Indice n. 66/2015

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

66/2015

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale

Tentazioni, codici, esempi. L’etica del docente nell’Università della docenza umiliata, di Stefano Semplici.

Conferenza permanente dei CLM in Medicina e Chirurgia

Dal paziente reale al simulatore-paziente. Come la tecnologia migliora la formazione medica e la sicurezza del paziente, di Antonello Ganau.

Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Un’esperienza di laboratorio professionale condotta nel corso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia, di Giovanni Mazzoni, Luigi La Riccia, Daniele Aramini, Barbara Damen, Andrea Giovagnoni.

Scuole italiane di Medicina

La Scuola (Ferrata, Introzzi), Larizza, di Fabrizio Grignani.

Libri che hanno fatto la storia della Medicina

News

Notizie dal CUN, di Manuela di Franco.

Libri

Materiali per lo studio del Sistema Sanitario Nazionale

cop_frontcover-500x500In un momento di grande crisi dello Stato sociale, ove la tutela della salute rappresenta il settore che maggiormente incide sulla spesa dei bilanci pubblici, sempre più soggetti a tagli a piani di rientro, è indispensabile per lo studente conoscere e capire i meccanismi su cui si basa l’organizzazione sanitaria della quale aspira in futuro a far parte, allo scopo di poterne analizzare i molteplici processi decisionali che lo riguarderanno.

Il testo che ho il piacere di presentare risponde pienamente a tale esigenza, ed ha in più il pregio di essere stato pensato e redatto precipuamente per soggetti che non hanno una formazione giuridica. La prima parte, sui principi di diritto sanitario, è infatti trattata in modo lineare e basilare, permettendo un migliore apprendimento dei concetti giuridici implicati, grazie anche all’ausilio di un apparato didattico di rinforzo costituito da finestre che spiegano i termini giuridici fondamentali. Si vuole, in tal modo, dotare lo studente di strumenti cognitivi volti all’obiettivo della conoscenza e della capacità di comprensione knowledge and understanding nella terminologia corrente. Gli approfondimenti sul federalismo e i controlli consentono, invece, di analizzare subito problematiche attuali che un sistema sanitario deve fronteggiare. Gli studenti sono così posti, sin dal loro esordio universitario, in condizione di misurarsi con la complessità del reale e di educarsi al pensiero critico (capacità di applicare conoscenza e comprensione – applying knowledge and understanding – nonché autonomia di giudizio – making judgements). Un apposito capitolo è dedicato all’organizzazione della sanità nella Regione Marche. Lo scopo è stato quello di instaurare un’ importante osmosi costruttiva con il tessuto territoriale del quale i discenti andranno a far parte dopo la laurea, prevenendo così lo scollamento con la realtà ed il territorio, spesso oggetto di critiche da parte di osservatori extra-universitari. Un’altra sezione, parimenti stimolante, è dedicata alla giurisprudenza che, grazie allo studio casistico, consente agli studenti di apprendere in modo immediato e sul campo le problematiche giuridiche riguardanti settori delicati come quelli della procreazione medicalmente assistita o della responsabilità amministrativa.

Tali temi permettono di verificare molte delle conoscenze acquisite, osservando come i principi di diritto pubblico e sanitario operino in modo sinergico e forniscano anche, visti i temi coinvolti, le solide basi per una visione etica delle professioni sanitarie.

Infine, il testo è corredato da un apparato di verifica nel quale è inserito il fac-simile della prova finale prevista per i discenti. Questo è particolarmente valido per la scienza giuridica, che non potrà mai privarsi di verificare anche le abilità comunicative (communication skills) degli studenti, elemento sconosciuto per le verifiche nelle scienze esatte.

Il volume si prefigge pertanto l’obiettivo finale di conferire ai discenti capacità di apprendimento (learning skills) tali da renderli in grado , dopo il corso universitario, di poter proseguire in maniera sufficientemente autonoma lo studio delle materie giuridiche.

Concludendo, il testo è ricco di contenuti scientifici, presenta metodologie didattiche molteplici, innovative e d’avanguardia (deduttive, inferenziali, case law, problem solving) ed è stato pensato per i futuri professionisti sanitari che non hanno oggi un bagaglio giuridico alle spalle.

Il personale universitario, docente e non docente, che svolge attività assistenziale. Inquadramento giuridico e questioni applicative

cop.aspx-2Il volume realizzato dal Paolo De Angelis ripercorre e analizza le principali problematiche normative ed interpretative in tema di personale universitario che svolge attività assistenziale. L’autore offre un’analisi cronologica giungendo ad individuare le caratteristiche dell’attuale integrazione tra le diverse funzioni assistenziali ed universitarie.

La trattazione si suddivide in tre parti.

La prima offre allo studioso le basi per la comprensione della casistica e delle tematiche affrontate, disegnando il contesto di riferimento. In tale parte introduttiva, l’autore si sofferma sull’evoluzione dei rapporti tra Istituzioni universitarie e sanitarie, che accompagna l’evoluzione dei soggetti pubblici coinvolti. Viene, così, dedicato spazio al modello gestionale di Azienda ospedaliero-universitaria e agli strumenti di raccordo con le parti del servizio offerto, nella scoperta convinzione che le AOU debbano avere una finalità specifica, ulteriore e distinta dalle Aziende ospedaliere “ordinarie”.

Nella seconda parte l’autore si sofferma sulle peculiarità del rapporto di lavoro dei docenti di materie cliniche che svolgono attività assistenziale, sulle modalità di conferimento di incarichi, sulle possibilità di svolgere attività libero professionale e sui profili di incompatibilità tra le funzioni. L’aspetto più complesso, al riguardo, è certamente quello inerente l’inquadramento giuridico del personale e l’individuazione delle prestazioni lavorative riconducibili alle diverse qualifiche. La gestione del personale necessariamente deve tener conto dell’impegno assistenziale nel definire gli obiettivi didattici e di ricerca, senza che il primo renda impossibile la cura di questi ultimi. Nella terza parte, l’autore analizza gli strumenti di intesa e di accordo tra Università e ospedali, illustrando l’impianto precedente, commentando la disciplina attuale e proponendo soluzioni future.

Il volume realizzato da Paolo De Angelis offre un’analisi complessa, frutto dell’esperienza quotidiana di chi progressivamente è stato chiamato a risolvere problematiche e a fornire chiarimenti su fattispecie spesso di incerta soluzione, per difficoltà attuative in concreto o opacità legislative. Dalla lettura del volume emerge il desiderio dell’autore di proporre terapie e soluzioni, frutto dell’esperienza applicativa e che trovano espressione nelle sue riflessioni conclusive; emerge, in sostanza, una visione ottimistica e propositiva, non solo nell’auspicio di una maggiore chiarezza della normativa futura ma, soprattutto, nella consapevolezza che rilevanti passi in avanti potrebbero anche essere compiuti, a normazione invariata, grazie alla possibile volontà collaborativa delle parti.

In definitiva, il volume rappresenta una rara e felice occasione di riflessione e approfondimento del funzionamento della prestazione sanitaria offerta da personale universitario, frutto dell’esperienza concreta e del confronto con problematiche reali. E gli operatori del settore sanitario, come anche gli studiosi delle aree ad esso trasversali, troveranno nel lavoro di De Angelis un concreto e valido strumento per comprendere le tensioni e le criticità interne ai servizi offerti nelle strutture sanitarie ove insistano attività universitarie.

Notizie dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgian.66, 2015, pp.3004-3006

Conferenza dei Presidenti di Consiglio

di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Roma, 16 febbraio 2015

Il giorno 16 febbraio 2015 si è tenuta a Roma, presso l’Aula Conti del Dipartimento di Medicina Sperimentale – Sezione di Fisiopatologia, Scienza dell’Alimentazione ed Endocrinologia – Policlinico Umberto I, la 117a riunione della Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

Il Presidente, aprendo i lavori, ricorda che ricorre in questo anno il 30o anniversario della fondazione della Conferenza, che sarà celebrato adeguatamente nella riunione di Portonovo (Ancona) in settembre. Dopo aver invitato i nuovi Presidenti a presentarsi e ad indicare la loro sede, ricorda i successi del Progress Test (PT) con l’infaticabile lavoro e dedizione di Alfred Tenore e Stefania Basili, delle site visit magistralmente coordinate da Carlo Della Rocca e con la fattiva partecipazione di tutti i Presidenti. Il Presidente riporta alcune notizie in breve: il test di accesso al Corso di Laurea si terrà nella prima quindicina di settembre; si sta lavorando con il Ministero su alcuni particolari della laurea abilitante e sulla acquisizione del titolo MD-PhD da acquisire con un ciclo di studi di otto anni. In merito al nuovo ordinamento delle Scuole di Specializzazione, ci è stato richiesto un sacrificio con la riduzione di un anno del processo formativo; la rete formativa sarà in collaborazione con la rete ospedaliera, ma governata e controllata dall’Università; non esisteranno più le scuole aggregate ma solo la scuola capofila con sede amministrativa e le altre faranno parte della rete formativa. Per la nuova abilitazione scientifica, dopo la revisione dei Settori Scientifico Disciplinari, verranno introdotti nuovi indicatori di qualità e quindi non solo mediana.

Il Prof. Tenore riporta tutti i risultati del Progress Test (PT) 2014, confrontati con quelli degli otto anni precedenti, e dopo essersi congratulato per la ampia partecipazione (45 CdL e circa 23.000 studenti) e collaborazione, mostra le percentuali di risposte corrette nelle discipline di base e in quelle cliniche delle sedi partecipanti e annuncia che il prossimo PT si terrà il 18 novembre 2015.

Si passa quindi alle procedure elettorali per il rinnovo della Presidenza e vice Presidenze. Il Prof. Lenzi ricorda le norme previste dallo statuto della Conferenza e l’impegno gravoso ma anche esaltante del Presidente. Il Decano della Conferenza, facendo presente i grandissimi risultati ottenuti dal Presidente Prof. Lenzi, ne propone la sua rielezione. All’unanimità e per acclamazione Andrea Lenzi è stato confermato per la terza volta consecutiva Presidente della Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Dal Presidente è stata anche confermata la composizione del Consiglio Direttivo che vede Stefania Basili quale vice Presidente Vicario, Rosa Valanzano vice Presidente, Amos Casti Segretario e Giovanni Danieli, past Presidente, responsabile ed Editor della rivista della Conferenza.

Il Presidente eletto presenta il programma della Conferenza per il periodo 2015-18 considerando tutte le possibili soluzioni per le applicazioni normative riguardanti il percorso formativo unitamente alle proposte pedagogiche per l’innovazione didattica, che si basano sostanzialmente sul lavoro dei Gruppi e Progetti della Conferenza, considerando quelli che sono giunti alla conclusione con documenti e proposte da tutti apprezzati ed applicate, quelli che devono continuare (allegato 1) e quelli di nuova progettazione (allegato 1), e per i quali chiede la collaborazione e l’impegno di tutti i Presidenti, vice Presidenti componenti esperti esterni alla Conferenza e particolarmente funzionali ai diversi progetti. Il Presidente comunica, quindi, che i prossimi incontri della Conferenza saranno il 12 e 13 giugno a Ferrara e il 25 e 26 settembre a Portonovo (AN).

Si passa quindi alla presentazione del Prof. Moncharmont su “Riflessioni sulla recente compilazione della scheda SUA e conseguenze sulla omogeneità dei CLM in M&C”. Sulla presentazione si avvia una ampia ed articolata discussione con numerosi interventi di approfondimento e chiarificazione e pertanto si decide di ulteriormente definire l’argomento in un gruppo ad hoc costituito.

Il rappresentante SISM illustra il progetto ClerkITA, che viene seguito con interesse e partecipazione. Il progetto intende proporre allo studente una esperienza professionalizzante per entrare in contatto con elevate capacità scientifiche e formative, e indirizzare lo studente nella scelta della carriera professionale.

Il Prof. Caruso mostra lo stato dell’arte sul “Core curriculum” in riferimento agli ambiti disciplinari con la disponibilità dei Presidenti e l’elenco dei temi emergenti o ancora mancanti.

Il Prof. Della Rocca illustra i risultati relativi alle site visit che si sono recentemente concluse.

Il Prof. Gallo, al quale è stato rinnovata la responsabilità del gruppo “Innovazione didattica”, presenta i prossimi impegni consistenti nella: 1. Elaborazione di una proposta di curriculum-tipo per la laurea abilitante; 2. Organizzazione di un atelier per Presidenti di CCL su tematiche “di base”; 3. Organizzazione sul tema “Formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo”.

Infine, viene presentato il sommario della rivista Medicina e Chirurgia 65 del 2015.

Amos Casti

Segretario della Conferenza

Notizie dal CUNn.65, 2015, pp.3004-3006

A gennaio 2015 il CUN rinnovato ha eletto con ampio consenso il Prof Andrea Lenzi come Presidente.

Nella prima parte dell’anno l’attività del CUN si è concentrata sulla revisione dei settori scientifico-disciplinari in funzione della prossima ASN. Per quanto riguarda l’ area medica l’unica modifica è stata l’accorpamento dei SSD M-EDF/01 – Metodi e didattiche delle attività motorie e M-EDF/02 – Metodi e didattiche delle attività sportive in un unico e nuovo Settore Concorsuale (SC) 06/N2 – Scienza dell’esercizio fisico e dello sport e del SSD MED/46 – Scienze tecniche di Medicina di laboratorio nel SC 06 N1 entrambi inseriti nel nuovo Macro Settore (MC) 06/N – Professioni sanitarie, tecnologie mediche applicate, dell’esercizio fisico e dello sport ( parere 1 aprile 2015, www.cun.it)

E’ stata aggiornata la traduzione di tutti i SC e SSD in lingua inglese, quale misura atta a  promuovere l’utilizzo di un lessico disciplinare comune e  inequivoco nel dialogo internazionale fra i ricercatori.

Il 2 febbraio 2015 è stato pubblicato il decreto ministeriale relativo al riordino delle Scuole di Specializzazione in Area Medica (DM 68). Il lavoro, che ha apportato le modifiche necessarie per adeguare i percorsi didattici agli standard europei e che ha comportato la riduzione della durata del corso di alcune scuole e l’accorpamento/soppressione di poche altre, ha visto la partecipazione attiva e condivisa di tutta la comunità scientifica dell’area medica rappresentata dai Presidenti dei Collegi e coordinata dal Presidente del CUN Prof Andrea Lenzi e dal Consigliere dell’area 06 prof. Mario Amore. Quest’ultimo ha peraltro nel mese di gennaio rassegnato le dimissioni da Consigliere del CUN in quanto ha preso servizio come Professore di I fascia presso l’Università di Genova. Tutto il Consiglio congratulandosi e ringraziandolo per l’eccellente lavoro svolto in questi anni, ha espresso al Prof. Amore grande stima e apprezzamento personale. Alla fine di maggio si sono svolte quindi le elezioni suppletive per la II fascia area 06 ed è stato eletto il Prof. Antonio Biondi dell’Università di Catania.

Sempre relativamente alle Scuole di Specializzazione di Area Medica i contratti per il 2015, grazie ad un decisivo impegno del Presidente del CUN , sono stati portati per quest’anno a 6000. Il concorso nazionale si terrà tra il 28 ed il 30 luglio secondo le diverse tipologie di scuola.

Tra febbraio e maggio sono stati esaminati gli ordinamenti didattici dalle Università. In particolare sono stati presentati ed esaminati 85 ordinamenti di nuova istituzione di corsi di laurea o laurea magistrale. Di questi, 53 sono stati esaminati una seconda volta, in seguito a modifiche apportate dagli Atenei in risposta alle osservazioni formulate dal CUN. Tra le Aree disciplinari CUN l’area con il maggior numero di corsi di nuova istituzione è stata l’area 06- «Scienze Mediche» (14 corsi).

Sono stati presentati ed esaminati 979 ordinamenti modificati di corsi di laurea o laurea magistrale. Di questi, 693 sono stati esaminati una seconda volta, in seguito a modifiche apportate dagli Atenei in risposta alle osservazioni formulate dal CUN.
Sono stati altresi presentati ed esaminati 1704 ordinamenti modificati delle Scuole di specializzazione di area medica. L’esame degli ordinamenti è stato effettuato tramite un capillare confronto e una collaborazione fattiva con gli Atenei che non soltanto ha permesso di risolvere pressoche tutti i problemi riscontrati, ma ha anche visto la partecipazione attiva degli Atenei i quali hanno essi stessi ritirato autonomamente i pochi progetti deboli, tanto che l’esame finale si è concluso con la bocciatura di due soltanto degli ordinamenti di nuova istituzione e di un solo ordinamento modificato sul migliaio presentati.

Nel mese di maggio il MIUR ha richiesto il parere del CUN sul FFO 2015. Il CUN ha rilevato che lo schema riflette in modo abbastanza puntuale la struttura del decreto relativo al FFO 2014 apprezzando il fatto che sia arrivato con notevole anticipo rispetto al precedente con una ricaduta positiva sulla programmazione finanziaria degli Atenei.

Tuttavia, la mancata adozione di una programmazione pluriennale del FFO, non consente agli Atenei di programmare un’adeguata previsione delle risorse nel medio periodo. Il CUN ha inoltre sottolineato che complessivamente il FFO prevede una riduzione del finanziamento di oltre 87 milioni di euro incrementando ulteriormente il divario con gli altri Paesi Europei ( www.cun.it).

Infine si segnala (29.04.2015 ) la Raccomandazione per l’adozione di misure atte a favorire il reclutamento di ricercatori, in attuazione di quanto previsto dalla legge di stabilità 2015 in cui il Consiglio Universitario Nazionale, richiamando quanto proposto nel Documento del 9 aprile 2014, «Reclutamento universitario. Una proposta per uscire dall’emergenza», in merito all’adozione di un piano straordinario per l’assunzione di 9.000 ricercatori a tempo determinato nel triennio 2014-2016, raccomanda che si proceda, al più presto, ad avviare questo reclutamento, presupposto necessario per contrastare il progressivo depauperamento del corpo docente e il prevedibile collasso del sistema universitario. Chiede altresì che nell’immediato siano rese disponibili le risorse di cui all’art.1, comma 348 della legge di stabilità 2015.

Manuela Di Franco

Segretario Generale del CUN

Questa mia senile fatica. Giovan Battista Morgagni e il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatisn.66, 2015, pp.2998-3003, DOI: 10.4487/medchir2015-66-6

Abstract

Giovan Battista Morgagni’s De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis is a masterpiece in the history of medicine, as well as in human anatomy and pathology. Its immediate reception all over Europe well testify the novelty of Morgagni methodological and experimental approach to human pathological anatomy. The article shortly examines the cultural and geographical context in which De sedibus has been conceived by its author, the very rich scientific and personal relationships linking Morgagni to the medical élite of XVIII century, and finally the structure of the text and its significance in medical history studies.

Articolo

L’anatomia patologica prima dell’anatomia patologica

Il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, il magnum opus di Giovanni Battista Morgagni dato alle stampe a Venezia nel 1761, quando il suo autore era oramai ottantenne, rappresenta sotto molti aspetti un nuovo inizio per la medicina di fine Settecento e lo scardinamento di una clinica di matrice ippocratica (dunque qualitativa, non solidistica e olistica), che ancora costituiva un saldo riferimento intellettuale per molte delle scuole mediche europee. Dire che il libro di Morgagni rappresenta un punto da cui diventa obbligatorio ripensare il modo in cui si progetta, si fa e si scrive l’anatomia, come diceva Mirko Grmek, è certamente vero; tuttavia, affermare tout court che il libro di Morgagni spalanca le porte per la prima volta a una riflessione sistematica sulle relazioni possibili tra dimensione anatomica e prospettiva clinica sarebbe un’ingenuità contro cui ci mettono in guardia, con rinnovate argomentazioni, molti buoni studi storici recenti. Alla fine del XVIII secolo, infatti, in Francia e, seppure meno sistematicamente, in Inghilterra e in altri paesi europei, erano venute realizzandosi le condizioni per il graduale riavvicinamento della dimensione clinica con quella chirurgica: l’Italia era in questo senso un territorio di avanguardia, con alcuni avamposti in cui le ripetute e frequenti contaminazioni tra il sapere pratico, localizzante e solidistico dei chirurghi e il sapere dotto trasmesso dai contesti accademici avevano prodotto risultati di grande interesse, soprattutto in relazione alla storia di alcune sedi ospedaliere. L’ospedale moderno rappresenta, infatti, il luogo di elezione dove le storie cliniche dei pazienti possono incontrare i dati della riflessione autoptica, muovendo una ricerca che da osservazione sporadica e non sistematica di malformazioni ed esiti patologici diventa tentativo di costruire un discorso organico sulle cause di morte. La registrazione di alterazioni patologiche sul cadavere, sottratta alla casualità e alla rarità con cui i secoli precedenti l’avevano pure registrata, incontra una quantità ingente di ‘materiali di lavoro’ proprio nelle sedi ospedaliere, in cui i decessi per malattia diventano la fonte che rende possibile l’iniziale idea di correlare le storie cliniche con il dato autoptico. La relazione con le sedi universitarie, con le gilde e i collegi professionali, fa il resto, rendendo utilizzabile anche come programma didattico il dato di osservazione.

Schermata 2015-07-09 alle 11.25.54Roma è, in questo senso, insieme a Parigi, tra le città la cui storia ospedaliera più fortemente è connotata da questo nuovo atteggiamento di studio e ricerca; le vicende storiche degli ospedali romani, dalla Consolazione al Santo Spirito, sedi di lavoro congiunto di diverse tipologie di professionismi medici e chirurgici, ne forniscono un buon esempio. La grande ricchezza “di letti e di ammalati” degli ospedali italiani, già registrata come fatto straordinario da Martin Lutero durante il suo viaggio in Italia, costituisce il punto di avvio della ricerca anatomo-clinica molto prima della nascita formale del metodo e della disciplina anatomo-patologica. Ma in realtà, nella seconda metà del Settecento, molti grandi ospedali europei – primi fra tutti, evidentemente, quelli parigini, enormi per dimensione e capacità di accoglienza, ma anche, come si diceva, in Inghilterra, Germania, in Russia, nei paesi Baltici e in America – avevano reso la pratica dissettoria su chi moriva in ospedale un’attività quasi ‘normale’, accompagnandola con la dissezione di corpi lasciati per legato testamentario alla ricerca scientifica da esponenti delle classi più facoltose e colte. Questo ha condotto, in un arco di tempo relativamente breve, anche alla creazione di veri e proprie collezioni anatomo- patologiche, che consentivano insieme di attrarre un numero maggiore di studenti presso gli ospedali e le sedi universitarie e di rispondere al bisogno di classificazione strutturale e nosologica che è uno dei punti caratterizzanti il pensiero medico settecentesco (Bynum W.F., Porter R.).

La spinta a riunificare l’approccio clinico con quello chirurgico, più forte a partire dalla data in cui Giovan Battista Morgagni da alle stampe il suo opus magnum e almeno fino agli anni Novanta del secolo, consentendo il superamento dell’olismo di matrice ippocratico-galenica che di fatto rendeva ‘fluido’ e indistinto il confine tra la sfera del normale e quella del patologico, permette di spostare la malattia dal piano dell’astrazione teorica a quello della concretezza ‘materiale’; si vanno così realizzando così i sogni di intere generazioni di anatomisti europei che, da almeno due secoli, erano andati in cerca di evidenze tangibili e della possibilità di collocare in una parte specifica del corpo l’essenza dei morbi. L’aspirazione di Antonio Benivieni (1443-1502), che voleva stabilire una correlazione tra le osservazioni sul cadavere e quelle che precedentemente erano state condotte sul paziente vivo, e il suo sostenere la necessità metodologica dell’acquisizione diretta dei dati da parte del medico per mezzo di una valutazione visiva e tattile della malattia (“quos ego et vidi et tetigi”), alla fine del Settecento si è compiutamente realizzata: le straordinarie intuizioni e le descrizioni patologiche di autori come Jean François Fernel (1497-1558), Felix Platter (1536-1614), Johann Schenck (1530-1598), Nicolaus Tulp (1593-1674), François de la Boe (16141672), Thomas Bartholin (1616-1680), Gaspare Aselli (1581-1625), William Harvey (1578- 1657), tutti variamente interessati all’idea della costruzione di una ‘medica anathomia’, avevano condotto alla nascita di una ‘anatomia pratica’, ancora legata fortemente a un empirismo di matrice anatomo-clinica ma proiettata a diventare quella che nel 1713 Friedrich Hoffmann (1660-1742) per la prima volta definirà come anatomia patologica.

Lo sforzo di correlazione tra descrizione clinica e relazione autoptica, seppure ancora caratterizzato dalla ricerca del reperto straordinario e poco frequente, tipizza ampia parte della ricerca anatomica seicentesca; esso è raccolto, nella seconda metà del secolo, da Marcello Malpighi, che dichiara la necessità della creazione di quadri teorici coerenti che consentano di distinguere l’anatomia umana normale da quella patologica. Le autopsie di Malpighi, fatte “per comprendere la clinica”, sono strumenti che servono alla costruzione di una disciplina autonoma, allo stesso tempo subordinata e dialogante con la clinica: non una storia né una filosofia naturale, dunque, ma uno strumento da utilizzare per la costruzione di una nuova diagnostica e di una nuova terapia.

Schermata 2015-07-09 alle 11.26.03Insieme alle suggestioni che vengono a Morgagni da tutto questo percorso e dalla scuola romana di Giorgio Baglivi e di Giovanni Maria Lancisi, suo maestro e amico e primo autore a progettare, nel trattato De subitaneis mortibus (1706), l’incontro tra analisi epidemiologica e dimensione anatomo- patologica, la considerazione malpighiana “delle cause, delle sedi, della struttura e del moto della materia morbosa” (Bologna, Biblioteca Univ., Ms. Malpighiani, vol. XII) è più che un motivo ispiratore per il testo di Giovan Battista Morgagni: egli la sceglie a manifesto del suo progetto scientifico e ne fa titolo e principale linea guida del suo vastissimo lavoro di revisione e organizzazione dell’esperienza sua e altrui sul corpo morto per malattia (Zampieri, F., Zanatta A., Thiene G., 2014).

Padova città di anatomie

Che il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis veda la luce all’interno dei circuiti culturali che legano la sede universitaria di Padova, città nella quale Morgagni insegnava, dopo un soggiorno bolognese, sulla cattedra di Medicina teorica dal 1711 e su quella di anatomia dal 1715 (e ininterrottamente fino al momento della sua morte) e Venezia, ancora alla fine del secolo uno dei centri editoriali di eccellenza in Italia, è ovviamente cosa che non stupisce chi conosca anche sommariamente la storia della disciplina anatomica in Italia e in Europa, la storia dell’editoria e del libro scientifico in evo moderno, la storia anche geografica del lungo magistero di Morgagni.

Padova era stata sin dal XVI secolo il centro di una ricerca anatomica organizzata e di altissimo livello, in grado di attrarre studenti e docenti da tutto il territorio europeo; dotata dal 1595 del celebre teatro anatomico, voluto da Girolamo Fabrizi di Acquapendente e da lui fatto realizzare su progetto di Paolo Sarpi per rispondere alle esigenze degli studenti della Nazione Germanica che reclamavano una struttura permanente ove potessero apprendere l’anatomia attraverso la partecipazione diretta all’apertura del cadavere, Padova aveva visto succedersi negli insegnamenti di chirurgia e di anatomia i nomi dei principali anatomisti del tempo. Alessandro Benedetti (1450ca.- 1512), Andrea Vesalio (1514-1564), Realdo Colombo (1510 ca.- 1559), Gabriele Falloppio (1523-1562), Girolamo Fabrizi da Acquapendente (1533 ca.-1619), Giulio Casserio (1552-1616), Adriaaan van den Spiegel (1578-1625), Johann Vesling (1598-1649), Domenico Marchetti (1626-1688) tennero per periodi diversi (alcuni, come Falloppio, per cinquant’anni di fila) le cattedre di anatomia e di chirurgia dell’ateneo patavino, mettendo a punto il metodo anatomo-comparativo, permettendo il compiersi del passaggio dall’anatomia descrittiva all’anatomia funzionale, strutturando innovativi sistemi di iniezione intravasale per la conservazione del materiale anatomico e collaborando in modo continuativo con il Collegio medico veneziano (G. Ongaro). A questi nomi si debbono unire quelli di altri che, pur non essendo direttamente coinvolti nella didattica anatomica formale, scelgono Padova come luogo di eccellenza in cui si rende possibile l’incontro con personalità del calibro di Galilei e l’elaborazione di una fisiologia rivoluzionaria che scardina in modo definitivo la complessa costruzione del sapere anatomico e funzionale antico, in particolare galenico; il nome di William Harvey fornisce l’esempio paradigmatico di quello che Padova costituì come centro di attrazione dell’intelligenza medica europea. Infine, la forte presenza a Padova di studenti tedeschi, ricchi e motivati alla ricerca anatomica al punto che le loro modalità di procacciamento dei cadaveri costituivano motivo di attrito con la Nazione ebrea ancora negli anni venti del Settecento, costituisce un ulteriore motivo di attrattività per chi, come Giovan Battista Morgagni, aveva fatto della ricerca anatomica il principale motivo di ispirazione della propria vita, al quale sacrificare persino la serenità familiare e la qualità dei rapporti con i numerosi figli e figlie.

Cinque Accademie, cinque lettere, cinque prefazioni

Giovan Battista Morgagni, al momento della pubblicazione del De sedibus, era un’autorità accademica indiscussa, un potente signore della medicina, rispettato e temuto da colleghi e rivali, che lamentavano che in Padova l’unico a poter liberamente disporre della sala di autopsie fosse proprio l’ottuagenario maestro. Della rete di relazioni intellettuali e personali intessute nei lunghi anni della sua vita resta traccia negli epistolari, nelle cronache degli incontri personali, nella corrispondenza con viaggiatori, nella discussione di temi politici, nelle polemiche accademiche che lo vedono protagonista fino a pochissimo tempo prima della sua morte. I nomi di Lazzaro Spallanzani, Domenico Cotugno, Antonio Scarpa, Michele Sagramoso, Scipione Maffei, Giuseppe Torelli, Leonardo Targa, Ludovico Salvi sono solo alcuni di quelli cui si può far ricorso per documentare la ricca rete di relazioni morgagnane.

Essa è testimoniata dall’interno anche dalle lettere prefatorie ai cinque libri in cui è diviso il De sedibus, ognuna dedicata a una delle accademie europee di cui Morgagni, talvolta da decenni, era membro, citate, come è detto espressamente nella Prefazione all’intera opera, secondo l’ordine “ del tempo in cui io ero stato ammesso in ciascuna Accademia” e con il fine esplicito di dimostrare in contesti diversi l’utilità delle dissezioni condotte su corpi morti per malattia. Ogni lettera è indirizzata al Direttore in carica: Cristoph Jacob Trew (1695-1769), professore a Norimberga e promotore della fondazione di un teatro medico in quella città, medico di corte e conte palatino con la passione per la botanica, amico di H. Boerhaave e corrispondente dei più celebri medici europei, dal 1743 direttore dell’Accademia Imperiale Leopoldina di Scienze, fondata in Vienna con il nome di Accademia dei Curiosi della Natura nel 1652; William Bromfield (1712-1792), chirurgo fondatore del London Lock Hospital, lettore di anatomia a Londra, autore di un Syllabus anatomicus pubblicato nel 1736 e di un Syllabus chirurgicus del 1743, inventore di tecniche innovative di chirurgia generale e ortopedica, un personaggio invero dai profili discussi (fu accusato a più riprese di imperizia e negligenza), ma cui Morgagni è legato, oltre che dal comune esser membri della Royal Society, anche dal fatto di condividere la formazione del figlio maggiore di Bromfield, studente laureato a Padova sotto la sua guida; Pierre Sénac, archiatra del re di Francia, anatomico autore di un trattato sulla struttura, fisiologia e patologia cardiaca, rappresentante di quella Academie Royale des Sciences fondata da Colbert nel 1666, di cui Morgagni era entrato a far parte prendendo il posto di F. Ruysch, morto nel 1731; Johan Friedrich Schreiber (1705-1760), lettore a Lipsia dal 1729 di Filosofia, medicina e Botanica, dal 1731 medico militare per l’esercito russo e dal 1742 professore di Anatomia e chirurgia a San Pietroburgo, direttore dell’Accademia delle Scienze, voluta da Pietro il Grande come parte del grandioso progetto di costruzione culturale suggeritogli da G.W. von Leibniz, e pensata su modello dell’Accademia delle Scienze di Parigi, di cui Morgagni era entrato a far parte già nel 1735; e, infine, Johann Friedrich Meckel (1724-1774), professore di anatomia, botanica e ostetricia a Berlino dal 1751 e dal 1773 membro dell’Accademia Reale svedese delle scienze, fondata nel 1739 da Federico I di Svezia, inizialmente come società privata (Linneo fu uno dei primi protagonisti delle sue attività culturali), ultima società ad accogliere all’unanimità Morgagni tra i suoi membri.

Oltre a testimoniare il livello alto delle relazioni scientifiche morgagnane, le dedicatorie alle cinque accademie europee rivestono il preciso ruolo di individuare gli enti cui deve essere affidata la divulgazione del solo metodo che Morgagni ritiene indispensabile alla creazione di una medicina nuova: da un lato lo studio dei corpi malati, che “mediante la lesione di una data parte congiunta con lo sconcerto di una data funzione” serve “meravigliosamente, non solo a confermare le vere funzioni delle parti, ma eziandio ad illustrarle, e talvolta a scoprirle, e a far rigettare quelle che son false” e a “scoprire le cause delle malattie affatto nuove e sconosciute che talvolta s’incontrano”. Dall’altro, una politica di educazione medica che imponga la collezione di storie cliniche corredate del dato autoptico, da trasmettere alle generazioni future in modo che “i nostri discendenti abbiano tanto numero di osservazioni quanto possa bastare” per una nuova anatomia che sappia curare.

Un nuovo metodo “clinico”

Le basi concettuali su cui poggia la progressiva e lenta creazione del De sedibus sono certamente fondate anche sul lungo sodalizio intellettuale ed amicale di Morgagni con Giovanni Maria Lancisi, l’archiatra pontificio che con i suoi trattati De subitaneis mortibus del 1706 e De motu cordis et aneurysmatibus, date alle stampe dopo la sua morte nel 1728, aveva intrapreso la strada della correlazione sistematica – elevata a metodo di indagine – tra la sintomatologia clinica e la lesione anatomica rilevata post mortem. La ricerca lancisiana di segni che rendessero possibile l’identificazione della ‘specie’ della malattia cardiaca e la loro proiezione sulla base di una epidemiologia clinica ante litteram consentono, infatti, lo strutturarsi di un metodo epicritico che si sviluppa attraverso la descrizione dei reperti autoptici e la messa in relazione della testimonianza dei reperti anatomo-patologici con tutta una serie di variabili relative agli stili di vita dei pazienti, alla loro dieta e alle loro attitudini lavorative. Giuseppe Ongaro attribuisce un ruolo determinante nello strutturarsi del piano editoriale dell’opera morgagnana anche a Ippolito Francesco Albertini (1662-1738), allievo di Malpighi e dal 1701 professore di medicina pratica all’università di Bologna, città in cui incontrò e fu maestro di Morgagni: Albertini, nella sua opera Animadversiones super quibusdam difficilis respirationis vitiis a laesa cordis et praecordium structura pendentibus, letta nel 1726 in una seduta dell’Accademia bolognese delle Scienze e data alle stampe nel 1748 ad opera di Francesco Zanotti, aveva infatti a più riprese sottolineato l’urgenza di riconoscere nei malati “quello che avevo visto nei cadaveri molte volte, disponendo di segni diagnostici sicuri e conosciuti, mediante i quali poter discernere l’alterazione anatomica”.

A questi stimoli diretti, testimoniati anche dalla fitta corrispondenza tra Morgagni e Lancisi, si debbono aggiungere gli insegnamenti del Valsalva, al cui magistero si deve l’insistenza sul ricorso all’anatomia comparata, alle dissezioni degli animali e alla pratica sperimentale, intesi come sistemi utili alla risoluzione di problemi osservati sul corpo degli uomini; nonché le occasioni fornite dalla nascente medicina sociale e della medicina del lavoro di matrice ramazziniana che, mettendo in luce l’esistenza di legami verificabili tra la professione svolta in condizioni di scarsa salubrità e l’insorgere di malattia, di fatto avevano aperto la strada a una nuova riflessione sulla causalità in medicina.

Una forte motivazione del De Sedibus è poi da rintracciare nella critica sistematica alla scarsa puntualità e alla mancanza di spirito critico che Morgagni individua come i principali difetti del Sepulchretum di Th. Bonet (1620-89), medico del duca di Longueville a Neufchatel, che aveva dato alle stampe nel 1679 quella che è forse la compilazione più dettagliata e lunga della storia dell’anatomia seicentesca in Europa. Il Sepulchretum, opera che pure aveva incontrato opinioni valutazioni e favorevoli, consiste in effetti in un lunghissimo elenco di esempi tratti quasi sempre dallo spoglio della letteratura precedente, corredati di scoli in cui Bonet registra tutto ciò che su una data malattia è stato pubblicato, sia in termini di sintomatologia che di terapia; per molti aspetti, malgrado le critiche, costituisce per Morgagni il modello da antagonizzare. Concepito ugualmente con tradizionale esposizione a capite ad calcem, il principale difetto del lavoro di Bonet è la sua destinazione al medico pratico, e l’assenza totale del tentativo di trovare collezione sistematica tra lesione sul cadavere, sintomi in vita e cause della malattia. Gli indici di Bonet, che Morgagni aveva in giovane età accolto entusiasticamente come una novità da valutare con attenzione, finiscono per diventare la sua più grande delusione e il primo difetto da emendare nel suo nuovo lavoro, che è avviato almeno dagli anni ‘40. Esperienze in ospedale, dissezioni pubbliche ‘morbose’, letteratura pregressa mettono alla luce lesioni specifiche sul cadavere che pongono a Morgagni un problema che è, innanzitutto, metodologico: è possibile intenderle ed indagarle non solo come causa dei sintomi accusati dai pazienti prima della morte, ma anche e soprattutto come causa della malattia? L’attenzione di Morgagni, motivata dall’idea che sostanzialmente il concetto di causalità di malattia vada a sovrapporsi a quello della sua predicibilità, si pone sulle modalità con cui la lesione si è generata e modificata nel tempo: la lesione è sempre in lento divenire e, come la malattia, essa non può essere intesa come fatto statico. Le storie dei pazienti servono alla costruzione di questo lento processo: senza le dissezioni dei corpi malati, nessuna ipotesi sulla natura della malattia e sulle sue cause può essere avanzata, come Morgagni stesso già sosteneva nella Nova Institutionum Medicarum Idea, la prolusione accademica pronunciata dopo la sua chiamata a Padova, nel 1712, in cui sono contenute le sue principali idee sulla riforma necessaria degli studi medici.

Settecento casi racchiusi in settanta lettere anatomiche, idealmente indirizzate a un giovane amico appassionato di studi anatomici, divise in cinque libri e racchiuse in due volumi in folio; progettata a Bologna e con un programma editoriale già abbozzato nel 1707, il De sedibus è un’opera monumentale, in cui confluiscono di fatto le esperienze di una vita interamente trascorsa tra l’ospedale e la sala settoria, le annotazioni contenute negli appunti che Morgagni quotidianamente registrava in un taccuino compilato senza soluzione di continuità dal 1699 al 1767, le cronache di dissezioni compiute da Valsalva, alcuni casi tratti dalla letteratura e ritenuti particolarmente utili, qualche resoconto delle autopsie condotte da Giandomenico Santorini (1681-1737), dimostratore di anatomia a Venezia, in cattedra nella stessa città dal 1706 al 1728, caro amico di Morgagni che aveva assistito per un paio di anni consecutivi, dal 1707 al 1709, alle sue dissezioni patologiche, nelle sedi di Bologna e Venezia.

Tutta l’opera è frutto di un rigoroso confronto con la letteratura, esaminata con spirito critico e scandagliata anche nella presentazione dei casi che sono frutto dell’esperienza dello stesso Morgagni; ogni questione è sottoposta al vaglio finale della ‘sensata esperienza’.

Le lettere, ordinate secondo lo schema classico a capite ad calcem, sono ispirate a un meccanicismo di matrice malpighiana, che delinea l’organismo come un complesso sistema di macchine minute il cui corretto funzionamento garantisce la vita; a ogni lesione, pure minima, delle macchine corrisponde un deterioramento e una diminuzione dell’efficienza di funzione. A ogni guasto organico corrisponde, dunque, un’alterazione funzionale; all’alterazione funzionale, sintomi e manifestazioni che il clinico vede, nelle corsie, generarsi e svilupparsi in modo che si scoprirà correlato alla sede e alla natura del guasto primario. Si ritrova qui l’attenzione di Lancisi per la lesione anatomica intesa come fondamento della ‘specie morbosa’ e l’eco, seppur lontano, delle teorie che A. von Haller (cui Morgagni più volte nel corso della vita si era relazionato difficilmente, barcamenandosi in una diplomazia di maniera ma non accogliendo mai la teoria emergente dell’irritabilità delle fibre, che diceva sprezzantemente essere adatta allo studio degli animali, non degli uomini) andava formulando in tema di fisiologia, pubblicandole nei suoi Elementa physiologiae corporis humani, venuti alla luce tra il 1757 e il 1766, quasi contemporaneamente all’uscita del De sedibus per i tipi della Tipografia Remondiniana.

Localizzare le malattie e individuare, attraverso un metodo statistico utile a valutare quelle “che più di frequente infieriscono”, la relazione costante e ripetuta eventualmente esistente tra la loro sede di origine e l’alterazione funzionale è lo scopo cui tendere – anche se Morgagni è ben conscio che non tutto il patologico ha una sua possibilità di essere correlato a una sede anatomica specifica, come dimostra il suo reiterato rifiuto di sottoporre a dissezione i corpi di ammalati di patologie infettive, a dispetto di una dichiarata fede per l’ ancora non tramontata eziopatogenesi miasmatica di ippocratica memoria.

Ma il vero merito del libro, oltre le scoperte che la medicina ha celebrato assegnando a sindromi e difetti il nome di Morgagni, è nel metodo e nel principio con cui il materiale di ricerca e l’enorme quantità di casi e di osservazioni sono ordinati; e il metodo, che è malpighiano e dunque galileiano, si manifesta compiutamente nell’idea geniale di creare quattro indici, che consentano di incrociare i dati dell’esperienza autoptica con le testimonianze della clinica, di modo che veramente l’anatomia patologica possa essere disciplina utile ‘a curar vivi’.

Bibliografia

1) Maylender M., Storia delle Accademie d’Italia, Bologna 1926-1930, v. 2, p. 147-148

2) Beuss H., Theophile Bonet und die Grundsätzliche Bedeutung seines Sepulchretums in der Geschichte der Pathologischen Anatomie. Gesnerus 1951; 8:32–51.

3) JAMA Editorial , Theophile Bonet (1620–1689) Physician of Geneva. JAMA 1969; 210: 899. Belloni L., L’opera di Giambattista Morgagni dalla strutturazione meccanica dell’organismo vivente all’anatomia patologica. Il Morgagni 1971; IV, 1-3: 71-80.

4) Tedeschi C.G., The pathology of Bonet and Morgagni. Hum Path 1974;5,5:601-603

5) G. Ongaro, I rapporti tra Giambattista Morgagni e Lazzaro Spallanzani. Contributi 1981;V: 125-134.

6) G. Ongaro, ‘Quasi tradens se totum’. I manoscritti morgagnani della Biblioteca palatina di Parma. Annali dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze 1983;VIII: 101-105.

7) Grmek M.D., Morgagni e la scuola anatomo-clinica di Parigi. In: Cappelletti V., Di Trocchio F. (eds.), De sedibus, et causis: Morgagni nel centenario. Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani , 1986.

8) Cappelletti V., Morgagni e Virchow. In: Cappelletti V., Di Trocchio F. (eds.), De sedibus, et causis: Morgagni nel centenario. Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani , 1986.

9) Ongaro G., L’insegnamento dell’anantomia nello Studio di Padova all’inizio del Settecento nella testimonianza di Giambattista Morgagni. Atti e memorie dell’Accademia Patavina di scienze, lettere e arti 1992-93; II: 5-37.

10) Maulitz R.C., The pathological tradition. In: Bynum W.F., Porter R. (eds.), Companion Encyclopedia of the History of Medicine. Routledge Companion Encyclopedia 1993, pp. 169- 191.

11) Harley D., Political post-mortems and Morbid Anatomy in Seventeenth-century England. Soc. Hist. Med. 1994; 7,1:1-28.

12) Weber G., Areteo di Cappadocia. Interpretazioni e aspetti della formazione anatomo-patologica del Morgagni. Firenze, Olschki, 1996.

13) Gazzaniga V., De Angelis E., Giovan Battista Morgagni. Perizie medico-legali. Roma, Carocci, 2000.

14) O. Keel, La nascita della clinica moderna in Europa 1750-1815. Politiche, istituzioni e dottrine. Firenze, Polistampa 2007 (trad. it.)Cunningham A., The Anatomist Anatomis’d. An Experimental Discipline in Enlightement Europe. MPG Group, UK, 2010 (per Morgagni pp. 125- 131, Per T. Bonet p. 191 sgg.)

15) Ongaro G., sub voce Morgagni, Giovanni Battista. In: Dizionario Biografico degli Italiani vol. 76, 2012.

16) Porro A., Gazzaniga V., Creatività ed attività per tutta la vita: l’esempio di Giovanni Battista Morgagni. It. Journ Geriatric Gerontology 2013; 1(1): 5-11.

17) Paoli F., Jean-Baptiste Morgagni ou La naissance de la médecine moderne. Paris, Glyphe, 2013. Zampieri F., Zanatta A., Thiene G., An etymological “autopsy” of Morgagni’s title: de sedibus et causis morborum per anatomen indagatis (1761). Hum. Path. 2014; 45: 12-16.

18) Zanatta A., Zampieri F., Zampieri G., Giuliodori A., Thiene G., Caenazzo L., Identification of Giovanni Battista Morgagni remains following historical, anthropological, and molecular studies. Virchows Arch. 2014;1611-9.

Cita questo articolo

Gazzaniga V., Questa mia senile fatica. Giovan Battista Morgagni e il De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis, Medicina e Chirurgia, 66: 2998-3003, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-6

La Scuola (Ferrata, Introzzi), Larizzan.65, 2015, pp.2994-2997

Articolo

 

Schermata 2015-07-09 alle 11.25.25Il Capostipite della nostra Scuola Medica è stato senza dubbio Adolfo Ferrata, per tanti anni Clinico Medico a Pavia – o se si vuole è stato il nostro Emoistioblasto, per usare una terminologia a lui cara. Ma è molto difficile rintracciare tutte le cellule, alcune anche illustri, che sono derivate da quell’Emoistioblasto. Basti pensare che i primi e più importanti Allievi di Adolfo Ferrata furono Giovanni Di Guglielmo ( e dico poco!) presto sbarcato nella Capitale, il cremonese (come me) Aminta Fieschi che ha colonizzato Genova e l’intera Liguria, Angelo Baserga che ha portato la Scuola Pavese a Ferrara, Paolo Introzzi che ha preso l’eredità di Ferrata proprio a Pavia, Edoardo Storti che ha retto a lungo la Clinica di Modena e che poi ha sostituito Introzzi a Pavia. Tutti meritavano i galloni e l’hanno dimostrato con la loro attività: Adolfo Ferrata non era uomo che temeva i confronti e promuoveva i mediocri.

Così, questi primi Allievi hanno interiorizzato l’insegnamento del Maestro ed hanno a loro volta lanciato Seguaci degni del Capo. Se si ricordassero tutti si correrebbe il rischio concreto di fornire una serie di nomi da elenco telefonico. Quindi occorre scegliere una linea, eritroide, mieloide, linfoide o altro e seguire quella. Si potrà capire meglio il significato di una Scuola e l’importanza che essa riveste nella Ricerca e nella Clinica.

Nella scelta non posso non riferirmi alla mia esperienza personale e quindi non posso dimenticare una fredda giornata del gennaio 1955 – il 7 gennaio per la precisione – quando in una banchina della stazione ferroviaria di Pavia io, laureato da qualche mese, aspettavo con una certa ansia Paolo Larizza, Allievo di Paolo Introzzi e mio futuro Capo con lo scopo non banale di partire con lui per Cagliari per affrontare, con ruoli ovviamente diversi, una nuova avventura. La scelta è dunque fatta: la linea da seguire (eritroide all’inizio, ma successivamente anche mieloide, come si vedrà) è quella Ferrata- Introzzi –Larizza. Di Adolfo Ferrata ho già fatto cenno: non l’ho conosciuto personalmente perché è morto nel 1946 quando io ero ancora al liceo, ma negli anni 50 la sua presenza era ancora sensibilissima nella Clinica Medica dell’Università di Pavia che frequentavo in qualità di “studente interno”. Era il Grande Capo che aveva individuato il ruolo dell’Emoistioblasto ed i suoi rapporti con l’Emocitoblasto e con tutte le filiere ematopoietiche. La Clinica di Pavia, molto grande e polimorfa, si caratterizzava ancora per la sua impronta ematologica e le ricerche di Ferrata costituivano per tutta l’Ematologia mondiale un esempio di profondità e di successo. Per la verità, l’Ematologia non era l’unico campo che Adolfo Ferrata aveva arato: basti pensare agli studi sui villi intestinali ed a quelli sulla struttura e sulla embriologia del rene; ma quelli ematologici avevano un fascino e forse anche una validità scientifica molto maggiore ed erano codificati in importanti Trattati ( il famoso testo di Ematologia di Ferrata e Storti) che andavano per le mani di tutti gli studiosi dell’argomento ed anche degli studenti più intraprendenti. Così tutti si aspettavano che Paolo Introzzi, come successore di Ferrata prendesse in mano il testimone e portasse avanti prevalentemente il solco ematologico iniziato dal suo Maestro. Ma Introzzi aveva una sua personalità e, senza abbandonare l’Ematologia, si era dedicato anche ad altri campi di studio.

Inoltre si era circondato di numerosi allevi con interessi diversi e li aveva spinti ad allargare il loro campo di ricerca. Così si devono ricordare le sue personali ricerche sulle anemie megaloblastiche e sul ruolo della milza nell’emopoiesi, ma anche quelle sul potere amilolitico della saliva e del siero di sangue, che in qualche maniera si collegavano alla mia tesi di laurea che verteva sull’uropepsinogeno. Fu un trattatista attento chiaro ed aggiornato come dimostrano i capitoli sulle malattie dell’intestino nel trattato di Ferrata sulle malattie dell’apparato digerente, redatto assieme a Paolo Larizza e le rassegne sul metabolismo del ferro assieme a Sandro Ventura, di cui dovremo ancora parlare in seguito. Nelle corsie dei piani bassi si faceva vedere di rado, ma la sua fama di ottimo medico e di accurato terapeuta era ben consolidata fra tutti i Collaboratori. Uno di questi, Caporeparto di uno dei numerosi Reparti della Clinica Medica, era Paolo Larizza, un calabrese ottimamente trapiantato al Nord, coadiuvato da Sandro Ventura e da Antonia Notario e da altri bravi Collaboratori .

Il caso volle che nel 1952 fossi assegnato, come studente del 4° anno, proprio a quel Reparto, con mia grande soddisfazione perché aveva la fama di essere uno dei migliori. Ebbi così modo di apprezzare, ancor prima della laurea, le doti cliniche e didattiche di Paolo Larizza che frequentava i piani alti, ovviamente, ma che dedicava gran parte del suo tempo, con assoluto scrupolo, al Reparto che dirigeva. Se ho imparato qualcosa di Medicina lo devo anche a quel periodo di lavoro intenso e gratificante. La svolta per Paolo Larizza (e, in maniera inaspettata, anche per me) avvenne nell’estate del 1954 quando fu chiamato a dirigere la Patologia Medica dell’Università di Cagliari. In quei tempi vigeva la norma, tutto sommato abbastanza saggia, che il Direttore di un Istituto Universitario poteva portare con sé qualche Allievo di cui si fidava. Oggi questo non sarebbe più possibile e, secondo il nostro parere di anziani che hanno passato una vita in Università, non è detto che sia un bene. Anzi. In ogni caso, ai primi di gennaio del 1955 il gruppo iniziale della Scuola Larizza partì per Cagliari. Era composto da Alessandro Ventura, Aiuto “anziano”, benché giovanissimo, da Antonia Notario e Demetrio Meduri Assistenti, e da me neolaureato. A Cagliari trovammo altri leali Collaboratori in Efisio Sulis, Antonio Medda, Efisio Fancello, Antonio Pirastu.

Schermata 2015-07-09 alle 11.25.37

Il gruppo era pronto ad affrontare sfide cliniche e di ricerca. Le sfide cliniche erano rappresentate dalla necessità di ricostruire tecnicamente una attività che si era un po’ deteriorata per la mancanza di continuità direzionale, quelle di ricerca erano vastissime, come sempre, ma in particolare rappresentate dalla singolare patologia ematologica presente in Sardegna: la talassemia e il favismo. I primi due anni hanno consentito di ripristinare un’attività clinica di prim’ordine. Non c’erano “piani alti” nella Patologia Medica di Cagliari: il Capo dormiva in Clinica ed era sempre presente, gli arrivi da Pavia vivevano per lavorare non avendo altro da fare a Cagliari. In parallelo con l’attività clinica si è subito iniziata una attività di ricerca in un laboratorio interno progressivamente meglio attrezzato. Ma non saremmo mai usciti da mediocri risultati senza l’arrivo di due rinforzi (neolaureati) da Pavia : Paolo Brunetti e Gastone Mattioli.

Questo gruppo ha affrontato il problema del favismo ed in un tempo sorprendentemente breve è arrivato alla soluzione del mistero: i globuli rossi del soggetto fabico erano geneticamente carenti di Glucosio-6 -fosfato deidrogenasi. Assieme alle indagini sul metabolismo del ferro condotte da Sandro Ventura, è stato il primo successo della “linea eritroide” della Scuola che ha compattato il gruppo ed ha spinto verso ulteriori traguardi. Larizza si è però accorto che era necessario allargare gli orizzonti ed ha iniziato la politica di inviare i propri uomini all’estero per sprovincializzare l’équipe ed acquisire contatti. Così sono partito per la Germania a frequentare la Clinica Medica di Marburg/Lahn che stava facendo ricerche analoghe sulla Glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Ma dopo di me sono partiti per gli Stati Uniti Paolo Brunetti e Gastone Mattioli. Quest’ultimo ha ottenuto una magnifica posizione presso un Istituto di Microbiologia americano ed ha iniziato il ciclo delle nostre “metastasi benigne” che si sono ripetute nel futuro.

A rimpiazzare quelli che erano partiti, si unirono al gruppo alcuni fra i primi laureati cagliaritani come Adolfo Puxeddu ed Elio Del Piano che poi hanno seguito Larizza a Perugia. Infatti nel 1959 terminò il ciclo cagliaritano e Larizza si trasferì a Perugia con Sandro Ventura, Paolo Brunetti, con i neolaureati Adolfo Puxeddu ed Elio Del Piano, con Alberto Colonna, proveniente dalla Puglia e con me, reduce dal soggiorno tedesco. Meduri ritornò nella sua Calabria e Antonia Notario rientrò a Pavia. L’esperienza cagliaritana era stata fondamentale perché aveva cementato il gruppo e tracciato chiaramente gli obiettivi: ricerca approfondita e grande attenzione alla clinica.

A Perugia, dopo un breve periodo in Patologia Medica, Larizza prese possesso della Clinica Medica diretta fino a quel momento da Giorgio Dominici che aveva lasciato un’ottima Scuola di gastroenterologi e di cardiologi. L’atteggiamento di Larizza nei confronti dei suoi Allievi e degli Allievi di Dominici che aveva ereditato, fu molto intelligente e determinato: grande controllo “top-down”, ma anche grande libertà ed incoraggiamento “bottom-up” e fu un atteggiamento vincente: non si crearono malumori o rivalità malsane con la Scuola di Dominici che vide riconosciuti i suoi meriti. Così Giorgio Menghini, gastroenterologo di punta, inventore del famoso ago per biopsie epatiche, ottenne un primariato nelle Marche con l’appoggio di Larizza, mentre per Diogene Furbetta fu creata la cattedra di Medicina del Lavoro che divenne in breve tempo un ottimo centro clinico e di ricerca. Uno dei giovani Allievi di Larizza, Giuseppe Abbritti, fu affiancato a Furbetta e ne divenne successore. Oggi la Medicina del Lavoro è diretta da Giacomo Muzzi, anch’egli derivato della Scuola. Francesco Orlandi, Allievo di Menghini, rimase per qualche tempo in Clinica con il nostro gruppo avviando un filone gastroenterologico che continuava le tradizioni di Dominici. Quando Orlandi vinse la Cattedra di Gastroenterologia di Ancona sempre con il pieno appoggio di Larizza, questa specialità fu presa in mano da Antonio Morelli, Ricercatore del gruppo Larizza e destinato a diventare Professore Ordinario di Gastroenterologia a Perugia, con grande successo. Rimasero in Clinica anche i Cardiologi Pasquale Solinas e Franco Santucci che diedero vita ad un gruppo di Ospedalieri molto stimato e destinato ad autonomizzarsi. Purtroppo, nel corso degli anni, ci furono anche episodi assai tristi per tutti noi: si verificarono due gravi lutti che ci colpirono profondamente: la morte di Pietro Rambotti, avviato, come Professore Associato, ad una brillante carriera nel campo dell’Immunologia e di Francesco Narducci anch’egli Professore Associato, valido Collaboratore di Antonio Morelli in Gastroenterologia. Pietro Rambotti mi era particolarmente vicino e anche negli anni successivi sentii molto la sua mancanza.

Il clima da noi creato era comunque molto stimolante, divenne noto in Italia ed attirò moltissimi giovani Medici che trovarono a Perugia un ambiente nel quale si univano l’interesse per l’ammalato ed un grande desiderio di ricerca. L’abbondanza di cervelli che gravitavano attorno al nostro gruppo consentì un periodo di attività difficilmente riproducibile e di grande rilievo. Con l’aumento dei Ricercatori anche i campi di interesse si ampliavano e nascevamo gruppi di Lavoro in numerosi settori della Medicina Interna, ciascuno dei quali era destinato ad una propria autonomia. Il primo ad rendersi indipendente non poteva che essere Sandro Ventura, che aveva spostato i propri interessi alla patologia dell’anziano. Nacque così la Geriatria, con Umberto Senin all’inizio valido ricercatore, ma destinato a succedere a Sandro Ventura e con Elmo Mannarino, allora alle prime armi e oggi Presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Perugia. All’ordinariato è giunta anche Patrizia Mecocci che, al momento della nascita della Geriatria, era una giovane Assistente.

Anche Paolo Brunetti abbandonò l’Ematologia per dedicarsi all’Endocrinologia ed in particolare allo studio e alla terapia del Diabete, nel momento in cui fu chiamato a dirigere la Patologia Medica. Il Gruppo che si costituì attorno a Brunetti, ancor oggi vivissimo ed in piena attività, vanta nomi di grande prestigio quali Adolfo Puxeddu, futuro efficientissimo Preside di Facoltà, Fausto Santeusanio, Geremia Bolli senza dimenticare la “metastasi benigna” di Roberto Pacifici oggi alla Emory University di Atlanta. In quel periodo era anche cresciuto il ruolo di Giuseppe Nenci che si era dedicato allo studio della coagulazione del sangue affiancato da Giancarlo Agnelli, oggi ricercatore di fama mondiale, che ha sostituito Nenci nella Direzione del Reparto di Medicina interna, e da Paolo Gresele, anch’egli Professore Ordinario di Medicina Interna. La Medicina Nucleare costituì un altro fiore all’occhiello della Clinica Medica e Renato Palumbo ne fu l’animatore ed in seguito l’apprezzato dirigente. Nella seconda metà degli anni 70, l’Università di Perugia decise di aprire dei corsi di laurea a Terni, dove esisteva un moderno Ospedale senza “infiltrazioni” universitarie. Fu affidato a me il compito di dirigere la Clinica Medica e di insegnare la Medicina Interna agli studenti. Ammaestrati dall’esperienza di Cagliari e dal comportamento di Paolo Larizza, riuscimmo a farci accettare dai Colleghi Ospedalieri e, con un gruppo di neolaureati o quasi (Angelo Allegra, Marina Liberati, Franco Buzzi, Francesco Di Costanzo, Bruno Biscottini, Mauro Brugia), riuscimmo a impostare una buona attività Clinica, ad avviare attrezzati laboratori di ricerca ed a far partire un’attività di Oncologia, che rimane una solida acquisizione per l’Ospedale di Terni, ora diretta da Marina Liberati, Associata in Oncologia e da Franco Buzzi, mentre Francesco Di Costanzo dirige oggi l’Oncologia all’Ospedale Careggi di Firenze e costituisce un’altra delle nostre “metastasi benigne”. Bruno Biscottini Lavora come Primario all’Ospedale di Todi. Quando, nel 1982, lasciai Terni per tornare a Perugia come successore di Paolo Larizza, fui lieto di consegnare ad Adolfo Puxeddu, valente Clinico ed ottimo Reumatologo nonché, come si è detto, futuro Preside di Facoltà, un Reparto Clinico e Laboratori di ricerca di buona qualità.

Non posso parlare della mia attività entusiasmante e feconda, durata 18 anni, come successore di Paolo Larizza alla Direzione della Clinica Medica dell’Università di Perugia che ho a mia volta consegnata nelle mani di Albano Del Favero. Posso però indicare due fenomeni che abbiamo provocato e sostenuto con tutte le nostre forze: il potenziamento delle attività specialistiche e lo sforzo di ricerca che abbiamo compiuto negli anni 80 e 90. In quel periodo furono autonomizzate la Gastroenterologia, affidata ad Antonio Morelli, l’Oncologia Ospedaliera guidata da Maurizio Tonato ed ora da Lucio Crinò, chiamato come Professore Universitario di prima fascia per chiara fama, noti per le ricerche sul carcinoma polmonare, la Reumatologia diretta ora da Roberto Gerli, Professore Ordinario della nostra Facoltà. Ma soprattutto va ricordata l’Ematologia, affidata ad uno dei nostri migliori Docenti, Massimo Martelli.

 

Memore degli emoistioblasti ferratiani, l’Ematologia si è sviluppata fortemente con ricerche note a livello internazionale sul trapianto di midollo osseo non compatibile, sulle caratteristiche delle cellule di Hodgkin, sulla genetica delle cellule leucemiche. L’Ematologia perugina è oggi in pena fioritura, guidata da Brunangelo Falini clinico ed istopatologo che la dirige, da Andrea Velardi, clinico ed immunologo e da Cristina Mecucci clinica e genetista, tutti di fama mondiale. Nei laboratori della Clinica Medica, in collaborazione con quelli dell’Ematologia è stata approfondita la patogenesi e la terapia con acido retinoico della leucemia promielocitica, possiamo ben dire in prima mondiale. E’ stato il successo della “linea mieloide” che ha sostituito la cagliaritana linea eritroide.

Questi risultati furono possibili perché a guidare i Laboratori di ricerca furono personaggi che sono altre nostre “metastasi benigne” nel mondo: mi riferisco a Pier Giuseppe Pelicci, allora Ricercatore in Clinica Medica ed ora Direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano come successore di Umberto Veronesi, a Pier Paolo Pandolfi, che ha collaborato con Pelicci nei nostri laboratori ed ora è Direttore del Cancer Center dell’Università di Harvard, a Francesco Grignani che, dopo vaste esperienze estere, è ora ordinario di Patologia Generale a Perugia, a Claudio Anasetti che ha contribuito alla creazione dei nostri laboratori ternani e che ora dirige il Cancer Center and Research Institute di Tampa. Non basterebbe tutto lo spazio a disposizione per riassumere l’attività di ricerca anche di una sola di queste “metastasi benigne”. Ma noi ne siamo orgogliosi.

Cita questo articolo

Grignani F., La Scuola (Ferrata, Introzzi), Larizza, Medicina e Chirurgia, 66: 2994-2997, 2015.

Un’esperienza di laboratorio professionale condotta nel corso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapian.66, 2015, pp.2989-2993, DOI: 10.4487/medchir2015-66-5

Abstract

The Authors describe the experience of Professional Laboratory conducted to enable students to conceptualize and become familiar with the main techniques of Post-Processing used in clinical practice in Computed Tomography.

The Professional Laboratory is, in fact, an essential training tool, able to maintain over time a detailed and precise coincidence between the functions that characterize the professional profile of the professional of reference (radiographer) and the educational targets of the training program of the Degree (TRMIR) through a continuous and constant modulation of the expressed contents.

Articolo

Premessa

L’insieme delle competenze che gli studenti dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie devono essere in grado di acquisire al termine di un periodo di apprendimento prende il nome di obiettivi educativi.

Il conseguimento di tali obiettivi formativi riguarda in particolare l’attività formativa professionalizzante (tirocinio pratico e laboratorio professionale) che rappresenta l’attività didattica che, nel sistema universitario italiano, caratterizza i suddetti Corsi di studio.

E’ necessario sottolineare che l’attività professionalizzante deve essere programmata in modo tale da garantire una puntuale e precisa coincidenza tra gli obiettivi educativi del programma formativo (nella fattispecie il Corso di Laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia – TRMIR) e le funzioni che caratterizzano il profilo professionale del professionista sanitario di riferimento (Tecnico Sanitario di Radiologia Medica – TSRM).

La Diagnostica per Immagini è stata caratterizzata, nell’ultimo ventennio, da una notevole trasformazione e rapida evoluzione tecnologica che ha interessato le cosiddette “tecnologie pesanti” ed in particolare la Tomografia Computerizzata (TC) le cui tecniche di elaborazione e di post processing bidimensionale (2D) e tridimensionale (3D) rappresentano oggi la routine nella pratica clinica.

L’evoluzione tecnologica ha determinato la rapida diffusione di scanner TC multidetettore (TCMD) attualmente caratterizzati da elevate capacità di acquisizione dei dati in voxel isotropici (320 strati simultaneamente lungo l’asse Z) ed in grado di produrre immagini di altissima risoluzione (inimmaginabili fino a qualche anno fa). Tali immagini possono essere visualizzate in qualunque piano dello spazio (sagittale, coronale e curvilineo, oltre a quello assiale di acquisizione) con identica risoluzione spaziale, consentendo l’impiego routinario delle ricostruzioni 2D ma soprattutto di quelle con tecnica 3D.

Schermata 2015-07-09 alle 11.23.21

Le evoluzioni tecnologiche descritte hanno generato un contestuale sviluppo di software proprietari e di tipo Open Source dedicati al post-processing, utilizzati correntemente in performanti consolle di elaborazione.

Quanto sopra ha determinato una radicale trasformazione del ruolo del TSRM e del Medico Specialista Radiologo, mettendo entrambi (nell’ambito delle rispettive competenze) nelle condizioni di dover sempre più acquisire conoscenze specifiche in grado di garantire ed attuare le strategie diagnostiche più idonee, ottimizzando i processi di acquisizione (attraverso una scelta adeguata dei parametri di scansione) in funzione del post-processing a cui i dataset prodotti dovranno essere successivamente sottoposti.

In tale situazione il Corso di Laurea in TRMIR ha ritenuto necessario ed indispensabile adeguare ed integrare gli obiettivi formativi degli studenti impegnati nello svolgimento delle esperienze di tirocinio pratico nel settore TC, pianificando la realizzazione di un “ambiente simulato” in grado di consentire agli stessi di concettualizzare e familiarizzare con le principali tecniche di Post-Processing utilizzate nella pratica clinica in TC.

Materiali e metodi

Il Laboratorio Professionale in questione è stato denominato: Post-processing in Tomografia Computerizzata ed è stato indirizzato agli studenti del 2^ anno di corso, chiamati ad acquisire, durante lo svolgimento delle attività di tirocinio pratico, specifici obiettivi formativi nel settore TC.

L’attività formativa è stata pianificata utilizzando le risorse di seguito descritte.

Dotazione strumentale:

  • n.2 PC iMac ed un visore a grande schermo (in dotazione al Corso di Laurea) in grado di gestire elaborazioni post-processing, tramite l’impiego di un software Open Source, denominato “Osirix” (potente software, operativo su piattaforma Macintosh, specificatamente progettato per le elaborazioni di immagini in formato DICOM e dedicato alla visualizzazione, gestione e post-processing di dati prodotti da apparecchiature multimodali, quali TC, RM, PET, PET-TC, SPECT-TC, CR, DR, ecc.);
  • consolle di acquisizione e work-station di elaborazione impiegate, per la pratica clinica degli esami TC, nell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona, le quali utilizzano sistemi informatici e software di elaborazione di tipo proprietario (General Electric e Philips).

Professionalità coinvolte:

  • competenze specifiche del professionista TSRM cui è stata affidata la responsabilità della conduzione dell’attività formativa;
  • disponibilità offerta da operatori TSRM che hanno supportato gli studenti nel loro studio ed attività di addestramento individuali.

Fasi di realizzazione:

  • inquadramento metodologico della specifica attività di laboratorio da parte del Direttore delle Attività Didattiche Professionalizzanti, in forma collegiale;
  • dimostrazioni pratiche da parte della Guida di Laboratorio, in forma collegiale;
  • esercitazioni guidate, coordinate dalla Guida di Laboratorio, ad ognuno dei vari gruppi in cui sono stati suddivisi gli studenti impegnati nell’attività formativa (n.4/5 studenti per gruppo);
  • studio individuale, autoapprendimento e simulazione da parte di ogni singolo studente, anche sotto la supervisione di professionisti TSRM con specifiche competenze nelle elaborazioni di post-processing TC.

Obiettivi formativi teorico-pratici specifici:

conoscenza dei fattori e dei parametri che consentono l’ottimizzazione delle fasi di acquisizione, ricostruzione e visualizzazione delle immagini in TC;

  • conoscenza dei descrittori di qualità delle immagini TC;
  • acquisizione di abilità pratiche relative alle principali tecniche di elaborazione delle immagini in TC:
    • Ricostruzione multiplanare (MPR e CPR) (Fig. 1a-1b),
    • Proiezione di massima e minima intensità (MIP e Min-IP) (Fig. 1c-1d),
    • Rendering volumetrico (VR) (Fig. 1e),
    • Rappresentazione di superficie (SSD) (Fig. 1f),
    • Endoscopia virtuale (VE) (Fig. 1g).

Al termine dell’esperienza didattica proposta, agli studenti è stata somministrata, in forma volontaristica ed anonima, una scheda di gradimento tendente a valutare l’efficacia dell’attività svolta.

Complessivamente, nel corso degli anni accademici presi in considerazione, le informazioni assunte dall’elaborazione dei dati acquisiti hanno interessato il seguente campione (Tab. 1):

A.A. N° studenti coinvolti
nel Laboratorio Prof.
N° studenti che hanno
espresso una valutazione
Percentuale delle
rispostepervenute
2009-10 25 11 44,0%
2010-11 21 13 61,9%
2011-12 25 20 80,0%
2012-13 16 16 100%
TOTALE 87 60 69,0%

Tab 1 – Campione interessato nella valutazione dell’attività di Laboratorio Professionale

 

La scheda di gradimento è stata predisposta (23 domande con la possibilità di esprimere una valutazione numerica da 1=no/poco a 5=sì/molto) al fine di acquisire elementi tendenti a valutare i seguenti aspetti dell’attività di laboratorio:

  • contenuti formativi (Tab. 2)
  • metodologia di apprendimento (Tab. 3)
  • setting d’aula (Tab. 4)
  • efficacia dell’attività formativa (Tab. 5)
  • giudizio complessivo sull’esperienza svolta (Tab. 6 e Fig. 2)
La Guida di Laboratorio:
ha esplicitato gli obiettivi formativi da conseguire con l’attività programmata?
ha ben rappresentato, preliminarmente, i parametri di acquisizione, ricostruzione e visualizzazione delle immagini in TC?
ha esplicitato i fattori che caratterizzano la qualità delle immagini TC?
ha illustrato dettagliatamente le varie fasi che caratterizzano le principali tecniche di elaborazione delle immagini TC?

Tab. 2 – Contenuti formativi espressi dalla Guida di Laboratorio

 

La Guida di Laboratorio:
ha fornito aiuto all’apprendimento esplicitando le procedure che caratterizzano il post-processing dell’imaging TC?
ha fornito aiuto per far acquisire consapevolezze (abilità cognitive) sull’attività svolta?
ha attuato meccanismi di rinforzo didattico per risolvere dubbi o incertezze?
ha attivato processi di riflessione e rielaborazione per consolidare le conoscenze acquisite?
ha fornito suggerimenti per favorire l’autovalutazione?
ha effettuato la valutazione finale in forma coerente con i contenuti dell’attività didattica?

Tab. 3 – Metodologia di apprendimento attuata dalla Guida di Laboratorio

 

L’attività di Laboratorio Professionale:
è risultata valida ed efficace, ai fini dell’apprendimento, la distribuzione degli studenti in piccoli gruppi?
ha consentito il consolidamento delle abilità attraverso l’orientamento ed il sostegno di “studenti esperti”, precedentemente formati nella corretta esecuzione delle tecniche di post-processing TC?
è stata agevolata dalla supervisione di “tutor d’aula”, la cui funzione è quella di rendere coerente l’apprendimento in ambiente simulato con ciò che si è chiamati ad effettuare nell’ambiente operativo di tirocinio pratico?
la strumentazione hardware e software (di tipo open source) messa a disposizione dalle strutture didattiche del corso di laurea è risultata rispondente alle procedure da effettuare?

Tab. 4 – Setting d’aula del Laboratorio Professionale

 

L’attività di Laboratorio Professionale:
ha consentito di trasmettere la “conoscenza diretta e specifica”?
ha favorito l’apprendimento “non contestuale” delle competenze professionali e la capacità di agire in un contesto organizzativo semplice?
ha aiutato a collegare ciò che lo studente vede con ciò che conosce, prova, sperimenta ed effettua nella pratica lavorativa
ha consentito di stimolare l’anticipazione della situazione complessa propria dell’ambiente lavorativo

Tab. 5 – Efficacia formativa del Laboratorio Professionale

 

Giudizio complessivo sull’esperienza svolta, relativamente a:
  • contenuti formativi ed abilità cognitive acquisite
  • accoglienza e metodologia di apprendimento
  • “supervisione” garantita
  • efficacia dell’attività formativa

Tab. 6 – Giudizio complessivo sull’esperienza svolta

 

Schermata 2015-07-09 alle 11.25.06

Conclusioni

Il Decreto Interministeriale del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con Il Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 19 febbraio 2009 ha posto importanti ed innovative basi all’attività formativa professionalizzate, riservando un ruolo importante all’attività di Laboratorio Professionale che si configura come un’attività didattica professionalizzante svolta in ambiente simulato e del tutto analoga per obiettivi e contenuti al Tirocinio Pratico rispetto al quale può essere anticipatoria o di approfondimento tecnico-metodologico.

Tale attività formativa, nell’ordinamento didattico del Corso di Laurea in TRMIR dell’Università Politecnica delle Marche è inquadrata nell’ambito del SSD MED/50 ed è quindi assegnata al personale specifico della professione di TSRM.

Il Laboratorio Professionale rappresenta uno strumento formativo fondamentale, in grado di mantenere nel tempo una puntuale e precisa coincidenza tra le funzioni che caratterizzano il profilo professionale del professionista di riferimento (TSRM) e gli obiettivi educativi del programma formativo del Corso di Laurea (TRMIR). Ciò si realizza sia attraverso una continua e costante modulazione dei contenuti dell’attività formativa, dai connotati essenzialmente pratici ma in grado di fornire importanti abilità cognitive agli studenti, sia usufruendo di specifiche professionalità presenti nelle Aziende Sanitarie (sedi di tirocinio del corso di studio), sia utilizzando sistemi applicativi di tipo Open Source in grado di far sperimentare agli studenti tecniche e metodologie di trattamento delle immagini radiologiche del tutto sovrapponibili a quelli utilizzati con sistemi proprietari nella pratica clinica.

Relativamente all’attività di Laboratorio Professionale di “Post-processing in Tomografia Computerizzata”, realizzata nel Corso di Laurea in TRMIR, è possibile affermare, anche sulla base dei risultati ottenuti dalla rilevazione sopra descritta, che tale attività formativa:

  • consente l’acquisizione di abilità cognitive sulle tecniche di Post-Processing largamente impiegate nella pratica clinica;
  • si configura come una continua e costante occasione di approfondimento di tematiche legate alla ICT (Information and Communication Technology) che sempre più caratterizza la moderna Diagnostica per Immagini;
  • rappresenta un vero e proprio “simulatore di volo” che incrementa le conoscenze e la confidenza operativa con le strumentazioni digitali, rendendo anche più efficaci le attività di tirocinio pratico svolte;
  • costituisce un validissimo strumento attraverso il quale consolidare le proprie conoscenze e future competenze professionali.

Bibliografia

1) Auwarakul C., Downing S.M. Source of validity evidence for an internal medicine student evaluation system: an evaluative study of assessment methods. Medical Education, 35, 276-283, 2005.

2) Binetti P. Valenti D. Tradizione ed innovazione nella formazione universitaria delle professioni sanitarie: il Core Curriculum, dal Core Contents al Core Competenze. Roma, Casa Editrice SEU, 2003.

3) Damen B., Coccia C., Ciriaci D., La Riccia L., Mazzoni G. Introduzione al linguaggio TC. TSRM for Everyone, IV, 43-55, 2012.

4) Danieli G., Landi E. Valutazione obiettiva strutturata della competenza clinica. Lettere dalla Facoltà – Bollettino della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università Politecnica delle Marche, anno VII, n. 1, pp. 5-7, 2004.

5) Danieli M.G., Scalise A., Siquini W. Valutazione obiettiva strutturata della competenza clinica (OSCE). Ancona, Errebi Grafiche Ripesi, 2005.

6) Guibert, J.J. Guida pedagogica per il personale sanitario. 4° edizione a cura di G. Palasciano e A. Lotti. Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità, pubblicazione offset n.35, 2002.

7) Harden R. Stevenson M., Downie W.W., Wilson G.M. Assessment of Clinical Competence using Objective Structured Examination. B.M.J., 1, 447-451, 1975.

8) Hodges B. Christmas stocking: OSCE! Variations on theme by Harden. Medical Education, 37, 1134, 2003.

9) La Riccia L., Damen B., Sbacco R., Aramini D., Mazzoni G. Tecniche di ricostruzione delle immagini TC. TSRM for Everyone, VIII (dossier), 35.1-30, 2013.

10) Matarese M. L’utilizzo dell’Objective Structured Clinical Examination nella prova finale abilitante del Corso di Laurea in Infermieristica del Campus Bio Medico di Roma. Med. Chir., 28, 1080-1082, 2005.

11) Newble D.I. Technique for measuring clinical competence: Objective Structured Clinical Examinations. Medical Education, 38, 199-203, 2004.

12) Papparella N., Perucca A. (a cura di). Le Attività di Laboratorio nella Formazione Universitaria. Roma, Armando Editore, Vol. II, 2006.

Valeri G., Mazza F.A., Maggi S., Aramini D., La Riccia L., Mazzoni G., Giovagnoni A. Open source in a practical approach for post processing of radiologic images. Radiol Med, Digital Object Identifier (DOI) 10.1007/s11547- 014-0437-5, pubblicato on line: 15 luglio 2014 (I.F.: 1,44).

Cita questo articolo

Mazzoni G., La Riccia L., Aramini  D., Damen B., Giovagnoni, A., Un’esperienza di laboratorio professionale condotta nel corso di laurea in Tecniche di Radiologia Medica, per Immagini e Radioterapia, Medicina e Chirurgia, 66: 2989-2993, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-5

Innovazione didattica: qualità e formazione pedagogica interdisciplinare per i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicinan.66, 2015, pp.2985-2988, DOI: 10.4487/medchir2015-66-4

Abstract

The School of Medicine, University of Ferrara, launched a project of educational training for clinicians, teachers and tutors.

This paper will present the basic elements of the project which, with an ongoing similar event in Rome “Sapienza”, is a pilot experience to innovate and to update the teaching methodology and the quality of training in the curricula for healthcare professionals.

The goal of this project is to create conditions for an advanced methodologically sound teaching with particular implementation on interdisciplinary aspects, in order also to standardize training curricula with European directives.

The organization of the project is to be seen in a perspective period of three years with classroom seminars and interactive workshops.

This series of meetings is therefore intended for all teachers of the School of Medicine, for tutors, for health care organizers, and the aim is to present a series of teaching methods whose effectiveness is based on evidence from international literature, and above all to begin a process of serious reflection leading to feasible and innovative solutions

Articolo

La Scuola di Medicina dell’Università di Ferrara ha varato un progetto di formazione pedagogica per docenti e tutors clinici dei Corsi di Studio che ad essa fanno riferimento.

In questo articolo saranno presentati gli elementi fondamentali di questo progetto che, insieme ad un evento analogo già in corso a Roma “Sapienza”, si presenta come esperienza pilota per innovare e aggiornare la metodologia didattica e la qualità dei percorsi formativi dei Corsi di Studio di area medica.

L’obiettivo è di creare le premesse pedagogiche per una didattica avanzata, con particolare implementazione degli aspetti di interdisciplinarietà, con lo scopo di uniformare i Curricula formativi alle direttive europee.

L’articolo sarà anche l’occasione per puntualizzare lo stato dell’arte nella letteratura internazionale riguardo ai metodi e temi del “Faculty development”.

La formazione pedagogica dei docenti di area medica

Da sempre le “professioni” hanno formato i loro futuri aspiranti membri attraverso l’affiancamento ad un professionista in esercizio, associato al processo di apprendimento basato sulle fonti bibliografiche. In questo modello didattico, la formazione del futuro professionista avverrebbe per assorbimento diretto di valori, prassi e attitudini. Non mancherebbero esempi che contraddicono questo assunto. Le Facoltà di Medicina nascono circa 900 anni fa e prevedevano certamente numeri di studenti più ridotti, e un’organizzazione della didattica già allora incentrata sulla lezione magistrale, accompagnata certamente dalla pratica, ma non in misura tale da impedire la famosa protesta degli studenti padovani che già nel 1597 scrivevano al Rettore dell’Università di Padova: “Pochi di noi sono venuti fin qui attirati soltanto dalle lezioni e tutti noi siamo venuti per imparare la pratica. Non ci mancano le lezioni nel nostro paese di origine, o altrove, e a casa nostra abbiamo libri che possiamo ben leggere stando là come facciamo qua. E’ lo studio della pratica che ci ha portato ad attraversare tante montagne e con così tante spese”.

Il problema di formare i docenti alla funzione didattica esiste in tutto il mondo.

Nella gran maggioranza dei paesi il reclutamento avviene sulla base della qualificazione professionale e scientifica, dando per scontato che se un professionista sa “cosa” deve insegnare, sappia automaticamente anche “come” lo deve fare.

Se questo ragionamento fosse valido, la pedagogia come scienza non avrebbe alcun motivo di esistere e meno che meno i corsi di studio in scienze della formazione, a meno che non si intenda che ad essi sia pertinente solo la preparazione degli insegnanti della scuola primaria e secondaria.

La realtà è che nella letteratura scientifica della medical education l’argomento della formazione pedagogica dei docenti (indicato di solito come “faculty development”) è talmente vivo da aver indotto la Best Evidence Medical Education collaboration (la BEME in pedagogia medica è l’equivalente della Cochrane collaboration per la medicina clinica) a produrre una revisione sistematica sull’argomento1.

Più recentemente Academic Medicine, prestigiosa rivista dell’Association of American Medical Colleges, ha dedicato una nuova review all’argomento2.

Estraiamo da questi due articoli alcune idee fondamentali sulle tendenze relative a modalità e argomenti di formazione pedagogica.

Gli elementi di qualità, maggiormente associati all’efficacia includevano l’uso di metodi di apprendimento esperienziali e basati su successivi feed back e l’uso di strumenti diversificati all’interno dello stesso programma di formazione.

Tuttavia il metodo più frequentemente usato è la serie di seminari, indirizzati soprattutto ai docenti clinici e dedicati ai temi della tutorship, ai metodi attivi di insegnamento sia in classe che nel piccolo gruppo, ai metodi di insegnamento nel contesto clinico.

La modalità più frequente di valutazione di efficacia è il questionario di gradimento e la survey di follow up con cui si esplora l’utilizzo di quanto appreso nella didattica routinaria a distanza di tempo dal corso.

Un tema particolare a cui sempre più facoltà dedicano attenzione è lo sviluppo delle capacità di leadership dei docenti3, intesa soprattutto come capacità di formare gli studenti ad affrontare la complessità e capacità di sviluppare la propria azione formativa in contesti organizzativi complessi, come quelli che caratterizzano oggi i corsi di laurea in medicina, sia nei policlinici universitari che nelle aziende ospedaliero universitarie e sanitarie.

Il “progetto pilota” di Ferrara

Il progetto nasce dalla necessità di innovare e aggiornare la metodologia didattica per migliorare la qualità dei percorsi formativi dei Corsi di studio afferenti alla Scuola di Medicina.

L’obiettivo è di creare le premesse pedagogiche per una didattica avanzata con implementazione degli aspetti di interdisciplinarietà e, a medio termine anche la creazione di un Medical Teaching Learning Centre in grado di costituire e sviluppare strategie di sostegno alla professionalità docente, nella logica della progettazione curricolare, della valutazione, della governance e dei servizi con una crescita progressiva delle competenze nella metodologia didattica.

La formazione continua del corpo docente è peraltro uno dei requisiti richiesti dal sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento) dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).
A livello strategico, l’organizzazione del progetto viene vista nella prospettiva di un triennio con seminari teorico formativi ma soprattutto atelier pratici interattivi.

Seminari e Ateliers interattivi saranno tenuti da docenti esperti di pedagogia e metodologia didattica in ambito sanitario, con coinvolgimento della Società Italiana di Pedagogia Medica e della Conferenza dei Presidenti di Corso di Laurea di Medicina.

A tutto ciò si aggiunge la necessità di aumentare la pratica professionalizzante con l’acquisizione più estesa delle varie metodologie di simulazione di casi clinici (High Fidelity Simulation) e integrazione multidisciplinare per garantire agli studenti una maggiore professionalità e gestione del rischio.

In questa prima fase di attivazione sono stati progettati sei incontri seminariali, aperti da una prima parte di presentazione frontale, seguita da una ampio intervallo di tempo dedicato alla discussione orientata a risolvere dubbi e soprattutto a riflettere sulle possibilità di implementazione locale di quanto ascoltato nella prima parte.

Argomenti dei Seminari

Atelier 1 – 13 giugno 2015

Learning (PBL). Metodologie efficaci per un insegnamento orientato alle competenze: Case Based Learning (CBL) e Problem Based

La competenza è la capacità di usare conoscenze teoriche, abilità pratiche e atteggiamenti personali per risolvere problemi professionali. E’ evidente quindi che una didattica orientata all’acquisizione di competenze si debba fondare sui metodi tradizionali di acquisizione delle conoscenze teoriche e delle abilità pratiche elementari, ma poi debba aprirsi a metodi che pongano lo studente in posizione attiva nella soluzione di problemi, dapprima guidata e poi autonoma. Verranno presentati ed illustrati con esempi i principali metodi didattici di questo tipo e verrà lasciato ampio spazio finale al dibattito di approfondimento.

Atelier 2 – 14 settembre 2015

Integrazione di materie precliniche e cliniche: metodi di insegnamento e core curriculum

Il “core curriculum” è uno dei primi strumenti atti a favorire lo sviluppo organico ed equilibrato dei Corsi di Studio italiani. Si presenta non come un elenco di prescrizioni ma come un termine di riferimento e rappresenta l’essenziale della materia cioè ciò che lo studente deve sapere.

La sua recente revisione va nel senso di promuovere una integrazione sempre maggiore dei contenuti disciplinari, perché solo dall’integrazione ci si può attendere la formazione di competenze cliniche mature.

Verranno presentate alcune esperienze di integrazione di successo, con lo scopo di favorire la riflessione per la progettazione di soluzioni adatte al contesto locale.

Atelier 3 –   14 settembre 2015

Ruolo e importanza della didattica interprofessionale: integrazione fra discipline e docenti

Negli ultimi anni il tema della collaborazione interprofessionale diventa sempre più centrale nelle strategie di management delle organizzazioni sanitarie italiane a causa della crescente complessità delle configurazioni dei servizi socio sanitari, dei bisogni sempre più complessi dei pazienti e della eterogeneità dei profili professionali impegnati a diverso titolo nelle pratiche di cura.

Il lavoro di squadra diventa sempre più importante e fondamentale. Ne deriva che la formazione continua verso le skills interprofessionali diviene inderogabile nella definizione e valutazione delle competenze professionali.4

Pertanto se ci si spinge avanti sulla strada dell’integrazione, lo sbocco più naturale diventa considerare l’integrazione fra professioni e quindi la didattica interprofessionale.

Diventa quindi indispensabile la ricerca di competenze di collaborazione interprofessionale nella pratica clinica predisponendo ad esempio, periodi di tirocinio interprofessionale contemporanei, per studenti, sia di Medicina che Infermieristica o Fisioterapia o Ostetricia o altri corsi di laurea in cui si intersecano competenze didattiche di corsi di studio differenti ma che diventano utili per affrontare con un approccio integrato le problematiche cliniche.

Verranno presentati alcuni standard internazionali in questo settore, i vantaggi e i limiti di metodi didattici basati sull’integrazione interprofessionale. Concluderà l’atelier un ampio spazio di dibattito.

Atelier 4 –   16 novembre 2015

I gruppi tutoriali e la High Fidelity Simulation per la didattica Interprofessionale: una strada per uniformarci con le Direttive Europee

Le direttive europee che hanno costretto i corsi di laurea italiani a ricalcolare i propri monte ore perché le nostre lauree rimanessero valide in Europa, ha creato di fatto un ampio spazio orario che non è certo opportuno riempire di ulteriore didattica d’aula.

E’ quindi l’occasione per riflettere su alcune modalità alternative di didattica

Verranno rapidamente presentati i principi e alcuni esempi sia di didattica tutoriale che di didattica basata sulle simulazioni, fino alle cosiddette Simulazioni ad Alta Fedeltà.

In questo campo esistono alcune delle esperienze più avanzate di didattica inter-professionale della letteratura internazionale.

Atelier 5 – 16 novembre 2015

I problemi posti dallo studente: la relazione docente-studente e il ritardo.

La Commissione Paritetica docenti – studenti (CPDS): un aiuto e un controllo per docenti e studenti.

Gli studenti sono i principali committenti dell’attività didattica delle Università e ne rappresentano la maggior risorsa, ma anche la prima fonte di problemi pedagogici.

L’atelier analizzerà una serie di esempi del ruolo propositivo e di partnership che gli studenti possono incarnare per una modernizzazione ed aumento di efficienza dei Corsi di Laurea dell’area Sanitaria. La Commissione Paritetica Docenti studenti recentemente introdotta ha in questo contesto il compito di esprimere il proprio parere sulle proposte dell’attività programmata dai Corsi di studio verificare la coerenza tra i Crediti Formativi e obiettivi specifici e formulare proposte per il miglioramento didattico. La sua funzione è pertanto quella di ascoltare gli studenti nei loro giudizi ed esperienze contestualmente ai loro docenti, controllare ad aiutare i docenti a verificare le modalità dell’erogazione didattica sia per la qualità che per la congruenza con i crediti assegnati per disciplina.

In questo Atelier verranno anche presentati i problemi di identificazione e di recupero del ritardo studentesco, perché portare il maggior numero di studenti alla laurea in corso e con buona preparazione non sia solo un ossequio alle norme sugli indicatori premiali ma una pratica pedagogicamente fondata.

Atelier 6 – 14 dicembre 2015

La Valutazione delle competenze cliniche

Da più di 10 anni si sta affermando un movimento pedagogico orientato a progettare i Corsi di studio di area medica a partire dalla definizione del risultato finale, espresso come competenze che si intendono far raggiungere alla fine del percorso (competency-based medical education – CBME). E’ evidente come nell’ottica della CBME (ma anche nell’ottica di una laurea abilitante) l’uso appropriato di metodi di valutazione delle competenze (la capacità di usare conoscenze, abilità e atteggiamenti) e dei loro elementi costituenti sia fondamentale.

L’atelier passerà in rassegna alcuni dei principali metodi descritti in letteratura e già sperimentati in Italia, per poi lasciare spazio alla discussione.

Conclusioni

L’insegnamento nelle Facoltà o Scuole Mediche deve affrontare cambiamenti radicali.

Sono cambiati i bisogni di salute della popolazione e la stessa composizione del corpo sociale, ne sono esempi: anziani con poli-patologie croniche, cure palliative lunghe, dipendenze di diverso tipo, multi-culturalità. E’ cambiata pertanto anche la percezione che il cittadino ha del medico, che oscilla tra attese bio-tecnologiche miracolistiche e la richiesta di ridefinire un rapporto più paritario ed umano con il curante.

Infine la crisi economica e politica ha prodotto scelte di governo del sistema universitario forse discutibili, ma su cui l’Accademia nel suo complesso non ha mai provato ad aprire un confronto realistico, consapevole e propositivo.

Si deve recuperare la centralità del fatto formativo come ragione d’essere delle Università e i Corsi di Laurea in Medicina possono essere l’avanguardia di questa operazione, se sapranno concretamente dimostrare di saper formare professionisti competenti innovando la propria didattica e sfruttando appieno l’intero sistema integrato delle cure, senza rivalità e nel rispetto delle specificità dell’Università e del Sistema Sanitario Nazionale.

La ricerca e l’assistenza devono servire quindi per fornire una didattica di qualità.

Questo ciclo di incontri è perciò destinato a tutti i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicina, nonché ai tutors e Direttori delle attività didattiche delle lauree sanitarie e si propone di presentare una serie di metodologie didattiche la cui efficacia sia basata su evidenze di letteratura internazionale, e soprattutto di avviare un processo di riflessione locale che conduca alla progettazione di soluzioni innovative e fattibili.

Bibliografia

1) Steinert Y, Mann K, Centeno A, Dolmans D, Spencer J, Gelula M, Prideaux D. A systematic review of faculty development initiatives designed to improve teaching effectiveness in medical education: BEME Guide No. 8. Med Teach. 2006;28(6):497-526.

2) Leslie K, Baker L, Egan-Lee E, Esdaile M, Reeves S. Advancing faculty development in medical education: a systematic review. Acad Med. 2013;88(7):1038-45.

3) Steinert Y, Naismith L, Mann K. Faculty development initiatives designed to promote leadership in medical education. A BEME systematic review: BEME Guide No. 19. Med Teach. 2012;34(6):483-503

4) Ronald M. Epstein, MD; Edward M. Hundert, MD Defining and Assessing Professional Competence JAMA. 2002;287(2):226-235.

Cita questo articolo

Consorti F., Bellini T., Trombelli L., Innovazione didattica: qualità e formazione pedagogica interdisciplinare per i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicina, Medicina e Chirurgia, 66: 2985-2988, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-4

Responsabilità sociale, salute e formazione in medicina. La proposta della RIISG e un’esperienza con i richiedenti protezione internazionale e rifugiati presso la Sapienza Università di Roman.66, 2015, pp.2978-2984, DOI: 10.4487/medchir2015-66-3

Abstract

The situations of crisis and social injustice of the globalized world call the people who deal with education in health to think again about the educational model of medical schools. The objective should be to capacitate social and health professionals to face with responsibility the challenges that wait them. On this point, the Italian Network for Global Health Education (RIISG) has recently published a document in which it express its contribution to the recent national debate about medical education. Experiences which allow a direct knowledge of realities on the fringe of society, as the one which takes place with asylum seekers and refugees at Sapienza University of Rome, can contribute to develop student’s critical reasoning and ethical conduct.

Articolo

Le sfide della società globalizzata: il caso studio dei migranti forzati

Sono purtroppo diventate quotidiane nei mezzi di comunicazione le immagini dei barconi stracolmi che attraversano il Mediterraneo e, se sono tra i più fortunati, raggiungono le coste della nostra penisola. Sbarcano volti provati da un viaggio estenuante; si tratta per lo più di persone in fuga da contesti di povertà, guerra e violenza. Migranti forzati, richiedenti protezione internazionale che hanno diritto a trovare un Paese che li accolga dove poter iniziare una nuova vita.

Se ci si sofferma per un attimo a riflettere sui fattori che influenzano la salute di queste persone, il pensiero va subito ai determinanti sociali, economici e politici che da un lato li costringono ad abbandonare le loro patrie e dall’altro modellano sistemi di accoglienza poco attenti ai singoli individui e alle fragilità che li caratterizzano. È proprio di questi giorni il dibattito portato avanti presso l’Unione Europea sulle politiche da mettere in atto per far fronte alla realtà delle migrazioni: si cercano risposte ad un fenomeno che non può essere più definito un’emergenza. La complessità dei fattori in gioco potrebbe provocare, in chi si lascia disturbare da questa provocatoria realtà, una sensazione di scoraggiamento ed impotenza; si potrebbe facilmente cadere in una chiusura nel proprio ruolo specialistico – qualsiasi esso sia – rinunciando a mettersi in discussione e a cercare con creatività nuove strade per promuovere una società più umana.

Appare però impossibile, soprattutto per chi si occupa di formazione in medicina (e in senso più ampio di formazione in salute) chiudere gli occhi e andare avanti. Sembra quanto mai urgente mettere a fuoco e riportare anche al centro del dibattito pedagogico lo stretto legame esistente tra responsabilità sociale e salute, sottolineando l’importanza di stimolare studenti e operatori ad un posizionamento etico proprio nei confronti di quei fattori che, nel macro come nel micro, influenzano la salute di tante persone. In altre parole prendere posizione di fronte alle situazioni di crisi, ingiustizia sociale ed emarginazione provocate dall’attuale sistema globalizzato. Come dimostrato anche dal dibattito presente nella letteratura internazionale (1;2) e nazionale (3-7), la domanda sulla capacità delle attuali scuole di medicina di far fronte alle grandi sfide del mondo contemporaneo e di formare professionisti capaci di rispondere ai bisogni di salute delle persone e delle comunità che andranno a servire non è più procrastinabile.

Le riflessioni della RIISG sulla formazione in medicina

Proprio da questo interrogativo è partita la RIISG – Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale[1] – (8) per elaborare un recente documento relativo alla formazione medica (9) (vedi allegato); in esso, sottolineando la componente etica intrinseca alla pratica della medicina e riconoscendo la complessità che connota la nostra epoca, viene affermata l’importanza di ridurre l’iperspecializzazione che caratterizza la formazione medica e di accompagnare lo sviluppo del pensiero critico degli studenti stimolando la riflessione anche con l’apporto di diverse discipline. Si tratta di direzioni indicate anche da un recente documento pubblicato su Lancet dal significativo titolo “Health professionals for a new century: transforming education to strengthen health systems in an interdependent world” (10). La RIISG ritiene inoltre che sia possibile stimolare il senso di responsabilità sociale degli attuali e futuri operatori sanitari soprattutto attraverso esperienze di conoscenza diretta del contesto nel quale questi si troveranno a lavorare. Momenti dunque di “uscita” dalle aule ma anche dagli ospedali universitari, per conoscere sia tutta quella grande parte di assistenza che avviene a livello territoriale sia i luoghi di vita quotidiana delle persone, in particolare di quelle che si trovano ai margini della società. Simili opportunità permettono infatti agli studenti di fare esperienza diretta dei fattori che influenzano la salute delle persone; aiutano a rendersi subito conto dei limiti non solo dell’approccio biomedico ma della stessa pratica medica, e dunque della necessità di mettersi in collegamento con altri saperi, professioni e discipline per promuovere veramente migliori condizioni di vita per tutti. I valori e le proposte contenute nel documento elaborato dalla RIISG appaiono in linea con le riflessioni riportate nel recente articolo su “Il medico del Terzo Millennio”, in particolare quando si sottolinea l’importanza di una “pratica attiva delle scienze umane” (11)

Teorie di pedagogia cui fare riferimento

A livello pedagogico[2] abbondante è la letteratura che si muove in questa direzione, e che qui verrà certamente accennata solo in parte. Appare particolarmente interessante in questo senso la teoria sociale dell’apprendimento elaborata da Etienne Wenger. “Le nostre istituzioni, nella misura in cui affrontano esplicitamente i problemi dell’apprendimento, si basano prevalentemente sull’assunto che esso sia un processo individuale, con un inizio e una fine, e che sia il prodotto dell’insegnamento. Di conseguenza predisponiamo aule dove gli studenti – liberi dalle distrazioni che comporta la partecipazione al mondo esterno -1 possono seguire un insegnante o concentrarsi sullo svolgimento di un esercizio. (…) E se adottassimo una prospettiva diversa, che inserisse l’apprendimento nel contesto della nostra esperienza concreta di partecipazione alla vita reale? (…) Se ci convincessimo che l’apprendimento, in buona sostanza, è un fenomeno fondamentalmente sociale che riflette la nostra natura profondamente sociale di esseri umani in grado di conoscere?“ (12). Tale teoria si concentra prevalentemente sull’apprendimento come partecipazione sociale, legato cioè all’essere partecipanti attivi nelle pratiche di comunità sociali e nella costruzione di identità in relazione a queste comunità.

L’apprendimento esperienziale (termine con il quale in letteratura viene indicato l’apprendimento attraverso l’esperienza) è strettamente connesso a quello riflessivo, e dunque alla possibilità di sviluppare un pensiero critico (13;14).

Nell’ambito delle Scuole di Medicina larga parte dell’apprendimento esperienziale avviene nel contesto universitario e ospedaliero anche attraverso quello che a livello di letteratura viene definito “curriculum nascosto”. Si tratta in altre parole degli atteggiamenti che gli studenti di medicina possono cogliere e sono portati ad assumere nel corso della loro formazione sia durante le ore di didattica frontale (quando si trovano per la maggior parte del tempo ad ascoltare passivamente quanto viene detto dal professore), sia al momento dell’esame (quando ai fini del suo superamento sono spinti a ripetere nozioni spesso imparate meccanicamente e passivamente) sia nel corso del tirocinio pratico nei reparti dell’ospedale universitario. Tra le principali e più diffuse conseguenze del curriculum nascosto sugli atteggiamenti degli studenti si possono citare la perdita di idealismo, la neutralizzazione emotiva, l’accettazione della gerarchia e il cambiamento dell’integrità etica (15).

Non mancano però esperienze di apprendimento nei contesti di vita della comunità. Si parla ad esempio di community based education (CBE) per indicare quelle esperienze formative che considerano la comunità un luogo di apprendimento dove studenti, insegnanti, singoli membri, rappresentanti di altri settori sono tutti coinvolti. La CBE offre la possibilità di coinvolgersi in modo crescente rispetto alle problematiche di salute della comunità, impegnandosi in modo creativo nei loro confronti (16).

In America Latina, e in particolare in Brasile, è molto diffusa l’estensione universitaria, termine con il quale si intende un processo interdisciplinare, educativo, culturale, scientifico e politico che promuove l’interazione (in grado di generare cambiamento) tra l’università e gli altri settori della società. Tale interazione è mediata dagli studenti di diversi corsi di laurea guidati da uno o più professori. Si tratta dunque di una strategia educativa che mira a sfumare le barriere tra università, servizi sociali e sanitari, e comunità, creando uno spazio in cui i saperi e le attività si “estendono” da un contesto all’altro.

Alla base di proposte formative di questo genere possono essere certamente riconosciute le teorie pedagogiche di Paulo Freire[3] e di John Dewey[4].

Nel modello problematizzante dell’educazione teorizzato da Freire l’insegnante e gli studenti sono insieme, ricercatori di verità e creatori di conoscenza. Non ci sono più lezioni da memorizzare, ma problemi da affrontare: problemi che riguardano la vita di tutti. “L’educazione problematizzante, di carattere autenticamente riflessivo, comporta un atto permanente di rivelazione della realtà. (…) (Essa) si sforza di far emergere le coscienze, da cui risulta la loro inserzione critica nella realtà”. Il pedagogista brasiliano arriva dunque ad affermare che l’educazione è un atto politico, anche quando si dichiara neutrale: in quel caso infatti va semplicemente ad affermare o a non contraddire la realtà dominante. “La formazione dell’individuo deve mirare alla crescita di una mentalità critica che liberi il campo all’etica della responsabilità dell’uomo verso l’altro uomo e dell’uomo verso l’ambiente vitale che lo circonda” (17).

La teoria dell’apprendimento attraverso l’esperienza di John Dewey nasce proprio dalla sua preoccupazione per il mancato coinvolgimento politico dei suoi concittadini (18). Il filosofo americano denuncia quel processo di frammentazione sociale e di anonimizzazione (si pensi alla più recente diffusione dei non-luoghi) che oggi è giunto a piena maturazione, mostrando in modo inequivocabile le difficoltà di una democrazia autentica in un sistema economico che spezza i legami comunitari ed isola nella ricerca individuale del benessere. Per Dewey è urgente ricostruire la vita comunitaria, in primo luogo favorendo un dibattito aperto ed una indagine seria e documentata sulle questioni di interesse pubblico e poi riallacciando i vincoli comunitari a partire dal vicinato. Esperienze dirette del contesto sociale e delle realtà di marginalità sembrano essere quelle che meglio possono favorire l’attenzione delle nuove generazioni verso i problemi della loro comunità ed il superamento del disimpegno politico e dell’indifferenza per le questioni riguardanti la sfera pubblica.

Conoscere e sperimentarsi in contesti formativi non familiari ed incerti può aiutare lo sviluppo di capacità necessarie per muoversi da persone e professionisti nella contemporanea società complessa (19). È significativo che il progetto International Medical School Label 2020 individui, tra le sei dimensioni per valutare l’internazionalità e l’internazionalizzazione[5] di una Facoltà di Medicina, anche il social engagement e il service learning (20). Particolarmente importante appare inoltre, proprio per la complessità dei bisogni di salute, la possibilità di interfacciarsi con studenti e operatori di altre professioni socio-sanitarie; l’interprofessionalità è da molti riconosciuta come una caratteristica sempre più necessaria proprio a cominciare dalla formazione di base (21).

Il progetto “Conoscere la realtà dei richiedenti asilo e rifugiati” presso la Sapienza Università di Roma

Nell’ambito di un progetto il cui scopo era quello di confrontare le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia, Germania e Svizzera e la loro influenza sulla salute, si è aperta per gli studenti di medicina e chirurgia, servizio sociale e scienze infermieristiche della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma la possibilità di fare esperienza di tale realtà grazie alla collaborazione e ad una convenzione stipulata con l’associazione Centro Astalli[6]. L’accordo con il SISM – Segretariato Italiano Studenti di Medicina – ha permesso di estendere la proposta formativa anche agli studenti degli altri Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia presenti presso la stessa università e presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università di Tor Vergata. Gli studenti, selezionati attraverso un bando, hanno potuto frequentare un Centro di Accoglienza gestito dall’associazione e oggi parte della rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). La formazione iniziale, svoltasi in tre giornate in maniera itinerante in università, presso la sede centrale del Centro Astalli e presso il centro di accoglienza, è stata caratterizzata da un’introduzione alle tematiche della salute globale e alla realtà dei richiedenti asilo e rifugiati. Il gruppo di quindici studenti sta frequentando (da novembre 2014 a giugno 2015) il centro fornendo agli ospiti un supporto nell’apprendimento dell’italiano. Obiettivo dichiarato del progetto è infatti quello di far conoscere agli studenti di medicina e di altre professioni socio-sanitarie la realtà dei richiedenti asilo e rifugiati sia attraverso la centrale esperienza di relazione con i migranti ospiti nel centro di accoglienza sia tramite l’approfondimento e la riflessione teorica sulla tematica. Questa riflessione non vuole limitarsi solo all’aspetto tecnico ma anche aprire discussioni sugli orizzonti di significato che tale realtà dischiude e sulla necessità di un chiaro posizionamento etico rispetto ad essa.

L’esperienza, valutata attraverso indicatori di processo quali la presenza presso il centro di accoglienza e agli incontri di revisione periodica degli studenti, i feedback degli operatori del centro stesso, il diario che è stato chiesto di tenere agli studenti, sta risultando particolarmente apprezzata sia tra i partecipanti che tra gli ospiti e gli operatori del centro di accoglienza. La presenza di ragazzi italiani (e non solo) già integrati nella società e di età paragonabile a quella dei migranti accolti ha generato relazioni nuove, rispetto alle quali l’affiancamento nell’esecuzione dei compiti di italiano risultava per lo più un mezzo per entrare in contatto e dialogare su diversi aspetti. Un modo semplice e sicuramente iniziale per promuovere la crescita del capitale sociale, importante determinante di salute in particolare per chi si trova ai margini della società.

Sono i partecipanti stessi ad esprimere l’importanza che per loro ha avuto una simile esperienza. Eccone alcuni esempi:

“La partecipazione al progetto mi sta lasciando tante emozioni e soddisfazioni. Ogni incontro con i ragazzi è un arricchimento sia a livello personale che professionale: pian piano si è instaurato un rapporto di fiducia con loro, mi raccontano la propria storia o i loro problemi, ridiamo e scherziamo insieme proprio come un gruppo di amici. Dall’Università ho imparato il “sapere” ossia le conoscenze tecniche, dal progetto San Saba, invece, sto imparando il “saper fare” ossia applicare le conoscenze tecniche e il “saper essere” ossia la maturità e la capacità di relazione.”

“Oltre alla bellezza del mettersi in relazione con l’altro e di scoprire nuove culture, mi sto accorgendo di quanto sia complessa e delicata l’assistenza e la cura di chi ha subito traumi, soprattutto, dal punto di vista psicologico. Perciò, per quanto mi riguarda, il contatto costante con gli ospiti del centro ha aumentato la mia consapevolezza rispetto a questa realtà e la mia attenzione verso tutti quelli che sono i fattori che incidono,negativamente o positivamente sulla salute dei migranti forzati.”

“La consiglierei soprattutto alle studentesse e studenti in medicina per fargli toccare con mano come la salute e la vita delle persone si sviluppi all’interno di spazi e contesti molto differenti da quelli previsti dalla corsia dell’ospedale o dal lettino dell’ambulatorio. In questi contesti quello che conta è scoprire se stessi attraverso l’incontro con l’altro, una volta fatto provare a condividersi. Nella relazione terapeutica gli studenti imparano troppo in fretta che il camice e il ruolo che questo simboleggia dà loro la possibilità e quindi il potere di non esporsi come persone e di limitare il loro intervento alla sola prestazione. È importante che imparino a considerarsi medici anche in contesti diversi da quelli dell’ospedale e dell’ambulatorio perché così potranno essere persone nella relazione di cura.”

Conclusioni aperte

Quello riportato è solo un esempio di esperienze formative che “si svolgono al di fuori dell’aula universitaria e che permettono di approfondire la conoscenza del contesto, dei processi sociali che determinano lo stato di salute e malattia e delle risorse presenti nelle comunità[7]”. La RIISG sta portando avanti sia un approfondimento teorico-metodologico sia un lavoro di mappatura di simili opportunità fornite agli studenti a livello nazionale e internazionale. Si è infatti consapevoli che proposte del genere per gli studenti di medicina e delle altre professioni socio-sanitarie sono solo in fase iniziale e che molto è ancora necessario elaborare anche per una loro corretta valutazione[8]. Anche su questo la RIISG sta riflettendo e lavorando.

Si è convinti, per i motivi etici ed umani solo accennati in questo articolo, che esperienze di conoscenza del contesto, e in particolare delle realtà di marginalità sociale, siano necessarie e non rinviabili per formare “non solo professionisti ma prima di tutto cittadini, anzi persone” (9) pronti a prendere posizione e ad impegnarsi per una società più equa e più giusta – e dunque promotrice di salute – per tutti.

Note

1. La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) è un network nazionale che comprende istituzioni accademiche, società scientifiche, organizzazioni non governative, associazioni, gruppi, studenti e singoli individui impegnati nella formazione in salute globale, sia a livello universitario sia di società civile. Sito web: http://www.educationglobalhealth.eu/it/

2. Si utilizza qui il termine pedagogia, nella consapevolezza che a livello educativo in un contesto universitario e di formazione degli adulti il termine più corretto è in realtà quello di andragogia.

3. Paulo Feire (1921-1997) è stato un noto pedagogista brasiliano e un importante teorico dell’educazione.

4. John Dewey (1859-1952) è stato un filosofo e pedagogista statunitense.

5. Per internazionalità (internationality) si intende lo stato di un’istituzione rispetto alle attività internazionali in un dato momento. Per internazionalizzazione (internationalisation) si intende il processo attraverso il quale un’istituzione si muove da uno stato di internazionalità ad un tempo x ad uno stato di internazionalità più estesa al tempo x+n.

6. Il Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS. Da oltre trent’anni è impegnato in numerose attività e servizi che hanno l’obiettivo di accompagnare, servire e difendere i diritti di chi arriva in Italia in fuga da guerre e violenze, non di rado anche dalla tortura. Il Centro Astalli si impegna inoltre a far conoscere all’opinione pubblica chi sono i rifugiati, la loro storia e i motivi che li hanno portati fin qui.

7. Definizione RIISG

8. Sembra utile a tale proposito riferirsi alle parole di Dewey che afferma: L’effetto di un’esperienza non lo si può conoscere subito. Pone un problema all’educatore. È suo compito disporre le cose in modo che le esperienze pur non allontanando il discente e impegnando anzi la sua attività non si limitino a essere immediatamente gradevoli e promuovano nel futuro esperienze che si desiderano. (…) Ne consegue che il problema centrale di un’educazione basata sull’esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno (22).

Bibliografia

1) Bateman C, Baker T, Hoornenborg El, Ericsson U. Bringing global issues to medical teaching. The Lancet 2001; 358: 1539-42

2) Drain PK, Primack A, Hunt DD, Fawzi WW, Holmes KK, Gardner P. Global health in medical education: a call for more training and opportunities. Acad Med 2007;82:226-30

3) Rosso A, Civitelli G, Marceca M. Global health, international health and public health: which relationship? Ann Ig 2012; 24: 263-267

4) Rinaldi A, Civitelli G, Silvestrini G, Gilardi F, Carovillano S, Furia G, et al. Perché dovremmo insegnare la Salute Globale alle studentesse e agli studenti di medicina? Il percorso della RIISG e l’esperienza di tre Università romane. Tutor 2012; Vol 12, n 3: 61-69

5) Bruno S, Silvestrini G, Carovillano S, Rinaldi A, Civitelli G, Frisicale E et al. L’insegnamento della Salute Globale nelle Facoltà di medicina e Chirurgia in Italia: l’offerta formativa nel triennio 2007-2010. Ann Ig. 2011 Sep-Oct; 23(5):357-65.

6) Semplici S., La Salute Globale, Medicina e Chirurgia, 55: 2430-2435, 2012. DOI:  10.4487/medchir2012-55-1

7) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L et al. La realtà internazionale della formazione medica. Medic 2013; 21(1): 53-59

8) Rinaldi A, Civitelli G, Marceca M, Tarsitani G. L’esperienza della Rete Italiana Insegnamento Salute Globale (RIISG). Salute e territorio 2014; 202: 401-404

9) RIISG (Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale). Ripensare la formazione medica. Disponibile alla URL: http://www.educationglobalhealth.eu/it/news/320-ripensare-la-formazione-medica (vedi allegato)

10) Frenk J, Chen L et al. Health professionals for a new century: transforming education to strengthen health systems in an interdependent world. Lancet 2010; 376: 1923–58

11) Familiari F., Volpe M., Il Medico del Terzo Millennio. Proposta di una “Carta dei valori e delle competenze degli studenti”, in un curriculum formativo rinnovato, in Italia, Medicina e Chirurgia, 65: 2925-2930, 2014. DOI:  10.4487/medchir2015-65-2

12) Wenger E. Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità. Raffaello Cortina Editore. Milano, 2006

13) Moon JA. Esperienza, riflessione, apprendimento. Manuale per una formazione innovativa. Carocci Editore, Roma 2012

14) Kolb D, Boyatzis R, Mainemelis C. Experiential Learning Theory: previous Research and New Directions. In: R. J. Sternberg and L. F. Zhang (Eds.), Perspectives on cognitive, learning, and thinking styles. NJ: Lawrence Erlbaum, 2000. Disponibile alla URL: http://www.medizin1.uk-erlangen.de/e113/e191/e1223/e1228/e989/inhalt990/erfahrungslernen_2004_ger.pdf

15) Lempp H, Seale C. The hidden curriculum in undergraduate medical education: qualitative study of medical students’perceptions of teaching. BMJ 2004; 329: 770–3

16) Kelly L, Walters L, Rosenthal D. Community-based Medical Education: Is Success a Result of Meaningful Personal Learning Experiences? Education for health 2014; 27, 1: 47-50; Mennin S, Petroni-Mennin R. Community based medical education. The clinical teacher 2006; 3: 90-96

17) Freire P. La pedagogia degli oppressi, tr. it., Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002

18) Dewey J. Comunità e potere, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1971

19) Fraser S, Greenhalgh T. Coping with complexity: educating for capability. BMJ 2001;323:799–803

20) International Medical School Label 2020. The International Medical School (IMS) Label Methodology draft. Disponibile alla URL: http://www.ims-2020.eu/downloads/label_methodology.pdf

21) de Marinis M.G., de Marinis M.C., L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi, Medicina e Chirurgia, 58: 2586-2591, 2013. DOI: 10.4487/medchir2013-58-6

22) Dewey J. Esperienza e educazione. Raffaello Cortina Editore. Milano 2014

Allegato

Allegato: RIPENSARE LA FORMAZIONE MEDICA

Il contributo della Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale

Il documento allegato all’articolo, sotto riportato, è stato pensato, nel Marzo 2015, dalla “Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale”, come nota programmatica di ripensamento della formazione medica. Deve essere uno strumento utile a fornire spunti di confronto, discussione e dibattito aperto in quanti pianificano e organizzano i corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia.

Le scuole di medicina sono in grado di formare professionisti capaci di rispondere ai bisogni di salute delle persone e delle comunità che andranno a servire? Come rispondono alle sfide che l’epoca della globalizzazione e della complessità pone? Come affrontano il tema della responsabilità sociale (in altre parole, che ruolo intendono assumere nei confronti dell’ingiustizia sociale e il suo impatto sulla salute)? La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) ritiene che tali domande debbano essere prese in considerazione ed esprime in questo documento un contributo relativo al dibattito sulla formazione medica recentemente innescatosi a livello nazionale. Si fa in particolare riferimento al documento del Centro Studi e Documentazione FNOMCeO “Professione medica nel terzo millennio”, alla mozione del Consiglio Nazionale della FNOMCeO “Salviamo la formazione medica”, alla lettera inviata al Ministro MIUR e al Ministro della Salute dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e alla risposta del presidente della FNOMCeO dott. Amedeo Bianco.

Di seguito sono riportate alcune riflessioni elaborate dalla RIISG, esposte più in dettaglio nel testo e intese come spunti di confronto, discussione e dibattito aperto.

  • Ogni azione e decisione presa in campo medico non è eticamente neutrale. La medicina prevede degli aspetti etici intrinseci e deve essere studiata e insegnata a partire dalla sua componente etica.
  • Il paradigma della complessità che caratterizza la nostra epoca spinge a riconoscere i limiti intrinseci a ogni pratica umana, compresa quella medica, e invita a creare spazi di dialogo e confronto tra saperi, professioni e discipline.
  • È necessario, nel corso della formazione, accompagnare lo sviluppo di un pensiero critico e incoraggiare il posizionamento etico, prevedendo l’apporto di diverse discipline e stimolando la riflessione di carattere morale. Si ritiene che questo possa avvenire anche attraverso esperienze di conoscenza e radicamento nell’ambiente sociale nel quale i futuri professionisti saranno inseriti.
  • È necessario ridurre l’iperspecializzazione dando spazio ad un “nuovo generalismo”, cioè ad un approccio più ampio che veda salute e malattia nel contesto dell’intera vita delle persone.
  • È necessario richiamare gli attuali e futuri medici alla responsabilità sociale, intesa anche come risposta che deve essere data di fronte alle situazioni di crisi, ingiustizia sociale ed emarginazione provocate dall’attuale sistema globalizzato. Si ritiene che tale responsabilità non sia definita a priori ma debba essere cercata personalmente e contestualmente in un confronto con tutti coloro che “hanno sinceramente a cuore” tali questioni.

Dalla salute globale alla formazione in salute

La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) è un network nazionale che comprende istituzioni accademiche, società scientifiche, organizzazioni non governative, associazioni, gruppi, studenti e singoli individui impegnati nella formazione in salute globale, sia a livello universitario sia di società civile. Sin dall’inizio importante parte attiva della RIISG è il SISM – Segretariato Italiano Studenti Medicina.

La RIISG sta seguendo con particolare interesse il dibattito sulla formazione medica accesosi in quest’ultimo periodo. Come realtà nata dal basso, accogliendo e facendo proprie le esigenze e le richieste degli studenti, protagonisti e destinatari di tale formazione, la Rete condivide le preoccupazioni riguardo all’attuale impostazione del sistema formativo per i futuri medici 1,2.

La riflessione e il lavoro culturale portati avanti dalla RIISG in questi anni non si sono, infatti, limitati a elaborare un nucleo di contenuti da aggiungere ai curricula già molto ricchi delle facoltà mediche ma, soprattutto nei tempi più recenti, si sono indirizzati ad aprire uno spazio di confronto nazionale sulla formazione in salute in senso più ampio.

Come componenti della RIISG riteniamo che fare formazione in salute globale voglia dire “introdurre un nuovo modo di pensare e agire la salute per generare reali cambiamenti sia nella comunità sia nell’intera società, colmando il divario esistente tra evidenza scientifica e decisioni operative”. Per questo il lavoro della RIISG, partito da riflessioni attinenti alla sola formazione medica, ha riconosciuto la necessità di prendere in considerazione i processi formativi di tutte le persone che – a vario titolo – concorrono alla promozione e alla tutela della salute.

La RIISG ritiene di poter dare il suo apporto propositivo e costruttivo al confronto auspicato sia dalla FNOMCeO sia dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Proponendosi tra gli obiettivi quello di contribuire a “preparare una figura di Medico sempre più adeguata alla trasformazione dell’assistenza sanitaria del nostro paese, correttamente protesa verso la medicina territoriale e di prossimità”, la RIISG concorda con il Centro Studi FNOMCeO nel ritenere necessaria “una riforma non tanto della facoltà di medicina ma dei suoi paradigmi formativi”.

La medicina come pratica etica

La riforma auspicata dovrebbe partire dalla consapevolezza che pensare alla medicina semplicemente come a una scienza o a un’attività scientifica sia non soltanto riduttivo ma sostanzialmente sbagliato. La medicina, in quanto pratica, prevede azioni che esprimono una trama di significati e fini. Gli aspetti etici non possono essere visti come giustapposti, ma debbono essere considerati intrinseci a essa. Ogni decisione e ogni azione portate avanti in questo settore non sono neutrali, cioè non possono prescindere dalla dimensione etica; ciò significa che la natura della medicina deve essere studiata e insegnata a partire da una prospettiva etica.

Tale approccio non si dovrebbe limitare a riflettere su quanto avviene nel rapporto medico-paziente ma anche, ad esempio, sulla relazione della pratica medica con altri saperi, professioni, discipline. Un atteggiamento di questo genere aiuterebbe a mettere in luce le carenze e i punti deboli su cui diventa sempre più necessario prendere posizione.

Sembra dunque non banale né trascurabile porsi la domanda: le attuali scuole di medicina preparano futuri medici dotati di adeguati strumenti conoscitivi ed etici per muoversi come persone e cittadini consapevoli, prima ancora che come professionisti, all’interno dei sistemi complessi nei quali si trovano ogni giorno a vivere?

Per un nuovo generalismo

In un’epoca caratterizzata dall’aumento esponenziale delle conoscenze scientifiche e tecniche, i curricula universitari sono divenuti per lo più contenitori di nozioni da apprendere meccanicamente al fine di superare gli esami. Inoltre, l’impostazione sempre più orientata verso l’iperspecializzazione contribuisce a una situazione di “ricatto formativo”, che obbliga lo studente neolaureato a proseguire nel percorso di studi attraversando un “limbo di dequalificazione professionale e lavorativa”, un vuoto formativo, istituzionale e lavorativo tra università e scuola di specializzazione.

Il sapere diviene dunque sempre più iperspecialistico e frammentato, e il medico rischia di trasformarsi esclusivamente in un tecnico competente. Tale impostazione riduzionista e nozionistica, che risente della frattura tipica della cultura positivista tra scienza e agire morale, appare incapace di formare professionisti in grado di affrontare i bisogni delle persone e delle comunità che andranno a servire.

L’iperspecializzazione determina un sempre maggiore allontanamento del (futuro) medico dai luoghi di vita delle persone; la formazione si svolge per lo più in un contesto racchiuso tra ospedale e aule universitarie, impedendo di prendere consapevolezza dei tanti fattori che influenzano la salute nei differenti contesti sociali. L’invecchiamento della popolazione e la crescente prevalenza delle patologie croniche rendono necessario un approccio più ampio, nel quale dare centralità ad aspetti come quelli della prevenzione, della promozione della salute, delle cure primarie e dell’integrazione socio-sanitaria. Per questo riteniamo importante ridurre l’iperspecializzazione per dare spazio a un “nuovo generalismo” che veda salute e malattia nel contesto dell’intera vita delle persone

La necessità di scelte sagge

L’aumento vertiginoso delle possibilità diagnostiche e terapeutiche e la costruzione sociale dell’onnipotenza della biomedicina hanno alimentato un’ingenua fiducia che attribuisce a tale professione la capacità di liberare dal dolore, dalla sofferenza, dalla morte. La pressione sempre maggiore dell’industria farmaceutica e biomedicale contribuisce a una progressiva medicalizzazione di ogni aspetto della vita umana, a fenomeni come quello del disease mongering e alla conseguente induzione di falsi bisogni.

Crescono le aspettative di chi ai servizi sanitari si rivolge, ma cresce anche l’inappropriatezza delle prestazioni, e con essa la spesa sanitaria.

Il contesto di crisi economica e di scarsità (relativa) di risorse richiede invece, con sempre maggiore urgenza, che vengano fatte scelte di priorità nell’allocazione di tale spesa. Crediamo che tali scelte non possano che andare nella direzione dell’equità e dell’universalità nell’accesso alle cure, rifiutando un approccio utilitaristico che segue criteri esclusivamente economici e ricercando giustificazioni prima di tutto sul piano etico e sociale. Riteniamo che, a partire dalla formazione, sia importante lavorare sul concetto di limite e sulla necessità di scelte sagge ed eticamente fondate, orientate a evitare gli sprechi e a lottare contro la corruzione e i conflitti di interesse.

La responsabilità sociale del medico

Sono numerose le evidenze scientifiche che mostrano la diseguale distribuzione delle patologie tra le diverse nazioni e, all’interno delle stesse nazioni, in relazione alla classe sociale (espressa attraverso diversi tipi di indicatori di posizione socio-economica). Queste rimandano alla teoria dei determinanti sociali di salute e alla necessità di agire su tutti i fattori (non semplicemente quelli biologici) in grado di influenzare lo stato di salute dei singoli e delle comunità. Senza voler caricare la medicina di un compito eccessivo, riteniamo necessario richiamare i futuri medici a una più ampia responsabilità sociale, che non si esaurisca all’interno del rapporto medico-paziente, ma che comporti uno sguardo sull’intera società.

Crediamo, infatti, che la figura professionale del medico, proprio in quanto capace di riconoscere e documentare scientificamente le conseguenze concrete del sistema economico e politico sulla vita e la salute delle persone, non possa ritenersi neutrale di fronte alle cause di tali diseguaglianze.

Per questo i medici, e più in generale tutti gli operatori della salute, non possono rinunciare a entrare in relazione con i settori della società e con le discipline che lavorano alla ricerca del bene comune. Riteniamo che tale compito non costituisca un aspetto tecnico e facoltativo, quanto piuttosto un imperativo etico.

Ripensare la formazione medica, una questione sociale

Quelli citati sono solo alcuni esempi che mostrano come la formazione dei futuri medici debba necessariamente implicare sia elementi conoscitivi di natura più ampia sia riflessioni di carattere etico. In altre parole, crediamo che essa debba fornire strumenti per sviluppare un pensiero critico necessario ad affrontare la complessità del reale, e offrire occasioni di esperienze che stimolino una risposta libera e responsabile alle problematiche dell’attuale mondo globalizzato.

Tali problematiche, incorporate esemplarmente in coloro che rimangono ai margini della società e del sistema di cure, mettono anche in luce il limite di ogni agire individuale, legato alla propria persona, al proprio ruolo e alla propria formazione. Per questo ogni risposta, fondata su un reale e critico posizionamento etico, non dovrebbe ispirarsi a coscienze eroiche o volontarismi esasperati, ma riconoscere la necessità di cooperare in senso ampio con tutti i soggetti e le realtà coinvolte. Pensiamo che riflessioni ed esperienze pratiche relative a concetti come solidarietà, responsabilità, giustizia, uguaglianza, limite, pensiero cooperativo abbiano “diritto di cittadinanza” all’interno della formazione medica tanto quanto i classici argomenti della bioetica.

Siamo convinti che la riforma del sistema formativo di area medica non sia un argomento settoriale da affrontare in ambiti specialistici; per questo auspichiamo che si realizzi davvero quel “confronto ampio di tutti gli attori coinvolti” a cui invita la Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

Vista l’attenzione che ciascun componente della RIISG (professionisti sanitari, accademici, studenti, associazioni) dedica al tema della formazione e alla proposta di riforma dei curricula di corsi di laurea che si occupano a vario titolo di salute, ci sentiamo parte in causa in questo confronto e intendiamo partecipare con competenza e motivazione. Crediamo essenziale un forte coinvolgimento degli studenti, principali destinatari dei modelli didattici, quali protagonisti attivi e non semplici fruitori della propria formazione.

Siamo inoltre convinti dell’importanza di far tesoro di punti di vista di altre discipline, che aiutino ad analizzare il contesto di crisi economica ma soprattutto culturale, etica e antropologica nel quale le facoltà di medicina (e più in generale le università) sono coinvolte. Riteniamo tale confronto non un “di più”, ma una necessità legata ai limiti della medicina (così come di ogni altra disciplina), limiti sempre più evidenti all’interno dei sistemi complessi in cui si è chiamati ad agire.

Crediamo sia necessario mettere le basi per una nuova pedagogia della salute e siamo consapevoli che si tratta di un’impresa “culturale, organizzativa, etica, civile e professionale”. Si tratta di prepararsi a formare non solo professionisti ma prima di tutto cittadini, anzi persone, per una società in cui equità e giustizia sociale siano a pieno titolo “strumenti di salute”.

RIISG

(Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale)

marzo 2015

Cita questo articolo

Civitelli G., Familiari G., Rinaldi A., Marceca M., Tarsitani G., RIISG, Responsabilità sociale, salute e formazione in medicina. La proposta della RIISG e un’esperienza con i richiedenti protezione internazionale e rifugiati presso la Sapienza Università di Roma, 66: 2978-2984, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-3