Aggiornamento della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Conferenza permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Sintesi delle attività

Prosegue l’impegno della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie. La Giunta si è espressa sulla valorizzazione del voto di maturità per l’accesso alle lauree sanitarie. Ha ritenuto, infatti, che l’indicazione riportata sul DM 12 giugno 2013 “Per i soli corsi delle professioni sanitarie il punteggio è attribuito dalle singole università secondo criteri autonomamente determinati in conformità a quanto stabilito dal D.Lgs. 14 gennaio 2008, n. 21” potesse provocare scelte molto disomogenee a livello nazionale. Pertanto, con consultazione urgente, ha deciso di proporre l’adozione – anche per i Corsi di Laurea delle Lauree Sanitarie- degli stessi criteri di valorizzazione del voto di maturità adottati per l’accesso programmato al Corso di laurea in Medicina e Chirurgia. Tuttavia, sono state tenute in elevata considerazione le emergenti preoccupazioni inerenti la concreta fattibilità dei sistemi di supporto degli Atenei all’elaborazione delle graduatorie sulla base dei percentili anche per i candidati dei Corsi delle Lauree Sanitarie. Pertanto, quale seconda opzione qualora la prima non sia perseguibile da parte degli Atenei, si è proposta la valorizzazione del punteggio esclusivamente ai candidati che hanno ottenuto un voto all’esame di stato almeno pari a 80/100 a prescindere dal riferimento all’80esimo percentile della distribuzione dei voti, facendo riferimento alla tabella riportata nel DM del 12 giugno 2013. E’ in fase di conclusione, infine, l’approvazione della Guida di Indirizzo per l’esame finale dei Corsi di laurea in cui saranno riportate 1) la tipologia di prove da considerare per la prova di abilitazione e 2) i criteri di valutazione/peso di ciascuna componente della prova (prova pratica/tesi), che verranno portati all’approvazione nella Conferenza Annuale di Portonovo.

Numerose Commissioni Nazionali hanno realizzato i propri Meeting in cui sono stati discussi, tra gli altri aspetti, i processi di autovalutazione, accreditamento e valutazione; i requisiti minimi; le strategie per definire i programmi dei corsi. L’estate manterrà elevata l’attenzione sulla progettazione del Meeting Annuale di Portonovo (Ancona) in cui sarà realizzata una sessione congiunta tra le tre Conferenze per discutere tematiche trasversali sulle quali è necessaria/opportuna una prospettiva comune.

Indice n. 59/2013

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

59/2013

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

 

Editoriale

Evolution based medicine e futuro dell’insegnamento medico, di Gilberto Corbellini 

Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia

Il CLM in Medicina e Chirurgia del San Luigi Gonzaga Curriculum verticale, approccio clinico anticipato e apprendimento nel territorio, di Pier Maria Furlan.

L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in Medicina e Chirurgia, di Luigi Roberto Biasio.

Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Il Portfolio. Studio preliminare dell’entering behaviour delle competenze, conoscenze e aspettative degli Studenti del CLM in Scienze Riabilitative delle Professioni Sanitarie, di Giuseppina Bernardelli, Laura Vizzotto, Daniela Mari et al.

Forum Pedagogico

L’integrazione del territorio nel sistema delle cure Parte 2a – Proposta di un curriculum “verticale”di  Pietro Gallo, Maria Angela Becchi, Fabrizio Consorti et al. 

Irnerio Lumen Juris

Le linee guida e i loro effetti sulla colpa penale medica, di Natale Callipari

Libri

Anatomia, libri e auctoritas: Galeno di Pergamo, di Valentina Gazzaniga 

Scuole italiane di Medicina

La Scuola internistico-metodologica padovana di Mario Austoni, di Cesare Scandellari

News from AMEE

Best evidence medical education and essential medical teaching skills: two important keys to the internationalization of medical education, di Giuseppe Familiari, Fabrizio Consorti

Notiziario

News dal Consiglio Universitario Nazionale, di Manuela di Franco

Resoconto della 111a Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia Roma 23-24 giugno 2013, di Amos Casti

Aggiornamento della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, di Alvisa Palese

Resoconto della 111a Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia Roma 23-24 giugno 2013

Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM

in Medicina e Chirurgia

Roma, riunione del 23 e 24 giugno 2013

Il Presidente illustra i lavori della giornata con l’Atelier sul “Il ruolo del Presidente  di Corso di Laurea in Medicina” e le relazioni della sessione plenaria del giorno successivo.

Nella giornata del 23 giugno, il Prof. Gallo fa presente che i partecipanti si suddivideranno in più laboratori per discutere del ruolo del Presidente di Corso di Laurea in Medicina, del Coordinatore di Corso Integrato e di Semestre, della Commissione Tecnico-pedagogica e della valutazione dell’efficacia didattica e infine delle attività didattiche professionalizzanti. Sintetizza quindi la metodologia dei lavori consistente nella presentazione dell’esperto, discussione e compilazione dell’elaborato da discutere nella plenaria, dove gli argomenti sono stati ampiamente dibattuti ed approfonditi.

Segue la presentazione della relazione sulle “Medicine alternative e complementari”, in cui intervengono il Prof. Francesco Macrì e Calogero Caruso per il Gruppo di lavoro della Conferenza. Il primo presenta come la problematica sia stata affrontata dalla FNOMCeO dalla FISM e dalla Conferenza Stato-Regioni. Il Prof. Caruso, dopo avere richiamato le precedenti conclusioni del gruppo coordinato dal Prof. Vantini, sintetizza la situazione riguardante il loro insegnamento nei Corsi di Laurea e nei Master ed approfondisce le problematiche relative all’omeopatia, fitoterapia ed agopuntura.

Il giorno successivo inizia con la relazione del Prof. Della Rocca su “Proposta di un nuovo modello di site-visit”, in cui sono confrontati i requisiti minimi per l’accreditamento dei Corsi di Laurea determinati ed approvati dalla Conferenza ed i requisiti minimi dell’ANVUR, con conseguente proposta per il I e II ciclo di site-visit, con la definizione delle risorse umane e strutturali, dei servizi e del potenziale assistenziale fruibile; vengono infine definiti i tempi di effettuazione delle site-visit ed alcune novità relative al questionario e alla commissione. Dalla discussione emerge la necessità che da parte degli Atenei si riservino adeguate risorse economiche per i Corsi di Laurea ed in particolare per tale iniziativa. La Conferenza all’unanimità approva la proposta di una mozione in tal senso da inviare alla Conferenza dei Rettori.

Il Prof. Tenore mostra un’ampia ed approfondita analisi dei risultati del Progress test degli ultimi sette anni nelle diverse sedi e nei vari anni di corso, illustrando anche le conseguenze delle variabili introdotte e conclude che utilizzando tutti gli strumenti messi in atto dalla Conferenza (Core curriculum, innovazioni pedagogiche, site-visit, progress test), si possa giungere al raggiungimento dell’obiettivo fondamentale di formare un buon medico. È stabilita la data del prossimo progress test che si terrà mercoledì 13 novembre 2013.

Il Prof. Luigi Biasio presenta la relazione “L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in M&C: come e quando”; dopo una breve rassegna storica definisce i criteri che rendono necessario tale insegnamento, per acquisire competenze adeguate sia tecnico-scientifiche che normative in ambito di prevenzione primaria, e principalmente: il valore della prevenzione vaccinale, le caratteristiche dei vaccini, quale strumento di sanità pubblica e individuale, e il razionale d’uso, le caratteristiche del sistema vaccinale italiano e le problematiche connesse (accesso alla vaccinazione, coperture vaccinali, etc.), il ruolo dei medici e degli operatori sanitari in ambito vaccinale (verso se stessi e la popolazione).

Dopo la presentazione del problema delle Malattie rare ad opera del Prof. Mauro Celli, Pediatra della Sapienza e Primario dello Sportello Malattie rare, la Dott.ssa Margherita De Bac, giornalista del Corriere della Sera, racconta la sua personale esperienza relativa alle malattie rare. Alla luce della difficoltà nel parlare di queste malattie su un quotidiano, la giornalista ha deciso di scrivere un primo e poi un secondo libro su questo argomento e ha poi costruito un portale dedicato. Da tutto ciò è derivata la consapevolezza che non tutti i medici conoscono le malattie rare e soprattutto la necessità di una maggiore formazione che tenga conto anche dei percorsi di cura e dei bisogni emotivi delle famiglie per le quali il medico dovrebbe anche essere la figura di riferimento nell’affrontare il percorso di vita di questi malati e delle loro famiglie. Il Prof. Scarone, coordinatore del gruppo di lavoro “Cure palliative e Malattie rare”, dopo la rassegna dei corsi integrati e dei settori scientifico-disciplinari dove esse sono insegnate e della necessità di inserire delle UDE nel core curriculum, propone il loro insegnamento in tre fasi: prima fase, presentazione teorica da parte della genetica medica e della metodologia clinica; seconda fase, insegnamento nei corsi integrati di Pediatria, Clinica Medica e Genetica Medica; terza fase, attività formativa professionalizzante negli ambulatori e con coinvolgimento delle reti regionali e delle associazioni dei genitori.

Sono seguite brevi relazioni dei gruppi di lavoro di “Medicina del territorio” (Prof. Krengli), che ha portato all’inserimento nel gruppo del Prof. Furlan e di “Selezione all’accesso e graduatoria nazionale” (Familiari e Valanzano).

L’ultima relazione di particolare interesse è la proposta di un Libretto delle APP da parte del Prof. Gaudio e in particolare di condividere un elenco di APP pratiche e metodologiche essenziali e individuare modalità utili per la scelta, l’apprendimento e la valutazione delle competenze metodologiche, stabilire le abilità che lo studente deve essere in grado di eseguire in modo autonomo e automatico con Esame/Verifica nei C.I. e finale (Esame a sé, o all’interno di Medicina Interna – Chir. Gen. III o analogo).

Dopo aver illustrato l’indice del prossimo numero della rivista della Conferenza, si comunica che la prossima riunione della Conferenza si terrà a Portonovo il 13 e 14 settembre 2013 e quella successiva a Roma il 9 dicembre 2013, mentre la prima del 2014 si terrà a Milano nel mese di febbraio.

News dal Consiglio Universitario Nazionale

Il 12 e 13 febbraio 2013 si è riunito il CUN parzialmente rinnovato nelle aree 01, 02, 04, 06, 08, 11 e 14. Il Consiglio ha eletto a larga maggioranza il Prof Andrea Lenzi come Presidente. La Prof.ssa Carla Barbati è stata nominata vice- presidente ed è stata costituita la giunta di Presidenza composta da Carlo Grignani, Alessandra Petrucci, Giuseppe Caputo, Domenico Raimondo, Rosario Domenico Paternoster.

Sono state ricostituite le Commissioni che si sono immediatamente riunite ed hanno iniziato i lavori.

Prima dell’insediamento del Consiglio rinnovato, il CUN ha portato, il 30 gennaio 2013,   all’attenzione di tutte le Sedi istituzionali e Politiche le principali emergenze che stanno ponendo il Sistema dell’Istruzione e della Ricerca universitaria in una condizione di crisi conclamata tramite un documento, che ha trovato larga eco anche nei media, sulle Emergenze del Sistema Universitario

Il CUN ritiene che tali emergenze, se non affrontate immediatamente con attenzioni e con soluzioni adeguate, informate e consapevoli, condurranno a una crisi irreversibile, in conseguenza della quale gli Atenei e le Comunità Accademiche non saranno più in condizione di assolvere i propri compiti istituzionali, di procedere alla formazione delle giovani generazioni, di promuovere la ricerca scientifica e di contribuire al contempo allo sviluppo e alla diffusione della cultura, valore costituzionalmente elevato a principio fondamentale della nostra Repubblica.

Le criticità individuate sono: 1) il finanziamento del sistema universitario per il quale l’Italia occupa il 32° posto su 37 Paesi considerati (dati OCSE 2009) 2) la formazione universitaria con una netta riduzione del numero degli immatricolati, anche qui decisamente  al disotto della media OCSE, 3) la formazione post laurea con un numero di accesso al Dottorato inferiore rispetto ai Paesi Europei 4) il reclutamento del personale universitario con una progressiva riduzione del personale docente, 5) il finanziamento della ricerca (continua riduzione dei fondi stanziati) 6) l’accessibilità e trasparenza dei dati, 7) l’autonomia universitaria. Il documento è interamente scaricabile dal sito del CUN http://www.cun.it

Tra febbraio e marzo Il CUN ha esaminato numerosi corsi di studio e regolamenti didattici;  nell’adunanza del 27 marzo ha formulato una raccomandazione che evidenzia le criticità  sul Decreto Ministeriale del 30 gennaio 2013, n° 47 Autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica. Sempre nella stessa adunanza è stato espresso, come di consueto, il parere sul FFO 2013, anche in questo caso focalizzando i principali aspetti critici. Ancora nell’ambito della didattica è stato proposto un percorso di eccellenza che consenta di ottenere in otto anni sia la laurea in Medicina che il Dottorato di Ricerca (Doppio titolo) con lo scopo di incentivare un maggior numero di giovani  medici verso la ricerca.

Ad Aprile il CUN ha avviato la consultazione pubblica per l’individuazione dei criteri che identificano il carattere scientifico delle pubblicazioni ai fini dell’istituzione dell’anagrafe nazionale nominativa dei Professori e dei Ricercatori e delle pubblicazioni scientifiche  (ANPRePS) allo scopo di acquisire le indicazioni e le osservazioni di quanti, in ragione delle loro competenze professionali e delle loro esperienze scientifiche, intendano contribuire all’assunzione delle migliori determinazioni in merito  all’individuazione dei criteri che identificano il carattere scientifico delle pubblicazioni e degli altri prodotti della ricerca, per le finalità del loro inserimento e della loro sistemazione in ANPRePS. Il questionario è compilabile on line sul sito del CUN http://www.cun.it oppure sul sito del MIUR http://consultazionepubblica.miur.it/index.php/survey/index/sid/297393/lang/it, può essere salvato nel corso della compilazione per essere poi ripreso in un successivo momento; resterà aperto fino al 23 luglio. Tutto il Consiglio auspica che vi sia la massima diffusione  e partecipazione di tutte le Comunità Accademiche; tra l’altro è possibile formulare osservazioni e/o suggerimenti.

È stato riproposto e aggiornato http://www.cun.it/media/120517/cun_keywords_2013.pdfElenco delle parole-chiave relative agli indicatori scientifico-disciplinari”; anche questo è visualizzabile  sul sito del CUN http://www.cun.it

Infine è stato avviato un Osservatorio sul processo dell’Abilitazione Scientifica Nazionale che consenta di evidenziare, già in corso d’opera, elementi di debolezza e di criticità per disporre di un quadro d’insieme da cui sviluppare proposte di miglioramento per i bandi successivi. Inoltre il termine del 30 giugno per la fine dei lavori verrà ulteriormente spostato al 30 settembre poiché alcune commissioni non si sono ancora riunite o si sono riunite da pochissimo tempo. In una delle ultime raccomandazioni (4/6/2013) è stato richiesto al Ministero di predisporre un unico decreto di abilitazione dopo il 30 settembre per non creare disparità tra i diversi settori concorsuali nell’attribuzione della stessa.

Nella prossima adunanza il CUN incontrerà il Ministro Maria Chiara Carrozza che esporrà le linee programmatiche e alla quale  il Consiglio evidenzierà, con spirito di collaborazione istituzionale  e propositivo, le maggiori  criticità.

Best evidence medical education and essential medical teaching skills: two important keys to the internationalization of medical educationn.59, 2013, pp.2662-2663, DOI: 10.4487/medchir2013-59-8

Abstract

Two initiatives, coordinated by AMEE and of considerable importance to the internalization of medical degree courses, are Best Evidence Medical Education (BEME), based on the inclusion of evidence in medical education and Essential Skills in Medical Education (ESME), which focuses on teaching skill. These interesting ventures are an addition to the MedEd World project, referred to in a previous issue (Familiari, 2013).

Articolo

1) Best Evidence Medical Education

Best Evidence Medical Education (BEME) is defined as: “The implementation by teachers and educational bodies in their practice, of methods and approaches to education based on the best evidence available” (www.amee.org).

The aims of BEME are: to disseminate information capable of permitting teachers and stakeholders in the medical and health-care professions to make decisions informed by the best evidence available; to produce systematic reviews providing access to this kind of evidence; to cater for the needs of the user while promoting a BEME mind-set amongst individuals, institutions and national bodies (www.amee.org).

AMEE is a founder member of the BEME Collaboration organization which has members worldwide. The BEME Collaboration organization is an international group of individuals, universities and professional associations committed to the development of evidence-informed education in the medical and health professions.

BEME’s goal is to give visibility to the latest scientifically grounded educational research findings, thus enabling teachers and administrators to make informed decisions regarding the provision of evidence-based educational initiatives capable of boosting learner performance underpinned by measurable cognitive and clinical criteria.

BEME rejects the legacy of medical education whereby decisions were reached on the basis of pseudoscience, anecdotes, and flawed comparisons rather than on empirical evidence. The BEME approach argues that in no other scientific field is personal experience relied on when choosing policies, and that no other field is grounded on such limited research bases.

The definition of BEME reviews, as assessed by the AMEE Internet site (www.amee.org), is the following:

A BEME review is a systematic, logical and explicit appraisal of available information to determine the best evidence relating to an issue within the field of professional health-care and medical education.

– A BEME review is designed to assist individual teachers, institutions and national bodies to reach informed decisions concerning educational practices and policies.

– A BEME review provides descriptions and evaluations of evidence pertinent to clearly formulated topics/questions availing of explicit scientific methodologies and methods aimed at the systematic identification and organisation of data and the critical analysis and summing up of information relevant to a review topic.

– A BEME review selects data from primary literature in a rigorous, transparent and reproducible way and analyses and synthesises them according to the rationale of the type of data (quantitative, qualitative and mixed) chosen. In any case, the methodology applied to analysis and synthesis must fit the purpose and be chosen from the broad range of secondary research methodologies available, e.g. realist synthesis, theory led analysis and synthesis, statistical meta-analysis, meta-ethnography.

– A BEME review should be reported in a systematic, transparent, scholarly and user-friendly manner and be capable of enabling the practitioner to judge and employ the evidence according to his or her individual criteria and context.

– All BEME reviews are registered with and approved by the BEME Collaboration organization and endorsed by a BEME Review team following accepted BEME review procedures.

– The BEME position relative to secondary research processes is one of inclusivity. We encourage reviewers to use a wide range of investigative methodologies appropriate to their review topics and aims.

2) Essential Skills in Medical Education Courses

The need for doctors, scientists and others involved in teaching in the healthcare professions, to be trained in teaching is widely recognized (Dornan et al, 2011; Gallo, 2011). The AMEE Essential Skills in Medical Education (ESME) courses have been designed to meet this need. A range of courses covering basic medical-education skills, assessment, simulation and technological research is available.

For the courses appraised by AMEE see www.amee.org; the courses address the basic skills required by health-care teachers and have the following unique features:

– The courses are organised around an important educational conference which includes a pre-conference workshop, recommended conference sessions and a post-conference workshop;

– The courses are led by international experts; personalised tutorial support is provided during the conference;

– The course format is interactive and challenging;

– A useful set of resource material is provided to support the course;

– There are opportunities for discussion with other course participants before, during and after the conference sessions;

– The ESME courses are accredited by AMEE and approved by an International Advisory Board. A certificate of attendance is provided and it is possible to work towards an ESME Certificate in Medical Education. The ESME Certificate is recognised as stage one of the International Association of Medical Science Educators (IAMSE) Fellowship Award;

– The courses are organised in different parts of the world;

– The courses have now been running for several years and are widely acclaimed by course participants.

There is increasing recognition of the knowledge, skills and attitudes that promote and favour quality in teaching and of the need for formal training in the area (Dornan et al, 2011; Gallo, 2011). The ESME courses are designed for teachers practicing within the medical and the healthcare areas, whether basic scientists or clinicians. They are intended both for those new to teaching and for teachers with years of experience who would like to gain a deeper grasp of the basic principles and update their knowledge of current best practice. The courses recognise that, with appropriate help, all, even those with considerable experience, can improve their teaching skills.

The ESME courses are also available on line, and offer those who sign on the undeniable advantage of being able to study from the work place, from home and at the time most convenient to them. The on-line courses are practical and simple and are underpinned by clear theoretical premises. The ideas are presented in such a way as to be easily applied to the day-to-day work of the teacher.

Briefly, in conclusion

These two highly interesting AMEE initiatives are centred on two of the fundamental issues relating to medical and health-care education upheld by AMEE, by the numerous international scholarly reviews devoted to the issue and by the SIPeM, the Italian Association of Medical Pedagogy.

The first of the two issues, BEME, refers to the fact that medical education needs to be “evidence-based” and correspond perfectly to practices grounded solidly on scholarly research. The numerous monographic BEME studies available in literature bear valid witness to this fact. One must always keep in mind that medical training needs to be seen as a complex process on a par with all other areas of scientific research (Dornan et al, 2011; Gallo, 2011).

The second issue, that regarding ASME, shows how unequivocally and keenly the importance of learning to teach is felt at international level, and how promptly AMEE responds to this need by providing both in-class and on-line courses aimed at improving teaching methods. No doubt surrounds the existence of first-rate medical scholars; what is at issue here, however, is whether they are capable of transferring their competence to students. What they need, when all comes to all, is to learn how to teach as the existence of AMEE, various important medical education institutions and SIPeM, the Italian Association of Medical Pedagogy demonstrates.

In Italy, at present, appraisal of the efficiency of didactic performance regards the overall performance of the universities on the whole and not that of single members of the teachning staff. This issue is one that needs to be addressed urgently, at least within the ambit of the medical training, where there is considerable evidence that correct teaching methods are mandatory, a fact to which the two examples provided here bear witness.

Bibliografia

1) Familiari G. The international dimensions of medical education. Med. Chir. 57: 2537-2538, 2013.

2) Gallo G. Insegnare nei Corsi di Laurea in Medicina e Odontoiatria, Collana di Pedagogia Medica, SIPeM, ESPRESS Edizioni, Torino, 2011.

3)     Dornan T, Mann K, Scherpbier A, Spencer J, Medical Education, Theory and Practice. Chrchill Livingstone, Elsevier, London, New York, 2011.

Cita questo articolo

Familiari G., Consorti F., Best evidence medical education and essential medical teaching skills: two important keys to the internationalization of medical education, Medicina e Chirurgia, 59: 2662-2663, 2013. DOI: 10.4487/medchir2013-59-8

L’insegnamento della Vaccinologia nei CLM in Medicina e Chirurgian.59, 2013, pp.2630-2636, DOI: 10.4487/medchir2013-59-3

Abstract

Vaccinology is the science of vaccine development: it represents a multidisciplinary science including different subjects, biological (microbiology, immunology, epidemiology, etc.) and social (public health, economy, ethics, etc.). Differences exist between “old” and  “new” vaccines, not only regarding their development and production, but also perception and acceptance. Vaccines are different from drugs not only because they are biological products aimed at disease prevention in healthy people, but also because they are public health tools, bringing benefits to the individual but also the entire population from the epidemiological and economic point of view. With the exception of drinkable water, no other innovation, including antibiotics, has had such an important effect on the reduction of the human mortality. In Italy the vaccines considered as a priority are included into a national childhood immunization schedule, being offered actively and free-of charge. Heterogeneity concerning coverage rates between age classes exists. The role of health care professionals (specialists, family physicians and pediatricians) is essential to support vaccination programs. It is important to consider an University teaching in vaccinology, over the simple learning of the composition and indications of the vaccines, to provide the students with the knowledge and awareness of the value of primary prevention, of the national vaccination programs, objectives and priorities, the characteristics of the vaccination system, and of his/her own role as future medicine doctor.

Articolo

Cos’è la Vaccinologia

Il termine vaccinologia fu creato nel 1977 da Jonas Salk (1914-1995), l’inventore del vaccino antipoliomielitico inattivato e esperto conoscitore di quelle tecniche che dalla metà del secolo scorso portarono profonda innovazione in ambito di ricerca e produzione dei vaccini.

Questo neologismo si diffuse rapidamente e la vaccinologia divenne una vera e propria scienza che, superando definitivamente gli empirismi del passato, esplora oggi metodicamente ogni aspetto della vaccinazione, integrando tutte le questioni che essa pone. Mentre la vaccinazione, termine che risale all’epoca del vaccino anti-vaioloso di Edward Jenner (1749-1823), è definita come l’introduzione nell’organismo di sostanze atte a provocare una reazione di difesa specifica, la vaccinologia si occupa della metodologia dello sviluppo e dell’impiego dei vaccini: rappresenta una scienza multidisciplinare che vede coinvolte numerose materie biologiche (microbiologia, immunologia, epidemiologia, etc.) e sociali (sanità pubblica, economia, etica, etc.). Una tale diversità le consente di occupare un posto peculiare in campo scientifico. Il motivo per cui la vaccinologia può considerarsi una scienza a sé, malgrado anche altre discipline si occupino di vaccini e argomenti collegati, risiede anche nel fatto che l’impiego dei vaccini va al di là della semplice somministrazione e relativa risposta immunitaria, ma coinvolge appunto anche aspetti organizzativi, sociali, economici. La vaccinologia segue tutte le fasi della produzione, autorizzazione e raccomandazione di un vaccino, fino alla sua utilizzazione sul singolo e sulla popolazione, secondo i programmi di vaccinazione definiti dalle Autorità sanitarie.

Tra i vaccini di ieri e quelli di oggi esistono marcate differenze, non solo dal punto di vista dello sviluppo e della produzione, ma anche dal punto di vista economico e sociale.

In passato erano disponibili pochi vaccini che venivano prodotti con tecniche semplici: venivano concepiti soprattutto per prevenire i decessi causati dalle gravi malattie infettive; per essere utilizzati non dovevano essere sottoposti a valutazioni economiche (anche perché il loro costo di produzione era basso); avevano un’accettabilità elevata tra la popolazione.

I vaccini di oggi seguono lo sviluppo moderno: sono prodotti di alta tecnologia e sono sempre più numerosi (attualmente le malattie vaccino-prevenibili sono una trentina). Sono concepiti non solo per prevenire il decesso, ma anche per garantire un buono stato di salute della popolazione. Prima di essere impiegati in campagne vaccinali debbono sottostare a raccomandazioni ufficiali da parte delle Autorità preposte e a valutazioni economiche (come l’Health Technology Assessment – HTA). Sono sensibilmente più cari rispetto al passato: ciò è dovuto ai costi elevati delle nuove tecniche di ricerca e produzione e soprattutto dello sviluppo farmaceutico e clinico. I nuovi vaccini sollevano tra la popolazione e i gruppi di opinione molte più discussioni relative all’accettabilità, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza d’uso: considerati in passato come inevitabili, data l’importanza e l’universalità dei programmi di immunizzazione, gli eventi indesiderati a seguito di vaccinazione, seppur molto rari, rappresentano oggi qualcosa di non accettabile.

Caratteristiche e storia dei vaccini

Al di là delle varie classificazioni (vaccini batterici e virali, attenuati e inattivati, interi e purificati, etc.), le caratteristiche di questi prodotti sono comunque peculiari, collocandosi tra gli strumenti di prevenzione primaria, focalizzata sull’adozione di interventi e comportamenti in grado di evitare o ridurre l’insorgenza e lo sviluppo di una malattia o di un evento sfavorevole.

I vaccini sono prodotti biologici: in quanto tali la loro produzione risente di variabilità (ciascun lotto di produzione deve essere controllato dal produttore e dalle Autorità prima di essere “rilasciato” e utilizzato): i cicli di produzione e di controllo di un lotto di vaccino sono molto lunghi. La produzione di vaccini necessita di un’”expertise” specifica ed elevata (vi sono molti pochi produttori al mondo).

Inoltre essi vengono somministrati a soggetti sani: i dati di efficacia e di sicurezza pre- e post-registrativi sono perciò essenziali, al fine di dimostrare sempre, nel corso della vita del prodotto e del suo impiego nei programmi vaccinali, un adeguato rapporto beneficio/rischio.

Infine, sono uno strumento di Sanità pubblica: portano un beneficio individuale, proteggendo il singolo soggetto, ma anche alla popolazione tutta, fornendo un beneficio epidemiologico ed economico: per questo i nuovi vaccini, oltre alla registrazione, sono soggetti a raccomandazioni d’uso che in Italia vengono emanate attraverso documenti di intesa Stato-Regioni, come il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale che prevede quali vaccinazioni erogare alla popolazione, in regime di gratuità, come sarà illustrato più avanti.

Fig. 1 – Rappresentazione schematica della produzione dei vaccini.

Come detto, i vaccini di oggi sono prodotti altamente tecnologici: dopo il vaccino anti-vaioloso (Jenner, 1798) e quello anti-rabbico (Pasteur, 1885), il loro sviluppo si è giovato dall’inizio del Novecento della conoscenza dell’immunologia, in particolare dell’acquisizione di cognizioni di Immunità cellulare (Élie Metchnikoff, 1845-1916) e Immunità attiva e passiva (Paul Erhlich, 1854-1915). I primi immunologi evidenziarono come il sistema immunitario abbia il compito di controllare gli agenti patogeni presenti nell’ambiente e all’interno dell’organismo. Prima di questo la vaccinazione si era basata sull’empirismo e poi sulle intuizioni di Jenner e Pasteur.

La messa a punto delle colture cellulari, a partire dagli anni cinquanta, permise la produzione di vaccini virali su larga scala. Successivamente, dopo le scoperte sul DNA e la fabbricazione di proteine, la produzione di vaccini ha attraversato una fase di ricerca molecolare.

Ciò ha portato a una migliore conoscenza della risposta immunitaria indotta dall’esposizione di un antigene al sistema immunitario. A differenza dei vaccini storici, costituiti o dal batterio intero, inattivato od attenuato (come il BCG), o da estratti grezzi (come le tossine del tetano o della difterite), quelli ‘molecolari’ sono vaccini per i quali si conosce e si utilizza con precisione la parte del microorganismo che immunizza. Il primo di questi vaccini fu, quello contro l’epatite B, prodotto nel 1984 mediante la tecnica del DNA-ricombinante. Questi vaccini rispondono all’esigenza di elevata purezza chimica e maggiore sicurezza, garantendo al tempo stesso una risposta immunitaria altamente specifica e di conseguenza un’efficacia elevata. Altre tecniche di produzione, ancora più moderne, sono già praticate (riassortimento genetico, coniugazione degli antigeni polisaccaridici, vaccinologia inversa, etc.). Inoltre, lo sviluppo dei vaccini cosiddetti combinati, ha permesso una riduzione dei tempi e una semplificazione dei calendari di vaccinazione.

Nel corso del secolo la vaccinazione ha molto contribuito al declino delle malattie infettive, svolgendo un ruolo diverso a seconda della malattia. In alcuni casi, essa è stata l’unico strumento di lotta, come è avvenuto con il vaiolo. L’eradicazionedi questa malattia – dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS – WHO) nel 1980 – ha rafforzato la fiducia nella vaccinazione quale efficace mezzo per il controllo di gravi malattie infettive endemiche od epidemiche.

Altri vaccini, come quello contro il tetano (1921), hanno ugualmente fortemente contribuito al declino di gravissime patologie. Risulta più difficile valutare il ruolo svolto dalla terapia antibiotica e dalla vaccinazione nel controllo della difterite.

Per quanto riguarda il vaccino antipolio, dopo aver eliminato la poliomielite dall’Europa, l’obiettivo è ora quello di poterla eradicare entro il 2020 in tutto il mondo, associando nelle aree ancora endemiche al vaccino attenuato (creato da Sabin nel 1956), oltre a quello inattivato (realizzato da Salk nel 1954).

Comunque sia e in un quadro generale, con l’eccezione dell’acqua potabile, nessun’altra innovazione, antibiotici inclusi, ha avuto e tuttora ha un effetto così importante sulla riduzione della mortalità umana1, vale a dire:

– più di 2.5 milioni di morti / anno prevenuti2

– eradicazione del vaiolo, avvenuta nel 1980:  era causa di circa 5 milioni di morti ogni anno nel mondo3

– eliminazione della poliomielite in Europa, dichiarata dall’OMS nel giugno 2002: oggi la polio è rimasta endemica solo in 3 Paesi4.

Fig. 2 – Casi di polio nel mondo nel 2013 (4).

Il valore della prevenzione e il sistema vaccinale italiano

Il valore della prevenzione sembra essere scarsamente percepito in Italia, comunque meno che in altri Paesi: sono state identificate motivazioni storiche e culturali che possono essere alla radice di questa problematica, una risposta alla quale può consistere nella formazione delle nuove generazioni, in ambito scolastico e universitario.

A fronte dell’indubbio e dimostrato beneficio derivante dall’impiego dei vaccini, non vi è un adeguato impiego di risorse finanziarie destinate all’utilizzo degli stessi. Infatti, in Italia, la spesa sanitaria destinata alla prevenzione in generale, ed ai vaccini in particolare, è sempre stata inferiore al 5% del totale, teoricamente indicato come il limite minimo accettabile. In termini di percentuale di spesa per la prevenzione l’Italia si pone di molto al di sotto di altri Paesi europei5 e le prospettive non sono favorevoli. Questo rappresenta una questione politica, oltreché sociale.

La spesa riferibile a tutti i vaccini, per tutte le età, è attualmente in Italia inferiore a quella del quinto farmaco antibiotico più venduto6. Inoltre, emerge nel panorama italiano una diffusa disinformazione sia da parte dei cittadini che degli stessi professionisti sanitari riguardo le tematiche vaccinali, che porta ad un evidente scetticismo nei confronti dell’efficacia e della sicurezza di alcune vaccinazioni e, quindi, ad una sottoutilizzazione. L’atteggiamento di diffidenza si sta ancora maggiormente manifestando a seguito alla recente pandemia influenzale per cui gli operatori sanitari stessi hanno manifestato una scarsissima adesione alle campagne di vaccinazione e resistenza alla promozione delle stesse6.

Esistono infatti scarso coinvolgimento e partecipazione della classe medica (specialisti, medici e pediatri di famiglia) ai programmi vaccinali, ed anche una scarsa disponibilità ad essere loro stessi vaccinati, mentre per alcune vaccinazioni, come quella contro l’influenza, sarebbe importante per motivi organizzativi ed epidemiologici avere elevate coperture tra gli operatori sanitari.

Questa situazione è probabilmente accresciuta da aspetti di sistema e logistici. I vari Paesi si sono dotati di sistemi di vaccinazione diversi: alcuni sono pubblici, altri privati, altri basati sul rimborso assicurativo. Quello italiano è un sistema pubblico, abbastanza uniforme sul territorio – pur se con marcate differenze tra Regione e Regione – senz’altro più efficiente per le vaccinazioni dell’infanzia e adolescenza, dove si osservano buone coperture vaccinali, che per quelle dell’adulto, dell’anziano e delle categorie a rischio. I livelli di copertura assicurati nelle diverse realtà geografiche sono eterogenei e non tutti gli obiettivi di controllo delle malattie prevenibili vengono raggiunti7.

La riforma del Titolo V della Costituzione (2001), ha modificato l’assetto dei rapporti istituzionali tra Stato e Regioni, introducendo un quadro di devoluzione delle competenze e delle responsabilità in materia sanitaria: le Regioni hanno assunto la responsabilità, pressoché esclusiva, dell’organizzazione e gestione del servizio sanitario, mentre lo Stato ha la responsabilità di stabilire quali sono le prestazioni sanitarie “essenziali” (LEA) che tutte le Regioni devono offrire ai cittadini, ovunque residenti.

Le modalità di introduzione dei nuovi vaccini (Tab. 1) sono critiche, non tanto in termini di registrazione (che, come per tutte le specialità medicinali, è a cura dell’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e di quella italiana (AIFA), quanto di raccomandazioni d’uso e rimborsabilità, che hanno spesso latenza lunga, essendo definite con atti unici dalla Conferenza Stato-Regioni (vedi il Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale – PNPV – del 2012)7: attraverso questi accordi, in base al diritto garantito a tutti i cittadini del Paese alla prevenzione di malattie per le quali esistono vaccini efficaci e sicuri, ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione, vengono definiti i vaccini erogati gratuitamente nei distretti vaccinali delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e il relativo calendario vaccinale: si tratta vaccinazioni dell’infanzia, e di quella anti-influenzale per le categorie a rischio (vedi Tab. 2).

Queste vaccinazioni sono appunto incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ed offerte attivamente in tutto il Paese. Forse anche per questo, nell’accezione comune della popolazione italiana vaccino “raccomandato” equivale a vaccino “gratuito”. La crescente disponibilità di nuove tecnologie vaccinali, pone la necessità di operare delle scelte al fine di razionalizzare l’impiego delle risorse disponibili e massimizzare i risultati in termini di salute, dando priorità a un nuovo vaccino piuttosto che ad un altro. Perciò alcuni vaccini seppur innovativi spesso non sono utilizzati se non a distanza dalla loro registrazione.

Tab. 2 – Calendario nazionale delle vaccinazioni offerte attivamente a tutta la popolazione (7).

Note:
1) Dopo il compimento dei 7 anni è necessario utilizzare la formulazione con vaccino antidifto-tetanico-pertossico acellulare di tipo adolescenziale-adulto (dTpa).

2) Gli adulti con anamnesi incerta per il ciclo primario di vaccinazione con dT devono iniziare o completare la vaccinazione primaria. Un ciclo primario per adulti è composto da 2 dosi di vaccino contenente tetano e difterite (dT) e una terza dose con vaccino dTpa. Le prime 2 dosi devono essere somministrate a distanza di almeno 4 settimane l’una dall’altra e la terza dose 6-12 mesi dopo la seconda. I successivi richiami devono essere effettuati ogni 10 anni (a partire dal completamento della serie primaria) e almeno una delle dosi booster di vaccino dT dovrebbe essere rimpiazzata da 1 dose di vaccino dTpa.
3) Per i bambini nati da madri positive per HbsAg: somministrare entro le prime 12-24 ore di vita, contemporaneamente alle immunoglobuline specifiche antiepatite B, la prima dose di vaccino anti-HBV; il ciclo andrà completato con una seconda dose a distanza di 4 settimane dalla prima, con una terza dose dopo il compimento della ottava settimana e con la quarta dose in un periodo compreso tra l’undicesimo ed il dodicesimo mese di vita, anche in concomitanza con le altre vaccinazioni.

4) In riferimento ai focolai epidemici in corso, si ritiene opportuno, oltre al recupero dei soggetti suscettibili in questa fascia d’età (catch up) anche una ricerca attiva ed immunizzazione dei soggetti conviventi/contatto, non vaccinati (mop up).
5) Dose singola. La somministrazione a 11-18 anni va considerata nei soggetti non vaccinati nell’infanzia
6) Per il sesso femminile, nel corso del 12° anno di vita, seguendo una scheda a 3 dosi. Vaccino bivalente (contro i genotipi 16 e 18 di HPV): 0, 1 e 6 mesi; vaccino quadrivalente (contro i genotipi 6, 11, 16 e 18 di HPV): 0, 2 e 6 mesi.
7) Nei soggetti anamnesticamente negativi e non precedentemente vaccinati è prevista la somministrazione di due dosi a distanza di un mese l’una dall’altra.

Alcune questioni aperte in Vaccinologia

Innovazione e nuove tecnologie

Riguardano la complessità e i costi dello sviluppo dei vaccini moderni: il costo crescente – seppur giustificato – tende a rendere problematico il loro uso nel Terzo mondo, ma talora anche in altri Paesi. La vaccinologia presenta quindi anche una dimensione etica e politica, oltre a quella sociologica conosciuta da tempo.

Immunogenicità ed efficacia

Se un nuovo vaccino è immunogeno (induce cioè una risposta immunitaria specifica contro un agente patogeno), non è detto che sia anche efficace a lungo termine nel prevenire la malattia causata da questo agente. Gli studi condotti prima della registrazione sono sufficienti per consentire l’uso del vaccino, ma sono poi necessari studi di campo che confermino nel tempo l’efficacia di quel vaccino ed eventualmente decidere dosi di richiamo.

Farmacovigilanza

Esistono ruoli e responsabilità di tutti gli attori (Autorità sanitarie, classe medica, ASL, cittadinanza, produttori) ridefiniti recentemente in una nuova normativa europea8. La vaccinologia, come la medicina nel suo insieme, deve radicarsi in un sistema di prove e dotarsi progressivamente di ingranaggi istituzionali. L’OMS ha creato il Global Advisory Committee on Vaccine Safety, formato da esperti indipendenti e da ditte produttrici di vaccini che valutano i rischi di una vaccinazione e consigliano i governi.

Obbligo vaccinale

Tra le vaccinazioni ad oggi raccomandate in Italia, come da PNPV, ve ne sono ancora quattro “obbligatorie” per legge (difterite, tetano, polio, epatite B), ad eccezione del Veneto che ha sospeso l’obbligo vaccinale nel 2007. Su questa anomalia si poggiano spesso le posizioni dei movimenti anti-vaccinali, alcuni dei quali, va detto, non si esprimono contro la vaccinazione come tale, ma contro le modalità di offerta e di sistema. In Europa e anche in Italia esistono programmi per indennizzare i cittadini che hanno subito danni in seguito a una vaccinazione, ma talora il sistema sembra migliorabile.

Nuovi gruppi target di vaccinazione adulti e anziani.

Le coperture vaccinali nella popolazione giovane italiana sono elevate, anche se migliorabili in alcune aree (adolescenti). Così non è per le coperture vaccinali negli adulti e negli anziani e nelle categorie a rischio, malgrado siano oggi questi target fondamentali della prevenzione, considerando l’invecchiamento generale della popolazione e la riduzione delle risorse economiche destinate alla spesa sanitaria. L’Italia è al secondo posto per numerosità degli over 65 (20,4% di persone di 65 anni e oltre) alle spalle del Giappone (22,8%) e ben al di sopra della media OCSE (17,3%)9. Questo aspetto è importante ed evidenzia la priorità per il SSN italiano (e per tutti i sistemi sanitari dei Paesi occidentali) di fronteggiare la sostenibilità finanziaria di questo fenomeno e considerare la vaccinazione quale utile strumento per il contenimento della spesa10.

Perché un insegnamento di Vaccinologia nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia

Dalle considerazioni sopra descritte emerge l’importanza per lo studente del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di apprendere nozioni che interessano in generale tutti i medici e nello specifico gli specialisti di alcune discipline come l’Igiene e la Medicina preventiva, la Pediatria, l’Infettivologia, la Microbiologia, la Medicina del lavoro, la Geriatria nonché la Medicina di famiglia.

Oggi alcune materie dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia trattano di vaccini e vaccinazioni (Igiene e Sanità pubblica, Pediatria, Malattie Infettive, Microbiologia, etc) che coinvolgono altrettanti Settori Scientifico-disciplinari (SSD), anche se non sempre le conoscenze e le esperienze dei docenti in vaccinologia consentono gli auspicati approfondimenti.

Da quanto è stato sopra descritto, è evidente come i confini della vaccinologia siano molto ampi, ma ben definibili al tempo stesso e rendono questa nuova scienza degna di insegnamento specifico universitario o post-universitario. In particolare un insegnamento in vaccinologia – ovvero una serie di moduli coordinati all’interno di corsi integrati – sembra utile perché i laureandi e i giovani medici acquisiscano per tempo competenze adeguate non solo biologiche, ma anche sociali, in ambito di prevenzione primaria e di vaccinazione, come:

– Il valore delle prevenzione vaccinale, in termini epidemiologici, economici e sociali;

– le caratteristiche dei vaccini, dal punto di vista della ricerca e produzione, ma anche quale strumento di sanità pubblica e individuale, e il razionale del loro impiego;

– le caratteristiche del sistema vaccinale italiano e le problematiche connesse (accesso alla vaccinazione, coperture vaccinali, priorità, etc.);

– il ruolo dei medici e degli operatori sanitari in ambito vaccinale (verso se stessi, oltreché verso il sistema e la popolazione)

Data l’eterogeneità degli insegnamenti impartiti nei diversi corsi di Laurea appare opportuno che in ciascun corso di studi il Presidente, assieme ai docenti più direttamente interessati e sensibilizzati al problema, studi un iter formativo all’interno dei core curricula esistenti per la formazione del futuro medico che soddisfi quella che appare una imprescindibile esigenza formativa a tutt’oggi non sempre soddisfatta.

Bibliografia

1) Plotkin SL, Plotkin SA. “A short history of vaccination,” In: Plotkin S, Orenstein W, Offit PA. Vaccines, 5th edition, Philadelphia: Saunders, 2008

2) WHO – Global Vaccine Action Plan 2011 – 2020 – accessed June 2013 http://www.who.int/immunization/global_vaccine_action_plan/GVAP_doc_2011_2020/en/index.html

3) WHO, September 2005: Cases of vaccine-preventable diseases in the WHO European region http://www.euro.who.int/document/mediacentre/fs0705e.pdf

4) WHO – The Global Polio Eradication Initiative – accessed June 2013 http://www.polioeradication.org/Infectedcountries.aspx

5) OECD StatExtracts – accessed June 2013
http://stats.oecd.org/Index.aspx?DataSetCode=SHA

6) Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane – – accessed June 2013
http://www.osservasalute.it/index.php/aisv/contesto

7) Ministero della Salute – Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014 – – accessed June 2013
http://www.trovanorme.salute.gov.it/dettaglioAtto?id=42048&completo=true

8) Aifa La nuova legislazione di farmacovigilanza – accessed June 2013
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/la-nuova-legislazione-di-farmacovigilanza

9) OECD Factbook 2010 – accessed June 2013
http://www.oecd-ilibrary.org/economics/oecd-factbook-2010_factbook-2010-en

10)  Ehreth J. The global value of vaccination. Vaccine 2003; 21: 596-600.

11)  Testo di consultazione:  enciclopedia italiana Treccani – Storia della Scienza (2012) – Scienze biologiche e la medicina: La genesi della vaccinologia – AM Moulin

Cita questo articolo

Biasio L.R., L’insegnamento della Vaccinologia  nei CLM in Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 59: 2630-2636, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-3

La Scuola internistico-metodologica padovana di Mario Austoni

Mario Austoni nacque a Brescia nell’ottobre del 1912 e si laureò in Medicina e Chirurgia a Padova nel 1936 a pieni voti e lode. Dopo la laurea trascorse un anno e mezzo come medico interno nell’Istituto di Farmacologia della nostra Università, allora diretto dal prof. Egidio Meneghetti, di cui ammirò molto il rigore scientifico e la dirittura del suo stile di vita.  Si trasferì poi a Roma, nel 1937, come medico interno, nella Clinica Medica diretta dal prof. Cesare Frugoni. Nello stesso anno vinse una borsa di studio ministeriale che gli permise un primo soggiorno a Berkley in California, dove frequentò l’Istituto di Biochimica e la Clinica Medica.

Tornato a Roma nel ’39 vi rimase due anni come assistente del prof. Frugoni. Nel ’41, in seguito a vicende familiari e belliche, tornò all’Università di Padova dove era allora Patologo Medico il prof. Giulio Andrea Pari. Ricoperse l’ufficio di Assistente (durante il richiamo alle armi) e quindi di Aiuto fino al ’49 anno in cui il prof. Pari morì improvvisamente. Il prof. Austoni si trovò allora a dirigere, per alcuni mesi, come Direttore interino, l’Istituto di Patologia Medica, rimasto senza Direttore.  All’inizio dell’anno accademico 1949-50, venne nominato Patologo Medico a Padova, il prof. Gino Patrassi il quale volle mantenere al suo fianco, come Aiuto, il prof. Austoni.

Nel ’53 il prof. Austoni vinse un’altra borsa di studio americana e si recò per la seconda volta a Berkley dove frequentò, questa volta, l’Istituto di Fisica Medica. Lì apprese  i principi delle applicazioni mediche dei radioisotopi, tecnologia che egli al suo ritorno a Padova applicò alla diagnostica ed alla terapia di alcune patologie, dando avvio a quelle attività cliniche che, negli anni seguenti, culmineranno nella costituzione all’Università di Padova, di un Centro di Medicina Nucleare  che, a sua volta, si trasformerà più tardi in una Cattedra omonima.

La Medicina nucleare era allora utilizzata prevalentemente per la diagnostica e la terapia di alcune endocrinopatie e di alcune emopatie: da ciò originarono gli interessi del prof. Austoni per entrambi questi settori medici che rappresentarono poi uno dei primi e principali filoni di attività dell’Istituto di Semeiotica Medica. Si interessò inoltre di Malattie Infettive, disciplina che insegnò negli anni dal ‘51 al ’54 e che lo portò alla stesura di una monografia sulle Leptospirosi, assai apprezzata in quei tempi nei quali questa malattia era assai più frequente di oggi. Altro campo cui il prof. Austoni diede particolare impulso è quello dell’Immunologia Clinica soprattutto nel campo delle malattie autoimmuni.

Tuttavia, nonostante l’apparente differenziazione e frammentazione dell’attività clinica e scientifica nei diversi settori ora ricordati, sui quali il prof. Austoni indirizzava e promuoveva le ricerche dei suoi allievi, a livello clinico era fermamente convinto della necessità che la Medicina non dovesse essere divisa in settori tra loro separati, per non “trascurare – sono parole Sue – la globalità dell’essere umano malato”. Riconosceva l’importanza e la necessità delle Specializzazioni, ma sosteneva con altrettanta convinzione che coloro che si dedicano alle diverse specializzazioni devono costruire le proprie competenze su solide fondamenta costituite dalla perfetta conoscenza della Medicina e della Chirurgia generale. Questo atteggiamento olistico della Medicina clinica ha rappresentato il germe su cui il prof. Austoni ha poi costruito la peculiare caratteristica del suo insegnamento e della sua Scuola: l’atteggiamento metodologico.

Nel 1954, il prof. Austoni assunse la titolarità come incarico, dell’insegnamento ufficiale della Semeiotica Medica, insegnamento allora complementare e lo mantenne fino al 1959 quando pervenne alla cattedra di Semeiotica Medica come Professore straordinario e, come Professore ordinario, nel 1962. In quest’anno venne ufficialmente costituito l’Istituto di Semeiotica Medica, che il prof. Austoni diresse fino al suo collocamento a riposo, nel 1982.

Quando fu fondato, nel ’62, l’Istituto di Semeiotica Medica, il prof. Austoni accolse con sé un limitato numero di collaboratori: Pasquale Carenza, Donato Ziliotto, Romeo Lazzaretto, Sergio De Biasi, Felice Casson, Antonio Girolami, Cesare Scandellari, Nicola Conte. Mentre D. Ziliotto, A. Girolami e C. Scandellari intrapresero, negli anni seguenti, la vita universitaria, gli altri si dedicarono per lo più alla vita ospedaliera dove contribuirono a far conoscere i principi metodologici imparati durante la permanenza nell’Istituto del prof. Austoni. Alcuni di loro poterono raggiungere – il primariato ospedaliero, sia in Divisioni di Medicina Generale (come P.Carenza, F. Casson e N. Conte) sia in Centri di Diagnostica di Medicina nucleare (come F. Ferlin, D. Casara e A. Vianello, entrati a far parte, in un’epoca successiva, dell’Istituto di Semeiotica Medica).

Tra gli allievi che negli anni seguenti si unirono all’Istituto di Semeiotica Medica, uno ha rappresentato in particolare un elemento essenziale per il successivo orientamento di tutta a Scuola austoniana. Ci si riferisce a Giovanni Federspil (prematuramente scomparso nel 2010)  che con la sua profonda cultura umanistico-filosofica seppe dare un contributo fondamentale alle riflessioni  sulla metodologia medica e clinica. E furono queste riflessioni e queste ricerche  gli elementi che diedero forma e sostanza agli orientamenti metodologici che avrebbero , da allora in poi, caratterizzato la Scuola padovana di Austoni, rendendola particolarmente nota e apprezzata soprattutto in Italia ma anche in altri Paesi Europei (Belgio e Svizzera).

Come già è stato detto, il prof. Austoni, nel 1959 vinse la Cattedra di Semeiotica medica, evento che più d’ogni altro ha segnato la sua vita universitaria: cioè la sua decisione – in gran parte condizionata, come sempre accade, da vicende  contingenti, ma non per questo meno convinta – di dedicarsi interamente alla Semeiotica Medica. Fu un connubio – se così può essere chiamato –  fortunato ed estremamente significativo sia per la stessa disciplina Semeiotica Medica che per il prof. Austoni.

Risultò fruttuoso per la Semeiotica – che a quei tempi era considerata la disciplina cenerentola della Medicina Interna – poiché proprio dalla passione e dalla dedizione che ad essa profuse il prof. Austoni, trasse nuova linfa vitale, ottenendo finalmente, non solo presso il corpo docente universitario padovano ma anche nell’ambito nazionale, quella considerazione e quel prestigio che la Semeiotica Medica merita in funzione della sua rilevanza per la formazione del futuro medico. Questa valorizzazione della Semeiotica Medica venne ottenuta dal prof. Austoni dimostrando che questa disciplina non deve essere limitata agli aspetti esclusivamente tecnici di esame del malato, com’era sempre stata considerata – anche se tutti i suoi allievi sanno quanto il prof. Austoni pretendesse e quanto ci tenesse alla correttezza della raccolta anamnestica ed alla cura dell’osservazione obiettiva del malato. Il grande merito del prof. Austoni è stato quello di arricchire ed ampliare questa disciplina alla riflessione sul metodo e sul ragionamento clinico. Pretese – in sintesi – che ogni suo collaboratore, ogni medico che con lui operava, si chiedesse sempre, di fronte ad ogni decisione che riguardasse l’ammalato: perché faccio questo? e: quale valore ha la decisione che mi accingo a prendere?

L’incontro con la Semiotica Medica, fu d’altro canto fondamentale anche per il prof. Austoni poiché, coltivando questa disciplina, Egli potè esprimere e sviluppare al meglio, tutte le sue doti di clinico, di studioso, di docente. Alla Semeiotica Medica il prof. Austoni dedicò tutta la sua carriera.

Quando, assieme ad alcuni Colleghi di altre Università, ottenne la Cattedra venne chiesto loro l’impegno di non considerare quella Cattedra come un primo gradino verso i ruoli della Patologia Medica e della Clinica Medica, che al tempo rappresentavano le due uniche fasi della progressione di carriera nell’ambito della medicina interna e, in quanto tali, ambite e contese nelle Facoltà Mediche. Il prof. Austoni – a differenza di qualche suo collega – si sentì vincolato sul suo onore a questo impegno che mantenne lungo tutta la Sua carriera, al punto di rifiutare l’opportunità – che pure in anni successivi gli si presentò – di acquisire gli insegnamenti allora ritenuti più prestigiosi di Patologia Medica e di Clinica Medica. Fece questo “grande rifiuto” – come venne definito anche da qualche suo collaboratore – sia per favorire due suoi allievi (Girolami e Scandellari) che poterono acquisire l’insegnamento per incarico di Patologia Medica – ma soprattutto per coerenza verso l’impegno che aveva preso quando vinse la Cattedra. Ma verosimilmente, il vero e più decisivo motivo, era costituito dall’attaccamento sentimentale culturale e intellettuale che Egli provava per la Semeiotica Medica e per il ruolo che questa disciplina gioca nella formazione del medico.

E quando nel 1982, lasciò l’insegnamento per raggiunti limiti d’età, volle  come successore non tanto uno dei due suoi allievi con titolarità all’epoca più prestigiosa (Patologia Medica) preferendo che la continuazione del suo insegnamento si mantenesse nel solco della Semeiotica Medica: suo successore fu quindi Donato Ziliotto, allora  cattedratico di Semeiotica Medica all’Università di Verona.

Sebbene non possano essere considerati di secondaria importanza i filoni di ricerca e di applicazione clinica coltivati dalla Scuola di Austoni negli ambiti più tradizionali per una Scuola Medica –  quali quello Endocrinologico affidato tra gli altri a Donato Ziliotto, a Franco Mantero, B. Busnardo, I. Mastrogiacomo, M. Boscaro, L. Varotto, E. Girelli, D. Armanini, C. Foresta; quello Ematologico curato da Antonio Girolami, Fabrizio Fabris  G. Cella, C. Scaroni, M.L. Randi, S. Casonato e altri; quello immunologico-clinico, sviluppato da Franco Bottazzo, P. Borini, C. Betterle ; quello Metabolico, sviluppato da Giovanni Federspil, Trisotto,  Roberto Vettor e Nicola Sicolo; quello relativo alla Medicina Nucleare (C. Macrì, F. Ferlin, A Vianello, D. Casara); quello della Medicina dello Sport (M. Zaccaria) – è indubbio che fu l’indirizzo metodologico quello che fruttò maggior notorietà alla Scuola austoniana come centro di innovazione dell’atto medico. E’ vero che le nozioni di Metodologia non erano all’epoca, del tutto nuove: già nel 1965 Enrico Poli, primario medico al Fatebenefratelli di Milano, aveva pubblicato un libro intitolato Metodologia Medica, che tuttavia non ebbe al momento molta risonanza tra la classe medica. Migliore fortuna – forse anche perché i tempi erano mutati – ebbero le pubblicazioni della Scuola Auatoniana: è del 1975 il libro “Principi di Metodologia Clinica” scritto dallo stesso Austoni con la collaborazione di Giovanni Federspil mentre dieci anni dopo, nel 1985, Cesare Scandellari e Giovanni Federspil ottennero la possibilità di esporre all’intera Comunità internistica italiana, riunita a Sorrento per l’86° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, una esauriente relazione sui contenuti e sul significato della Metodologia Medica indicandola come elemento derivato dalla metodologia scientifica ed elemento basilare per la medicina clinica. Veniva così a compiersi il progetto tanto vagheggiato dal prof. Austoni di dare nuova sostanza e più efficacia al modo di fare medicina.

Gli Allievi*

Hanno raggiunto la titolarità di Cattedre di Prima Fascia:

Donato Ziliotto                     Endocrinologia               (attualmente a riposo per limiti di età)

Antonio Girolami                 Medicina Interna             (attualmente a riposo per limiti di età)

Cesare Scandellari             Medicina Interna            (attualmente a riposo per limiti di età)

Giovanni Federspil              Medicina Interna            (deceduto  2010)

Fabrizio Fabris                    Medicina Interna

Franco Mantero                  Endocrinologia

Roberto Vettor                         Medicina Interna

Carlo Foresta                           Endocrinologia

Gian Franco Del Prete               Med. Int e Immunoallergologia      (deceduto  2010)

Corrado Macrì                          Medicina Nucleare                       (deceduto  2008)

 

Hanno raggiunto il Primariato in Ospedali di Provincia:

Pasquale Carenza                  Padova                                      Medicina

Felice Casson                         Chioggia (Ve)                             Medicina

Nicola Conte                           Treviso                                      Medicina

Rodolfo Scarpa                      Chioggia                                    Geriatria

Giorgio Ferlin                          Treviso                                      Medicina Nucleare

 

Gianfranco Bottazzo è stato per alcuni anni Head of Department of Immunology al St. Batholomew’s and the Royal London School of Medicine and Dentistry – London (UK)

Principali linee di ricerca

Linea Internistica: Pasquale Carenza, Felice Casson, Romeo Lazzaretto, Nicola Conte, Rodolfo Scarpa, Maurizio Benato, Sergio De Biasi, Mario Lazzarin, Daniele Fioretti, Marco Zaccaria (Medicina dello Sport), Renato Guido

Linea Metodologica: Cesare Scandellari, Giovanni Federspil

Linea Ematologica: Antonio Girolami, Fabrizio Fabris, Giuseppe Cella, Maria Luigia Randi, Sandra Casonato, Adriano Brunetti, Giovanni Maurizio Patrassi, Nicoletta Borsato, Renzo Dal Bo Zanon

Linea Endocrinologica: Donato Ziliotto, Franco Mantero, Carlo Foresta Benedetto Busnardo, Giuseppe Opocher, Nicola Sicolo, Carla Scaroni, Ismaele Mastrogiacomo, Decio Armanini, Maria Elisa Girelli, Francesco Fallo, Giovanni Luisetto, Guglielmo Bonanni, Francesco Fallo, Marco Rossato, Pietro Maffei, Chiara Martini, Roberto Mioni

Linea Metabolica: Giovanni Federspil, Roberto Vettor, Carlo De Palo, Silvio Dal Fabbro

Linea Immunologica: Gianfranco Bottazzo, Corrado Betterle, Alberto Trisotto, Gian Franco Del Prete, Paola Borini

Linea Medicina Nucleare: Corrado Macrì, Giorgio Ferlin, Franco Bui, Dario Casara, Paolo Ridolfi

Linea Medicina di Laboratorio: Ferdinando Callegari, Giuseppe  Piemonte

*Gli elenchi sono tratti da registri appartenuti all’ex-Istituto di Semeiotica medica ora disattivato. E’ pertanto possibile che contengano qualche lacuna.

Le linee guida e i loro effetti sulla colpa penale medican.59, 2013, pp.2650-2651, DOI: 10.4487/medchir2013-59-6

Abstract

It is contrary to common sense to speak about a medical criminal liability. The doctor works for the purpose of the patient’s health and it is absurd, at the same time, is liable for the damage to his physical integrity. In this direction it is very important the new provision in the law 189/2012 which gives a restrictive effect of criminal responsibility to comply with the guidelines by the physician.

Articolo

Quello della responsabilità penale del medico è un settore che va affrontato oggi con molta delicatezza e attenzione, e questo per molte buone ragioni.

Una di queste è che già il semplice parlare di responsabilità penale del medico, almeno con riferimento alle ipotesi colpose, sembra stridere con il comune buon senso. Risale a parecchi anni orsono una descrizione molto efficace di questo paradosso che evoca l’immagine di una professione finalizzata a fare il bene e, tuttavia, troppe volte sul banco degli imputati per la lesione dell’integrità fisica del paziente.

Senza alcun sofisma, è necessario evidenzia- re questo forte scollamento tra la realtà delle cose guardata con gli occhiali del buon senso e la disciplina che la nostra legge stabilisce per determinati accadimenti. Un simile rilievo, tuttavia, per importante e significativo che sia, non toglie nulla al problema ma, anzi, semmai lo acuisce. Quel che occorre per far pace con la realtà è piuttosto una modificazione delle norme.

Questa breve premessa già consente di cogliere il senso e la portata della disposizione introdotta con l’art. 3 del c.d. decreto Balduzzi in materia sanitaria, convertito con la legge 189 del 2012, in base alla quale “l’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Il primo dato che emerge è proprio il riferimento espresso alla responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria e la sua “limitazione” ai soli casi di (dolo) e colpa grave. E’ corretto quindi affermare che la nuova norma rappresenta proprio quella modificazione del diritto (o quanto meno di una parte) necessaria a superare il divario tra la legge e la realtà, anche e soprattutto considerando che sono proprio i reati colposi il vero problema da risolvere (sia perché sono quelli normalmente contestati ai medici, sia perché una condanna fondata sull’imperizia può produrre sulla reputazione del medico pregiudizi particolari). Una valutazione d’insieme sembrerebbe por- tare ad un apprezzamento positivo per la riforma, considerandone lo spirito, le intenzioni ed il fatto che, come affermato di recente dalla Corte di Cassazione, si è di fatto attuata una vera e propria depenalizzazione dei reati colpo- si commessi dal medico con colpa lieve. Volendo approfondire, tuttavia, la formulazione della norma presta il fianco a molte obiezioni. A questo riguardo, basti ricordare che con ordinanza del 21 marzo 2013 il tribunale di Milano ha sollevato la questione di illegittimità costituzionale della norma in questione sulla base, in verità, di molte ragionevoli argomentazioni, la più efficace delle quali è probabilmente quella dell’estrema genericità e vaghezza del riferimento alle linee guida. Più nel dettaglio, il discrimine tra il lecito e l’illecito sta prima di tutto nel rispetto o meno delle linee guida e delle buone pratiche accreditate presso la comunità scientifica. Già il significato dell’espressione utilizzata non è di immediata comprensione. Ancora una volta, il comune buon senso, vorrebbe che, date delle linee guida e accertata la loro osservanza, il giudizio di responsabilità debba essere necessariamente negativo. La realtà, tuttavia, è un’altra, e cioè che di linee guida ce ne sono molte e di molti tipi. In sostanza, posto che le linee guida rappresentano una serie di indicazioni, generiche e non specifiche, direttive di massima più che precetti, che indirizzano l’attività del medico in alcuni casi, è pur vero che uno stesso fenomeno può essere trattato in modo diverso da linee guida regionali, nazionali, europee e così via. Alla base di queste direttive, infatti, stanno ovviamente degli studi e delle ricerche le quali, giocoforza, risentono di una serie di fattori quali la provenienza dei fondi impiegati, gli interessi della committenza, il metodo utilizzato e la sua oggettività. Va da sé che a seconda del parametro preso in considerazione potranno quelle linee guida essere considerate più o meno attendibili. Queste considerazioni sono state espresse dalla Corte di Cassazione che, nella prima sentenza applicativa della nuova disposizione (Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2013, n. 268), con spirito costruttivo ha cercato di interpretare la norma valorizzandone il significato piuttosto che abbandonarsi ad una mera critica di essa. Più in particolare, la Suprema Corte ha valorizzato quel requisito dell’accreditamento delle linee guida presso la comunità scientifica per valutare la condotta del medico. Non ogni linea guida, in sostanza, esonera da responsabilità, ma solo quelle che godono di un certo grado di apprezzamento e condivisione preso la comunità scientifica, evidenziando la figura del medico come professionista attento al sapere scientifico che connota la sua professione. Il grado di condivisione delle linee guida concretamente osservate sarà l’oggetto di un accertamento compiuto dal giudice penale che inevitabilmente si avvarrà dell’aiuto di esperti i quali, in verità, non saranno chiamati a rendere soltanto la loro autorevolissima opinione su come l’imputato avrebbe potuto o dovuto agire ma soprattutto se il modo in cui egli ha concretamente operato sia la rappresentazione di modalità tecniche accreditate presso la comunità dei medici. Ove il medico abbia rispettato linee guida o buone pratiche di questo genere andrà esente da responsabilità penale per colpa live e con riguardo ai reati colposi di volta in volta con- testati. Sul punto si impone una precisazione. Perché si produca l’effetto di esenzione da responsabilità è necessario che l’evento lesivo in concreto verificatosi sia stato causato proprio dal comportamento del medico rispettoso delle linee guida, ovvero che sia stato determinato proprio dal comportamento conforme a quelle regole di perizia ivi contenute.

Le linee guida, in effetti, contenendo regole tecniche, limitano la responsabilità del medico solo quando questa sia dovuta ad imperizia e non invece anche nei casi di negligenza e imprudenza. Il medico, infatti, è chiamato in ogni caso a tenere un comportamento ispirato a diligenza e prudenza ed in caso di inosservanza di questi due canoni fondamentali risponderà sia in caso di colpa grave che in caso di colpa lieve.

Esemplificando, qualora il medico abbia agito nel pieno rispetto delle regole di perizia poste dalle linee guida ma nel corso del trattamento medico si sia allontanato lasciando il paziente alle cure di un infermiere, è evidente che, qualora si verifichi una complicazione in questa fase ed il paziente ne ricavi una lesione, quest’ultima sarà oggettivamente riferibile all’imprudenza o alla negligenza del medico, non avendo nulla a che fare con il rispetto delle linee guida (questo caso è stato concretamente affrontato proprio dalla Cassazione nei mesi scorsi trattando dell’ipotesi di un medico ginecologo che aveva lasciato la partoriente alle cure della sola ostetrica allontanandosi dalla sala operatoria).

Allo stato attuale, pertanto, è possibile concludere affermando come il rispetto delle linee guida sia consigliabile, rappresentando in una certa misura un indizio dell’assenza di colpa, per riprendere le affermazioni della Corte di Cassazione, anche se è pur sempre necessario che il medico, in quello spazio valutativo personale e professionale rappresentato da “scienza e coscienza”, valuti pur sempre se il suo operato sia o meno in linea con le migliori prassi adottate nel mondo sanitario.

Nell’attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulla costituzionalità della disposizione commentata non si può comunque fare a meno di rilevare come lo spirito costruttivo che ha animato la Cassazione sia sicuramente condivisibile anche se, e questa volta ci sia concesso un margine di critica, bene farebbe il legislatore a ripensare seriamente ed organicamente al problema, evitando di consegnare il destino del medico a margini troppo ampi di discrezionalità tecnica del giudice e imboccando la strada di una radicale eliminazione della responsabilità penale colposa del medico.

Cita questo articolo

Callipari N., Le linee guida e i loro effetti sulla colpa penale medica, Medicina e Chirurgia, 59: 2650-2651, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-6

Anatomia, libri e auctoritas: Galeno di Pergamon.59, 2013, pp.2652-2658, DOI: 10.4487/medchir2013-59-7

1. “Il plesso chiamato rete mirabile dagli anatomisti è il più meraviglioso dei corpi collocati in questa parte del corpo. Esso circonda la ghiandola stessa e si estende verso il retro; di modo che quasi tutta la base dell’encefalo ha quasi questo plesso che giace al di sotto. Non è una rete semplice ma appare come se tu avessi preso molte reti da pescatore sovrapponendole l’una con l’altra…. per la delicatezza delle parti che lo compongono e per la stretta connessione della sua tessitura, non è possibile comparare questa rete a nessuna rete fatta artigianalmente…piuttosto, la natura si appropria del materiale per questa rete mirabile per la maggior parte dalle arterie che salgono dal cuore fino alla testa. Piccoli rami vengono emessi da queste arterie verso il collo, il viso e le parti esterne della testa. Le parti rimanenti, diritte come si sono formate all’inizio, passano attraverso il torace e il collo fino alla testa e sono comodamente accolte li in una parte del cranio, che è attraversata (dal canale carotideo) e le accoglie senza problemi nella parte interiore del capo. Anche la dura madre le riceve ed è stata già perforata lungo la linea della loro invasione e tutte queste cose danno l’impressione che le arterie si affrettino a raggiungere l’encefalo. Ma questo non è il caso. Perché quando esse sono passate oltre al cranio, nello spazio tra questa e la meninge spessa essi si dividono prima in molte arterie piccole e sottili e poi si intrecciano e passano una dentro l’altra, alcune verso la parte anteriore della testa, altre verso la parte posteriore, altre a destra e a sinistra, dando l’impressione opposta, cioè che hanno perduto la strada verso l’encefalo. Comunque, questo non è vero; infatti, dopo che da molte di quelle arterie coese come radici in un tronco si sviluppa un’altra giunzione di arteria simile a quella che all’inizio si era originata dal cuore, allo stesso modo penetra il cervello attraverso i fori della grande madre” (De usu partium IX, 4).
2. “Tutte le parti che hanno gli uomini le hanno anche le donne, la differenza tra loro essendo in una sola cosa, che deve essere ben tenuta a mente durante la discussione, cioè che le parti delle donne sono all’interno del corpo, mentre nell’uomo sono esterne, nella regione detta perineo….lo scroto prenderebbe necessariamente il posto dell’utero, con i testicoli giacenti al di fuori, accanto ad esso da ciascuna parte; il pene del maschio diventerebbe il collo della cavità che si è formata; e la pelle alla fine del pene, chiamata ora prepuzio, diventerebbe la stessa vagina…puoi vedere qualcosa del genere negli occhi della talpa, che hanno umor vitreo e cristallino e la tunica che li circonda e che cresce dalle meningi…ed hanno ciò come molti animali che sono in grado di usare i propri occhi. Gli occhi della talpa, invece, non si aprono…ma rimangono lì imperfetti e come gli occhi degli altri animali quando sono ancora nell’utero…così anche la donna è meno perfetta dell’uomo per quanto riguarda le parti destinate alla generazione. Perché le parti sono formate in essa ancora nella vita fetale, ma non possono emergere ed essere proiettate all’esterno a causa della mancanza di calore… (De usu part. XIV, 6-7).

Abstract

Galen is the most representative medical author in the history of ancient anatomical studies. His experiments and researches, mainly perfomed on animals, are the fundamentalbasis of the medical tradition of Middle and Early Modern Age. The article analyzes two passages of the Galenic work on which the Western medical tradition based its anatomical  teaching  for many centuries: on one side, the description of the ‘rete mirabile’, surely observed by Galen in goats and sheeps; on the other, the Galenic description of uterus and genital feminine apparatus, the last one thought by Galen as the introjection of the more complete and perfect male genital one.  Both passages well document the long lasting Galenic ideas, still discussed as authoritative in the XVII century.

Articolo

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Fig. 1 – Anagni, Cattedrale, Galeno e Ippocrate.

Una vita esemplare

Nella più che prolifica produzione di Galeno, una delle più ricche e complete che la tradizione della medicina antica ci abbia conservato e consegnato, non è certo possibile individuare un solo testo che possa essere indicato come masterpiece di una storia della medicina narrata attraverso i libri e le storie che essi raccontano. Al nome di Galeno sono ascritti, infatti, oltre quattrocento trattati; essi non sono tutti sicuramente autentici ma, anche limitandosi a quelli che conosciamo certamente come opere originali del maestro di Pergamo, diventa veramente difficile operare una scelta giustificata e che non penalizzi uno dei molti aspetti che fanno di Galeno non solo un padre fondatore,  ma anche l’auctoritas che di sé impronta l’insegnamento medico, la ricerca anatomica, la sperimentazione fisiologica in medicina  fino al pieno Evo moderno.

Galeno costituisce, da questo punto di vista, un unicum che è impossibile replicare o anche solo imitare per molti secoli: filosofo dotto ed esperto, allievo di molti maestri che, in paesi diversi, dalla terra natale fino all’Egitto e poi a Roma, ne alimentano la curiosità intellettuale, anatomista che “rivoluziona” l’approccio al corpo integrando con l’osservazione dei corpi animali il sapere umorale e qualitativo ippocratico, fisiologo e sperimentatore infaticabile, clinico infallibile in grado di affrontare tipologie molto variegate di pazienti (dai gladiatori ai membri della cerchia imperiale romana), studioso della natura, delle erbe e delle sostanze che possono essere impiegate per la fondazione di una farmacologia molto più ricca e complessa di quella ippocratica, bibliofilo e scrittore fecondissimo, uomo di “reti” e relazioni pubbliche altolocate e politicamente determinanti prima nella Roma di Marco Aurelio e poi in quella retta da suo figlio Commodo. Certo, poche di queste notizie derivano dai contemporanei; se il quasi silenzio dei medici suoi coevi potrebbe essere giustificato dall’invidia che lo stesso Galeno denuncia come forte ed avvertibile nei suoi confronti, è più difficile spiegare perché Marco Aurelio non faccia mai menzione, nei suoi scritti, delle straordinarie qualità del medico cui affidò il figlio bambino. Molte parti del quadro biografico attraente e affascinante di Galeno derivano, infatti, dalle sue stesse parole e sono, dunque, il riflesso di una personalità molto cosciente del proprio ruolo nel panorama della medicina dell’epoca e probabilmente anche in grado di prevedere quale e quanta fortuna le sue osservazioni, le sue sperimentazioni, la sua rilettura del sistema ippocratico e i suoi libri avrebbero avuto nel corso dei secoli a venire. Non tutto, dunque, di quello che Galeno narra, soprattutto in quel racconto autobiografico straordinario che è contenuto nei trattati Sull’ordine dei propri libri e Sui propri libri, deve essere accolto come assoluta oggettività; nonostante, però, questa insita tendenza a esaltare i propri meriti ed intuizioni, come a più riprese ha annotato una delle più grandi studiose di Galeno, Véronique Boudon Millot, il problema con lui non è quello di trovare documentazione sulla sua vita e sulla sua opera, ma solo di operare una cernita faticosissima tra l’immensa quantità di notizie che egli, in prima persona, ci ha consegnato. Nato a Pergamo nel 129 d.C., figlio di un intellettuale-architetto che lo avvia agli studi medici e insieme ad una competenza filosofica che si configurerà, nel tempo, come un originale sincretismo principalmente delle teorie platoniche ed aristoteliche, si forma presso maestri del calibro di Satiro, Pelope e Numisiano; giovane, arriva ad Alessandria, la grande fucina del sapere scientifico antico, dove si accende il suo desiderio di approfondire le conoscenze anatomiche, sulle tracce di quanto presso quella scuola medica era stato fatto, in epoca ellenistica e per un periodo brevissimo, attraverso studi dissettori e vivisettori, da Erofilo e da Erasistrato. Nel 162 Galeno da Pergamo (dove aveva esercitato anche come medico dei gladiatori, attività in grado di fargli perfezionare dal vivo alcune osservazioni anatomiche) arriva a Roma; qui si spalanca per lui una carriera luminosa, garantita dalla cura coronata da successo da lui offerta, tra primo e secondo soggiorno romano, al filosofo Eudemo e ad un gruppo di nobili pazienti, tra cui la moglie del console Boeto e molti esponenti della stretta cerchia imperiale. Tra questi spicca il nome del piccolo Commodo, guarito da una misteriosa malattia di fronte alla quale, a sentir Galeno, tutti gli altri medici attivi a Roma si erano dimostrati incompetenti. Il periodo romano, seppur interrotto tra 166 e 169 da un improvviso ritorno nella città d’origine e da una serie di viaggi di conoscenza erboristica e farmacologica, dietro il quali si intravede l’ombra minacciosa di un’ epidemia (di vaiolo?) che colpì la città, è molto fecondo per la produzione delle sue opere anatomiche e fisiologiche, scritte sulla base dei risultati di dissezioni su piccole scimmie appositamente fatte venire dall’Africa, ma anche su una svariata congerie di animali, dal maiale al cane alla mucca alla capra, passando anche attraverso il corpo di un elefante impiegato in giochi circensi, il cui cuore gli viene consegnato dai cuochi imperiali per una dissezione “esotica” e foriera di uno degli errori galenici più eclatanti, la descrizione dell’”osso del cuore” (in realtà una piattaforma cartilaginea che sostiene l’organo esclusivamente in animali di enormi dimensioni) come parte costituiva dell’anatomia cardiaca di tutte le specie. Lo studio anatomico è, nella medicina galenica, fondamento ineludibile per la comprensione dei meccanismi fisiologici, per il corretto inquadramento patologico, per la correzione terapeutica; senza l’anatomia nulla si giustifica nell’operato del medico, al punto che i trattati anatomici costituiscono per Galeno l’avvio anche didattico primario delle competenze dei giovani allievi. Le osservazioni accumulate nel corso degli anni sui piccoli macachi e su altri animali sono ricostruite in un quadro coerente e, spesso, di altissimo livello descrittivo (lo scheletro, i muscoli, buona parte del sistema nervoso, nell’accuratezza con cui sono descritti, offrono buona testimonianza del livello di perizia anche tecnica raggiunto da Galeno) che trova il suo coronamento in una proiezione analogica dell’anatomia animale sul corpo dell’uomo, organizzata intorno a tre organi- chiave, il cervello, il cuore ed il fegato. In essi abita, nelle sue varie forme, il pneuma vitale che garantisce rispettivamente pensiero, sensazione, emozioni e mantenimento in vita della macchina corporea. L’anatomia, insomma, diventa anche il luogo privilegiato in cui si “concretizzano”, insieme, le istanze filosofiche di tripartizione del corpo di matrice platonica e il teleologismo aristotelico, che in ogni organo vede la sede di una funzionalità, che va espletata ai fini del mantenimento dello stato di salute.

La straordinaria capacità galenica di coniugare osservazione e filosofia, pratica manuale ed esercizio del logos, e di utilizzare tutti questi elementi contemporaneamente per costruire un sistema anatomo-fisiologico di complessità sconosciuta al resto dell’antichità, se unita all’idea che soggiace a tutta la sua produzione anatomica di una natura che non sbaglia e che risponde ‘perfettamente’ alla programmazione delle leggi del corpo pensate dal Demiurgo,  giustificano la nota, enorme fortuna che Galeno incontra nei medici bizantini; gli arabi poi ne apprezzano il connotato teleologico e la componente aristotelica e, attraverso la loro mediazione, Galeno attraversa il medioevo per giungere, in piena autorevolezza, fino alla prima modernità. L’anatomia di Galeno, infatti, offre un’immagine di corpo umano disegnata secondo il progetto di un artefice divino (non importa se dio pagano) molto facilmente impiegabile dal Cristianesimo e dalla Chiesa ai fini della propaganda dell’idea della creazione divina e della sua infallibilità; la macchina perfetta di Galeno, in cui abita anche un pneuma psichico che non è anima ma all’anima è assimilabile, non confuta ma completa l’umoralismo di matrice ippocratica e lo indica come il testo ideale sul quale insegnare l’anatomia nelle nascenti università.

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Fig. 2 – Vesalio, De humani corporis Fabrica, Basel, Oporinus, 1543, utero.

Abbiamo scelto di illustrare brevemente due passi dell’opera anatomica e fisiologica galenica che illustrano bene le modalità in cui la voce del medico di Pergamo si è costituita come auctoritas assoluta e via di trasmissione privilegiata, dal medio Evo al primo Evo moderno, di topoi anatomici descrittivi in grado di condizionare e, in qualche misura, anche di arrestare in una ‘lunghissima durata’ tutta la tradizione medica occidentale fino alla prima metà del XVI secolo. Abbiamo trascurato di inserire e commentare il passo del trattato galenico sulle facoltà naturali (Fac. Nat. III, 208) in cui si descrive la struttura del setto intraventricolare del cuore come permeabile e attraversata da una miriade di sottilissimi fori, che consentono il passaggio di una minima quantità di sangue dal ventricolo destro, dove esso arriva direttamente dal fegato per nutrire quello che nella fisiologia galenica è un organo della respirazione, sino al ventricolo sinistro, ove il sangue è osservato in sede di dissezione – sebbene la teoria galenica lo ritenga contenitore del solo pneuma immesso durante la respirazione; questa omissione deriva solamente dalla celebrità del passo stesso, cui viene tradizionalmente imputata la responsabilità di aver bloccato la dimostrazione della circolazione del sangue fino al 1628, anno di pubblicazione dell’Exercitatio de motu cordis di W. Harvey. Questo testo, è noto, dimostra, attraverso l’adozione di un metodo di misurazione quantitativa di ispirazione galileiana, che è impossibile che il sangue che si muove nel corpo sia il prodotto dei processi di nutrizione, continuamente impiegato per l’alimentazione e la crescita; l’unica soluzione alternativa, che riesce a spiegare perché il sangue emesso dal ventricolo sinistro in una data unità di tempo sia di molto superiore alla quantità di sangue contenuta nell’intero corpo, è che esso si muova in un processo di ‘circulatio’ perfetta, che mima all’interno del corpo umano l’ordinato muoversi delle stelle galileiane.

Ancora, la scelta di passi che illustrano quelli che, all’occhio del medico moderno, potrebbero sembrare due meri errori osservativi non deve, però trarre in inganno; la complessità delle teorie che essi nascondono è una delle tracce più significative della grandezza di un pensiero rimasto ineguagliato per secoli. Spesso il percorso per arrivare a grandi e rivoluzionarie dimostrazioni, come quella di William Harvey sulla circolazione del sangue, era in realtà in buona parte già tracciato nei testi galenici.

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Fig. 3 – Scipione Mercuri, La Commare raccoglitrice. Venezia, 1595. Biblioteca di Storia della medicina, Sapienza Università di Roma.

“Il plesso chiamato rete mirabile…”

Il termine rete mirabile, che oggi descrive una struttura patologica, è nella tradizione medica occidentale post galenica indicatore di una complessa struttura anatomica, descritta dal maestro di Pergamo come un intreccio serrato di arterie molto sottili, che si dipartono dall’arteria carotide, alla base della teca cranica, cui viene attribuito un senso funzionale ben preciso.

Infatti, secondo Galeno, l’aria immessa nel corpo attraverso i processi di respirazione subisce una serie di trasformazioni, attivate dal calore vitale, variamente distribuito nei tre distretti di cui l’organismo umano è composto, comandati rispettivamente dal cervello, dal cuore e dal fegato; essa si muove attraverso le arterie, mescolata al sangue (le arterie dunque non veicolano più solo aria, come sosteneva la tradizione anatomica alessandrina), subendo una serie di trasformazioni imputabili alle dynameis dei diversi distretti corporei, che ne modificano la natura prettamente materiale, rendendola pneuma utilizzabile per la vita organica, per i processi di sensibilità e movimento, infine, nella sua forma più raffinata, per la vita psichica dell’individuo. In particolare, quando l’aria raggiunge il cervello, per la via della respirazione nasale, ma anche attraverso i pori della pelle o le cavità vuote all’interno delle ossa, essa incontrerebbe una struttura anatomica complessa – un plesso arterioso circonvoluto, posto alla base del cervello, noto appunto nella tradizione occidentale sotto il nome di rete mirabile, che avrebbe il compito di distribuire nutrimento vitale a tutto il cervello e veicolare al corpo vita e pensiero (De usu partium III, 4.9). In particolare, la struttura annodata di questo plesso, che somiglierebbe ad una sottile rete da pesca, sarebbe dovuta alla necessità di far decantare l’aria e purgarla, attraverso una stasi forzata, delle materialità che le derivano dal suo essere proveniente dal mondo naturale esterno; giacendo in condotti che per il loro andamento tortuoso non ne consentono il rapido spostamento, infatti, l’aria risulterebbe decantata e purificata e riuscirebbe, in questo modo, a raggiungere la qualità di affinamento necessaria per divenire pneuma psichico, il più sottile ed immateriale degli elementi che costituiscono e governano il corpo. Dunque, la rete mirabile sarebbe un organo vitale, deputato dal progetto perfetto dell’artefice della natura ad assolvere uno dei compiti più alti della funzionalità fisica umana. Ora, è noto che tale struttura anatomica non esiste nell’uomo, mentre è descritta nell’anatomia animale, in particolare nei ruminanti, specie nella quale poteva essere stata osservata sia dallo stesso Galeno sia, in precedenza, da Erofilo che,  come ci ricorda Von Staden,  in effetti per primo la descrisse durante gli anni dei suoi esercizi dissettori ad Alessandria. Cosa abbia visto realmente Galeno, se abbia confuso una rete extradurale di origine vascolare con una arteriosa, se e perché abbia trasposto un’osservazione condotta su un gruppo minoritario di animali da ricerca fino a costruire su di essa  una complessa teoria della trasformazione pneumatica nell’uomo; come egli non abbia registrato in alcun modo l’assenza della struttura arteriosa nell’anatomia cerebrale delle scimmie, che rappresentano certamente il suo bacino preferito di animali da sperimentazione, sono domande che costituiscono i tasselli di un rompicapo su cui generazioni di storici della medicina e del pensiero scientifico si sono esercitati, nel tentativo di comprendere la genesi di quello che appare, a tutti gli effetti, uno degli errori più significativi che Galeno ha trasmesso alla medicina moderna.

Vesalio, pur nella sua formale adesione al dettato galenico, dietro alla quale nasconde la rivoluzione di uno studio anatomico assolutamente innovato dall’esperienza diretta del dissettore che rifiuta l’autorità degli antichi come unico criterio di conoscenza scientifica, non è il primo autore a esprimere un dubbio sistematico sull’esistenza della struttura: già Berengario da Carpi, come ci ha ricordato S. Pranghofer, si era chiesto perché non fosse mai riuscito a isolare la rete durante le sue lezioni di anatomia, e si era interrogato sulla sua reale natura di plesso arterioso. Tuttavia, la discussione più celebre della supposta osservazione di Galeno rimane proprio quella di Andrea Vesalio:  “Quante cose, spesso assurde – scrive nel 1543 –  sono state accolte sotto il nome di Galeno….tra queste vi è quel mirabile plesso reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti…e di cui tutti i medici parlano continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta dell’insegnamento di Galeno. Io stesso…a causa della mia devozione a Galeno, non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bue per dimostrare ciò che non riuscivo a riscontrare in alcun modo nell’uomo…e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di essere incapace di trovare quel plesso a tutti loro così ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso reticolare descritto da Galeno” (De humani corporis fabrica, 1543, p. 310, 524 e 642).

L’attitudine vesaliana del controllo personale, diretto e ripetuto delle affermazioni anatomiche, anche quando esse provengano da autorità non discusse del passato, getta una luce così forte sul problema della dimostrazione dell’esistenza della rete mirabile nell’uomo da essere stata utilizzata più volte come esempio della capacità del testo del De humani corporis fabrica di costituirsi come il punto nodale della riscrittura e reinterpretazione critica della medicina degli antichi in Evo moderno (A. Wear, A. Cunnigham, V. Nutton, N. G. Siraisi).

Nonostante, però, il forte criticismo espresso da Vesalio nei confronti di una struttura che egli stesso, solo pochi anni prima della pubblicazione della prima edizione della Fabrica, includeva tra le iconografie delle sue Tabulae anatomicae sex (1538), un interessante recente lavoro di S. Pranghofer (Med. Hist. 2009) ci ha dimostrato come la rete continui a essere utilizzata nella tradizione  di didattica anatomica occidentale per un lungo periodo: nel corso del XVII secolo ancora alcuni autori la accolgono come realtà indiscutibile e ne illustrano la forma e la funzione attraverso tavole illustrate. Se ancora libri anatomici come quelli di Adriaan van der Spiegel (1627) o di alcuni tra i suoi successori sulla cattedra di Anatomia dell’Università di Padova, come Johan Vesling (1641), pure nella difficoltà di riadattare pattern iconografici preesistenti (risalenti alle tavole anatomiche contenute nell’opera di Giulio Casserio) e di localizzare e descrivere visivamente in modo esatto la discussa struttura arteriosa,  continuano a sostenerne l’esistenza nell’uomo, pur annotandone l’enorme difficoltà di rilevamento, vuol dire veramente che l’anatomia galenica, trasmessa attraverso una mole tanto poderosa di testi, ha improntato di sé in modo indelebile la storia della medicina. Una conferma di questo ruolo prepotente e protratto del medico di Pergamo viene ancora dai primi anni del Settecento, quando autori del calibro di J. J. Wepfer e T. Willis continuano a ritenere la discussione dell’ esistenza della “sua” rete mirabile un topos ineludibile della ricerca neurostrutturale, anche se solo per giungere alla negazione dell’esistenza della struttura nell’uomo e al suo rilevamento come tipizzante il cervello di solo alcune specie animale.

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Fig. 4 – Vesalio, Tabulae anatomicae, 3, rete mirabile.

“Tutte le parti che hanno gli uomini le hanno anche le donne….”

La descrizione anatomica dell’apparato genitale femminile fornita da Galeno si basa sull’idea di una perfetta corrispondenza esistente tra gli organi sessuali del maschio e le parti della femmina; secondo la descrizione galenica, tutte le parti anatomiche  che  sono nel maschio esterne e visibili, dal pene ai testicoli, sono nella donna proiettate all’interno, non visibili, come conservate in una struttura chiusa e non accessibile. Gli organi genitali esterni femminili corrispondono al prepuzio, il collo dell’utero al corpo del pene, le ovaie ai testicoli. Tutto è  perfettamente rispondente, in ogni sua parte, alle strutture anatomiche osservabili facilmente nel corpo dell’uomo, in cui esse sono esterne. Questa immagine anatomica, che non a caso Galeno definisce in base alla somiglianza con quanto accade nel corpo di una specie animale, la talpa (le donne condividono con gli animali, nell’idea aristotelica da cui Galeno trae spunto, una condizione di incorreggibile minorità), non è un’idea originale e riflette una combinazione complessa tra la tradizione ippocratica e il contributo poderoso della teorizzazione aristotelica sulla mancanza e incompiutezza del corpo femminile. Come è noto, gli scritti ginecologici del Corpus Hippocraticum pensano e presentano un’idea di corpo femminile fondata sull’idea di una differenza radicale che caratterizza il corpo delle donne rispetto a quello del maschio: più umide e fredde, le carni dei corpi femminili tendono a comportarsi come il panno di lana o la spugna, che assorbono e trattengono liquidi (CH, Morb. Mul. 1.1). Questo, oltre a rendere le strutture più deboli e più lasse, contribuisce ad alimentare una sorta di circuito chiuso, in cui i corpi imperfetti delle donne continuano ad accumulare umidità e freddezza, a rendere difficile la cottura degli alimenti ingeriti e, di conseguenza, a generare residui difficili da eliminare (Morb. Mul. 1.1). Essi tendono ad accumularsi e ad occupare i condotti del corpo e sono potenzialmente induttori di ogni tipo di patologia. La fisiologia mestruale ippocratica, in cui il flusso mensile viene immaginato come il sistema naturale di eliminazione delle scorie prodotte da un corpo qualitativamente alterato per disposizione fisiologica e non in grado di portare a termine i normali processi di cozione che caratterizzano il corpo del maschio, delinea i confini di un funzionamento dei corpi femminili che è totalmente altro rispetto a quanto accade nell’universo fisiologico maschile. Questa totale alterità del femminile fisiologico ippocratico corrisponde nei testi del Corpus ad un’anatomia “cava”, in cui l’utero è un vaso di tessitura molle ed elastica, capace come le bisacce per contenere il vino di dilatarsi per accogliere il feto durante la sua crescita. L’utero ha una struttura peculiare, aperta in due bocche che si affacciano verso l’alto e verso il basso, mettendo in comunicazione tutte le cavità del corpo femminile, in un indistinto e immaginato vuoto interno. La descrizione galenica ha ben altra anatomica e reale consistenza; l’anatomia alessandrina ha dimostrato l’esistenza delle ovaie, la struttura dell’utero è definitivamente delineata. Tuttavia, l’intera descrizione anatomica galenica paga un debito importante all’idea aristotelica di un corpo femminile non radicalmente diverso da quello maschile (come sostenevano gli autori ippocratici), ma solo qualitativamente e quantitativamente inferiore: la freddezza del corpo delle donne (De Util. Part. 14, 6-7), che le rende in Aristotele simili a bambini imperfetti o a maschi mutilati (GA 737a27-28), quando nei processi di generazione incontra un seme maschile indebolito (per circostanze interne, vizio di cibo o bevanda, condizioni climatiche particolari), impronta il feto con la sua incapacità di portare a termine i processi di cozione, impedendone la corretta maturazione. Esso, infatti, custodito nell’utero, dovrebbe riprodurre, se il calore vitale somministrato dal contributo paterno attraverso lo sperma fosse sufficiente, un figlio perfetto, cioè identico al padre, anche nel sesso (GA 727 b 31-33). Quando questo non accade, si genera un prodotto difettoso (ancorché necessario alla natura, perché consente che avvenga la riproduzione della specie – senza madri… non si nasce!), un eidos minoritario e debole che è la figlia femmina. Nelle femmine, l’insufficienza di calore vitale non riesce a far si che gli organi sessuali, potenzialmente pronti a divenire perfetti, cioè maschili, si sviluppino perfettamente fino ad essere espulsi all’esterno; essi se ne stanno li, inglobati in una dimensione interna, incompiuti come gli occhi delle talpe, animali che, per essere abituati a vivere sottoterra, in ambienti freddi ed umidi come corpi femminili non riscaldati, non compiono il ciclo di formazione completo degli organi della vista e rimangono, per questo, ciechi. Il dogma galenico che disegna il corpo femminile come il doppio invertito (e indebolito) del corpo maschile e la relazione di corrispondenza aristotelica tra anatomia del maschio e della femmina che esso riflette avranno una storia molto lunga, facilmente rintracciabile attraverso le immagini anatomiche di evo moderno: Andrea Vesalio, nella sua Fabrica del 1543, utilizza come tavola anatomica una celebre incisione che riproduce esattamente il mondo ginecologico invertito di Galeno, autore a disposizione del pubblico umanistico colto a partire dal 1525-1526; Scipione Mercuri, autore di un trattato (La Commare raccoglitrice), che si propone la formazione culturale dell’ostetrica, dato alle stampe per la prima volta a Venezia nel 1595 e ristampato a più riprese nel secolo successivo, fa uso immodificato della medesima immagine.

Anche attraverso questa riedizione iconografica si consegna, attraverso l’intero XVII secolo, la competenza galenica e un’immaginario anatomico femminile profondamente antico a un pubblico nuovo, in cui si mescolano competenze dotte e saperi popolari ed in cui i medici cominciano a muovere i primi passi nella sostituzione delle loro competenze a quelle tradizionalmente esercitate dalle ostetriche.

Conclusioni

Come ha brillantemente dimostrato N. Siraisi, il Rinascimento anatomico cinquecentesco, spesso presentato come una rivoluzione armata e un sovvertimento globale degli assunti e dei dettati dell’insegnamento anatomico galenico, è in realtà una mistura molto complessa di devozione, rispetto, criticismo, rilettura e riscrittura del testo del maestro di Pergamo. Il rinnovato uso delle mani dell’anatomista e dei suoi occhi, impegnati nel controllo di quanto asserito dall’autorità antica, non debbono trarre in inganno: “In sixteenth -century anatomy as in other branches of natural and mathematical knowledge the reading of ancient books and the writing of modern ones were inextricably interwined to constitute, in and of themselves, a major part of scientific endeavor” (Ren Quart 1997;50,1; 1-37). Leggere il libro del corpo e attribuire nuovo significato alle vicende dell’esperienza anatomica diretta non significa, negli anatomisti di Evo moderno, dismettere la lettura del testo anatomico antico, né dimenticare Galeno, ma solo reinterpretare una lezione autorevole alla luce di strumenti cognitivi e interpretativi tali da metterne in luce, oltre gli errori compiuti nel medioevo, la significatività e la durata.

Bibliografia

Valentina Gazzaniga è professore ordinario di Storia della medicina presso Sapienza-Università di Roma. Si è occupata di storia del concetto di corpo femminile nella tradizione di ‘lunga durata’ e di storia della ginecologia; di storia della medicina nell’antichità classica; della concezione della malattia infantile dall’antichità al primo evo moderno, di storia del concetto di disabilità, di storia della medicina legale e della medicina di urgenza. Ha pubblicato per i tipi di Carocci una monografia sulle perizie medico-legali inedite di Giovan Battista Morgagni e, insieme a M. Conforti e G. Corbellini, Dalla cura alla scienza. Malattia, salute e società nel mondo occidentale. Milano, Encyclomedia Publishers, 2011

Cita questo articolo

Gazzaniga V.,Anatomia, libri e auctoritas: Galeno di Pergamo, Medicina e Chirurgia, 59: 2652-2658, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-7

L’integrazione del territorio nel sistema delle cure Parte 2a – Proposta di un curriculum “verticale”n.59, 2013, pp.2642-2649, DOI: 10.4487/medchir2013-59-5

Abstract

The present article reports the conclusions of a forum organized by the Medical Education Working Group of the Conference of Directors of Undergraduate Curricula in Medicine, on the topic of University and National Health Service integration in the educational process of undergraduate students.
Participants have been divided into four parallel workshops respectively dealing with; i) physician-patient-family interaction (early and advanced clinical contact); ii) the professional approach to the patient and its methodological implications; iii) Hospital-Health Services interaction in curing and caring; iv) management of healthcare resources in Hospital-Health Services interaction.
The final debriefing and discussion have allowed some conclusions to be drawn: i) integration of the hospital and health system should cover all the community settings and all the professionals involved; ii) such an integration should be pursued in all the different steps of medical curriculum, with progressively different learning objectives, methods of teaching, and ‘actors’ to be involved; iii) the aim of community-based medical education is to make students able not only to cure but also to take care of patients, framed in their family and community context; iv) communication in every setting between physicians and health professionals, and between these and the patient, and his/her family, to warrant the continuity of cures, should be taught;  v) attention should be paid to the ethic relevance not only of caring but also of making economically congruous choices in terms of diagnosis, therapy, and prevention; vi) importance of prevention, for the sake of single patients and community health promotion, should always been underlined. 

Articolo

Premessa

In un recente articolo su Medicina e Chirurgia1 si è riferito sui contenuti dell’atelier pedagogico che il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica ha organizzato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina a Firenze, il 5 Ottobre 2012. In questo atelier, i Presidenti dei CLM in Medicina si interrogarono su tre domande: perché realizzare l’integrazione del territorio nel sistema delle cure? E come realizzarla? E, infine, quando, in quale fase del curriculum degli studi, realizzarla?

In estrema sintesi, l’atelier offrì le seguenti risposte: l’integrazione nosocomio-territorio è necessaria perché il territorio è un setting privilegiato per l’apprendimento di svariate competenze professionali, e perché il patto formativo impone di far precedere il tirocinio valutativo presso i medici di medicina generale (previsto per l’esame di stato) da un tirocinio formativo pre-laurea; il come di questa integrazione didattica consiste nel passaggio da una mera multi-disciplinarità all’inter-disciplinarità, puntando verso la trans-disciplinarità, che sostituisca un insegnamento per settori scientifico-disciplinari con un apprendimento per competenze; la riflessione sul quando di questa integrazione ha portato ad una proposta di curriculum ad integrazione longitudinale nel quale le attività professionalizzanti legate al territorio siano distribuite nei sei anni di corso, secondo il principio della spirale di Harden2.

Dopo l’atelier, il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica ha deciso di organizzare un forum sul medesimo tema. Le modalità di lavoro del forum, infatti, differiscono da quelle dell’atelier perché l’innesco alla discussione nei Laboratori non viene da esperti di Pedagogia Medica ma direttamente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia del nostro Paese. Lo scopo del forum, che si è tenuto a Palermo il 22 Marzo 2013, era quindi di rivedere la proposta di integrazione longitudinale del curriculum, emersa a Firenze, partendo dalle esperienze concrete di didattica sul territorio maturate nel nostro Paese, e giungendo ad una formulazione condivisa che partisse da queste.

Il forum si è articolato in quattro laboratori, gestiti da altrettanti Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia, coadiuvati da un facilitatore.

Laboratorio No. 1

Tema: L’interazione medico-paziente-famiglia in fase precoce (early clinical contact) e avanzata

Presidente-esperto: Giuseppe Familiari (Roma Sapienza, Polo S. Andrea)

Facilitatore: Fabrizio Consorti (Roma Sapienza, CL “C”)

L’esperienza “early patient contact” nell’Università di Roma Sapienza

I lavori del gruppo hanno avuto inizio con la presentazione dell’esperienza di “early patient contact” nel territorio svolta dall’Università di Roma Sapienza. Tale esperienza si è fondata su alcuni punti essenziali di seguito riportati:

Il contesto formativo generale e la dorsale metodologica come integrazione verticale

A partire dall’anno accademico 1999-2000, le attività di “early patient contact” hanno origine come attività obbligatorie per tutti gli studenti iscritti, nell’ambito di un progetto didattico attivato in quell’anno, inserito in una visione del “processo educativo come sperimentazione,” con un profilo, dichiarato esplicitamente, di tipo biomedico-psico-sociale3, 4, 5, 6.

La vera e propria dorsale metodologica dell’organizzazione didattica è stata il corso integrato di metodologia medico scientifica e scienze umane. Tale corso accompagna lo studente lungo l’intero percorso formativo (I-VI anno)3, 4, 5, 6.

Il programma di early patient contact tra basi teoriche e contatto reale con il paziente

Dall’anno accademico 1999-2000, nel corso integrato di Metodologia del primo anno di corso, è previsto un corso dedicato al rapporto tra medico, paziente, e infermiere, al concetto di malattia, alla comunicazione interpersonale, ed alla multiprofessionalità. In questo ambito gli studenti acquisiscono le basi teoriche riguardanti argomenti di storia della medicina e bioetica, di psicologia generale, di antropologia culturale, semeiotica e metodologia medica e chirurgica, epistemologia e pedagogia speciale. Essi svolgono, nello stesso semestre, un tirocinio pratico, guidato da un docente tutor, dedicato all’anamnesi psico-sociale. Tali incontri avvengono al letto del paziente, nell’ambito dei Reparti Universitari3, 4, 5, 6.

Nel secondo anno di Corso, sempre nell’ambito del corso integrato di Metodologia, è previsto un corso dedicato alla epistemologia, alla logica, all’etica, alla metodologia della comunicazione scientifica, all’economia sanitaria, alle relazioni ambiente-malattia, con una introduzione alla medicina basata sulle evidenze, all’anamnesi ed all’esame obiettivo. All’interno di questo corso, gli studenti svolgono un tirocinio pratico in cui apprendono le manovre rianimatorie di Basic Life Support. Il tirocinio si svolge con l’aiuto di docenti tutor, ed al suo termine lo studente deve conoscere le motivazioni dell’intervento precoce sul paziente in emergenza cardio-respiratoria e deve saper effettuare le manovre previste dai protocolli internazionali sul manichino antropomorfo3, 4, 5, 6.

Le attività nel territorio con i Medici di Medicina Generale, L’Early Clinical Contact in Medicina Generale

La prima sperimentazione in ambito territoriale ha inizio con l’anno accademico 2002-2003, in collaborazione con i Medici di Medicina Generale (MMG), come attività teoriche e professionalizzanti, per 2 CFU, integrate nei Corsi di Igiene, Sanità Pubblica, Medicina di Comunità e del Territorio, Medicina del Lavoro, nel IV, V e VI anno di corso.
La finalità didattica dell’insegnamento tutoriale pre-laurea della Medicina Generale (MG) è stata quella di far conoscere agli studenti i fondamenti della MG, consentire loro un apprendimento interattivo delle metodologie e delle problematiche connesse alla assistenza medica primaria, mettere in pratica alcune attività proprie della MG stessa.
È nell’anno accademico 2008-2009 che l’esperienza di early clinical contact nel setting universitario si amplia con attività nel territorio che sono sempre organizzate con la piena collaborazione dei MMG. L’internato elettivo precoce in MG è così previsto anche nei primi tre anni di corso ed inizia come attività a scelta dello studente7.

Discussione e competenze attualmente sviluppate dal gruppo di lavoro

Il gruppo ha soprattutto analizzato le esperienze legate al contatto con vari ambienti clinici nei primi due anni e come queste fossero eventualmente riprese negli anni clinici.

In accordo alla griglia proposta, vengono qui di seguito elencate le competenze attualmente sviluppate attraverso il contatto clinico precoce nei CLM che hanno partecipato al Laboratorio, insieme alle modalità di apprendimento e ai contesti ed attori coinvolti nelle diverse esperienze concrete. Quando era prevista una ripresa negli anni successivi, questo viene esplicitamente dettagliato.

– Comunicazione medico-paziente-infermiere: questa competenza risulta centrale in molte delle esperienze condivise. Modalità e ambito privilegiati sono la frequenza dei reparti ospedalieri per piccoli gruppi (1° e 2° anno) assegnati ad un tutor medico (Vivere il reparto). In qualche caso l’assegnazione è viceversa fatta ad un tutor infermiere, in rapporto vario fra 1:1 e 1:3. In tutti i casi è previsto un debriefing di riflessione sull’esperienza vissuta, riflessione che in uno dei casi condivisi confluisce in un portfolio di scritti riflessivi, la cui tenuta si estende per tutti e sei gli anni e costituisce oggetto di esame al 6° anno. Questa competenza viene anche sviluppata con la frequenza degli ambulatori di medicina generale, che in qualche caso è anche orientata all’apprendimento dell’anamnesi psico-sociale come stanza particolare di colloquio col paziente. In alcune realtà la frequenza degli studi di medicina generale viene replicata anche al 3° e (per un periodo prolungato di 2-3 settimane) al 5° anno, quando però l’interesse formativo è ormai orientato all’approccio clinico tipico delle cure primarie. In tutti i casi considerati è stato anche evidenziato il valore di role modelling conseguente all’esposizione precoce all’esempio di professionisti al lavoro.

Etica di fine vita e riflessione sui contenuti emotivi correlati: lo sviluppo di queste competenze è introdotto da un breve corso d’aula, propedeutico ad una esperienza di 2° anno in un hospice. Viene garantita una tutorship.

Acquisizione di comportamenti coerenti alle norme di sicurezza: l’acquisizione della competenza viene avviata da un corso d’aula sulla prevenzione dei rischi professionali e completata dalla frequenza dei mezzi di Pronto Soccorso della CRI provinciale, con cui è stata stipulata una convenzione ad hoc. L’esperienza ha anche valore in termini di role modelling, come già detto sopra.

Skill manuali di base: prelievo venoso e BLS. Si tratta di due esperienze diverse, in cui a studenti del 2° anno vengono proposti un corso BLS in skill lab e una serie di esercitazioni su manichino di prelievo, seguiti dalla frequenza di un centro prelievi. Quest’ultima esperienza ha valore anche in termini di approccio al paziente.

Laboratorio No. 2

Tema: L’approccio professionale al paziente e le sue implicazioni metodologiche

Presidente-esperto: Rosa Valanzano (Firenze)

Facilitatore: Agostino Palmeri (Catania)

Le modalità attuative in materia di medicina territoriale sono strettamente legate alle realtà locali, con particolare riferimento agli accordi politico-istituzionali esistenti. In alcune Regioni la  Medicina Generale (MG) viene riconosciuta come indispensabile nella formazione di base degli studenti in Medicina, nonché nella formazione permanente dei medici, quale elemento di primaria importanza per la salute dei cittadini. In molte sedi Universitarie sono stati stipulati accordi specifici tra Regione ed Università, che formalizzano la collaborazione tra Università/CCL e Regioni.  con l’esplicita attribuzione di funzioni di docenza ad alcuni medici, coinvolti in didattica frontale e  nel tutoraggio del tirocinio clinico presso i medici di Medicina Generale.

L’importanza dell’insegnamento della MG è del resto evidente se si pensa che più del 40% dei laureati in Medicina andrà ad operare sul territorio,  come medico di famiglia  o nelle strutture territoriali delle aziende sanitarie.

Obiettivi formativi

È auspicabile che i Corsi di Laurea prevedano un curriculum che includa l’acquisizione di competenze quali:

– la conoscenza dell’incidenza delle malattie nell’ambiente in cui si opera, e dei bisogni di salute della popolazione;

– la conoscenza dei principi e delle modalità delle cure primarie offerte alla persona e alla comunità;

– l’apprendimento delle modalità con cui il medico di medicina generale affronta e risolve i principali problemi sanitari dal punto di vista preventivo, diagnostico, prognostico, terapeutico e riabilitativo;

– la consapevolezza dell’importanza rivestita dalla famiglia nelle decisioni diagnostiche, etiche, terapeutiche e riabilitative finalizzate al miglioramento della compliance della persona malata e dell’efficacia dell’intervento del medico;

– la consapevolezza dell’importanza del colloquio tra medico, paziente e familiari, finalizzata alla costruzione di una relazione empatica e di un rapporto di fiducia;

– la capacità di applicare il saper essere e il saper fare nel contesto degli studi medici o delle visite domiciliari, con l’opportunità di osservare la persona sana o malata in relazione all’ambiente che lo circonda;

– la capacità di negoziare e contrattare con il paziente le possibili soluzioni ai problemi presenti;

– la capacità di modulare la modalità di approccio al paziente, acuto e cronico, in assistenza domiciliare e con continue necessità terapeutiche e/o riabilitative, fino al termine della vita;

– la capacità di collaborare e integrarsi con le altre figure professionali presenti sul territorio.

Metodologie didattiche

L’apprendimento si può avvenire in un reparto ospedaliero, nello studio del medico di medicina generale, nelle strutture territoriali, o al domicilio del paziente, con la presenza di un tutore che:

– segue lo studente durante le attività formative previste, inclusa l’attività pratica;

– usa metodiche adeguate ed efficaci all’apprendimento degli obbiettivi formativi previsti;

– imposta una relazione educativa che attiva i processi di apprendimento, coinvolgendo non solo la sfera cognitiva ma anche quella emotiva ed affettiva;

– insegna allo studente come comportarsi nei differenti contesti al fine di renderlo  autonomo e indipendente;

– valuta e certifica il raggiungimento di tali obbiettivi.

Il tutore può agire in vesti differenti:

coacher: stimola i collaboratori a sviluppare competenze e raggiungere gli obiettivi di sviluppo professionale;

mentor: esperto e professionalmente maturo che segue il giovane professionista inserito in una organizzazione, favorendo lo sviluppo professionale e aiutandolo nei momenti critici del percorso di maturazione professionale;

supervisore: esperto che non ha una responsabilità formativa diretta ma presta aiuto in una fase specifica, con attività di consulenza.

Le tecniche tutoriali che il tutore mette in opera per raggiungere suoi obiettivi possono essere:

– Piani di apprendimento: la loro tecnica formalizza un momento precedente del tirocinio  durante il quale tutore e tirocinante stabiliscono l’impegno e concordano il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento entro un tempo definito;

– Briefing e de briefing:. si basano sull’esperienza clinica del discente e si strutturano i due momenti: preparazione all’osservazione e all’azione (briefing), e poi analisi dell’impatto sul lavoro (debriefing);

Check list: è una modalità di apprendimento che avviene tramite un elenco scritto delle sequenze da realizzare da parte del discente dopo aver osservato una procedura. È uno strumento di innesco dell’osservazione e della riflessione e dell’interiorizzazione di una sequenza pratica nelle sue articolazioni logiche. Va spiegata, discussa e integrata con il tutore.

Counselling: è una consulenza formativa nella quale il tutore interviene tramite incontri individuali, su richiesta del discente, e per una durata determinata, al fine di analizzare i problemi incontrati durante il tirocinio. Fare counselling è ascoltare chi porta il problema in modo costruttivo, per fornire informazioni sulla situazione e per farvi fronte. Non si suggeriscono le soluzioni al discente, ma lo si aiuta a soppesare e scegliere. Il tutore pone attenzione ai problemi dello studente,  al suo temperamento e atteggiamento, e si adopera a creare un clima adatto a motivare il suo sviluppo professionale.

Il tutore, in breve, ha doppio ruolo: guida e facilitatore con la finalità di stimolare le capacita di autoapprendimento.

Laboratorio No. 3

Tema: L’interazione Ospedale-Territorio nel “curare” e nel “prendersi cura”.

Esperto: Angela Becchi (Modena)

Facilitatore: Carla Palumbo (Modena)

La tesi che il Laboratorio si è dato è la dimostrazione dell’importanza della formazione per “la Interazione ospedale-territorio nel curare e prendersi cura” del paziente complesso, cronico, fragile nella rete dei servizi (ospedale, servizi territoriali).

Obiettivi formativi

L’obiettivo formativo generale è che lo studente deve acquisire competenze per curare e prendersi cura del paziente complesso nei servizi territoriali (ambulatoriali, domiciliari, residenziali) integrati con l’ospedale. A questo si aggiungono obiettivi formativi specifici, quali:

Conoscenze: lo studente deve essere in grado di definire, descrivere e discutere i seguenti concetti:

– paziente cronico-complesso-fragile e bisogni multidimensionali di salute;

– approccio bio-psico-sociale, famiglia informata-formata-competente;

– percorsi di cura nei servizi in rete, team multiprofessionale e relative prestazioni sanitarie e sociali;

– curare e prendersi cura come medico.

Abilità: lo studente deve dimostrare capacità di:

– fare diagnosi (di complessità, dei bisogni, dei servizi);

– stendere Piani Assistenziali Individuali, indicare le modalità di partecipazione di paziente e famiglia,  indicare gli aspetti di educazione terapeutica, indicare le modalità di cura, del prendersi cura (informare, formare, aiutare, esercitare avvocatura sanitaria) e della continuità delle cure nei servizi in rete;

– redigere la documentazione sanitaria.

Attitudini: lo studente deve dimostrare di comprendere la importanza della continuità delle cure e del prendersi cura, identificando i propri compiti di medico fra quelli delle altre professioni sanitarie e sociali, comunicando con le altre professioni e coordinandosi con esse.

Metodologie didattiche

Metodi

– Lezioni (per acquisire Conoscenze);

– Guida alla soluzione di casi clinici simulati (per acquisire Abilità);

– Discussione interattiva su FDOM (punti di Forza, Debolezza, Opportunità, Minacce) di “attività per percorsi di cura integrati” vs “ prestazioni isolate” (per acquisire Attitudini).

Nel dibattito in laboratorio è emersa la necessità di garantire omogeneità delle modalità didattiche fra docenti universitari e docenti-tutor (medici di MG e aziendali, professionisti di area sanitaria) in termini di: utilizzare un linguaggio comune nel presentare i contenuti agli studenti; prediligere i casi simulati con partecipazione attiva degli studenti;  utilizzare i manichini per insegnare l’approccio corretto al paziente; fare stendere agli studenti lettere di dimissione orientate al medico di famiglia in forma esaustiva e corretta; e più in generale adottare strumenti per la comunicazione bi-direzionale fra medici di MG e medici ospedalieri.

Setting di insegnamento

– Reparti ospedalieri di Area clinica;

– Studi dei MMG;

– Domicili dei pazienti (per il riscontro della continuità ospedale-servizi territoriali);

– Residenze

Strumenti

Libri testo, articoli scientifici, diapositive (per Conoscenze);

– Schede didattiche (per Abilità);

– Schede FDOM (per Attitudini).

Verifica (in itinere e finale): soluzione individuale di “Casi clinici simulati” con risposte aperte secondo schemi predefiniti e conformi alle Schede didattiche utilizzate nelle Attività interattive.

In conclusione, il dibattito nel Laboratorio ha evidenziato come l’integrazione ospedale-territorio negli studi medici vada realizzata in un percorso longitudinale: le competenze sulle Cure Primarie devono essere fornite già a partire dai primi anni, mentre il concetto di integrazione fra Ospedale e Servizi territoriali deve tenere conto di discipline propedeutiche e quindi affrontato sistematicamente al 5° e 6° anno di corso.

Laboratorio No. 4

Tema: La gestione delle risorse nell’interazione tra Ospedale e Territorio.

Presidente-esperto: Pier Maria Furlan (Torino Orbassano)

Facilitatore: Carlo Della Rocca (Roma Sapienza, CL “E”)

La tesi del laboratorio è stata che l’esposizione dello studente alla problematica dell’interazione tra ospedale e territorio ed alla sua gestione è fondamentale per determinare l’apprendimento di un agire clinico congruo con un’etica della responsabilità, che è alla base della stessa idea di cura. In questo contesto e alla ricerca del come, quando e con chi realizzarla, è stata descritta l’esperienza del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga di Torino-Orbassano, ed è stata verificata la fattibilità, così come sperimentato in questo Corso di Laurea,  dell’ introduzione di un curriculum verticale, di un approccio clinico anticipato con una posticipazione coerente per argomenti delle materie di base e un apprendimento nel territorio professionalizzante.

Obiettivi formativi della sperimentazione

Introdurre una integrazione tra comparti suddivisi per materie attraverso trasmissioni teoriche e funzionali interattive.

Metodi e setting d’insegnamento

Il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia “San Luigi Gonzaga”, con il DM 270/2008, ha introdotto delle modifiche orientate alle necessità degli studenti e all’allargamento della didattica a tutti i luoghi delle cure. In questo è stato facilitato dalla struttura didattica che può contenere tutte le aule e laboratori in un unico perimetro, adiacente all’ospedale AOU e unitamente alla sua caratteristica di essere Ospedale di riferimento di un vasto territorio con una consistente rete formativa.

Il nuovo piano di studi è caratterizzato dalla “early clinical exposure”, dall’integrazione per aree tematiche finalizzate all’approccio al malato nella sua totalità e non alle singole malattie, alla comprensione clinica per problemi, all’ampliamento delle capacità metodologiche e semeiotiche estendendo l’osservazione a tutti i contesti della pratica medica extraospedaliera, territoriale e della medicina d’urgenza (118). Si è voluto, quindi, trasmettere agli studenti il concetto che i percorsi clinici e assistenziali debbono sempre di più abbandonare il procedere per “one to one step”8 ed erogare un’assistenza centrata sulla totalità e complessità del malato e del suo ambiente, e includere l’esercizio dell’interprofessionalità con tutti gli operatori della salute.

Il curriculum è stato modificato in senso verticale, anticipando l’esperienza clinica al primo anno, rendendo più contestuali e affini gli insegnamenti biologici con quelli clinici attraverso Corsi integrati (C.I.) che posticipano i primi (ad es. anatomia e biochimica sono abbinati a materie cliniche sino al 5° anno) e anticipano i secondi (ad es. Cardiologia e Malattie dell’apparato respiratorio  al 2° anno) e accompagnandoli con “dorsali” cliniche interdisciplinari orientate alla complessità e alla soluzione di problemi dal 2° al 5° anno. Il 2° e il 5° anno vedono corsi obbligatori di BLSD (basic life support).

Strumento particolarmente innovativo, dal 4° anno la possibilità di frequentare gli studi di MMG, i Distretti, la centrale del 118 e due settimane di frequenza effettiva sulle ambulanze attrezzate. Questa possibilità è coordinata unitariamente da un referente dei 25 MMG, da due direttori di Distretto e dal Direttore provinciale del 118. Da quest’ anno gli studenti frequenteranno un corso stanziale di 2 giorni sulle maxi emergenze.

Discussione e sintesi del lavoro del Laboratorio

Sulla base dell’esperienza presentata, i partecipanti al laboratorio hanno innanzitutto discusso il concetto di “territorio” rilevando come la conoscenza dello stesso sia fondamentale per modulare i tipi di intervento sanitario, e che lo stesso rappresenta il luogo dove si mantiene la salute, mentre l’ospedale rappresenta sempre di più il luogo di cura dell’evento morboso acuto, risolto il quale l’assistito va “restituito” alle competenze sanitarie territoriali. È stata quindi focalizzata la struttura sanitaria del territorio, declinandone le componenti individuate come: Medici di Medicina Generale e Pediatri di libera scelta, Distretti Sanitari, Residenze Sanitarie Assistite, Consultori, Dipartimenti Territoriali (Dipartimento Salute Mentale e Prevenzione), 118. L’esposizione dello studente a tali concetti e a tali contesti è indispensabile anche per far comprendere come la gestione dei percorsi di cura e delle risorse necessarie per garantirli sia in realtà parte integrante della qualità delle cure stesse, trasformi le conoscenze teoriche in assistenza reale, collochi l’assistito dentro la sua storia ed il suo sistema di relazioni ed inserisca la dimensione individuale dell’assistenza all’interno di un sistema di cura e di tutela della salute. Tramite tale approccio, lo studente cimenta e accresce le sue conoscenze, abilità e competenze all’interno di una visione più attuale e sostenibile dell’erogazione delle cure e, attraverso anche il rilievo delle carenze presenti, rafforza la motivazione all’apprendimento. La presa di coscienza di tali concetti ha portato il Laboratorio alla condivisone di ritenere necessaria l’applicazione di esperienze come quella riportata dal Presidente-esperto, verificandone la fattibilità in base alle congiunture locali; sono state rilevate le criticità di applicazione in termini di resistenze generiche al nuovo ed alle aperture all’esterno, ed è stata segnalata la necessità di integrare i programmi con gli obiettivi specifici della formazione sul territorio (non trattandoli separatamente) anche attraverso una gestione delle Attività Didattiche Professionalizzanti eventualmente centralizzata a livello di semestre onde evitare eccessive parcellizzazioni. In sintesi è stato infine proposto il seguente schema di applicazione:

Obiettivi di apprendimento

– Saper agire, nel suo essere clinico (diagnosta e terapeuta), nell’ambito della continuità assistenziale in modo “economicamente congruo”

– Essere partecipe ed attore di strategie in continua evoluzione che devono portare al  ripensamento continuo dei percorsi di prevenzione e diagnostico-terapeutici in base al progredire delle conoscenze e delle tecnologie

– Interagire e coinvolgere altri soggetti in termini di sinergie di azioni e di interessi e di integrazione socio-sanitaria

Metodologie di insegnamento

– Stages, UDE, Problem Solving

– Attori da coinvolgere:

– MMG, Operatori dei Distretti e delle altre strutture territoriali, 118, Figure delle professioni sanitarie.

Biennio Obiettivi di apprendimento Metodologie di insegnamento Attori da coinvolgere
I In un corso di Metodologia medico-scientifica di base (con moduli dedicati all’early clinical contact, alle scienze umane, all’etica medica, alla psicologia clinica) l’integrazione nosoco- mio-territorio si presta a trattare temi come: a) la comunicazione medico-paziente-famiglia-infermiere; b) la riflessione sui vissuti emotivi; c) l’etica del fine vita; d) il role modelling professionale (medici e professionisti della salute); e) l’anamnesi psico-sociale; f) alcune norme di sicurezza; g) il basic life support. Didattica a piccoli gruppi; tuto- rato da un minimo di 1:6 a un massimo di 1:1 Tutor da individuare tra medici di medicina generale, infermieri, dottorandi, medici ospedalieri, operatori dell’hospice, del 118 e della CRI provinciale
II In un corso di Metodologia medico-scientifica clinica (con moduli dedicati alla metodologia clinica, all’epidemiologia e all’organizzazione sanitaria, alla semeiotica e alla simulazione di procedure diagnostico- terapeutiche) l’integrazione nosocomio-territorio si presta a trattare temi come: a) la con- tinuità assistenziale in percorsi diagnostico-terapeutici economicamente congrui; b) i percorsi di prevenzione per la salute indivi- duale e della collettività (stili di vita, procedure di prevenzione); c) l’integrazione socio-sanitaria tra attori diversi del processo di prevenzione e cura; d) l’apprendimento di procedure di primo soccorso Procedure di problem solving applicate tanto a problemi di salute individuali che a problemi di salute pubblica; stage presso strutture territoriali Tutor da individuare tra medici di medicina generale, professio- nisti della salute, operatori dei distretti, delle altre strutture terri- toriali e del 118
III In corsi di Metodologia medico-scientifica: Sanità pubblica (con moduli dedicati al management sanitario e all’organizzazione sanitaria) e in corsi di Medicina Interna e Specialità mediche, l’integrazione nosocomio-territorio si presta a trattere temi come: a) l’approccio bio-psico-sociale finalizzato a curare e prendersi cura del paziente (specie se fragile) inserito nel suo contesto familiare e sociale; b) la comunicazione tra attori diversi finalizzata alla continuità delle cure nella rete dei servizi; c) la capacità di lavoro in team interdisciplinari e interprofessionali Conoscenze: Didattica frontale e, specialmente, a piccoli gruppi (seminariale).
Abilità: Simulazione su manichini; ampio utilizzo di casi clinici (e problemi gestionali) simulati; saper comunicare tra diversi pro- fessionisti sanitari e saper scrivere una lettera di dimissione; tirocinio professionalizzante sul territorio.                Attitudini: focus group; saper rilevare punti di forza, debolezza, opportunità e minacce mettendo a confronto il “Sistema per prestazioni isolate” e quello “per prestazioni integrate”
Setting: reparti nosocomiali di area clinica, studi dei MMG e domicili dei pazienti, residenze, SerT. Attori: Tutor da individuare tra docenti universitari di area clinica, medici di medicina generale, professionisti della salute, operatori dei distretti e di tutte le strutture territoriali

 

Conclusioni

Al termine del lavoro nei quattro laboratori, si è tenuto un debriefing di restituzione in assemblea plenaria. I facilitatori dei laboratori hanno riferito su quanto emerso nei rispettivi gruppi di lavoro e l’assemblea ha animato un dibattito. Da questo, è emersa l’esistenza, nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia Italiani, di un’enorme ricchezza e molteplicità di iniziative e di progetti in termini di integrazione del territorio nel percorso formativo del futuro medico.
Dal dibattito è emerso, inoltre, un consenso unanime ad una verticalizzazione del curriculum che consenta l’integrazione con il territorio in tappe diverse e successive del curriculum degli studi, cercando di integrare a cuneo6 il biennio delle scienze di base, quello della patologia, e quello della clinica). In questo processo di verticalizzazione si sono rivelati come molto utili alcune dorsali metodologiche del curriculum, come i corsi di metodologia medico-scientifica, i corsi di medicina interna e quelli delle specialità mediche.

Da quanto emerso, è possibile costruire una tabella riepilogativa (Tab. I) che permette di delineare, per ciascun triennio, obiettivi di apprendimento, metodologie di insegnamento e attori da coinvolgere.

Al termine dei lavori del forum è sembrato possibile trarre alcune conclusioni riassuntive:

– la collaborazione con i MMG non esaurisce il ricchissimo spettro dell’interazione con il territorio, che deve includere il distretto, l’hospice, la CRI, il 118, il SerT…

– l’interazione nosocomio-territorio può essere inserita in tutte le tappe del curriculum medico, con obiettivi e metodologie didattiche differenti, e coinvolgendo attori diversi.

– l’approccio bio-psico-sociale degli studi medici ha lo scopo di insegnare a curare e a prendersi cura del paziente, inserito nel suo contesto familiare e sociale.

– va testimoniata e insegnata la comunicazione tra i diversi professionisti della salute e tra questi e il paziente (e la sua famiglia), per garantire la continuità delle cure tra servizi in rete, e per tener conto dei vissuti emotivi degli operatori, dei pazienti e dei loro familiari.

– occorre segnalare la rilevanza etica non solo del prendersi cura, ma anche di ogni scelta – economicamente congrua – in tema di percorsi diagnostico-terapeutici e di prevenzione.

– va sempre sottolineata l’importanza della prevenzione, al servizio della salute del singolo individuo e della collettività.

Questo Forum, e tutta la trilogia sulla integrazione del territorio nel sistema delle cure aveva lo scopo di offrire ai Presidenti di CLM una proposta di percorso verticale da poter inserire nel proprio curriculum degli studi. Volutamente, la proposta che emerge alla fine della trilogia non entra in dettagli ordinamentali (Quanti CFU? Quali esami? Didattica curriculare vs. elettiva, frontale vs. piccoli gruppi, modulare vs. seminariale, ecc) per permettere a ciascun CLM di adattare a sé questa proposta in termini di reale fattibilità.

Bibliografia

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8) Furlan P.M. I Luoghi delle cure. Vol I°. Celid

Forum su L’integrazione del territorio nel sistema delle cure, svolto a Palermo il 22 Marzo 2013 (Presidente Prof. Pietro Gallo).

Cita questo articolo

Gallo P., Becchi M.A., Consorti F., L’integrazione del territorio nel sistema delle cure Parte 2a – Proposta di un curriculum “verticale”, Medicina e Chirurgia, 59: 2642-2649, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-5