioni scientifiche e professionali (e non organismo alla ricerca affannosa e spesso vana di quattrini). “Accademia” deve tornare ad essere una parola utile, positiva, interessante, conveniente. “Sinonimo” di creatività, di partecipazione,di luogo di incontro di idee e necessità dal punto di vista sociale ed economico.

Si tratta dunque di un ambito in cui occorre investire sensibilmente e con determinazione, affinché le nostre politiche di ricerca e di innovazione possano fare un decisivo passo in avanti.

La valorizzazione dei risultati di queste attività, all’interno di un contesto di trasferimento delle migliori tecnologie e delle migliori pratiche, è una possibile chiave di successo per garantirne lo sviluppo nei prossimi anni.

Questa condizione si raggiunge con una organizzazione universitaria che faccia dialogare l’Industria e l’Università per sviluppare obiettivi di ricerca industriale e ricadute economiche condivise. Il modello è quello dello scambio continuo tra le due entità, con l’attenzione da parte di chi “guida l’auto” di cercare la strada giusta da intraprendere e da perseguire. Le conoscenze e le competenze presenti nelle Università non sono, infatti, facilmente fruibili per l’applicazione industriale perché sono state generate finalizzandole alla ricerca scientifica e non alla ricerca industriale. I ricercatori universitari devono assumere consapevolezza e innestare la capacità di applicare il metodo scientifico alla ricerca industriale. Questa è la chiave del successo della terza missione!

L’ANVUR ha recentemente promosso un dibattito per discutere i possibili indicatori di terza missione in una prospettiva di sperimentazione. In questo modo si cerca di rendere valutabile l’attività di terza missione degli Ateneinon solo in riferimento alla valorizzazione della ricerca (brevetti, spinoff, ricerca conto terzi, infrastrutture territoriali) ma anche all’impatto sulla società (rapporti scienza società, civic engagement, beni culturali, salute). Questo è certamente positivo nell’ottica di sostenere l’attività di terza missione degli Atenei e stimolarne lo sviluppo.

Terza missione culturale e sociale

Di seguito proponiamo a titolo di esempio alcuni Servizi, Interventi educativi, attività erogabili dagli Atenei ed aventi impatto sociale e culturale valutabile anche attraverso indicatori quali:

– Numero di interventi;

– Numero di partecipanti;

– Valutazione dell’impatto sul territorio (per esempio: possibilità che l’Intervento si ripeta negli anni, cioè divenga un punto fermo dell’Ateneo nel contesto sociale sul quale esso insiste, piuttosto che un evento singolo organizzato dall’università “furbetta” per acquistare punteggio);

– Risultati di impatto sociale: miglioramento della qualità della vita per i cittadini e tipologia e quantità di servizi o prodotti a supporto delle istituzioni.

Ogni tipo di intervento può prevedere due diverse modalità.

– Erogazione diretta al cittadino;

– Erogazione  indiretta: in tal caso l’intervento si rivolge ad insegnanti, educatori, ecc. che dovrebbero poi riportare nelle rispettive realtà quanto appreso.  La presenza degli insegnanti di vario ordine e grado potrebbe essere incentivata se il Ministero assegnasse dei “punteggi” alle scuole (come forse in parte già avviene) in base  alle partecipazioni.

Se la “terza missione” diviene un obiettivo degli Atenei, in quanto incentivato dal Ministero e valutato dall’ANVUR, ogni  Intervento dovrà essere pubblicizzato dettagliatamente e con congruo anticipo presso la popolazione: per es.  con sito WEB dedicato, newsletter che raggiunga via mail gli interessati (immaginiamo, per esempio, degli iscritti gratuitamente ad un “Programma Terza Missione Tor Vergata”) e, per interventi selezionati, anche a mezzo stampa.

Naturalmente è importante che tutti gli eventuali Servizi ed Eventi offerti al cittadino dall’Ateneo nel campo del culturale e del sociale non si collocano in contrapposizione o concorrenza con strutture od Enti – pubblici e privati – già presenti sul territorio locale sul quale insiste l’Ateneo come, centri ed agenzie di Servizi, teatri, consultori familiari, ONLUS, parchi, musei e biblioteche comunali. Al contrario le Università, ponendosi come polo attrattore nel territorio, senza soffocare la “pluralità di voci” di questi Enti o Strutture, dovrebbero entrare in sinergia con essi, (per es. mettendo a disposizione spazi e competenze accademiche, ma anche sfruttandone esperienze pregresse, capillarità di diffusione nel tessuto sociale ecc.).

Possiamo suddividere le attività di terza missione nelle seguenti macroaree:

Qualità della vita delle persone

– Servizi al cittadino

– Supporto ai cittadini nella verifica della qualità dei servizi

– Trasferimento di conoscenza sulla qualità dei servizi e prodotti

– Servizi alle comunità di persone

– Servizi socio-sanitari

Qualità dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese

– Consulenza esperta

– Certificazione e validazione di dati, processi e informazioni

Trasferimento di idee e risultati innovativi

– Risultati economici sui soggetti terzi coinvolti (per es.: ricchezza creata dallo sviluppo e trasferimento di idee innovative) quali spin-off, start-up e imprese innovative.

– Condivisione di ambienti di sperimentazione e validazione di idee di prodotto e brevetti con soggetti esterni

– Qualità e quantità del trasferimento tecnologico, tipologia delle infrastrutture condivise, originalità e operatività degli ambienti di sperimentazione risultati delle attività di ricerca.

Sperimentazione di modalità innovative di interazione tra cittadini e comunità professionali

– strutture sanitarie

– formazione continua

– e-partecipation

Diffusione di idee ed eventi artistico-culturali

– Integrazione di meccanismi di comunicazione multimodali per divulgare, interessare, sensibilizzare su argomenti a carattere etico-sociale

– Promozione della cultura scientifica e dei suoi risultati

– Promozione e diffusione della cultura umanistica e dei suoi risultati

Alcuni esempi di altre specifiche azioni di terza missione:

1. Salute e prevenzione delle più diffuse patologie (solo alcuni esempi)

– Screening della popolazione con metodi non o poco invasivi (esempio: postura scorretta e dismetrie della colonna, odontoiatria, oftalmologia);

– educazione dei cittadini di mezza età o dei loro parenti ad un corretto stile di vita in età geriatrica;

– Educazione Alimentare: Prevenzione del diabete e dell’obesità sin dall’età infantile,…;

– Sensibilizzazione attraverso attività mirate a sui danni causati dalle droghe, dall’alcool, dal tabacco, …

– Counselling psicologico soprattutto per le fasce più deboli

– Servizi di consulenze volontarie

– Sensibilizzazione all’uso delle nuove tecnologie sulle potenzialità e i rischi: le nuove opportunità derivanti dalle comunità virtuali a livello culturale, sociale ed economico nonché le cautele da adottare e i pericoli connessi alla protezione dei minori, cyber crime, protezione dei dati personali, bullismo attraverso social network, …

2. Diffusione delle arti e della cultura

– Progetti teatrali incentivazione alla partecipazione a corsi di teatro. Penso per esempio a sinergie con teatri medio/piccoli nel territorio

– Cinema d’essai, per la riscoperta di autori ma anche per il  lancio di giovani (autori, registi, montatori, scenografi ecc.) delle scuole di cinematografia.

– Concerti (con “ospiti di richiamo, ma anche con musicisti da lanciare) e festival di sperimentazione

– Incentivo alla pittura ed alle arti figurative: mostre di pittori emergenti, concorsi, fiere del libro ecc.

– Eventi in difesa delle tradizioni culturali (nella doppia ottica di preservazione dei tesori culturali italiani (anche orali), e del rafforzamento dell’interculturalità

– Visite organizzate alle aree archeologiche; intervento per i più giovani

3. Integrazione dei cittadini appartenenti alle fasce di popolazione più deboli e pari opportunità

– Interventi a favore dei disabili (non solo gli studenti!), e corsi di formazione ai parenti sui diritti e sulle modalità per migliorare le qualità della vita

– Counselling psicologico

– Corsi per una migliore integrazione degli stranieri da poco in Italia

– Interventi per rafforzare e creare iniziative a supporto nella società al ruolo della donna e soprattutto delle mamme.

4. Educazione alla Cultura dell’ambiente ed allo sfruttamento delle risorse naturali

– Creazione e/o mantenimento e/o ristrutturazione di Orti botanici, parchi naturali, e musei di scienze naturali, acquari, ecc.

– divulgazione scientifica raccordata con metodi nuovi ai musei, ed ai parchi, nonché ai corsi di studio di agraria, di scienze naturali, di biologia ecc.

– Educazione alla cultura del mare della montagna, ecc. (a seconda del territorio di riferimento dell’Università)

– Educazione alla sostenibilità, alle fonti rinnovabili, al riciclaggio (promozione di visite organizzate ed eventi anche per i più piccoli)

5. Educazione del cittadino e Sviluppo urbano

– Educazione civica e stradale

– Prevenzione del fenomeno del bullismo

– Educazione Alimentare

– Educazione alle norme igieniche come strumento di prevenzione

– Norme basilari di Prevenzione e Protezione (nelle case, nei luoghi di lavoro

– Educazione alla prevenzione degli incendi e di altri disastri ambientali

– Corsi (rivolti soprattutto ai piccoli) per l’educazione all’amore per la propria città o paese: l’educazione alla pulizia, al rispetto delle cose pubbliche, ecc.

– Concorsi su progetti per lo sviluppo urbano (rivolto per esempio a laureandi in architettura, ingegneria, belle arti)

6. Educazione alla cultura dello sport

– Eventi con premiazione di campioni dello sport e del fair play

– Festa dello sport, per le famiglie, e per le scuole

– Messa a disposizione a prezzi sostenibili (per esempio sconti agli iscritti al Programma “Terza Missione”) di strutture di Ateneo come stadi e piscine

– Corsi sulla prevenzione attraverso una sana cultura sportiva

7. Editoria, audiovisivi e multimedia

– Creazione di piccole case editrici “di Ateneo” o supporto alle esistenti che, previa selezione, stampino in piccola tiratura opere di autori emergenti, allo scopo di lanciare giovani

– Canali radio e/o TV locali, tematici, per la divulgazione e l’informazione (avrebbero forse pochi ascoltatori, ma sarebbero fucina per le scuole di giornalismo, di musica ecc.)

– Progetti sperimentali per la formazione, lo sviluppo e la creazione di  strumenti multimediali innovativi e per la progettazione di nuovi contenuti che tengano conto dei nuovi linguaggi di comunicazione.

8. Alfabetizzazione Informatica

– Corsi divulgativi per la creazione di siti web e dei più comuni linguaggi per la gestione degli stessi

– Erogazione della patente europea, o meglio delle sue “evoluzioni”

– Corsi per l’educazione alla navigazione ed alla comunicazione via Internet,

– Corsi di “etica della rete”, ovvero aiutare le persone a capire la complessità di internet, con i suoi rischi e pericoli, ma anche con gli aspetti positivi in termini di opportunità. Ciò anche al fine, ad esempio, di prevenire il bullismo informatico, anche attraverso indicazioni alle famiglie degli adolescenti

9. Divulgazione scientifica

– Divulgazione scientifica (corsi sugli argomenti più attuali e controversi) con workshop tematici aperti ad ogni tipo di audience;

– Divulgazione attraverso canali TV locali, oppure attraverso internet e social network, (in modalità on-line e off-line);

– creazione di piccoli musei/aree gioco per i più piccoli per avvicinarli alle scienze con divertimento

Nell’ultimo rapporto VQR dell’ANVUR la terza missione delle Università è stata catalogata nel settore  “Altre Attività” non qualificabili come attività conto terzi. E’ interessante osservare come in questo report siano state compilate 8145 schede da 63 università (su un totale di 95 partecipanti) e 689 schede da 15 centri di ricerca (su un totale di 39). L’ampiezza dell’indicatore ha fatto sì che diventasse un contenitore di attività di ogni genere, e, pertanto, i dati non sono oggettivabili e valutabili. E’ necessario quindi procedere alla ricodifica delle attività con l’obiettivo di creare macroaree specifiche di Terza Missione, che contengano al loro interno una serie di descrittori che agevolino la ricodifica e quindi la valutazione da parte dell’ANVUR.

Possibile metodologia per una valutazione

La terza missione si pone l’obiettivo di valorizzare il ruolo dell’università con il resto della società. Bisogna quindi partire dalla matrice originale che è alla base dell’idea di università per non snaturare la sua missione o prospettare soluzioni artificiose. Il ruolo dell’università nella terza missione è quello di svolgere in modo organico e strutturato un’attività di trasferimento delle conoscenze ad alto impatto economico e sociale. Il trasferimento tecnologico è una di queste attività e, come vedremo, va inquadrato nel ciclo di vita che porta da un’idea di ricerca a una soluzione che modifichi i processi di natura tecnologica con il relativo impatto economico e sociale.

Tre elementi devono essere tenuti presenti:

1) la capacità di produrre idee originali o di integrare conoscenze tra loro eterogenee, dando ad esse un valore nuovo

2) comprendere quali processi economici e/o sociali possono essere migliorati e/o razionalizzati da uno o più di questi elementi

3) garantire credibilità all’istituzione “Università” nei confronti del territorio, sia ponendosi come soggetto educatore, sia ponendosi come struttura che vive nella realtà, condividendo le conoscenze e le esperienze delle strutture economiche e sociali che la circondano e con le quali l’università deve costruire un virtuoso luogo di condivisione di conoscenze.

Da tutto ciò si può creare, attraverso appositi strumenti e metodologie, il processo base della terza missione: si parte da un’idea di valore (ricerca) e da una sua opportunità di applicazione – scoperta attraverso la condivisione di conoscenze con la società civile – fino ad arrivare allo sviluppo di una soluzione innovativa che può avere, nella sua applicazione, un valore economico rilevante e un impatto sociale in grado di migliorare la qualità della vita delle persone.

La terza missione si vuole porre così  un obiettivo di natura strategica per il futuro dell’Università: dalla formazione e dalla ricerca  per arrivare ad influire positivamente sulla società con iniziative e soluzioni che creino valore.

Come dimostrato, sul piano internazionale, dalle molte e rilevanti esperienze di altre università anche di assoluto prestigio, si deve prima di tutto tener conto del fatto che raggiungere obiettivi significativi e misurabili è un compito molto difficile. Questa è la nuova sfida che le università di tutto il mondo si trovano oggi ad affrontare. Un singolo esempio a puro scopo evocativo può far comprendere come la stessa interpretazione dell’idea di terza missione richieda uno sforzo creativo: la necessaria protezione della proprietà intellettuale dell’Ateneo e della possibilità di valorizzare a livello economico brevetti e scoperte scientifiche, si scontra con la necessità di condividere queste conoscenze per poter meglio verificare sul campo il loro potenziale applicativo. D’altro canto, va detto in modo chiaro che, se l’università non può trarre un vantaggio economico dal proprio lavoro creativo e può esserne addirittura espropriata, allora bisogna tornare ad un ruolo per l’università di “ente assistito” che, oltre a mortificarne il potenziale creativo, è fuori dagli obiettivi richiesti all’università dai policy makers e dall’evoluzione economica e sociale.

E’ necessario più che mai che, per valutare l’impatto delle attività di terza missione dell’Università, siano i risultati raggiunti ad essere misurati, dove per risultati si intende:

– capacità organizzativa dell’ateneo nel realizzare le attività di terza missione;

– risultati tangibili delle attività misurati in termini di:

1) componenti della società coinvolte nei processi di innovazione o di miglioramento della qualità della vita delle persone,

2) rilevanza economica delle soluzioni trasferite,

3) impatto su standard e tecnologie esistenti a livello nazionale e internazionale.

Si cita un esempio concreto: l’invenzione degli algoritmi e dei motori di ricerca non soltanto ha cambiato importanti componenti del mercato, permettendo la crescita di aziende altamente innovative in settori nuovi, ma ha anche aperto nuove linee di ricerca dando vita e delle aree di ricerca totalmente nuove, sostituendo o modificando le aree pre esistenti, e, non da ultimo, l’indiscutibile impatto sociale.

L’Università è chiamata quindi ad uscire dalle sue stanze del sapere, a fare lo sforzo di creare, se già non lo ha fatto, un rapporto privilegiato con il territorio e la società nel quale si trova. Questo rapporto dovrà essere non più unilaterale, ma, per creare il vero valore aggiunto della terza missione, dovrà essere una modalità flessibile, dinamica e strutturata di scambio di conoscenze ed esperienze con la società civile nell’ottica della reciproca crescita.

In particolare, l’Università deve essere per i giovani un punto di riferimento, non solo culturale, ma anche sociale.

Si deve fare lo sforzo di creare, prima di tutto all’interno dell’Università, lo spirito della terza missione, mettendo a fattor comune i risultati di ricerca, individuando le proprie “eccellenze”, identificando  le opportunità e dando ad ognuna la giusta collocazione attraverso un modello organizzativo trasversale rispetto alle realtà amministrative e di ricerca attuali.

Semplicità e flessibilità devono essere alla base di tutti i processi organizzativi in gioco.

L’individuazione di un’opportunità, come già accennato, è la verifica dell’efficacia dell’applicazione di un’idea nel risolvere un problema o migliorare una soluzione esistente in un contesto sociale reale.

Resta chiaro che ciò non vuole tralasciare tutto quello che è stato fatto, anzi, uno degli scopi è proprio quello di far convergere con azioni di coordinamento tutte le realtà esistenti all’interno di un ateneo (uffici amministrativi, dipartimenti, spin off, ecc.) verso l’obiettivo strategico che l’Università si pone con la terza missione.

L’importanza di una Infrastruttura operativa dedicata

Per il raggiungimento dell’obiettivo strategico della terza missione dell’università, è necessario, a nostro avviso, la creazione di una infrastruttura operativa dedicata alle attività di terza missione. Questa infrastruttura dovrà  comprendere le componenti dell’ateneo che sono maggiormente coinvolte: gli uffici amministrativi, i tecnici, i docenti e i ricercatori  e coloro che sono i veri protagonisti e che possono e devono avere un ruolo importante, gli studenti.

In primo luogo questa infrastruttura avrà il difficile compito di individuare, raccordare, valorizzare e coordinare i Progetti e le iniziative esistenti all’interno di un ateneo. Insieme a ciò, dovrà avviare progetti e iniziative nuove che rispecchino le eccellenze proprie dell’ateneo e della realtà sociale, culturale ed economica in cui quella università si muove.

Sarà importante a questo punto la realizzazione di alcuni progetti strategici  ben definiti e di riferimento per la messa a punto della infrastruttura operativa che colgano sin da subito ed in pieno lo spirito della terza missione e diventivo il modello di riferimento per progettualità future.

E’ necessario definire e condividere un piano strategico delle attività di terza missione che un ateneo vuole portare avanti con tempi e obiettivi precisi.

Ogni attività di terza missione avrà dunque un ciclo di vita che parte dalla individuazione di idee per arrivare alla creazione di prodotti e/o servizi utili ai cittadini, alle istituzioni, alle realtà imprenditoriali e più ancora alle persone.

Un ultimo aspetto da non trascurare ma molto importante per arrivare al raggiungimento degli obiettivi è quello di definire, all’interno dell’infrastruttura operativa, un piano mirato di comunicazione e marketing verso l’esterno molto innovativo ed efficace, proprio per informare e coinvolgere le realtà sociali e spingere alla partecipazione. L’Università non deve essere comunicato come un luogo auto referente e “noioso”, ma come un luogo dove saperi si formano, si trasformano e si condividono in modo creativo, libero e proiettato in modo concreto verso il futuro.

Bibliografia

Cita questo articolo

Novelli G., Talamo M., La Terza Missione dell’Università Italiana. Una nuova occasione per crescere?, Medicina e Chirurgia, 61: 2739-2746, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-6

AMEE 2014: Excellence in Education – The 21st Century Teacher. Meeting in Milan from the 30th August to the 3rd September 2014n.61, 2014, pp.2763-2765, DOI: 10.4487/medchir2014-61-9

Abstract

The next Congress of the International Association for Medical Education (AMEE), will take place in Italy, in Milan, between the 30th August and the 3rd September 2014. Both the choice of Italy and of the Congress’s main topic, Excellence in Education – the 21st Century Teacher, undoubtedly make the event an important and unique opportunity to refresh one’s knowledge and knowhow while contributing to the internationalisation of medical and health-care education – already a reality in Italy – a chance not to be overlo ked or missed.

Articolo

Introduction

The next Congress of the International Association for Medical Education (AMEE), will be held in Italy, in Milan, between the 30th August and the 3rd September 2014. Both the choice of Italy and of the Congress’s main topic Excellence in Education – the 21st Century Teacher, undoubtedly make the event an important and unique opportunity to refresh one’s knowledge and knowhow while contributing to the internationalisation of medical and health-care education, something that has been going on in Italy for some time now, under the guidance of the Permanent Conference of Degree Courses in Medicine and Surgery (Lenzi, 2012; Familiari et al., 2013). This aspect of medical education has long become an ineluctable feature not only of the various core curriculum skills foreseen, but has also becomes a part of the formal documentation of academic achievement, as one of the foci around which new learning-teaching and assessment strategies, methodologies and approaches are built, and one of the chief means by which to address medical and health-care education and training issues and the define the leading role the Italian University must play in the field of medical education and health-care management.

This process of internationalisation needs to be grounded in the excellence of the medical teaching profession and referred to the highest standards determined by processes of global renewal; it must also remain associated with institutional leadership, availability of adequate resources, the possibility of recognising didactic excellence, but, above all, it needs to be rooted in an accurate definition and appraisal of procedures and results (Lenzi, 2012; Familiari, 2013; Familiari et al., 2013).

Next year’s AMEE Congress in Milan

As stated elsewhere, AMEE (www.amee.org) is undoubtedly one of Europe’s most important international associations, given the size of its membership and the scholarly excellence of its annual conferences  which represent one of its chief strong points (Familiari, 2013, Familiari and Consorti, 2013).

The AMEE conference in Milan will provide an opportunity for all interested in medical and health-care educational issues to meet and learn about what is new in the field, share ideas and network with colleagues from all over the world. Three thousand participants from one hundred countries are expected, bringing with them a wealth and broad range of cultural experiences, and making this the largest ever international medical and health-care education annual conference.

As a teacher or trainer, a dean or course organizer, educationalist or researcher, administrator or student, participation at Milan 2014 edition of AMEE Congress will provide an important opportunity to follow key developments in curriculum planning, approaches to teaching and learning, assessment methods, educational management, and evidence-informed teaching. Each participant will be given the opportunity to present his/her own work to enthusiastic and like-minded colleagues.

The Sessions of the Congress

The AMEE conference sessions will cover a continuum of education in medicine and the health-care professions from undergraduate to postgraduate levels, on to continuing professional development.

The sessions include:

– The Preconference Programme, Saturday 30th and Sunday 31st August

– Essential Skills in Medical Education (ESME) courses;

– Full-day and half-day preconference workshops;

The Main Conference Programme, Sunday 31st August to Wednesday 3rd September

– Plenary presentations by internationally renowned speakers;

– Symposia providing the opportunity to discuss subjects of topical interest, with short presentations of different perspectives;

– Short communications sessions with a series of themed papers from submitted abstracts;

– Presentations of a series of themed posters from submitted abstracts;

– Conference workshops on practical topics, offering maximum interactivity with the presenters;

– An exhibition with commercial and academic stands representing the latest developments in the medical and health-care educational field.

Important dates for your Diary

– 12th January 2014: cut-off date for submission of Research Papers and PhD Reports*;

– 6th February 2014**: cut-off date for submission of Short Communications, Posters, Conference Workshops and Fringe abstracts;

– 16 April 2014: Abstract decisions announced;

– 17 May 2014**: Close of early-bird registration.

*Preconference workshops and symposia should be submitted using the form downloadable from the website above. Research papers, PhD Reports, Short communications, Posters, Conference Workshops and Fringe Abstracts may be submitted online from 1st December 2013.

**Please note, closing dates for abstract submission and early-bird registration are two weeks earlier than in previous years to permit us to meet requests for early publication of the final programme.

The Italian contribution to AMEE 2014

The International Congress takes place under the auspices of the Association for Medical Education in Europe (AMEE), a non- profit organisation with head offices at Tay Park House, 484 Perth Road, Dundee DD2 1LR, United Kingdom. AMEE is represented by Tracey Martin, President of the International Association, and by Ronald Harden, General Secretary. The photographs in Fig. 1 which portray them, were taken during the 20913 Congress in Prague; they have been included here in hopes that the Milan event will see a large representation from our own country.

During the organisational phase the collaboration of the following is foreseen:

– Società Italiana di Pedagogia Medica [Italian Society of Medical Pedagogy]

– Conferenza Permanente dei Presidi  di Facoltà e dei Direttori delle Scuole di Medicina e Chirurgia [The Permanent Conference of Faculty Deans and Directors of Schools of Medicine and Surgery]

– Conferenza Permanente delle Classi di Laurea  delle Professioni Sanitarie [The Permanent Conference of Health-Care Profession Degree Courses]

– Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM di Medicina e Chirurgia [Permanent Conference of the Deans of the Medical Degree Courses in Medicine and Surgery]

– Conferenza Permanente dei Presidenti CLM in Odontoiatria e P.D. [Permanent Conference of the Deans of the Degree Courses in Dentistry and Dental Care]

 

The University of Milan is also involved in the local committee, in the persons of the Dean and Rector of the Medical Faculty.

In particular a special symposium will be devoted to Progress Test and will be coordinated by  Alfred Tenore, with a view to comparing the Italian experience with that of other countries, both European and non.

SIPeM will conduct a pre-congress workshop concerning Medical Humanities and dwell in particular on the use of filmed material in medical training.

A valid reason for active participation

The essential rationale underscoring a kind of participation which strives to be active and proactive, dwells, come as stated in the premise, in the fact that the process of the internationalisation of medical training we are so tenaciously endeavouring to implement, must be seen now as an irreversible to be followed.

The international medical-education panorama is one of a complex, innovative, constantly developing reality, requiring constant pedagogical renewal having a strong international bias; the fact that such an important international Congress is to be held in our country provides us with a twofold opportunity: that  of engaging in an efficacious refresher experience and that of informing the international community of the numerous innovations under way within our medical education system.

The globalisation of healthcare delivery and the international dimensions of medical education are some of the most important aspects didactic innovation needs to address in the near future (Dent and Harden, 2013), and on this issue, over the past decade, our educational ambit has produced numerous novelties, thanks, particularly, to initiatives fostered by the Permanent Conference of Deans of the Medical Degree Courses  and the Deans of the Medical Faculties /Schools of Medicine and the Italian Medical Pedagogy Society (Snelgrove et al., 2009; Gallo, 2011; Lenzi, 2012).

There is no doubt, however, that the achievement of a truly international dimension capable of involving our teaching staff and students to the full is a goal requiring constant attention; active participation in this congress, therefore,  cannot but represent an important step in the right direction.

Bibliografia

1) Dent JH, Harden RM. A practical guide for medical teachers. Churchill Livingstone, Elsevier, 2013.

2) Familiari G. The international dimensions of medical education. Med Chir 2013; 57: 2537-2538.

3) Familiari G, Consorti F. The best evidence medical education and the essential skills on medical teaching : important keys for medical education internationalization. Med Chir 2013; 59: 2662-2663.

4) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L, Ziparo V, Gallo P, Consorti F, Lenzi A, Gaudio E, Frati L. International reality of medical education. MEDIC 2013; 21: 53-59.

5) Gallo P. Insegnare nei corsi di laurea in medicina e odontoiatria. Espress Edizioni, Torino 2011.

6) Lenzi A. Manifesto di intenti per il triennio 2011-2014. Med Chir 2012; 55: 2427-2428.

7) Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio E, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The challenge of reform: 10 years of curricula changes in Italian medical schools. Med Teach 2009; 31: 1047-1055.

Cita questo articolo

Familiari G., Consorti F., AMEE 2014: Excellence in Education – The 21st Century Teacher. Meeting in Milan from the 30th August to the 3rd September 2014, Medicina e Chirurgia, 61: 2763-2765, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-9

Linee di indirizzo per la prova finale dei Corsi di Laurea afferenti alle Classi delle Professioni sanitarie avente valore di esame di stato all’esercizio professionalen.61, 2014, pp.2736-2738

Abstract

With the aim to homogenize the final exam and improve its quality, a guideline including specific recommendations has been approved. In the article, the recommendations are reported in a detailed fashion.

Articolo

Corsi afferenti alle classi di laurea delle professioni sanitarie’ la Giunta della Conferenza aveva approvato nel settembre 2012 una prima bozza di documento di indirizzo nazionale sulla progettazione e conduzione dell’esame finale per i Corsi di laurea delle Lauree sanitarie. Il documento era stato quindi inviato a tutti i Presidenti e Vicepresidenti delle Commissioni che hanno raccolto il consenso dei Corsi di Laurea afferenti. Nella riunione di Giunta del 20 marzo 2013, il consenso espresso da ciascuna Commissione è stato analizzato e incluso nel presente documento. Le presenti Linee di indirizzo sono state quindi discusse ed approvate dall’Assemblea della Conferenza il 12 Settembre 2013.

1. Finalità della prova finale

La prova finale ha l’obiettivo di valutare il raggiungimento delle competenze attese da un laureando così come espresse dai Descrittori di Dublino e dai RAD di ciascun Corso di Studio (CdS). In accordo al Processo di Bologna e ai successivi documenti di armonizzazione dei percorsi formativi Europei, sono oggetto di valutazione nella prova finale i seguenti ambiti:

– Conoscenza e capacità di comprensione applicate – Applying knowledge and understanding,

– Autonomia di giudizio – Making judjements,

– Abilità comunicative – Communication skills,

– Capacità di apprendere – Learning skills, che corrispondono rispettivamente al 2°, 3°, 4° e 5° Descrittore di Dublino.

Pertanto, l’abilitazione finale è conferita a studenti che siano capaci di:

– applicare le loro conoscenze dimostrando un approccio professionale e competenze adeguate per risolvere problemi nel proprio campo di studio;

– assumere decisioni per risolvere efficacemente problemi/situazioni complessi/e nel proprio campo di studio;

– raccogliere e interpretare i dati per formulare giudizi professionali autonomi, anche su problematiche sociali, scientifiche o etiche;

– attivare una comunicazione efficace su temi clinici, sociali, scientifici o etici attinenti al proprio profilo;

– apprendere autonomamente.

In accordo alla normativa vigente, la prova finale si compone di:

1. una prova pratica (a valenza applicativa) nella quale il candidato deve dimostrare di aver acquisito competenze proprie dello specifico profilo professionale;

2. la redazione di un elaborato scritto e sua dissertazione

che di norma si svolgono in due giornate distinte.

2. Commissione della prova finale

La Commissione per la prova finale è composta da non meno di 7 e non più di 11 membri, nominati dal Magnifico Rettore (MR) su proposta del Consiglio di Corso di Laurea e dal Dipartimento di afferenza, e comprende almeno 2 membri designati dal Collegio Professionale, ove esistente, ovvero dalle Associazioni Professionali maggiormente rappresentative individuate secondo la normativa vigente.

Nel caso di Corsi di Laurea con sedi in Province diverse, la richiesta di Rappresentanti di Collegio/Associazioni è di norma inviata dall’Università al Presidente del Coordinamento Regionale o Interregionale, ove esistente.

Pertanto, la Commissione può essere composta da

– 5 docenti + 2 rappresentanti delle professioni (minimo 7) + 2 rappresentanti ministeriali che non rientrano nel range stabilito in quanto vigilanti esterni (totale 9);

– 9 + 2 rappresentanti delle professioni + 2 rappresentanti ministeriali che non rientrano nel range stabilito in quanto vigilanti esterni (totale 13).

Sono di norma individuati almeno due supplenti.

Fanno parte di norma della Commissione, i Direttori delle attività formative professionalizzanti e i Docenti Universitari dello specifico SSD del Corso di Laurea.

La Commissione (o più Commissioni, laddove necessario) deve essere dedicata, stabile e garantire continuità per l’intera prova finale. Eventuali sostituzioni sono attivate solo se necessario e devono essere deliberate dal MR.

I Relatori di tesi non sono componenti della Commissione quando non nominati dal MR quali componenti della Commissione all’interno del numero previsto di cui sopra.

Le Rappresentanze Professionali (Collegi e Associazioni) che fanno parte della Commissione devono essere dello stesso profilo professionale, in servizio attivo e non devono ricoprire il ruolo di Docenti o Tutor Didattici universitari nello stesso CdS al fine di assicurare una funzione di controllo esterna e indipendente della qualità e pertinenza della preparazione professionale degli studenti.

3. Prova (pratica) a valenza applicativa

E’ finalizzata a valutare il raggiungimento delle competenze previste dagli specifici profili professionali.

I Rappresentanti designati dai Collegi/Associazioni sono coinvolti nella scelta delle competenze core da valutare con la prova a valenza applicativa.

In tale prova sono valutate le competenze di cui ai Descrittori di Dublino n. 2, 3 e 4 riportati di seguito:

2. Conoscenza e capacità di comprensione applicate – Applying knowledge and understanding,

3. Autonomia di giudizio – Making judjements,

4. Abilità comunicative – Communication skills.

e, in particolare, la capacità di individuare problemi, assumere decisioni, individuare priorità su singoli pazienti, gruppi di pazienti o processi lavorativi; progettare e decidere interventi sulla base delle evidenze disponibili e delle condizioni organizzative date; agire in sicurezza, considerare nel proprio agire le dimensioni etiche, deontologiche e legali; dimostrare orientamento alla pratica interprofessionale, ed alla valutazione degli rischi e degli effetti sui pazienti.

3.1 Modalità

La prova abilitante può comprendere una o più modalità tra quelle indicate di seguito

1. prova scritta strutturata, semi-strutturata o con domande aperte su casi/situazioni paradigmatiche della pratica professionale: della durata di variabile in base alla numerosità delle domande.

a. Per le prove strutturate o semi-strutturate: almeno 60 domande a cui sono dedicati almeno 60 minuti.

b. Per le prove con domande aperte su casi: almeno 5 casi, a cui sono dedicati almeno 60 minuti.

2. colloquio con discussione di casi o di un elaborato/progetto: della durata di almeno 15 minuti/studente.

3. osservazione strutturata delle competenze professionali in contesti clinici reali, simulati di laboratorio o con supporto di immagini/video (es. tecniche, relazionali, diagnostiche, progettuali): della durata di almeno 15 minuti/studente.

4. esame strutturato delle competenze cliniche (OSCE): con almeno 5 stazioni.

Di norma il livello minimo di performance atteso nella prova a valenza applicativa per essere considerata superata è del 60%.

Non saranno pertanto considerate pertinenti prove scritte con quiz valutativi solo delle conoscenze teoriche poiché già oggetto di valutazione nel percorso di studio: la valenza abilitante della prova deve permettere di accertare la capacità di applicare/declinare le conoscenze acquisite.

In accordo alla metodologia adottata, la prova abilitante deve:

– basarsi sulla selezione delle aree di competenza ‘core’ da indagare: tali competenze sono di norma individuate con le Rappresentanze professionali e dei servizi;

– essere standardizzata, esponendo ciascuno studente dello stesso anno accademico -ma anche ad anni accademici diversi:

a. allo stesso livello di complessità;

b. ad una prova in cui la misurazione dell’esito sia predefinita e condivisa dalla Commissione per ridurre la variabilità di giudizio dei valutatori;

– essere anonima, quando possibile.

Presso ciascun CdS deve essere disponibile e attivato un sistema di controllo della valutazione della qualità e affidabilità delle prove a valenza applicativa.

La modalità delle prove a valenza applicativa sono di norma indicate nel Regolamento Didattico del CdS e nella Scheda SUA per assicurare un’ampia e diffusa comunicazione agli studenti, alle Rappresentanze professionali e ai cittadini.

4. Elaborato di tesi

La tesi permette di accertare il raggiungimento delle competenze indicate nel 5° Descrittore di Dublino, ovvero la capacità dello studente di condurre un percorso di apprendimento autonomo e metodologicamente rigoroso.

Scopo della tesi è impegnare lo studente in un lavoro di progettazione e ricerca, che contribuisca al completamento della sua formazione professionale e scientifica. Il contenuto della tesi deve essere attinente a tematiche strettamente correlate al profilo professionale.

Di norma lo studente avrà la supervisione di un docente del CdS, detto Relatore, e di eventuali Correlatori, anche esterni al CdS.

5. Sistema di valutazione

Il punteggio finale di laurea è espresso in cento decimi (110) con eventuale lode ed è formato dalla media ponderata rapportata a 110 dei voti conseguiti nei 20 esami di profitto, e dalla somma delle valutazioni ottenute nella prova finale (a valenza applicativa + tesi) che concorrono alla determinazione del voto finale.

La prova a valenza applicativa costituisce uno sbarramento: in caso di valutazione insufficiente, il candidato non può proseguire con la discussione della tesi. Pertanto, la prova va ripetuta interamente nella seduta successiva.

Le due diverse parti dell’unica prova finale concorrono entrambe alla determinazione del voto finale. La prova finale è valorizzata con un punteggio massimo di 10 punti: ciascun CdS studio indicherà i punteggi attribuiti alla prova a valenza applicativa ed alla tesi.

La Commissione – quando non già conteggiati nella carriera dello studente – può attribuire ulteriori punti fino a un massimo di 2 complessivi ai candidati che presentano delle lodi nelle prove di profitto degli Insegnamenti, e/o che hanno partecipato con esito positivo ai Programmi Erasmus/Socrates.

In linea generale, si suggerisce di considerare la media di 101/110 di carriera dello studente quale base per attribuire la lode.

6. Aspetti organizzativi e norme transitorie

Per i CdS articolati in più sedi, laddove non sia possibile realizzare la prova in un’unica sede, la prova a valenza applicativa deve prevedere le stesse modalità e gli stessi criteri di valutazione delle performance.

Tale prova, quando realizzata in forma scritta e nella stessa giornata, deve essere uguale in tutte le sedi.

E’ necessario assicurare una distanza temporale tra la prova a valenza applicativa e la discussione della tesi al fine di assicurare la comunicazione degli esiti ottenuti nella prima.

Per evitare di contrarre eccessivamente le attività formative del terzo anno, in particolare quelle dedicate al tirocinio, la prova finale nella sessione autunnale può iniziare entro il periodo previsto di ottobre/novembre e concludersi anche a dicembre; la sessione primaverile, può iniziare nei mesi di marzo-aprile e concludersi nel mese successivo.

Per assicurare adeguata informazione agli studenti e congruenza con il contratto formativo che hanno stipulato con la struttura didattica, le modalità qui riportate sono applicate alla coorte degli studenti che sta conseguendo il titolo di studio con il nuovo ordinamento didattico in applicazione al DM 270/ 2004.

7. Raccomandazioni

Per promuovere l’eccellenza nelle prove finali, e stimolare processi di miglioramento continui della qualità della formazione professionalizzante, l’Assemblea della Conferenza Nazionale dei Corsi di Laurea e dei Corsi di Laurea Magistrali delle lauree sanitarie raccomanda di:

a) sviluppare strategie e sistemi che assicurino una valutazione progressivamente indipendente e standardizzata delle competenze raggiunte dai laureandi, anche tramite l’attivazione di sperimentazioni di prove nazionali a valenza applicativa;

b) sviluppare una attenzione ai laureandi portatori di disabilità, al fine di assicurare (come peraltro all’atto dell’ammissione) un esame a valenza applicativa appropriato;

c) attivare, attraverso i rappresentanti del Ministero della Sanità, un monitoraggio nazionale sulla modalità e criteri di conduzione degli esami finali, con particolare riferimento alla effettiva realizzazione dei tirocini professionalizzanti (nei CFU prescritti dalla norma) ed alla effettiva progettazione/conduzione di questi da parte di un Direttore delle attività formative professionalizzanti formalmente incaricato e appartenente allo specifico profilo professionale di riferimento del CdL;

d) sviluppare sinergie con le rappresentanze professionali (Ordini/Collegi/Associazioni) e dei servizi al fine di individuare le competenze attese dal sistema sanitario nazionale da parte di un neolaureato, tenendo conto anche delle competenze avanzate acquisibili in cicli formativi successivi.

Il Gruppo di lavoro Innovazione Pedagogican.61, 2014, pp.2735

Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica fu creato e inserito nel Manifesto di Intenti della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina nel triennio 2005/08. Il Gruppo iniziò i suoi lavori nel Febbraio 2006 e da allora ha lavorato ininterrottamente al servizio della Conferenza.

Il Gruppo di lavoro è attualmente costituito da Pietro Gallo (Coordinatore), Carlo Della Rocca, Giuseppe Familiari e Rosa Valanzano (Presidenti di CLM in Medicina), da Italo Vantini (Past-President di CLM in Medicina), Fabrizio Consorti (Presidente SIPeM), e da Marco Nicolazzi (Rappresentante del SISM).

Nel 2013, il Gruppo di lavoro ha perseguito due obiettivi principali.

Il primo è rappresentato dall’organizzazione di eventi formativi – che si svolgono durante le riunioni della Conferenza – su temi di attualità didattico-pedagogica. Il format è quello di una successione di pillole-pedagogiche (mini-conferenze), atelier e foum (brevi laboratori pedagogici, della durata di tre ore, animati – rispettivamente – da esperti di Pedagogia Medica o da  presidenti di CCL che riferiscono su iniziative esemplari delle proprie Sedi). In genere, questi eventi sono raggruppati in trilogie (una pillola, un atelier e un forum) dedicate ad aspetti diversi dello stesso tema generale. Nel 2013 è stata completata la trilogia su L’integrazione nel territorio del sistema delle cure ed avviata quella Verso una laurea professionalizzante (vedi Tabella).

Il secondo obiettivo è stato quello di organizzare atelier pedagogici su temi-base di pedagogia medica, a beneficio dei Presidenti di CL di nomina recente. Nel 2013 è stato organizzato un evento dal titolo Il ruolo del Presidente di CL in Medicina, che ha riscosso un grande successo di partecipazione. Il Gruppo si è reso disponibile ad organizzare un nuovo atelier su un altro tema-base di grande attualità, come lo staff development (vedi Tabella).

Le attività del Gruppo si svolgono in continua collaborazione con la Società Italiana di Pedagogia Medica (SIPeM) e con il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM) e in stretta intesa con la Presidenza della Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina.

Fig1_3_61

Il Master di secondo livello in Medicina d’Emergenza-Urgenza. Esperienza dopo tre anni di attivazionen.61, 2014, pp.2732-2734, DOI: 10.4487/medchir2014-61-5

Abstract

Master programs are post-graduate study courses, characterized by a scientific completion and high education profile, usually designed for recent graduates, but also frequented by professionals who feel the need to deepen the skills and/or to retrain them.

Master programs supply both technical-operational and planning professional knowledge and ability.

Among the Medicine Faculty Master Programs, has been recently established the Emergency Medicine Master Program, answering the need for a specific competence, otherwise difficult to obtain by a single study program.

Currently only two italian university (Sapienza – University of Rome and Florence) have implemented the Emergency Medicine Master Program.

Unique peculiarity is that the program is designed and shared along with the Italian Society of Emergency-Urgency Medicine (SIMEU).

Principal objective about this course is to provide a certifiable quality guaranteed by the university institution and scientific society jointly designed program.

The program uses the clinical and theoretical simulation as the key teaching tool in the training process.

After 3 year beyond the activation, the next objective is to extend this education model to all italian universities, to promote a knowledge resulting by an integration between training and world work, in order to obtain a formation process able to answer to the most recent employment needs.

Articolo

I Master universitari sono corsi di studio post – laurea a carattere di perfezionamento scientifico e di alta formazione, concepiti per neolaureati, ma frequentati anche da professionisti che sentano la necessità di approfondire le loro competenze e/o di qualificarsi anche se hanno maturato anzianità di servizio.

I Master forniscono conoscenze e abilità di carattere professionale di livello tecnico – operativo o di livello progettuale e rilasciano un titolo di studio accademico.

Generalmente chiedono di partecipare ai Master due tipi di laureati: 1) chi avverte la necessità di approfondire le proprie conoscenze e di accrescere le proprie abilità e 2) chi avverte l’esigenza di uno sviluppo economico/ professionale e trova nell’alta formazione una risorsa per raggiungere l’obiettivo. Nel primo caso il Master è stato intrapreso per “gradimento” da parte del laureato; nel secondo caso per la possibilità di un “impatto occupazionale”. In base a questi due caratteri i Master possono essere distinti in: (a) Master ad alto gradimento e a buon impatto occupazionale; (b) Master a basso gradimento e buon impatto occupazionale; (c) Master ad alto gradimento e basso impatto occupazionale; (d)Master a basso gradimento e scarso impatto occupazionale.

Tra i Master universitari ad alto gradimento e minore impatto occupazionale (c) sono generalmente compresi i Master delle Scuole di Medicina (Medicina e Professioni Sanitarie). Hanno un alto gradimento perché coniugano bene il sapere, approfondendo le basi acquisite con i Corsi di Laurea, con il saper fare (cosa, quando, come), osservando, partecipando e sperimentando in prima persona le abilità non acquisite durante il Corso di Laurea e permettendo lo sviluppo di una competenza, attraverso l’acquisizione di conoscenze, capacità e comportamenti.

Il Master in Medicina d’Emergenza-Urgenza

Tra i Master delle Facoltà di Medicina, è stato recentemente istituito il Master di Medicina di Emergenza-Urgenza. Si è avvertita l’esigenza di un master in questo settore perché i Medici che operano nel sistema dell’urgenza, sia territoriale (118) che ospedaliera (Pronto Soccorso, Medicina d’Urgenza) richiedono una preparazione specifica che solo in parte può essere mutuata da un percorso autodeterminato, o da una specializzazione in disciplina affine (preparazione che, comunque, non è omogenea). D’altra parte la formazione universitaria deve venire incontro alle esigenze del mondo del lavoro e, in questo, la formazione in Medicina Urgenza deve rispettare un percorso strutturato che garantisca una formazione globale, fatta di conoscenze (il sapere) e di abilità (il saper fare), basi sulle quali si potrà maturare sul campo l’esperienza formativa professionale (il saper essere). Tutto ciò rappresenta qualcosa di più di una somma di brevi corsi, anche universitari (corsi di alta formazione) che stimolano alcune abilità procedurali in limitati saperi dell’urgenza.

In Italia due Università (Firenze e Roma-La Sapienza) hanno istituito il Master di Emergenza-Urgenza.

I Docenti del Master sono espressi dai Professori Universitari e da qualificati Docenti provenienti dall’Area di Emergenza ed espressione della Società che rappresenta l’emergenza (SIMEU).

La peculiarità di questo Master (ve ne è qualche altro in Italia, denominato in modo simile) è che il programma è unico, condiviso con la Società Italiana di Medicina d’Emergenza d’Emergenza-Urgenza (SIMEU); propone un’attività didattica caratterizzata da lezioni sulle principali patologie del settore (tra cui Embolia Polmonare, Edema Polmonare e scompenso cardiaco, Asma, Sincope, Insufficienza respiratoria, Shock, Gestione del dolore in Pronto Soccorso, Sindromi Coronariche Acute, Vertigini, Dolore addominale acuto, Disordine acido-base, Emergenze ipertensive, Emergenze endocrine, Disturbi comportamentali, Squilibri idro- elettrolitici, Gestione del paziente geriatrico, Bradiaritmie, Wound care, Ustioni, Infezioni polmonari, Tachiaritmie, Dissecazione e aneurisma aortico, Stato mentale alterato e coma, Emergenze oculari, Chetoacidosi diabetica, Ictus, Febbre e Sepsi, Convulsioni e stato epilettico, Emergenze ortopediche, Approccio al politrauma, Meningiti e encefaliti, Trauma cranico minore, Sanguinamento gastrointestinale, Emergenze nefrologiche, Emergenze otorinolaringoiatriche, Emergenze tossicologiche, Arresto cardiaco e periarresto) e  da workshop  e simulazioni sulle procedure ed abilità necessarie per chi lavora nell’emergenza-urgenza (tra cui Gestione delle vie aeree nell’emergenza, Tecniche di ventilazione, Accessi centrali venosi ed arteriosi, Presidi di immobilizzazione, Gestione fratture esposte, Concetti avanzati nella rianimazione nel trauma, Concetti avanzati nella rianimazione del paziente pediatrico, nella rianimazione cardiaca, Laboratorio di ultrasuoni, Laboratorio di ECG, Suture ed emostasi, drenaggi, Tamponamento di epitassi, Rimozioni corpi estranei, Riduzione fratture nasali).

L’obiettivo di questo Master è che il percorso formativo possa garantire una qualità certificabile sia perché concepito dall’Istituzione Universitaria con la Società Scientifica del settore di riferimento, sia perché la formazione risulta omogenea qualunque sia la sede universitaria del  Master perché vengono trattati gli stessi temi con le stesse metodiche di insegnamento. In particolare, il Master utilizza la simulazione come elemento fondamentale per la formazione.

Il simulatore per la formazione in medicina rappresenta una tecnica avanzata di formazione rivolta alla creazione di specifici scenari clinici per imparare a esercitarsi nell’applicazione di protocolli e procedure e per valutare la capacità degli operatori anche in condizioni di difficoltà. Inoltre è una condizione ottimale per addestrare gli operatori sanitari alla gestione di condizioni cliniche critiche in totale sicurezza per i pazienti. La Medicina è stato uno degli ultimi settori delle Scienze ad avvalersi della simulazione; rappresenta la tecnica più idonea per l’insegnamento ad adulti già in possesso di una di conoscenze sull’argomento. Si è introdotta la simulazione perché l’interattività permette di migliorare l’apprendimento facilitando la fissazione dei concetti esposti; perché la metodologia della simulazione è finalizzata all’apprendimento e al mantenimento del sapere esperto di tutte le professioni medico-sanitarie e fornisce una formazione completa coniugando il sapere e le abilità con i comportamenti e la comunicazione. Si avvicina così l’esperienza simulata (formativa) a quella lavorativa, riproducendo scenari il più possibile vicini alla vita professionale. Un esempio pratico dell’efficacia della simulazione è l’applicazione delle Linee Guida al caso clinico riprodotto: è valutata la gestione del paziente in conformità alla applicazione delle linee guida, è valutata la performance individuale e del team, attraverso il debriefing, momento successivo che segue sempre l’operatività dello scenario.

La simulazione può essere applicata in modalità “micro – simulazione” ovvero casi clinici al computer, in modalità “macro” con mezzi manichini (per valutare la performance in particolari procedure (es: BLS) o con manichini interi e tecnologicamente sofisticati (simulatori ad alta tecnologia) che riproducono una realtà molto simile a quella effettivamente riscontrata nella pratica lavorativa quotidiana, riproducendo anche  difficoltà, imprevisti elementi confondenti che possono accadere nella pratica clinica quotidiana (scenari ad alta fedeltà). Nella simulazione in emergenza – urgenza la metodologia applicata ai casi clinici è quella che caratterizza la disciplina: “general assessment”, “primary assessment”, secondary assessment”, “tertiary assessment”.

I partecipanti al Master sostengono esami per conseguire il titolo. Sono previste verifiche delle conoscenze e delle competenze all’ingresso e in uscita mediante questionari a risposta multipla, discussione di casi clinici e prova pratica.

Caratteristiche dei partecipanti al Master

Dopo 3 anni di attivazione del Master, corredate da 166 domande da tutta Italia, si possono delineare le caratteristiche dei partecipanti. Per entrambe le sedi, il 76% delle domande proviene da Colleghi in servizio presso il PS/DEA o presso il servizio territoriale del 118. Per la restante parte l’11% proviene dal servizio di guardia medica e il 12% da strutture non di emergenza (ambulatori, reparti ospedalieri, etc).

Nella figura 1 sono riportate le percentuali di provenienza dalle diverse regioni italiane.

Fig2_1_61

Com’è evidente, la maggior parte dei partecipanti al Master proviene dall’Italia centrale. Tuttavia, c’è anche un 15% che proviene dall’Italia del Nord, un 16% dall’Italia del Sud e circa l’8% dalle Isole. Questo sembra confermare la peculiarità di questo Master dedicato a un settore dove ancora manca, per il momento, la figura del medico formato nel post-laurea per la medicina di emergenza-urgenza.

Per quanto riguarda l’età dei partecipanti nella figura 2 è riportata la distribuzione nelle varie classi di età.  Come è osservabile la classe di età più rappresentata è sicuramente quella dei medici tra i 31 e 35 anni anche se le altre classi di età sono comunque sufficientemente rappresentate.  Il sesso dei partecipanti e’ equamente distribuito essendo le donne il 58%.

Fig1_2_61

Valutazione da parte dei Discenti

L’analisi dei questionari di gradimento proposti a fine corso ci consente le seguenti deduzioni: 1) il Master è stato apprezzato nelle proposte didattiche che ha fornito, nella personalizzazione di alcuni indirizzi, coerenti con le esigenze professionali dello studente (laboratorio degli ultrasuoni e di elettrocardiografia, gestione vie aeree e ventilazione non invasiva, corsi sul trauma, sul bambino critico, stage in particolari unità d’emergenza );  2) le richieste principali riguardano un più ampio spazio alle simulazioni e  approfondimenti sempre maggiori  sulle terapie.

Conclusioni

Il prossimo obiettivo, considerato che Università e Società Scientifica hanno progettato e realizzato il Master è l’estensione della  formazione, omogenea in tutte le sedi universitarie, perché il sapere sia integrazione tra formazione e mondo del lavoro,  sviluppando un processo formativo secondo le esigenze occupazionali. Il Master così potrebbe costituire un vero valore aggiunto, certificando l’ingresso nel mondo del lavoro o il cambiamento dell’ambito lavorativo, o, ancora, la progressione di carriera.

Bibliografia

1) Creazione di un sistema di valutazione dei Master universitari della Sapienza.  Documento del DIeS, www.diesonline.it

2) G Bertazzoni e M Bianchini – Su alcuni aspetti riguardanti la richiesta infermieristica di accesso ai Master. Med Chir 40-41; 1681-4, 2007

Cita questo articolo

Bertazzoni G., Pini R., Il Master di secondo livello in Medicina d’Emergenza-Urgenza. Esperienza dopo tre anni di attivazione, Medicina e Chirurgia, 61: 2732-2734, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-5

Identificazione precoce e intervento breve nei confronti del bere a rischio. Cosa insegnare ai futuri medicin.61, 2014, pp.2728-2731, DOI: 10.4487/medchir2014-61-4

Abstract

Aim of this work is to promote the introduction of the alcohology and the “Clinical guidelines for the identification of hazardous and harmful consumption of alcohol and brief intervention” study in Medicine and Surgery degree course, to learn the execution of brief interventions on the population at risk.

The authors report a summary of guidelines and the main tools used for the identification of hazardous and harmful alcohol consumption and for the execution of the brief intervention. Moreover, they reported the results of a survey on medical students’ knowledge and drinking habits. It highlighted the lack in the field of knowledge of alcohology, a high frequency of “occasional drinkers” (34.7%) and “regular drinkers” (25.9%) among the students of the fifth year of the Medicine and Surgery degree course of the Catania University. Intensified education concerning healthy lifestyle coping with consumption of alcohol during medical school could help improve these habits in healthcare professionals and their patients. 

Articolo

Introduzione

Ogni anno sono attribuibili, direttamente o indirettamente, al consumo di alcol: il 10% di tutte le malattie, il 10 % di tutti i tumori, il 63 % delle cirrosi epatiche, il 41 % degli omicidi ed il 45 % di tutti gli incidenti, il 9% delle invalidità e delle malattie croniche*. Nonostante ciò l’abitudine all’alcol è estremamente diffusa ed intimamente legata alla nostra cultura. Il consumo di un bicchiere di vino a tavola può essere considerato parte integrante dell’alimentazione e in generale della vita sociale. Nel corso degli anni, tuttavia, a fronte di una internazionalizzazione dei consumi e di ingenti investimenti relativi al marketing delle pubblicità di alcolici, al tradizionale consumo moderato si è affiancato il consumo eccessivo episodico e/o persistente di alcol, il cosiddetto binge drinking. Inoltre, è cambiato il tipo di bevanda consumata: è diminuita la quota di chi consuma solo vino e/o birra ed è aumentata quella di chi consuma anche aperitivi alcolici, amari e superalcolici, spesso fuori dai pasti. I consumatori più a rischio risultano i giovani2,3,4, anche se non vanno trascurate le altre fasce d’età. Infatti, la propensione al binge drinking appare diffusa anche tra gli adulti, tra le persone con più alto titolo di studio e fra chi si sente in buono stato di salute, evidenziando una lacuna nella diffusione di informazioni corrette e scientificamente fondate sui rapporti tra alcol e salute5.

L’alcol incrementa il rischio di sviluppare malattie e lesioni alcol correlate in modo direttamente proporzionale alla dose ingerita, senza alcun effetto soglia apparente, di conseguenza gli operatori dell’assistenza sanitaria primaria avrebbero l’opportunità di identificare tutti i pazienti adulti che consumano alcol in modo rischioso e dannoso attraverso semplici screening6. In realtà, sebbene la gran parte dei Medici di Medicina Generale dichiari di monitorare il consumo di alcol7,8 attualmente la frequenza con cui vengono effettuati gli screening è bassa9 e gli stessi pazienti affermano che raramente vengono poste domande sull’alcol, anche nel caso di forti bevitori10.

L’OMS ha da tempo evidenziato la necessità di promuovere interventi rivolti alla popolazione generale e in particolare ai giovani, per sollecitare l’adozione di comportamenti di vita sani supportati da una corretta informazione e dalla consapevolezza dei potenziali rischi e dei danni che alcuni atteggiamenti possono causare11.

In Italia, nel 2001, è stata approvata la legge quadro in materia di alcol e di problemi alcol correlati12. In particolare l’art. 5 di tale legge (Modifiche agli ordinamenti didattici universitari) indica l’opportunità di modificare l’ordinamento didattico del Corso di laurea in Medicina e Chirurgia allo scopo di assicurare l’apprendimento dell’alcologia durante il corso di studio. Tuttavia, nonostante sia trascorso oltre un decennio, la legge non è mai stata applicata e nonostante esistano diversi programmi volti a modificare i comportamenti a rischio i dati dell’OMS mostrano un’evidente lacuna in merito ai potenziali interventi che si potrebbero attuare per ridurre i danni causati dall’alcol ed evidenziano che l’assistenza sanitaria di base, comunemente riesce ad identificare meno del 10% della popolazione che fa uso problematico di alcol e meno del 5% di coloro che potrebbero beneficiare di interventi brevi13, mentre è noto che l’intervento breve è efficace nel ridurre il consumo di alcol, sia negli uomini che nelle donne, fino a sei/dodici mesi successivi all’intervento stesso14.

Pertanto, obiettivo di questo lavoro è promuovere l’introduzione dello studio dell’alcologia e delle “Linee guida cliniche per l’identificazione del consumo rischioso e dannoso di alcol e l’intervento breve”, nell’ordinamento didattico del Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, affinché il futuro medico possa acquisire le conoscenze necessarie per l’attuazione di interventi brevi sulla popolazione a rischio. Infine, vengono riportati i risultati di uno studio pilota sulla valutazione delle conoscenze alcologiche e sulle abitudini alcoliche degli studenti del V anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania allo scopo di evidenziare con dati oggettivamente acquisiti quale sia l’attuale situazione.

Materiali e Metodi

E’ stata effettuata una sintesi delle “Linee guida cliniche per l’identificazione del consumo rischioso e dannoso di alcol” riportando i principali strumenti utilizzati per l’identificazione e le modalità suggerite per l’intervento breve6.

Quindi allo scopo di indagare le conoscenze alcologiche e le abitudini alcoliche fra gli studenti del V anno del Corso di laurea di Medicina dell’Università di Catania, durante l’anno accademico 2010-2011, dopo aver spiegato le finalità della ricerca e le sue possibili ricadute, è stata proposta a tutti gli studenti presenti in aula la compilazione di una Scheda Questionario (SQ). La SQ è composta da una prima parte destinata alla raccolta dei dati anagrafici, da una seconda parte contenente domande riguardanti l’alcologia, la legge in materia di alcol e problemi alcol-correlati ed infine una terza parte nella quale è stato inserito il questionario AUDIT (Alcohol Use Disorders Identification Test). L’AUDIT, elaborato dall’OMS, è un semplice test di screening costituito da 10 domande, che serve ad identificare il consumo rischioso, dannoso o l’alcol dipendenza15. I risultati del questionario AUDIT sono stati ottenuti in base ai seguenti punteggi: 1) 0-8: risultato negativo, nessun problema da segnalare. 2) >8 – >14: trattasi di un consumatore a rischio, che ha o ha avuto problemi alcol-correlati (infortuni o forti bevute occasionali) ma, probabilmente, non si tratta ancora di una dipendenza fisica da alcol. 3) > 15: trattasi di un consumatore che ha problemi alcol-correlati e/o è un soggetto alcol-dipendente.

Le informazioni raccolte sono state opportunamente codificate, sottoposte a revisione critica ed elaborate utilizzando lo Statistical Package for the Social Sciences (SPSS for windows, release 20, 2012, SPSS, Chicago, Illinois). L’analisi statistica è stata effettuata tramite il T-test ed il test del Chi-quadro al fine di verificare rispettivamente la presenza di differenze significative tra i gruppi di variabili quantitative e qualitative.

E’ stato considerato “bevitore occasionale” chi ha dichiarato di bere una quantità di alcol inferiore a 5g/die e “bevitore abituale” chi ha dichiarato di bere una quantità pari a  5 o più g/die.

Risultati

Linee guida cliniche per l’identificazione e l’intervento breve: identificazione del consumo rischioso e dannoso di alcol.

E’ stato dimostrato che l’identificazione del “consumo rischioso” e del “consumo dannoso” di alcol è più efficace se inserita nella routine della pratica clinica attraverso la somministrazione di semplici test di screening a tutti i nuovi pazienti al momento della registrazione, e a tutti i pazienti che si presentano ad un controllo. Quando un simile approccio non è applicabile, un’opzione plausibile è quella di limitare lo screening a gruppi ad alto rischio o ad alcune situazioni specifiche (per es. l’ipertensione)6.

Esiste una vasta gamma di test utilizzabili per identificare il consumo problematico di alcol, come per esempio l’ AUDIT, l’AUDIT-C, il FAST, il CAGE ecc. Una volta individuato il soggetto che ha un consumo problematico di alcol è auspicabile procedere con un intervento breve. Esso è un provvedimento efficace per la riduzione del “consumo rischioso” e del “consumo dannoso” di alcol, consiste sostanzialmente nel comunicare il rischio al bevitore (feedback), fornire informazioni e avvertenze in forma breve (brief advice), e definire gli obiettivi da raggiungere (goal setting). La durata di ogni intervento può variare da un minimo di 5 minuti  ad un massimo di 20 minuti. Possono essere inclusi, infine, anche l’assistenza e il follow-up a distanza6,14.

Indagine sulle conoscenze alcologiche e sulle abitudini alcoliche degli studenti del V anno del corso di laurea in medicina dell’Università di Catania

La ricerca ha coinvolto un campione di 170 studenti universitari  (51,2% femmine), di età media  pari a 23,6 anni.

I dati relativi alle conoscenze alcologiche hanno evidenziato che il 91,7% degli studenti sa che cos’è l’alcol (M: 86,4%; F: 97,0%; p<0,05). Il 54,5% sa cosa si intende per “grado alcolico” (M: 47,0%; F: 62,1%; p< 0,005). Il 72,0% conosce il limite, previsto dal codice della strada, di 0,5 g/L di alcol nel sangue, limite oltre il quale il conducente viene definito in stato di ebbrezza e, quindi, soggetto a provvedimenti sanzionatori.

Il 90,0% degli studenti afferma di aver già sperimentato le bevande alcoliche. La prima degustazione di bevande alcoliche viene fatta risalire mediamente all’età di 14,3 anni.

Per quanto attiene le abitudini alcoliche dichiarate il 34,7% degli studenti consuma mediamente meno di 5,0 g/die di alcol anidro pertanto sono stati considerati “bevitori occasionali” (M: 27,7%; F: 41,4%), mentre il 25,9% degli studenti consuma 5.0 o più g/die di alcol anidro e sono considerati “bevitori abituali”.

Il 67,9% degli studenti consuma bevande alcoliche durante i pasti (M: 69,8%; F: 65,8%), con una differenza statisticamente significativa rispetto agli studenti che consumano alcolici fuori pasto (p=0,0004), sia per i maschi (p=0,0034) che per le femmine (p=0,042).

I dati relativi all’AUDIT sono riportati nella tabella 1.

Tab.1 - Distribuzione percentuale degli studenti in funzione dello score ottenuto rispondendo al questionario AUDIT

Tab.1 – Distribuzione percentuale degli studenti in funzione dello score ottenuto rispondendo al questionario AUDIT

Discussione e conclusioni

Questo studio offre una preziosa occasione per formulare alcune importanti considerazioni sull’importanza dell’“intervento breve”, sulle conoscenze alcologiche e sulle abitudini alcoliche fra gli studenti del V anno del C.d.L in Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania. Purtroppo, tra i futuri medici coinvolti in questa ed in altre indagini, le percentuali dei “bevitori abituali” ed “occasionali” non sono trascurabili16,17.

Considerato che la percentuale di consumatori di bevande alcoliche aumenta all’aumentare del titolo di studio posseduto, il fenomeno diventa ancora più allarmante se si prende in considerazione la possibilità che ad abusare di alcol possano essere proprio i medici18. È evidente che sono necessari dei provvedimenti a breve scadenza, anche in considerazione delle abitudini rilevate da studi effettuati sugli adolescenti19.

Il Piano d’Azione Europeo 2012-2020 per ridurre il consumo dannoso di alcol fra gli obiettivi da raggiungere prevede di “rafforzare e diffondere la conoscenza di base sulle dimensioni e sui determinanti del danno alcol correlato e sugli interventi efficaci per la riduzione e prevenzione di tali danni”.

Il Piano nazionale 2011-2013 prevede fra gli obiettivi da perseguire, di operare a livello culturale per modificare correttamente la percezione del bere in quanto comportamento a rischio, e diffondere informazioni precise e univoche sul rischio connesso.

Inoltre, a più di dieci anni dalla ratifica della legge 125/2001, sembra opportuno riconsiderare la possibilità di introdurre modifiche all’ordinamento didattico del corso di laurea in Medicina e Chirurgia allo scopo di assicurare l’apprendimento dell’alcologia, lo studio delle nuove “Linee guida cliniche per l’identificazione e l’intervento breve”6 e la loro successiva applicazione per arginare questa problematica sanitaria e sociale emergente.

Infine, riteniamo che diffondere l’applicazione dello studio pilota, da noi effettuato solo fra gli studenti del V anno, su tutto il territorio nazionale e coinvolgere insieme ai CCddLL di Medicina anche quelli delle Professioni Sanitarie contribuirebbe in maniera importante a fare acquisire una consapevolezza dei problemi alcol correlati e a sensibilizzare i futuri operatori di sanità Pubblica sull’importanza di recepire e quindi indurre comportamenti non a rischio nei riguardi dell’alcol.

*Consumo a rischio per la salute: il consumo che eccede 2-3 unità alcoliche (ua) al giorno per l’uomo; 1-2 ua per la donna; 1 ua per gli anziani di 65 anni e più; qualsiasi quantità giornaliera per i minori di 11-17 anni; Binge drinking: consumo di 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione18. Consumo dannoso: consumo di alcol che porta inevitabilmente ad alterazioni della salute fisica e mentale del consumatore e di conseguenza importanti danni sociali15.

Bibliografia

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2) Ferrante M, Altobello A, Castagno R, Fattorini P, Fiore M, Modonutti GB. (2007). Un’Italia spiritosa: modalità di approccio, uso delle bevande alcoliche e percezione dei rischi alcol correlati da parte degli studenti delle scuole medie di primo grado di Catania. Panorama della Sanità supplemento al n. 38/2007, pp. 260 ISSN 1827-8140 ROMA: ESSE editrice s.r.l. (Italy).

3) Modonutti GB, Altobello A, Fiore M, Garascia C, Leon L, Sciacca G E, Fallico R, Ferrante M. (2009). Abitiduni alcoliche e intossicazione acuta da alcol fra gli studenti della scuola media catanese. Ig. Sanità Pubbl.; 65:323-334.

4) Modonutti GB, Fiore M, Costantidines F, Cunsolo M, Fallico R, Sciacca S, Ferrante M. (2010). Alcol e fumo di tabacco: approccio, uso e percezione del rischio degli studenti della Scuola Secondaria di 2° grado di Catania. Igiene e sanità pubblica. p.601. Editore Iniziative Sanitarie. Roma. ISSN: 0019-1639

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11) Action plan to reduce the harmful use of alcohol 2012-2020 (2012) World Health Organization.

12) Legge n. 125 del 30 Marzo 2001 Legge quadro in materia di alcol e di problemi alcolcorrelati Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 90 del 18 aprile 2001

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16) Fiore M, GB. Modonutti, Costantinides F, Leon L, Manfroi L, Oliveri Conti G, Fallico R, Ferrante M. Modelli di comportamento e background culturale espressi nei confronti delle bevande alcooliche da un gruppo di studenti del 5° anno della Facoltà di Medicina e Chirurgia delle Università di Catania e Trieste. XXII Congresso Interregionale Calabro-Siculo. 9-11 Settembre 2011. Germaneto – Catanzaro.

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18) Rapporti ISTISAN 11/4 Scafato E, Gandin C, Galluzzo L, Rossi A, Ghirini  S. (2011). Epidemiologia e monitoraggio alcol-correlato in Italia. Valutazione dell’Osservatorio Nazionale Alcol- CNESPS sull’impatto dell’uso e abuso di alcol ai fini dell’implementazione delle attività del Piano Nazionale Alcol e Salute. Rapporto per il Gruppo di Lavoro CSDA (Centro Servizi Documentazione Alcol).

19) Modonutti GB, Fiore M, Costantinides F, Leon L, Oliveri Conti G, Fallico R, Ferrante M.(2011) Association between parental alcohol-related behaviors and children’s drinking.. Environ Health Perspect. http://dx.doi.org/10.1289/ehp.isee2011.

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Fiore M., Catania G., D’Agati M.G., et al, Identificazione precoce e intervento breve nei confronti del bere a rischio. Cosa insegnare ai futuri medici, Medicina e Chirurgia, 61: 2728-2731, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-4