Storia e obiettivi della Conferenza Permanente delle Classi di laurea e laurea magistrale delle Professioni sanitarien.68, 2015, pp.3109-3111, DOI: 10.4487/medchir2015-68-5

Abstract

On November 15, 2006 the first Progress Test (PT) was made available to all Italian Medical Schools, on a voluntary basis, as an initiative of the Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Since 2006, the PT has been held annually for the last 9 years. During these 9 years, the percentage of Italian medical schools that have participated has increased from 50% to approximately 88% and has seen the number of participating students increase from 3,300 to approximately 22,000. Although the PT is not a new invention, but dates back to the 1970’s, it is undergoing a revival for the same reasons that it was originally created. At its inception it was realized that up to that time (as it continues to occur in many contemporary schools) the assessment of knowledge acquired during any academic year was obtained exclusively from end-of-course or end-of-year exams. Unfortunately, such exams have been shown to have important steering on learning since they push students to prepare themselves primarily for the passing of these exams. Such exams have also been shown to indirectly reinforce the mnemonic aspect of studying medicine and in the vast majority of cases students tended to limit their studies by concentrating primarily on what they believed would be the content of the exam.

From these reflections, a new philosophy mushroomed regarding the concepts of assessment and evaluation. It became clear that what had to be left behind was the direct relationship between specific educational programs and their evaluation. What had to be evaluated was not so much the acquisition of the specific course-related learning objectives but the progressive acquisition of the final objectives of the overall medical curriculum. For these reasons it was realized that evaluation had to be as a continuous a process as possible. The original idea of the creators of the PT was that exams should not interfere with an individual’s desired behavior in studying, and that decisions of pass/fail should be based on longitudinal and not on single evaluations.

Even though the PT was developed to respond to a new form of education introduced at that time, that of Problem Based Learning (PBL), it has been subsequently demonstrated that the application of a longitudinal, progressive method of assessment and evaluation is valid not only for PBL-based curricula, but also for those (still) using “traditional” curricula.

This report will begin with more detailed information on the philosophy, advantages and disadvantages’ of this type of exam, continue with a description of the Italian experience over the last 9 years and in particular, focus on of the results of the last PT taken by 22,955 Italian medical students.

Articolo

La Conferenza si è costituita nel 1997 su iniziativa dei Professori Luigi Frati e Giovanni Danieli che, in analogia con le conferenze già attive dei Presidi delle Facoltà di Medicina e dei Presidenti dei corsi di laurea di Medicina,   hanno ritenuto utile istituire un organismo capace di indirizzare e coordinare la nascita e lo sviluppo dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.

La Conferenza è costituita dai Presidenti e dai Coordinatori/Direttori delle attività professionalizzanti e si pone l’obiettivo di promuovere un miglioramento continuo dei percorsi e dell’offerta formativa di ciascun corso di laurea in coerenza con le esigenze delle rispettive professionalità ed in armonia con gli indirizzi, le norme e i trattati dell’Unione Europea; vuole inoltre coordinare lo sviluppo delle attività formative e promuovere lo studio di problematiche specifiche di ogni corso di laurea.

La Conferenza al suo interno è strutturata con un Ufficio di Presidenza, una Giunta e 22 Commissioni Nazionali per i corsi di laurea di ciascun profilo professionale. L’attività svolta in questi anni prevedeva due meeting all’anno e gruppi di lavoro per specifiche tematiche, sia all’interno di ciascuna commissione che trasversali. I corsi di laurea e laurea magistrale delle professioni sanitarie rappresentano oggi una realtà complessa e articolata. La tabella 1 mostra per esteso le classi di laurea delle professioni sanitarie e la numerosità di corsi attivati in Italia con sede nell’Università di riferimento e in sedi decentrate.

Le due aree di maggior impegno a cui ha contribuito la Conferenza sono quella delle problematiche di Governance dei Corsi e quindi di confronto con le Istituzioni coinvolte (Ministero della Salute, Miur, CUN, Conferenza Stato Regioni) e quella della qualità dell’offerta formativa.

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Tematiche di Governance

La Conferenza ha elaborato documenti su tematiche al centro del dibattito, tematiche che sono state via via recepite da decreti (vedi ordinamenti didattici che si sono succeduti) e circolari. In particolare ha partecipato alla individuazione dei requisiti minimi sia in termini di numero di docenti necessari per attivare i corsi sia relativi alla qualità delle strutture sanitarie necessarie a svolgere i tirocini e ad offrire opportunità formative agli studenti per sviluppare le competenze attese; la Conferenza ha poi contribuito a definire i requisiti della docenza a contratto e professionalizzante, le specificità dei SSD MED/45-50, obiettivi, come si rileva dalla tabella 2, parzialmente raggiunti perché il numero di docenti universitari e ricercatori appartenenti ai profili delle professioni sanitarie sono ancora insufficienti e sottostimati rispetto ad un reale sviluppo accademico delle discipline relative alle quattro classi di laurea.

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La Conferenza ha contribuito a garantire che nei decreti istitutivi delle lauree delle professioni sanitarie fossero poste in evidenza le peculiarità, ovvero il loro valore abilitante di questi corsi, come il peso da assegnare al tirocinio e prevedendo che la gestione dei tirocini e della didattica professionalizzante siano affidate alla responsabilità di un direttore didattico appartenente allo stesso profilo professionale affiancato da un sistema di tutorato professionale.

La Segreteria della Conferenza, grazie al contributo determinante di Angelo Mastrillo, ha garantito una raccolta dati e un monitoraggio costante dei corsi di laurea delle sedi centrali e distaccate, degli studenti, del rapporto tra fabbisogni e posti programmati e dei livelli di attrattività di ciascun corso di laurea (rapporto domanda/costo), mettendo anche a disposizione queste conoscenze, questi dati dei rispettivi Ministeri. I rappresentanti dell’Ufficio di Presidenza hanno partecipato anche all’Osservatorio nazionale delle professioni sanitarie, organismo di coordinamento   con mandato di monitorare il fabbisogno e l’offerta delle professioni sanitarie, ma che purtroppo ha avuto un’operatività molto incostante. Con il Ministero della Sanità, Regioni e Ministero della salute i confronti sono stati costanti, sia sulle tematiche del fabbisogno e sui protocolli di intesa sia sulle modalità di finanziamento dei corsi di laurea. Va tuttavia rilevato che permane nel Paese una significativa disomogeneità delle condizioni gestionali dei corsi. In coerenza con la necessità di mantenere standard omogenei e di valore della formazione, la Conferenza ha mantenuto costante l’attenzione ed il controllo, denunciando e ponendo in essere azioni di segnalazione relativamente alla questione dell’”abuso di professione” molto dibattuta e fonte, non di rado, di grande confusione all’interno della panoramica formativa. Si è quindi attuato un monitoraggio continuo là dove altri istituti privati, o stranieri o atenei con forme didattiche on-line propongono la formazione di figure professionali con profili simili e paralleli a quelli normati, con il rischio di creare conflitti e poca chiarezza. Ne sono un esempio i corsi per massoterapista che veicolano un messaggio ambiguo promettendo una professione confusiva con il fisioterapista.

In fase di riordino dei settori concorsuali per le abilitazioni scientifiche nazionali, la Conferenza ha proposto la necessità di evidenziare nella declaratoria i titoli didattico-scientifici ed organizzativi che caratterizzano i sottosettori relativi alle professioni sanitarie. Ha inoltre   contribuito alla predisposizione dei decreti per le istituzioni delle Lauree Magistrali suddivise in cinque classi, attraverso un dibattito ed un confronto molto approfondito con le diverse commissioni, così come ha elaborato documenti e proposte di indirizzo per lo sviluppo di Master sia in ambito manageriale-formativo che ad indirizzo specialistico

Due ambiti sono stati studiati e presi a cuore dalla Conferenza relativamente alla questione didattico-formativa: l’identificazione e lo sviluppo dei Core Curricula e il processo di Valutazione dell’attività formativa unitamente alle metodologie didattiche.

Il core curriculum

Molte commissioni hanno elaborato un core curriculum e core competence indirizzando e mettendo a disposizione dei docenti dei vari corsi di laurea delle linee di indirizzo per orientare sia i programmi degli insegnamenti teorici che gli obiettivi di tirocinio, con l’intento di permettere anche una trasparenza delle logiche formative con la società, in particolare in quelle che sono le competenze core che i corsi di laurea si impegnano a sviluppare nei neolaureati.

In linea con tale intento sono stati approfondite le metodologie didattiche interattive, utili a sviluppare abilità di applicazione e trasferimento delle conoscenze, come ad esempio la gestione di laboratori di skills pratico-relazionali, le simulazioni, il metodo dei casi, l’integrazione di forme di e-learning con la didattica in presenza.

I processi di valutazione

La Conferenza ha mantenuto una attenzione costante ai processi di valutazione sia ad un livello macrosistema e sulla qualità dei laureati, che sui processi   interni relativi alla valutazione dei tirocini, del tutorato e della didattica, ritenendo che solo attraverso un approccio valutativo di tipo sistematico del processo formativo sia possibile individuare le criticità, migliorare e riorientare la preparazione dei professionisti verso una sempre maggior pertinenza ai bisogni di salute dei cittadini. Nell’ambito di queste tematiche sono stati promossi contatti con esperti dell’ ANVUR per suggerire possibili integrazioni agli indicatori da loro previsti e sensibili ad intercettare alcune dimensioni peculiari del CdL delle professioni sanitarie come ad esempio il coordinamento del tirocinio.

Coerentemente con questa visione, la Conferenza si è molto impegnata sul fronte del Progress Test che ha coinvolto decine di corsi di laurea e che si propone di valutare la progressione dell’apprendimento, delle conoscenze contributive e delle capacità cliniche e decisionali nonché dell’adesione ai valori professionali degli studenti, monitorandone l’evoluzione formativa dal primo al terzo anno del corso di laurea. E’ stata istituita una rete di referenti che coordinano i cori di laurea di ciascun profilo professionale che aderiscono su base volontaria alla somministrazione del Progress Test. Questa rete si è ampliata molto nel tempo coinvolgendo migliaia di studenti.

I risultati del Progress test  sono restituiti a ciascuno studente in modo che possa autovalutare la propria performance confrontandola con i valori medi degli studenti di altri corsi di laurea dello stesso profilo professionale. Ciascun corso di laurea che ha aderito al progress test riceve i dati aggregati che permettono di valutare le   perfomance dei loro studenti con quelle di altri corsi di laurea. Questo processo di  monitoraggio continuo della qualità formativa degli studenti   consente di diagnosticare  eventuali lacune e progettarne il miglioramento, attraverso la revisione dei programmi di insegnamento, oppure di laboratori didattici su ambiti di conoscenze e competenze che meritano un approfondimento.

Cita questo articolo

Salani L., Storia e obiettivi della Conferenza Permanente delle Classi di laurea e laurea magistrale delle Professioni sanitarie, Medicina e Chirurgia, 68: 3109-3111, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-5

Un’esperienza di laboratorio professionale condotta nel corso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapian.66, 2015, pp.2989-2993, DOI: 10.4487/medchir2015-66-5

Abstract

The Authors describe the experience of Professional Laboratory conducted to enable students to conceptualize and become familiar with the main techniques of Post-Processing used in clinical practice in Computed Tomography.

The Professional Laboratory is, in fact, an essential training tool, able to maintain over time a detailed and precise coincidence between the functions that characterize the professional profile of the professional of reference (radiographer) and the educational targets of the training program of the Degree (TRMIR) through a continuous and constant modulation of the expressed contents.

Articolo

Premessa

L’insieme delle competenze che gli studenti dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie devono essere in grado di acquisire al termine di un periodo di apprendimento prende il nome di obiettivi educativi.

Il conseguimento di tali obiettivi formativi riguarda in particolare l’attività formativa professionalizzante (tirocinio pratico e laboratorio professionale) che rappresenta l’attività didattica che, nel sistema universitario italiano, caratterizza i suddetti Corsi di studio.

E’ necessario sottolineare che l’attività professionalizzante deve essere programmata in modo tale da garantire una puntuale e precisa coincidenza tra gli obiettivi educativi del programma formativo (nella fattispecie il Corso di Laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia – TRMIR) e le funzioni che caratterizzano il profilo professionale del professionista sanitario di riferimento (Tecnico Sanitario di Radiologia Medica – TSRM).

La Diagnostica per Immagini è stata caratterizzata, nell’ultimo ventennio, da una notevole trasformazione e rapida evoluzione tecnologica che ha interessato le cosiddette “tecnologie pesanti” ed in particolare la Tomografia Computerizzata (TC) le cui tecniche di elaborazione e di post processing bidimensionale (2D) e tridimensionale (3D) rappresentano oggi la routine nella pratica clinica.

L’evoluzione tecnologica ha determinato la rapida diffusione di scanner TC multidetettore (TCMD) attualmente caratterizzati da elevate capacità di acquisizione dei dati in voxel isotropici (320 strati simultaneamente lungo l’asse Z) ed in grado di produrre immagini di altissima risoluzione (inimmaginabili fino a qualche anno fa). Tali immagini possono essere visualizzate in qualunque piano dello spazio (sagittale, coronale e curvilineo, oltre a quello assiale di acquisizione) con identica risoluzione spaziale, consentendo l’impiego routinario delle ricostruzioni 2D ma soprattutto di quelle con tecnica 3D.

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Le evoluzioni tecnologiche descritte hanno generato un contestuale sviluppo di software proprietari e di tipo Open Source dedicati al post-processing, utilizzati correntemente in performanti consolle di elaborazione.

Quanto sopra ha determinato una radicale trasformazione del ruolo del TSRM e del Medico Specialista Radiologo, mettendo entrambi (nell’ambito delle rispettive competenze) nelle condizioni di dover sempre più acquisire conoscenze specifiche in grado di garantire ed attuare le strategie diagnostiche più idonee, ottimizzando i processi di acquisizione (attraverso una scelta adeguata dei parametri di scansione) in funzione del post-processing a cui i dataset prodotti dovranno essere successivamente sottoposti.

In tale situazione il Corso di Laurea in TRMIR ha ritenuto necessario ed indispensabile adeguare ed integrare gli obiettivi formativi degli studenti impegnati nello svolgimento delle esperienze di tirocinio pratico nel settore TC, pianificando la realizzazione di un “ambiente simulato” in grado di consentire agli stessi di concettualizzare e familiarizzare con le principali tecniche di Post-Processing utilizzate nella pratica clinica in TC.

Materiali e metodi

Il Laboratorio Professionale in questione è stato denominato: Post-processing in Tomografia Computerizzata ed è stato indirizzato agli studenti del 2^ anno di corso, chiamati ad acquisire, durante lo svolgimento delle attività di tirocinio pratico, specifici obiettivi formativi nel settore TC.

L’attività formativa è stata pianificata utilizzando le risorse di seguito descritte.

Dotazione strumentale:

  • n.2 PC iMac ed un visore a grande schermo (in dotazione al Corso di Laurea) in grado di gestire elaborazioni post-processing, tramite l’impiego di un software Open Source, denominato “Osirix” (potente software, operativo su piattaforma Macintosh, specificatamente progettato per le elaborazioni di immagini in formato DICOM e dedicato alla visualizzazione, gestione e post-processing di dati prodotti da apparecchiature multimodali, quali TC, RM, PET, PET-TC, SPECT-TC, CR, DR, ecc.);
  • consolle di acquisizione e work-station di elaborazione impiegate, per la pratica clinica degli esami TC, nell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona, le quali utilizzano sistemi informatici e software di elaborazione di tipo proprietario (General Electric e Philips).

Professionalità coinvolte:

  • competenze specifiche del professionista TSRM cui è stata affidata la responsabilità della conduzione dell’attività formativa;
  • disponibilità offerta da operatori TSRM che hanno supportato gli studenti nel loro studio ed attività di addestramento individuali.

Fasi di realizzazione:

  • inquadramento metodologico della specifica attività di laboratorio da parte del Direttore delle Attività Didattiche Professionalizzanti, in forma collegiale;
  • dimostrazioni pratiche da parte della Guida di Laboratorio, in forma collegiale;
  • esercitazioni guidate, coordinate dalla Guida di Laboratorio, ad ognuno dei vari gruppi in cui sono stati suddivisi gli studenti impegnati nell’attività formativa (n.4/5 studenti per gruppo);
  • studio individuale, autoapprendimento e simulazione da parte di ogni singolo studente, anche sotto la supervisione di professionisti TSRM con specifiche competenze nelle elaborazioni di post-processing TC.

Obiettivi formativi teorico-pratici specifici:

conoscenza dei fattori e dei parametri che consentono l’ottimizzazione delle fasi di acquisizione, ricostruzione e visualizzazione delle immagini in TC;

  • conoscenza dei descrittori di qualità delle immagini TC;
  • acquisizione di abilità pratiche relative alle principali tecniche di elaborazione delle immagini in TC:
    • Ricostruzione multiplanare (MPR e CPR) (Fig. 1a-1b),
    • Proiezione di massima e minima intensità (MIP e Min-IP) (Fig. 1c-1d),
    • Rendering volumetrico (VR) (Fig. 1e),
    • Rappresentazione di superficie (SSD) (Fig. 1f),
    • Endoscopia virtuale (VE) (Fig. 1g).

Al termine dell’esperienza didattica proposta, agli studenti è stata somministrata, in forma volontaristica ed anonima, una scheda di gradimento tendente a valutare l’efficacia dell’attività svolta.

Complessivamente, nel corso degli anni accademici presi in considerazione, le informazioni assunte dall’elaborazione dei dati acquisiti hanno interessato il seguente campione (Tab. 1):

A.A. N° studenti coinvolti
nel Laboratorio Prof.
N° studenti che hanno
espresso una valutazione
Percentuale delle
rispostepervenute
2009-10 25 11 44,0%
2010-11 21 13 61,9%
2011-12 25 20 80,0%
2012-13 16 16 100%
TOTALE 87 60 69,0%

Tab 1 – Campione interessato nella valutazione dell’attività di Laboratorio Professionale

 

La scheda di gradimento è stata predisposta (23 domande con la possibilità di esprimere una valutazione numerica da 1=no/poco a 5=sì/molto) al fine di acquisire elementi tendenti a valutare i seguenti aspetti dell’attività di laboratorio:

  • contenuti formativi (Tab. 2)
  • metodologia di apprendimento (Tab. 3)
  • setting d’aula (Tab. 4)
  • efficacia dell’attività formativa (Tab. 5)
  • giudizio complessivo sull’esperienza svolta (Tab. 6 e Fig. 2)
La Guida di Laboratorio:
ha esplicitato gli obiettivi formativi da conseguire con l’attività programmata?
ha ben rappresentato, preliminarmente, i parametri di acquisizione, ricostruzione e visualizzazione delle immagini in TC?
ha esplicitato i fattori che caratterizzano la qualità delle immagini TC?
ha illustrato dettagliatamente le varie fasi che caratterizzano le principali tecniche di elaborazione delle immagini TC?

Tab. 2 – Contenuti formativi espressi dalla Guida di Laboratorio

 

La Guida di Laboratorio:
ha fornito aiuto all’apprendimento esplicitando le procedure che caratterizzano il post-processing dell’imaging TC?
ha fornito aiuto per far acquisire consapevolezze (abilità cognitive) sull’attività svolta?
ha attuato meccanismi di rinforzo didattico per risolvere dubbi o incertezze?
ha attivato processi di riflessione e rielaborazione per consolidare le conoscenze acquisite?
ha fornito suggerimenti per favorire l’autovalutazione?
ha effettuato la valutazione finale in forma coerente con i contenuti dell’attività didattica?

Tab. 3 – Metodologia di apprendimento attuata dalla Guida di Laboratorio

 

L’attività di Laboratorio Professionale:
è risultata valida ed efficace, ai fini dell’apprendimento, la distribuzione degli studenti in piccoli gruppi?
ha consentito il consolidamento delle abilità attraverso l’orientamento ed il sostegno di “studenti esperti”, precedentemente formati nella corretta esecuzione delle tecniche di post-processing TC?
è stata agevolata dalla supervisione di “tutor d’aula”, la cui funzione è quella di rendere coerente l’apprendimento in ambiente simulato con ciò che si è chiamati ad effettuare nell’ambiente operativo di tirocinio pratico?
la strumentazione hardware e software (di tipo open source) messa a disposizione dalle strutture didattiche del corso di laurea è risultata rispondente alle procedure da effettuare?

Tab. 4 – Setting d’aula del Laboratorio Professionale

 

L’attività di Laboratorio Professionale:
ha consentito di trasmettere la “conoscenza diretta e specifica”?
ha favorito l’apprendimento “non contestuale” delle competenze professionali e la capacità di agire in un contesto organizzativo semplice?
ha aiutato a collegare ciò che lo studente vede con ciò che conosce, prova, sperimenta ed effettua nella pratica lavorativa
ha consentito di stimolare l’anticipazione della situazione complessa propria dell’ambiente lavorativo

Tab. 5 – Efficacia formativa del Laboratorio Professionale

 

Giudizio complessivo sull’esperienza svolta, relativamente a:
  • contenuti formativi ed abilità cognitive acquisite
  • accoglienza e metodologia di apprendimento
  • “supervisione” garantita
  • efficacia dell’attività formativa

Tab. 6 – Giudizio complessivo sull’esperienza svolta

 

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Conclusioni

Il Decreto Interministeriale del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con Il Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 19 febbraio 2009 ha posto importanti ed innovative basi all’attività formativa professionalizzate, riservando un ruolo importante all’attività di Laboratorio Professionale che si configura come un’attività didattica professionalizzante svolta in ambiente simulato e del tutto analoga per obiettivi e contenuti al Tirocinio Pratico rispetto al quale può essere anticipatoria o di approfondimento tecnico-metodologico.

Tale attività formativa, nell’ordinamento didattico del Corso di Laurea in TRMIR dell’Università Politecnica delle Marche è inquadrata nell’ambito del SSD MED/50 ed è quindi assegnata al personale specifico della professione di TSRM.

Il Laboratorio Professionale rappresenta uno strumento formativo fondamentale, in grado di mantenere nel tempo una puntuale e precisa coincidenza tra le funzioni che caratterizzano il profilo professionale del professionista di riferimento (TSRM) e gli obiettivi educativi del programma formativo del Corso di Laurea (TRMIR). Ciò si realizza sia attraverso una continua e costante modulazione dei contenuti dell’attività formativa, dai connotati essenzialmente pratici ma in grado di fornire importanti abilità cognitive agli studenti, sia usufruendo di specifiche professionalità presenti nelle Aziende Sanitarie (sedi di tirocinio del corso di studio), sia utilizzando sistemi applicativi di tipo Open Source in grado di far sperimentare agli studenti tecniche e metodologie di trattamento delle immagini radiologiche del tutto sovrapponibili a quelli utilizzati con sistemi proprietari nella pratica clinica.

Relativamente all’attività di Laboratorio Professionale di “Post-processing in Tomografia Computerizzata”, realizzata nel Corso di Laurea in TRMIR, è possibile affermare, anche sulla base dei risultati ottenuti dalla rilevazione sopra descritta, che tale attività formativa:

  • consente l’acquisizione di abilità cognitive sulle tecniche di Post-Processing largamente impiegate nella pratica clinica;
  • si configura come una continua e costante occasione di approfondimento di tematiche legate alla ICT (Information and Communication Technology) che sempre più caratterizza la moderna Diagnostica per Immagini;
  • rappresenta un vero e proprio “simulatore di volo” che incrementa le conoscenze e la confidenza operativa con le strumentazioni digitali, rendendo anche più efficaci le attività di tirocinio pratico svolte;
  • costituisce un validissimo strumento attraverso il quale consolidare le proprie conoscenze e future competenze professionali.

Bibliografia

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Valeri G., Mazza F.A., Maggi S., Aramini D., La Riccia L., Mazzoni G., Giovagnoni A. Open source in a practical approach for post processing of radiologic images. Radiol Med, Digital Object Identifier (DOI) 10.1007/s11547- 014-0437-5, pubblicato on line: 15 luglio 2014 (I.F.: 1,44).

Cita questo articolo

Mazzoni G., La Riccia L., Aramini  D., Damen B., Giovagnoni, A., Un’esperienza di laboratorio professionale condotta nel corso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia, Medicina e Chirurgia, 66: 2989-2993, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-5

La scheda di valutazione dell’esperienza di tirocinio: uno strumento di classe. Studio osservazionale nel CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, Università degli Studi di Milanon.65, 2015, pp.2942-2945, DOI: 10.4487/medchir2015-65-4

Abstract

After AVA-procedure becoming law, new systems to evaluate learning-process quality become obliged; however actually no attention is focused on clinical learning evaluation, especially as regard students perception, even though practical experience could be considered the core of students education.

Aim of this work was to create and test (period  2009/10-20012/13) a questionnaire (QVET) to evaluate students perception on their practical learning in Master Degree in Rehabilitative Health Professions.

Although students were generally satisfied, some critical situations, revealed by QVET, had been corrected during these years improving the whole process of plan-do-check the practical learning experience. QVET is a new useful instrument to improve making-decision process in practical-learning planning and it acts in keeping with AVA-procedure applications.

Articolo

Introduzione

Nella didattica universitaria, ai tradizionali sistemi di valutazione certificativa, si sono recentemente aggiunti nuovi modelli volti a misurare l’efficienza e l’efficacia della formazione, dell’organizzazione e l’impianto pedagogico al fine dell’accreditamento dei corsi di studio.

Tali modelli, introdotti con l’approvazione della legge n. 240 del 2010 e poi dal processo AVA dell’Anvur, attribuiscono maggiore valore e significato al parere espresso dagli studenti nei confronti dell’attività dei docenti e della didattica in generale mediante lo strumento dei questionari e incentivano l’implementazione di processi di valutazione e autovalutazione come misura e assicurazione della qualità.

All’Università degli Studi di Milano, oltre alla valutazione della ricerca (Ferrario, 2007) sono da tempo in essere sistemi di valutazione della didattica, recentemente adeguati alle linee guida promosse dall’ANVUR: sono stati individuati strumenti e indicatori che tengano conto di tutti gli aspetti collegati alla didattica, sia in termini di risorse (strumentali e spazi), sia di pianificazione e organizzazione dei corsi, soprattutto in termini di interazioni fra i diversi partecipanti al processo di formazione (studenti, docenti, personale di supporto).

In particolare nella Facoltà di Medicina i questionari per la valutazione della didattica sono stati introdotti in forma cartacea già dall’anno accademico 2000/01 e si compongono di due schede (rossa e bianca). La scheda rossa prevede 36 quesiti di cui 21 specificatamente dedicati alla valutazione del corso integrato; 14 sono quesiti anagrafici e 1 è di carattere informativo ed è relativo al rapporto tra crediti e carico di lavoro. I quesiti sono organizzati in cinque sezioni (insegnamento, docente, attività didattiche integrative -se previste nel corso-, carico di lavoro e dati anagrafici); lo studente può esprimere un’opinione con 4 possibili risposte (Decisamente NO; Più NO che SÌ; Più SÌ che NO e Decisamente SÌ). La scheda bianca prevede la possibilità di esprimere liberamente un’opinione relativamente ad aspetti positivi e negativi e suggerimenti. Dall’anno accademico 2011/12 le schede sono in formato elettronico, la valutazione della didattica è stata resa obbligatoria come vincolo per l’iscrizione on line agli esami curriculari ed estesa a tutti i corsi dell’Ateneo a seguito dell’obbligo di incentivare sistemi di valutazione e autovalutazione come misura e assicurazione della qualità.

Nel nostro Ateneo non sono tuttavia regolamentati sistemi per la valutazione dell’esperienza di tirocinio, nonostante esso sia fondamentale nelle Lauree sanitarie per il ruolo dell’attività e per il numero di crediti ad esso assegnati dal legislatore. Anche la letteratura documenta come sia fondamentale valutare la qualità degli ambienti di apprendimento (Tomietto et al, 2009; Brugnolli et al, 2011; Croxon et al, 2009; Kristofferzon et al, 2013).

Sono inoltre poche le esperienze di valutazione dell’esperienza di tirocinio documentate sia a livello locale dai singoli corsi (Trotta et al, 2005; Bernardelli et al, 2011) sia nazionale (Scalorbi et al, 2008; Costi et al, 2004).

Nel Corso di Laurea magistrale (CLM) in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie il tirocinio, svolto sotto la supervisione di un Tutor, ha lo scopo di avviare lo studente all’utilizzo di una metodologia progettuale nell’ambito gestionale, organizzativo, educativo, formativo e di ricerca nel settore e nella Classe. Si esplicita attraverso un progetto (PT) presentato annualmente dallo studente e approvato dal Coordinatore in un documento che riporta scopo, metodo, obiettivi e contenuti dell’attività scelta nell’ambito di una delle aree proprie del percorso magistrale. Il PT è personalizzato in quanto tiene conto del livello iniziale del discente, delle sue aspettative, dell’esperienza pregressa maturata, del background culturale e professionale (Bernardelli et al, 2013). I contenuti dell’attività svolta dovranno essere descritti in una relazione oggetto di discussione all’esame annuale.

Scopo e metodo

Lo scopo della nostra ricerca è stato quello di progettare un questionario per la valutazione dell’esperienza di tirocinio (QVET) da parte dello studente del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie quale strumento di misura dell’efficienza e dell’efficacia della formazione pratica, del modello organizzativo e dell’impianto pedagogico e trova ragione nella recente normativa che incentiva e promuove il potenziamento di un sistema di valutazione e autovalutazione.

Il questionario si compone di 41 domande ognuna delle quali prevede 4 possibili risposte con un punteggio compreso da 1 (decisamente NO), a 4 (decisamente SI). Gli ambiti indagati sono la presentazione da parte della sede ospitante e l’accoglienza; il ruolo del Tutor; l’attività di tirocinio e la valutazione. Prevede inoltre 1 domanda con risposta di tipo dicotomico (SI/NO) e 3 domande facoltative formulate con risposte aperte brevi per consentire un libero giudizio espresso in modo meno strutturato e una libera opinione, seppur soggettiva, circa gli aspetti positivi e negativi dell’esperienza vissuta. (Appendice 1). Abbiamo considerato come soddisfacenti le risposte 3 e 4 e la ricerca riporta i dati raccolti tra gli studenti del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie – Università degli Studi di Milano – nel periodo 2009/10–2012/13. La compilazione del QVET è obbligatoria dall’anno accademico 2010/11 per ciascuna esperienza di tirocinio.

Risultati

Riportiamo i dati più significativi che abbiamo osservato negli anni e che sono stati utili per la presa di decisioni nella progettazione, pianificazione e gestione del percorso formativo di tirocinio e del PT.

Nella sezione dedicata al Tutor, alla domanda “se ha chiare le competenze che lo studente della Laurea magistrale deve apprendere nel tirocinio e se ti ha guidato nella redazione della relazione finale”, anche se i giudizi sono sempre stati positivi, negli anni si è assistito ad un trend di miglioramento.

Probabilmente questo è dovuto al fatto che il Coordinatore ha cercato gradualmente un contatto sempre più diretto con le sedi e con i Tutor stessi, supervisionando e condividendo la stesura del progetto nei contenuti e nei metodi e il regolamento dell’attività. Inoltre le sedi accreditate negli anni sono cambiate e sono state escluse quelle non più rispondenti a specifici criteri di adeguatezza secondo gli obiettivi propri della magistrale (Tab. 1).

Relativamente alla compilazione della relazione, vi è un trend in miglioramento probabilmente dovuto al fatto che negli anni, con la modifica dell’Ordinamento e del piano di studi, agli studenti sono state date migliori opportunità per approfondire conoscenze e competenze teoriche e pratiche nell’ambito della metodologia della ricerca (Tab. 2).

Nella sezione dedicata al tirocinio, alla domanda “se l’organizzazione dell’attività ti ha permesso di migliorare le tue conoscenze e le tue competenze”, si è assistito ad un trend sempre più positivo, probabilmente dovuto al fatto che negli anni si è posta sempre maggiore attenzione nella scelta dei Tutor, nominati dal Coordinatore tra figure di elevata qualificazione professionale per curriculum e competenza e di riconosciuta esperienza per il ruolo e l’Ufficio, identificati anche tra i Ricercatori e i Professori di ruolo dell’Ateneo e tra ex studenti ora Dottori magistrali (Tabb. 3-4).

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Nella sezione dedicata al tirocinio, alla domanda “se l’attuale modello di tirocinio (progetto di tirocinio) è adeguato alla formazione dello studente”, si è assistito negli anni ad una sempre maggiore soddisfazione: questo predispone ad ipotizzare che il PT, definito esclusivamente di una delle tre aree specifiche della magistrale (ricerca, didattica e management) sia pertinente agli obiettivi del corso di studio (Tab. 5).

Dai dati emerge come la maggior parte degli studenti sia soddisfatta dell’esperienza vissuta (Tab. 6) e la consiglierebbe ad altri (Tab. 7). Probabilmente questo è dovuto anche al fatto che al I anno lo studente compila la scheda Entering Behaviuor che intende mapparlo per formazione di base e post base, per esperienza e vissuto professionale e personale e indagarne le aspettative rispetto al percorso intrapreso in modo da definire un PT il più possibile rispondente ai bisogni formativi del discente, quindi personalizzato ma rispondente agli obiettivi del core curriculum magistrale.

Discussione

Dai risultati sembra emergere l’adeguatezza del QVET quale strumento di valutazione dell’esperienza vissuta nel tirocinio, utile per la presa di decisioni relativamente alla progettazione e pianificazione dell’attività esplicitata nel PT in una delle tre aree specifiche del percorso magistrale (didattica, ricerca e management). Il questionario è stato adeguato anche per intervenire nei processi di definizione delle sedi scelte per le convenzioni e dei Tutor.

Come altri autori riteniamo infatti importante la valutazione della soddisfazione dello studente anche nella pratica e dell’impatto di strategie tutoriali nei differenti setting educativi (Maloney et al, 2013; Palese et al, 2008).

Il processo di verifica dell’offerta formativa degli Atenei da parte dell’ANVUR rappresenta un momento storico e non dovrebbe essere considerato unicamente come un obbligo di legge o un mero adempimento formale ma come un’opportunità per una valutazione critica dell’offerta formativa e di riflessione per un miglioramento che deve avere una ricaduta oggettiva sull’offerta formativa, così come il QVET.

Un questionario simile al QVET è in corso di sperimentazione in alcuni corsi di studio dell’area della Riabilitazione e i dati, seppur mostrando una generale soddisfazione rispetto all’esperienza vissuta, sembrano far emergere alcune criticità: variabilità organizzative tra sezioni didattiche di un unico Corso di studi, sensazione da parte degli studenti che gli Assistenti al tirocinio non siano pienamente a conoscenza degli obiettivi e che talvolta non vi sia integrazione tra attività teorica e pratica, la necessità di piani di formazione per i formatori e di incontri periodici tra coordinatori e referenti delle sedi in convenzione. Questi risultati ci sembrano indicativi per la presa di decisioni progettuali anche in questi corsi di studio e quindi possiamo considerare il QVET come uno strumento di Classe.

Conclusioni

In linea generale gli studenti del CLM in Scienze Riabilitative sembrano soddisfatti dell’esperienza vissuta, così come confermato anche da altri dati oggetto di una ricerca in corso che intende studiare le opportunità occupazionali dopo la Laurea magistrale: molti studenti infatti dal PT hanno avuto occasioni di up grading come contratti di stage presso Centri di ricerca (CNR), ammissione a corsi di Dottorato e ruoli apicali (coordinamento e dirigenza di Unità Operative e Aree riabilitative e Corsi di Studio).

La scheda di valutazione dell’esperienza di tirocinio per il Corso di Laurea magistrale in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie ci sembra uno strumento innovativo, poco documentano dalla letteratura italiana ed internazionale; trasversale, perché applicabile a tutti corsi; adeguato perchè rispondente ai principi del progetto AVA dell’Anvur; valido come strumento per la presa di decisioni nella progettazione e gestione del processo formativo di tirocinio e realizzabile, anche in considerazione del fatto che, in collaborazione con il Centro per la Tecnologia del nostro Ateneo, stiamo settando una versione on line.

Bibliografia

1) Bernardelli G, Tafuni G, Zanini A, Mari D, La valutazione dell’esperienza di tirocinio: una ricerca preliminare nel Corso di laurea in Fisioterapia Tutor, 11(1): 32-37, 2011

2) Bernardelli G, Vizzotto L, Mari D, Bernabè B, Filippini F, Moscheni C, Il portfolio. Studio preliminare dell’entering behaviour delle competenze, conoscenze e aspettative degli studenti del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie Med Chir. 59. 2637-2641, 2013

3) Brugnolli A., Perli S., Viviani D., Saiani L, Nursing students’ perceptions of tutorial strategies during clinical learning instruction: a descriptive study Nurse Educ Today, 31(2): 152-156, 2011

4) Costi S, Capitani S, Bedotti F, Proposta di un processo di valutazione longitudinale del gradimento espresso degli utenti del Corso di Laurea in Fisioterapia Tutor, 4(2-3): 108-120, 2004

Croxon L., Maginnis C, Evaluation of clinical teaching models for nursing practice Nurs Educ Pract, 9(4): 236-243, 2009

5) Ferrario V.F, Controllo di qualità nelle Facoltà di Medicina Med Chir. 40-41, 1720-1725, 2007

6) Kristofferzon M.L., Martensson G., Mamhidir A.G., Lofmark A, Nursing students’ perceptions of clinical supervision: The contributions of preceptors, head preceptors and clinical lecturers Nurse Educ Today, 33(10): 1252-1257, 2013

7) Maloney S., Storr M., Paynter S., Prue M., Ilic D, Investigating the efficacy of practical skill teaching: A pilot-study comparing three educational methods Health Sci Educ, 18(1): 71-80, 2013

8) Palese A., Saiani L., Brugnolli A., Regattin L, The impact of tutorial strategies on student nurses’ accuracy in diagnostic reasoning in different educational settings: A double pragmatic trial in Italy Int J Nurs Stud, 45 (9): 1285-1298, 2008

9) Scalorbi S, Burrai F, La qualità del tirocinio nel Corso di Laurea in Infermieristica. Indagine sulla soddisfazione degli studenti della Sezione Formativa Bologna 1 – Croce Rossa Italiana, Università degli Studi di Bologna Prof Inferm, 61(2):67-73, 2008

10) Tomietto M, Saiani L, Saarikoski M, Fabris S, Cunico L, Campagna V, Palese A, La valutazione della qualità degli ambienti di apprendimento clinico: studio di validazione del Clinical Learning Environment and Supervision (CLES) nel contesto italiano Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, Supplemento B, 31(3): B49-B55, 2009

11) Trotta L, Marzano V, Cofano R, Tortorano A.M, La valutazione del tirocinio professionalizzante: modelli teorici, schede di valutazione e di autovalutazione per gli studenti del Corso di Laurea in assistenza sanitaria: l’esperienza dell’Università degli Studi di Milano Tutor, 5(3): 139-150, 2005

Cita questo articolo

Mari D., Grasso C., Freddi A., Baratelli L.K., Bernardelli G., La scheda di valutazione dell’esperienza di tirocinio: uno strumento di classe. Studio osservazionale nel CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, Università degli Studi di Milano, Medicina e Chirurgia, 65: 2942-2945, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-65-4

Documento di indirizzo per la definizione dei programmi di insegnamento di Infermieristican.62, 2014, pp.2805-2810, DOI: 10.4487/medchir2014-62-5

Abstract

With the aim or reducing the variability across teaching programs and to ensure an homogeneous level of education at national level, the National Commitee of Bachelor Nursing Degrees identified a set of core  contents.One hundred-eleven core contents were selected through shared  criteria and then based on a broad shared consensus a national guideline for developing nursing programs was developed.

Articolo

Introduzione

La Commissione Nazionale dei corsi di Laurea in Infermieristica ha istituito un gruppo di lavoro coordinato da Anna Brugnolli, Alvisa Palese e Oliva Marognolli per elaborare linee di indirizzo per la costruzione dei  programmi di infermieristica.  Il documento è stato discusso e approvato il 12 settembre 2013 a Portonovo.

Disegnare programmi infermieristici che riflettano la pratica infermieristica contemporanea e in grado di fornire contenuti essenziali senza sovraccaricare il curriculum, è una delle sfide più attuali. Oggi, più di un tempo, è necessario preparare neo-laureati con una profonda comprensione delle problematiche prioritarie di salute in particolare associate all’incremento della longevità, della cronicità, degli effetti sulla salute delle disuguaglianze e delle nuove “povertà”, nonché delle esigenze di de-ospedalizzazione. Gli infermieri devono essere preparati per lavorare in ambienti sanitari e/o socio-sanitari complessi e in condizioni di carenza cronica di personale, in cui sono richieste abilità interdisciplinari, leadership e capacità di partecipazione alle scelte attraverso il pensiero critico (Dimonte, 2012)1.

Per questa ragione, è quanto mai urgente riflettere sui programmi di infermieristica e sui contenuti essenziali che devono esprimere, assicurando una preparazione omogenea a livello nazionale basata su un ‘minimum core content’. La principale finalità del gruppo di lavoro era, pertanto, l’elaborazione di una guida di indirizzo operativa ai Corsi di Laurea (CdL) per l’elaborazione dei programmi di infermieristica.

Materiali e Metodi

Il gruppo di lavoro ha elaborato attraverso una analisi di documenti nazionali e internazionali sui programmi di infermieristica i criteri  guida necessari per scegliere i contenuti core.

Il minimum core content (ovvero il set di contenuti essenziali dei programmi di infermieristica) è stato definito attraverso un processo basato su alcune riflessioni metodologiche preliminari:

– Recuperare la storia: quali sono stati gli organizzatori curricolari dei contenuti con cui il Paese si è confrontato? Storicamente nella formazione infermieristica i contenitori tradizionali sono stati i “contesti di cura” (il paziente in rianimazione), le “patologie” o i “quadri clinici”  (il paziente con scompenso), oppure i segni/sintomi (dispnea, ipossia, disidratazione). In molti CdL sono stati utilizzati anche i problemi prioritari di salute, ovvero macro-contenitori che hanno orientato e guidato le scelte formative per assicurare all’infermieristica una congruenza con la rilevanza sociale di alcuni problemi.

– Valorizzare la prospettiva europea: quali sono le indicazioni europee rispetto ai piani di studio infermieristici? Negli ultimi anni è stata prioritaria in Italia l’attenzione a integrare contenuti, competenze e learning outcome. I risultati di apprendimento (learning outcomes) consistono in dichiarazioni di ciò che ci si aspetta lo studente debba conoscere, comprendere ed essere in grado di dimostrare alla fine del processo di apprendimento; le competenze rappresentano, invece, una combinazione dinamica di attributi cognitivi e metacognitivi relativi alla conoscenza e alle sue applicazioni nella pratica professionale. Nell’ambito del progetto europeo attivato con il Processo di Bologna è stato elaborato il modello Tuning che costituisce una piattaforma utile allo sviluppo di varie aree disciplinari in termini di risultati di apprendimento (learning outcome) e di competenze. Uno dei gruppi più attivi è stato quello infermieristico, coordinato da Mary Gobbi, docente presso l’Università di Southampton (UK), che ha partecipato alla stesura del documento “A Tuning guide to formulating degree programme profiles” e all’identificazione di 40 core competences infermieristiche, che sono anche in corso di validazione a livello italiano. Un primo documento è stato pubblicato dalla Federazione IPASVI nel 2012 (Venturini et al., 2012)2. Parallelamente, all’interno della Commissione Nazionale Infermieristica della Conferenza Permanente delle Professioni Sanitarie, si è costituito un gruppo di lavoro che ha elaborato con un processo di consenso un profilo di competenze esito della formazione infermieristica per orientare gli esami di abilitazione e rispondere alle esigenze emergenti (Palese et al., 2007)3.  Sviluppare materiali che valorizzino i lavori già realizzati e integrino la prospettiva Italiana con quella europea, è una priorità.

-Allineare e armonizzare i contenuti con altri aspetti del processo formativo che sono oggetto di altri gruppi di lavoro nell’ambito della Commissione Nazionale. Tra questi, ricordiamo lo sforzo realizzato con il ‘Progress test’. Pertanto, il gruppo di lavoro ha valorizzato i contenuti individuati con la metodologia del blue-print dal gruppo “Elaborazione Progress test” costituitosi all’interno della Commissione Nazionale dei CdL nel 2012 per la costruzione delle domande del Progress test.

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Individuazione del set minimo di contenuti

Il gruppo di lavoro ha pertanto elaborato un primo profilo di 111 contenuti e 37 abilità da apprendere nei  laboratori considerati essenziali sulla base dei seguenti criteri guida:

1. problemi o “focus” delle cure infermieristiche: sono stati individuati nella promozione della salute, nella gestione delle malattie croniche, nei problemi legati all’invecchiamento, nella criticità vitale e nelle cure fine vita, individuati in base alla rilevanza e priorità epidemiologica, ai bisogni sanitari e di salute maggiormente incontrati dagli infermieri, ma anche alla rappresentazione dei bisogni della popolazione assistita (necessità che il paziente ‘sente’ come necessarie, ad es. continuità per la terapia nelle condizioni di cronicità);

2. contenuti che affrontano situazioni esemplari dal punto di vista assistenziale in quanto  contribuiscono allo sviluppo delle competenze esito: sono state valorizzate le prospettive inerenti le logiche e i percorsi assistenziali, alcuni principi assistenziali come la sicurezza, la pratica etica, il lavoro in team, l’abilità di comunicazione-relazione,  l’evidence based practice e principi di caring;

3. principi pedagogici: si è ipotizzata l’esigenza di superare un approccio eccessivamente contenutistico attraverso la selezione di situazioni essenziali ed esemplari che permettano l’acquisizione del “come” apprendere e affrontare una situazione assistenziale. Ovvero, privilegiare situazioni che permettono allo studente di sviluppare capacità di auto-apprendimento e abilità trasferibili anche ad altre situazioni che incontrerà in futuro.

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Risultati

Raccolta di  un primo consenso

Con la finalità di avviare un consenso preliminare sulla prima lista di contenuti essenziali emersi, è stato trasmesso un questionario elettronico a tutti i Coordinatori della Didattica professionale dei CdL in Infermieristica (n = 216). Sono stati raccolti dopo tre settimane 146 questionari.

Il questionario raccoglieva anche alcune indicazioni sulla complessità dei CdL coinvolti. Come emerge dalla Tabella 1, hanno risposto prevalentemente docenti di infermieristica.

I 146 rispondenti al questionario afferivano a CdL in Infermieristica che mediamente includevano 20 docenti (media 19.5; Ds 12.68 IC 95%: 17.4-21.6). La loro localizzazione era prevalentemente al Nord (n = 117; 80.1%), ma discreta è stata anche la rappresentanza di CDL localizzati al Sud (n = 11; 7.5).

Infine, il questionario indagava il grado di congruenza dei contenuti proposti rispetto ai programmi effettivi, già in uso, nei CdL: sulla base delle risposte ottenute, l’80% dei contenuti erano già presenti nei programmi approvati nel proprio CdL (in media il 95% dei rispondenti dichiara un’aderenza del 78-82%) (Tab. 2).

La maggior parte dei 111 contenuti essenziali inclusi nel questionario sono stati considerati irrinunciabili: 93 contenuti, infatti, sono stati considerati “irrinunciabili” da > 90% dei rispondenti.

Le tabelle 3a e 3b illustrano i set di  contenuti  che hanno ottenuto maggiore o minore consenso.

Tuttavia, come emerge da queste tabelle, su alcune questioni vi è stato circa il 20% di “non consenso”. La sorveglianza notturna ha ottenuto il maggiore dissenso, come pure gli aspetti inerenti il decesso, la cura del paziente con apparecchio gessato, la predisposizione della distribuzione della terapia, la gestione di pazienti con alcune problematiche (es. pancreatico, sostituzione valvolare/bypass coronarico, e declino cognitivo con reazioni aggressive). Su alcuni aspetti di “non consenso”, sono state attivate delle discussioni ad hoc dal gruppo di lavoro.  L’assistenza notturna è l’area più nuova considerata, tuttavia, un’area rilevante per l’azione di “sorveglianza” agita dall’infermiere. Probabilmente il tirocinio degli studenti si realizza prevalentemente nelle fasce orarie diurne poiché più ricche di opportunità di apprendimento o perché si ritiene che durante la notte siano declinate le stesse competenze agite durante il giorno. Tuttavia, durante la notte alcuni pazienti hanno maggiore rischio (ad esempio quelli con problemi cardiovascolari) e gli infermieri devono saper prendere decisioni da soli; non da ultimo, di notte la decisione clinica è basata su dati e segnali diversi rispetto a quelli diurni es provenienti dal rumore del respiro, movimento del paziente durante il sonno.

Anche i 37 laboratori hanno ottenuto mediamente elevato consenso: come emerge dalla tabella 4, alcuni hanno tuttavia ottenuto un minor consenso probabilmente perché alcune skills non invasive (es. mettere delle calze antitrombo) sono insegnate ed acquisite al letto del paziente.

Elaborazione di una proposta di contenuti essenziali

Da questi risultati, dai suggerimenti e osservazioni emerse, è stata individuata una prima lista dei 111 “minimun core content” (Tabb. 3a e 3b) e una sintesi di 15 laboratori (Tab. 4).

Questo secondo set di contenuti è stato integrato con le competenze e learning outcome del progetto Tuning (Venturini et al., 2012) per facilitare la creazione dei programi di infermieristica e la visualizzazione di come questi possano contribuire allo sviluppo di competenze incluse nel Tuning.

Il Gruppo di Lavoro ha, inoltre, deciso di effettuare un successivo round di consenso che si è svolto nell’Assemblea della Commissione Nazionale il 12 settembre 2013 e nella quale sono state dibattute le scelte e apportati cambiamenti. Le raccomandazioni emerse, i contenuti minimi e il set di laboratori irrinunciabili sono stati approvati così come contenuti nel presente documento. L’assemblea inoltre propone di dare al documento ampia diffusione non solo ai CdL ma anche ai direttori dei servizi infermieristici affinché siano noti i contenuti della preparazione offerta agli studenti di infermieristica. L’assemblea, infine, si impegna a rivalutare la qualità dei contenuti del presente documento e i laboratori identificati con periodicità triennale.

Conclusioni

Raccomandazioni per lo sviluppo dei programmi di infermieristica

Nella progettazione e gestione in aula dei programmi di infermieristica si raccomanda di

– sviluppare un approccio ai programmi che consideri l’integrazione orizzontale e verticale sia con le altre infermieristiche sia con discipline cliniche e non cliniche al fine di ridurre le ridondanze e aumentare la preparazione degli studenti;

– individuare contenuti che esprimano gli effetti delle cure infermieristiche sui pazienti laddove possibile;

esplorare i seguenti focus:

• da pazienti ricoverati/in fase acuta verso un’assistenza mirata alla cronicità e alla comunità;

• un approccio che considera l’evoluzione e complessità dei problemi del paziente e della famiglia lungo un continnum del problema di salute rispetto al contesto;

• richiesta di interventi assistenziali efficaci, utili e vicini alla pratica – trasferibili;

• esigenza di ridurre sprechi e sviluppare una attenzione alle risorse, analizzando come si può dare una buona assistenza senza incrementare i costi («best care at lower cost» );

• gli effetti  sulla salute delle disuguaglianze e della“povertà”;

• la rapida crescita delle tecnologie dell’informazione sia nell’educazione sia nella modalità di erogare l’assistenza;

• richiesta di imprenditorialità come negoziare, cercare lavoro, scrivere un curriculum, per sviluppare nel neo-laureato abilità di ricercare ed ambientarsi nel mondo del lavoro;

– superare la convinzione che il programma deve affrontare e trasmettere tutti i contenuti infermieristici: la conoscenza è sempre più complessa ed evolve – si modifica rapidamente;

– ridurre in aula l’enfasi alle procedure infermieristiche (es. come medicare una lesione, come applicare un catetere vescicale,..) per valorizzarle nelle attività di laboratorio anche con uso di video autogestito dagli studenti;

– definire per ciascun programma le varie componenti della didattica: impegno di ore di lezione, di attività didattica guidata dal docente come lavoro di gruppo, esercitazione,  studio guidato  e attività di studio individuale;

– utilizzare metodologie didattiche che sviluppino capacità di valutare più piste d’azione, abilità di presa di decisione, problem-solving, ragionamento clinico e attenzione ai risultati dell’assistenza;

– offrire agli studenti libri di testo e non slides o fotocopie al fine di aiutarli a costruire una conoscenza solida su materiali stabili e sistematici;

– rivalutare i programmi di Infermieristica, la loro progettazione, gestione e le risorse a supporto almeno ogni due anni al fine di assicurarne aggiornamento, revisione, continuo adattamento ai cambiamenti delle priorità;

– fornire strumenti affinché i neo-laureati sviluppino capacità di auto-valutazione della obsolescenza o attualità delle proprie conoscenze, di ricerca e apprendimento continuo.

Nella versione online della rivista (www.presidenti-medicina.it) è riportato l’elenco completo dei contenuti core e un esempio di programma di infermieristica basato sul framework del Supplement Diploma.

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Proposta di “minimun core content” per costruire i programmi di insegnamento del Corso di Laurea in Infermieristica

I contenuti sono  correlati con le competenze del progetto Tuning

(legenda: X forte contributo * contributo indiretto)

COMPETENZE SPECIFICHE (TUNING)

DIMENSIONI E CONTENUTI ESSENZIALI

Associate ai valori professionali e al ruolo dell’infermiere

Associate alla pratica infermieristica e al processo decisionale clinico

Associate all’uso appropriato di interventi, attività e abilità infermieristiche finalizzate a fornire un’assistenza ottimale

Conoscenze e competenze cognitive

Comunicative e interpersonali incluse le tecnologie per la comunicazione

Leadership, management e gestione delle dinamiche di gruppo

Dimensione: Cure assistenziali primarie  e di sorveglianza            
Valutazione, misurazione  e gestione del dolore acuto e cronico, nella persona non comunicante o con deficit cognitivo, barriere linguistiche e culturali (straniero/incomprensione linguistica/altra cultura, afasia).

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Valutazione della funzione intestinale: prevenzione e  cure infermieristiche per la stipsi e diarrea acuta e  cronica (adulto – anziano, da farmaci..).

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Riposo-sonno e disturbi del sonno.

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Sorveglianza e responsabilità nell’assistenza notturna;  problemi che più facilmente si manifestano durante la notte e peculiarità dell’osservazione -raccolta dati durante la notte.

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La cura del corpo e cura di sé. Attività assistenziali di cura del corpo: la detersione e i principi guida; Attività e ausili di igiene e cura del corpo  al lavandino e  letto.  Igiene orale e dei denti/occhi.

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Valutazione dello stato nutrizionale e principi di una sana alimentazione e idratazione.

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Assistenza al pasto: identificazione e decisione di interventi per paziente con malnutrizione in eccesso e in difetto (obesità, cachessia).

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Valutazione e gestione  della disfagia/prevenzione e gestione ab-ingestis.

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Prevenzione e gestione delle infezioni del tratto urinario (es cistite) e infezioni catetere correlate.

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La nutrizione tramite Ne e PEG; modalità di gestione e prevenzione complicanze.

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Valutazione e gestione della ritenzione e incontinenza urinaria urinaria cronica e acuta.

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Valutazione della funzione respiratoria. Manifestazione e gestione delle principali alterazioni: dispnea acuta e cronica, ortopnea, respiri patologici, ipossia, stasi secrezioni, tosse, ostruzione/stasi bronchiale.

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Valutazione della mobilità e esercizio fisico. Valutazione e cure assistenziali  tollerenza/intolleranza all’esercizio fisico. Effetti della sedentarietà sulla salute . La gestione asssitenziale e uso di ausili nelle difficoltà motorie   Presidi e ausili per la deambulazione e posizionamento.

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Concetto di sindrome da immobilizzazione o sindrome ipocinetica: conseguenze psico-sociali (impatto su paziente/famiglia/care-giver) e fisiche dell’immobilità e interventi di prevenzione e trattamento contratture, TVP, ipotensione ortostatica, stasi polmonare, osteoporosi.

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Prevenzione e gestione delle lesioni cutanee da pressione: fattori di riscchio e pato meccanici, scale di valutazione del rischio, ausili e interventi preventivi, stadiazione della lesione e decisioni di trattamento.

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Valutazione, prevenzione e trattamento alla persona con disturbo della termoregolazione: iperpiressia, ipertermia e ipotermia.

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La misurazione e interpretazione dei segni vitali (coscienza,  Fc, PA, FR, pulsossimetria e TC): modalità e criteri per stabilire la  frequenza  di misurazione, fattori/interferenze che influenzano l’accuratezza del dato, valori di normalità e indicatori di instabilità o criticità.

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Il decesso e la cura del corpo/salma: sostegno dei familiari, la cura del corpo dopo il decesso, procedura di cura della salma  a domicilio e in strutture sanitarie.

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Dimensione: Sicurezza cure infermieristico gestire regimi terapeutici -assistenziali  e ambiente            
Precauzioni standard:  Igiene delle  mani, sistema barriera e dispositivi di protezione individuale. 

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Precauzioni aggiuntive per contatto, per la trasmissione per via aerea, droplet, e contatto: sistemi barriera e DPI, collocazione del paziente, educazione paziente e familiari.

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Corretto utilizzo dei dispositivi di protezione aggiuntiva: maschere FFP2-FFP3.- Igiene respiratoria/cough etiquette.

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Classificazione dei presidi in  critico, semicritico e non critico e loro trattamento (decontaminazione, detersione, disinfezione, sterilizzazione).

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Lo smaltimento delle diverse tipologie di  rifiuti, gestione della biancheria, principi e criteri di igiene ambientale.

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Principi ergonomici nel fornire assistenza   (dispositivi/presidi) e nella movimentazione dei pazienti. Prevenzione delle lombalgie.

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Fattori di rischio, prevenzione e gestione delle cadute.

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Caratteristiche e principi di sicurezza dell’intero processo della terapia: dalla fase di prescrizione alla fase di monitoraggio degli effetti attesi. I sistemi di distribuzione e conservazione dei farmaci.

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Praparazione e somministrazione sicura dei farmaci per via orale, parenterale, sangue:  uso delle  7 o 9 G,  gestione farmaci a basso indice terapeutico e ad alto livello di attenzione (LASA), fonti di informazione.

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Effettuare i calcoli di farmaci: calcolo dosaggio ( trasformazioni, diluizioni, mcg, mg, gr …)  e velocità  gtt /ml orario e tempi di infusione terapia infusionale.

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Terapia orale e alimenti: assunzione a stomaco pieno e vuoto e  gestione farmaci  nel  pre-postoperatorio ed durante esami diagnostici, interazioni tra farmaci e tra farmaci ed alimenti, frantumazione e polverizzazione dei farmaci.

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Decisione sulla distribuzione oraria giornaliera di un piano di trattamento considerando intervalli tra farmaci, relazione farmaco/pasto.

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Terapia s/c i/m e ipodermoclisi: tipologia e caratteritiche delle sedi; quantità,  farmaci e soluzioni infusionali più frequenti, prevenzione complicanze locali.  L’idratazione tramite ipodermoclisi.

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Terapia e/v e infusionale: criteri di scelta della via intravenosa,  tipologia e caratteritiche dei farmaci e soluzioni infusionali più frequenti, prevenzione e trattamento delle complicanze correlate alla terapia infusionale: sovraccarico, stravaso (accenno anche chemioterapici), flebite chimica e infettiva, infiltrazione, occlusione), scelta di dispositivi appropriati di controllo velocità infusionale.

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Gestione cateteri vascolari periferici, PICC e centrali.

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Farmacosorveglianza dei principali farmaci: diuretici come la furosemide, beta bloccanti, ACE inibitori, Levo- dopa, FANS, Oppiodi,  Antiaggregante (ASA), Anticoagulanti orali (acenocumarolo/warfarin), psico-farmaci.

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Soluzioni e modalità di somministrazione  per nutrizione parenterale periferica ed centrale (NPT) monitoraggio e prevenzione delle principali complicanze.

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Gestione assistenziale della persona con  nutrizione enterale tramite SNG o PEG: miscele nutritive, modalità e tempi di somministrazione, prevenzione complicanze, posizionamento.

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Principi della venipuntura e puntura arteriosa. Riconoscere valori ematici alterati: globuli bianchi e rossi, HCT, Hb, ematocrito,  valori del K, Na, INR, creatinina, clearence creatinina, piastrine, azotemia, Hb glicata, pH, pO2, pCO2.

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Preparazione ed assistenza post-esame strumentali/diagnostici alla persona colonscopia e broncoscopia o con mezzi di contrasto – ripresa della alimentazione dopo gastroscopia, , procedure invasive (toracentesi, paracentesi, rachicentesi, biopsie – es. epatica).

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Dimensione: La persona con problemi  cronici            
Le reazioni del paziente  e della famiglia alla malattia cronica ed alla sua cronicizzazione e le strategie di supporto.

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Modello di approccio alla cronicità.

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sotto dimensione:   problemi cardio – respiratori            
Assistere ed educare la persona con scompenso cardiaco cronico/stabilizzato per promuovere l’auto-cura:  monitoraggio dei sintomi e dei segni di instabilità, dieta-idratazione, attività fisica ed esercizio, assunzione  e vigilanza trattamento farmacologico, prevenzione instabilità. La gestione assistenziale (sorveglianza e cure assistenziali) dell’instabilità clinica e edema polmonare.

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Bilancio idrico, parametri del bilancio dei liquidi  standard e significato, disequilibrio dei liquidi, eccesso e difetto di volume e  maldistribuzione.

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La valutazione e gestione assistenziale del dolore toracico e IMA,  vigilanza e cure assistenziali della fase acuta e durante angioplastica o trattamento antitrombotico. Assistere ed educare la persona con Sindrome coronarica acuta – Angina, post-infartuato   per promuovere l’auto-cura:  monitoraggio dei sintomi e dei segni di instabilizzazione, dieta,  riabilitazione e  tolleranza esercizio, assunzione  e vigilanza trattamento farmacologico, prevenzione instabilità,   auto-controllo dei segni/sintomi e stile di vita.

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Educare il paziente in terapia con anticoagulanti orali.

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Assistere ed educare la persona con BPCO  stabilizzato per promuovere l’auto-cura:  monitoraggio dei sintomi e dei segni di instabilizzazione, dieta-idratazione,  tolleranza esercizio fisico e ginnastica respiratoria, assunzione  e vigilanza trattamento farmacologico (terapia inalatoria, puff) , prevenzione instabilità. La gestione assistenziale dell’insufficienza respiratoria acuta.

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Assistere ed educare la persona con ossigenoterpia a lungo termine  e supporto ventilatorio non invasivo a lungo termine,   Bi-PAP, C-PAP, nasal C-PAP.

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Assistere la persona con asma: indicatori di gravità e cure in fase di crisi, autogestione farmaci, riduzione allergeni (ambiente),  affrontare una situazione acuta, riconoscimento dei segni di riacutizzazione.

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sottodimensione: problemi oncoematologici            
La gestione dei sintomi della persona con malattia oncologica in corso di trattamento chemio-radioterapico e in fase avanzata e/o  fine vita: mucosite, radiodermite, alopecia, dispnea, fatigue, neutropenia e neutropenia febbrile, piastrinopenia, nausea e vomito, cachessia, anoressia, xerostomia, disgesua, astenia e fatica cronica e strategie di miglioramento della qualità di vita.

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La nutrizione nel paziente neoplastico e chemiotrattato e la valutazione/gestione della cachessia neoplastica.

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Reazioni e paure del morente e della famiglia e accompagnamento del paziente dei famigliari.

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L’accompagnamento di fine vita, i contetsi di presa in carico (cure palliative), e l’accompagnamento nella elaborazione del lutto.

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sottodimensione: problemi metabolici            
La gestione assistenziale ed educativa dell’ipoglicemia, iperglicemia, coma chetoacidosico.

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La prevenzione e il trattamento  del piede diabetico e delle ulcere croniche.

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Educare la persona all’autocontrollo e all’autogestione dei regimi terapeutici per la cura del diabete attività fisica, dieta, terapia insulinica e ipoglicemizzante orale.

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sottodimensione: problemi gastro-intestinali            
Assistere la persona affetta cirrosi epatica  alterazione della coscienza da  encefalopatia, ascite, contenuti educativi rispetto a dieta, auto-controllo dei segni/sintomi.

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Sorveglianza e gestione del sanguinamento delle vie digestive e monitoraggio, ripresa  alimentazione  post-trattamento endoscopico.

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Assistenza ed educazione alla persona con pancreatite.

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sottodimensione: problemi neurologici            
Valutazione , misurazione e gestione del deficit di memoria, di linguaggio, di percezione, stato confusionale e delirium e agitazione, comportamento aggressivo.

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Reazioni aggressive  della persona con declino cognitivo da bisogno non soddisfatto e durante le cure assistenziali.

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Valutazione, prevenzione e gestione dello stato confusionale o delirium nell’anziano, post-operatorio o di origine metabolica.

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Aspetti  assistenziali ed educativi ad una persona affetta da ictus: sorveglianza delle prime 24 ore e fase postacuta , esiti  aspetti riabilitativi della persona con emiplegia.

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Peculiarità assistenziali della persona affetta da Parkinson e demenza.

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dimensione: Problematiche assistenziali della persona sottoposta ad  intervento chirurgico            
Lo stress chirurgico e conseguenze sul decorso chirurgico.

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Le incisioni chirurgiche: strutture anatomiche coinvolte, definizioni e denominazione, motivo della scelta del sito di incisione, il  processo fisiologico di guarigione della ferita chirurgica.

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Informazione pre-operatoria ed effetti sui sintomi e decorso peri-operatorio..

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Valutazione clinica preoperatoria del rischio chirurgico e infettivo.

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Preparazione infermieristica all’intervento chirurgico: cute, igiene cavo orale, preparazione intestinale, alimentazione; principali interventi per prevenire le complicanze tromboemboliche, profilassi antibiotica e rischio “infettivo” chirurgico. Strategie per assicurare attenzioni allo spazio e all’intimità del paziente.

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Sorveglianza postoperatoria: monitoraggio, controllo ferita e drenaggi, ipotermia, complicanze da posizionamento in sala, , ipotensione, ritenzione urinaria, dolore, nausea e vomito,Gestione dei fluidi e/v e per os nel postoperatorio

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Interventi educativo-assistenziali finalizzati a facilitare il recupero della mobilità  post-operatoria, ripresa peristalsi-ileus (fisiologico e patologico), ripresa rialimentazione,  ridurre la fatica e convalescenza postoperatoria.

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Bisogno educativo-informativi della persona sottoposta ad intervento chirurgico in regime di ricovero o day surgery: alimentazione,ferita e medicazione, doccia, ,rimozione dei punti, controlli post-operatori, convalescenza e fatigue, ripresa del attività lavorativa

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Approccio assistenziale educativo e riabilitativo al paziente sottoposto ad intervento di sostituzione valvolare e by pass aorto-coronarico.

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Peculiarità assistenziali ed educative nei  pazienti affetti dai principali problemi chirurgici: intervento sul colon, mastectomia,  gastrectomia, lobectomia/pneumectomia,  esofago, pancreas.

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Effetti sul paziente, sull’assistenza e sui suoi bisogni educativi alla dimissione di modelli organizzativi chirurgici (day e week surgery), approcci chirurgici mini-invasivi (laparoscopica e con uso di tecnologia robotica) e della metodologia  fast-track surgery.

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Peculiarità assistenziali e riabilitative del persona sottoposta ad intervento di protesi d’anca e con frattura di femore.

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Assistere ed educare la persona con arto immobilizzato da apparecchio gessato.

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Gestione e educazione paziente con stomia (colon/urostomia).

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Problematiche assistenziali in situazione di criticità            
Triage: principi, criteri e codici per definire le priorità in emergenza e valutazione primaria e secondaria del paziente in emergenza.

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Indicatori di instabilità -recupero stabilità del paziente critico o instabile (vari contesti assistenziali).

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La vigilanza e il monitoraggio non cruento del paziente con instabilità neurologica e cardio-respiratoria: monitoraggio gestione  respiratoria (NIMV e invasiva), sorveglianza e risposta ai trattamenti e/v   complessi  (amine, sorveglianza effetti attesi , controllo effetti indesiderati, interazioni), valutazione della funzione neurologica.

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Approccio nutrizionale al paziente critico/instabile.

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Assistenza al paziente con tracheostomia: cura stoma e tecniche di comunicazione.

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Bisogni della famiglia e  principi di caring (intimità e nudità, tocco, …),adattamento del paziente; gestione del ricordo (gravità della situazione clinica  e/o permanenza in terapia intensiva)

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Modificazioni emodinamiche legate agli interventi di cura e di assistenza ( durante il posizionamento, cura del corpo,..).

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Approccio al paziente poli-traumatizzato e triage:  ABCDE  con particolare attenzione alla gestione vie aeree, immobilizzazione e trasporto.

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Arresto cardio – circolatorio e BLD.

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Situazioni di primo intervento: paziente  ustionato,  annegato, puntura di vipera o insetti, frattura esposta, sincope, crisi convulsiva indipendentemente dalla causa,  ferite e le manovre di  tamponamento dell’emorragia esterna.

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Modalità di attivazione di un sistema di soccorso extra – intraospedaliero e catena della sopravvivenza.

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Dimensione: Metodologie assistenziali, educative, relazionali , EBP e organizzative            
Il metodo clinico: rilevanza e tappe.

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La comunicazione e il processo comunicativo, forme di comunicazione verbale, paraverbale, non verbale.

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I principi di una buona relazione assistenziale: accettazione incondizionata, congruenza, empatia e giusta distanza.

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La relazione di cura: stili e tecniche che facilitano il colloquio, che sviluppano la fiducia del paziente; utilizzo dell’agenda del paziente.

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La relazione professionale ed interprofessionale tra pari, relazioni di potere all’interno del team.

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Informare, educare e istruire il paziente e la famiglia: effetto terapeutico dell’educazione sulla  motivazione e capacità di apprendimento, autoefficacia. Destinatari degli interventi educativi.

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Le fasi per progettare un intervento educativo strutturato per il paziente e famiglia/caregiver.

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Leggere e comprendere gli articoli scientifici  di interesse infermieristico relativi a studi primari e secondari.

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Caratteristiche delle Linee Guida, sistema Grade e trasferimento delle raccomadazioni nella pratica assistenziale.

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Tappe e abilità richieste per una pratica basata sulle evidenze.

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Dimensione: Organizzazione dell’assistenza e continuità            
Criteri di organizzazione  delle cure infermieristiche: priorità assistenziali, modalità di classificazione dei pazienti, gestione del tempo e il turno.

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Modelli assistenziali di erogazione delle cure infermieristiche in contesti ospedalieri e di comunità/distrettuali.

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Criteri e modalità per attribuire attività assistenziali e supervisionare  gli operatori di  supporto.

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La documentazione delle cure assistenziali standard e criteri della documentazione

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Trasmissione delle informazioni per garantire continuità e trasferire la responsabilità dei pazienti: standard di una buona consegna, modalità di trasmissione.

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La qualità dell’assistenza infermieristica: indicatori di qualità e standard.

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Servizi che garantiscono la continuità assistenziale: cure intermedie, RSA, Assistenza domiciliari integrata.

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Gestione dell’assistenza infermieristica domiciliare nel rapporto con la famiglia: valutazione delle risorse famigliari e scelta del care-giver di riferimento.

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Dimissione pianificata: criteri e strumenti per la valutazione dei pazienti che hanno bisogno di una dimissione pianificata; processo e fasi della dimissione pianificata, criteri di eleggibilità della famiglia.

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Responsabilità  professionali – deontologiche – etiche            
Confidenzialità e privacy, segreto professionale e d’ufficio,  contenzione, uso del placebo, gestione dell’errore/malpractice, privacy e segreto professionale e d’ufficio, informazione e consenso alle cure.

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Caring infermieristico e i principi di caring: presenza, dare comfort, vigilanza, intimità e tocco,  favorire l’autodeterminazione, sostenere l’autocura, rispettare le diversità culturali.

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La salute e i fattori determinanti della salute e la malattia e impatto sulla persona/famiglia, le reazioni della famiglia alla malattia.

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La professione e le funzioni dell’infermiere in Italia, sbocchi professionali.

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Codice deontologico e principi etici della professione e di responsabilità professionale (amministrativa, civile, deontologica e penale).

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Proposta di abilità da apprendere nei  laboratori di infermieristica 

Legenda: X forte contributo;  * contributo indiretto

COMPETENZE SPECIFICHE (TUNING)

ABILITA’  OPERATIVE

Associate ai valori professionali e al ruolo dell’infermiere

Associate alla pratica infermieristica e al processo decisionale clinico

Associate all’uso appropriato di interventi, attività e abilità infermieristiche finalizzate a fornire un’assistenza ottimale

Conoscenze e competenze cognitive

Comunicative e interpersonali incluse le tecnologie per la comunicazione

Leadership, management e gestione delle dinamiche di gruppo

Effettuare l’esame obiettivo, rilevare segni vitali (FC perif e centrale), PA, FR, TC e pulsossimetria) e condurre un intervista.

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Le prese e tecniche di posizionamento , tocco, – deambulazione – trasferimento della persona e uso di ausili a supporto delle ADL e deambulazione ( deambulatore, bastone, tripode) o trasferimento (sollevatore, roller,..).

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La gestione dell’ossigenoterapia/aerosolterapia.

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Gestione del drenaggio toracico.

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Medicazione di una lesione:  vascolare cronica e/o da decubito.

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Tecniche di primo soccorso: BLSd,  tamponamento ferita, posizione sicurezza, manivra di Heimlich, immobilizzazione con o senza presidi, estricazione e rimozione casco.

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Prelievo venoso, capillare, arterioso e inserzione ago-cannula.

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Somministrazione di farmaci per via iniettiva: diluizione e aspirazione, riconoscimento sedi e  tecnica iniettiva per via intramuscolare, sottocutanea (penne), intradermica.

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Predisposizione di una soluzione infusionale  ed utilizzo set a caduta, pompe volumetriche e pompe siringa.

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Tecniche e modalità educative applicate all’ auto- gestione di un trattamento cronico farmacologico, gestione della stomia.

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Esecuzione, analisi della refertabilità e prima interpretazione di un ECG.

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Aspirazione orofaringea e tracheobronchiale.

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Tecniche di comunicazione e di relazione.

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Cura del corpo parziale e totale, igiene del cavo orale in situazioni complesse (stomatite, paziente in coma).

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Lavaggio mani (con sapone detergente, con sapone antibatterico, frizione alcoolica) e preparazione di un campo sterile e indossare guanti sterili e DPI

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Esempio di un programma secondo la struttura del supplement diploma 

INSEGNAMENTO  “INFERMIERISTICA CLINICA IN AREA MEDICA” 2° ANNO – SEMESTRE XXX

L’insegnamento si focalizza sull’assistenza ai pazienti con problemi medici cronici in fase di stabilità e instabilità (scompenso cardiaco, IMA e angina, BPCO e Asma).   L’approccio considera  i contenuti  e modalità  assistenziali per attivare specifici comportamenti  di autocura considerando che la maggior parte dei pazienti con malattia cronica vivono a domicilio e il tempo di ospedalizzazione è molto breve. I problemi del paziente saranno affrontati considerando la loro evoluzione, la valutazione del paziente ragionata e  la scelta di interventi assistenziali basati sulle evidenze , appropriatezza e bisogni del paziente. L’instabilità/riacutizzazione sarà affrontata con un protocollo assistenziale. Saranno considerati l’impatto e vissuto  della malattia sulla vita del paziente  e sulla famiglia ed esplorati gli aspetti di riabilitazione e palliativi rispetto ai sintomi nello stadio avanzato (es dispnea). Questo Insegnamento si costruisce sulle conoscenze del 1° anno di infermieristica (valutazione del respiro, significato e segni/sintomi dell’ipossia, dispnea, principi di O2terapia; principi di nursing, vigilanza), di  fisiologia, fisiopatologia e patologia generale. I  contenuti sono collegati ai due moduli successivi  di educazione terapeutica e infermieristica della comunità per il  trend di dimissione precoce e necessità di supporto al momento della dimissione._______________________________________Modulo: MEDICINA INTERNA MED/09  2 cfu – XX ore

Fattori di rischio, trattamento e complicanze precoci e tardive dell’Ipertensione arteriosa

Scompenso cardiaco cronico: segni e sintomi, quadri clinici ed evoluzione, trattamento farmacologico, chirurgico, dietetico e attività fisica. Complicanze e fattori di gravità e prognostici

Anemie, linfomi e leucemie

Malattie Reumatologiche:principali quadri e sintomatologia Principi di trattamento

malattie emorragiche

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Modulo: MALATTIE CARDIOVASCOLARI  MED/11   1 cfu – XX ore

Fattori di rischio di malattia cardiovasc.: dislipidemia,…

Cardiopatia ischemica: Angina e IMA

Cardiologia interventistica per la sindrome coronarica acuta

I farmaci più utilizzati in cardiologia: antiaggraganti, ACO Bbloccante, antianginosi trombolitici, lidocaina digitale

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Modulo: PNEUMOLOGIA  MED/10   1 cfu – XX ore

BPCO  (bronchite cronica e enfisema): prevenzione, sintomatologia e indici di gravità, gestione riacutizzazioni e

riabilitazione respiratoria

Ossigeno terapia a lungo termine (OTLT) e supporto ventilatorio non invasivo 

Asma acuta

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Modulo: INFERMIERISTICA CLINICA MEDICA   MED/45   2 cfu – XX ore

Assistenza notturna e il rumore: peculiarità nella valutazione e osservazione dei pazienti durante a notte, la sorveglianza,  problemi che più facilmente si manifestano durante la notte.

La gestione assistenziale dei principali problemi collegati ai problemi o aree di vigilanze collegati a problemi cardiovascolari (cardiopatia ischemica e scompenso cardiaco) e respiratori (BPCO):

Contenuti  autocura: riconoscimento instabilità, dieta, controllo peso, assunzione dei farmaci, attività fisica e interventi per ridurre affaticamento e non tolleranza all’attività fisica

Ipossia acuta e cronica

Dispnea acuta e cronica e ostruzione/stasi bronchiale (la gestione della dispnea cronica e terminale sarà affrontata in  infermieristica della cronicità  e  cure palliative )

Riposo a letto come prescrizione terapeutica

Disequilibrio dei liquidi e indicatori

Assistere ed addestrare la persona con OTLT  a lungo termine

parametri del bilancio idrico  standard e significato rispetto alle diverse situazioni cliniche

La gestione assistenziale (sorveglianza e cure assistenziali) dell’instabilità clinica

Valutazione e primo approccio al dolore toracico

Casi e situazioni assistenziali “assistenziali ed educativi” su persona affetta scompenso cardiaco, angina e infarto,  da BPCO e asma

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ESITI DI APPRENDIMENTO (LEARNING OUTCOME) DELL’INSEGNAMENTO

L’insegnamento contribuisce ai seguenti esiti di apprendimento:

–           Accertare e gestire l’assistenza infermieristica nei pazienti con problemi cronici e di disabilità

–           Partecipare e collaborare nella gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici

–           Vigilare e monitorare la situazione clinica e psico-sociale dei pazienti identificando precocemente i segni di aggravamento

–           Attivare processi decisionali sulla base  delle condizioni del paziente

–           Sostenere l’apprendimento del paziente all’autogestione dei problemi di salute

METODI DI INSEGNAMENTO

Saranno utilizzate lezioni con modalità interattiva: gli studenti saranno incoraggiati attivamente ad integrare la teoria con le precedenti esperienze pratiche e/o integrare –collegare le nuove conoscenze con quelle affrontate in altri moduli.

Saranno utilizzati letture  di testimonianze per analizzare  e riflettere sulle percezioni e bisogni dei  pazienti e famigliari. Il corso prevederà   scenari clinici con la finalità di integrare conoscenze interdisciplinari e applicare modalità di  problem solving e percorsi decisionali.

METODI DI VALUTAZIONE

(…)

Bibliografia

1) Dimonte V., Saiani L. Redefinition of professional roles, and if we were to re-start from the patients? [Ridefinizione dei ruoli professionali: E se provassimo a ri-partire dai pazienti?]  (2012) Assistenza Infermieristica e Ricerca, 31 (2), pp. 58-62.

2) Venturini G., Pulimeno AML., Colasanti  D., Barberi S., Sferrazza S., De Marinis MG. Validazione linguistico-culturale della versione italiana del questionario sulle competenze infermieristiche del progetto Tuning Educational Structures in Europe L’Infermiere 3, 2012.

Palese A., Dalponte A., Dalle competenze esito al Piano di studi del CL in Infermieristica. Una proposta orientata ai learnig outcomes, Quaderni delle Conferenze Permanenti delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, 2008;42: 1798-1808

Cita questo articolo

Brugnolli A., Marognolli O., Palese E., Dimonte V., Documento di indirizzo per la definizione dei programmi di insegnamento di Infermieristica,  Medicina e Chirurgia, 62: 2805-2810, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-62-5

Linee di indirizzo per la prova finale dei Corsi di Laurea afferenti alle Classi delle Professioni sanitarie avente valore di esame di stato all’esercizio professionalen.61, 2014, pp.2736-2738

Abstract

With the aim to homogenize the final exam and improve its quality, a guideline including specific recommendations has been approved. In the article, the recommendations are reported in a detailed fashion.

Articolo

Corsi afferenti alle classi di laurea delle professioni sanitarie’ la Giunta della Conferenza aveva approvato nel settembre 2012 una prima bozza di documento di indirizzo nazionale sulla progettazione e conduzione dell’esame finale per i Corsi di laurea delle Lauree sanitarie. Il documento era stato quindi inviato a tutti i Presidenti e Vicepresidenti delle Commissioni che hanno raccolto il consenso dei Corsi di Laurea afferenti. Nella riunione di Giunta del 20 marzo 2013, il consenso espresso da ciascuna Commissione è stato analizzato e incluso nel presente documento. Le presenti Linee di indirizzo sono state quindi discusse ed approvate dall’Assemblea della Conferenza il 12 Settembre 2013.

1. Finalità della prova finale

La prova finale ha l’obiettivo di valutare il raggiungimento delle competenze attese da un laureando così come espresse dai Descrittori di Dublino e dai RAD di ciascun Corso di Studio (CdS). In accordo al Processo di Bologna e ai successivi documenti di armonizzazione dei percorsi formativi Europei, sono oggetto di valutazione nella prova finale i seguenti ambiti:

– Conoscenza e capacità di comprensione applicate – Applying knowledge and understanding,

– Autonomia di giudizio – Making judjements,

– Abilità comunicative – Communication skills,

– Capacità di apprendere – Learning skills, che corrispondono rispettivamente al 2°, 3°, 4° e 5° Descrittore di Dublino.

Pertanto, l’abilitazione finale è conferita a studenti che siano capaci di:

– applicare le loro conoscenze dimostrando un approccio professionale e competenze adeguate per risolvere problemi nel proprio campo di studio;

– assumere decisioni per risolvere efficacemente problemi/situazioni complessi/e nel proprio campo di studio;

– raccogliere e interpretare i dati per formulare giudizi professionali autonomi, anche su problematiche sociali, scientifiche o etiche;

– attivare una comunicazione efficace su temi clinici, sociali, scientifici o etici attinenti al proprio profilo;

– apprendere autonomamente.

In accordo alla normativa vigente, la prova finale si compone di:

1. una prova pratica (a valenza applicativa) nella quale il candidato deve dimostrare di aver acquisito competenze proprie dello specifico profilo professionale;

2. la redazione di un elaborato scritto e sua dissertazione

che di norma si svolgono in due giornate distinte.

2. Commissione della prova finale

La Commissione per la prova finale è composta da non meno di 7 e non più di 11 membri, nominati dal Magnifico Rettore (MR) su proposta del Consiglio di Corso di Laurea e dal Dipartimento di afferenza, e comprende almeno 2 membri designati dal Collegio Professionale, ove esistente, ovvero dalle Associazioni Professionali maggiormente rappresentative individuate secondo la normativa vigente.

Nel caso di Corsi di Laurea con sedi in Province diverse, la richiesta di Rappresentanti di Collegio/Associazioni è di norma inviata dall’Università al Presidente del Coordinamento Regionale o Interregionale, ove esistente.

Pertanto, la Commissione può essere composta da

– 5 docenti + 2 rappresentanti delle professioni (minimo 7) + 2 rappresentanti ministeriali che non rientrano nel range stabilito in quanto vigilanti esterni (totale 9);

– 9 + 2 rappresentanti delle professioni + 2 rappresentanti ministeriali che non rientrano nel range stabilito in quanto vigilanti esterni (totale 13).

Sono di norma individuati almeno due supplenti.

Fanno parte di norma della Commissione, i Direttori delle attività formative professionalizzanti e i Docenti Universitari dello specifico SSD del Corso di Laurea.

La Commissione (o più Commissioni, laddove necessario) deve essere dedicata, stabile e garantire continuità per l’intera prova finale. Eventuali sostituzioni sono attivate solo se necessario e devono essere deliberate dal MR.

I Relatori di tesi non sono componenti della Commissione quando non nominati dal MR quali componenti della Commissione all’interno del numero previsto di cui sopra.

Le Rappresentanze Professionali (Collegi e Associazioni) che fanno parte della Commissione devono essere dello stesso profilo professionale, in servizio attivo e non devono ricoprire il ruolo di Docenti o Tutor Didattici universitari nello stesso CdS al fine di assicurare una funzione di controllo esterna e indipendente della qualità e pertinenza della preparazione professionale degli studenti.

3. Prova (pratica) a valenza applicativa

E’ finalizzata a valutare il raggiungimento delle competenze previste dagli specifici profili professionali.

I Rappresentanti designati dai Collegi/Associazioni sono coinvolti nella scelta delle competenze core da valutare con la prova a valenza applicativa.

In tale prova sono valutate le competenze di cui ai Descrittori di Dublino n. 2, 3 e 4 riportati di seguito:

2. Conoscenza e capacità di comprensione applicate – Applying knowledge and understanding,

3. Autonomia di giudizio – Making judjements,

4. Abilità comunicative – Communication skills.

e, in particolare, la capacità di individuare problemi, assumere decisioni, individuare priorità su singoli pazienti, gruppi di pazienti o processi lavorativi; progettare e decidere interventi sulla base delle evidenze disponibili e delle condizioni organizzative date; agire in sicurezza, considerare nel proprio agire le dimensioni etiche, deontologiche e legali; dimostrare orientamento alla pratica interprofessionale, ed alla valutazione degli rischi e degli effetti sui pazienti.

3.1 Modalità

La prova abilitante può comprendere una o più modalità tra quelle indicate di seguito

1. prova scritta strutturata, semi-strutturata o con domande aperte su casi/situazioni paradigmatiche della pratica professionale: della durata di variabile in base alla numerosità delle domande.

a. Per le prove strutturate o semi-strutturate: almeno 60 domande a cui sono dedicati almeno 60 minuti.

b. Per le prove con domande aperte su casi: almeno 5 casi, a cui sono dedicati almeno 60 minuti.

2. colloquio con discussione di casi o di un elaborato/progetto: della durata di almeno 15 minuti/studente.

3. osservazione strutturata delle competenze professionali in contesti clinici reali, simulati di laboratorio o con supporto di immagini/video (es. tecniche, relazionali, diagnostiche, progettuali): della durata di almeno 15 minuti/studente.

4. esame strutturato delle competenze cliniche (OSCE): con almeno 5 stazioni.

Di norma il livello minimo di performance atteso nella prova a valenza applicativa per essere considerata superata è del 60%.

Non saranno pertanto considerate pertinenti prove scritte con quiz valutativi solo delle conoscenze teoriche poiché già oggetto di valutazione nel percorso di studio: la valenza abilitante della prova deve permettere di accertare la capacità di applicare/declinare le conoscenze acquisite.

In accordo alla metodologia adottata, la prova abilitante deve:

– basarsi sulla selezione delle aree di competenza ‘core’ da indagare: tali competenze sono di norma individuate con le Rappresentanze professionali e dei servizi;

– essere standardizzata, esponendo ciascuno studente dello stesso anno accademico -ma anche ad anni accademici diversi:

a. allo stesso livello di complessità;

b. ad una prova in cui la misurazione dell’esito sia predefinita e condivisa dalla Commissione per ridurre la variabilità di giudizio dei valutatori;

– essere anonima, quando possibile.

Presso ciascun CdS deve essere disponibile e attivato un sistema di controllo della valutazione della qualità e affidabilità delle prove a valenza applicativa.

La modalità delle prove a valenza applicativa sono di norma indicate nel Regolamento Didattico del CdS e nella Scheda SUA per assicurare un’ampia e diffusa comunicazione agli studenti, alle Rappresentanze professionali e ai cittadini.

4. Elaborato di tesi

La tesi permette di accertare il raggiungimento delle competenze indicate nel 5° Descrittore di Dublino, ovvero la capacità dello studente di condurre un percorso di apprendimento autonomo e metodologicamente rigoroso.

Scopo della tesi è impegnare lo studente in un lavoro di progettazione e ricerca, che contribuisca al completamento della sua formazione professionale e scientifica. Il contenuto della tesi deve essere attinente a tematiche strettamente correlate al profilo professionale.

Di norma lo studente avrà la supervisione di un docente del CdS, detto Relatore, e di eventuali Correlatori, anche esterni al CdS.

5. Sistema di valutazione

Il punteggio finale di laurea è espresso in cento decimi (110) con eventuale lode ed è formato dalla media ponderata rapportata a 110 dei voti conseguiti nei 20 esami di profitto, e dalla somma delle valutazioni ottenute nella prova finale (a valenza applicativa + tesi) che concorrono alla determinazione del voto finale.

La prova a valenza applicativa costituisce uno sbarramento: in caso di valutazione insufficiente, il candidato non può proseguire con la discussione della tesi. Pertanto, la prova va ripetuta interamente nella seduta successiva.

Le due diverse parti dell’unica prova finale concorrono entrambe alla determinazione del voto finale. La prova finale è valorizzata con un punteggio massimo di 10 punti: ciascun CdS studio indicherà i punteggi attribuiti alla prova a valenza applicativa ed alla tesi.

La Commissione – quando non già conteggiati nella carriera dello studente – può attribuire ulteriori punti fino a un massimo di 2 complessivi ai candidati che presentano delle lodi nelle prove di profitto degli Insegnamenti, e/o che hanno partecipato con esito positivo ai Programmi Erasmus/Socrates.

In linea generale, si suggerisce di considerare la media di 101/110 di carriera dello studente quale base per attribuire la lode.

6. Aspetti organizzativi e norme transitorie

Per i CdS articolati in più sedi, laddove non sia possibile realizzare la prova in un’unica sede, la prova a valenza applicativa deve prevedere le stesse modalità e gli stessi criteri di valutazione delle performance.

Tale prova, quando realizzata in forma scritta e nella stessa giornata, deve essere uguale in tutte le sedi.

E’ necessario assicurare una distanza temporale tra la prova a valenza applicativa e la discussione della tesi al fine di assicurare la comunicazione degli esiti ottenuti nella prima.

Per evitare di contrarre eccessivamente le attività formative del terzo anno, in particolare quelle dedicate al tirocinio, la prova finale nella sessione autunnale può iniziare entro il periodo previsto di ottobre/novembre e concludersi anche a dicembre; la sessione primaverile, può iniziare nei mesi di marzo-aprile e concludersi nel mese successivo.

Per assicurare adeguata informazione agli studenti e congruenza con il contratto formativo che hanno stipulato con la struttura didattica, le modalità qui riportate sono applicate alla coorte degli studenti che sta conseguendo il titolo di studio con il nuovo ordinamento didattico in applicazione al DM 270/ 2004.

7. Raccomandazioni

Per promuovere l’eccellenza nelle prove finali, e stimolare processi di miglioramento continui della qualità della formazione professionalizzante, l’Assemblea della Conferenza Nazionale dei Corsi di Laurea e dei Corsi di Laurea Magistrali delle lauree sanitarie raccomanda di:

a) sviluppare strategie e sistemi che assicurino una valutazione progressivamente indipendente e standardizzata delle competenze raggiunte dai laureandi, anche tramite l’attivazione di sperimentazioni di prove nazionali a valenza applicativa;

b) sviluppare una attenzione ai laureandi portatori di disabilità, al fine di assicurare (come peraltro all’atto dell’ammissione) un esame a valenza applicativa appropriato;

c) attivare, attraverso i rappresentanti del Ministero della Sanità, un monitoraggio nazionale sulla modalità e criteri di conduzione degli esami finali, con particolare riferimento alla effettiva realizzazione dei tirocini professionalizzanti (nei CFU prescritti dalla norma) ed alla effettiva progettazione/conduzione di questi da parte di un Direttore delle attività formative professionalizzanti formalmente incaricato e appartenente allo specifico profilo professionale di riferimento del CdL;

d) sviluppare sinergie con le rappresentanze professionali (Ordini/Collegi/Associazioni) e dei servizi al fine di individuare le competenze attese dal sistema sanitario nazionale da parte di un neolaureato, tenendo conto anche delle competenze avanzate acquisibili in cicli formativi successivi.

Il Portfolio. Studio preliminare dell’entering behaviour delle competenze, conoscenze e aspettative degli Studenti del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarien.59, 2013, pp.2637-2641, DOI: 10.4487/medchir2013-59-4

Abstract

Background: In Italy, the Master’s Degree in Health Sciences and Rehabilitation is a quite recent educational project and at the University of Milan it was inaugurated in 2008. The Master’s Degree focuses on a formative program that encourages the development of the health professions cultural progress through the acquisition of knowledge and skills in three specific areas: research, teaching and management. Students from eight professional first cycle graduate backgrounds can access to this Degree.
Aim: Since an educational project should be constructed on the formative needs and expectations of learners, our purpose was to characterize the freshmen and evaluate if the Master’s Degree curriculum adopted at the University of Milan fits with this criterion.

Methods: Through a portfolio, consisting of a questionnaire on students’ entering behaviour, we carried out a descriptive analysis of the characteristics of the freshmen, their initial level of knowledge and competence in the three formative areas and their expectations towards the post-graduate course and the traineeship. The study took into account 76 students of four different academic years.
Results: The results underline a fluctuating distribution of students age and differences in educational qualification, working experience, role of responsibility. The questionnaire reveals how, between the three formative areas, students consider management and research those of lesser knowledge and, therefore, of greater interest. The analysis of learners’ expectations show how students evaluate the Master’s Degree title as a possibility of professional development, especially towards coordination or managerial positions. Conclusions: Data are important for a correct ideation of the formative course about contents and logistic aspects. This study is an useful starting point for administering the resources among the three formative areas and it should be complemented by a thorough comparison with the world of work in order to highlight on which educational domain focus more in the future.

Articolo

Introduzione

Il processo di formazione delle professioni sanitarie in Italia è caratterizzato da un lungo ed articolato percorso durato circa 60 anni, la cui ultima fase è rappresentata dai Decreti Ministeriali n. 136 del 2 aprile 2001 e n. 270 del 22 ottobre 2004 che hanno istituito rispettivamente i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (LM/SNT), individuando le Classi di appartenenza finalizzate a formare laureati secondo gli specifici profili professionali, ed i percorsi di Laurea specialistici poi magistrali1, il cui progetto didattico mira ad assicurare un approccio metodologico specifico-professionale negli ambiti formativi della didattica, dell’organizzazione-management e della ricerca.

La rapida evoluzione con cui in questi anni si sono programmati ed attivati nuovi percorsi formativi e succeduti diversi Ordinamenti didattici, ha permesso di attivare una politica d’innovazione per una migliore formazione, ma la velocità del cambiamento ha reso difficile soffermarsi ad analizzare la correlazione effettiva tra bisogni formativi e progetti didattici, l’efficacia dei percorsi e le proposte educative. In questo caso il ruolo della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie è stato fondamentale per colmare spazi vuoti lasciati da una normativa in continua trasformazione, mettendo a disposizione un modello di progetto formativo che, nel rispetto della transizione delle normative, fosse vantaggioso sotto il profilo della formazione2.

Nonostante siano trascorsi alcuni anni dall’avvio dei Corsi di Laurea Magistrale (CdLM), sul territorio italiano si continua ad evidenziare disomogeneità nei percorsi e contenuti formativi, nei piani curriculari e negli obiettivi pedagogici.

Uno studio condotto in dodici sedi didattiche italiane, oltre ad aver evidenziato una variabilità rispetto ai settori scientifico-disciplinari attivati negli Ordinamenti didattici e nei Piani di Studio dei percorsi magistrali ed al valore in crediti loro attribuiti, ha anche dimostrato una grande difformità dei crediti formativi del percorso di tirocinio in termini di  differenze quantitative tra le diverse figure professionali della Classe e tra il I e il II anno di corso ed in termini di numero di ore corrispondenti. Infine, lo studio descrive anche una vasta discordanza tra le proposte pedagogico-formative dell’esperienza di tirocinio: esse possono, infatti, riguardare la formulazione di un progetto di tirocinio, l’esperienza in ambito pedagogico-formativo, la partecipazione ad attività tutoriali, la frequenza in Unità Operative-Reparti e l’esperienza in ambito manageriale. Ancora più ampia autonomia è lasciata alla definizione dei contenuti, degli obiettivi, delle finalità e dei metodi3.

La popolazione studentesca del percorso magistrale presenta caratteristiche sensibilmente diverse rispetto a quella delle lauree di primo livello. I discenti dei Corsi di Laurea triennali sono generalmente un gruppo omogeneo per età, formazione e vissuto professionale; essi devono imparare il sapere (campo intellettivo), il saper essere (campo della comunicazione) e il saper fare (campo gestuale) secondo la tassonomia di Guilbert. Viceversa gli studenti dei CdLM, sono largamente eterogenei per età, formazione di base e post base, esperienza e competenze maturate in campo lavorativo e ruolo professionale ricoperto, ed esprimono anche aspettative difformi rispetto alla nuova esperienza formativa.

La storia relativamente recente dei CdLM giustifica in parte l’assenza di una valutazione della loro strutturazione, in termini di contenuti ed organizzazione, e della loro finalità in relazione alle richieste dei discenti ed a quelle che giungono dal mondo lavorativo in continua evoluzione. Pertanto, partendo dal presupposto che un progetto educativo debba essere costruito tenendo in considerazione le esigenze formative dei discenti, questo studio di tipo qualitativo si prefigge di valutare, attraverso la caratterizzazione degli studenti, se ed in quale misura il curriculum adottato presso il CdLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie dell’Università degli Studi di Milano risponde a questo prerequisito4,5.

I risultati di questo studio preliminare potranno risultare degli utili indicatori per rilevare punti di forza e di debolezza dell’impianto formativo in termini di contenuti, processi e metodi, così come fornire delle strategie per risolvere le criticità individuate.

Metodo

Lo studio qualitativo ha coinvolto la totalità degli studenti immatricolati al CdLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie dell’Università degli Studi di Milano (n=101) negli anni accademici dal 2008/2009 al 2012/2013. Nello specifico la coorte presa in esame è costituita da 67 Fisioterapisti, 4 Ortottisti, 4 Logopedisti, 4 Educatori professionali (EP), 9 Tecnici della Riabilitazione Psichiatrica (TeRP), 2 Terapisti Occupazionali (TO), 11 Terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva (TNPEE).

Al momento dell’immatricolazione al CdLM agli studenti è stata proposta la compilazione di un Portfolio rappresentato dalla scheda Entering behaviour (riportata in http://www.quaderni-conferenze-medicina.it/), un questionario semi-strutturato costruito ad hoc per indagare il livello iniziale di conoscenze, competenze maturate, attitudini, convinzioni e motivazioni del discente6,7,8. Il questionario è stato accompagnato da una lettera di presentazione dello studio. Le risposte sono state raccolte in un database di Microsoft Access®.

Risultati

Età anagrafica

Al fine di descrivere la distribuzione dell’età anagrafica degli studenti, sono state individuate quattro classi di uguale ampiezza: 21-30, 31-40, 41-50 e 51-60. La classe 21-30 anni è quella maggiormente rappresentata, mentre la classe 51-60 anni risulta quella meno numerosa. Inoltre, nel corso dei cinque anni accademici considerati, si assiste ad un progressivo aumento di discenti appartenenti alla classe 21-30 anni e, parallelamente, ad una diminuzione di quelli della classe 51-60 anni. Le due classi intermedie sono entrambe caratterizzate da un trend fluttuante, ma se considerate nell’insieme, la numerosità è costante (Tab. 1).

Background formativo

I dati dimostrano un progressivo aumento degli studenti in possesso del titolo di Laurea di I livello delle professioni sanitarie della Classe L/SNT2 e, allo stesso tempo, una diminuzione di quelli che accedono al corso magistrale con il Diploma universitario che, tuttavia, rappresenta il titolo di studio del 30% degli immatricolati al CdLM nel quinquennio considerato. Un numero modesto di studenti ha conseguito un Master di I livello (9%) e solo 1 è in possesso di un titolo di Laurea in altro ambito formativo (Tab. 2).

Profilo professionale

I profili professionali dei discenti non sono equamente distribuiti e rappresentati: la maggioranza degli studenti ha il titolo di Laurea in Fisioterapia (67%), mentre si evidenzia l’assenza di laureati in Podologia dal momento che rappresentanti di questa figura professionale non hanno nemmeno mai partecipato  al test di ammissione. Le altre figure professionali della Classe 2 sono rappresentate in modo variabile  nei diversi anni accademici (Fig. 1).

Esperienze lavorative e di docenza

L’85% degli intervistati è occupato (Fig. 2) e, tra questi, il 13% ricopre ruoli di responsabilità (posizione apicale o di coordinamento).

Il 42% documenta pregresse esperienze di insegnamento o tutorato in ambito accademico nel ruolo di docente a contratto, tutor o assistente di tirocinio in Corsi di Laurea triennali.

Autovalutazione delle conoscenze in ambito formativo, organizzativo-gestionale e di ricerca

I risultati descritti nella Fig. 3 mostrano come la maggioranza degli studenti ritenga inappropriate le proprie conoscenze pregresse in ambito organizzativo-gestionale e della ricerca.

Aspettative

Come descritto in Fig. 4, il 48 % degli studenti si aspetta che il percorso magistrale possa essere utile per un upgrade professionale verso ruoli manageriali all’interno del Sistema Sanitario Nazionale.

Dalle risposte degli studenti si evince, inoltre, come l’interesse verso il campo della ricerca sia ritenuto puramente fine ad un miglioramento culturale personale e non direttamente spendibile per ottenere miglioramenti del ruolo professionale. Infine, gli studenti ritengono che il CdLM possa esclusivamente consolidare le loro conoscenze in ambito didattico dal momento che le stimano di livello già sufficiente.

Discussione

In questo studio il questionario Entering behaviour è stato proposto per mappare le caratteristiche degli iscritti al CdLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie al fine di verificare se e cosa modificare del curriculum formativo e nel progetto di tirocinio per meglio adattarlo alle necessità ed alle aspettative degli studenti. Gli aspetti maggiormente significativi ottenuti dall’elaborazione dei dati sono quelli relativi all’età, al profilo professionale, alle competenze pregresse e al livello di conoscenze al momento dell’immatricolazione.

Dai dati raccolti risulta come, a partire dall’anno accademico 2009/2010, ci sia stato un progressivo aumento di studenti di età compresa tra i 21 e 30 anni ed una parallela e diminuzione di quelli tra i 51 e 60 anni. Le due classi di età intermedia (31-40 e 41-50 anni) sono caratterizzate da un trend oscillate, ma se vengono considerati unitamente il loro numero è costante e rappresenta circa la metà della popolazione totale (49%). I dati sembrano in accordo con quanto discusso in recenti eventi nazionali, durante i quali si è sottolineata una progressiva riduzione dell’età dei discenti ed una maggiore attrattività del CdLM verso i neolaureati. Lo studio evidenzia, inoltre, come un’età anagrafica più avanzata correli, nella maggioranza dei casi, con una maggiore e più varia esperienza in ambito professionale con soggetti che ricoprono ruoli apicali dirigenziali e di coordinamento. Nel complesso, queste informazioni suggerirebbero come il percorso formativo sia attrattivo indipendentemente dall’età e dal ruolo professionale: per i neolaureati la formazione magistrale potrebbe significare l’occasione per un maggiore approfondimento di conoscenze e competenze richieste per intraprendere opportunità occupazionali future e solo marginalmente acquisite nel percorso di I livello o nei pochi anni di esperienza professionale, mentre per i soggetti più anziani, l’occasione formativa per consolidare il ruolo già ricoperto.

La popolazione dei discenti è caratterizzata per la maggior parte da fisioterapisti (65%): questa  massiva presenza potrebbe trovare ragione e giustificazione nell’elevato numero di posti legiferati annualmente dai Decreti Ministeriali per i corsi di studio, definiti sulla base di specifici fabbisogni sia a livello regionale che nazionale, rispetto agli altri profili della Classe 2. Inoltre, è ragionevole ipotizzare che in Italia, il titolo di Dottore Magistrale possa essere maggiormente valutato e spendibile nelle progressioni di carriera dei fisioterapisti rispetto agli altri profili professionali della Classe di più recente istituzione. Tuttavia tra gli immatricolati al CdLM, soprattutto negli ultimi anni accademici, la presenza di fisioterapisti è leggermente in calo a fronte di una crescita, seppur ancora modesta, di altre figure professionali come i TNPEE e i TeRP; resta costante l’assenza di laureati in Podologia. Se questa situazione dovesse essere confermata negli anni accademici futuri, è auspicabile che il CdLM prenda in considerazione opportune modifiche di Ordinamento, Regolamento e Piano di studi introducendo nuovi insegnamenti disciplinari in ragione del raggiungimento degli obiettivi formativi della Classe.

L’85% dei discenti si definisce studente-lavoratore: questo aspetto ha un peso rilevante sull’organizzazione logistica del CdLM dal momento che influenza direttamente la sua attrattività. Poiché il percorso magistrale, da Regolamento didattico, presuppone la frequenza obbligatoria ai corsi, è evidente che in futuro il progetto formativo dovrà tenere in considerazione questa particolare necessità promuovendo azioni che mettano gli studenti-lavoratori nelle condizioni di poter più facilmente accedere ai corsi attraverso, ad esempio, una calendarizzazione delle lezioni in giorni non lavorativi e forme di insegnamento alternative rispetto a quello d’aula come l’e-learning. L’uso di tecnologia multimediale trova, infatti, sempre più spazio non solo come complemento alla formazione in presenza, ma anche come percorso didattico rivolto ad utenti aventi difficoltà di frequenza in presenza9,10. Infine, la miscellanea di studenti-lavoratori con esperienza professionale e studenti non lavoratori senza esperienza professionale rappresenta un punto chiave nella realizzazione di un progetto pedagogico che definisca contenuti appropriati ai bisogni formativi degli studenti per i vari curricula ed equilibrati rispetto alle tre aree formative (didattica, management e ricerca).

L’autovalutazione delle proprie conoscenze ha evidenziato come più della metà degli studenti si giudichi impreparata nell’ambito organizzativo-gestionale e della ricerca (rispettivamente 60% e 59%). Tali risultati potrebbero essere giustificati dal fatto che né il management né la ricerca sono tra i principali obiettivi formativi dei Corsi di Laurea triennale. Competenze in ambito organizzativo-gestionale sono dichiarate non del tutto adeguate anche per quei soggetti che ricoprono ruoli apicali o di coordinamento: questo dato potrebbe essere motivato dal fatto che tali posizioni sono talvolta attribuite per lo più per anzianità di servizio che non per competenze acquisite.

L’ambito della ricerca è quello che, al momento dell’immatricolazione, evidenzia le maggiori lacune formative: questa situazione potrebbe trovare un’ulteriore spiegazione nel fatto che, ad oggi, in Italia la ricerca nell’ambito delle professioni sanitarie ha un ruolo poco rilevante e quindi anche professionisti con una lunga carriera difficilmente si sono trovati ad operare in un contesto dove venisse promossa ed attuata.

Infine, la buona considerazione degli studenti nei confronti delle loro competenze didattiche potrebbe derivare dal fatto che molti hanno ricoperto il ruolo di docente a contratto, di tutor o di assistente di tirocinio in ambito accademico a differenti livelli e per periodi di tempo diversi.

Prendendo in considerazione le aspettative nei confronti del percorso magistrale, è evidente come gli studenti si aspettino di usufruire del titolo per accedere a posizioni lavorative di maggior prestigio, identificate soprattutto nei ruoli di coordinamento e manageriali nel contesto del Servizio Sanitario Nazionale. Pertanto anche il loro interesse si focalizza maggiormente sulla formazione in ambito organizzativo-manageriale, sottovalutando o non conoscendo del tutto l’ampia applicabilità e spendibilità lavorativa del titolo di laureato magistrale al di fuori del sistema sanitario.

Nel complesso, i dati di questo studio riferiti ai titoli di studio di base e post base, al background culturale e professionale e alle aspettative dei discenti risultano, inoltre, importanti nell’orientare le scelte metodologiche per la costruzione del progetto di tirocinio che prevede un percorso secondo un obiettivo formativo ricompreso negli ambiti specifici del profilo del laureato magistrale (ricerca, didattica, management), programmato, pianificato, progettato e supervisionato dal formatore e predisposto con rigore riconoscendo le competente iniziali.

Conclusioni

I dati ottenuti dall’autovalutazione possono essere considerati un interessante punto di partenza per meglio gestire le risorse a disposizione del CdLM nei tre diversi campi formativi. Infatti, questo tipo di valutazione potrebbe divenire utile per la costruzione un programma ed un progetto didattico nel rispetto dell’Ordinamento ed adeguati alle aspettative ed ai bisogni del discente, ed essere un feedback per stimare l’eccellenza dell’impianto formativo per obiettivi, contenuti, processi e metodi, anche nell’ottica del processo di accreditamento avviato dall’ANVUR11.

Tuttavia, per dare maggiore credibilità al percorso di studi, i dati qui presentati dovrebbero essere integrati con una successiva ricerca sull’outcome e sullo stato occupazionale in modo tale da valutare quali competenze curriculari siano maggiormente richieste dal mondo lavorativo e il loro l’effettivo raggiungimento. Parte della scheda Entering behaviour potrebbe infatti divenire ulteriore materia di studio per valutare se e come le conoscenze del discente si siano modificate dopo il processo di apprendimento, se ed in che modo siano state applicate anche a distanza di tempo (6-12 mesi) nella pratica lavorativa ed, infine, come ed in che misura l’apprendimento sia stato motivo di cambiamento sia nell’approccio alla professione che nel ruolo ricoperto.

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Cita questo articolo

Bernardelli G., Vizzotto L., Mari D., Bernabè B., Filippini F., Moscheni C., LIl Portfolio. Studio preliminare dell’entering behaviour delle competenze, conoscenze e aspettative degli Studenti del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, Medicina e Chirurgia, 59: 2637-2641, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-4

Studio individuale e studio guidato. Concetti, bisogni e approccin.58, 2013, pp.2596-2598, DOI: 10.4487/medchir2013-58-8

Abstract

The individual study occurs when the students take the initiative to learn with or without the help of other, when they assess their own learning needs, the resources and strategies needed, as well as when they evaluate the results achieved. This type of studying cannot be lower than 50% of the amount of time dedicated par each European Credit Transfer and Accumulation System (ECTS). The ability to study alone is learnt and refined in the course of the life. The student becomes responsible for his/her learning and acquires independence thanks to a process that often is carried out under the guide of the teachers and tutors, through strategies such as the assisted learning, which can be intensified or softened according to the students needs, to their profile and to the available resources. The level of the individual study abilities might be measured and represents the result of an effective guide delivered by teachers/tutors.

Articolo

Quando lo studente assume l’iniziativa di apprendere con o senza l’aiuto di altre persone, individuando i suoi bisogni di apprendimento, le risorse e strategie necessarie sino alla valutazione dei risultati, siamo di fronte allo studio individuale (Knowles, 1975): ovvero, a uno studente co-responsabile del proprio apprendimento, non ancora completamente indipendente ma in grado di esserlo in futuro, grazie ad un percorso di crescita che realizza in collaborazione al docente/tutor (Garrison, 1992). Per la sua rilevanza, lo studio individuale è stato riconosciuto formalmente in una quota parte del tempo di ciascun Credito Formativo Universitario (CFU). Già nel 2001 (Decreto Interministeriale 2 aprile 2001, art 4), infatti, si affermava che “… la frazione dell’impegno orario complessivo riservata allo studio personale, o ad altre attività formative di tipo individuale, non può essere superiore al 30%”. Concretamente, solo a titolo di esempio, per un CFU del valore di 25 ore, dovevano essere riservate allo studio individuale almeno 8 ore. Più recentemente, con il Decreto Interministeriale del 19 febbraio 2009, art. 4, si è definito che l’ammontare del tempo da dedicare allo studio individuale non può essere inferiore al 50% e che in tale computo non può essere incluso il tirocinio che non sembra avere bisogno, pertanto, di un tempo individuale di studio. All’interno di questa cornice normativa, in un Corso di Studio (CdS) con 96 CFU dedicati a lezioni teoriche, sono attese 2400 ore (96×25) di cui almeno 1200 riservate allo studio individuale, circa 400/anno (per la 2a, 3a e 4a classe di laurea); tali ore sono 1440, circa 480/anno per l’infermieristica e l’ostetricia in cui ciascun CFU vale 30 ore.

Il tempo da dedicare allo studio individuale è disciplinato dalla normativa che ne ha aumentato la quantità da riservare: si tratta di un tempo importante, difficile da pianificare (non è di norma riportato nei calendari didattici), che non rappresenta ovviamente tutto lo studio necessario per affrontare un CdS; un tempo che lo studente deve saper gestire o essere aiutato a gestire.

Studio guidato, studio individuale e profilo degli studenti

Le abilità richieste per lo studio individuale, che comprendono la pianificazione, attuazione e valutazione del proprio lavoro di apprendimento (O’Shea 2003), sembrano determinate da alcuni fattori. Ad esempio, sono più abili coloro che hanno riportato un voto di maturità più elevato (Dante et al 2011), e coloro che hanno appreso un metodo di studio autonomo: studiare da soli, infatti, è qualcosa che si apprende e si affina lungo il corso della vita (Shauna 2010). Esistono inoltre delle profonde differenze tra studenti traditional e non-traditional (Jeffreys 2006). Lo studente traditional, che ha appena concluso la scuola secondaria (20,21 anni) è capace di cogliere molte informazioni ma è meno abile nell’elaborazione e nella capacità di fissarle a lungo nel tempo; è capace di gestire contestualmente più compiti ma ha difficoltà a realizzare esperienze di apprendimento significative e profonde; è uno studente supportato dalla famiglia, con discreto tempo a disposizione da dedicare allo studio (Jeffreys 2006). A fianco di questi studenti, nei CdS delle professioni sanitarie sono sempre più numerosi gli studenti non-traditional (> 30 anni), che affrontano i corsi di laurea come seconda carriera lavorativa o universitaria; sono meno abili nella ricerca di informazioni ed hanno metodologie di studio più tradizionali (appunti, sottolineatura), ancora su carta. Hanno meno tempo a diposizione perché hanno responsabilità famigliari o lavorative; sembrano inoltre più abili ad integrarsi nel mondo accademico ed a comprenderne le esigenze.

Esiste una relazione complementare tra studio individuale e studio guidato: lo studio guidato, infatti, è quella strategia adottata dal docente o dal tutor per guidare lo sviluppo delle abilità di studio individuale. Mentre gli studenti traditional, hanno bisogno ad esempio di guida a intensità decrescente su come affrontare la disciplina, quali materiali selezionare, come costruire mappe concettuali, per stimolare in loro l’autonomia e accompagnarla nel tempo; gli studenti non-traditional hanno invece bisogno di essere guidati maggiormente nella individuazione delle priorità perché hanno poco tempo a disposizione. Infatti, quando gli studenti non-traditional provengono da altri campi disciplinari o esperienziali, non è detto che il criterio di individuazione delle priorità che hanno imparato sia valido per lo studio della anatomia o di una clinica.

Pertanto, lo studio guidato potrebbe essere a maggiore intensità nelle fasi iniziali del curriculum, e progressivamente meno importante nelle fasi successive; potrebbe anche differenziarsi nell’intensità da studente a studente, in base ai bisogni di ciascuno. Le abilità di studio individuale possono infatti essere misurate con alcuni strumenti che informano sull’intensità della guida da offrire agli studenti:

– Self-Directed Learning Readiness Scale (SDLRS) (Guglielmino, 1983): consiste in un questionario auto-compilato composto da 57 item su scala Likert a 5 punti: il punteggio ottenuto va da 57 a 285 e indica le preferenze, attitudini e disponibilità allo studio individuale (Brockett 1991).

– Oddi Continuing Learning Inventory (OCLI) (Oddi et al. 1990): identifica le caratteristiche di coloro che sono in grado di apprendere in modo autonomo (Harvey 2006), è formato da 24 item che misurano la motivazione, l’efficacia e le caratteristiche cognitive.

– Self-Rating Scale of Self-Directed Learning (SRSSDL) (Williamson 2007): consiste in una scala di autovalutazione delle abilità di apprendimento autonomo composta da 60 item, valutati su scala Likert a 5 punti che misurano consapevolezza, modalità di apprendimento, attività di apprendimento, valutazione e abilità interpersonali. Recentemente questa scala è stata validata in Italia (Cadorin et al. 2012): l’analisi fattoriale ha permesso di ridurre gli item da 60 a 40, rendendola più veloce nella compilazione.

Studio guidato, studio individuale e filosofia dei sistemi formativi

Al di là delle abilità di studio dello studente e della guida offerta dal docente, deve essere considerata anche la filosofia che il sistema formativo esprime nella sua pratica quotidiana: tale filosofia orienta le scelte del singolo docente, del gruppo di docenti e dei tutor; ma anche la percezione degli studenti di poter chiedere guida e supporto, oppure no. Se osserviamo infatti un CdS attraverso alcuni indicatori di struttura quali ad esempio, la logistica, la distribuzione dei CFU lungo il triennio, e gli stessi calendari, potremmo ipotizzare:

– se dispone di uno spazio dedicato agli studenti per lo studio individuale, se riserva ai docenti tempo e spazio per ricevere gli studenti, come pure consente agli stessi di riportare nei registri anche il ‘tempo dedicato allo studente’ e non solo quello delle lezioni;

– se distribuisce con razionalità i CFU nel triennio, assicurando maggior accompagnamento al primo anno e più possibilità di scelta autonoma al terzo anno. Come pure;

– se progetta calendari con spazi dedicati e protetti per lo studio individuale;

– se siamo di fronte ad un sistema formativo che valorizza implicitamente lo studio guidato e individuale.

Analogamente, se osserviamo un CdS nei suoi indicatori di processo, ad esempio:

– se dispone di un corso introduttivo per gli studenti neo-matricolati sulle metodologie di studio universitario;

– se offre linee guida per l’auto-progettazione del tirocinio;

– se attiva e mantiene strategie di promozione e coinvolgimento degli studenti nella progettazione didattica,

anche in questo potremmo ipotizzare di essere di fronte ad un sistema formativo che valorizza lo studio guidato e individuale.

Vi sono, infatti, CdS che hanno fatto propria la valorizzazione dello studio individuale e guidato, altri che considerano questi aspetti come marginali. Pur nel rischio di estremizzare, potremmo affermare che a) i primi sostengono e sviluppano il processo di apprendimento e i suoi esiti; promuovono lo studio individuale in ogni sua forma, al fine di aiutare lo studente a raggiungere la capacità di studio indipendente. Si tratta di CdS focalizzati sullo studente e sul suo apprendimento dove la direzione è progressivamente trasferita dai docenti allo studente. b) i secondi, invece, controllano gli esiti attesi dell’insegnamento, magari standardizzando i programmi, i contenuti, le fonti di studio, ma non si preoccupano dei processi di apprendimento che accadono negli studenti. La direzione è affidata al docente/tutor e non è – o lo è poco – trasferita allo studente; questi ultimi sono misurati nel loro grado di aderenza alle conoscenze impartite e  non nella loro abilità di studio autonomo e indipendente.

Conclusioni

Con lo studio guidato e individuale, i CdS realizzano uno dei più importanti descrittori di Dublino (2004), secondo i quali il titolo finale del primo ciclo (Bachelor), può essere conferito a studenti che abbiano sviluppato capacità di apprendimento, che sono loro necessarie per intraprendere studi successivi con un alto grado di autonomia.

Studio individuale e guidato sono due risorse irrinunciabili, richiedono capacità strategiche, complementarietà, differenziazione (in base al bisogno degli studenti), ma anche una riflessione sulla filosofia del sistema formativo (e non solo del singolo docente). Lo studio individuale è l’outcome atteso di un efficace studio guidato che può realizzarsi attraverso diverse strategie: sessioni di studio guidato o di apprendimento delle learning skills; ricevimento personalizzato; linee guida o attivazione di servizi tutoriali, sono solo alcuni esempi.

Lo studio guidato può essere progettato ad alte risorse (per i CdS che contano tutor distaccati) ma deve fare i conti anche, in molti corsi, con scarse risorse (tutor, docenti, spazi). Comprendere l’esigenza di supporto di ciascuno studente è cruciale per offrirne più guida a coloro con scarse abilità di studio individuale.

Bibliografia

Cita questo articolo

Palese A., Cadorin L., Studio individuale e studio guidato. Concetti, bisogni e approcci, Medicina e Chirurgia, 58: 2596-2598, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-8

L’insuccesso accademico nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie e il monitoraggio dell’efficienza formativan.58, 2013, pp.2592-2595, DOI: 10.4487/medchir2013-58-7

Abstract

Italian Health Profession Degree Programs academic failure is comprised between 30 and 39%. Considering the progressive increase of this phenomenon and the recent Italian Law (D.M. n. 47, 2013) that considers academic failure as an indicator of educational inefficiency, it is become a priority to reflect on its determinants. Academic failure is due to a complex interaction between individual (e.g. age, gender), institutional (e.g. number of the students in the classes) and political factors (e.g. profession social image). Among this context, in order to increase educational efficiency, it is necessary to test multi-level strategies ranging from recruitment process to the curriculum redesign, as well as from the control of the lecturers and clinical learning environment quality, to the optimal tutor to students ratio. Strengthening the collaboration at different level, aiming to evaluate the effectiveness of the strategies undertaken is crucial.

Articolo

Introduzione

Con la recente emanazione del D.M. n. 47 del 30 gennaio 2013 – Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica – l’insuccesso accademico degli studenti universitari, definito come la differenza tra il numero di coloro che si immatricolano ad un Corso di Laurea (CL) e il numero di coloro che lo completano entro la durata legale prevista, è divenuto uno dei criteri considerati dell’ANVUR per la valutazione periodica delle attività formative universitarie1. Considerando i meccanismi premianti introdotti dal D.Lgs n. 19 del 27 gennaio 20122, l’attuazione di strategie volte a ridurre i livelli di insuccesso accademico è divenuta  una priorità. In occasione del Meeting della Conferenza Permanente dei CL delle Professioni Sanitarie (CLPS)  svoltosi a Portonovo il 15-16 settembre 2012 in una sessione dedicata alle tematiche formative si è riflettuto sul fenomeno dell’insuccesso accademico dei Corsi di  Studio delle Professioni Sanitarie, al fine di  analizzarne i  possibili fattori predittivi ed  elaborare strategie mirate.

 

+Il dato fa riferimento a tutti i corsi di Laurea triennali nazionali che aderiscono ad AlmaLaurea.

L’entità dell’insuccesso accademico

L’insuccesso accademico è molto diffuso a livello nazionale (Tab. 1): AlmaLaurea (2011)3 ha documentato che, nel 2010, solo il 38,0% degli studenti universitari ha conseguito la laurea triennale nei tempi previsti, con una durata media del percorso di studi delle lauree triennali  di 4,7 anni. Le indagini condotte nel triennio 2009/2011 evidenziano una sostanziale stabilità dei tassi di insuccesso nazionali riferiti a tutte le lauree triennali (61-62%) ed un trend in aumento della durata media del percorso di studi (D +0,1 su base annua). Confrontando i dati complessivi con quelli dei CLPS, questi ultimi mostrano un quadro più soddisfacente. Nello stesso anno il tasso medio d’insuccesso è stato, infatti, del 35,0% mentre la durata media del percorso di studi è stata di 3,8 anni con un ritardo medio alla laurea di 0,8 anni. Anche per quanto riguarda le performances riportate nei voti di laurea, la situazione dei CLPS è migliore. Il punteggio medio ottenuto dagli studenti dei CLPS nel triennio di riferimento è costantemente oltre la media nazionale di almeno 3 punti. Tra i CLPS il maggior livello di insuccesso (39,0%)  è stato registrato dai CL della classe della Riabilitazione mentre, al contrario, i CL della classe della Prevenzione hanno evidenziato il minor livello (30,0%).  L’insuccesso per i CL della classe delle Professioni Tecniche è stato invece del  32% mentre quello relativo ai CL in Infermieristica ed Ostetricia si è attestato al 34%. Con riferimento alle coorti degli immatricolati ai CL in Infermieristica nel decennio 1997-2007, seppur con una lieve approssimazione, si è registrata una progressiva diminuzione dell’insuccesso accademico  dal 38% al 25% (D -13%). Tale dato sembra aver seguito il progressivo aumento del rapporto tra i candidati ed posti disponibili registrato anche negli altri CLPS4 in modo inversamente proporzionale.

Nonostante tali dati appaiono confortanti alla luce delle recenti indicazioni normative1-2, considerando il trend relativo al triennio 2009-2011 in cui emerge per i CLPS un progressivo aumento dell’entità del fenomeno (D + 8% nel triennio 2009/2011), un aumento della durata del percorso di studi (D+0,1 anni su base annua) ed una lieve flessione dei voti medi alla laurea, è oggi prioritario riflettere sui determinanti d’insuccesso al fine di ottenere un continuo miglioramento dell’efficienza formativa.

Il percorso accademico degli studenti universitari e l’efficienza formativa

Gli studenti che intraprendono il percorso accademico possono seguire due principali traiettorie evolutive. La prima, quella del “successo” è seguita da coloro che concludono il percorso entro la sua normale durata legale1. La seconda, quella “dell’insuccesso” è invece seguita da coloro che, al contrario, non completano il percorso di studi entro la sua durata naturale. L’insuccesso è costituito da due componenti fondamentali: il primo, riguarda gli studenti che per qualsiasi ragione “abbandonano” il percorso di studi precocemente (entro il primo semestre del primo anno) o tardivamente (successivamente al primo semestre)5; il secondo è invece costituito dagli studenti “fuori corso” che, volontariamente (ad esempio per motivi personali) o, involontariamente (ad esempio per fallimento agli esami) non completano il percorso nei tempi previsti. Elevati livelli di insuccesso rappresentano un indicatore di inefficienza formativa1. Il fenomeno può assumere però valenza “positiva” qualora lo studente, abbandonando gli studi, trovi risposta alle aspirazioni ed ai talenti personali nell’ambito di altri percorsi accademici o quando, volontariamente, decide di rallentare la progressione per allineare le esigenze personali al carico di studio, mantenendo elevate le performaces negli esami6. La valenza positiva dell’insuccesso è presente anche nel caso in cui l’efficacia del sistema didattico e tutoriale permetta di intercettare gli studenti fragili e con difficoltà di apprendimento, rallentandone la progressione e offrendo supporto con piani di recupero personalizzati. Solo attraverso il consolidamento del bagaglio culturale necessario è infatti possibile garantire una pratica professionale sicura. Tali esempi, abbastanza frequenti nei percorsi formativi delle professioni sanitarie, non sono ascrivibili ad inefficienza del sistema universitario e subire acriticamente pressioni a laureare studenti nei termini previsti, può essere fuorviante e rischioso. Il dibattito sui livelli accettabili di insuccesso, il cui azzeramento non è possibile, né auspicabile, rimane quindi problema complesso e aperto. Un’attenta riflessione deve essere posta sulla frazione di evitabilità del fenomeno e cioè, sulla quota d’insuccesso determinato dalle inefficienze del sistema universitario. La carenza di percorsi part-time che agevolino la frequenza degli studenti lavoratori, programmi di studio non calibrati alle capacità  e all’impegno di uno studente medio, l’inefficacia di alcuni sistemi tutoriali7 e delle strategie di reclutamento e selezione8-9, sono solo alcuni  aspetti del sistema universitario che possono agire come determinanti del fenomeno. Lo studio sistematico dell’insuccesso permetterebbe di individuarne le cause, determinare i momenti in cui, durante il triennio, esso si acutizza, comprenderne la quota evitabile e stabilirne i livelli minimi accettabili.

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La ricerca dei determinanti di insuccesso accademico

Diversi autori hanno dimostrato interesse nel documentare  i possibili determinanti di insuccesso accademico10-11. Le ragioni sono da ricercarsi essenzialmente nell’impatto del fenomeno sulle performance universitarie (penalizzazioni economiche previste per i corsi di studio ad elevato insuccesso)2-11, nei notevoli costi sociali da esso derivanti12 e nel contributo fornito nell’acuire, ove presenti, situazioni di carenza futura delle diverse figure professionali disponibili nei sistemi sanitari13. L’insuccesso sembra realizzarsi attraverso una complessa interazione di fattori individuali (es. genere, età, scolarità, etnia), istituzionali (es. numerosità degli studenti nelle aule) e politico/professionali (immagine sociale della professione, economie locali)14. Le evidenze disponibili consentono di definire il profilo degli studenti a rischio d’insuccesso che sembrano  distinguersi per la presenza di alcune caratteristiche peculiari15 come ad esempio il genere maschile, l’età inferiore ai 23 anni, il background formativo debole (espresso con un basso punteggio di maturità), la presenza di un carico familiare, la presenza di difficoltà economiche che rendono necessario lo svolgimento di attività lavorative contestuali alla frequenza del corso. Seppure tali evidenze provengano soprattutto da studi in ambito infermieristico e quindi non siano generalizzabili a tutti i CLPS, la conoscenza dei possibili determinanti d’insuccesso, ne permette l’utilizzo come variabili d’indagine per lo studio del fenomeno. Rispetto alla frazione di evitabilità dell’insuccesso il contributo fornito dalla ricerca è purtroppo ridotto. Tra i fattori istituzionali associati all’insuccesso, si evidenziano: a) l’eccessiva numerosità degli studenti in aula16 che, riducendo la possibilità di interazione e confronto tra docente e studenti, non facilita i processi di apprendimento con dirette ricadute sulle performance d’esame e conseguente accumulo di ritardo nel percorso; b) le strategie di reclutamento e selezione qualora non permettano di individuare gli studenti di talento, motivati e con le maggiori abilità di studio8-9; c) le  metodologie tutoriali, spesso inadeguate nel sostenere ed orientare lo studente nel percorso di studi7. Solo attraverso l’intervento sui fattori istituzionali si potrà ottenere la riduzione dell’insuccesso evitabile ottenendo la piena e reale efficienza formativa universitaria.

Le possibili strategie per il miglioramento dell’efficienza formativa

Sono disponibili strategie  per ridurre l’insuccesso che tuttavia hanno bisogno di essere ancora valutate nella loro efficacia9-17. La prima strategia riguarda il reclutamento degli studenti9: numerosi abbandoni si  verificano, infatti, per una mancata risposta del Corso di studi alle aspettative dello studente18. Fornire ai possibili aspiranti, già nelle scuole secondarie, informazioni approfondite e di elevata qualità, permetterebbe di creare aspettative realistiche riducendo gli effetti negativi prodotti dallo shock da realtà che lo studente si trova a vivere non trovando piena corrispondenza rispetto a quanto immaginato19. Utili in tal senso potrebbero rivelarsi l’introduzione/rafforzamento delle visite guidate nei luoghi di cura affinché l’aspirante possa confrontarsi con l’ambito professionale di riferimento ed  il rafforzamento della partnership tra Università e Servizio Sanitario Nazionale17. Ulteriori esperienze di contrasto del fenomeno potrebbero essere: a) l’affinamento delle strategie di selezione degli studenti, riflettendo sulla possibilità di poter valorizzare il voto di maturità per incrementare la proporzione di studenti  con le migliori attitudini allo studio9; b) l’attivazione di un tutorato intensivo e supportivo, soprattutto per gli studenti del  primo anno7-20; c) il miglioramento della qualità degli ambienti di tirocinio clinico che hanno un pesante impatto sugli esiti di apprendimento21; d) la negoziazione diretta ed indiretta di supporti economici necessari a sostenere gli studenti motivati e di talento che vivono difficoltà economiche17. Nell’ottica del miglioramento dell’efficienza formativa, le esperienze proposte permettono di tenere aperto il dibattito sulla ricerca delle possibili strategie di intervento e sulla loro efficacia.

Conclusioni

Gli stimoli forniti dalle recenti norme, rafforzano la necessità di un continuo confronto interdisciplinare sulle tematiche proposte. La condivisione delle esperienze generate dai diversi gruppi disciplinari garantisce una rapida evoluzione delle conoscenze e, considerando la natura vincolante delle norme, è opportuno che  gli sforzi comuni siano indirizzati non solo al continuo monitoraggio dei fattori predittivi ma soprattutto a documentare l’efficacia delle strategie di miglioramento dell’efficienza formativa proposte. Emerge l’esigenza di intervenire in particolar modo sugli elementi istituzionali che sembrano incidere in modo significativo sugli esiti accademici degli studenti senza tuttavia tralasciare i fattori individuali che, seppur spesso non modificabili, rappresentano una preziosa fonte informativa utile a modulare e personalizzare il percorso formativo dello studente. Aumentare l’efficienza formativa, di cui l’insuccesso ne è un indicatore negativo, richiede azioni di ampio respiro, che vanno dalle strategie di reclutamento e selezione, alle scelte di progettazione curriculare, al monitoraggio della qualità degli insegnamenti, degli ambienti di tirocinio, delle modalità di tutorato, fino al supporto nel metodo di  studio ed alla definizione della composizione e della numerosità delle aule e quindi del rapporto studente/docente. Azioni che, vista l’estrema complessità del fenomeno e la variabilità degli attori coinvolti, richiedono uno sforzo comune, di confronto e supporto, tra i diversi  soggetti accademici.

Attualmente il sistema universitario italiano incentiva con molti meccanismi lo sviluppo della ricerca e contestualmente ha abbassato l’attenzione alla didattica. Investire sulla qualità dell’offerta formativa vuol dire anche premiare e incentivare i docenti a dedicare “pensiero” e tempo agli studenti e alla loro formazione. Forse è giunto il momento di rioerientare il sistema con maggior equilibrio tra la sua doppia mission: di didattica e di ricerca.

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano Angelo Mastrillo per aver reso disponibili i dati relativi all’insuccesso accademico nei CL in Infermieristica.

Bibliografia

1) Decreto Ministeriale 30 gennaio 2013 n. 47. Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica. Roma 2013.

2) Decreto Legislativo 27 gennaio 2012, n. 19. Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Roma, 2012.

3) AlmaLaurea, profilo corsi di laurea triennali. 2011; http://www2.almalaurea.it/cgi-php/universita/statistiche/framescheda.php?anno=2010&corstipo=L&ateneo=tutti&facolta=tutti&gruppo=tutti&pa=tutti&classe=tutti&corso=tutti&postcorso=tutti&disaggregazione=tutti&LANG=it&CONFIG=profilo.

4) Mastrillo A. Lauree Triennali delle Professioni Sanitarie. Dati sull’accesso ai corsi e programmazione posti nell’a.a. 2012-13. Il notiziario AITN, Ass. Tecn. Neurofisiopatol. 2012; 1-4:37-49.

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21) Bradbury-Jones C, Sambrook S, Irvine F. The meaning of empowerment for nursing students: a critical incident study. J Adv Nurs. 2007; 59:342-351.

Cita questo articolo

Dante A., Saiani L., L’insuccesso accademico nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie e il monitoraggio dell’efficienza formativa, Medicina e Chirurgia, 58: 2592-2595, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-7

L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativin.58, 2013, pp.2586-2591, DOI: 10.4487/medchir2013-58-6

Abstract

The importance of interprofessional practice is motivated by the impact that chronic diseases have on health systems and the dissemination of organizational models primary care-oriented. The World Health Organization (WHO) awarded to Interprofessional Education (IE) a crucial role in building the capacities needed to “work together” to meet the needs of the population. From the first experiments to date, interest in the FI has continued to grow among educators and researchers: were developed objectives, methodologies and evaluation forms that allow you to have interesting didactic models of IE. However, many barriers stand in the way for an effective realization of the IE. A particularly crucial element is represented by the expertise of teachers in inter-professional education which must be acquired through specific development initiatives and upgrade. Although the literature provides many examples of IE, further methodologically rigorous studies are required to confirm the positive conclusions that we now have, both in terms of actual change in students’ behaviors and results in terms of health and well-being of patients. However, the results of IE can be achieved successfully only if interprofessional practice is supported by the finding of a genuine integration between health policy and education policy.

Articolo

Introduzione

L’attuale quadro epidemiologico è caratterizzato da una prevalenza di malattie cronico-degenerative sia in termini di diffusione che di gravità dei quadri clinici ad essi connessi1. La multifattorialità eziologica e l’impossibilità di ottenere la completa restitutio ad-integrum, come risultato della cura o, almeno, come esito di un singolo intervento curativo, fanno di tali malattie un rilevante problema di carattere sanitario, sociale ed economico. Per poterle fronteggiare, sono necessari approcci unitari e globali di cura basati sull’utilizzo coordinato di risorse afferenti non solo al sistema sanitario, ma anche ad altri settori della società2. Per gli operatori della salute, la necessità di fornire risposte appropriate alla domanda di salute espressa dai pazienti con tali malattie, implica la ricerca di nuovi rapporti di collaborazione ed integrazione, anche sotto forma di nuove modalità organizzative ed assistenziali, rispetto a quelle offerte tradizionalmente dagli ospedali per acuti in cui una certa concezione riduzionistica della malattia ha generato la parcellizzazione degli interventi sanitari. A tale parcellizzazione ha contribuito anche l’esponenziale sviluppo  della medicina, i cui elevati e complessi livelli del sapere hanno costretto ad una ridistribuzione e ad un utilizzo delle conoscenze tra molteplici discipline e professioni che perseguono obiettivi comuni. Le malattie cronico-degenerative vengono curate meglio se affrontate simultaneamente ed in modo integrato. In quest’ottica la pratica interprofessionale può offrire importanti contributi al superamento di quegli approcci che scompongono i problemi di salute nei suoi costituenti più elementari, affrontandoli per parti e perdendone la visione d’insieme3. L’Interprofessionalità rende manifesto e ri-compone in nuove forme il contributo delle diverse professionalità di risposte ai complessi bisogni di salute dei pazienti.

L’Interprofessionalità  rimanda necessariamente ad una impostazione metodologica del sapere e del fare che può esprimersi solo attraverso una rete di relazioni tra professionisti. A cominciare dalla formazione di base delle professioni della salute.

Le ragioni della Formazione Interprofessionale: la pratica interprofessionale

La pratica interprofessionale è una modalità di definizione e gestione di problemi in cui le parti coinvolte ne individuano i diversi aspetti, ne esplorano costruttivamente le differenze e cercano soluzioni che vanno ben oltre la visione personale di cosa sia possibile fare4. E’ costruita intorno a concetti di condivisione di valori, di presa di decisioni e di responsabilità. Presuppone rapporti autentici e costruttivi basati su onestà, fiducia e rispetto reciproci. La premessa della pratica interprofessionale è che ogni componente del team sia a conoscenza del contributo specifico che gli altri possono apportare e che ciascuno sia predisposto a valorizzare i contributi e le prospettive degli altri professionisti con cui collabora.

Secondo l’OMS, nei prossimi decenni, le patologie cronico-degenerative continueranno ad essere le principali cause di disabilità e di morte.  Il prendersi cura di persone affette da tali malattie sarà una sfida che i sistemi sanitari del XXI secolo dovranno affrontare con grande incisività5, trasferendo le cure dall’ospedale ai servizi territoriali e superando il modello monosettoriale che caratterizza l’assistenza ospedaliera.

Oramai il sapere scientifico a cui attingere per la cura di malati così complessi è talmente vasto da non poter caratterizzare in maniera esaustiva l’intervento di un singolo professionista della salute. Lo stesso affermarsi di una concezione della salute che considera la malattia l’espressione di una complessa interazione di fenomeni e di esperienze che coinvolgono globalmente la persona malata, mette l’accento sulla necessità di superare  modelli parcellizzati di interventi sanitari a favore di approcci maggiormente integrati realizzabili attraverso la pratica collaborativa.

L’OMS dà indicazione di alcuni ambiti particolarmente sensibili alla pratica interprofessionale6 (Tab 1). Nello scenario globale, uno di questi è rappresentato dall’area materno-infantile che ogni giorno è colpita da un elevata mortalità causata da complicazioni da parto. I dati allarmanti e prevedibili delle statistiche sulla mortalità materno-infantile possono essere efficacemente abbattute, secondo l’OMS, dalla gestione integrata dei problemi di salute della famiglia da parte di operatori sanitari ben addestrati a lavorare in gruppi interprofessionali. Una seconda area considerata sensibile alla pratica interprofessionale è quella relativa a malattie quali HIV/AIDS, tubercolosi e malaria. L’integrazione ed il coordinamento dei diversi gruppi professionali, capaci di adattare i loro interventi di prevenzione e trattamento alle peculiarità dei contesti locali, sono di fondamentale importanza per il successo dei programmi di prevenzione e trattamento, finalizzati a ridurre la diffusione e la quota di decessi  causati da tali malattie.

Salute pubblica relativa a famiglia e comunità
 HIV/AIDS, tubercolosi e malaria
 Emergenze e crisi umanitarie
 Epidemie e pandemie

Tab. 1 – Contesti/problemi sensibili all’approccio interprofessionale (OMS 2010).

Una terza area riguarda tutte quelle situazioni di crisi umanitarie e di conflitto per le quali sono richieste risposte ben pianificate e coordinate, peculiari dei contesti di emergenza in cui, spesso, è necessario superare anche le esigenze più elementari di approvvigionamento di acqua, cibo e medicinali con un buon impiego delle risorse e dei mezzi disponibili all’interno dei sistemi sanitari locali e delle comunità interessate6. Le situazioni sopra accennate sono tutte caratterizzate da bisogni molto diversificati e fortemente instabili che vanno affrontati con risposte interprofessionali ben integrate con il territorio, conformi ed adeguate ai contesti ambientali, orientate a garantire la sicurezza del singolo e delle comunità ed a ottimizzare le risorse sanitarie, spesso limitate e insoddisfacenti, dei paesi in cui si verificano.

In letteratura, i risultati della pratica interprofessionale sono valutati da diversi punti di vista. Ad oggi i dati forniti dalla ricerca suggeriscono che il lavoro basato sul team può massimizzare e rafforzare le competenze di ciascun professionista e migliorare l’efficienza dei processi assistenziali, quando il gruppo interprofessionale è in grado di ridurre la sovrapposizione di servizi e interventi, di applicare modelli di cura condivisi, di realizzare una maggiore continuità e un miglior coordinamento delle cure e di coinvolgere i paziente nel processo decisionale. La pratica interprofessionale può risultare utile anche per rafforzare l’adesione alla mission istituzionale ed evitare disaffezione per il lavoro; può contribuire a mitigare la migrazione della forza lavoro sanitaria perchè determina una  maggiore soddisfazione degli operatori sanitari quando riescono effettivamente a lavorare in team6.

Non sono molte le esperienze che dimostrano l’effettivo contributo della pratica interprofessionale ad una migliore accessibilità e coordinamento dei servizi, all’uso appropriato delle risorse specialistiche, al miglioramento degli esiti assistenziali ed alla sicurezza dei pazienti.  L’esiguità di studi sugli outcome clinici7 può essere attribuito alla difficoltà nel controllo di variabili legate ai meccanismi relazionali e valoriali che sottendono i meccanismi processuali della risposta globale alle cure. Tuttavia i risultati documentati in letteratura incoraggiano a proseguire nella verifica di tali esiti e a procedere negli sforzi necessari a costruire le competenze utili a “lavorare insieme”.

Definizione ed obiettivi

L’agire interprofessionale dovrebbe essere annoverato tra le principali competenze del professionista della salute da sviluppare fin dal contesto formativo di base attraverso metodologie innovative e coerenti con le finalità della pratica interprofessionale da applicare ai processi di cura, di assistenza e di riabilitazione.

L’OMS conferisce alla Formazione Interprofessionale (FI) un ruolo primario  per preparare gli studenti delle professioni sanitarie alla pratica interprofessionale2. La prima esperienza di FI risale al 1986 quando l’Università Linköping in Svezia iniziò ad implementare l’educazione interprofessionale per gli  studenti  della Facoltà di Scienze della Salute con la programmazione di percorsi formativi specifici e con l’attivazione di un reparto a conduzione interprofessionale8. Nello stesso periodo, nel Regno Unito viene fondato il Center for the Advancement of Interprofessional Education (CAIPE) organismo indipendente che associa organizzazioni professionali e universitarie interessate allo sviluppo della pratica interprofessionale e della qualità dell’assistenza erogata da professionisti che abbiano appreso a lavorare insieme. Il CAIPE ha continuato nel tempo a sostenere e a diffondere l’approccio interprofessionale alla formazione e alle cure sanitarie, sia in ambito nazionale che internazionale9. Negli anni 2000, la Formazione Interprofessionale si è andata consolidando in termini di quantità e qualità di esperienze. Un numero sempre crescente di paesi ha iniziato a focalizzarsi sulla prospettiva interprofessionale per rinnovare i propri sistemi sanitari. Intorno al tema dell’Interprofessionalità sono nate riviste, associazioni e network (Tab 2). Ad oggi, l’interesse per la FI continua a crescere all’interno delle politiche sanitarie, tra i formatori ed i ricercatori per avviarsi a diventare caratteristica dominante della formazione contemporanea in sanità10.

Nel Report del 1988 “Learning together to work together”, l’OMS ne ha legittimato la finalità: “la Formazione Interprofessionale assicura ai professionisti della salute la capacità di lavorare insieme per incontrare i bisogni della popolazione”. Nel 1997,  la FI è stata definita dal CAIPE una situazione di apprendimento che si verifica “… quando due o più professioni apprendono con, da e su ognuna di esse con l’obiettivo di migliorare la collaborazione e la qualità della cura” (Fig. 1). Alla FI viene dunque affidato il compito di implementare le competenze basate su cooperazione, assertività, responsabilità, autonomia, comunicazione, coordinamento, fiducia e rispetto reciproco11 attraverso un approccio globale alla formazione che coinvolge non solo l’aspetto cognitivo degli studenti, ma che mette in gioco tutte le potenzialità della persona in formazione. Gli obiettivi specifici della FI sono così riassunti da D’Amour et al.12: volontà a lavorare insieme, fiducia nella propria ed altrui competenza, rispetto reciproco, conoscenza del contributo alla cura del paziente delle altre figure professionali. Per la realizzazione di tali finalità, si tratta di andare oltre la formalità  dei “corsi integrati” – che spesso si sono rivelati molto lontani da un dialogo interdisciplinare – per  realizzare una feconda sinergia tra docenti e discipline e costruire una modalità di approccio formativo che consenta agli studenti di esplorare le infinite modalità con cui il paziente incontra la sua malattia anche attraverso il confronto con altri approcci di cura e di valutare di volta in volta le soluzioni più idonee ed appropriate in un ottica multidimensionale e globale, con un pensiero che non separa o riduce, ma contestualizza e collega ciò che è complesso.

I metodi ed i contesti

A dimostrazione della diffusione della FI, è da notare che il termine “patient care team” è tra le key words della banca dati PUbmed da circa 40 anni13. La maggior produzione di studi riguardanti la FI proviene dagli USA (54%) e dal Regno Unito (35%). La durata delle esperienze di FI è > 2 giorni in quasi tutti i casi (54% >7gg; 24% 2-7gg). La FI viene condotta sia in ospedale che sul territorio. È rivolta a medici ed infermieri in più dell’80% delle esperienze14.

La ricerca di settore indica che la FI è maggiormente efficace quando vengono utilizzati i principi dell’apprendimento degli adulti, quando i metodi di apprendimento riflettono le reali esperienze degli studenti e favoriscono le loro interazioni. Molte di queste esperienze sono infatti informate da strategie di progettazione e di insegnamento basate sulla teoria di apprendimento degli adulti15, sul coinvolgimento emotivo e cognitivo del gruppo come strumento di apprendimento e sull’apprendimento come processo di modellamento tra un modello osservato e un discente osservatore. Dentro questi riferimenti teorici vengono utilizzati metodi di apprendimento attivo quali il Problem Based Learning e le discussioni di casi clinici in piccoli gruppi così caratterizzati: gruppi in cui sono rappresentati in modo equilibrato tutte le diverse figure professionali in formazione16; gruppi stabili con 8-10 studenti17 in modo da favorire  una certa conoscenza reciproca18. Nel piccolo gruppo gli studenti possono analizzare le storie dei pazienti e i diversi aspetti di un problema di salute partendo dalle specifiche prospettive professionali, ma individuando soluzioni capaci di superare i confini ed i limiti di modelli e strumenti su cui ogni professionista basa la propria attività e le proprie modalità comunicative.

Australasian Interprofessional Practice and Education Network (AIPPEN) http://www.aippen.net/
Canadian Interprofessional Health Collaborative (CIHC) http://www.cihc.ca/
European Interprofessional Education Network (EIPEN) http://www.eipen.eu/
National Health Sciences Students’ Association in Canada (NaHSSA) http://www.who.int/workforcealliance/members_partners/member_list/nhssa/en/index.html
The Network: Towards Unity for Health. http://www.the-networktufh.org/
Nordic Interprofessional Network (NIPNet) http://nipnet.org/
Centre for the Advancement of Interprofessional Education (CAIPE) http://www.caipe.org.uk/

Tab. 2 – Organizzazioni internazionali.

I contesti di tirocinio che maggiormente offrono un terreno favorevole allo sviluppo di atteggiamenti e competenze interprofessionali sono identificati negli ambiti della Geriatria19, della Primary Health Care20, della Rural Medicine21,  della Medicina Riabilitativa22. Sono in definitiva rappresentati da tutti quei contesti dove la qualità delle relazioni e dei processi supera con più facilità le asimmetrie di potere a favore di strategie di negoziazione e di costruzione di comuni obiettivi. L’apprendimento risulta più efficace quando gli studenti si inseriscono in ambienti favorevoli ai rapporti, alle relazioni e ai contatti umani, in cui si evitano tutte quelle situazioni di anonimato e di indifferenza così frequenti nelle aule, nelle segreterie e, ancor peggio, nei contesti di tirocinio che reclamano, tra gli obiettivi dichiarati, la competenza comunicativa ma dove spesso non c’è alcuna traccia di ascolto e di comunicazione con cui lo studente possa confrontarsi e sperimentarsi. Il clima educativo, caratterizzato da collaborazione e supporto tra docenti, studenti, tutor e quanti partecipano quotidianamente alla vita universitaria con responsabilità non solo formative, ma anche organizzative, dovrebbe permettere allo studente di muoversi all’interno di una progettualità formativa in maniera flessibile, ma soprattutto dovrebbe diventare l’immagine di quell’ambiente che lui stesso dovrà ricreare intorno al paziente nel futuro esercizio professionale. Condizioni particolarmente fertili alla Formazione Interprofessionale sono anche attribuite a quell’ampia gamma di attività extracurricolari23 che gli studenti delle diverse professioni possono condividere al di fuori dei momenti di formazione formale e che vanno dalla musica, allo sport, alla condivisione di progetti di volontariato e di cooperazione internazionale.

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Fattori ostacolanti e favorenti

La letteratura descrive numerosi fattori che ostacolano la realizzazione di un approccio formativo così complesso quale è quello della FI.  Parsell & Bligh24 li riassumono  nelle seguenti tipologie: strutturali (es.: la mancanza di spazi idonei e di risorse finanziarie); legati agli atteggiamenti (es.: le resistenze al cambiamento); curriculari (es.: la rigidità dei piani di studio, la scarsa formazione dei docenti); disciplinari (es.: approcci riduzionisti alla conoscenza, la mancanza di conoscenza di altre professioni).

Tra gli elementi che influiscono positivamente sullo sviluppo della FI, alcuni autori individuano la competenza acquisita in materia di educazione interprofessionale dai docenti stessi attraverso specifici corsi14. Su questo aspetto, l’OMS sollecita i paesi interessati a potenziare programmi di FI per docenti con lo scopo di dotarli di conoscenze, abilità e attitudini per promuovere l’apprendimento interprofessionale tra gli studenti sia in ambito clinico sia in aula. In particolare, si suggerisce che la formazione dei docenti comprenda focus specifici sui cambiamenti attitudinali, sulla comprensione dei ruoli e delle responsabilità degli altri professionisti sanitari e sull’acquisizione di abilità interprofessionali da applicare in quelle stesse aree utilizzate per la formazione degli studenti6. Steinert25  raccomanda che i programmi formativi per i docenti ruotino intorno a tre argomenti chiave: gli atteggiamenti che impediscono il successo della pratica interdisciplinare; la padronanza della didattica interdisciplinare, la conoscenza degli elementi di progettazione curriculari. In definitiva, la FI, per gli obiettivi che persegue e le metodologie che utilizza, richiede ai docenti una professionalità nuova, che non può essere improvvisata, ma che va acquisita soprattutto attraverso specifiche iniziative di formazione e di aggiornamento. Essa è frutto di integrazione di competenze scientifico-culturali con competenze psicopedagogiche sostenute dal vivo interesse dei docenti per gli studenti da formare.  Il docente deve aver ben chiaro che la FI richiede, come tutti i compiti didattici: 1. l’assunzione di un modello antropologico che metta bene in risalto come il soggetto della formazione sia tutto lo studente e non solo la sua sfera cognitiva; 2. l’utilizzo di metodologie didattiche che spostino l’attenzione dall’insegnamento allo studente e ai suoi processi di apprendimento; 3. un forte orientamento etico che deve restituire a ciascuno dei protagonisti (docente-studente) la responsabilità del processo, invitandoli a confrontarsi con la ricaduta dei risultati nei confronti del paziente26. Gli sforzi dei docenti devono essere naturalmente accolti in un contesto di Facoltà e di Ateneo decisamente orientato a creare opportunità di apprendimento collaborativo, a potenziare i team ed ogni iniziativa di collaborazione, a sostenere programmi di implementazione della didattica interprofessionale.

I risultati

Alla ricchezza delle proposte formative interprofessionali descritte in letteratura, non sempre corrisponde la valutazione critica dei suoi risultati soprattutto in termini di ricadute sulla salute.  E’ vero che la valutazione in ambito formativo si confronta con numerose limitazioni per lo più legate alla complessità delle realtà di apprendimento e non sempre riconducibili alla semplicità univoca degli indicatori. Tutta la ricerca in campo educativo risente di problematiche non facilmente risolvibili, come la mancanza di strumenti idonei a documentare i risultati ottenuti; i campioni numericamente limitati per ragioni etiche, metodologiche e pratiche; la difficile costituzione di gruppi di controllo per l’impossibilità a riprodurre situazioni formative pressoché identiche; la difficoltà di riproducibilità per le particolari caratteristiche del fattore umano, tipico di ogni ricerca in campo educativo, che, a parità di protocollo, modifica intrinsecamente la composizione del gruppo, le dinamiche relazionali e le logiche di cooperazione/competizione26.

Le esperienze valutative della FI  puntano maggiormente al gradimento degli studenti.  La revisione di  Hammick M, et al.14 sull’esperienze di FI evidenzia che essa è generalmente ben accolta dai partecipanti e consente agli studenti di apprendere le conoscenze e le competenze dei diversi professionisti, ma è meno in grado di influenzare in modo positivo gli atteggiamenti e le percezioni verso gli altri componenti del team. Nel quadro delle iniziative di miglioramento della qualità, la Formazione Interprofessionale è spesso consigliata per migliorare lo sviluppo della pratica e dei servizi. Tuttavia si suggerisce di documentare con maggior dettaglio le strategie che possono contribuire al cambiamento degli atteggiamenti, anche adottando modalità comuni per la valutazione dei risultati prodotti dalla FI ed aprendo l’analisi ai contesti di pratica simulati e reali, fino ad osservare i risultati sul paziente e sulle modalità di erogazione delle cure nei servizi sanitari.

Per approcci valutativi maggiormente comparabili, Hammick suggerisce di utilizzare i 4 livelli di valutazione proposti di Kirkpatrick che prevedono, al primo livello, la valutazione delle opinioni degli studenti sulle esperienze di apprendimento interprofessionale; al secondo livello la valutazione delle modifiche negli atteggiamenti o nelle percezioni reciproche tra i gruppi di partecipanti alla FI; al terzo livello la valutazione del cambiamento effettivo dei comportamenti attraverso l’applicazione dell’apprendimento interprofessionale negli ambienti di lavoro con conseguenti modifiche dei modelli organizzativi; infine, al quarto livello, i vantaggi ottenuti dai pazienti dall’applicazione dei contenuti della FI in termini di salute e benessere.

Conclusioni

L’impegno profuso dai contesti educativi per attivare programmi di Formazione Interprofessionali basati su specifici obiettivi, su adeguate metodologie e su appropriate forme di valutazione non può essere disgiunto da quello profuso dai contesti assistenziali per realizzare una pratica interprofessionale funzionale  ed appropriata alla gestione dei nuovi bisogni di salute della popolazione ed in particolare dei pazienti affetti da malattie cronico-degenerative. “Learning together to work together for better health” è quanto è stato ribadito dall’OMS nel 2010 per ciò che riguarda la FI: la volontà di formare le competenze dell’agire interprofessionale è giustificata esclusivamente dalla volontà di perseguire una reale integrazione dell’atto sanitario per una migliore gestione dei problemi di salute.  Ed è difficile pensare ad un risultato di questo tipo senza tentare di dare anche un decisivo impulso ad una chiara ed esplicita integrazione delle politiche che regolano i contesti formativi e sanitari del nostro Paese.

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Cita questo articolo

de Marinis M.G., de Marinis M.C., L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativiL’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi, Medicina e Chirurgia, 58: 2586-2591, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-6

La prova finale per il conseguimento della laurea in Infermieristica: studio trasversalen.57, 2013, pp.2564-2566, DOI: 10.4487/medchir2013-57-8

Abstract

The bachelor’s course in Nursing ends with a final exam including a practical test and a dissertation. The current law only indicates the number of assessors in the commission, thus leaving universities free to choose how to conduct the exam. In 2011, we administered a questionnaire to 152 Italian nursing schools, in order to study the examination criteria for the final exam. 112 schools returned the questionnaire. 60 of them considered the marks scored by the students in both their theoretical and stage exams; 7 schools only considered the theoretical exams. 60 did not require cutoff marks. Erasmus experiences contributed to the final score in 18 schools, top marks in 40. Many different types of examination were in use for practical tests, and several type of dissertations were accepted. The current situation is far from the principles of the Bologna Process. The National conference can play an important role in standardizing both criteria and assessment methods for the final exam.

con la collaborazione del Gruppo di lavoro composto dal Consiglio direttivo della Commissione Nazionale dei Corsi di Laurea in Infermieristica: Pietro Altini, Saverio Ambesi, Maria Caiaffa, Alessandro Delli Poggi, Annamaria De Rossi, Anto De Pol, Loreto Lancia, Rosanna Lombardi, Maria  Matarese, Oliva Marognolli, Bruno Moncharmont, Alvisa Palese, Daniela Tartaglini.

Articolo

Introduzione

Il Corso di Laurea in Infermieristica termina con un esame finale, che abilita all’esercizio della professione; il suo scopo è verificare che al termine degli studi lo studente abbia raggiunto i livelli di competenza previsti dai decreti ministeriali (MIUR, 2009). La competenza può essere definita come ”una caratteristica intrinseca individuale, causalmente collegata ad una performance efficace o superiore in una mansione o in una situazione e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito” (Gandini, 2005).

Nell’ambito della prova finale del triennio infermieristico, la competenza da valutare è di tipo professionale, costituita dai saperi e dalle tecniche connessi all’esercizio delle attività operative e richiesti da funzioni e processi di lavoro (McCready, 2006). In un’ottica più sociologica, essa è la risorsa che permette visibilità e riconoscimento nel mercato lavorativo (Walsh, Bailey e Koren, 2009).

La normativa prescrive lo svolgimento di una prova pratica e la dissertazione di un elaborato finale, in presenza di una commissione composta da “non meno di 7 e non più di 11 membri”, di cui almeno due designati dal Collegio professionale (MIUR, 2009). Le Università possono svolgere le prove secondo i criteri e le modalità che ritengono più idonee; sorge pertanto il dubbio che vi siano notevoli disomogeneità tra quanto avviene nei diversi Atenei. Poiché le competenze da acquisire sono uguali per tutti gli studenti, sarebbe auspicabile l’utilizzo di un metodo unico per l’accertamento, in ottemperanza alle indicazioni del Processo di Bologna (Davies, 2008). Per far ciò, è necessario disporre di informazioni precise sulle caratteristiche delle prove attualmente in uso. L’articolo presenta uno studio originale, volto a indagare le modalità di svolgimento della prova finale del corso di laurea in Infermieristica negli Atenei italiani.

Metodi e strumenti

È stato condotto uno studio trasversale, tramite la somministrazione di un questionario a 152 sedi del corso di laurea in Infermieristica. Non esistendo in letteratura uno strumento adatto agli scopi di questo studio, è stata creata una batteria di sei domande a scelta multipla*; alcune consentivano una risposta aperta (voce “altro”). I quesiti, formulati in base alla normativa vigente e ai regolamenti disponibili sui siti web delle Università, indagavano le seguenti aree:


Determinazione del voto di laurea (peso degli esami di profitto e tirocinio, della prova abilitante e dell’elaborato finale)


Caratteristiche della prova pratica (tipo di prova, attività sul paziente o in laboratorio gesti, piano assistenziale, procedure infermieristiche).

– Soglia di superamento

– Caratteristiche e valutazione degli elaborati finali

– Composizione della commissione valutatrice.

Il questionario, accompagnato da un testo di presentazione dello studio, è stato inviato tramite e-mail nella primavera del 2011. Le risposte, restituite attraverso lo stesso mezzo, sono state raccolte in un database di Microsoft Access®; le variabili quantitative sono state analizzate con Epi Info® tramite mode (Mo), mediane (Me) e range interquartili (IQR). Le risposte aperte sono state classificate tramite un codebook, al fine di raggruppare in classi univoche quelle che esprimevano gli stessi concetti con parole diverse; i dati così ottenuti sono stati descritti in termini di frequenze. La consistenza interna non è stata valutata poiché, considerata l’autonomia concessa dal Legislatore agli Atenei, le variabili non si prestavano alla formulazione d’ipotesi circa l’esistenza di legami. La validità di contenuto è stata garantita tramite il puntuale riferimento alla legislazione e ai regolamenti universitari. In base ai contenuti delle domande, non si è rilevata la presenza di variabili confondenti, né l’opportunità di costituire sottogruppi durante l’analisi; per esaminare i dati mancanti sono state utilizzate statistiche descrittive.

Risultati

112 sedi di corso, sulle 152 contattate, hanno restituito il questionario compilato (73.7%); 46 si trovavano al Nord (41.1% delle risposte), 38 al Centro (33.9%) e 28 al Sud (25.0%). Le restanti quaranta non hanno indicato il motivo della mancata partecipazione.

Determinazione del voto di laurea

La maggior parte delle sedi considera votazioni ottenute sia negli esami di profitto, sia in tirocinio, calcolando una media aritmetica (n=60, 53.6%) o ponderata (n=34, 30.3%). Tredici sedi (11.6%) non hanno barrato nessuna delle scelte riguardanti i voti degli esami e delle esperienze di reparto, né fornito spiegazioni circa i metodi utilizzati. Alcune sedi (n=7) conteggiano solo i voti degli esami di profitto; diciotto attribuiscono un peso all’esperienza Erasmus (Mo=2 punti), quaranta considerano le lodi ottenute negli esami di profitto, con criteri variabili. L’esperienza Erasmus, le lodi, la discussione della tesi e la prova pratica hanno valore diversi nelle varie sedi; la Tab. 1 compendia le particolarità dei punteggi attribuiti.

Tabella 1 – Determinazione del voto di laurea nelle sedi CLI

Caratteristiche della prova pratica

Il 50% delle sedi (n=56) sottopone i candidati a una prova scritta, che in nessun caso contiene domande aperte. Il numero di quiz che la compongono varia da ventidue a ottanta (Me=30, IQR 30-60, Mo=30). Tre sedi utilizzano per lo scritto altrettanti metodi alternativi (“micro-situazioni contestualizzate a risposta multipla, discussione di un caso etico-deontologico e una domanda aperta relativa al processo assistenziale”, “relazione scritta”, “tema a caso estratto dalla commissione”). La simulazione in laboratorio è utilizzata da44 sedi (39.3%), il caso clinico da 14 (12.5%), la discussione di un piano infermieristico da 12 (10.7%). Sette sedi portano lo studente al letto del malato, sei utilizzano checklist e cinque si servono del metodo OSCE (Objective Structured Clinical Examination). Le voci contenute nel campo “altro” sono “Quiz, caso clinico e discussione orale sull’argomento della prova” (1 sede), “Simulazione in laboratorio, checklist e discussione di casi clinici estratti a caso” (1 sede), “Quiz da 50 domande e colloquio” (6 sedi), “Dimostrazione pratica di un argomento tecnico-assistenziale” (1 sede) e “Quiz, caso clinico, checklist, discussione piano assistenziale, valutazione OSCE modificata” (1 sede). Le modifiche apportate alla valutazione OSCE non sono state specificate.

Soglia di superamento

Il 51.8% delle sedi (n=58: 17 sedi su 46 al Nord, 16 su 38 al Centro, 25 su 28 al Sud) non richiedono il raggiungimento di un punteggio minimo per il superamento della prova abilitante. Il 29.4% delle sedi (n=33: una al Nord, 6 al Centro, 26 al Sud) non ha barrato nessuno dei valori soglia proposti dal questionario, né hanno compilato il campo “altro”. Tra le sedi che impongono una soglia (n=54, 48.2%), tre hanno fissato un limite inferiore al 50% del punteggio massimo raggiungibile; le altre adottano criteri variabili, in funzione dei punteggi ottenibili tramite le prove che hanno scelto di attuare. Rapportando tutti i valori a dieci, per semplicità di confronto, il punteggio medio richiesto è di poco superiore alla metà del massimo possibile (5,3±0,1).

Indipendentemente dall’esito della prova pratica, sei sedi del Nord permettono comunque la discussione dell’elaborato finale, senza posticiparla, consentendo dunque il conseguimento del titolo e dell’abilitazione; in tutti gli altri casi (n=48, 42.8%) essa è rimandata. Una delle sedi che adottano quest’ultimo criterio, precisa che la discussione deve avvenire nella stessa sessione in cui è stata sostenuta la prova pratica.

Caratteristiche e valutazione degli elaborati finali

Il punteggio assegnato va da zero a venti (Me=Mo=10, IQR=[8;10]). Tredici sedi al Nord e dieci al Centro accettano indifferentemente lavori di ricerca infermieristica, revisioni bibliografiche, documenti compilativi e report di esperienze cliniche. Il 35.7% delle sedi (n=40: 13 al Nord, 5 al Centro, 22 al Sud) non accettano nessuno dei quattro tipi di tesi indicati nel questionario. Una sola specifica il tipo di elaborato alternativo accettato (“tesi di argomento teorico o applicativo”). Altre cinque prendono in considerazione studi descrittivi e tre accettano un elaborato definito “tesi empirica”, senza ulteriori informazioni.

Composizione della commissione valutatrice

Una sola sede ha sei commissari, contro i sette previsti dalla legislazione, sebbene ciò accada occasionalmente, secondo quanto dichiarato dalla sede stessa; in tutte le altre sedi che hanno risposto (n=86, 76.8%) il numero varia da sette a undici. Non è possibile fornire un dato mediano, poiché cinquantasei sedi hanno scritto l’esatta dicitura “da 7 a 11”. Nove sedi hanno un ricercatore MED/45 in commissione (6 al Nord, 3 al Centro, 0 al Sud), contro ventiquattro che riferiscono di non averne (79 dati mancanti, 70.5%). Venti sedi dichiarano di avere un professore associato di Scienze Infermieristiche; il dato appare inverosimile, essendo superiore al numero di professori MED/45 italiani (è dunque possibile che in alcuni casi si tratti di docenti a contratto). Sette (tutte al Centro) ne hanno “uno o due”, sei ne sono prive. Il numero di docenti relatori in commissione varia da 0 a 9 in ventisei sedi; altre quindici, genericamente, lo indicano come “variabile” senza specificare gli estremi dell’intervallo. I correlatori sono da 0 a 4 (Mo=0, n=21) o in numero “variabile” (n=14). In due sedi (una al Nord e una al Sud) non vi sono coordinatori in commissione; in 38 sedi ve n’è uno, in 7 “uno o due”, in tre “due”, in 5 “da due a cinque”, in sei “cinque o sei”, in 51 casi il dato manca o non è valutabile. Non è possibile fornire mediane per i dati presentati, poiché spesso i compilatori hanno fornito intervalli anziché dati esatti.

Risposte mancanti

Come si evince dalle sedi precedenti, numerose sono state le risposte mancanti ai quesiti riguardanti la valutazione degli elaborati, i valori massimi delle medie di ammissione e la composizione della commissione. Non sembra tuttavia esistere una preponderanza geografica nel numero di risposte non date.

Discussione

L’obiettivo dello studio era fotografare la situazione, offrendo un compendio delle modalità di svolgimento e valutazione delle prove finali nelle Università italiane. Sono emerse molte discrepanze tra gli Atenei; l’unico dato che accomuna le sedi è il numero di commissari, stabilito per legge. In molte università manca un valore soglia per il superamento dell’esame abilitante; la sua assenza impedisce di valutare la reale preparazione degli studenti al termine del triennio. Alcune sedi non richiedono nemmeno che, in caso di mancato superamento della prima prova, la discussione dell’elaborato finale sia rimandata. Nelle Università che richiedono un punteggio, frequentemente esso supera di poco il 50% del massimo ottenibile; ciò contrasta con i principi di valutazione seguiti nel triennio, durante il quale la sufficienza corrisponde al 60% (diciotto trentesimi).

Vi sono sedi che non tengono conto delle esperienze di reparto nella determinazione del voto; ciò contrasta con la natura del corso di laurea che, essendo professionalizzante, dovrebbe trovare nel tirocinio un momento di grande rilevanza. L’esperienza Erasmus non è considerata ovunque, nonostante il valore formativo che può assumere se ben progettata. La prova pratica è condotta con molti differenti metodi e gli elaborati finali ricevono, talvolta, punteggi molto alti (20/110).

Si segnalano le difficoltà nell’ottenimento dei dati da numerose sezioni di corso, oltre all’elevato numero di risposte mancanti. Quest’ultimo dato riguarda soprattutto la valutazione dell’elaborato finale, i valori massimi delle medie di ammissione alla dissertazione e la composizione della commissione. L’assenza di dati sottrae tessere importanti ad un mosaico che, per le sue caratteristiche di eterogeneità, avrebbe meritato una descrizione più dettagliata. A causa delle differenze descritte, non è possibile generalizzare i risultati ottenuti alle sedi che non hanno risposto; per questo motivo, si è scelto di non riportare alcun intervallo di confidenza. Poiché il questionario non prevedeva un campo in cui segnalare eventuali motivazioni per il rifiuto della compilazione, non vi sono dati per la formulazione d’ipotesi circa i motivi delle mancate risposte.

Conclusioni

La situazione italiana sembra ancora lontana dai criteri di omogeneità propugnati dal Processo di Bologna; in particolare, appare necessaria l’introduzione di un valore soglia nazionale, coerente con i criteri utilizzati nel triennio, per la valutazione della prova pratica. Il tirocinio e le esperienze Erasmus, accomunate dalla pratica in unità operativa, dovrebbero a nostro avviso essere considerate ovunque. A fronte dei dati sulla composizione delle commissioni, si potrebbe valutare l’opportunità di inserire, in tutte le commissioni, coordinatori infermieristici di sezione o relatori; questa proposta deve tuttavia considerare le notevoli differenze tra i modelli organizzativi adottati dagli Atenei. Il titolo conseguito in Italia permette di lavorare anche nei restanti Paesi dell’Unione Europea; per questo motivo, è auspicabile un rapido superamento delle differenze esistenti a livello nazionale. La validità della laurea a livello internazionale, infatti, esige che la preparazione ottenuta sia certificata in modo omogeneo ovunque nel Paese; al momento, quest’obiettivo appare lontano. La Conferenza Nazionale delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, con al suo interno la Commissione nazionale dei Corsi di Laurea in Infermieristica, può dunque svolgere un lavoro prezioso, poiché agevola la collaborazione tra sedi formative situate in tutta Italia; alla luce della continua attività svolta dalla Conferenza stessa, lo studio proposto meriterebbe di essere ripetuto nel futuro, per confrontare i risultati con quelli presentati in questa sede. In quest’ottica, la presente raccolta dati servirà da base per affrontare quanto declinato nel DM 270/2004 e nella Circolare del 19/01/2012, emanata congiuntamente dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in materia di prova finale del corso di laurea in Infermieristica. Il gruppo di lavoro intende approfondire le modalità di svolgimento delle prove, alla luce dei riferimenti normativi citati.

Gli Autori ringraziano le sedi del corso di laurea in Infermieristica che hanno risposto al questionario inviato.

Bibliografia

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4) Ministro dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. Decreto interministeriale 2 aprile 2001. Gazzetta Ufficiale 6 maggio 2001 n° 128 – Supplemento ordinario n° 136. Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie.

5) Ministero dell’Istruzione, dell’Univeristà e della Ricerca e il Ministro del lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Decreto Ministeriale 19 febbraio 2009. Gazzetta Ufficiale 25 maggio 2009 n°119. Determinazione delle classi delle lauree delle professioni sanitarie, ai sensi del Decreto ministeriale 22 ottobre 2004 n°270. 2009.

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Cita questo articolo

Destrebecq  A., Vitali S., Dimonte V., et alMedicina e Chirurgia, 57: 2564-2566, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-57-8