Notizie dal CUN, dall’ANVUR, dalle Conferenze Permanenti dei Corsi di laurea in Medicina e dalle Conferenze Permanenti delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Consiglio Universitario Nazionale

Nel mese di settembre 2015, il CUN ha espresso il parere su “Regolamento recante criteri e parametri per la valutazione dei Candidati ai fini dell’attribuzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale… omissis”. Questo argomento è di forte interesse per tutta la comunità Accademica in quanto il bando della nuova ASN, ferma dal 2013, è atteso da giovani e meno giovani studiosi per l’ingresso nell’Università (tenure track) e per le progressioni di carriera. Nel parere viene auspicata una maggiore flessibilità e responsabilità, quindi autonomia, da parte delle commissioni, l’individuazione di “valori soglia” da raggiungere per potere partecipare, l’eliminazione dell’età accademica, l’introduzione di un terzo parametro. (Il testo del parere del 30 settembre, è disponibile sul sito www.cun.it) Il decreto dovrebbe essere emanato dal MIUR in tempi brevi ed uno dei motivi del ritardo è stato dovuto al parere del Consiglio di Stato sulla maggioranza qualificata (4/5) prevista già nella precedente ASN e che ora dovrebbe divenire maggioranza semplice (3/5). In ogni caso, sebbene si attendano tempi più brevi il decreto “milleproroghe”, attualmente in discussione in parlamento, ha fissato al 31/12/2016 il termine per l’emanazione del regolamento dell’abilitazione scientifica nazionale.

Il 21 ottobre 2015 è stato espresso il parere sulla Legge di Stabilità nel quale il CUN ha auspicato che venga disposto un progetto di rilancio del sistema universitario, che preveda quanto meno: l’assunzione di un numero adeguato di RTDb; la seconda tranche del piano straordinario per la chiamata di Professori di seconda fascia previsto dalla legge 13 dicembre 2010, n.220 (legge di stabilità 2011)e l’attivazione di un piano straordinario per il reclutamento di Professori di prima fascia; la previsione di finanziamenti che garantiscano il diritto allo studio; la rimozione del blocco degli scatti stipendiali ;il rinnovo dei contratti del Personale tecnico-amministrativo.

A novembre è stata, sulla stessa linea della CRUI, espressa al Ministro una raccomandazione sulla necessità di sospendere i tempi della VQR, in considerazione delle numerose criticità esposte in numerosi Atenei.

Il 13 gennaio è stata designata nel Comitato Consultivo dell’ANVUR la Prof.ssa Alessandra Petrucci ordinario del Dipartimento Statistica informatica e applicazioni “G Parenti” dell’Università degli Studi di Firenze. Sempre a gennaio il CUN ha ricevuto la visita del Ministro On. Stefania Giannini che ha indicato le linee programmatiche su cui lavorare durante l’anno in corso.

Sono stati poi  formulati due pareri il primo sull’equipollenza dei titoli francesi con la ASN e il secondo sulle corrispondenze tra posizioni accademiche italiane ed estere. Attualmente il CUN sta esaminando gli ordinamenti didattici e a tal proposito si segnala la “guida alla scrittura degli ordinamenti didattici” disponibile sul sito www.cun.it. Si segnala inoltre, sempre sul sito, la “Guida alla presentazione delle domande per i passaggi di SSD, SC e MSC”. Nella penultima adunanza di febbraio è stata pubblicata una dichiarazione sul valore della ricerca in cui si interviene sulla necessità del riconoscimento giuridico degli scatti retributivi per il personale universitario.

Sono pervenute al Presidente le dimissioni del Prof. Mario Morcellini quale rappresentante al CUN dell’Interconferenza. Da questa è giunta la designazione del Prof. Vitale Cardone quale nuovo rappresentante in seno al Consesso.

Manuela Di Franco

Segretario generale

Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca

E’ con grande piacere che inizio questa collaborazione con la Rivista: far giungere a voi tutti la voce dell’ANVUR è per me motivo anche di orgoglio.

 

In data 19 Febbraio 2016 un’ ulteriore proroga al termine per la presentazione dei prodotti nell’ambito della VQR è stata concessa dall’ANVUR e la nuova scadenza è spostata quindi al 14 Marzo per le Università.

Nel corso del mese di Febbraio è stato elaborato, anche se non ancora licenziato dal Consiglio Direttivo, il documento che illustra i criteri e gli indicatori che saranno da guida per l’accreditamento dei Corsi di dottorato del XXXII ciclo. Esso sarà consultabile sul sito ANVUR pertanto non vale la pena riassumerlo qua, ma può essere utile indicare le linee di indirizzo fondamentali che hanno portato, pur nella sostanziale continuità con il relativo documento del 2014, ad alcune rilevanti integrazioni. Un peso maggiore viene assegnato al Coordinatore che deve essere incardinato nell’Ateneo sede del Dottorato, il cui Consiglio deve contenere almeno per il 50% docenti incardinati nello stesso Ateneo, mentre viene meglio demarcata la differenza fra i dottorati bibliometrici e non bibliometrici.

Dovrà essere garantita la disponibilità del 50% di aumento della borsa per un periodo di soggiorno all’estero non superiore ai 18 mesi.

Alcune novità interessano l’area Medica ed in particolare la necessità di fornire un elenco dettagliato dei “laboratori con dotazioni disponibili (grandi macchinari e risorse assistenziali nel caso di dottorati clinici)”.

Altra rilevante novità di precipuo interesse per l’Area Medica è a livello di SUA-RD (Ricerca Dipartimentale): nella prossima rilevazione saranno inseriti nell’ambito del personale in servizio (quadro C2) anche gli Specializzandi afferenti al Dipartimento, consentendo quindi ai Dipartimenti coinvolti nelle Scienze della Vita maggiori potenzialità di espressione della propria capacità di ricerca. Ho ritenuto di impegnarmi personalmente per una tale opportunità ma debbo aggiungere che il CD ha mostrato di accogliere con grande favore questa variazione.

Segnalo infine con soddisfazione che proseguono i contatti fra CUN ed ANVUR sulla possibilità di avviare finalmente un percorso di eccellenza che porti infine all’idea, peraltro pienamente condivisa dall’Agenzia di Valutazione, di un titolo di cosiddetto PhD-MD.

Paolo Miccoli

Direttivo ANVUR

 

Conferenza Permanente dei Presidenti

di Consiglio del CLM in Medicina e Chirurgia

Riunione del 30 novembre 2015

All’apertura dei lavori il Presidente illustra l’OdG che prevede l’intervento istituzionale della dr.ssa Rossana Augenti, funzionario responsabile della formazione nel Ministero della Salute e rappresentante in Europa per la programmazione degli accessi, quello di Paolo Miccoli, chirurgo endocrinologo, e nuovo componente nel direttivo ANVUR per l’area scienza della salute, e infine quello di Lorenzo Donini sulla nutrizione clinica nel percorso formativo dopo la proposta EXPO’15; da ultimo, si sofferma sulla necessità di uniformità per quanto riguarda l’attribuzione del voto di laurea.

Stefania Basili presenta un breve rendiconto del Progress test 2015 rilevando che hanno partecipato al test 47 Corsi di Laurea su 49 (96%), con un notevole incremento rispetto agli anni scorsi e con una grandissima partecipazione degli studenti (24.594). I risultati sono in elaborazione e verranno presentati nella prossima riunione della Conferenza e sollecita la preparazione di nuove domande per rinnovare l’archivio, coinvolgendo anche le società scientifiche come proposto dal Prof. Bellelli.

La Dr.ssa Rossana Ugenti, Direttore Generale del Ministero della Salute, ha tenuto una brillante relazione su “Programmazione del fabbisogno di medici: il progetto europeo per un nuovo modello ”. Si tratta di un progetto triennale che, oltre i medici, riguarda anche altre professioni sanitarie, con diversi gruppi di lavoro. Il progetto pilota in Italia è collegato agli adempimenti istituzionali e considera l’offerta (proiezione su flussi in entrata e uscita collegato con il numero di professionisti attuali e quello atteso in futuro) con la domanda (quella attuale e futura a seguito di cambiamenti demografici, epidemiologici ed organizzativi), prospettando uno scenario a gruppo chiuso ed uno a gruppo aperto, diffuso al MIUR, Regioni, FNOMCEO, Istat.

Il Prof. Paolo Miccoli, nuovo membro ANVUR per la medicina, rimarca i punti di contatto con la Conferenza sottolineando i punti qualificanti come a) la manutenzione del core curriculum con la pratica medica (rivedere i corsi professionalizzanti a cominciare dai tirocini), b) la metodologia scientifica e l’evoluzione della ricerca con percorsi di eccellenza quali il MD-PhD, c) la laurea con abilitazione, e d) le site visits e il progress test che proiettano la Facoltà nel contesto europeo.

Il Prof. Lorenzo Donini affronta il problema della “Nutrizione clinica nei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia: la proposta post EXPO’15” ed afferma che è necessario: a) porre le problematiche nutrizionali al centro dell’attenzione (presenza di problematiche nutrizionali, considerare gli aspetti socioculturali, psicologici, funzionali che si accompagnano alle problematiche nutrizionali); b) verificare che i saperi previsti negli ambiti della nutrizione di base, applicata e clinica siano presenti nel corso di studi in M&C; c) adottare, anche per la nutrizione, lo stesso processo di formazione che si adotta in altri ambiti (dalle scienze di base alla fisiopatologia alla clinica); d) integrare le conoscenze che vengono fornite nelle scienze di base, nelle “metodologie” e nella clinica, anche in una logica nutrizionale; e) recuperare il senso clinico della ristorazione collettiva ospedaliera; f) considerare il “territorio” come area di interesse della formazione.

La commissione (B. Moncharmont, C. Della Rocca e S. Basili) preposta ad uniformare il meccanismo di calcolo del voto di laurea in tutte le sedi, anche alla luce del fatto che tale punteggio è valutato nel concorso nazionale per l’ammissione alle scuole di specializzazione, ha proposto una mozione (allegata) che viene approvata all’unanimità.

Per l’attività dei gruppi di lavoro riferisce Anna Bossi su: Studio comparativo fra risultati degli immatricolati “regolari” e “ricorrenti” riportando i risultati ottenuti dalle sedi di Milano, Torino/Orbassano, Pavia e Campobasso, e in attesa di quelli degli altri CdL che partecipano a questa iniziativa (Milano Bicocca, Modena, Napoli 2–Caserta, Napoli Federico II, Novara, Palermo, Roma 2, Torino); e Marco Krengli del gruppo MD-PhD che riporta i dati relativi al questionario sul percorso di eccellenza a cui hanno risposto il 75% delle sedi.

Per il punto “Il lavoro di gruppo nella didattica e nell’organizzazione della didattica” del GdL Innovazione Pedagogica, Maria Grazia Streparava ha tenuto una brillante relazione sul lavoro di gruppo con gli studenti e tra docenti, segnalando i vantaggi, le caratteristiche, i contenuti, gli interventi strategici, gli strumenti, la dinamica di gruppo e la gestione delle difficoltà. Nella conclusione ha definito i 10 “comandamenti” del lavoro di gruppo: trasparenza, uguaglianza, sopportarsi reciprocamente, ascolto attivo, contatto visivo, la guida del leader, coinvolgimento di tutti, interventi in ogni momento, conduzione formale o informale e infine controllo sull’andamento del lavoro da parte di tutti.

 

La prossima riunione della Conferenza si terrà a Siena l’otto e nove aprile 2016.

Amos Casti

Segretario generale

Conferenza Permanente delle Classi

di Laurea delle Professioni Sanitarie

La Conferenza Permanente delle Classi di  Laurea delle professioni sanitarie procede nella sua attività di sviluppo della qualità della formazione. In particolare, anche al fine di sviluppare le tematiche/problematiche emerse nel Meeting annuale che quest’anno si è realizzato a Bologna, ha realizzato l’incontro della Giunta lo scorso dicembre. In tale incontro si è lavorato sulle problematiche relative alle afferenze dei corsi di laurea triennali e magistrali delle professioni sanitarie ai Dipartimenti o alle Scuole/Facoltà di Medicina e Chirurgia. Si è discussa l’esigenza di suggerire agli Atenei unitarietà gestionale dei CdS delle professioni sanitarie per facilitare mutuazioni, esperienze di didattica interprofessionale e presentarsi come unico interlocutore con il sistema sanitario regionale rispetto alle convenzioni ed ai necessari supporti per le attività formative professionalizzanti. Pertanto, si è convenuto che l’afferenza debba avvenire sulla base di questi criteri, assicurando la possibilità di un coordinamento sia tra i CdS che tra i livelli istituzionali coinvolti. E’ emersa inoltre l’esigenza di monitorare i diversi modelli organizzativi in essere soprattutto per valutarne l’efficacia in sede di concreto funzionamento.

Rispetto alla tematica dei SSD ed alle abilitazioni scientifiche nazionali, con il contributo del Prof. Lenzi Presidente del CUN si è discussa l’esigenza di rielaborare  le declaratorie dei SSD 46-50 in modo da evidenziare le peculiarità scientifiche di questi ambiti disciplinari per guidare nella valutazione dei candidati di questi  SSD.

Con riferimento alle problematiche emerse recentemente rispetto alla prova pratica finale dei corsi di laurea, l’Ufficio di Presidenza ha incontrato il Direttore Generale del Ministero alla Salute dott.ssa Rossana Ugenti con la quale si è tenuto un confronto molto positivo. Al termine dell’incontro è emersa una condivisione del documento di indirizzo sull’Esame finale approvato dalla Conferenza e si è evidenziata la necessità di aggiornare l’attuale circolare che contiene indirizzi per l’espletamento dell’esame finale abilitante. Si  è condiviso che la prova pratica può prevedere modalità diverse purché sia evidente la finalità di accertare le capacità dei candidati di affrontare situazioni, problemi, casi esemplari e significativi per il loro futuro esercizio professionale. Non sono pertanto accettabili quesiti che valutano solo il livello posseduto di conoscenze, che costituiscono i prerequisiti delle competenze professionali.

Il Prof. Antonio Lanzone,  Presidente Commissione Nazionale per Ostetrica/o ha invece riferito  alla Giunta l’articolato lavoro svolto dalla Commissione per sviluppare la preparazione delle Ostetriche, a fronte di una crescente complessità delle responsabilità attese dal profilo di ruolo. Dopo aver presentato gli aspetti storici e scientifici  che hanno motivato la Commissione Nazionale dei CdS Ostetrica/o, anche sulla base delle normative europee di riferimento, a chiedere un prolungamento della durata di studi, si è aperto il dibattito. Già altre Commissioni, infatti, come ad esempio quella per Fisioterapisti e Infermieri, hanno più volte  dibattuto e motivato la necessità di una revisione della durata dei rispettivi CdS.

Non da ultimo, Angelo Mastrillo è intervenuto sulla tematica del tutorato evidenziando le questioni relative ai criteri di reclutamento e nomina, alla dotazione minima ed alle funzioni che costituiscono aspetti importanti anche in fase di definizione dei protocolli di intesa. Si è discussa l’esigenza di sviluppare un framework di riferimento per la definizione dei diversi ruoli tutoriali nei Corsi di Laurea. Infine, sono state riferite alcune informazioni rispetto agli avanzati lavori inerenti il Work Package n. 5 sul modello di definizione dei fabbisogni – condotto del Ministero della Salute ed a cui al prof. Saiani è stata invitata in fase di presentazione dei riusltati sino ad ora raggiunti nella definizione di una modellistica.

Infine, si è deciso di realizzare il prossimo meeting a Bologna il 23-24 settembre 2016.

Alvisa Palese

Segretario generale

Segretariato Italiano Studenti in Medicina)

MIND – Mental Illness and New Doctors

Gli Studenti in MeC parlano di salute mentale

Perché la psichiatria non basta

  1. Premesso che un argomento intenso come questo andrebbe compreso di pancia, nell’insegnamento di psichiatria vengono presentati criteri diagnostici per definire il malato ponendo l’accento sulle deficienze del singolo senza valutare il contesto sociale: metaforicamente la psichiatria continua a chiudere i malati in una stanza.
  2. Inoltre è un approccio settoriale, lo studio di un particolare gruppo di patologie che rappresentano un solo aspetto della vita del paziente; invece sarebbe utile distaccarsi dalla patologia e ripartire dalla salute come elemento globale.

Queste sono solo due testimonianze1 dei partecipanti al MIND- Mental Illness and New Doctors, laboratorio esperienziale sulla salute mentale che ha visto riunirsi a Bisceglie (BAT) dal 4 al 6 dicembre 2015  25  soci del SISM – Segretariato Italiano Studenti in Medicina.

Se è opinione diffusa che per capire alcuni tipi di disagio, tra cui quello psichico, sia necessario averne esperienza diretta, non possiamo che ritenere incompleta una formazione puramente accademica focalizzata su diagnosi e terapia, enfatizzando così lo stigma; allo stesso tempo la salute stessa non è la mera assenza di malattia ma una percezione personale della propria condizione di benessere: pertanto il futuro medico deve essere avvicinato alle buone pratiche di illness centered medicine orientate al recovery.

Cos’è e come nasce il MIND

Il MIND nasce da due anni di autoformazione di un gruppo di soci appartenenti a differenti atenei che ha studiato e cercato testimonianze sulla realtà della salute mentale e servizi territoriali. Dopo diversi esperimenti è nato un laboratorio che, attraverso tecniche di educazione non formale, cineforum e l’intervento di una psichiatra ha stimolato la consapevolezza dei partecipanti sul concetto di salute mentale e i determinanti di esso, la normalità e lo stigma, nonché l’inclusione sociale; la realtà dei servizi territoriali in Italia e l’importanza di un rapporto medico paziente olistico, cercando così di raccogliere l’eredità Basagliana.

Possibili sviluppi del progetto

Formatori e partecipanti hanno avviato un lavoro di revisione e integrazione del materiale su cui si è basato il primo laboratorio in vista di una seconda edizione dello stesso, auspicando la diffusione del format nelle differenti realtà locali.

a cura di Claudia Chiurlia, Letizia Lorusso e Silvia Martignago

Pre-occupazione e pre-venzione. Lavoro, ambiente e medicina nel De morbis artificum diatriba di Bernardino Ramazzinin.69, 2016, pp. 3154-3160, DOI: 10.4487/medchir2016-69-7

Articolo

Dimmi che fai e ti dirò come ti ammalerai. Questo potrebbe essere un sintetico riassunto della prima sistematica inchiesta sulla relazione tra i mestieri degli artigiani, i loro corpi e le loro malattie1 – De morbis artificum diatriba (1700) – che compie il medico italiano Bernardino Ramazzini (1633-1714). L’inchiesta non promette risultati tranquillizzanti: sappamo che le circostanze che legano condizioni socio economiche e mestiere tipicamente correlano con fattori eziopatogenetici come la scarsa igiene ed una dieta incongrua2. In termini attuali si direbbe che i fattori di confondimento non sono marginali, ma all’epoca in cui Ramazzini osserva i mestieri degli artigiani l’identificazione del rapporto patogenetico fra lavoro e malattia è schiacciante. Prima di diventare medico e accademico riconosciuto, la pratica di medico condotto aveva consentito a Ramazzini di osservare un campione di popolazione nuovo, e questo aveva sviluppato in lui una particolare sensibilità: a differenza dei medici di corte, i suoi pazienti erano anche gente del popolo. Come sottolinea Adalberto Pazzini “È il medico che per la prima volta, entra (con tutta la sua autorità accademica, come rappresentante di una funzione sociale) anche là dove prima era entrato solo il becchino”3.

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La novità e il riscontro immediato del trattato di Ramazzini, stampato e tradotto nelle principali lingue europee, ne fanno un’opera di successo sin dagli inizi del ’7004. In anni recenti l’interesse della letteratura per la figura e gli scritti di Ramazzini è in continuo aumento quasi a sottolinearne una vera e propria rinascita5. Senza pretesa di esaustività, in questo articolo saranno evidenziati alcuni concetti e alcune parole chiave che per la loro forza esplicativa e retorica mettono in luce gli elementi essenziali del trattato e della vita di Ramazzini.

  • Nuovo terreno d’indagine e “incitamentum” alla ricerca medica

Per la prima volta con approccio scientifico e in modo sistematico il De morbis offre la tassonomia dei mali specifici a cui sono esposti i lavoratori artigiani. I quaranta capitoli e la dissertazione sulle malattie dei letterati della prima edizione modenese (1700), più il breve supplemento di altri dodici capitoli e la dissertazione sulla tutela della salute delle vergini religiose nella seconda edizione del 1713, sono dedicati ognuno a un mestiere delineandone gli elementi patogenetici essenziali.

L’“occasione” – ma “occasio” è la circostanza favorevole, in termini attuali si direbbe “serendipity” – del “De morbis” è raccontata da Ramazzini nel capitolo XIV. Durante la manutenzione del pozzo nero della sua abitazione il medico è talmente colpito dal modo in cui l’operaio è costretto a ripulire “quell’antro infernale”, con una fretta particolare e coprendosi il volto, che insospettito gliene chiede la ragione. Il manovale risponde che non si può nemmeno immaginare cosa significhi restare per più di quattro ore in quel luogo, respirando aria fetida e rischiando per giunta di diventare cieco. L’interesse del medico a questo punto è conclamato e solleva una serie di interrogativi. Lo sguardo è duplice: quello pragmatico del medico che cura – primo vero scopo dell’arte medica – e quello dello scienziato che ha individuato un nuovo terreno d’indagine, “Nemo enim, quod sciam, in hunc campum pedem immisit”. Si tratta di riuscire a creare un ponte tra pratica e scienza, scavalcando la prassi oppositiva tra una medicina che si vuole scienza dotta e distante dal popolo e una pratica medica antiscientifica.

Come evidenziato nella Prefazione, la medicina è invece ricerca che deve servire da pungolo. Il De morbis quindi è un “incitamentum” per la comunità dei medici che, proseguendo sul tracciato inaugurato da Ramazzini e “manus apponant”, facciano sì che tale campo innovativo di ricerca si guadagni un posto nel “foro medico”. Siamo di fronte ad una consapevole volontà di esplorare una materia nuova cui, inoltre, si vuole dare riconoscimento e uno statuto proprio.

Il chimico e accademico francese Antoine-François de Fourcroy per conto della “Société royale de Médecine” cura nel 1777 la prima traduzione francese del De morbis (“Essai sur les maladies des artisans”) e conclude l’introduzione all’opera spronando i medici ad impegnarsi  a gettare luce sulla “natura delle malattie”. De Fourcroy nota che l’osservazione delle epidemie effettuata nel corso di più secoli prova l’“influenza delle arti su queste malattie”. Ad esempio, nel caso della peste i medici hanno sempre osservato una relazione costante tra il diffondersi dell’epidemia e determinati mestieri. De Fourcroy suggerisce quindi l’osservazione reiterata di due casi particolari: quello in cui gli operai cadono tutti vittime del morbo e quello in cui, al contrario, sopravvivono tutti. Ciò permetterebbe di evidenziarne la causa, che a sua volta potrebbe aprire la strada alla comprensione della causa dell’epidemia. Osservando con “esperienze molteplici e ben fatte” – le attuali condizioni di controllo – il divario tra mestieri che preservano ovvero espongono alle malattie contagiose, sarebbe quindi possibile portare alla luce nuove evidenze riguardo la natura stessa dei contagi.

In poco più di settant’anni grazie al primo suggerimento di Ramazzini si è dunque affermato un campo nuovo in medicina. L’incitamento che in Ramazzini è metodologico e di invito a dare riconoscimento alla nuova disciplina è diventato propriamente scientifico, centrando esplicitamente l’obbiettivo dell’individuazione dell’eziologia del contagio. Nel corso delle varie epoche in questo nuovo terreno di studi convergeranno questioni di natura medica e sanitaria, ma anche socio-politiche e culturali sottolineando interrogativi di natura più generale riguardo il significato della posizione dell’uomo nel proprio ambiente e nel mondo6.

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  • Ad mechanismum redacta est ars medica

Come evidenziato da Mirko Grmek “definire le origini è sempre stato un modo per dare autorità ad una comunità professionale, ad una tradizione culturale o tecnica”7. Richiamandosi al fondatore della medicina occidentale la sottile retorica di Ramazzini abbraccia in una sola mossa tutta la tradizione umoralista e il suo corpus dottrinale di riferimento, esaltando la nuova disciplina e delimitandone lo spazio specifico all’interno del foro medico. Insieme ai molti autori classici citati in tutta l’opera, il posto d’onore in chiusura della Prefazione spetta a un memorandum di Ippocrate.

“Cum ad aegrotum deveneris, interrogare oportet quae patiatur, et ex qua causa, et quot jam diebus…”. Bisogna domandare all’ammalato ciò che sente, qual è la causa, da quanti giorni, e poi anche se ha problemi intestinali e come si è nutrito. Rispetto al detto ippocratico Ramazzini introduce una nuova domanda: “Et qua artem exerceat”. In questo modo battezza letteralmente la nuova disciplina come legittimamente parte della tradizione e al contempo la rinnova.

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La coalescenza di antico e moderno sul piano teorico, metodologico e terapeutico può sembrare paradossale tuttavia risponde all’apertura pragmatica e scientifica di Ramazzini. Le numerose teorie e i rimedi antichi sono descritti nel corso di tutto il libro senza alcun distacco “wiggish”. Ramazzini offre una visione acuta che, come sottolineato dalla storica della medicina Berenice Cavarra, non è dogmatica né dottrinale, ma piuttosto multidisciplinare: teorie ed esempi sono modulati tra antico e moderno secondo l’utilità, in un pluralismo strategico ad hoc8. Si trovano concezioni e pratiche innovative a lui contemporanee così come casi antichi e semplici ritrovati terapeutici, ossia di volta in volta viene menzionato ciò che è più utile a spiegare il caso specifico. Ad esempio, nella trattazione dei mali dei minatori, sia per riconoscere le cause sia per eventuali terapie, è citato più volte Galeno ma anche molti medici moderni. Il tentativo è quello di individuare la maggiore autorità sul campo contemperando autorità e autorevolezza. I casi ricorrenti di oftalmie dei minatori possono essere curati con colliri derivati dello stesso metallo patogeno, secondo l’antico precetto della cura del simile col simile

L’accento di Ramazzini nel richiamo a Ippocrate è traslato strumentalmente sul metodo classificatorio e meccanicista che deve essere accolto anche dalla medicina, e che diventerà tratto distintivo del metodo scientifico. Dell’impianto umoralista è enfatizzato il metodo sperimentale di stampo meccanicista che correla le osservazioni secondo catene causali di causa-effetto. Mosso dal desiderio di diffondere un ideale medico pragmatico e teso alla cura, Ramazzini sostiene che l’arte medica del suo tempo è “ridotta” al meccanismo, secondo il precetto iatromeccanico della “dissectio a resolutio ad minutum”. Come suggerito da Grmek già nel 1632 Marco Aurelio Severino, professore di anatomia e chirurgia a Napoli, con la sua monografia sui tumori aveva inaugurato l’anatomia subtilis, proponendo lo smontaggio delle minuscole macchine che compongono il corpo e la spiegazione della patologia come disturbo del loro funzionamento. Il richiamo a Ippocrate di Ramazzini è un cavallo di Troia per sostenere il nuovo approccio pragmatico alla medicina. Rimarcando il senso della medicina come techné, arte della cura, in contrasto con l’Arte medica, elevata e letteraria, teorica e ideologica, Ramazzini sostiene che in nome della verità non è indecoroso occuparsi anche delle cose meccaniche d’infimo grado. La stessa retorica è usata nel capitolo XIV dedicato a coloro che svuotano le fogne per legare meccanicismo e tradizione ippocratica. È citato Ippocrate dal De flatibus: bisogna che il medico osservi le cose più sgradevoli e tratti le più ributtanti. Così come nel dialogo platonico Ippia Maggiore Socrate invitava Ippia ad unire alla contemplazione delle cose grandi quella delle cose piccole facendo ricorso ad esempi di tipo meccanico.

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Quindi la domanda che deve porsi il medico è di natura eziologica, ma eminentemente pragmatica: come sia possibile comprendere la relazione tra l’insorgenza delle malattie e il mestiere praticato. Ramazzini ipotizza che mentre nel caso di classi abbienti l’indagine eziologica sopra le cause che associano malattia e mestiere può essere secondaria, quando si ha a che fare con gente del popolo diventa una ricerca “opportuna e necessaria”. Le circostanze particolari che legano condizioni socio-economiche e mestiere correlano con molti altri fattori patogenetici come l’igiene, la dieta etc.9 aggravando la già evidente nocività del mestiere. Al punto che il detto citato in apertura potrebbe essere rivisto in chiave pessimistica10 in “Dimmi che fai e ti dirò come morirai”.

Nel primo capitolo sui minatori le cause principali delle malattie sono innanzitutto la nocività delle materie stesse con cui i lavoratori entrano in contatto, per cui effluvi deleteri e particelle minuscole si infiltrano nelle loro viscere (“noxius halitus ac tenues particulas humanae naturae infensas expirans, particulares morbos invehit”). Inoltre, i movimenti violenti, scomposti e incongrui del corpo viziano la struttura naturale della macchina vitale. Salta subito agli occhi la metafora dell’uomo-macchina come modello di riferimento ramazziniano in linea con il meccanicismo dell’epoca.

Si passano in rassegna le sostanze nocive, specialmente i metalli, che affliggono orefici, alchimisti, coloro che distillano l’acqua-forte (acido nitrico), i fabbricatori di specchi, coloro che fondono lo stagno, pittori ed altri ancora. Come narrato già dai poeti antichi i minatori che lavorano nelle viscere della terra s’intrattengono letteralmente con la morte. L’uomo sfida la natura che si rifà a sua volta su di lui: per avere metalli pregiati paghiamo il prezzo più caro. Infatti, le malattie tipiche dei minatori sono numerosissime e terribili come asma, tisi, apoplexia, paralisi, cachessia, gonfiore dei piedi, caduta dei denti, ulcera delle gengive dolori e tremori agli arti. Polmoni e cervello sono tra gli organi più colpiti una volta che le particelle infette trasportate dall’aria entrano in circolo nei tessuti e negli organi vitali, mescolandosi al sangue, alterando e danneggiando il temperamento naturale. Fin dall’antichità erano note le grandi difficoltà di questa categoria di lavoratori e nonostante il miglioramento di dieta e abbigliamento presente all’epoca di Ramazzini le pessime condizioni abitative e la carenza di luce rendono questi lavoratori una stirpe di “morti viventi” (“ex Orci familia”).

  • Pre-occupazione e prevenzione sul lavoro

“Regna fovent artes”, letteralmente lo stato protegge le arti, è un detto (attribuito a Carlo Magno) con cui Ramazzini sottolinea l’importanza che lo stato si occupi, o meglio, si pre-occupi del lavoro nei vari modi in cui ciò può declinarsi. La traduzione del verbo latino “foveo” come “pre-occupazione”, in cui il prefisso “pre” anticipa l’“occupazione”, permette di evidenziare un parallelismo con la pre-venzione: un’intuizione di Ramazzini che diventerà un concetto cardine in medicina del lavoro e in epidemiologia: bisogna pre-occuparsi e cioè “curarsi prima” delle patogenesi correlate all’ambito lavorativo. Ramazzini era fermamente convinto che fosse più facile prevenire le malattie piuttosto che curarle, specialmente facendo attenzione a igiene e profilassi, ma anche con semplici accorgimenti11. Tornando alla frase iniziale, in latino “foveo” vuol dire letteralmente tenere al caldo; se riferito agli uccelli significa “covare”, e in ambito medico era usato anche col significato di “applicare impacchi” o “massaggiare”. Si tratta di una cura fatta con le mani per chi lavora con le mani, protettiva; il suo eccesso si traduce in paternalismo.

La scelta del verbo “foveo” contraddistingue anche l’intreccio, non casuale forse, con questioni e preoccupazioni di altra natura, come la politica e la sussistenza. Con lo stesso termine, infatti, Ramazzini chiude la nota alla seconda edizione del 1713 del De Morbis. Rivolgendosi direttamente ai “moderatores” di Padova, dove era stato insignito della cattedra di medico pratico all’Università dal 1700, li invita ad accogliere e proteggere, in poche parole a sostenere la causa. In proposito Francesco Carnevale indica come possibile pubblico “target” di Ramazzini gli intellettuali influenti, anche internazionali, che potrebbero indirizzare la programmazione dell’agenda degli Stati a favore degli interessi dei lavoratori12.

C’è un invito allo scambio di “attenzioni sostanziali”, affinché venga riconosciuta l’importanza degli aspetti anche più materiali del lavoro, a cavallo di politica, medicina e società. Come ricordato da Pericle di Pietro, uno dei più noti studiosi di Ramazzini, nei dieci anni che precedono la pubblicazione della Diatriba Ramazzini viveva a corte e in campagna tra notevoli difficoltà economiche13. Il medico Ramazzini, quindi, anche da accademico mette al centro i pazienti, e invita i suoi colleghi, in contrasto con i medici-filosofi che piuttosto si curano del compenso, a curare pazienti senza fare distinzioni di condizioni economiche, sociali e personali.

Un certo distacco ironico nei confronti della categoria dei medici rimarrà un tratto ramazziniano. Egli scherza con lucidità, ad esempio, riguardo al fatto che i medici dovrebbero preoccuparsi della salute dei becchini visto che “sotterrano i corpi dei morti insieme agli errori dei medici” e che i chirurghi con la lancetta mietono più vittime di quante ne fa la falce in mano alla Morte. Con la stessa ironia, che diventa anche pungolo alla ricerca, Ramazzini sottolinea la casualità per cui gli speziali spesso si ammalano preparando i loro rimedi, non celando così una qualche iatrogenicità dei loro farmaci.

Ci si può chiedere da dove abbia origine questo sguardo sagace di Ramazzini sulla categoria cui egli stesso appartiene. Una risposta possibile si trova nella variegatezza della vita e della carriera di Ramazzini. Egli nasce a Carpi nel novembre del 1633, seguono gli anni di studio a Parma dove ottiene la laurea in Filosofia e Medicina nel 1659, poi l’esercizio del mestiere di medico condotto nel ducato di Castro, nell’attuale Lazio, dove tra l’altro contrae la malaria. Dal 1671 diventa medico di Corte a Modena presso il Duca Francesco II e dal 1682 inizia la carriera di accademico, prima a Modena con la cattedra di Medicina teorica e pratica14 e poi dal 1700 presso l’Università di Padova. In tutte queste esperienze evidentemente Ramazzini ha modo di raffigurarsi i medici non solo a propria immagine e somiglianza.

Come sottolinea Pazzini, Ramazzini con il suo “frizzo” e gusto dell’aneddoto “ha posto una base della medicina sociale moderna ed ha recato un bene alla società di gran lunga maggiore di quel che non abbiano fatto tanti altri con opere pur dense di pensiero (op. cit., p. xix-xx).

Attraverso la lettura dell’Epistolario di Ramazzini curato da Pericle Di Pietro ed edito per la prima volta a Modena nel 1964 nel duecentocinquant’anni dalla morte, emerge il suo profilo di rilievo internazionale. Le lettere inviate a medici e letterati dell’epoca tra cui spicca il filosofo Leibniz, rivelano la sua vasta cultura e il suo interesse per il reperimento di materiali aggiornati. Eppure Di Pietro evidenzia che stranamente nelle lettere ben poco compare sul De morbis. Tra i pochi riferimenti, c’è una lettera all’amico Magliabechi, bibliotecario del gran duca di Toscana che intratteneva fitta corrispondenza con i dotti di tutta Europa, in cui Ramazzini sottolinea che si tratta di una “materia ch’io sappia ancora vergine”.

Il ritratto di Ramazzini che emerge dalla letteratura più attuale è quello di un medico-scienziato poliedrico e polivalente15. Se da un lato è possibile apprezzarne la cultura umanistica e la passione per la scrittura poetica, dall’altra spicca l’adesione al metodo sperimentale galileiano affermato negli scritti di idrologia, idraulica, veterinaria e nelle indagini fisiche con misurazioni termometriche e barometriche nei pozzi modenesi.

Bernardino Ramazzini rappresenta l’incrocio, o meglio il ponte tra due epoche di fermento: la rivoluzione scientifica e culturale del ‘600 e le nuove teorie meccaniciste che pongono la medicina su basi sperimentali fisiologiche. Al contempo Ramazzini è esemplare della coalescenza di antico e moderno16. L’epiteto di Terzo Ippocrate gli fu conferito nel 1693 dall’Accademia Cesareo-Leopoldina dei Curiosi della Natura; con questo epiteto egli è riconosciuto ufficialmente come esponente del neoippocratismo.

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In tal senso la Diatriba è esemplare. Ramazzini allineato con le posizioni progressiste e seguendo l’imprinting culturale-sociale della sua epoca sostiene l’importanza del lavoro e delle arti. Viceversa si riallaccia alla tradizione antica il legame tra artifex e medico che pratica l’arte medica, concetto cardine della medicina ippocratica. Infine, da un punto di vista più critico il trattato mette l’accento sulla responsabilità che hanno lo stato, e i medici di conseguenza, nel garantire condizioni di lavoro appropriate che non danneggino o mettano a rischio la vita dei lavoratori. In questo senso la tecnologia deve svilupparsi anche come “tecnologia preventiva” per un governo della salute ad uso e a misura dei lavoratori17.

  • Umano troppo umano

Il termine “Natura” contraddistingue l’inizio della Prefazione, mettendo sullo sfondo della Diatriba il tema filosofico riguardo al posto e alla relazione dell’umano con la natura in una doppia dialettica: umano vs natura e naturale vs sociale. In linea con le concezioni umoraliste il legame di “physis” e “umano” è essenziale poiché è alla base della costituzione dell’individuo, della sua salute e della malattia in un andamento ciclico a feedback. Microcosmo e macrocosmo si rispecchiano nell’equilibrio precario dell’individuo in bilico tra salute e malattia.

I criteri cardine dell’eziologia umoralista – permeabilità dell’organismo e influenza ambientale in senso lato – sono traghettati da Ramazzini verso l’identificazione di una causalità specifica. Le Costitutiones epidemicae mutinenses annnorum quinque scritte tra il 1691 e il 1695 – che saranno inserite anche all’interno dell’Opera Omnia di Sydenham aumentandone così la diffusione anche a livello internazionale – evidenziano il nesso tra costituzioni ambientali e costituzioni epidemiche. Per comprendere meglio tale relazione, con un’analogia gastronomica si potrebbe dire che come l’annata di un vino raccoglie gli effluvi e gli influssi locali del territorio e del particolare ciclo annuale connotandosi con determinati tratti caratteristici che ne regolano la costituzione, così anche l’insorgenza di epidemie specifiche del territorio si può interpretare attraverso meccanismi causali semplici: quei fattori ambientali nocivi che scatenano dei particolari moti fisiologici corrispondenti.

La relazione causale costitutiva di ambiente, natura, e insorgenza di specifiche patologie è ripresa nel De Morbis, spesso citando interi brani delle Costitutiones, completamente traslata di piano. Il livello naturale-individuale è implementato dalla dimensione sociale e politica inaugurando una nuova categoria d’analisi: i lavoratori. L’ambiente fa l’uomo tanto quanto il suo lavoro. La nozione stessa di ambiente si arricchisce di una dimensione in più, visto che naturale e sociale determinano al contempo l’umano specificandone il posto nel mondo.

Come ogni rapporto, il rispecchiamento di humano-natura può tradursi all’opposto anche nel loro scontro. L’ingegno umano, infatti, per reggere e reagire all’ostilità della natura, ossia per sopravvivere, è costretto a prendersi cura di sé. Quindi all’origine di tutte le arti e i mestieri sviluppati per la sussistenza, ricorda Ramazzini, non c’è la mano, ma la pancia! Eppure questo meccanismo naturale degenera in un circolo vizioso: gli individui lavorano per sopravvivere e sfamarsi, ma nel lavoro si espongono alle malattie più gravi che ne minacciano a loro volta la sopravvivenza. La degenerazione si può riassumere nelle questioni seguenti: come è possibile che l’individuo così bene adattato all’ambiente diventi disadattato? E da dominatore dominato? Ciò è dovuto all’instaurarsi di una dialettica storta o perversa con il lavoro. Come l’ambiente naturale può essere indagato anche nel suo contesto sociale, ossia l’ambiente lavorativo, così anche la malattia diventa specifica, e contestuale all’ambiente: un luogo sociale diventato strutturale di malattia18.

Per cogliere la trasformazione dell’eziologia patologica da naturale a sociale è utile soffermarsi sul capitolo XXXII dedicato al sottogruppo della popolazione dei lavoratori ebrei. In questo caso, infatti, ogni causalità puramente naturale è negata da Ramazzini. Questo sottogruppo popolazionale è tradizionalmente nomade ed ha quindi una costituzione estremamente plastica. Pertanto nelle patologie di questa categoria di pazienti ogni legame costitutivo di sangue e ambientale cessa, e l’eziologia va verificata solamente sul piano culturale e socioeconomico. Nessun particolare problema costituzionale quindi: sono i mestieri socialmente degradanti cui tradizionalmente è costretto questo sottogruppo popolazionale a determinarne quasi una “seconda natura”.

Ricordiamo con Ramazzini che il lavoro è un bene e non una necessità e che come tutte le cose umane è un bene mescolato a qualcosa di negativo.

“Infatti, bisogna riconoscere che da ogni attività, da cui si pensa di ricavare il cibo per prolungare la vita e per nutrire la propria famiglia, derivano ai lavoratori disagi e malattie spesso molto gravi ed anche la morte. Molti lavoratori così maledicono il lavoro in cui avevano riposto invece speranza di vita”, Ramazzini, 2009, op. cit. vol. 1, p.72.

Dalla lettura del De morbis è possibile notare come all’inizio del XVIII secolo affiorino nuovi criteri eziologici. La causa, locale e specifica, è anche socialmente determinata. I nuovi dati che provengono dalle prime osservazioni delle tabelle statistiche sull’età, il genere, le abitudini, correlati tra loro secondo metodologie sempre più raffinate19 e osservati nell’ottica dei vari mestieri permettono di operare un salto trans-locale, di creare isomorfismi tra tipologie di lavoro e insorgenza di malattie; le evidenze concertano quindi  “pre-occupazioni” riguardo al lavoro di profilo internazionalista e globale.

In conclusione si può ricordare un ulteriore elemento d’innovazione di Ramazzini di buon auspicio anche nella nostra epoca, il suo pragmatismo ante litteram che per dirla in termini arendtiani enfatizza l’homo faber. Questa prospettiva lega il medico all’artifex, riconosce la funzionalità della medicina nell’utilità concreta che permette di osservare cause scatenanti e rimedi efficaci. La prevenzione quindi va di pari passo con una certa avvedutezza sul piano terapeutico. Da un lato sottolineando l’inadeguatezza di terapie costose che i lavoratori non possono permettersi. Dall’altro invitando a trovare soluzioni alternative alle prescrizioni di riposo e astensione dal lavoro che non sono facilmente praticabili poiché ingenerano un circolo vizioso: il ritmo frenetico dell’attività lavorativa cui sono sottoposti tutti i lavoratori è nocivo e al contempo fondamentale per la sussistenza.

Note

1 Negli studi di epidemiologia e medicina del lavoro attenzione particolare al tema dei corpi degli operai si trova fino ai nostri giorni dall’ergonomia al “working-class environmentalism”, vedi e.g. Carnevale F., Baldasseroni A., Mal da Lavoro. Storia della salute dei lavoratori, Laterza, 1999; Barca S., 2014, “Work, bodies, militancy. The ‘class ecology’ debate in 1970s Italy”. In Jas N. & Boudia S. (eds), Powerless science? Science and politics in a toxic world. New York: Berghahn Books.

2 Vedi nota 9.

3 Pazzini A., Bernardino Ramazzini e l’opera sua. In Ramazzini B., De Morbis artificum diatriba, Roma: Colombo, 1963, p.xvij.

4 L’opera viene ristampata: nel 1703 a Utrecht per i tipi di van de Water, a Londra nel 1705 edita da A. Bell & others, in due edizioni a Lipsia nel 1705 e nel 1718 e una a Leida nel 1724. La prima traduzione in italiano è quella dell’edizione veneziana del 1745, mentre l’edizione in francese, curata da Antoine de Fourcroy è del 1777, e viene subito ristampata l’anno seguente.

5 Si vedano in particolare i volumi usciti nello stesso anno: Baldasseroni A., Carnevale F., Malati di lavoro. Artigiani e lavoratori, medicina e medici da Bernardino Ramazzini a Luigi Devoto (1700-1900), Firenze: Edizioni Polistampa, 2015; Franco G., Meglio prevenire che curare. Il pensiero di Bernardino Ramazzini medico sociale e scienziato visionario, Narcissus, 2015. Nel dibattito contemporaneo la figura di Ramazzini come antesignano della medicina del lavoro è vincente, si veda in particolare Grieco A., Iavicoli S., Berlinguer G., (eds), Contributions to the History of Occuptional and Environmental Prevention, Amsterdam: Excerpta Medica, 1999; Franco G., Franco F., “De Morbis Artificum Diatriba [Diseases of Workers]”, American Journal of Public Health, 2001, 91, 9: 1380-82. Un’edizione italiana recente delle opere di Ramazzini si trova in Ramazzini B., Opere mediche e fisiologiche a cura di Carnevale F., Mendini M., Moriani G., Verona: Cierre edizioni, 2009.

6 Si veda il vasto filone di ricerche sul tema a partire dagli anni ’60-‘70, in particolare riguardo l’operaismo nelle inchieste di Raniero Panzieri nei Quaderni Rossi o anche l’eloquente titolo del libro di Giovanni Berlinguer, Il dominio dell’uomo, Milano: Feltrinelli, 1978.

7 Grmek M., Storia del pensiero medico occidentale, I. p. V. Si veda anche Temkin O., “An Essay on the Usefulness of Medical History for Medicine”, Bulletin of the history of medicine, 1946,19:9-47.

8 Cavarra B., 2011, “Filosofia e scienza nel De morbis artificum diatriba di Ramazzini”, Medicina nei Secoli, 23/2, 2011: 411-424.

9 L’attualità di questo detto è rinomata, un grande numero di evidenze supporta l’ipotesi di una tradizionale associazione inversa tra stato socioeconomico (SES) e mortalità. Il tema dell’inuguaglianza sociale è vasto, si veda e.g. il rapporto del WHO-Europe, “Environment and health risks: a review of the influence and effects of social inequalities”, 2010; e anche il recente studio Matz C. J., Stieb D.M., Brion O., “Urban-rural differences in daily time-activity patterns, occupational activity and housing characteristics”, Environmental Health, 2015, 14:88. In ambito italiano si veda AA.VV. (a cura di), Lequità nella salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze, Roma: Franco Angeli, 2015; nella citta di Roma: Cacciani L., et al., “Education and Mortality in the Rome Longitudinal Study”. PLoS ONE, 2015,10(9). Come osservato dallo studio epidemiologico ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects), rischio maggiore di sviluppare patologie correlate all’inquinamento dell’aria è stato riscontrato anche nella classe media. Ciò potrebbe essere dovuto al rapporto tra posizioni socieconomiche più elevate e distribuzione della residenza e del luogo di lavoro nelle zone centrali della città (i.e. Roma) più esposte all’inquinamento atmosferico.

10 Il tema della visione pessimistica nelle analisi di Ramazzini è osservata in dettaglio da Carnevale (2015) nel primo capitolo “Il lavoro e la salute degli artigiani”, op. cit.

11 Nel capitolo primo dedicato ai minatori, ad esempio, è indicato uno stratagemma precauzionale alla portata di tutti: entrando con una candela accesa nella cava se la candela resta accesa non c’è pericolo per la salute mentre una minima variazione della fiamma necessita di fare la pulizia dell’aria, aprendo al circolo di correnti.

12 Carnevale, 2015, op. cit, p. 63.

13 Pericle Di Pietro è forse lo studioso italiano che più si è dedicato alla figura di Ramazzini. Oltre all’Epistolario si veda anche Di Pietro P., “Ramazzini B. Biography and bibliography”, Eur. J Oncol, 1999, 4:179–317.

14 L’interesse specifico per i lavoratori è evidente già dagli inizi degli anni ‘90 del seicento, visto che il corso dell’anno accademico 1690-1691 presso lo Studio modenese è chiamato proprio “De Morbis Artificum”.

15 Il Convegno internazionale “Clinica e sperimentalismo nella medicina di Bernardino Ramazzini” (Modena 4-5 dicembre 2009), i cui interventi sono raccolti nel numero della rivista Medicina nei secoli, 23/2, (2011) offre uno spaccato aggiornato sulla figura di Ramazzini nel suo complesso. L’aspetto sperimentale di Ramazzini è discusso da Angeletti L.R., Marinozzi S., “Clinica e sperimentalismo nella medicina di Bernardino Ramazzini”, pp. 363-384; sulle motivazioni del suo eclettismo culturale si veda Riva A., Sironi V.A., Cesana G. “L’eclettismo culturale di Bernardino Ramazzini: analisi delle fonti bibliografiche non mediche del De morbis artificum Diatriba”, pp. 511-526.

16 Hanno messo in luce l’ippocratismo di Ramazzini Marinozzi S., Conforti M., Gazzaniga V., “L’ippocratismo di Bernardino Ramazzini. Per la costruzione di una medicina sociale”, Medicina nei secoli, 23/2, (2011), pp. 465-494.

17 Il tema è cruciale in tutta la medicina occupazionale moderna, di cui l’Italia è stata all’avanguardia, si vedano in particolare i lavori sulla tecnologia sociale di Raniero Panzieri e di Giovanni Berlinguer a partire dagli anni 1960-1970.

18 Questo aspetto è analizzato in particolare da Carnevale F., (2015), op.cit.

19 Saranno le tecniche sperimentali più precise e raffinate che connoteranno l’introduzione della statistica inizialmente da parte dei francesi nella medicina del lavoro, si veda Carnevale F., (2015), op.cit.

Ringraziamenti

L’Autrice ringrazia Silvia Marinozzi e Mauro Capocci per i consigli e i preziosi commenti per la scrittura di questo scritto.

Cita questo articolo

Frezza G., Pre-occupazione e pre-venzione. Lavoro, ambiente e medicina nel De morbis artificum diatriba di Bernardino Ramazzini, Medicina e Chirurgia, 69: 3154-3160, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-69-7

L’esperienza del servizio tutor in itinere nel CLM in Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze. Un inizio promettenten.69, 2016, pp. 3152-3153, DOI:10.4487/medchir2016-69-6

Abstract

In our School of Medicine, from April 2015 a tutor pool was activated, made of 8 students and 2 PhD students. The main activities were initially promotion of the service, creation of a Facebook page and email box to which students could access for information, questions or requests for help. After this, daily “open access” receptions were established.

At the beginning of the new academic year specific orientation days for freshmen have been realized. The tutors attended orientation day for students of secondary schools (open day 2015). The feedback of this first year of activity, in terms of students’ satisfaction and facilitation, have been largely satisfactory, so we expect an increasingly structured ongoing activity over the next few years.

Articolo

Introduzione

Etimologicamente, il termine tutor trova la sua origine nel verbo latino tuéri, che significa “proteggere, difendere, custodire”1. Era usato nel linguaggio giuridico per indicare chi si prendeva cura di persone considerate socialmente o fisicamente deboli. Poi il termine è diventato consueto soprattutto nel mondo della formazione. In Inghilterra la parola tutor è stata utilizzata a lungo anche come sinonimo di istitutore privato. Si è dunque progressivamente persa la connotazione di tutela, di dipendenza di un soggetto da un altro e il termine è stato sempre più spesso associato a funzioni educative e formative2.

Il significante è stato tramandato nel lessico: ma, dal latino tutor, all’istruttore privato, al tutor nell’accezione moderna, i mutamenti di significato sono evidenti. Permane, comunque, il nucleo semantico di facilitatore, di garante, che nel tempo si è focalizzato sul raggiungimento degli obiettivi formativi degli studenti.

A questo proposito già nel 1990 è stata istituzionalizzata la figura del tutor universitario attraverso l’emanazione della Legge 19 novembre 1990, n. 341, che ha imposto a ciascun Ateneo di istituire un servizio di tutoraggio per “…orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso degli studi, a renderli attivamente partecipi del processo formativo, a rimuovere gli ostacoli ad una proficua frequenza dei corsi, anche attraverso iniziative rapportate alle necessità, alle attitudini ed alle esigenze dei singoli” (art.13).

Uniformandosi a questi precetti normativi, l’Università degli Studi di Firenze ha indetto (Decreto n. 93247/2014) un bando di concorso finalizzato al reclutamento di tutor dedicati all’attività di supporto, assistenza e ausilio degli studenti iscritti ai Corsi di Laurea Triennali e Magistrali.

In particolare, le funzioni dei tutor sono dettagliatamente richiamate all’art. 5 del Decreto; tra i più significativi compiti troviamo:

– “…individuare i problemi che sono di ostacolo al regolare iter di studio e agevolare la progettazione di percorsi di sostegno volti a colmare criticità emerse anche in relazione a specifici esami”;

– “…predisporre strumenti per il recupero delle lacune di apprendimento”;

– “…collaborare all’attività integrativa di supporto alla didattica”;

– “… fornire supporto agli studenti nel reperimento di informazioni e nell’assolvimento di pratiche di tipo amministrativo”.

Il tutto, con l’obiettivo ultimo di ridurre la dispersione accademica e di favorire il compimento di un regolare percorso di studi.

L’esperienza del Corso di Laurea

Nell’Aprile 2015 è stato attivato un pool di tutor composto da 8 studenti degli ultimi 3 anni del Corso di Laurea e da 2 Dottorande di Ricerca. L’attività è rivolta agli studenti dei primi tre anni di corso.

La promozione del servizio di tutoraggio è avvenuta inizialmente attraverso la pubblicazione di un annuncio ufficiale all’interno del sito Web del Corso di Laurea, è proseguita con la presentazione diretta dei tutor agli studenti durante le lezioni del primo, secondo e terzo anno, ed è stata data ulteriore diffusione attraverso volantini informativi e manifesti pubblicitari affissi nelle aree di maggior frequenza degli studenti (biblioteca, mensa, luoghi di studio).

E’ stata istituita una casella e-mail (tutor.medicina-l@sc-saluteumana) dedicata agli studenti per ricevere richieste di informazioni, quesiti o richieste di aiuto e sono stati organizzati “sportelli aperti” con cadenza giornaliera, a cui gli studenti possono afferire per avere un colloquio diretto, presidiati da due/tre tutor.

Con la funzione di incrementare i livelli di visibilità, diffusione e promozione del servizio, si è ritenuto di non poter fare a meno dei social network, anche in considerazione della giovane età degli studenti: per questo è stata creata una apposita pagina Facebook (www.facebok.com/tutor.med.unifi).

Grazie ai colloqui avuti con gli studenti sono stati evidenziati gli argomenti di maggior interesse e preoccupazione per cui è stata realizzata una lista di Frequently Asked Questions (FAQ), pubblicata sul sito del CdL stesso http://www.medicina.unifi.it/vp-289-faq-come-fare-per.html e sulla pagina Facebook.

All’inizio del nuovo Anno Accademico, particolare attenzione è stata prestata all’accoglienza delle nuove matricole, con presentazione diretta del servizio agli studenti ma soprattutto organizzando delle giornate di orientamento specificatamente dedicate ai nuovi iscritti.

Di particolare interesse è stata la partecipazione all’Open Day 2015 (giornata di orientamento per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado) del 12 Dicembre 2015, in cui il gruppo tutor ha presentato la propria esperienza in quanto studenti o ex studenti del CdL Medicina e Chirurgia e presentato il servizio di tutor in itinere.

I riscontri finali, al termine di questo primo anno di attività, sono indubbiamente soddisfacenti, considerato che la casella e-mail ha ricevuto oltre 130 contatti, con un tempo medio di risposta che è sempre stato inferiore alle 12 ore. La maggior parte delle richieste di informazioni hanno riguardato modalità di esame, regole di passaggio da un anno di corso all’altro, consigli sul materiale didattico più idoneo.

Ancora più d’impatto è risultato il numero dei “like” sulla pagina Facebook che risultano essere di poco inferiori ai 900, con un alto numero di interazioni ai post pubblicati e soprattutto la ricezione di un considerevole numero di messaggi, oltre 125, con un tempo medio di risposta di circa 18 minuti.

Non ultimo, di grande interesse sono stati i colloqui avuti dai tutor con i Professori coordinatori di semestre per evidenziare e definire le criticità eventualmente presenti nel percorso formativo degli studenti, al fine di discutere eventuali proposte di miglioramento.

Discussione

In un momento in cui gli Atenei temono una flessione delle iscrizioni ai corsi o un incremento del tasso di drop-out fra gli iscritti, è opportuno considerare il ruolo chiave che il tutor gioca nel prevenire l’abbandono da parte degli studenti stimolandone interesse e motivazione e fornendo un supporto che accompagna il discente fino alla conclusione del proprio percorso formativo3.

Le competenze del tutor possono essere molteplici. Secondo la più recente Letteratura in materia4-5, il tutor può ricoprire diverse funzioni, instructor (con funzione di esperto della materia), o facilitator, che fornisce diverse forme di scaffolding (cioè di supporto nel processo d’apprendimento) agli studenti.

Appare tuttavia indispensabile che gli studenti riconoscano come caratteristica fondamentale del tutor la capacità di entrare in empatia, e di cogliere le difficoltà e caratteristiche personali di ogni singolo studente, stabilendo un rapporto idoneo ad aiutare lo studente nel proprio percorso.

È necessario pertanto che il tutor sappia interagire con lo studente in modo da rassicurarlo ed incoraggiarlo facendo attenzione che le comunicazioni ed i feedback siano sempre chiari ed inequivocabili.

In quest’ottica, tra le prospettive in via di sviluppo del servizio tutor in itinere del CdL Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze, è in corso di realizzazione un questionario di gradimento del servizio stesso, la cui valenza appare anche utile ai fini di un controllo di qualità.

Parallelamente verranno in tempi brevi pubblicati i risultati di un questionario, realizzato in collaborazione con il Laboratorio di Psicologia della Salute dell’Università degli Studi di Firenze, proposto agli studenti dei primi tre anni di corso per individuare quegli aspetti psicologici che potrebbero influenzare il drop-out ed il disagio universitario. Quest’ultima iniziativa appare di spiccato interesse accademico e scientifico, poiché rappresenta una novità assoluta nel panorama universitario italiano.

In conclusione quindi, alla luce degli ottimi risultati ottenuti, in termini di soddisfazione degli studenti e facilitazione nei confronti degli stessi in un percorso non per tutti lineare, non c’è che da ritenersi ampiamente soddisfatti di questa prima esperienza del servizio tutor in itinere, auspicando una prosecuzione sempre più strutturata nel corso dei prossimi anni.

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Bibliografia

1) Scandella, O., Approcci teorici e metodologie della tutorship, in Internet:http://win.liceoamaldi.it/formazione/AT2%20Valutazione/Approcci%20teorici%20e%20metodologici%20alla%20tutorship.pdf

2) Scandella, O., Tutorship e apprendimento, Firenze, La Nuova Italia, 1995.

3) Murphy L., Shelley M. A., White C. J., Baumann U., Tutor and student perceptions of what makes an effective distance language teacher, in «Distance Education», vol. 32, n. 3, UK (Oxfordshire), Routledge, 2011, pp. 397-419

4) Calvani A. e Rotta M., Fare formazione in internet, Trento, Erickson, 2000

5) Rotta M. e Ranieri M., E-tutor: identità e competenze, Trento, Erickson, 2005

Cita questo articolo

Giacomelli E., Lanzi C, Barletti V., et al., L’esperienza del servizio tutor in itinere nel CLM in Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze. Un inizio promettente, Medicina e Chirurgia, 69: 3152-3153, 2016. DOI:10.4487/medchir2016-69-6

Stato dell’arte dei Gruppi di lavoron.69, 2016, pp. 3150-3151

Gruppo di lavoro

Accesso a Medicina e Test attitudinali

Riforma e monitoraggio

Coordinatori e Componenti membri della Conferenza: G. Familiari, M. Valli, S. De Placido, G. Muraro, F.M. Bandello, V. Locatelli, A. Lanzone, S. Bozzaro, I. Di Liegro, M.F. Caiaffa, S. Morini.

Componenti membri esperti, esterni: C. Barbaranelli, V. Ghezzi, G. Cavaggioni, M.G. Strepparava

Studio longitudinale sul benessere e le attitudini degli Studenti di Medicina e Chirurgia

Un buon “processo di selezione” si raggiunge attraverso ricerche scientifiche applicate ai metodi utilizzati, allo scopo di produrre evidenze in grado di rendere quei termini irrinunciabili di validity, reliability, feasibility e acceptability alla selezione.

Il gruppo di lavoro ha iniziato uno studio longitudinale per il riconoscimento e la valutazione degli aspetti non cognitivi dei candidati all’accesso a Medicina e durante tutto il percorso formativo.

Questo studio vede impegnati 8 CLM equamente distribuiti sul territorio nazionale e circa 1000 studenti arruolati al primo anno, nell’A.A. 2013-2014.

Risultati preliminari, ottenuti dall’analisi del questionario utilizzato nella ricerca, indicano che gli studenti si aspettano una professione caratterizzata dall’aiuto per i pazienti e socialmente utile, mentre non si aspettano una retribuzione scarsa e un’attività lavorativa rischiosa per la salute.

Gli studenti sono motivati al percorso accademico principalmente dalla volontà di prendersi cura degli altri, mentre aspetti variamente opportunistici risultano meno rilevanti.

Gli studenti evidenziano elevate capacità di autoregolazione, riferiscono un livello elevato di “empatia”, sia circa la propensione al coinvolgimento con gli altri nei loro momenti difficili, sia per quanto riguarda la tendenza ad assumere spontaneamente la prospettiva altrui circa un problema o una situazione, mentre riescono a mantenere un comportamento finalizzato allo scopo, anche in presenza di segnali di sofferenza altrui.

Si tratta di studenti sostanzialmente soddisfatti di sé stessi e che mostrano un atteggiamento fiducioso e positivo verso la vita e che evidenziano una sostanziale “salute psicologica”.

E’ possibile tuttavia identificare un gruppo di studenti che denota una fragilità da monitorare con attenzione, il cui profilo verrà analizzato in modo più dettagliato, e che sono candidati ai colloqui di approfondimento pianificati per il terzo anno da parte dei servizi di supporto/counselling.

Sulle basi di questo studio in corso, il MIUR, in collaborazione con la Conferenza e il Dipartimento di Psicologia di Sapienza, ha introdotto l’uso sperimentale di test attitudinali, a scopo di autovalutazione, già dal concorso di ammissione dell’anno accademico 2015-2016.

Gruppo di lavoro

MD – PhD

L’attuale Gruppo di Lavoro MD-PhD è stato costituito in occasione della riunione della Conferenza dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia che si è tenuta a Ferrara nei giorni 12-13 giugno 2015.

La composizione comprende Marco Krengli (Piemonte Orientale, Novara), Daniele Santini (Campus Biomedico, Roma), Antonio Moschetta (Bari), Raffaella Muraro (Chieti), Francesco Curcio (Udine), Calogero Caruso (Palermo), Luciano Daliento (Padova), Paolo Remondelli (Salerno), Mauro Tognon (Ferrara), Antonella Calogero (Roma La Sapienza, Polo Pontino) e Riccardo Zucchi (Pisa).

L’obiettivo è quello di individuare le possibili caratteristiche del percorso MD-PhD in termini di accesso e svolgimento, nonché le modalità di integrazione di tale percorso nell’ambito del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, al fine di formulare una proposta utile alla redazione di un documento della Conferenza che fornisca indicazioni per la stesura di una normativa ministeriale.

Si sono finora svolte due riunioni la prima il 25-09-2016 a Portonovo e la seconda il 30-11-2015 a Roma. E’ stato raccolto un questionario conoscitivo sugli attuali percorsi di eccellenza presenti nelle diverse sedi. Dalle risposte risultano attivi percorsi di eccellenza in 9 sedi (in 2 sedi si tratta di percorsi di Ateneo) con iscritti studenti in percentuali che variano dall’1.2% al 10% del numero degli immatricolati al primo anno. L’anno di accesso varia dal 2° al 4° e la selezione avviene prevalentemente sulla base della media dei voti e di un colloquio orale. Durante il percorso è svolto un progetto di ricerca con verifiche generalmente annuali. La grande maggioranza (oltre il 90%) delle sedi che hanno risposto al questionario dichiara di essere interessata ad attivare un percorso MD-PhD qualora fosse disponibile una normativa ministeriale. Fra i suggerimenti per tale percorso emergono: la possibilità di avere un corso di 8 anni con acquisizione simultanea dei titoli di laurea e di dottore di ricerca, l’inizio del percorso fra il 1° e il 4° anno, la possibilità di avere sinergie fra più sedi universitarie per la gestione del percorso e l’adesione a linee guida europee.

Il programma è completare la raccolta di informazioni su percorsi simili in campo internazionale e su normative Europee, acquisire informazioni su eventuali orientamenti/documenti esistenti a livello istituzionale e infine giungere a formulare una proposta di percorso MD-PhD possibilmente entro la fine del 2016.

Gruppo di lavoro

Progress Test, progetti futuri

Il gruppo di lavoro comprende: Salvatore Bozzaro (Torino- Polo San Luigi Gonzaga di Orbassano), Agostino Palmeri (Catania), Giulia Morace (Milano-Polo San Paolo), Maria Penco (L’Aquila),  Antonio Lanzone (Roma-Cattolica), Manuela Merli (Roma- SAPIENZA-CLMB), Stefania Basili (ROMA-CLMD), Felice Sperandeo (SISM), Alfred Tenore (past-president-Udine – Chair, Department of Medical Education, University of Science and Medicine Colton, California, USA).

In occasione della riunione della Conferenza che si terrà a Siena il prossimo Aprile, saranno mostrati i dati finali dell’ultimo PT. A breve sarà inviato ad ogni Presidente di CLM un form per la creazione di domande di tipo nozionistico e a vignetta clinica da selezionare per il PT 2016.  Ogni Presidente dovrà inviare il form al corpo docente del CLM e la collezione di domande dovrà essere inviata alla Commissione validatrice entro il mese di giugno.

La commissione validatrice sarà scelta tra i membri attivi e passivi della Conferenza con “expertise” sulla creazione di domande a scelta multipla.

Il GdL si dovrà confrontare nei prossimi mesi con il Presidente per evadere la richiesta da parte di molti CLMs di proporre quest’anno anche in inglese il PT 2016.

Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoron.69, 2016, pp. 3138-3149, DOI: 10.4487/medchir2016-69-4

Abstract

The ten years Site Visit Project by CPPCLMC leaded, during the last repetition, to the first internal provisional validation of all Italian CLMMC, within the CPPCLMC, on the basis of the requisites commonly accepted. Comparison among the four repetitions performed from 2004 and 2014 shows that the project itself and the other Conference activities contributed to the gradual quality improvement of the courses educational and training programs and execution. Such improvements appear to enhance students performances, courses Presidents opinions and evaluation committees judgements through the years. An efficient quality control system is established, now the goals for the CPPCLMC are to maintain it in the future and to make it more sustainable.

Articolo

Introduzione

Come è noto il progetto On Site Visit della CPPCLMMC rappresenta il tentativo della Conferenza, e di tutti i corsi di laurea magistrale di medicina e chirurgia italiani, di ricercare un sistema di valutazione tra pari il più obbiettivo e affidabile possibile. A questo scopo, per ben quattro volte, a distanza mediamente di circa due anni accademici l’una dall’altra, sono state visitate tutte le sedi universitarie italiane dove è presente un corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia.A nostra conoscenza si tratta di un’esperienza unica a livello europeo, e verosimilmente mondiale, realizzata in completa autonomia dalla Conferenza e resa sostenibile dall’impegno individuale di tutti i suoi membri anche in termini di reperimento delle poche risorse utilizzate. A fronte di una gestione in gran parte “volontaristica” e grazie all’inesauribile desiderio e capacità di confronto edi ricerca di soluzioni che da sempre caratterizzano le attività della CNPCLMMC, il risultato raggiunto sembra di essere di assoluta qualità e in grado di innescare quel circolo virtuoso che porta al miglioramento continuo dell’attività dei nostri corsi tramite la progressiva eliminazione delle criticità e la condivisione delle eccellenze riscontrate e divulgate. Scopo di questo articolo è quello di ripercorrere l’evoluzione dell’esperienza decennale nella prospettiva di innescare una riflessione collettiva su quello che sembra possa essere considerato un buon modello metodologico per il raggiungimento di un sistema di valutazione condiviso e partecipato, avvertito come realmente utilizzabile ai fini del miglioramento della propria attività e non come strumento di censura. Al tempo stesso si tenterà di valutare l’impatto del progetto e delle altre attività della Conferenza sull’offerta formativa dei CdL in base ai requisiti adottati.

L’evoluzione della metodologia

Come già ricordato in questi dieci anni sono stati svolti quattro esercizi del progetto Site Visit; tre di questi hanno costituito il primo ciclo del progetto durante il quale sono state compiute sperimentazioni anche di tipo metodologico che sono servite ad affinare lo strumento rendendolo di volta in volta più agile e concreto; i risultati dei primi tre esercizi sono serviti anche ad effettuare le simulazioni necessarie per arrivare a stabilire requisiti minimi che garantissero al tempo stesso il raggiungimento di un livello di accreditamento di qualità certa e la sua reale sostenibilità da parte dei singoli CdL. Il primo esercizio del II ciclo ha rappresentato invece il primo vero tentativo di accreditamento dei CLMMC italiani interno alla Conferenza, secondo i requisiti minimi stabiliti e condivisi alla fine del primo ciclo.

Tutti gli esercizi sono stati svolti in almeno tre fasi:

– la prima fase è stata costituita dalla compilazione di un questionario di autovalutazione che nel tempo è stato semplificato e perfezionato da parte del CdL; tale questionario nel primo esercizio è stato somministrato per via cartacea mentre nei successivi tre è stato somministrato per via informatica onde facilitare sia la raccolta, sia l’analisi dei dati

– la seconda fase è stata costituita dalla visita in loco da parte di una commissione visitatrice costituita da presidenti e/o ex presidenti di CdL italiani i quali quindi erano, o erano stati, membri del Conferenza per i primi tre esercizi. La commissione è stata obbligatoriamente formata da tre commissari di cui almeno due Presidenti in carica. Mentre per il terzo esercizio il terzo componente è stato considerato facoltativo per permettere maggiore agilità alla fase di visita; nella composizione delle commissioni nel tempo si è avuto sempre cura di di mantenere almeno un componente, garantendo così la possibilità di un confronto anche “diretto” tra le visite, e di variarne almeno uno per prevenire fenomeni, anche involontari, di adattamento/cooptazione.

– una terza fase in cui le commissioni hanno compilato e trasmesso alla commissione centrale le relazioni conclusive su quanto riscontrato.

Il I esercizio del II ciclo ha visto una fase aggiuntiva caratterizzata dalla comunicazione preventiva ai singoli CdL del risultato delle simulazioni effettuate sui risultati del III esercizio del I ciclo, analizzati in base ai requisiti stabiliti. Ciò ha permesso ai singoli CdL di focalizzare le proprie criticità e agire per il loro superamento. È evidente cha a regime questa fase sarà nei fatti costituita dal risultato della visita di accreditamento precedente e consentirà il perseguimento del miglioramento continuo aspirato.

L’analisi dei dati effettuata nei diversi esercizi ha fatto emergere nel tempo la necessità di standardizzare il più possibile sia le attività delle commissioni visitatrici, sia le modalità di resa dei risultati delle visite stesse per garantire da un lato che tutti i CdL fossero visitati in modo analogo, dall’altro per permettere un confronto più agevole dei dati tra sedi e tra visite singolarmente e nel loro complesso. Tale necessità ha portato ad adottare nel tempo diversi sistemi di standardizzazione essenzialmente costituiti da check-list condivise e da un form di resa per la relazione conclusiva, cosicché nel I esercizio del II ciclo sono state adottate nello specifico:

– Una check-list che prevedesse i passi fondamentali da effettuare durante la visita della commissione (Fig.1)

– Una check-list che prevedesse gli adempimenti della commissione dopo la visita (Fig.2)

– Una check-list che riassumesse schematicamente la presenza/assenza dei requisiti minimi stabiliti (Fig.3)

– Un form per la relazione conclusiva della commissione

L’effetto positivo della standardizzazione è ben evidenziato dal confronto dell’aderenza alla check-list tra l’ultimo esercizio del I ciclo e il I esercizio del II ciclo (Fig. 4)

Fig.2_2 Fig.1_2

Schermata 2016-04-12 alle 15.36.51 Fig.4_2

È evidente che l’aderenza delle visite alla check-list approvata dalla CPPCLMMC nell’ultimo esercizio è stata praticamente ottimale, ma soprattutto sembra inoppugnabile che il metodo sia ormai giunto a maturità in termini anche di riproducibilità e confrontabilità dei risultati La standardizzazione del metodo, e in particolare l’utilizzazione di check-list da compilare e restituire insieme alla relazione, permette di superare le criticità legate alle differenti modalità di “resa” delle relazioni, stante l’eterogeneità degli stili, e fornisce uno stimolo importante per commissari e visitati nell’organizzazione della visita.

Il confronto dei risultati dei diversi esercizi

Il confronto dei dati dei questionari interpretati alla luce dei requisiti minimi

Nel tempo, come già ricordato, i questionari sono sati rielaborati e semplificati, mantenendo comunque un impianto di indagine su diversi ambiti; nello specifico le aree di interesse sono state costantemente le seguenti:

L’accreditamento e la qualità

L’organizzazione

Le risorse umane

Le risorse strutturali e i servizi

La didattica

L’internazionalizzazione

Il controllo e la valutazione degli studenti

Il controllo e la valutazione dei corsi e dei docenti

La medicina generale

I risultati

La percezione soggettiva della qualità del corso

Con l’introduzione dei requisiti minimi, che evidentemente sono in relazione con le aree di indagine, si è cercato di focalizzare l’attenzione su ciò che si ritiene indispensabile essere presente in un corso di qualità per un offerta formativa efficace. In questo senso, e per valutare l’andamento in questi dieci anni dei parametri rapportabili a tali requisiti, si è tentato di comparare i risultati dei diversi esercizi. Ovviamente non è stato sempre possibile derivare i dati specifici di ogni singolo requisito, stanti le modifiche effettuate nel tempo per ottimizzare la metodica, ma alla fine complessivamente si è riusciti a mettere in relazione ben 22 parametri su almeno 3 esercizi dei 39 totali stabiliti. I risultati di questo confronto, che si ritengono di interesse, sono appresso riportati.

– Area dell’organizzazione dei CdL

L’evoluzione della situazione organizzativa dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia italiani nel tempo è raffigurata nella Fig. 5 dove è riportata la percentuale di presenza nei vari corsi delle principali strutture e figure organizzative e/o di elaborazione pedagogica riscontrato nei diversi esercizi. Come si evince dal grafico, con l’unica eccezione del Coordinatore di corso integrato che fin dal secondo esercizio è risultato presente della pressoché totalità delle sedi, è evidente la tendenza a un costante miglioramento nel tempo della situazione di coordinamento e di supporto dei corsi che appare nell’ultimo esercizio raggiungere livelli assolutamente soddisfacenti di frequenza nei diversi CdL. In particolare le commissioni tecnico-pedagogiche sono la struttura portante praticamente in tutte sedi fin dal penultimo esercizio mentre, pur essendo molto migliorato il dato relativo ai coordinatori di semestre, 1/3 delle sedi ne risulta ancora privo. Interessante sembra in proposito l’aumento percentuale importante acquisito tra gli ultimi due esercizi verosimilmente effetto dell’inclusione della presenza di tale figura tra i requisiti minimi approvati. Non si esclude che lo stesso effetto sia alla base dell’importante incremento della frequenza delle sedi che hanno a disposizione un supporto di personale amministrativo dedicato a tempo pieno alle attività del CLM.

Fig.5_2

– Area della qualità e dell’accreditamento dei CdL

In tutti gli esercizi è risultato che la totalità dei corsi di laurea possiede documenti pubblici in cui sono indicati la “mission e gli obiettivi formativi del CLM a dimostrazione del fatto che l’attitudine alla trasparenza e alla dichiarazione di intenti pubblicamente verificabile è patrimonio di antica tradizione nei CLMMC italiani. Interessante è l’andamento dei parametri relativi alla costituzione e attivazione dei sistemi di controllo di qualità. Tra gli ultimi due esercizi è evidente un grande balzo in avanti in questo ambito e attualmente oltre il 95% dei CLM ha elaborato una strategia per assicurare la qualità dell’offerta formativa e nelle relative dichiarazioni di intenti e oltre il 90%è realmente operativo (Figg. 6 e 7). Il fatto che, pur essendo presente un trend in aumento tra il II e il III esercizio testimonianza della già presente consapevolezza dell’importanza della presenza di un sistema qualità efficiente, la vera crescita esponenziale sia avvenuta tra il III e IV è verosimilmente dovuto anche ad una necessità di adempimento formale (ANVUR – AVA). Certo la risposta è stata eccezionale e quindi c’è da sperare che si possa colmare il divario tra adempimento formale e adeguamento sostanziale e intraprendere un virtuoso cammino di miglioramento continuo della qualità dell’offerta formativa dei corsi.

FIg.6_2 Fig.7_2

– Area delle risorse umane

La contrazione del personale docente, che tra gli ultimi due esercizi è stata di circa il 20% con una perdita secca di quasi 40 unità per corso,è ben rappresentata dall’andamento dei due parametri riportati in Fig. 8. A fronte di una virtuosa strategia di reclutamento che ha permesso un graduale aumento della copertura dei SSD presenti nei CdL fino alla quasi totalità degli stessi, è diminuito il rapporto tra docenti e crediti e quindi aumentato di molto il carico didattico per unità di docente. È evidente che la crescente abitudine al buon governo si scontra con la limitatezza delle risorse e le buone scelte strategiche rischiano di esser vanificate. Il dato registra molto bene l’impressione diffusa, riscontrata direttamente durante le visite, di un aumento soverchiante del carico di lavoro con possibile ricadute negative sulla qualità della didattica.

Fig.8_2

– Area delle risorse strutturali

L’andamento delle risorse strutturali nel tempo appare peculiare (Fig. 9). La scelta effettuata dal penultimo esercizio in poi di rapportare le aule non già al numero assoluto dei posti in esse contenuto, ma alla loro capacità di ospitare o meno la totalità o un percentuale degli immatricolati, ha evidenziato molto bene l’effetto dirompente del superamento del numero programmato degli accessi a causa del’aumento sconsiderato degli immatricolati dovuto ai cosiddetti “ricorsisti” (immatricolati in sovrannumero per effetto di sentenze favorevoli su ricorsi per i più svariati motivi inerenti presunte irregolarità nell’effettuazione del test di accesso). In questo senso è ben visibile la difficoltà sopravvenuta negli ultimi anni, registrata dall’ultimo esercizio, dove è presente una flessione della percentuale delle sedi in grado di ospitare adeguatamente gli studenti, in netta controtendenza con quanto precedentemente rilevato. L’aumento delle aule per piccoli gruppi è ovviamente dovuto al completamento di progetti di ristrutturazione basati sugli obbiettivi, assolutamente corretti, che i CdL si erano dati in anni non sospetti per aumentare al massimo la quota di didattica interattiva e che, pur costituendo una godibile risorsa strutturale, purtroppo la carenza di docenti già ricordata rischia di rendere poco utilizzabile tale risorsa.

Fig.9_2

In questo senso il continuo miglioramento dell’informatizzazione testimoniato dal confronto tra i tre ultimi esercizi può rappresentare una risorsa importante anche per l’utilizzo di spazi autogestiti e in cui l’interazione sia gestita mediante approccio telematico o comunque tramite fruizione di sistemi  e/o piattaforme informatiche.

– Area del diritto allo studio

Anche per quel che concerne il diritto allo studio (Fig. 10) l’offerta dei servizi risulta essere andata sempre in graduale miglioramento con evidenti impennate soprattutto per quel che riguarda l’assistenza ai disabili e la presenza del trasporto pubblico tra gli ultimi due esercizi. Non sembra disgiunto tale fenomeno da quello già commentato relativo ai sistemi di controllo della qualità anche per le ovvie necessità di adempiere alle normative sulla disabilità. Ciò non sminuisce assolutamente l’impegno costante per il raggiungimento di qualità di offerta di servizi per lo studente, accettabili e dignitosi in periodi di grande difficoltà, ed è segno evidente dell’attenzione dei Cdl e degli Atenei ai problemi del diritto allo studio.

Fig.10_2

– Area del potenziale assistenziale

Anche la fruibilità delle strutture assistenziali appare in continuo miglioramento secondo le rilevazioni degli ultimi tre esercizi (Figg. 11 e 12). Gradualmente si è giunti ad un fisiologico 100% di casi con presenza di più strutture diagnostiche e cliniche accessibili ai fini didattici e, nella ormai quasi totalità dei casi esiste un Dipartimento Emergenza Accettazione a diretta gestione da parte di Unità Operative Complesse a direzione universitaria o in convenzione. L’esposizione alla medicina di prossimità si è stabilizzata negli ultimi due esercizi a quasi il 90% delle sedi e necessita di un ultimo guizzo soprattutto in ragione dei nuovi orientamenti di politica sanitaria, unici a garantire la sostenibilità del nostro SSN a carattere universalistico. Il grande impegno della Conferenza in questo ambito, tramite tutte le iniziative di monitoraggio e di proposta di sperimentazione pedagogica, ha generato la maggioranza dei frutti tra il II e i III esercizio con un aumento di circa il 20% delle sedi in grado di esporre gli studenti alla pratica della medicina generale e di prossimità. Sarà necessario elaborare nuove iniziative, anche mirate, per raggiungere anche in questo specifico ambito un fisiologico 100%. Per quel che concerne il rapporto posti letto/studenti immatricolati pari o superiore a 3, si registra un aumento di circa il 10% delle sedi che lo rispettano tra il penultimo e ultimo esercizio, ma è evidente che le politiche di revisione del rapporto minimo abitanti posti letto, in funzione dell’orientamento già ricordato verso una sempre maggiore prossimità delle cure renderanno sempre più difficile il mantenimento di questo parametro. È ormai giunto il momento di passare a parametri che tengano conto più delle attività espletate dalle strutture che ospitano i CdL più che della consistenza numerica dei posti letto che albergano.

Fig.11_2

Fig.12_2

– Area della didattica e della valutazione

L’area della didattica e della valutazione degli studenti è sicuramente quella dove la possibilità di confronto tra i diversi esercizi è maggiormente difficile. È infatti evidente come anche gli stessi requisiti relativi a tale area invochino la presenza di strumenti in senso generico in quanto, nonostante la grande attenzione e l’entità del dibattito che si è sviluppato in questi anni all’interno della Conferenza, risulta ancora difficile stabilire indicatori reali che possano registrare l’integrazione didattica e l’integrazione nella valutazione dell’apprendimento. Mentre infatti risulta “empaticamente” chiaro il concetto di integrazione disciplinare, non è altrettanto chiaro come misurarla. È indubbio che in termini di apprendimento efficace, corsi realmente integrati danno risultati migliori e in tempi più brevi facilitano l’elaborazione delle informazioni da parte dello studente e soprattutto finalizzandole preventivamente allo scopo della formazione della competenza sullo specifico problema, ma come misurare in modo obbiettivo l’effettiva integrazione sia orizzontale sia verticale, è effettivamente difficile. In questo senso l’intervento nella metodologia didattica segna il passo, in termini almeno di risultati, come è evidente dal prevalere, nell’ultimo esercizio ancora del “abbastanza” ai quesiti sulla integrazione tra gli insegnamenti probabilmente proprio per i problemi di misurazione ricordati da una parte e per la sensazione di non essere ancora riusciti a far breccia tra le resistenze culturali e “politiche” legate agli “interessi” disciplinari. Peraltro la limitatezza delle risorse non aiuta certo l’organizzazione di corsi in multi-presenza, presenti, con ottimi risultati, solo occasionalmente nei CdL visitati. È ormai verosimilmente necessaria una riflessione che prenda atto dell’oggettiva difficoltà di raggiungere in modo diffuso le ideali condizioni di integrazione formativa e porti la Conferenza a proporre soluzioni anche di minima, ma sostenibili e attuabili in modo diffuso. Ciò detto è innegabile che i risultati del I esercizio del II ciclo relativi a quest’area, siano sicuramente incoraggianti (Fig. 13) in particolare per quel che riguarda le procedure di accreditamento delle ADE, l’organizzazione e l’effettuazione del controllo delle presenze e il controllo delle modalità di valutazione dell’apprendimento.

Fig.13_2

Queste ultime sono ancora prevalentemente effettuata tramite l’esame orale (nel 60% dei casi), presenti prove scritte, integrate o no con le prove orali, in circa il 30% dei casi e prove pratiche per la verifica delle abilità acquisite in circa il 10%. Sempre molto incentivata è la valutazione espressa da più esaminatori appartenenti a diversi SSD presenti nel medesimo corso integrato ed è sicuramente maggiormente realizzata rispetto all’integrazione nel momento formativo, rispetto alla quale è ormai verosimilmente necessaria una riflessione che prenda atto delle difficoltà oggettive (limitatezza delle risorse) e della permanenza di resistenze culturali e “politiche” legate agli interessi disciplinari. Un discorso a parte merita il risultato relativo alle ADP che nei diversi esercizi sono risultate spesso croce e delizia dei diversi CdL, nel senso che, sebbene di sovente abbiano rappresentato e siano state riportate come criticità anche rilevanti, sono state anche campo di sperimentazioni organizzative e metodologiche degne di esser riportate come eccellenze. Ormai le ADP risultano programmate in modo reale nella totalità dei corsi e, malgrado restino in grandissima parte svolte presso i plessi assistenziali, la diffusione dell’utilizzo dei laboratori di simulazione ha avuto in’importante impennata tra i due ultimi esercizi di Site Visit e attualmente risultano presenti in embrione almeno nei ¾ dei CDL (Fig. 14).

Fig.14_2

– Area del controllo e della valutazione dei corsi e dei docenti

Come è noto la valutazione e il controllo dei corsi e dei docenti è ubiquitario e principalmente effettuato tramite la somministrazione semestrale agli studenti dei questionari di valutazione, ma il rischio reale è che questa pratica, di per sé virtuosa, scada a livello di mero adempimento formale in assenza di momenti di discussione e divulgazione dei risultati di tali sondaggi. Nel tempo le sedi privilegiate di discussione dei dati dei questionari sono sempre più diventate il CCL e la CTP indicando un sano aumento dell’esigenza di discussione collegiale a fronte di una comunque sempre ben rappresentata abitudine alla discussione diretta tra docenti e Presidente di CdL. Ancora scarso appare il coinvolgimento in questa fase così delicata e importante, delle figure di coordinamento, CS e CCI (circa 1/3/dei casi). Il confronto tra il II esercizio del I ciclo (2007-2008) e il I esercizio del II ciclo (2013-14) (Fig. 15) dimostra un enorme incremento della presenza di momenti/sedi specifiche di discussione dei risultati delle varie forme di valutazione dei corsi e dei docenti dimostrando una sempre maggior abitudine al confronto che non può certo essere disgiunta dalla già rilevata maggiore abitudine alla ricerca di sistemi di qualità che permettano il miglioramento continuo delle attività dei CdL. Anche questo dato deve essere molto incoraggiante se si pensa all’estrema difficoltà che nemmeno dieci anni fa era presente nel corpo docente ad accettare ogni forma di valutazione da parte non solo degli studenti, ma anche dai propri pari. Non è un caso che, nell’esercizio 2007/08, meno della metà dei corsi discuteva i dati dei questionari, cosiddetti OPIS, e/o possedeva momenti di valutazione collegiale delle proprie attività.

Fig.15_2

L’adesione ai progetti della Conferenza

La scelta unanime di inserire tra i requisiti minimi per l’accreditamento interno alla Conferenza i Progetti strategici che la stessa persegue da almeno un decennio, rappresenta la volontà di ogni singolo CdL di partecipare attivamente ai progetti e di riconoscere agli stessi una valenza cruciale per le proprie attività. D’altro canto i tre progetti sono funzionali al monitoraggio, miglioramento e omogeneizzazione della attività fondamentali di un CdL: la formazione (il core curriculum), la valutazione dell’apprendimento (il progress test), il controllo di qualità (le Site Visit).

Non è certo un caso che fin dalla loro istituzione i progetti abbiano avuto la partecipazione della stragrande maggioranza dei CdL. Dal confronto tra gli esercizi (Fig. 16), infatti, è evidente come fin dal II esercizio del I ciclo almeno l’80% dei CdL abbia preso parte a tali iniziative.

Fig.16_2

Nello specifico nell’ultimo esercizio l’applicazione del Core Curriculum Nazionale, parrebbe presente in circa il 90% delle sedi, anche se tale dato andrebbe verificato in termini di riscontro sui programmi pubblicati, essendo frequente la dichiarata mancanza di utilizzo delle UDC e delle UDE in cui è declinato il Core Curriculum della Conferenza. Lo stesso andamento “basculante” nei tre esercizi confrontati del dato dell’adesione da parte dei CdL italiani denuncia una probabile soggettività dell’affermazione circa l’adozione del Core Curriculum sebbene sia indubitabile che gli argomenti trattati nei singoli CdL siano in gran parte sovrapponibili a quelli declinati nelle Unità Didattiche pubblicate dalla Conferenza. Se questo sicuramente rassicura circa la presenza di una certa omogeneità dei contenuti trattati nei diversi CLMMC italiani, il senso del progetto è certamente più ampio e, quindi, è verosimilmente necessario arrivare a stabilire criteri precisi che definiscano l’adesione al progetto e rendano quindi più obiettiva la partecipazione allo stesso. In questo senso la revisione del Core Curriculum Nazionale attualmente in atto è una buona occasione per ridefinire gli obiettivi del progetto e stabilire i criteri per la sua applicazione.

Per quel che concerne il Progress Test, che nell’ultimo esercizio risulta essere stato utilizzato dalla totalità delle sedi, sembra ormai chiaro che se ne sia compreso il valore in termini sia di autovalutazione della capacità formativa, sia di strumento obbiettivo di controllo dell’apprendimento, tanto che risulta sempre più utilizzato come strumento di valutazione dei corsi al’interno dei CdL (Figg. 17 e 18) anche verosimilmente per la sua caratteristica di metodo non formale, ma evidentemente utile e specificamente informativo. In realtà è possibile che le enormi potenzialità di questo eccezionale strumento messo a punto dalla Conferenza, siano ancora non completamente sfruttate sia a livello centrale, sia periferico. Utile sarebbe se la Conferenza trovasse il modo di lavorare su modelli applicativi da suggerire per la gestione periferica dei risultati.

Fig.17_2 Fig.18_2

Il progetto Site Visit ha ottenuto fin dal II esercizio del I ciclo la partecipazione totale di tutti CdL italiani e ci piace pensare che questo sia dovuto al grande clima di fiducia e stima reciproca che contraddistingue l’ambiente della Conferenza nel quale non si teme il confronto nella convinzione che, se effettuato secondo regole condivise, non può che esser fruttuoso. E che questo corrisponda a realtà è confermato dell’enorme messe di dati, impressioni ed emozioni che scaturisce dalla lettura delle relazioni delle commissioni che hanno effettuato le Site Visit: l’atto della visita, andando oltre l’istituzionale funzione di verifica e di correzione di quanto riportato nei questionari, ha rappresentato da sempre, infatti un formidabile momento di confronto e di crescita culturale, organizzativa ed umana, sia per coloro che hanno effettuato, sia per coloro che hanno ricevuto la visita. Il fatto di aver adottato progressivamente, soprattutto nel I esercizio del II ciclo, sistemi di standardizzazione sia della visita, sia della resa in relazione, ha permesso un più facile confronto delle esperienze. A mo’ di esempio si riporta un tentativo di analisi di raffronto tra criticità ed eccellenze rinvenute negli ultimi due esercizi (Figg. 19 e 20) già analizzato nel dettaglio in un precedente articolo. Senza entrare nello specifico in questa sede ci si limiterà a considerare un evidente fenomeno di “adattamento” particolarmente interessante per interpretare nel modo giusto i confronti nel tempo tra i diversi esercizi. Il dato oggettivo di un Progress Test ormai diffuso ovunque ne dimostra la condivisa affermazione e quindi la sua presenza non viene più percepita come eccellenza. Al contrario il dato, anch’esso obbiettivo, della contrazione del corpo docente, evidentemente ormai considerato scontato, è meno denunciato come criticità.

Fig.19_2

Fig.20_2

Il quadro complessivo

Il quadro complessivo dei risultati analizzati è riassunto nella Tabella I

Tab.1_2

È evidente il progressivo miglioramento della situazione della presenza dei requisiti che è stato possibile confrontare nel tempo nei CLMMC italiani. Pur utilizzando una soglia alta, pari alla presenza in almeno il 90% delle sedi, per la maggioranza dei parametri si è riusciti a uscire dalla “zona grigia” nella rilevazione dell’ultimo esercizio che, si ricorda, è stato anche il primo che ha perseguito un accreditamento se pur provvisorio dei CdL visitati. Si ricorderà che in prima applicazione la percentuale dei requisiti stabilita come soglia per l’ottenimento dell’accreditamento provvisorio era corrispondente all’80%. La Fig. 21 mostra i risultati dell’esercizio in questione.

Fig.21_2

Tutti i CLMMC italiani hanno raggiunto la soglia stabilita e pertanto sono titolari dell’accreditamento provvisorio interno alla CPPCLMMC. Tale risultato, come già in passato rilevato, riveste un significato ancora più importante alla luce di quanto dimostrato dalla simulazione, effettuata relativamente ai medesimi parametri, in base alle rilevazioni del precedente esercizio di Site Visit visibili nella Fig. 22 che fotografano una situazione ben diversa con più di 1/3 delle sedi sotto il livello di accreditamento e nessuna con il 100% dei requisiti.

Fig.22_2

In altre parole in dieci anni di lavoro si è riusciti a fare in modo che la stragrande maggioranza dei requisiti considerati oggi necessari per l’accreditamento fossero presenti in almeno il 90% dei CLMMC italiani e in tre anni di lavoro mirato, i CLMMC italiani sono stati in grado di mettere in atto i correttivi necessari al raggiungimento dei parametri che si erano comunemente dettati dimostrando che si può ingenerare quel circolo virtuoso di miglioramento continuo alla base di un reale sistema di qualità votato non già alla censura o alla “punizione” di chi è in difficoltà, ma alla individuazione delle criticità al fine della loro soluzione e alla condivisone delle eccellenze. Ci piace pensare che ciò sia stato possibile anche grazie allo stimolo e alla motivazione indotti dalla partecipazione al progetto Site Visit della Conferenza e agli strumenti messi in comune e a disposizione dalla Conferenza stessa.

L’effetto del raggiungimento dei requisiti minimi

Per capire se il raggiungimento dell’accreditamento interno alla Conferenza, e il conseguente raggiungimento di almeno l’80% dei requisiti considerati indispensabili per garantire una buona offerta didattica, abbia influito sull’efficacia didattica si è cercato di analizzare alcuni indicatori.

I risultati in termini di situazione della popolazione studentesca

Dalla rilevazione dell’ultimo esercizio risulta che circa il 55% degli studenti dei CLM italiani si laurea in corso e l’80% lo fa entro il I anno fuori corso. Tale dato è rimasto costante negli ultimi due esercizi. Inoltre attualmente in media la percentuale degli iscritti come ripetenti o fuori corso è del 20%, in netto miglioramento rispetto al 30% precedentemente registrato. Se tale ultimo dato viene riferito solo ai fuori corso e non ai ripetenti è possibile effettuare un confronto anche con il II esercizio del I ciclo e i risultati sono visibili in Fig. 23. In ultimo, confrontando il dato relativo al tempo medio di laurea tra il II esercizio del I ciclo e il I esercizio del II ciclo, è evidente un certo miglioramento (Fig. 24).

Fig.23_2 Fig.24_2

È evidente il trend positivo che, comunque, partendo da una situazione già buona, probabilmente necessità di più tempo per mostrare risultati più consistenti. Sembra comunque che obbiettivamente, il miglioramento dell’efficacia dei corsi sia un dato assumibile.

La percezione soggettiva dei Presidenti di CdL e quella oggettiva delle commissioni

Questo è sicuramente un indicatore relativamente affidabile perché comunque ricavato da una percezione, ma che essendo simile sia da parte dei valutati che dei valutatori può essere comunque considerata significativa. Il 97% dei Presidenti di CLM dichiara da abbastanza a del tutto raggiunti la missione e gli obiettivi del corso con un importante superamento da parte dei molto sugli abbastanza rispetto al penultimo esercizio. (Fig. 25)

Fig.25_2

Tale percezione soggettiva appare confermata dalla percezione delle commissioni che nelle conclusioni delle loro relazioni hanno giudicato positivamente i CdL in ordine a organizzazione e sintonia con il nuovo ordinamento didattico nella grande maggioranza dei casi (rispettivamente nel 75% e nel 63%). Anche in questo caso sembrerebbe che il raggiungimento dell’accreditamento interno sia coinciso con una migliore impressione da parte degli attori e dei verificatori dello stesso sullo “stato di salute” dei nostri CdL confermando l’efficacia del sistema messo in essere anche ai fini del reale miglioramento della qualità dei CLMMC italiani.

Considerazioni conclusive

Come già precedentemente rilevato, il processo di trasformazione del Progetto Site Visit in un vero sistema di accreditamento tra pari è ormai concluso; i requisiti minimi di accreditamento stilati e condivisi sono ormai un importante punto di riferimento per l’attività dei CdL e le linee guida per il loro raggiungimento/mantenimento in tempi ragionevoli, così come sono state indicate, sembrano utilizzate e utilizzabili. Per il futuro ogni corso, conoscendo in base ai risultati della precedente site visiti gli eventuali punti di debolezza che il sistema ormai standardizzato permette di individuare con maggiore facilità, potrà lavorare per il superamento delle specifiche criticità anche con l’aiuto della Conferenza che è impegnata da sempre nel supporto alle singole realtà. L’enorme lavoro effettuato in questi dieci anni di vita del Progetto Site Visit della CPPCLMC ha dato risultati estremamente positivi portando all’accreditamento, se pur provvisorio e relativo almeno all’80% dei requisiti stabiliti, della totalità dei corsi. Tutto ciò oltre a rappresentare il successo del metodo di lavoro della Conferenza, in termini di attenzione alla condivisione e alla sostenibilità di quanto ritenuto indispensabile per le attività dei corsi ricercata per la via del confronto continuo e della simulazione degli effetti delle decisioni prese, può essere di grande utilità anche in considerazione dell’avvenuto avvio delle Site Visit dell’ANVUR con le quali è sempre più necessario un processo di reale integrazione anche in considerazione del fatto che, almeno apparentemente, i criteri ANVUR non sembrano sufficienti a valutare le specificità dei CdL di area sanitaria. La sfida che attende la Conferenza è quella di riuscire a mantenere vitale nel tempo il sistema messo in essere, anche migliorandolo, ma soprattutto rendendolo più facilmente “sostenibile” per la Conferenza stessa.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano i colleghi Presidenti di tutti i CLMMC passati, presenti e futuri per la fattiva collaborazione. Un particolare ringraziamento va ai componenti delle commissioni centrali che si sono susseguite nella gestione dei diversi esercizi e a tutti i commissari che hanno effettuato le visite durante gli stessi, senza i quali nulla di quanto fatto e raggiunto sarebbe stato possibile.

Si ringraziano infine la dottoressa Carmen Mazzitelli per il supporto costante in tutte le fasi della realizzazione degli ultimi due esercizi e per l’attenta revisione dell’articolo e la dottoressa Martina Leopizzi per il prezioso ausilio nell’elaborazione dei dati.

Cita questo articolo

Della Rocca C., Lenzi A., Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoro, Medicina e Chirurgia, 69: 3138-3149, 2016. DOI:10.4487/medchir2016-69-4

La formazione in Nutrizione umana nei CLM in Medicina e Chirurgian.69, 2016, pp. 3133-3137, DOI: 10.4487/medchir2016-69-4

Abstract

Human nutrition is a broad, interdisciplinary cultural and scientific field, involving a wide range of chemical, molecular, genetic, biochemical, physiological, psychological, cognitive-behavioral, statistical-epidemiological, clinical, technological, educational, economic, political and social aspects. The high levels of over- and under-nutrition represent and important risk factor for mortality and burden of disease and negatively impact on healthcare costs worldwide.  Quite surprisingly, teaching of Human Nutrition in Medical Schools and other Healthcare Professional Schools is still insufficient in Italy as well as in other Countries. The Federation of the Italian Nutrition Societies (FeSIN) has recently prepared a  Position Paper to address these issues. Relevant goals have been achieved: first, the three domains of human nutrition have been identified, namely basic, applied and clinical nutrition. Second, the cultural identity of human nutrition in an academically- and professionally-oriented perspective has been more clearly defined. Third, FeSIN has prompted a better, pro-active, cost-effective integration of the professionals involved in Human Nutrition which should be based on the implementation of academic training trajectories in the different areas and domains of human nutrition.

Articolo

Le patologie caratterizzate da un alterato stato di nutrizione (malnutrizione per eccesso o per difetto) o che comunque possono giovarsi di un intervento di supporto metabolico-nutrizionale (insufficienza renale cronica, insufficienza epatica scompensata, celiachia, …) presentano un’elevata prevalenza nella popolazione italiana con importanti ripercussione sul piano clinico, psicologico e funzionale.

A fronte di ciò, i Corsi di Laurea (CL) in area sanitaria, Medicina e Chirurgia in primis, dedicano ancora poco spazio alla formazione dei professionisti, che dovranno affrontare tali problematiche nei diversi contesti assistenziali (ospedale, territorio, strutture di ricovero residenziali e riabilitative). Negli attuali piani di studio, le informazioni legate alla nutrizione umana sono scarse e scarsamente integrate, e non preparano lo studente ad affrontare in maniera adeguata la complessità delle problematiche nutrizionali nella prevenzione e nella malattia.

Aspetti epidemiologici

In tutto il mondo, almeno 2,8 milioni di persone muoiono ogni anno a causa dell’obesità, e si stima che 35,8 milioni (2,3%) degli anni di vita sana persi per disabilità (DALY – Disability-Adjusted Life Year: attesa di vita corretta per la disabilità) siano causati da sovrappeso o obesità. L’obesità è infatti causa di alterazioni metaboliche (insulino-resistenza e diabete mellito di tipo 2, dislipidemie, steatosi epatica), di patologie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, processi aterosclerotici), di neoplasie (a carico di vescica, seno, colon, prostata, endometrio, rene e colecisti), disabilità (con impairment funzionale per quanto riguarda le attività basilari della vita quotidiana, le attività sociali e lavorative). Presenta anche importanti conseguenze sul piano psicologico (ansia, depressione, disturbo dell’immagine corporea) e della qualità di vita. http://www.who.int/gho/ncd/risk_factors/obesity_text/en/

In Italia la prevalenza dell’obesità è intorno al 10% nella popolazione adulta, tendendo a crescere nella popolazione in età infantile http://www.epicentro.iss.it/problemi/obesita/obesita.asp

La causa principale dell’obesità è rappresentata da uno stile di vita “biologicamente” non corretto: eccessiva sedentarietà a fronte di un introito energetico sproporzionato.  In particolare, anche nel nostro Paese, l’alimentazione si è via via allontana da un modello alimentare di tipo mediterraneo caratterizzandosi sempre più per il consumo di alimenti d’origine animale ad elevata densità energetica. Su tale elemento determinante  si innescano cofattori genetici, socio-culturali, psicologici e funzionali con pesi diversi da soggetto a soggetto.

La malnutrizione per difetto è presente in particolare nei Paesi in via di sviluppo, ma la sua prevalenza è elevata anche nei Paesi più ricchi, dove colpisce in particolare alcune categorie a rischio: malati oncologici , anziani, soggetti ospedalizzati o istituzionalizzati,  pazienti con disturbi del comportamento alimentare. L’anoressia senile (legata a fattori psicologici, ad alterazioni neuroendocrine dei sistemi di controllo di fame-sazietà, alle patologie intercorrenti a carico in particolare del sistema nervoso centrale o dell’apparato gastroenterico) riguarda il 20% circa della popolazione in età geriatrica1, 2. Contemporaneamente la malnutrizione ospedaliera colpisce il 35% dei soggetti ricoverati e è spesso legata alle patologie di base (in particolare quelle ipercataboliche), agli effetti collaterali di farmaci che alterano le funzioni sensoriali e alla noncuranza degli operatori sanitari che non considerano l’importanza della ristorazione ospedaliera dal punto di vista sanitario http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1435_allegato.pdf3.

La malnutrizione da malattia rappresenta quindi una forma di malnutrizione per difetto la cui patogenesi riconosce sia il ridotto introito globale di energia e nutrienti sia l’ipercatabolismo e l’aumentata spesa energetica a riposo. Essa ha importanti conseguenze su tutti gli organi ed apparati comportando un aumento della comorbosità, una significativa alterazione sia dell’immunocompetenza sia della farmacocinetica, una minore efficacia degli interventi riabilitativi, un allungamento dei tempi di ricovero ed un’aumentata mortalità4, 5.

La formazione universitaria

La FeSIN (Federazione delle Società Italiane di Nutrizione) ha recentemente posto l’attenzione sulla formazione universitaria in ambito nutrizionale. E’ stato redatto un documento (6) che pone l’accento sulla necessità che la formazione universitaria sia in grado di trasferire al discente il “Sapere”, formandolo al “Saper Essere” ed al “Saper Fare” e conferma che le basi didattico-organizzative, strutturali e funzionali della formazione universitaria debbano poggiare sui “Descrittori di Dublino” (The Joint Quality Initiative – http://www.jointquality.org) che ben definiscono i risultati dell’apprendimento permanente in termini di abilità, conoscenze e competenze.

Sulla base di tali presupposti si articolano le riflessioni del documento FeSIN che rileva come, se da una parte la Nutrizione Umana investa, in modo profondo, molteplici ambiti del tessuto sociale e del “BenEssere” dell’individuo, dall’altra una così importante e variegata trasversalità, pur potendo rappresentare un valore aggiunto, sia diventata un fattore equivocante che ha comportato un intersecarsi di nozioni e conoscenze, un accavallarsi di competenze ed una confusione di ruoli e competenze tra le professionalità che, a vario titolo, si occupano di alimentazione e nutrizione umana.

In ambito universitario, pur con punte di eccellenza, ciò ha generato per quanto attiene all’area della nutrizione, in modo diversificato da Ateneo ad Ateneo, una strutturazione disomogenea e talora lacunosa degli insegnamenti e, conseguentemente, dell’acquisizione di abilità professionali.

Chiaramente, la Nutrizione Umana, seppur mantenga una sostanziale omogeneità di base ed una precisa fisionomia scientifica e culturale, include un complesso di saperi  fortemente interdisciplinari che comprendono aspetti genetici, biochimici, fisiologici, psicologici, cognitivo-comportamentali, statistico-epidemiologici, clinici, tecnologici, economici, politici e sociali.

Un rilevante traguardo raggiunto dagli estensori del documento è stata l’individuazione,  per la Nutrizione Umana:

–  di tre aree di interesse e competenza: nutrizione di base, nutrizione applicata, nutrizione clinica (Tab. 1);

–  di specifici saperi per ognuna delle tre aree (Tab. 2);

– della necessità che gli obiettivi formativi dei diversi Corsi di Studio (Lauree triennali di primo livello e Lauree Magistrali) ed i relativi CFU siano opportunamente modulati, dosando la rilevanza di ciascuna delle tre aree rispetto ai singoli saperi da trasmettere.

La formazione in Nutrizione umana nel CLM in Medicina e Chirurgia (LM41)

Carente è l’insegnamento della nutrizione umana, in particolare per quanto riguarda gli aspetti clinici, durante il corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Ciò è in relazione al fatto che la nutrizione umana non è adeguatamente considerata fra gli obiettivi formativi del CL e che le conoscenze, quando previste, sono spesso erogate in maniera non coordinata tra i diversi insegnamenti. Gli aspetti legati alle scienze di base (biochimica, fisica, anatomia), rimangono, almeno per quanto riguarda la nutrizione umana, non collegati alla fisiologia dello stato di nutrizione e dei comportamenti alimentari. Le scienze di base e la fisiopatologia sono poi a loro volta non integrate nello studio della clinica delle varie forme di malnutrizione. Di fatto il sistema non consente di acquisire conoscenze e competenze adeguate alla comprensione delle problematiche che la nutrizione umana si trova ad affrontare dal punto di vista epidemiologico sia per quanto riguarda agli aspetti di prevenzione sia per quelli che interessano la clinica.

In alcune indagini, condotte in diversi Paesi, solo una minoranza di medici ha potuto affermare di sentirsi adeguatamente formato per fornire una consulenza in ambito nutrizionale7,8. In queste indagini emergeva il nesso tra i livelli delle conoscenze e quelli dell’istruzione ricevuta9. La quasi totalità dei CL di Medicina e Chirurga negli Stati Uniti così come in Europa non presenta un curriculum indirizzato alla nutrizione nell’ambito della formazione medica10, anche se la necessità di far acquisire ai futuri medici una formazione adeguata in questo ambito è ritenuta assoluta11. Diversi progetti accademici, finalizzati al miglioramento delle conoscenze in ambito nutrizionale nei CL di Medicina, sono stati attuati in particolare nel Regno Unito12,13 e negli USA9, 14-16. I risultati sono stati buoni per quanto riguarda sia la percezione soggettiva da parte degli studenti, che dichiaravano di sentirsi più competenti in ambito nutrizionale9, sia per le ricadute cliniche (il numero di pazienti che veniva valutato per il rischio di malnutrizione era aumentato così come l’attenzione dell’intera équipe alle problematiche nutrizionali del paziente e della struttura)17,18.

La FeSIN nel documento citato ha identificato gli ambiti prioritari (core) di formazione nutrizionale nei vari Corsi di Laurea, tenendo ben presente la multidisciplinarietà della materia e indicando anche il numero minimo di specifici CFU da acquisire durante tutti gli anni del corso di laurea.  Nel caso del CL di Medicina e Chirurgia sono stati individuati 10 ambiti di conoscenze che gli studenti dovrebbero approfondire durante il corso di studi impegnando 14 CFU (Tab. 3). Chiaramente questi ambiti sono già in buona parte presenti nel piano degli studi del CL di Medicina, ma, come detto, non specificatamente indirizzati all’acquisizione di competenze indirizzate alle tre aree di competenza della nutrizione (base, applicata e clinica).

L’auspicio è che si operi nella revisione dei curricula del CL di Medicina e Chirurgia in due direzioni:

– indicando tra i saperi minimi, che ogni studente deve aver acquisito alla fine del Corso di Studi, anche quelle informazioni necessarie a comprendere meglio le problematiche relative alla nutrizione umana per quanto riguarda sia la nutrizione di base, sia la nutrizione applicata che la nutrizione clinica;

– immaginando, longitudinalmente lungo il CL di Medicina e Chirurgia, un fil rouge che leghi queste diverse nozioni in un percorso integrato e che porti lo studente a comprendere il nesso esistente tra scienze di base, fisiopatologia e clinica delle diverse forme di malnutrizione ed il notevole  e negativo impatto che ogni forma di malnutrizione ha sia sulla salute dei pazienti sia su quella dei sistemi sanitari.

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6) Documento FeSIN sulla Formazione Universitaria in Nutrizione Umana. Comitato Editoriale FeSIN: G Banderali, M Battino, NC Battistini, E Bertoli, A Bordoni, F Brighenti, R Caccialanza, G Cairella, A Caretto, H Cena, LM Donini, M Gambarara, MG Gentile, M Giovannini, F Leonardi, L Lucchin, P Migliaccio, M Muscaritoli, F Nicastro, F Pasanisi, L Piretta, D Radrizzani, C Roggi, M Rondanelli, G Rotilio, L Scalfi, R Vettor, F Vignati.

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Cita questo articolo

Donini L.M., Muscaritoli M., La formazione in Nutrizione umana nei CLM in Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 69: 3133-3137, 2016. DOI:10.4487/medchir2016-69-4

Università e disabilitàn.69, 2016, pp. 3127-3132, DOI: 10.4487/medchir2016-69-3

Abstract

According to the most recent conceptual models, disability is a ‘diversity condition’; its recognition is a tool of social and cultural enrichment. Its normative re-definition had important consequences in University organization models.  This article briefly presents Sapienza’s experience, comparing it with that of a sample of Italian Universities and proposing possible integration of Medical curricula.

Articolo

  1. Evoluzioni recenti del concetto di disabilità; aspetti di rilevanza per l’ambito lavorativo e universitario

E’ ben noto come, per secoli, le strutture sociali del mondo occidentale siano state pensate in relazione alle caratteristiche fisiche di una maggioranza di ‘corpi’, percepiti come normali.

In un lunghissimo arco di tempo, sono stati prodotti diversi modelli concettuali che hanno tentato di discutere il concetto di norma e quelli di diversità, disabilità e mancanza, spostandosi variamente dal piano religioso a quelli medico, genetico e sociale; su di essi si fondano le nostre risposte culturali e organizzative al mondo della disabilità1. A partire dagli anni Settanta del Novecento, il progressivo abbandono del modello medico e assistenziale attraverso cui, sin dall’Ottocento, le società occidentali si erano andate relazionando con i portatori di deficit di varia natura2 ha condotto al prevalere di un’idea ‘sociale’ della disabilità; Di conseguenza, la misura della disabilità sarebbe da vedersi, principalmente, negli ostacoli architettonici e sociali che i gruppi sociali costruiscono o non contribuiscono ad abbattere, favorendo in questo modo l’isolamento fisico ed intellettuale di un gruppo numeroso di individui, mentre la diversità sociale dovrebbe intendersi tutte quelle differenze che possono modificare i rapporti all’interno di un gruppo.

Abbandonato o marginalizzato il determinismo medico con cui si era guardato a lungo al ‘problema disabilità’, dunque, la necessità diventava quella di proporre un nuovo modello interpretativo, in grado di fornire strumenti per la costruzione, a vari livelli, di pari opportunità nella vita quotidiana, nel lavoro, nell’istruzione e nella relazionalità in genere. Il modello bio-psico-sociale, che consegue a questo assunto, presuppone l’idea delle ‘differenze funzionali’ che caratterizzano il portatore di disabilità; tali differenze debbono permanere, per l’appunto, tali, senza degradarsi in condizioni di marginalità e non partecipazione3. Tale modello è espresso, già nel 2001, nell’ICF, documento prodotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in cui la disabilità è indicata come il prodotto dell’interazione di fattori diversi, alcuni legati ovviamente alla specificità delle dimensioni patologiche, altri invece determinati dall’incontro tra fattori individuali e condizioni ambientali e sociali4. In studi condotti su vari gruppi sociali caratterizzati dalla presenza di diversità è stata osservata la possibilità di una maggiore qualità della produzione, oltre all’espressione di una maggiore creatività e capacità decisionale di gruppo. In generale, la cultura dell’integrazione va ad arricchire l’insieme di esperienze e prospettive che caratterizzano un ambiente di lavoro produttivo, mettendo in gioco  le abilità e le capacità che ogni essere umano possiede5.

Una cultura di integrazione si caratterizza nel mettere in luce tutti questi potenziali benefici che scaturiscono dalla presenza di differenze individuali, favorendo lo scambio inter-gruppo.

Il mancato riconoscimento delle persone disabili come parte descrive i tratti di una cultura di esclusione che mal si accorda con la tutela dei diritti e la garanzia della libertà.

L’idea che il disabile sia tale in quanto l’ambiente non è in grado di fornirgli mezzi adeguati al disvelamento delle sue capacità impone, ovviamente, anche ai contesti educativi la necessità di ridurre progressivamente e abbattere “ogni barriera che impedisca la piena valorizzazione delle realtà presenti nel tessuto sociale”6. In modo concreto, l’adozione di un modello fondato sul concetto di uguaglianza e di empowerment delle persone con disabilità ha comportato la possibilità di un accesso equo alla distribuzione e condivisione dei saperi7, senza ovviamente che questo comporti alcuna variazione delle regole dell’istituzione universitaria stessa8, ma  prevedendo l’onere di abbattimento delle barriere e degli ostacoli, non solo fisici9.  A tal fine, l’ICF sottolinea l’importanza della figura e del ruolo del facilitatore al fine di ridurne l’impatto negativo su portatori di disabilità di varia natura.

Nella Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’ONU nel 200710, si sposta definitivamente il discorso sul piano dei diritti umani, tra i quali va incluso un generale ‘diritto alla diversità’, a cui a buon diritto fa riferimento l’universo della disabilità. Il forte portato di innovazione che, in anni recenti, ha segnato il prevalere del concetto di inclusione è, dunque, quello di non concettualizzare il disabile come bisognoso di un trattamento eccezionale11: egli è solo un individuo a pieno diritto partecipe della vita sociale del gruppo di riferimento, di cui condivide diritti, doveri e opportunità.

E’ evidente come, all’interno di questa prospettiva, l’università sia uno dei principali attori a essere chiamato in causa. Proprio al fine di limitare situazioni di disagio, l’università si impegna a diffondere una cultura di condivisione, che promuova nella comunità docenti-studenti la condivisione di progetti centrati sull’ inclusività12. Infatti va ricordato che al fine di valutare l’impatto della disabilità nella società del lavoro, in uno studio effettuato dalla National Institute on Disability and Rehabilitation Research (NIDRR) insieme all’università di Harvard sulle piu’ importanti compagnie industriali leaders nei rispettivi settori dell’economia, è stato evidenziato che, sebbene queste società adempiano ad obblighi di legge adottando una politica di supporto e tutela della diversità  in ambito lavorativo (diversity policies), tuttavia nelle loro definizioni/statement di diversità solo in meno della metà dei casi (42%) si cita tra queste la disabilità. In aggiunta, le poche compagnie industriali che, invece, sotto l’ombrello della diversità comprendono la disabilità e che mostrano policies standardizzate secondo i principi di legge e pari opportunità, non esprimono reale impegno nell’assumere le persone con disabilità; ciò pur confermandosi l’attenzione nel  promuovere la tolleranza nell’ambiente lavorativo13.

Infine, va ricordata anche la intervenuta riqualificazione ‘lessicale’ dei termini utilizzabili per indicare i disabili (da invalido a diversamente abile, con tutta una serie intermedia di variazioni). Le ambiguità terminologiche sembrano essere state affrontate e almeno parzialmente risolte nel 2006: un documento del CNB (“Bioetica e riabilitazione”) suggerisce che il termine prescelto debba essere quello di “persona con disabilità”, laddove il “con” non segnala una qualificazione assoluta dell’individuo, ma una qualità conseguita che lo rende non abile proprio in relazione ai contesti fisici, ambientali e culturali con cui interagisce14.

  1. Riflessioni sulla ridefinizione del concetto di disabilità: giurisprudenza, linee guida e diritto allo studio

E’ solo dal 1992 che l’Italia si dota di una normativa organica in merito alla tutela della disabilità, con la legge quadro 5 febbraio 1992 per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate, nota con il nome di Legge 104.

Il diverso grado di disabilità, che condiziona le possibilità di inserimento all’interno del contesto universitario, impone la programmazione di una serie di interventi, atti nello stesso tempo a garantire il più possibile l’autonomia degli studenti e la realizzazione di tutti quegli interventi didattici e assistenziali che garantiscano ai  disabili il maggior benessere possibile, riducendo al massimo i disagi prettamente personali, ma anche quelli che coinvolgono i contesti di provenienza – le famiglie.

I successivi sviluppi normativi e di riflessione etica in Italia costituiscono un miglioramento anche in relazione alle trasformazioni sociali e tecnologiche e alle evoluzioni filosofiche, mediche e culturali che investono a livello internazionale il concetto stesso di disabilità.

Sette anni più tardi, la Legge 28 febbraio 1999, n.17 introduce direttive per gli Atenei italiani rispetto alle attività che devono essere svolte e ai servizi che devono essere erogati per favorire l’integrazione degli studenti con disabilità. Al fine la Legge prevede l’assegnazione di una quota del Fondo Finanziario Ordinario e la nomina di un delegato del Rettore alla Disabilità con funzioni di coordinamento, monitoraggio e supporto di tutte le iniziative concernenti l’integrazione degli studenti con disabilità nell’ambito dell’ateneo.

Nel 2001 nasce la Conferenza Nazionale dei Delegati per la Disabilità (CNUDD), – con cui la CRUI collabora dall’anno successivo – che promulga nel 2014 le Line Guida atte ad indirizzare le politiche d’Ateneo verso una migliore qualificazione del diritto allo studio.

Il 9 gennaio 2004 viene approvata la Legge n.4, ‘Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici’, mentre nell’ottobre 2010, la legge n. 170 introduce “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” e le relative Linee Guida. I principi ispiratori delle line guida nascono dal presupposto che la conoscenza, la cultura superiore e la partecipazione alla ricerca favoriscano il pieno sviluppo umano, l’ingresso nel mondo del lavoro e la realizzazione della libertà, intesa come opportunità di concretizzare le aspirazioni personali. Considerando la disabilità come una dimensione di diversità si possono valutare/riconoscere le reazioni da parte dell’ambiente nei confronti dei disabili anche in funzione delle diverse organizzazioni culturali, comprese quelle scolastico-universitariei che dovrebbero essere fondate su una culture of unity, in cui maggiore è l’obiettivo comune minori risultano le differenze tra i costituenti del gruppo lavorativo.

L’impegno pertanto è di promuovere e sostenere l’accesso all’Università, alla formazione e all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita. Per queste ragioni, il perseguimento delle finalità e degli obiettivi deve essere valorizzato dalla cooperazione all’interno del sistema universitario e sostenuto dalla attivazione di reti e collaborazioni con altri istituti di formazione e ricerca, – il sistema scolastico e gli enti territoriali – a livello non solo nazionale.

La disinformazione e la scarsa attitudine verso le persone disabili sono elementi di una cultura poco inclusiva, cui consegue il basso tasso di impiego lavorativo. I corsi dedicati alla diversità rappresentano interventi sociali e culturali molto efficaci per il miglioramento della conoscenza e delle relazioni all’interno dei gruppi con le persone disabili, con notevole riduzione dei pregiudizi sociali.

  1. Sapienza risponde…

Dalla necessaria applicazione del dettato costituzionale e di leggeii, ma anche dalla consapevolezza condivisa che l’università deve essere concepita come uno dei luoghi principe che consente l’esternazione di talenti e capacità individuali scaturisce il coinvolgimento di Sapienza, come delle altre università italiane, nella predisposizione di sistemi organizzativi atti a concretizzare il concetto di inclusività e a favorire l’affermazione del ‘diritto alla diversità’ anche nei settori della formazione.

Nel 2004, il Senato Accademico della Sapienza Università di Roma approva il Regolamento per i servizi in favore degli studenti disabili. Il Regolamento assicura la fruibilità delle strutture, servizi e prestazioni per garantire la libertà e la dignità personale, realizzare un’uguaglianza di trattamento e rispettare la specificità delle esigenze dello studente; promuove, infine, la partecipazione attiva in ambito universitario e sociale, favorendo così l’iter formativo ed impedendo i possibili fenomeni di emarginazione.

Esso è articolato in 18 articoli che stabiliscono la carta dei servizi, la struttura organizzativa, le modalità di accesso ai servizi e alle attività e l’aspetto finanziario e contabile degli stessi. Particolare interesse (Titolo I Art.6) viene posto sulla rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi.

Promuovere l’accesso all’apprendimento e alla formazione, nonché sensibilizzare sulla pari opportunità del diritto allo studio inserendo alla pari gli studenti diversamente abili e con disabilità/DSA, non solo è un mandato delle università, ma anche un mezzo per accrescere la qualità dell’istituzione.

Per questa ragione si è ritenuto necessario che ogni Ateneo si doti di una struttura specifica di servizi alla disabilità/DSA, coordinata da un Delegato del Rettore, coadiuvato da Referenti di Facoltà e/o delle altre strutture organizzative.

Il Delegato è un riferimento cardine, nella misura in cui, se da una parte favorisce l’integrazione, risolve le complesse problematiche presentate dalla disabilità e orienta le politiche dell’ateneo in materia di disabilità, dall’altra è il referente universitario per tutte le istituzioni, le strutture, gli enti extrauniversitari che si occupano di disabilità.

Compiti del Delegato sono la sensibilizzazione al tema della disabilità a qualsiasi livello dell’istituzione (Consiglio di Facoltà, Dipartimento, Scuola, ecc.), il coordinamento e la verifica funzionale di tutte le strutture coinvolte, la mediazione tra lo studente disabile e gli organismi didattici durante tutto il percorso formativo. Compito del Referente, invece, è stimolare la partecipazione attiva dello studente disabile, indirizzando questo verso i servizi di tutorato specializzato, offrendo collaborazione alla soluzione di eventuali problematiche logistico-organizzative, diffondendo le informazioni specifiche all’interno della propria Facoltà.

Il Servizio Disabilità di Ateneo (SDDA), istituito dal Regolamento suddetto e già presente in moltissimi altri atenei italiani, essendo il primo riferimento, ha in primis compito di accoglienza. Funge da interfaccia, quando necessario, con le famiglie e con i servizi territoriali e accompagna lo studente, in collaborazione con il Tutor ed il Referente di Facoltà attraverso tutto l’iter formativo. Queste figure, a più livelli, non operano in sostituzione dello studente, ma, fin dove possibile, lo stimolano ad una crescente autonomia, alla partecipazione attiva al processo formativo e all’integrazione in ambito accademico, pure stabilendo programmi personalizzati a seconda degli specifici bisogni e delle esigenze formative di ciascuno.

L’affiancamento del SDDA allo studente che abbia adeguati requisiti, nasce ancor prima del momento di ingresso nell’università, attraverso la progettazione di percorsi d’orientamento in ingresso che dovrebbero rendere più fluido il passaggio.  In modo analogo, esso non termina con il conseguimento della laurea, ma è programmato per progettare, in sintonia con l’ufficio di Job Placement dell’Ateneo, tutti gli interventi possibili finalizzati alla agevolazione dell’inserimento nel mondo del lavoro.

L’attività del Servizio, inoltre, si spende in collaborazione con gli uffici tecnici di Ateneo nel censimento e nella segnalazione delle criticità ambientali per il loro superamento;  nella mappatura dell’accessibilità degli edifici universitari per l’abbattimento delle barriere architettoniche; nella facilitazione della mobilità all’interno dell’Ateneo e nei percorsi di accesso, attraverso convenzioni con gli enti di trasporto del territorio e con le cooperative di servizi ed assistenza nei casi di disabilità che limitano significativamente l’autonomia dello studente.

Particolarmente significativo in questo ambito è il contributo che tende, infine, a facilitare la strutturazione di programmi funzionali all’organizzazione di soggiorni studio all’estero, sensibilizzando gli studenti alla partecipazione a progetti che prevedono la mobilità internazionale e favorendo reti organizzative che permettano la realizzazione di tali iniziative.

Tutta questa complessa attività viene nel tempo costantemente monitorata dal Delegato di Ateneo al Nucleo di Valutazione Qualità, onde revisionare e migliorare l’erogazione e la qualità dei servizi.

I numeri sono tali da giustificare un importante impegno: per l’a.a. 2014-2015, i soggetti iscritti ai corsi di laurea di Sapienza- Università di Roma che hanno presentato certificati attestanti disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) e invalidità pari o >66% nell’a.a. 2014/2015 sono distribuiti nelle facoltà come esposto nella tabella 1.

  1. Iniziative universitarie in Italia: esperienze campione

Già da alcuni anni il mondo universitario ha progettualizzato il suo rapporto con la disabilità, in modo centrale e in singoli contesti localii. Vogliamo qui solo segnalare alcune esperienze campione che, soprattutto per la loro replicabilità, sembrano di particolare interesse formativo.

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Già nel 2009, la Fondazione CRUI ha proposto il progetto “Socializziamo la disabilità”, nel quale 45 volontari di servizio civile reclutati in Abruzzo, Campania, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Umbria e Veneto erano impiegati, per trenta ore settimanali, al fine di creare le condizioni materiali entro le quali gli studenti con disabilità potessero “implementare le loro capacità personali, al fine di far emergere risorse e potenzialità inespresse”. Tutte le Università sono state coinvolte nella stesura di schede per il rilevamento dati, nel loro completamento attraverso la rilevazione dei bisogni dei ragazzi disabili e la successiva riprogrammazione dei servizi sulla base delle necessità e segnalazioni emerse. La partecipazione al progetto consentiva di maturare competenze professionali spendibili in altri contesti, regolarmente certificate dalle Università partecipanti. Inoltre, la partecipazione al progetto ha consentito di cumulare un numero di CFU variabile, da sede a sede, da 5 a 9; o, in alternativa, una certificazione di tirocinio.

L’Università di Parma, con un precoce impegno sui temi della disabilità intrapreso già nel 1969, ripropone da anni il tema dell’attività di servizio volontario, sia nella forma del servizio studentesco riconosciuto, sia nella forma della Banca del tempo, che consente di acquisire e di spendere crediti-ore anche attraverso il supporto alla disabilità. In particolare, ci sembra da segnalare come esperienza replicabile in altri contesti l’organizzazione parmense di corsi base e avanzati LIS per studenti con disabilità uditive.

In altri contesti, le Università si sono consorziate in progetti di analisi e di studio; è il caso di un progetto promosso dalla FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e co-finanziato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Gioventù. Il progetto si è articolato attraverso focus tematici e interviste, e ha prodotto un report, consultabile on line; il report ha il merito di evidenziare l’esistenza di alcune realtà di ‘buone prassi’ in contesti diversi del Sud italianoii.

Per quanto riguarda il Lazio, una rapida indagine ha consentito di verificare che le Università regionali si sono dotate da tempo di centri di servizio per studenti con disabilità; segnaliamo come particolarmente fruibili i siti di Roma Treiii, di Unituscia e dell’Università di Cassino e del Lazio meridionale – CUDARI.

  1. Conclusioni

La brevissima analisi di quanto fatto finora suggerisce esperienze di replicabilità in altre sedi: in particolare, alcune delle proposte formative dell’Università di Parma sembrano poter essere facilmente inserite nei curricula formativi almeno delle Facoltà mediche, nella forma di attività didattiche elettive. I corsi integrati di Metodologia Medico- scientifica appaiono come i più idonei ad accogliere attività di formazione elettive che ricadono nelle sfere di competenza culturale tanto della psicologia, quanto della storia concettuale della medicina, dell’etica e della bioetica.   La creazione di corsi aperti agli studenti, volti a fornire competenze tecniche diverse a seconda del livello e della tipologia di disabilità, sembra essere particolarmente consigliabile perché favorisce quelle forme di facilitazione e apprendimento ‘alla pari’ che si sono rivelate particolarmente utili a superare criticità e momenti di difficoltà formativa e comunicativa. Inoltre, la frequenza di corsi qualificanti anche dal punto di vista professionale consentirebbe il doppio vantaggio della facilitazione ai percorsi di inclusione e della creazione di competenze professionalizzanti spendibili in contesti diversi. In uno studio inglese condotto su 597 studenti della facoltà di Medicina presso il Department of Clinical Medicine – University of Bristol, in un periodo di 4 anni sono stati valutati i termini scelti dagli studenti che venivano associati con la parola “disabilità” prima e dopo un breve corso sulla disabilità. Prima del corso gli studenti selezionavano termini di depersonalizzazione o con significato negativo, come ‘Sedia a rotelle, Handicap, Svantaggio, Insufficienza, Difficoltà, Pregiudizio’. Successivamente al corso, questa associazione si modificava, ribaltandosi nettamenteiv. Emerge, quindi, l’importanza degli effetti positivi legati all’insegnamento e alla sensibilizzazione sociale su temi sulla disabilità, per una cultura di integrazione e riconoscimento della disabilità come diversità. Secondo alcuni autori, l’educazione medica nei confronti delle persone disabili dovrebbe cominciare a livello universitario già nei primi anni, the logical place to start – in particolare da quegli insegnamenti nel cui core curriculum è trattato il rapporto medico-pazientev. Il docente-tutor dovrebbe, infatti, spiegare agli studenti come il modello tradizionale di diagnosi-trattamento debba trovare uno specifico modo di coniugarsi nella relazione con le persone disabili.  La “whole person medicine” rappresenta un approccio al paziente globale che si prende cura anche dello stato emozionale e delle relazioni con il proprio ambiente e rappresenta il principale ambito in cui la disability medicine trova la sua collocazione ideale. Essa richiede, peraltro, notevoli capacità comunicative e abilità da parte dei docenti. L’importanza del posizionamento all’interno dei primi anni di corso, motivato dal tentativo di limitare il rischio che la tendenza al tecnicismo possa affievolire la disposizione ad un rapporto più empatico con il paziente, è stata evidenziata da diversi studivi.

A livello regionale, un suggerimento potrebbe riguardare l’istituzione (all’interno del CRUL) di un coordinamento degli Atenei del Lazio sul tema specifico della disabilità: modello ispirativo potrebbe essere il CALD, la rete di coordinamento degli atenei lombardi per la disabilità, operante già dal 2011, le cui numerose attività sono consultabili al sito www.cald.it.

Sforzi congiunti di questo tipo risponderanno all’esigenza di applicare anche all’ambito universitario un concetto di cultura inclusiva, che non mortifica la diversità ma la rispetta dandole un valore, uno spazio perché possa esprimersi come opportunità per tutti.

Bibliografia

1) Clapton J., Fitzgerald J., The History of Disability: A history of ‘Otherness’. Reinassance Universal, New Renaissance Magazine. http://www.ru.org/human-rights/the-history-of-disability-a-history-of-otherness.htlm. Malaguti E., Donne e uomini con disabilità. Studi di genere, disability studies e nuovi intrecci contemporanei. Ricerche di pedagogia e didattica 2011; 6,1: 1-20

2) Schianchi M., La terza nazione del mondo. Milano, Feltrinelli, 2009.

3) Marra A.D., Ripensare la disabilità attraverso i Disability Studies in Inghilterra. Intersticios 2009;3,1: 79-99 http://www.intersticios.es

4) OMS, International Classification of Functioning, Disability and Health. http://www.who.int/classifications/icf/en

5) Spataro S.E., Diversity in Context: How Organizational Culture Shapes Reactions to Workers with Disabilities and  Others Who Are Demographically Different. Behav Sci Law, 2005,23(1):21-38

6) CNB, Bioetica e disabilità, parere 17 marzo 2006, p. 11, in cui si sottolinea come questo passaggio comporti la divulgazione del concetto di inclusione, destinato a soppiantare quello di integrazione, ritenuto non più adeguato in quanto presuppone che sia il disabile a dover accogliere un panorama già precostituito, in cui i modelli non sono stati specificamente pensati in relazione alle sue esigenze, ma sono predeterminati sulla base di un assunto principio di normalità.

7) D’Alessio S., Disability Studies ed Educazione Inclusiva. Seminario Università di Bergamo ‘I Percorsi dell’Inclusione’, Maggio 2009.

8) Cfr. La formazione docente per un sistema scolastico inclusivo in tutta Europa. European Agency for Development in Special Needs Education, Odense-Brussels, disponibile al sito https://www.european-agency.org/sites/default/files/te4i-challenges-and-opportunities_TE4I-Synthesis-report-IT.pdf

9) L’Art. 24 della Convenzione ONU (Educazione) sancisce nello specifico che il sistema di istruzione deve essere pensato come inclusivo, atto a garantire “un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita”. A tal fine, gli Stati parti sono chiamati, tra l’altro, a garantire  che le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale in ragione della disabilità, che venga loro fornito un accomodamento ragionevole in base ai bisogni di ciascuno, che ricevano il sostegno necessario, all’interno del sistema educativo generale, al fie di agevolare la loro effettiva istruzione e che “siano fornite efficaci misure di sostegno personalizzato in ambienti che ottimizzino il progresso scolastico e la socializzazione, conformemente all’obiettivo della piena integrazione”.  Questo intento, come specificato dal comma 5 dello stesso articolo, riguarda anche l’educazione universitaria, la formazione professionale, l’istruzione degli adulti e l’apprendimento continuo. Cfr. AAVV (a cura di), ICF e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Nuove prospettive per l’inclusione. Trento, Erickson, 2009, in part. TERZI L., L’approccio delle capacità applicato alla disabilità: verso l’ingiustizia nel campo dell’istruzione.

10) L’art. 5 della Convenzione delle Nazioni Unite presuppone in questo senso l’attivazione di misure e sostegni atti a garantire ai disabili la partecipazione a tutte le attività sociali della comunità di riferimento, dalla sfera dell’accesso ai beni e ai servizi ai trattamenti socio-sanitari.

11) Modelli socio-educativi che  si richiamano al concetto di inclusività sono oramai diffusi in ogni parte del mondo: l’educazione inclusiva, fondata sulle raccomandazioni UNESCO già dal 1994 (adottate dalla Conferenza di Salamanca nello stesso anno), si riflette anche nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Bambini del 1989, nella Dichiarazione di Jomtien dell’anno successivo, e in tutta una serie di documenti successivi (cfr. per esempiole Standard Rules on the Equalization of opportunities for Person with Disabilities, 1993) che sottolineano  “the principle of equal…educational opportunities for youth and adults ewith disabilities in integrated settings”. MUNYI C.W., Past and Present Perception Towards Disability: A Historical perspective. Disability Studies Quarterly, 8th jan. 2014.

12) Pavone M., L’inclusione educativa. Indicazioni pedagogiche per la disabilità. Milano, Mondadori, 2014. Vaccarelli A., Studiare in Italia. Intercultura e inclusione all’Università. Milano, Franco Angeli, 2015.

13) Ball P., Monaco G., Schmeling J., Schartz H., Blanck P., Disability as diversity in Fortune 100 companies. Behav Sci Law. 2005,23(1):97-121

14) Barattella P. e Littamé E., I diritti delle persone con disabilità. Dalla Convenzione Internazionale ONU alle buone pratiche. Trento, Erickson, 2009.

15) Phillips B.N., Deiches J., Morrison B., Chan F., Bezyak J. L., Disability Diversity Training in the Workplace: Systematic Review and Future Directions.  J Occup Rehabil 2015, Published online: 30 October.

16) D’Amico M., introduzione a D’Amico M., Arconzo G., Università e persone con disabilità. Percorsi di ricerca applicati all’inclusione a vent’anni dalla legge n. 104 del 1992. Milano, Franco Angeli, 2013.

17) Alcune esperienze  sono già codificate, con risultati pubblicati: cfr. per esempio il già citato  M. D’Amico, G. Arconzo, Università e persone con disabilità. Percorsi di ricerca applicati all’inclusione a vent’anni dalla legge n. 104 del 1992. Milano, Franco Angeli 2013, che ben documenta lo stato dell’arte negli Atenei milanesi.

18) Si segnala qui il sito SINAPSI dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, a cura del quale viene pubblicata anche una newsletter. http://www.sinapsi.unina.it/

19) Cfr. anche il convegno internazionale organizzato nell’Ottobre 2015 dall’Università di Roma Roma Tre in collaborazione con la Regione Lombardia e la Fondazione Charta “L’Università Roma Tre per l’Inclusione. Formazione continua e Progetto di vita”, http://www.uniroma3.it/news2.php?news=7483&p=1

20) Byron M, Cockshott Z, Brownett H, Ramkalawan T., What does “disability” mean for medical students? An exploration of the words medical students associate with the term “disability”. Med Educ. 2005 Feb;39(2):176-83.

21) Claxon A., Teaching medical students about disability. The logical place to start. BMJ, 26 March 1994,vol;308; Fielder A.R., Teaching medical students about disability. BMJ, Birmingham B15 2TT 1994vol. 308 28mAY

22) Wilkes M., Milgrom E., Hoffman J. R., Towards more empathic medical students: a medical student hospitalisation experience. (Commentary) Med Educ 2002;36:504–5; 36:528–33;

23) Downie R. S., Towards more empathic medical students: a medical student hospitalisation experience. (Commentary.) Med Educ 2002;36:504-5.

Cita questo articolo

Cavaggioni G., Gazzaniga V., Mitterhofer A.P., Università e disabilità, Medicina e Chirurgia, 69: 3127-3132, 2016. DOI: 10.4487/medchir2016-69-3

L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in Medicina e Chirurgia. Stato dell’arten.69, 2016, pp. 3122-3126, DOI: 10.4487/medchir2016-69-2

Abstract

Vaccinology is a multidisciplinary science including different biological (microbiology, immunology, epidemiology, etc.) and social subjects (public health, economy, ethics, communication, etc.). Despite the evident and indisputable epidemiological and social-economic impact of vaccination, a small percentage of the population refuses vaccines for themselves and/or their children, for religious, ideological or others reasons. A much ampler percentage approaches vaccination with hesitation and indecision, conditioned by the opinions of experts, but also non-experts of the sector. It deals with different opinions, variegated, often among them conflicting and diffused through the new media (Internet and social media). This is producing a negative effect on the coverage rates of almost all vaccinations. Reduction of coverage is observed also in Italy: according to the data from Ministry of Health, not only the new, but also the traditional vaccinations are suffering an evident decrease. Approaching these issues is among the objectives of the new National Vaccination Plan (PNPV 2016-18) which is now close to the final agreement between Government and Regions. The present situation reinforces the importance of a University teaching in Vaccinology, over the simple learning of the composition and indications of the vaccines, to provide the students with the knowledge and awareness of the value of primary prevention, of the national vaccination programs, objectives and priorities, and of their own role as future medicine doctors.

Articolo

Attualità della Vaccinologia

Nel 2013 la Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia prese in considerazione la possibilità di istituire corsi di insegnamento in vaccinologia per studenti al 5°/6° anno del corso di laurea. Data l’eterogeneità degli insegnamenti impartiti appariva infatti opportuno ed importante che in ciascun corso di studi il Presidente, assieme ai docenti più direttamente interessati e sensibilizzati al problema, proponesse un iter formativo all’interno dei core curricula esistenti che soddisfacesse quella che appare una imprescindibile esigenza formativa del medico, a tutt’oggi non sempre soddisfatta (Biasio L.R., L’insegnamento della Vaccinologia  nei CLM in Medicina e Chirurgia,  Medicina e Chirurgia, 59: 2630-2636, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-3). Da allora alcuni corsi e seminari sono stati organizzati in varie sedi Universitarie. L’argomento rimane estremamente importante, anche per le recenti evoluzioni riguardanti le vaccinazioni.

La vaccinologia è una vera e propria scienza che esplora ogni aspetto delle vaccinazioni, integrando tutte le questioni che queste pratiche pongono: essa si occupa della metodologia dello sviluppo e dell’impiego dei vaccini, con un approccio multidisciplinare e trasversale che coinvolge materie biologiche (microbiologia, immunologia, epidemiologia, etc.) e sociali (sanità pubblica, economia, etica, comunicazione, etc.). Una tale diversificazione le consente di occupare un posto peculiare in campo scientifico. Infatti il motivo per cui la vaccinologia può considerarsi una scienza a sé, malgrado anche altre discipline si occupino di vaccini, risiede anche nel fatto che l’impiego di questi va al di là della semplice somministrazione ed osservazione della relativa risposta immunitaria, ma coinvolge anche aspetti organizzativi, sociali, economici. La vaccinologia segue tutte le fasi della produzione, autorizzazione e raccomandazione di un vaccino, fino alla sua utilizzazione sul singolo e sulla popolazione, secondo i programmi di vaccinazione raccomandati dalle Autorità.

L’attualità di questa nuova scienza si collega anche al fatto che tra i vaccini di ieri e quelli di oggi esistono marcate differenze, non solo dal punto di vista della ricerca e della produzione, ma anche dal punto di vista economico e sociale. In passato erano disponibili pochi vaccini che venivano prodotti con tecniche semplici ed erano concepiti soprattutto per prevenire i decessi causati dalle gravi malattie infettive; per essere utilizzati non dovevano essere sottoposti a valutazioni farmaco-economiche ed avevano senz’altro un’accettabilità elevata tra la popolazione.

I vaccini di oggi seguono lo sviluppo delle tecniche moderne: sono prodotti di alta tecnologia e sono sempre più numerosi (attualmente le malattie vaccino-prevenibili sono una trentina). Sono concepiti non solo per prevenire il decesso, ma anche per garantire un buono stato di salute della popolazione. Prima di essere impiegati in campagne vaccinali debbono sottostare a raccomandazioni ufficiali da parte delle Autorità preposte e a valutazioni farmaco-economiche. Sono sensibilmente più cari rispetto al passato a causa dei costi elevati della ricerca e delle nuove tecniche di produzione, nonché di quelli legati all’ampio sviluppo farmaceutico e clinico. E’ evidente come i nuovi vaccini sollevino tra la popolazione e i gruppi di opinione molte più discussioni relative alla loro accettabilità, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza d’uso: considerati in passato come inevitabili, data l’importanza e l’universalità dei programmi di immunizzazione, oggi gli eventi indesiderati osservati a seguito di vaccinazione, seppur molto rari, rappresentano qualcosa di non accettabile. Questo è uno dei principali motivi – anche se non l’unico – che è alla base di un fenomeno sempre più diffuso tra la popolazione, definito come “vaccine hesitancy” (traducibile in italiano come “indecisione vaccinale”).

L’indecisione vaccinale: un problema diffuso e importante

A fronte di una percentuale assai esigua della popolazione che rifiuta in maniera assoluta di far vaccinare i propri figli o di essere vaccinata, per motivi religiosi, ideologici od altri ancora, ve ne è una molto più ampia che si avvicina alla vaccinazione con esitazione ed indecisione, condizionata dalle opinioni di esperti del settore, ma anche di non esperti. Si tratta di opinioni diffuse, variegate, spesso tra loro contrastanti e commentate attraverso i moderni mezzi di comunicazione, soprattutto il Web 2.0. Alla fine le vaccinazioni vengono accettate e effettuate dalla grande maggioranza, ma a fronte di diversi dubbi, timori e ritardi e a volte in maniera parziale (alcune vaccinazioni sì, altre no).

Secondo un’indagine condotta pochi anni fa sui determinanti del rifiuto vaccinale nella Regione Veneto (http://prevenzione.ulss20.verona.it/indagine_scelta_vaccinale.html) si è visto come i genitori possano essere identificati come non vaccinatori, oltre che come vaccinatori totali o parziali (cioè rispettivamente quelli che accettano tutti i vaccini proposti dal centro vaccinale o che fanno una scelta dei vaccini da somministrare ai propri figli). Dall’inchiesta è emerso che buona parte dei genitori – anche i vaccinatori totali – mostra davanti all’atto vaccinale ansia e trepidazione, anche se con esiti decisionali diversi. Inoltre, molti – sia tra i non vaccinatori che i vaccinatori – sono attivi nella ricerca di informazioni oltre a quelle ricevute dal pediatra di famiglia e/o dal centro vaccinale dell’Azienda Sanitaria Locale. Infine non c’è differenza nell’atteggiamento dei tre gruppi di genitori indipendentemente dal fatto che il pediatra di famiglia abbia affrontato con loro il tema delle vaccinazioni, come se l’argomento non fosse stato trattato dal medico.

 

Questa osservazione apre una delle questioni oggi più importanti nei rapporti tra operatore sanitario e utenza, quella cioè relativa alle capacità di comunicazione del medico, oltre che alle sue conoscenze ed expertise in campo vaccinale.

Infatti, al di là delle competenze ed attitudini dei medici, l’approccio e le metodologie di comunicazione dei sistemi sanitari andrebbero probabilmente riviste e migliorate: al proposito sono  indicativi i risultati di uno studio condotto in USA (Nyhan B. et al., Pediatrics 2014;133:1–8) che aveva l’obiettivo di testare l’efficacia dei messaggi destinati alla popolazione con l’intenzione di ridurre i dubbi ed aumentare il tasso di accettazione della vaccinazione anti Morbillo-Parotite-Rosolia. Nessuno dei messaggi proposti alla popolazione – dalla dimostrazione della mancanza di causalità vaccinazione/autismo, all’esposizione visiva dei terribili danni che possono essere causati da malattie vaccino-prevenibili – ha portato ad un incremento della volontà dei genitori di vaccinare i propri figli. Tanto che gli Autori concludono che le attuali tecniche di comunicazione sull’accettazione dei vaccini potrebbero essere non efficaci: per alcuni genitori potrebbero addirittura aumentare le percezioni erronee e ridurre l’intenzione di vaccinare. Ulteriori studi sono certamente necessari per meglio comprendere questa preoccupante ed attuale problematica.

Fig.1

Fig. 1 – Percentuali dei genitori (vaccinatori e non) che hanno ricevuto informazioni dal pediatra sul tema delle vaccinazioni – http://prevenzione.ulss20.verona.it/indagine scelta vaccinale.html

Recentemente è stata pubblicata da parte dell’OMS un’ampia review riguardante l’esitazione vaccinale (Editorial, Special Issue on Vaccine Hesitancy, Vaccine 33 (2015): 4155-4156): infatti nonostante la disponibilità di vaccini efficaci e sicuri che hanno mostrato impatto positivo sulla salute mondiale, l’OMS si è dovuta confrontare ripetutamente e in diverse aree geografiche con situazioni di esitazione o rifiuto vaccinale verso la totalità o verso specifici programmi di vaccinazione.

Le cause determinanti questa situazione sono molteplici e possono presentarsi in maniera più o meno evidente nei vari Paesi: sono state riassunte (Fig. 2) in tre principali aree: a) quella della mancanza di fiducia da parte della popolazione verso l’efficacia e la sicurezza dei vaccini e verso il sistema che li eroga (servizi ed operatori sanitari; decisori politici); b) quella della compiacenza (scarsa percezione dei rischi reali delle malattie prevenibili da vaccino); c) quella della convenienza (relativa cioè all’organizzazione dei programmi vaccinali da parte delle strutture sanitarie, alle difficoltà logistiche e di erogazione, ai costi, etc). Chiaramente queste cause possono sovrapporsi tra loro ed intensificare così gli effetti negativi.

Fig.2_1

L’OMS ha proposto diverse soluzioni rivolte verso ciascuno dei determinanti sopra riportati, per risolvere o almeno migliorare l’esitazione vaccinale, compreso l’impiego delle tecniche di social marketing: è probabile che non una sola, ma un insieme di azioni siano necessarie per affrontare adeguatamente il problema, in funzione delle diverse aree geografiche e delle caratteristiche delle varie popolazioni. Comunque un aspetto rimane importante, cioè quello del ruolo dell’operatore sanitario, in particolare del medico, nel portare adeguate informazioni alla popolazione, sapendo comunicare adeguatamente. E’ riconosciuto dall’OMS stessa che le capacità comunicative oggi debbono essere un pre-requisito per l’introduzione di nuovi vaccini, ma anche per il mantenimento delle coperture vaccinali di quelli già offerti.

Infatti, quanto sopra descritto sta producendo un effetto negativo sulle coperture di un po’ tutte le vaccinazioni, malgrado l’evidente e indiscutibile impatto epidemiologico e socio-economico della pratica vaccinale: va infatti ricordato che, con l’eccezione dell’acqua potabile, nessun’altra innovazione, antibiotici inclusi, ha avuto e tuttora ha un effetto così importante sulla riduzione della mortalità umana. A titolo di esempio: più di 2.5 milioni di morti / anno prevenuti in tutto il mondo; eradicazione del vaiolo (avvenuta nel 1980) che era causa di circa 5 milioni di morti ogni anno; eliminazione della poliomielite in Europa, dichiarata dall’OMS nel giugno 2002 (Plotkin S, Orenstein W, Offit PA. Vaccines, 5th edition, Philadelphia: Saunders, 2008; http://www.who.int/immunization/global_vaccine_action_plan/GVAP_doc_2011_2020/en/index.htm)

La riduzione delle coperture si osserva anche in Italia: secondo i dati raccolti dal Ministero della Salute (Fig. 3), non solo le nuove vaccinazioni stentano a raggiungere livelli di copertura adeguati, ma anche quelle che vengono da tempo raccomandate ed erogate attivamente e gratuitamente stanno subendo un calo evidente, un po’ in tutte le Regioni italiane.

Fig.3_1

Il valore della prevenzione

In Italia la percezione del valore della prevenzione sembra essere più bassa che in altri Paesi: sono state identificate motivazioni storiche e culturali che possono essere alla radice di questa problematica, una risposta alla quale può consistere nella formazione delle nuove generazioni, in ambito scolastico e universitario.

A fronte dell’indubbio e dimostrato beneficio derivante dall’impiego dei vaccini, non vi è un adeguato impiego di risorse finanziarie destinate all’utilizzo degli stessi. Infatti, in Italia, la spesa destinata alla prevenzione in generale è sempre stata inferiore al 5% del totale della spesa sanitaria, teoricamente indicato come il limite minimo accettabile. In termini di percentuale l’Italia si pone di molto al di sotto di altri Paesi europei (http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=SHA) e le prospettive non sono favorevoli. Questo rappresenta una questione politica, oltreché sociale.

Inoltre, emerge nel panorama italiano una diffusa disinformazione o cattiva informazione sia da parte dei cittadini che degli stessi professionisti sanitari riguardo le tematiche vaccinali, che alimenta l’indecisione vaccinale e porta ad un evidente scetticismo nei confronti dell’efficacia e della sicurezza di alcune vaccinazioni e, quindi, ad una sottoutilizzazione. L’atteggiamento di diffidenza si è maggiormente manifestato a seguito di episodi più o meno recenti come la pandemia influenzale H1N1 del 2009, per cui gli operatori sanitari stessi manifestarono una scarsissima adesione alle campagne di vaccinazione e resistenza alla promozione della stessa. Esistono infatti scarso coinvolgimento e partecipazione della classe medica (specialisti, medici e pediatri di famiglia) ai programmi vaccinali, ed anche una scarsa disponibilità ad essere loro stessi vaccinati, quando per alcune vaccinazioni, come quella contro l’influenza, sarebbe importante per motivi organizzativi ed epidemiologici avere elevate coperture tra gli operatori sanitari.

Ma, a parte la pandemia influenzale, altre situazioni ed avvenimenti sono stati mal comunicati, come quelli dei ritiri da parte delle Autorità sanitarie di alcuni lotti di vaccini o alla divulgazione a mezzo stampa di sentenze relative ad indennizzi di presunti danni da vaccino.

Nuovo PNPV e alcune questioni aperte

Il contenimento delle problematiche di cui sopra è tra gli obiettivi del nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2016-18 (http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1955037.pdf) che, approvato lo scorso novembre dalla Conferenza delle Regioni, attende ora il via libera della Conferenza Stato-Regioni per diventare operativo. Rispetto al piano  precedente, relativo al triennio 2012-14 (http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=42048&completo=true), il prossimo PNPV, oltre che inserire diverse nuove vaccinazioni in offerta attiva e gratuita sulla base di quanto proposto dal Calendario predisposto dalle Società Scientifiche Italiane (http://www.epiprev.it/materiali/2014/EP6/SITI/5_1_Calendario_vaccinale.pdf), intende curare in particolare il problema della comunicazione e dell’accettazione vaccinale, attraverso l’elaborazione di un piano piano istituzionale di comunicazione sulle vaccinazioni, e quello delle coperture vaccinali, continuando a garantire l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni, l’accesso ai servizi e la disponibilità dei vaccini.

Più in dettaglio, gli obiettivi proposti per il PNPV 2016-18 e il nuovo calendario vaccinale sono di seguito elencati:

  1. Mantenere lo stato polio-free;
  2. Raggiungere lo stato morbillo-free e rosolia-free;
  3. Garantire l’offerta attiva e gratuita delle vaccinazioni nelle fasce d’età e popolazioni a rischio indicate anche attraverso forme di revisione e di miglioramento dell’efficienza dell’approvvigionamento e della logistica del sistema vaccinale aventi come obiettivo il raggiungimento e il mantenimento delle coperture vaccinali;
  4. Aumentare l’adesione consapevole alle vaccinazioni nella popolazione generale anche attraverso la conduzione di campagne di vaccinazione per il consolidamento della copertura vaccinale;
  5. Contrastare le disuguaglianze, promuovendo interventi vaccinali nei gruppi di popolazioni marginalizzati o particolarmente vulnerabili:
  6. Completare l’informatizzazione delle anagrafi vaccinali interoperabili a livello regionale e nazionale tra di loro e con altre basi di dati (malattie infettive, eventi avversi, residente/assistiti);
  7. Migliorare la sorveglianza delle malattie prevenibili con vaccinazione;
  8. Promuovere, nella popolazione generale e nei professionisti sanitari, una cultura delle vaccinazioni coerente con i principi guida del presente Piano, descritti come “10 punti per il futuro delle vaccinazioni in Italia”;
  9. Sostenere, a tutti i livelli, il senso di responsabilità degli operatori sanitari, dipendenti e convenzionati con il SSN, e la piena adesione alle finalità di tutela della salute collettiva che si realizzano attraverso i programmi vaccinali, prevedendo adeguati interventi sanzionatori qualora sia identificato un comportamento di inadempienza;
  10. Attivare un percorso di revisione e standardizzazione dei criteri per l’individuazione del nesso di causalità ai fini del riconoscimento dell’indennizzo, ai sensi della legge 210/1992, per i danneggiati da vaccinazione, coinvolgendo le altre istituzioni competenti;
  11. Favorire, attraverso una collaborazione tra le Istituzioni Nazionali e le Società Scientifiche, la ricerca e l’informazione scientifica indipendente sui vaccini.

Fig.4_1

Anche se tra le vaccinazioni erogate gratuitamente in Italia ve ne sono ancora quattro “obbligatorie” per legge (difterite, tetano, polio, epatite B) – ad eccezione del Veneto che ha sospeso l’obbligo vaccinale nel 2008 –  in realtà tutte le vaccinazioni di cui alla figura 4 sarebbero da raccomandare. La concezione dell’obbligo vaccinale per sole quattro vaccinazioni rimane infatti un’anomalia su cui si poggiano spesso le posizioni dei movimenti anti- vaccinali, alcuni dei quali, va detto, non si esprimono contro la vaccinazione come tale, ma contro le modalità di offerta e di sistema. E’ vero che in Europa e anche in Italia esistono programmi per indennizzare i cittadini che hanno subito danni in seguito a una vaccinazione, ma il sistema sembra migliorabile.

Un’altra criticità de sistema vaccinale italiano è rappresentata dalla scarsa attitudine vaccinale degli adulti e degli anziani, nonché delle categorie a rischio, malgrado siano oggi questi target fondamentali della prevenzione, considerando l’invecchiamento generale della popolazione e la riduzione delle risorse economiche destinate alla spesa sanitaria. L’Italia è al secondo posto per numerosità degli over 65 (20,4% di persone di 65 anni e oltre) alle spalle del Giappone (22,8%) e ben al di sopra della media OCSE che è del 17,3% (http://www.oecd-ilibrary.org/economics/oecd-factbook-2010_factbook-2010-en). Questo aspetto è importante ed evidenzia la priorità per il SSN italiano di fronteggiare la sostenibilità finanziaria di questo fenomeno e considerare la vaccinazione quale utile strumento per il contenimento della spesa.

L’insegnamento della Vaccinologia nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia rimane attuale

Da tutte le considerazioni sopra esposte e dall’’attualità del tema prevenzione primaria/vaccinazioni deriva l’importanza per lo studente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di apprendere nozioni che debbono interessare in generale tutti i medici. Alcune della materie dei Corsi di Laurea trattano i vaccini e le vaccinazioni (Igiene e Sanità pubblica, Pediatria, Malattie Infettive, Microbiologia, etc) a cura di diversi Settori Scientifico-disciplinari. Al di là degli insegnamenti specifici – in grado di andare bene in profondità nell’erogazione delle informazioni allo studente, dalle esperienze condotte negli ultimi due anni attraverso l’effettuazione di seminari e lezioni di vaccinologia, è emerso come tali insegnamenti – in quanto sintesi di quanto appreso dalle varie materie, siano risultati interessanti ed utili per gli studenti e come il momento più utile per somministrarli sia il  6° anno, in prossimità del conseguimento del titolo di studio e dell’avvio alla professione medica, al fine di facilitare la comprensione del proprio ruolo nel complesso ambito della prevenzione primaria.

Cita questo articolo

Biasio, L. R.,  L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in Medicina e Chirurgia. Stato dell’arte, Medicina e Chirurgia, 69: 3122-3126, 2016. DOI:10.4487/medchir2016-69-2

Indice n.69/2016

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

69/2016

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale

Editoriale, di Andrea Lenzi.

Opinioni istituzionali

Programmazione del fabbisogno di medici. Il progetto europeo per un nuovo modello, di Rossana Urgenti

L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in Medicina e Chirurgia. Stato dell’arte, di Luigi Roberto Blasio

I lavori delle Conferenze Permanenti

Università e disabilità, di Gabriele Cavaggioni, Valentina Gazzaniga, Anna Paola Mitterhofer.

La formazione in Nutrizione umana nei CLM in Medicina e Chirurgia, di Lorenzo M. Donini, Maurizio Muscaritoli.

Dossier: Il progetto site visit. L’esperienza di dieci anni di lavoro, di Carlo Della Rocca, Andrea Lenzi

Stato dell’arte dei Gruppi di lavoro

Syllabus pedagogico

L’esperienza del servizio tutor in itinere nel CLM in Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze. Un inizio promettente, di Elena Giacomelli, Cecilia Lanzi, Valentina Barletti, Rosa Desiante, Lediona Dyrmo, Gentiana Fili, Francesca Livi, Sinan Sadalla, Silvia Tognelli, Giulia Torelli, Domenico Prisco

Uomini, scuole, luoghi e immagini nella Storia della Medicina

Pre-occupazione e pre-venzione. Lavoro, ambiente e medicina nel De morbis artificum diatriba di Bernardino Ramazzini, di Giulia Frezza

Notiziario

Notizie dal CUN, dall’ANVUR, dalle Conferenze Permanenti dei Corsi di laurea in Medicina e dalle Conferenze Permanenti delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, di Manuela di Franco, Paolo Miccoli, Amos Casti, Alvisa Palese

Programmazione del fabbisogno di medici. Il progetto europeo per un nuovo modellon.69, 2016, pp. 3118-3121, DOI: 10.4487/medchir2016-69-1

Abstract

Italian Ministry of Health is one of the leaders of the Joint Action on Health Workforce Planning and Forecasting, an initiative funded by the European Commission. One of its main objectives is to analyze and disseminate health workforce planning methodologies in use in some EU countries, with a focus on five health professions: Doctors, Dentists, Nurses, Midwifes and Pharmacists. The results of this analysis are described in the Handbook on Health Workforce Planning Methodologies across EU Countries.

In the Joint Action framework, the Ministry of Health is leading a pilot project in Italy with the aim to develop a new methodology for gathering the health workforce needs in strong collaboration with the Regions, the Professionals Orders and other national and local stakeholders.

A mathematical forecasting tool, including both supply and demand side, has been developed as part of the new methodology and spread to all the main stakeholders. This tool will help the policy makers to build future scenario (up to 2040), thus supporting the process inherent the yearly decision on the number of student intakes to the Medical Degree Courses (ex art. 6-ter d.lgs. 502/92).

Articolo

Il progetto europeo

La Joint Action on Health Workforce Planning and Forecasting, è l’iniziativa promossa dalla Commissione europea  con lo scopo di migliorare la programmazione e la previsione del personale sanitario in Europa. Il progetto, di durata triennale (aprile 2013 – giugno 2016), coinvolge circa 90 partner provenienti da tutti i paesi europei. Il Ministero della Salute, in partnership con Age.Na.S., oltre a collaborare all’iniziativa, è anche leader di una delle 7 linee di attività in cui il progetto è organizzato. Obiettivo di questa specifica linea di attività (denominata WP5) è lo studio e la diffusione delle buone pratiche inerenti le metodologie di pianificazione e previsione di personale sanitario in uso nei paesi dell’Unione Europea. Seppur i sistemi di pianificazione e le metodologie di previsione possono rivolgersi a qualsiasi professione sanitaria, il focus del progetto è ristretto alle 5 professioni sanitarie oggetto della direttiva comunitaria sul mutuo riconoscimento tra gli Stati membri, ossia medici, odontoiatri, farmacisti, infermieri e ostetriche.

In questi due anni di lavoro abbiamo studiato ed analizzato le metodologie ed i sistemi di pianificazione utilizzati in Europa. A seguito di tali analisi abbiamo prodotto un documento relativo al set minimo di dati utili per la pianificazione ma, soprattutto, abbiamo pubblicato un manuale sulle metodologie di programmazione della forza lavora sanitaria nei Paesi europei, contenente le cosiddette “good practice” sviluppate sul tema (Handbook on Health Workforce Planning Methodologies across EU Countries).

Attualmente, siamo impegnati nella fase di sperimentazione delle buone pratiche contenute nel manuale sopracitato. Nello specifico, stiamo conducendo due progetti pilota, uno in Italia e uno in Portogallo, finalizzati allo sviluppo di un sistema di pianificazione del personale sanitario. Stiamo inoltre coordinando due studi di fattibilità, uno in Germania e uno congiunto tra Romania e Moldavia, con l’obiettivo di valutare le condizioni per lo sviluppo di un sistema di programmazione in tali paesi.

Il progetto pilota in Italia

Il progetto pilota in Italia si inserisce nell’ambito del processo di determinazione dei fabbisogni formativi del personale sanitario, così come definito dall’art. 6 ter del d.lgs. 502/92. Obiettivo specifico del progetto pilota in Italia è pervenire, per le 5 professioni oggetto del progetto europeo sopra richiamate, ad una metodologia comune di determinazione dei fabbisogni formativi concordata e utilizzata da tutti gli stakeholder che partecipano al processo, tra cui un ruolo primario hanno le regioni oltre che le Federazioni degli Ordini e Collegi professionali. Il progetto pilota, coordinato dal Ministero della Salute, è stato avviato a gennaio 2015 e terminerà ad aprile 2016.

Il modello teorico di riferimento per la definizione dei fabbisogni è il seguente:

  1. Il numero di operatori sanitari che erogano servizi e prestazioni ai cittadini (offerta) dipende principalmente da:
    1. lo stock di professionisti esistente;
    2. i flussi di nuovi professionisti che arrivano dai percorsi formativi o da altri paesi (immigrazione);
    3. i flussi di professionisti in uscita dal mercato del lavoro per pensionamento o emigrazione verso altri paesi.
  2. La domanda futura di professionisti sanitari dipende da una molteplicità di fattori. Tuttavia, è possibile identificare due tra le sue maggiori determinanti:
    1. la dimensione della popolazione e il suo stato di salute generale;
    2. la fornitura, o la disponibilità, dei servizi sanitari.
  3.  Le politiche pubbliche finalizzate a garantire la copertura universale del sistema sanitario, la qualità delle cure, la sicurezza dei pazienti, nonché adeguate condizioni lavorative per i professionisti, agiscono attraverso diverse leve, tra le quali la pianificazione degli ingressi ai percorsi universitari.

Partendo dalle raccomandazioni e dalle buone pratiche contenute nel citato manuale europeo, in questi mesi, insieme gli stakeholder sopra menzionati, abbiamo lavorato su alcune dimensioni chiave per la determinazione del fabbisogno legate in particolare alla proiezione nel futuro dello stock attuale di professionisti sanitari. Abbiamo, infatti, definito un modello di natura “quantitativa” che permette di stimare il numero di professionisti sanitari che saranno attivi nel mercato del lavoro nei prossimi 20 anni, tenendo conto di una serie di variabili e di flussi in entrata e in uscita (vedi fig. 1).

Fig.1_0

Il modello teorico per la definizione dei fabbisogni formativi dei medici (così come per le altre professioni sanitarie considerate nel progetto) è stato poi sviluppato in un file Excel.

In particolare, per quanto concerne l’offerta, i dati presenti nei file Excel sono relativi a:

– numero di professionisti iscritti agli Ordini e Collegi professionali al 31/12/2014 per genere e anno di nascita;

– numero di professionisti stimati come “attivi” sul mercato del lavoro al 31/12/2014 secondo criteri e informazioni contenute nelle banche dati ENPAM, ENPAF, Co.Ge.A.P.S. e ISTAT, per genere e anno di nascita;

– numero di professionisti stimati come “sopravviventi” dal 2015 al 2040 in base alle probabilità di sopravvivenza per singola età anagrafica al 2013;

– numero di professionisti stimati come nuovi ingressi nel mercato del lavoro dal 2015 in poi sulla base dei posti disponibili negli specifici corsi di laurea da decreto nazionale.

I dati inerenti lo stock consentono una prima essenziale analisi basata sull’osservazione della situazione attuale che può essere sinteticamente riprodotta attraverso le figure 2 e 3.

Fig.2_0 Fig.3_0

La descrizione dell’offerta attuale, così come la sua proiezione negli anni, è completata da una serie di assunti e di ipotesi:

– i professionisti di età maggiore di 74 anni sono considerati inattivi (come da definizione ISTAT);

– i professionisti di età inferiore ai 40 anni e non attivi al 31/12/2014 sono considerati “attivabili” ossia “in cerca di occupazione”;

– le uscite per pensionamento dal mercato del lavoro dei professionisti avvengono al raggiungimento di una certa età anagrafica, specifica per genere e professione;

– i nuovi professionisti, stimati come nuovi ingressi nel mercato del lavoro, sono considerati tutti immediatamente “attivabili” ma passano allo status di “attivi” solo se la domanda all’anno precedente supera l’offerta;

– lo stock di professionisti è misurato come numero di “teste” e il “tempo pieno equivalente” (o Full Time Equivalent – FTE) per ogni professionista è stimato uguale a 1, sia per gli uomini che per le donne.

Per quanto riguarda la domanda, i dati presenti nei file Excel sono relativi a previsioni annuali della popolazione residente con distinzione per genere fino al 2040.

La descrizione della domanda attuale, così come la sua proiezione futura, è definita attraverso l’indicatore “numero di professionisti per 1000 abitanti”, ossia dal rapporto tra professionisti necessari a soddisfare la domanda e la popolazione stimata per ogni anno.

La proiezione dello stock fino al 2040

I dati sui professionisti attivi sono proiettati negli anni fino al 2040 in tre passaggi.

  1. Invecchiamento dello stock. Lo stock al 31/12/2014, per ogni età anagrafica, viene proiettato per ogni anno futuro, dal 2015 al 2040, nell’età anagrafica successiva, fino alla soglia dei 74 anni.
  2. Sopravvivenza dello stock. Lo stock proiettato in precedenza dal 2015 al 2040 viene diminuito, per ogni anno e per ogni età, applicando le probabilità di sopravvivenza associata alla singola età (probabilità come da fonte ISTAT e relative all’anno 2013).
  3. Pensionamento dello stock. Il precedente stock proiettato dal 2015 al 2040 viene diminuito rispetto ai pensionamenti stimati secondo ipotesi di pensionamento.

Attraverso una serie di elaborazioni dei dati, di assunti e di ipotesi, abbiamo ipotizzato delle proiezioni 2015 – 2040 dello stock esistente al 31/12/2014 simulando uno “Scenario gruppo chiuso con domanda”. In tale simulazione non vengono ancora contemplati i flussi in entrata di nuovi professionisti e, pertanto, parliamo di scenario “a gruppo chiuso”. I risultati di tale esercizio evidenziano in particolare la differenza negli anni tra la domanda presunta e lo stock “in riduzione”. E’ importante evidenziare come, negli anni in cui la domanda è superiore allo stock stimato (offerta), l’anno successivo vengano attivati i professionisti “attivabili” fino a coprire il fabbisogno stimato.

E’ evidente, pertanto, come il valore puntuale della domanda sia elemento  determinante nella definizione delle stime.

I flussi in ingresso e la stima dello stock fino al 2040

Il modello sviluppato è un modello cosiddetto “stock and flows” e, accanto ai flussi in uscita già considerati nello scenario a gruppo chiuso, nella stima dello stock dal 2015 al 2040 sono completati anche i flussi di ingresso di nuovi professionisti. Il modello teorico considerato e sopra rappresentato, prevede che i flussi di ingresso possano provenire dalla formazione o dalla immigrazione. Le ipotesi relative ai flussi migratori saranno inserite nel modello nazionale. Il modello proposto prevede la formulazione delle ipotesi sui flussi di ingresso da formazione necessari a soddisfare la domanda, tenuto conto dello stock esistente e dei professionisti già formati e non ancora attivi.

La stima del flusso di nuovi professionisti provenienti dai percorsi formativi universitari dal 2015 al 2040, è definibile secondo una doppia logica.

  1. Le stime dal 2015 fino al 2025 (2027 per i farmacisti, 2028 per i medici e gli odontoiatri) sono in tutto o in parte determinate dagli ingressi ai corsi di laurea degli anni precedenti all’anno accademico 2016/2017, prescindono dal luogo in cui lo studente si è iscritto o laureato (il modello non prende in considerazione la mobilità interregionale dei professionisti né tanto meno degli studenti) e sono calcolate partendo dai posti resisi disponibili nei diversi anni precedenti il 2015 a livello nazionale (utilizzati come proxy degli immatricolati).
  2. Le stime dal 2019 (per infermieri e ostetriche), dal 2021 (per i farmacisti), dal 2022 (per i medici e gli odontoiatri), sono invece influenzate anche o del tutto dalle ipotesi sul numero di “aspiranti nuovi professionisti” che si iscriveranno a partire dall’anno accademico 2016/2017 e che costituiranno i flussi di nuovi professionisti negli anni successivi. Il numero di “aspiranti nuovi professionisti” è tradotto in “percentuale variazione annuale delle immatricolazioni” e ogni fruitore del modello potrà definire i suoi valori di riferimento. Tali valori, ricordiamo, non devono dipendere dalla capacità formativa di eventuali atenei territorialmente limitrofi, ma dovranno essere definiti sulla base della propria domanda, tenendo conto dello stock esistente e dei professionisti già formati.

La stima dei laureati per ogni anno è in funzione del numero di iscritti nei precedenti anni di immatricolazione.

I flussi di nuovi professionisti così stimati sono aggiunti per ogni anno dal 2015 al 2040 allo stock esistente al 31/12/2014. Il “nuovo stock”, con la stessa logica riassunta nello scenario a gruppo chiuso, è proiettato negli anni fino al 2040 ed è ridotto applicando i tassi di mortalità e le ipotesi di pensionamento.

I risultati delle proiezioni del “nuovo stock” sono riassunti nello “Scenario gruppo aperto con domanda”. In tale simulazione la domanda stimata viene confrontata, negli anni dal 2015 al 2040, con i dati relativi al “nuovo stock” (integrato quindi con le ipotesi dei flussi in entrata dei nuovi professionisti). Anche in questo scenario, come nel precedente, i risultati evidenziano la differenza negli anni tra la domanda presunta e lo stock stimato alla luce delle ipotesi di ingressi di nuovi professionisti. A differenza del precedente scenario, i professionisti “attivabili” ogni anno sono dati dalla somma del numero dei professionisti disoccupati all’anno precedente con il numero di nuovi professionisti in ingresso dalla formazione (neo-laureati) di quell’anno. I neo-laureati che non vengono assorbiti dal mercato del lavoro nell’anno, confluiscono nel contingente dei disoccupati dell’anno successivo. Come per lo scenario precedente, il ragionamento è imperniato intorno al livello atteso di domanda.

Cita questo articolo

Urgenti R., Programmazione del fabbisogno di medici. Il progetto europeo per un nuovo modello, Medicina e Chirurgia, 69: 3118-3121, 2016. DOI: 10.4487/medchir2016-69-1