Infezioni sessualmente trasmesse. La formazione specifica del personale sanitarion.71, 2016, pp. 3234-3238, DOI: 10.4487/medchir2016-71-4

Abstract

Sexually transmitted infections (STIs) are a major public health issue, with more than 1 million of cases every day worldwide. More than 30 different bacteria, viruses and parasites are known to be transmitted through sexual contact. Among STIs, syphilis, gonorrhoea, chlamydia, trichomoniasis, together with hepatitis B, herpes simplex (HSV), HIV, and human papillomavirus (HPV) infections show the highest frequency within the population. Additionally, different STIs can also be present or transmitted simultaneously. Currently, surveillance of STIs is reported worldwide by the World Health Organization (WHO) and by the European Center for Disease Control (ECDC). In Italy, sentinel surveillance of STIs is based on a network of clinical centers and microbiology laboratories, both under control of the National AIDS Unit (Centro Operativo AIDS, COA) of the Italian National Institute of Health. Together with an effective surveillance, it’s worth noting that prevention, management and accurate diagnosis of STIs are also strongly required. Therefore, robust educational training for clinicians and health workers, based on integrated knowledge of all the different subjects involved, is a cornerstone to strategically plan and implement effective interventions on STIs. Training courses specifically addressed to medical students will provide strong knowledge of different STIs’ aspects, may enhance diagnostic ability, and also improve treatment and management of patients with, or at risk of STIs.

Parole chiave: IST, formazione, medici, personale sanitario

Keywords: STIs, training, clinicians, health workers.

Articolo

Le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST) costituiscono un gruppo di malattie infettive molto diffuse che interessano milioni di individui ogni anno in tutto il mondo1-2. Attualmente si conoscono circa trenta quadri clinici di IST, la cui eziologia è riconducibile all’infezione da microrganismi diversi a trasmissione sessuale: batteri, virus e parassiti3. Le IST rappresentano un problema rilevante per la salute pubblica in tutto il mondo, interessando soprattutto i giovani tra i 15 e i 24 anni. Esse causano, inoltre, gravi conseguenze a medio e lungo termine, tra cui: endometrite, salpingite, malattia infiammatoria pelvica, sterilità, infertilità, gravidanza ectopica, aborto spontaneo, parto prematuro, epididimite, infezioni neonatali, carcinomi della sfera genitale ed extra-genitale (HPV), epatocarcinoma (HBV). Queste hanno un forte impatto sia a livello individuale che di sanità pubblica, senza contare la sinergia tra IST e HIV che continua a mietere vittime in tutto il mondo.

Sorveglianza Europea: situazione al 2013

In Europa, l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) coordina la sorveglianza europea di cinque IST (clamidia, gonorrea, sifilide, sifilide congenita, linfogranuloma venereo) in 30 Paesi dell’Unione Europea (UE) e dello Spazio Economico Europeo (SEE)4.

Dagli ultimi dati a disposizione è emerso che, tra le cinque IST sorvegliate da ECDC, l’infezione da Chlamydia è la IST più frequentemente segnalata in Europa, con un numero crescente di casi ogni anno (Fig. 1). Questa tendenza riflette il miglioramento e l’incremento dei test di diagnosi, dei sistemi di sorveglianza e dei programmi di screening in numerosi Paesi europei. Nel 2013, 384.555 casi di infezione da Chlamydia trachomatis (Ct) sono stati segnalati in 26 Stati dell’UE/SEE, pari a un tasso di incidenza di 182 casi per 100.000 abitanti. Questa infezione colpisce di più le donne, con un tasso di incidenza, nel 2013, di 207 casi per 100.000 donne, rispetto ai 153 casi per 100.000 uomini. Oltre due terzi (67%) di tutti i casi di Ct sono stati segnalati nei giovani tra i 15 e i 24 anni. La distribuzione per età dei casi è significativamente influenzata dai test di diagnosi utilizzati e dal programma di screening attivato nel Regno Unito, che segnala il 61% di tutti i casi di infezione da Ct e che si rivolge specificatamente ai giovani4.

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L’infezione da Neisseria gonorrhoeae (Ng), la gonorrea, è la seconda IST più segnalata in Europa (Fig. 1), con 52.995 casi riportati nel 2013 da 28 Stati dell’UE/SEE, pari a un tasso d’incidenza di 16,3 casi per 100.000 abitanti. Essa colpisce di più gli uomini, con un tasso di incidenza, nel 2013, triplo rispetto a quello delle donne (28,9 casi su 100.000 uomini vs. 9,7 casi su 100.000 donne). Il 39% di tutti i casi di gonorrea sono stati segnalati in giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni e oltre un terzo (43%) in giovani maschi che fanno sesso con altri maschi (MSM)4.

Per quanto riguarda l’infezione da Treponema pallidum (Tp), nel 2013, sono stati segnalati 22.237 casi di sifilide da parte di 29 Stati dell’UE/SEE, pari a un tasso di incidenza di 5,4 casi per 100.000 abitanti (Fig. 1). La sifilide colpisce di più gli uomini, con un tasso di incidenza, nel 2013, cinque volte superiore rispetto alle donne (8,4 casi per 100.000 uomini vs. 1,6 casi per 100.000 donne). Solo il 14% di tutti i casi di sifilide sono stati segnalati in giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, mentre la maggior parte dei casi è stata segnalata al di sopra dei 25 anni, e più della metà (58%) in MSM (4).

Sorveglianza Italiana: situazione al 2013

In Italia, le informazioni disponibili sulla diffusione nazionale delle IST provengono dal Ministero della Salute e sono relative alle sole malattie a notifica obbligatoria, cioè gonorrea, sifilide e pediculosi del pube5. La notifica obbligatoria dovrebbe garantire una copertura nazionale dei casi per tali patologie ma non sempre viene rispettata, comportando una sottostima del numero di casi per queste tre patologie. Inoltre, non ci sono dati su altre IST rilevanti, quali le infezioni da clamidia, da trichomonas, i condilomi ano-genitali, l’herpes genitale, solo per citare le principali. Per sopperire alla mancanza di dati sulle altre IST, su raccomandazione di direttive internazionali6-7, in Italia è stata attivata nel 1991 la sorveglianza sentinella delle IST basata su centri clinici e nel 2009 la sorveglianza sentinella delle IST basata su laboratori di microbiologia clinica6,8-12.

Sistemi di sorveglianza sentinella basati su centri clinici attivi in Italia dal 1991

A questi partecipano centri clinici pubblici, specializzati nella diagnosi e cura delle IST e coordinati dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità. I centri clinici segnalano tutti i pazienti con una diagnosi confermata di IST, raccolgono informazioni socio-demografiche, comportamentali e cliniche individuali e offrono a tutti i pazienti il test HIV, segnalando il sierostato HIV di ciascun testato. La raccolta e l’invio dei dati avviene tramite un sistema di segnalazione online via web. In questi anni, tale sistema ha consentito di conoscere l’andamento delle diagnosi di diversi quadri clinici di IST in Italia, nonché di valutare la diffusione dell’infezione da HIV nei soggetti con una nuova IST, soprattutto in popolazioni più a rischio (ad esempio, stranieri, MSM, giovani).

Dal 1° gennaio 1991 al 31 dicembre 2013, il Sistema di sorveglianza ha segnalato un totale di 103.028 nuovi casi di IST. Il numero dei casi è rimasto stabile fino al 2004, con una media di 3.994 casi di IST segnalati per anno; successivamente, dal 2005 al 2013, le segnalazioni (5.235 casi medi per anno) hanno subito un incremento pari al 31,1% rispetto al periodo 1991-200413-14. Nell’intero periodo, il 70,4% (n. 72.524) dei casi di IST è stato diagnosticato in uomini e il 29,9% (n. 30.504) in donne. L’età mediana dei soggetti segnalati è stata di 31 anni (range interquartile – IQR, 26-40 anni). Il 19,4% (n. 18.889) dei soggetti con IST era di nazionalità straniera, di questi la maggior parte proveniva da altri Paesi europei e dall’Africa (40,7% e 29,7 %, rispettivamente)13-14.

L’andamento dei casi di sifilide I-II è rimasto relativamente stabile fino al 2000. Successivamente, i casi di sifilide I-II hanno evidenziato un aumento rilevante: nel 2005 si è osservato un aumento delle diagnosi di circa cinque volte rispetto al 2000 e, in seguito, una riduzione fino al 2012. Tra il 2012 e il 2013 c’è stato un lieve aumento di casi di sifilide I-II, che sono passati da 337 casi del 2012 a 397 del 2013 (Fig. 2). Le segnalazioni di gonorrea hanno mostrato una riduzione fino al 1999 e un successivo aumento di due volte tra il 1999 e il 2006 (si è passati da 189 casi del 1999 a 427 casi del 2006), per poi diminuire e stabilizzarsi fino al 2013 (335 casi segnalati) (Fig. 2).

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I casi di infezione da Ct hanno mostrato una costante riduzione fino al 2002 e un successivo aumento di due volte e mezzo tra il 2002 e il 2013, passando da 192 casi del 2002 a 471 casi del 2013 (Fig. 2)13-14.

Tra le due principali IST virali (Fig. 3), il numero annuo di segnalazioni di condilomi ano-genitali è rimasto costante fino al 2004 per poi mostrare un progressivo incremento raggiungendo il picco massimo nel 2013 (1.312 casi nel 2004 vs 3.362 casi nel 2013). L’herpes genitale ha mostrato una riduzione delle segnalazioni tra il 1991 e il 2004 e un successivo lieve aumento, da 243 casi del 2004 a 425 casi nel 2013; tuttavia, le segnalazioni di herpes genitale sono rimaste sempre numericamente inferiori a quelle dei condilomi ano-genitali13-14.

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Dei 103.028 pazienti con una nuova IST segnalati dal 1991 al 2013, 71.559 (69,5%) hanno effettuato un test anti-HIV al momento della diagnosi di IST. Dei 71.559 soggetti con IST testati per HIV, 5.295 sono risultati HIV positivi, pari a una prevalenza di 7,4% (IC 95%: 7,2%-7,6%).

Nei soggetti con IST si osserva un decremento della prevalenza HIV con alcuni picchi specifici (Fig. 4). La più alta prevalenza di HIV si è osservata nel 1997 (11,0%), mentre la più bassa nel 2008 (4,7%). Dopo il 2008, si è assistito a un incremento della prevalenza HIV fino all’8,4% del 2013 (Fig. 4).

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Negli uomini eterosessuali con IST, si è osservata una riduzione della prevalenza HIV dal 5,6% del 1991 all’1,3% del 2005; successivamente si è assistito a un lieve aumento con una stabilizzazione fino al 2,4% del 2013 (Fig. 4). Nelle donne con IST, si è osservata una riduzione della prevalenza HIV dal 7,9% del 1991 all’1,6% del 2006 e poi una stabilizzazione fino all’1,8% del 2013 (Fig. 4). Negli MSM con IST, la prevalenza HIV si è notevolmente ridotta, passando dal 28,0% del 1991 al 10,8% del 2008, successivamente si è assistito a un aumento fino al 25,0% del 2013 (Fig. 4).

Sistemi di sorveglianza sentinella basati sui laboratori di microbiologia clinica in Italia dal 2009

Alla seconda sorveglianza, nata dalla collaborazione tra il COA e il Gruppo di Lavoro Infezioni Sessualmente Trasmesse (GLIST) dell’Associazione Microbiologi Clinici Italiani (AMCLI), partecipano laboratori di microbiologia clinica. Sono incluse nella sorveglianza le seguenti IST: infezione da Ct, da Ng e da Trichomonas vaginalis (Tv). I laboratori di microbiologia clinica raccolgono per ogni persona testata per le suddette IST dati socio-demografici, comportamentali e clinici, poi inviati tramite un sistema di segnalazione online via web6,8-9,11-14.

Dal 1° aprile 2009 al 31 dicembre 2013 i laboratori di microbiologia clinica hanno segnalato 93.403 campioni, analizzati per un’indicazione di approfondimento diagnostico per almeno una delle tre infezioni. Sono stati segnalati in media 18.681 campioni all’anno (minimo: 15.845; massimo: 21.366).

L’87,7% (n. 81.886) degli individui da cui sono stati prelevati i campioni era costituito da donne e il 12,3% (n. 11.517) da uomini. L’età mediana è stata di 35 anni (IQR 29-40 anni). Il 15,0% (n. 13.906) degli individui da cui sono stati prelevati i campioni era costituito da stranieri; di questi, il 60,6% proveniva da altri Paesi europei, il 19,0% dall’Africa, l’11,2% dall’America e il 9,1% dall’Asia e dall’Oceania (13-14). Nell’intero periodo, la prevalenza di Ct è risultata più elevata tra i soggetti di età 15-19 anni, rispetto ai soggetti con più di 19 anni (8,2% vs 3,1%) ed è diminuita al crescere dell’età, dall’8,2% tra i soggetti di 15-19 anni, all’8,1% tra i soggetti di 20-24 anni, al 3,3% tra i soggetti di 25-34 anni, all’1,8% tra i soggetti di età superiore ai 34 anni (Fig. 2).

Percorsi di formazione sulle IST:  conoscere per diagnosticare

Al di là della sorveglianza epidemiologica che riveste un ruolo chiave nella quantificazione, nell’individuazione dei determinanti e dei rischi e nella valutazione dell’impatto delle IST, la formazione degli operatori sanitari è fondamentale. Attualmente, la consapevolezza e capacità di riconoscere le manifestazioni cliniche delle IST o i loro fattori di rischio è relativamente scarsa. La scarsa formazione specifica dei medici e del personale sanitario porta spesso ad interpretazioni erronee di sintomatologie subdole, conducendo a trattamenti inadeguati e costosi. Per quanto riportato, appare evidente l’importanza di una solida formazione nel campo delle IST rivolta a tutti gli operatori nel settore, quali medici di medicina generale, medici specialisti, infermieri, tecnici di laboratorio e psicologi.

Situazione attuale del CLM in M&C

Attualmente il Core Curriculum dei corsi di Laurea Magistrale in M&C, ovvero il complesso di conoscenze, competenze, abilità e comportamenti che tutti i neo-laureati devono aver acquisito in modo completo e permanente per l’esercizio della professione (le cosiddette UDE: Unità Didattiche Elementari), prevede l’insegnamento dei vari aspetti di fisiopatologia, clinica, diagnosi e terapia delle IST nell’ambito di numerosi corsi integrati compresi tra il secondo e il quinto anno del corso di laurea, quali i corsi di Microbiologia, Medicina di laboratorio, Dermatologia e chirurgia plastica, Farmacologia e tossicologia, Endocrinologia, Ginecologia, Urologia, Medicina della riproduzione, Malattie infettive e Igiene e Sanità Pubblica. Ciascuna di queste discipline è compresa nell’ambito di corsi delle patologie integrate, che includono al loro interno l’insegnamento e il raggiungimento di obiettivi di conoscenze e competenze appartenenti a più settori. Questa modalità consente allo studente di medicina di affrontare i molteplici aspetti delle IST in diversi momenti e livelli della sua formazione e da vari punti di vista. L’assenza di un vero e proprio corso dedicato alla materia che ne preveda l’insegnamento nel suo insieme può determinare frammentarietà e assenza di una visione completa, in particolar modo per ciò che riguarda la gestione clinica.

I punti focali della formazione degli studenti (ma anche degli altri operatori sanitari) nell’ambito delle IST dovrebbero essere mirati alla prevenzione, al monitoraggio e all’approccio del paziente. In questo ambito, gli studenti dovrebbero essere messi a conoscenza del Piano Nazionale della Prevenzione del Ministero della Salute15 sulle IST ed i relativi aggiornamenti, nonché delle reti di sorveglianza europea e nazionale al fine di aumentare la coscienza del problema, riconoscere i comportamenti a rischio, riconoscere le IST e quantificarne l’impatto, conoscere gli interventi di prevenzione in atto e da attuare. Infine, sarebbe necessario che gli operatori sanitari acquisissero competenze specifiche che tengano conto anche dell’eterogeneità della popolazione che si accosta ai servizi di prevenzione e diagnosi, in termini culturali, sociali e religiosi.

Proposta per la formazione di medici ed operatori sanitari

Come per altri settori relativi alla prevenzione e agli stili di vita, sarebbe utile che la Conferenza permanente dei Presidenti dei CLM in M&C valutasse l’opportunità di un breve (1 CFU) momento di riepilogo e sintesi nella parte finale e più professionalizzante del corso. Anche per quanto concerne la formazione dei medici specialisti, sono diversi i Corsi di Specializzazione, afferenti all’area medica, chirurgica e dei servizi, che includono all’interno del loro percorso di preparazione, l’acquisizione di competenze nell’ambito delle IST: Dermatologia e venereologia – Endocrinologia e malattie del metabolismo – Farmacologia e tossicologia clinica – Ginecologia ed ostetricia – Igiene e medicina preventiva – Malattie infettive e tropicali – Medicina interna – Medicina tropicale – Microbiologia e virologia – Oftalmologia – Patologia clinica e biochimica clinica – Urologia (solo per citare i principali). L’approccio alle IST, infatti, prevede senza dubbio una stretta collaborazione tra più figure professionali. Tuttavia, ciò può rappresentare un limite in ambito formativo poiché, si corre il rischio di settorializzare la conoscenza così che i ginecologi siano preparati ad affrontare solo le IST femminili, così come gli endocrinologi-andrologi le maschili, venendo a mancare una figura realmente preparata ad affrontare le IST dal punto di vista complessivo: preventivo, clinico-diagnostico e terapeutico. Questa carenza formativa è in parte responsabile dell’assenza del medico di medicina generale dalla scena del controllo delle IST. Questa figura sarebbe invece fondamentale nel seguire con visite di controllo periodiche i pazienti adolescenti ereditati dai colleghi pediatri, per monitorarne lo sviluppo,  fornire un’informazione corretta sulle IST e costituire un primo punto di riferimento in caso di problematiche della sfera genitale/sessuale.

Un elemento fondamentale nell’acquisizione di competenze nella gestione delle IST (specie in un mondo in cui i flussi migratori pongono all’attenzione del medico patologie fino a poco tempo fa sconosciute o dimenticate nel nostro SSN), consiste nell’esperienza. Sempre più spesso, purtroppo,  nell’ambito di strutture della rete formativa delle Scuole di Specializzazione, comprensive di più Unità Operative Complesse, la pratica clinica delle IST è appannaggio esclusivo dei centri iper-specialistici, a svantaggio di altri che dovrebbero comunque averne le competenze. Talvolta, inoltre, nella struttura di sede della Scuola, può essere del tutto assente un centro per le IST, venendo meno del tutto la pratica clinica del medico in formazione, a cui vieni fornita solo la conoscenza teorica.

Ancora più complesso è il tema relativo alla formazione dei Medici di Medicina Generale e delle Professioni Sanitarie, dove si registra spesso una certa frammentarietà nella preparazione dovuta a situazioni contingenti per cui l’approfondimento durate i corsi di formazione è legato esclusivamente alla competenza del singolo docente. Infine, i corsi di Educazione Continua in Medicina (ECM) e formazione a distanza (FAD) inerenti le IST che dovrebbero riqualificare il personale già laureato e operante sul territorio, sono poco frequenti e insufficienti nel numero (e anche nella non obbligatorietà) per colmare le lacune lasciate dai corsi di formazione di base e ad aggiornare i medici del territorio. Da tutto ciò, si evince la necessità di organizzare a tutti i livelli dei corsi di formazione e aggiornamento, atti a fornire competenze specifiche in merito alle IST, che tengano conto dei determinanti sociali e culturali della salute e malattia, delle barriere d’accesso delle popolazioni affette da IST ai servizi sanitari e della necessità d’integrazione fra i ruoli delle diverse figure professionali per garantire l’efficacia dell’intervento.

In conclusione, si propone la pianificazione di corsi sulle IST durante il CLM, così come nella formazione post-laurea, al fine di garantire la formazione di operatori sanitari capaci di effettuare accurate segnalazioni dei casi di IST, garantire la corretta informazione sulla prevenzione a livello comportamentale e vaccinale,  gestire il paziente infetto e ottimizzare l’appropriatezza nella richiesta di esami e nella prescrizione di farmaci.

Bibliografia

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3) Linee guida Infezioni Sessualmente Trasmissibili – Società Italiana Urologia (SIU 2012)

4) Progress report of the implementation of the global strategy for prevention and control of sexually transmitted infections: 2006–2015 – Document for the World Health Assembly. WHO, 2015.

5) Decreto Ministeriale del 15.12.90. Nuova definizione delle malattie infettive sottoposte a denuncia obbligatoria (Gazzetta Ufficiale, 8 gennaio 1991, n. 6).

6) World Health Organization. Management of patients with sexually transmitted diseases. Technical Report Series, 810. Geneva: WHO; 1991.

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10) The European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC). Surveillance of communicable diseases in the European Union. A long-term strategy: 2008–2013. Stockholm: ECDC.

11) The European Centre for Disease Prevention and Control. Long-term surveillance strategy 2014–2020. Stockholm: ECDC; 2013.

12) Salfa MC, Regine V, Ferri M, et al. Le Infezioni Sessualmente Trasmesse: i dati dei due sistemi di sorveglianza sentinella attivi in Italia. Not Ist Super Sanità 2014;27(4):3-39.

13) Salfa MC, Regine V, Giuliani M, et al. La Sorveglianza delle Infezioni Sessualmente Trasmesse basata su una Rete di Laboratori: 16 mesi di attività. Not Ist Super Sanità 2010; 23(10):11-15.

14) Salfa MC, Ferri M, Suligoi B, et al. Le Infezioni Sessualmente Trasmesse: aggiornamento dei dati dei due sistemi di sorveglianza sentinella attivi in Italia al 31 dicembre 2014. Not Ist Super Sanità 2016. 29(2):3-40.

15) Piano Nazionale della Prevenzione 2014-2018. Ministero della Salute, 2014.

Cita questo articolo

Ambrosi C., Suligroi B., Palamare A.T., Infezioni sessualmente trasmesse. La formazione specifica del personale sanitario,  Medicina e Chirurgia, 71: 3234-3238, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-4

Il “Core Curriculum” italiano, storie di ieri e di oggi. Gli inizi, l’evoluzione, le prospettiven.68, 2015, pp3079-3084, DOI: 10.4487/medchir2015-68-1

Abstract

The article tells the history of the birth of the “core curriculum” for the degree course in Medicine, indicates its reasons and recalls the steps – challenging and sometimes troubled – of its evolution. The analysis of how the “core” characteristics have changed over time and of their limits suggests directions for future development of the project, so as to make the “core” ever more responsive both to the teachers expectations and students needs, serving as a valuable tool for the professional training of future doctors.

Articolo

All’inizio del terzo millennio le Facoltà di Medicina italiane avevano fatto già un lungo percorso di rinnovamento: ben tre riforme successive dell’Ordinamento degli Studi – la famigerata Tabella XVIII – e i Decreti d’Area avevano nel tempo cambiato notevolmente i connotati dei Corsi di Laurea (CdL); erano scomparsi i corsi complementari, ma si erano moltiplicati gli esami obbligatori fino ad arrivare a superare la cinquantina; in teoria l’istituzione dei così detti “corsi integrati” avrebbe dovuto limitare le verifiche d’esame a poco più di trenta, ma di fatto l’integrazione di più insegnamenti non si è mai verificata realmente, perché ogni docente ha continuato a insegnare la propria disciplina e a volerne verificare di persona e in modo sostanzialmente autonomo l’apprendimento; ogni docente ha continuato a stabilire altrettanto autonomamente il programma del proprio insegnamento, che era costituito per lo più dai titoli dei capitoli dei libri di testo consigliati.

La scomparsa degli insegnamenti di Patologia speciale medica e chirurgica, sostituite dalle patologie sistematiche di organi e apparati,  rappresenta l’esempio più eclatante di frammentazione disciplinare, sancita dai settori scientifico-disciplinari (SSD); questi, correlati  ai concorsi  a cattedra (cioè alla carriera dei docenti) poco avevano a che vedere con l’apprendimento degli studenti; questi ultimi, per fare tanti esami in poco tempo, si arrabattavano a chiedere e rincorrere appelli d’esame, continuando a spuntarne di straordinari nonostante l’Ordinamento teoricamente non lo consentisse.

Così si perdevano le correlazioni interdisciplinari, si parcellizzava il sapere medico e l’apprendimento degli studenti era simile alla memoria dagli audioregistratori: bisognava memorizzare in breve tempo un po’ di nozioni, anziché “digerirne” parecchie di più in tempi più lunghi (ai miei tempi Patologia medica si preparava in almeno otto mesi); erano nozioni tratte per lo più dagli appunti delle lezioni, che spesso riassumevano il contenuto dei libri di testo; superato un esame, il nastro della memoria rischiava la cancellazione per far posto alle nozioni di un esame successivo; l’attività didattica si espletava con ore e ore di lezioni frontali, perché ogni docente esigeva la porzione di tempo ritenuta irrinunciabile per il proprio insegnamento.

Naturalmente i programmi dei vari esami (spesso anche quelli degli insegnamenti confluenti in un corso integrato) erano del tutto scoordinati e non era un’eccezione se lo stesso argomento veniva insegnato – talvolta con contenuti differenti – da docenti diversi, mentre argomenti anche importanti non venivano insegnati da nessuno perché ciascuno, se non rientrava nei propri interessi di ricerca,  pensava che facesse parte del programma di altri; la cosa comica per non dire drammatica era che tutto ciò non veniva nemmeno percepito dagli studenti, che ovviamente s’impegnavano a memorizzare e a raccontare all’esame – praticamente solo nozionistico – la “verità” il docente del momento aveva proclamato a lezione.

Nonostante fosse scritto a tutte lettere nell’Ordinamento che i crediti formativi dovevano misurare il tempo globale d’impegno dello studente – non solo quello della frequenza, ma anche quello dello studio indipendente – in realtà continuavano a misurare le ore d’insegnamento dei docenti, e la loro quantità ne indicava l’importanza e il prestigio; l’equivoco interpretativo dei crediti era purtroppo rafforzato dall’abitudine burocratica nella programmazione dei corsi di assegnare i crediti ai SSD, nonostante alcuni di noi (in verità pochi) s’intestardissero a ricordarne il significato primigenio.

Insomma, quella sopra descritta era una Facoltà di Medicina sicuramente migliore di quella dei tempi precedenti, e ciò per merito soprattutto dell’impegno dei Presidenti dei Corsi di Laurea nell’applicare le riforme; uno dei sintomi di miglioramento era sicuramente la diminuzione degli studenti fuoricorso, perché la semestralizzazione e la temporizzazione degli esami costringeva gli studenti a mantenere un ritmo serrato, ma in fondo produttivo. Tuttavia non si può certo dire che fosse una Facoltà “student centered”: infatti continuava a essere organizzata per rispettare le esigenze dei docenti, più che i bisogni di apprendimento degli studenti, che avrebbe dovuto finalizzarsi alla formazione professionale e non alla mera erudizione nozionistica.

Gli inizi

In questo contesto l’intuizione e la volontà di Giovanni Danieli, allora Presidente della Conferenza, portava all’attenzione dei Presidenti di CdL la necessità di definire un programma curriculare che eliminasse le ridondanze ed evitasse le omissioni gravi, cioè prendesse in seria considerazione la necessità di un “core curriculum”.

La prima rappresentazione iconica del “core” fu suggerita dal Prof. Aldo Torsoli ([1]), allora Presidente del Corso di Laurea parallelo alla Facoltà medica romana della “Sapienza”: consisteva nelle rappresentazioni successive sempre più semplici ed essenziali del toro di Pablo Picasso (Fig. 1).

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Il punto di partenza non poté che essere la raccolta dei migliori programmi d’insegnamento, nei quali gli argomenti erano espressi nei termini descrittivi dei contenuti delle varie discipline. Su questa notevole mole di dati una prima commissione s’impegnò nel cercare di distinguere le cose importanti dalle meno importanti per la formazione iniziale di medici non specialisti, ma l’impresa fu tutt’altro che facile perché si scontrò con le Società scientifiche delle molte discipline, ciascuna delle quali difendeva a spada tratta il proprio dominio di conoscenze a prescindere dalla loro effettiva utilità per la formazione degli studenti.

Il risultato fu ben diverso da quello rappresentato dalla definizione di “core curriculum” inteso come “il complesso di contenuti essenziali (conoscenze, competenze, abilità e comportamenti) che tutti i neo-laureati debbono acquisire in modo completo e permanente per l’esercizio iniziale della professione, e che saranno le fondamenta della formazione permanente”.

Si trattava sostanzialmente di un vasto elenco di conoscenze teoriche – che certamente non distinguevano competenze, abilità e comportamenti – l’apprendimento permanente delle quali, se mai fosse stato possibile, avrebbe occupato ben più dei sei anni del corso di studi medici. Tuttavia non fu un lavoro inutile perché per lo meno fece un inventario ordinato di argomenti con il consenso univoco sulla loro denominazione, e inoltre indusse una presa di coscienza sulla necessità di classificare questi argomenti nei campi del sapere: sapere, saper fare e saper essere, tentando la distinzione tra l’essenziale e l’accessorio.

Si era ancora lontani dalla trasformazione dei contenuti da insegnare in contenuti da apprendere sotto forma di obiettivi educativi specifici, definibili come “ciò che lo studente deve diventare capace di realizzare grazie all’apporto del corso” e non come ciò che il docente deve insegnare; si cominciò comunque la strada lunga e inizialmente accidentate per la trasformazione dei programmi d’ insegnamento in programmi di apprendimento.

L’evoluzione

La Conferenza dei Presidenti di CdL diede comunque il mandato di proseguire in questa direzione a una  commissione ad hoc, della quale hanno fatto parte per parecchi anni, oltre al sottoscritto, Aldo Tommasi, Eugenio Gaudio, Antonio Gaddi e Giancarlo Torre; e questa commissione s’impegnò a fondo tenendo come modello a cui ispirarsi, ancorché impossibile al momento da realizzare, le Blueprint della Facoltà olandese di medicina di Maastrich ([1]).

Per ovviare alla difficile “digeribilità” degli obiettivi educativi specifici, ci si avvicinò ad essi con la trasformazione dei contenuti dell’apprendimento in unità didattiche elementari (UDE), definite come “particelle del sapere medico con un contenuto tematico circoscrivibile e coerente, caratteristiche didattico-pedagogiche omogenee, descritte in un linguaggio comprensibile in modo univoco dagli studenti e dai docenti e verificabili nel grado di apprendimento”.

Ma se le UDE connotavano di fatto i contenuti da apprendere, dovevano coincidere con un’azione – e quindi con un verbo – che indicava per l’appunto che cosa lo studente doveva dimostrare di aver appreso e quindi di saper realizzare. Tuttavia l’individuazione di questo verbo fu tutt’altro che facile e spesso solo parziale; oltre a ciò i verbi più frequentemente utilizzati furono: descrive, illustrare, indicare, enumerare, ecc., cioè tutte azioni che connotano la memorizzazione di conoscenze teoriche.

In altri termini si era ben lontani dal considerare i livelli tassonomici più “nobili” del sapere, cioè quelli che riguardano l’interpretazione di dati e di fenomeni, l’applicazione delle conoscenze alla soluzione di problemi e l’assunzione motivata di decisioni, cioè quelle competenze che connotano l’esercizio della professione medica.

Inoltre, da una parte restava il collocamento esclusivo nel primo triennio degli insegnamenti pre-clinici, costituiti per lo più da conoscenze teoriche, l’applicazione delle quali sarebbe avvenuta nella migliore delle ipotesi due o tre anni dopo; dall’altra negli insegnamenti clinici persisteva la prevalenza del sapere pure teorico, presente per esempio nelle patologie sistematiche, mentre faticavano a trovare una formalizzazione esplicita la capacità di risolvere problemi e di prendere decisioni, e – in misura ancor maggiore – le abilità pratiche sia gestuali che relazionali.

Questa situazione appariva difficilmente modificabile fino a quando non fossero cambiate le metodologie didattiche, affiancando in modo sostanzioso alla lezione ex cathedra – idonea alla trasmissione di conoscenze teoriche – l’apprendimento in piccoli gruppi assistiti da tutori basato sulla soluzione ragionata di problemi; e fino a quando la verifica dell’ apprendimento continuasse a consistere nell’esame orale con la domanda standard “mi parli di …”, al massimo affiancato da un test scritto con domande a scelta multipla di natura quasi esclusivamente nozionistica.

Questi cambiamenti non si verificano facilmente, e comunque richiedono periodi lunghi. Quindi ciò che potevano realisticamente proporsi le successive “Commissioni per il core curriculum” non era la rivoluzione, bensì dovevano accontentarsi di migliorare l’esistente.

E così alcuni di noi impiegarono una parte cospicua delle ferie estive per riscrivere gran parte delle UDE, in modo che tutte iniziassero con un verbo capace di connotare un’azione verificabile; che il verbo indicasse chiaramente le conoscenze, le competenze e le abilità, e distinguesse per tutte il livello tassonomico e le metodologie didattiche preferenziali, come riportato in Tab. 1.

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Inoltre, gli ambiti disciplinari riferibili ai SSD furono sostituiti dagli ambiti culturali integrati, in ciascuno dei quali venivano raggruppate le UDE che presentavano affinità culturali e quindi erano più facilmente suscettibili di integrazioni reciproche (per lo più di tipo “orizzontale”, ma quando possibile anche “verticale”); la denominazione degli ambiti culturali cercava di evitare le denominazioni disciplinari tradizionali proprio per facilitare le integrazioni dei contenuti, nella prospettiva di costruire una formazione professionalizzante, cioè capace di rispondere ai bisogni prioritari di salute attraverso l’esercizio dei compiti pertinenti allo specifico profilo professionale.

Infine, fu fatto anche un tentativo di quantificazione dell’impegno temporale medio – rispettivamente dei docenti e degli studenti – richiesto da ciascuna UDE, per consentire l’attribuzione corretta dei crediti formativi in funzione del “tempo studente”, come previsto dall’Ordinamento.

Tutte queste modifiche furono rese palesi dall’inserimento del “core” in un data base piuttosto sofisticato, consultabile agevolmente on line dal sito web della Conferenza (presidenti-medicina.it).

Contemporaneamente furono intraprese iniziative di pubblicizzazione del “core” con la sua presentazione ai Consigli di Corso di Laurea che ne facevano richiesta e con la pubblicazione di un numero straordinario di Medicinae e Chirurgia (n. 3) e la comunicazione delle modifiche in articoli periodicamente pubblicati sulla stessa rivista.

Il “core” nazionale restava comunque una proposta esemplificativa, alla quale ogni CdL poteva ispirarsi liberamente nella propria autonomia decisionale, adattando il risultato finale alle caratteristiche peculiari di ogni Sede.

Dal presente verso il futuro

Nonostante l’impegno profuso, alla fine della prima decade di applicazione il “core” aveva ancora – almeno a mio modesto avviso – i seguenti limiti: con le sue oltre 2000 UDE presentava dimensioni eccessive; infatti i suoi contenuti dovrebbero essere “a fortiori” commisurati alle dimensioni effettive del contenitore, che è dato dai sei anni del corso di studi e dal tempo che in essi può essere dedicato effettivamente all’insegnamento e soprattutto all’apprendimento, dovere che è imprescindibile in un progetto formativo “student centered”.

Da allora la manutenzione del “core” si è esercitata soprattutto nel colmare conoscenze che il progresso medico-scientifico ha continuato a produrre in modo esponenziale, il che fatalmente non può non aumentare ulteriormente il numero totale delle UDE.

Tuttora continuano a prevalere le UDE di contenuti teorici a basso livello tassonomico, cioè conoscenze da memorizzare più che competenze e abilità da imparare per saperle esercitare in un’ottica professionalizzante; vi persistono contenuti non essenziali; non poche UDE sono definite ancora in modo impreciso e frammentario, con l’incompleta indicazione dei livelli tassonomici; scarsa è l’interdisciplinarietà dei contenuti, perché persistono ancora in modo eccessivo l’impronta disciplinare e la tentazione perenne di far coincidere le UDE con i SSD, anche se di fatto questi attengono alle competenze scientifiche dei docenti, non ai contenuti specifici dei loro insegnamenti, che – va ripetuto fino alla noia -dovrebbero essere orientati alla formazione professionale iniziale dei futuri medici; la persistenza di tali limiti è confermata dal fatto che non sembra sia stato ancora unanimemente recepito nel suo significato pregnante l’attribuzione delle UDE agli ambiti culturali integrati, operazione che rappresenta per l’appunto il tentativo concreto di rompere le barriere disciplinari.

Sicuramente una prospettiva positiva è data dall’impegno che negli ultimi anni la Conferenza ha posto nel valorizzare le attività didattiche professionalizzanti, che peraltro dovranno considerare nel “core curriculum” oltre alle competenze tecniche anche quelle metodologiche, riguardanti le abilità, le qualità e le attitudini necessarie per esercitare con competenza ogni professione sanitaria e precisamente: abilità cognitive quali le capacità di osservare, comprendere, interpretare, decidere, raccogliere e comunicare dati e informazioni; qualità personali consistenti nella capacità di gestire le situazioni mutevoli (tra le quali rientra anche l’imparare a imparare, che consentirà ai laureati di continuare ad apprendere cose nuove per tutto il loro futuro professionale); attitudini sociali consistenti nel rispetto delle regole dell’etica, della legge e dell’economia.

In ogni caso un segno positivo è l’imminente istituzione della laurea abilitante, che potrebbe ispirare dopo 15 anni dalla nascita un’evoluzione rivoluzionaria del “core curriculum” anche nel suo formato.

Se oggi si vuole procedere non solo alla manutenzione, ma all’attualizzazione del “core” secondo le esigenze di formazione dei medici del terzo millennio, bisognerà infatti porre rimedio ai limiti attuali che poco sopra ho cercato di tratteggiare sinteticamente.

E allora la prima cosa da fare è quella di ridurre drasticamente il numero delle UDE: infatti il “core curriculum” per definizione non può essere la “summa” dello scibile biomedico; deve invece contenere le basi della professione medica, quelle che si richiedono al momento della laurea magistrale: infatti in pratica nessun medico, nemmeno con la laurea professionalizzante, eserciterà pienamente la professione prima di aver completato il suo iter scolastico con l’acquisizione di un’ulteriore formazione, sia essa specialistica o generalistica. Pertanto ciò che si deve fornire al neolaureato sono gli strumenti indispensabili per perfezionare questa formazione, che peraltro non sarà mai completa perché dovrà continuare per tutta la vita professionale (lifelong learning).

Se tutto ciò è vero, sarà necessario scegliere e inserire nel “core” solo le conoscenze, le competenze e le abilità necessarie e sufficienti per gli sviluppi futuri; in questa ottica mi piace paragonare il neolaureato in medicina a una “uncommitted stem cell”, che solo successivamente acquisirà i propri connotati specifici.

Solo per rendere più chiaro questo concetto vale la pena ricordare il travaglio delle “Commissioni core” nella scelta delle abilità pratiche: dopo la stesura di un elenco onnicomprensivo di oltre 150 abilità si prese coscienza che il loro apprendimento avrebbe costituto uno sforzo vano perché mai un neolaureato (come del resto nemmeno un medico maturo) sarebbe diventato capace di esercitarle con una performance soddisfacente e in modo autonomo; così la loro quantità via, via si ridusse al numero realisticamente ragionevole di quelle veramente irrinunciabili, cioè di quelle che qualsiasi medico deve essere in grado di esercitare in modo autonomo e automatico: poco più delle manovre semeiologiche di base, alle quali dovrebbero invece venire aggiunte in modo significativo le capacità relazionali, finora piuttosto neglette, e che invece qualsiasi medico –  qualsiasi sia la tipologia professionale esercitata – dovrà porre in atto nel rapporto personale con i propri pazienti (purtroppo spesso i pazienti lamentano carenze grossolane dei loro medici proprio in questo ambito …).

Oltre alla riduzione del numero delle UDE sarà indispensabile curarne la qualità, privilegiando quelle che riguardano le competenze professionali a elevato livello tassonomico.

In altri termini un nuovo “core” degno di questo nome, più che comprendere l’enorme quantità di conoscenze continuamente prodotte dalla ricerca bio-medica e che sono peraltro destinate a cambiare nel tempo, dovrà esprimere le competenze metodologiche, che in estrema sintesi corrispondono a quelle che faranno di ogni medico un “problem solver”, cioè un professionista capace di affrontare e risolvere i problemi di salute posti dai singoli pazienti e dalla comunità nella prevenzione, nella diagnosi, nella terapia e nelle riabilitazione delle malattie di più comune riscontro: un professionista riflessivo che nel fare ciò sia in grado di cogliere nelle loro essenza questi problemi, e di individuare, cercare, acquisire e applicare al proprio livello operativo le conoscenze e le strategie di volta in volta necessarie per risolverli.

Conclusioni

In sintesi e concludendo, l’approccio alla costruzione del nuovo “core” che oggi sembra più opportuno perché appunto in chiave professionalizzante è quello che parte dall’ individuazione dei problemi prevalenti di salute ai quali dovranno saper rispondere in modo adeguato i medici al primo livello dell’esercizio professionale (le scuole di specializzazione avranno il compito di completarne le competenze in modo specifico); si tratterà quindi di trasformare un “core di conoscenze” in un “core di competenze professionali” con una procedura “bottom – up”: partendo dai problemi andranno costruite “a ritroso” le UDE che con i loro livelli tassonomici individuano le conoscenze, le competenze, le abilità e i comportamenti effettivamente utili a risolvere quei problemi; questo approccio aiuterà nella scelta dei contenuti teorici anche delle scienze di base, che costituiscono i presupposti culturali indispensabili per fondare su basi scientifiche le capacità professionali.

Se questa costruzione del nuovo “core” sarà finalmente – cosa non facile – frutto della progettazione collegiale del percorso didattico globale, si avrà finalmente un’omogeneità formativa nei diversi CdL, ciascuno dei quali potrà peraltro avere una sua impronta particolare grazie soprattutto alle attività didattiche elettive. Sarà inoltre facilitata la scelta delle metodologie didattiche più efficaci, coerenti con gli obiettivi didattici; e infine anche le modalità valutative dell’apprendimento potranno migliorare perché diventerà chiara e utile per tutti gli studenti la connessione tra i contenuti del loro impegno discente e le modalità di verifica della performance individuale sia nei momenti di valutazione formativa (per es., nei “progress test”), che nella valutazione certificativa durante e alla conclusione del loro corso di studi.

Bibliografia

I “fatti” che sono sintetizzati in questo articolo sono ritrovabili in modo analitico nei molti articoli sul “core curriculum” pubblicati nel corso degli anni in “Medicina e Chirurgia” e citati nel suo fascicolo 67/2015 alle pagine 3057-58.

1) A. Torsoli, MEDIC 7:171, 1999

2) www.maastrichtuniversity.nl/fhml > Education > Educational profile > Problem-Based Learning > PBL/FHML Medicine

3) Danieli G. et Al. 2005; 50: 1145-1198.

Cita questo articolo

Vettore L., Il “Core Curriculum” italiano, storie di ieri e di oggi. Gli inizi, l’evoluzione, le prospettive, Medicina e Chirurgia, 68: 3079-3084, 2015. DOI: 10.4487/medchir2015-68-1

Il “Core Curriculum” italiano, storie di ieri e di oggi. La revisione del Core Curriculum degli studi di Medicinan.68, 2015, pp3085-3088, DOI: 10.4487/medchir2015-68-2

Abstract

The core curriculum of the Medical Studies is the complex of essential content that all graduates should have  completely and permanently acquired for the exercise of the profession. The core curriculum contains Elementary Educational Units (the smallest particle of detailed and comprehensive medical knowledge, UDE) that belong to different cultural areas. This text briefly describes the 12 scientific topics whose EDU were redrafted or because recently formed disciplines or because considerably implemented in recent years.

Articolo

Come è noto, il Core Curriculum dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia è il complesso di contenuti essenziali che tutti i neo-laureati devono aver acquisito in modo completo e permanente per l’esercizio della professione. E’ composto da Unità Didattiche Elementari (UDE, la più piccola particella del sapere medico dettagliata e completa) che afferiscono ai differenti ambiti culturali. Nel campo delle scienze della salute è in corso da anni una rivoluzione che comporta un’apertura nei confronti di nuove applicazioni nel settore sanitario. Nuove conoscenze hanno originato nuove discipline scientifiche la cui applicazione ha un impatto profondo sulla professione medica. Più in generale, tutte le conoscenze mediche negli ultimi anni hanno subito un incremento esponenziale. In un’epoca caratterizzata da rapidi mutamenti scientifici, demografici, epidemiologici è necessario l’ampliamento continuo delle conoscenze per poter operare al meglio per tutelare la salute dei cittadini. Quindi, la Conferenza dei Presidenti, su indicazione del suo Presidente, Andrea Lenzi, ha nominato una commissione, coordinata da Calogero Caruso,  che ha proceduto alla revisione del Core Curriculum che deve rappresentare uno strumento plastico ed in continua revisione al fine di implementare e perfezionare il percorso formativo dei futuri medici. Parecchie decine di colleghi di varie Università hanno partecipato a questa attività e nei mesi scorsi le proposte di revisione del Core Curriculum sono state inviate a Carlo della Rocca, presidente della Commissione incaricata della valutazione finale.

In questo articolo saranno descritti i 12 argomenti scientifici le cui UDE sono state riformulate ex-novo o perché discipline di recente formazione o perché implementate notevolmente negli ultimi anni (tra parentesi il nome del collega  che ha contribuito alle nuove UDE).

Le Cure Palliative (Guido Biasco). In questi ultimi anni si è osservata  una crescita di interesse per questo tema, grazie ad una sempre più consapevole coscienza civile che mette in luce i bisogni di una assistenza che offra dignità alla sofferenza e al fine vita. Fermo restando che le cure palliative sono di pertinenza di personale altamente specializzato con appositi corsi post-laurea , è necessario che gli studenti incomincino a conoscere il mondo delle cure palliative come un settore della clinica in cui sono enfatizzate sia la componente umanistica sia la necessità di un lavoro comune che si può realizzare in un clima operativo di multidisciplinarietà. Sono state quindi elaborate 7 UDE che non riguardano solo gli aspetti clinici, ma anche quelli gestionali e comunicativo/relazionali con il paziente e la sua famiglia.

La Farmacovigilanza (Francesco Squadrito), è il complesso di attività finalizzate a valutare in maniera continuativa tutte le informazioni relative alla sicurezza dei farmaci e ad assicurare, per tutti i medicinali in commercio, un rapporto beneficio/rischio favorevole per la popolazione. Sembra quindi superfluo puntualizzare la necessità di una rivisitazione profonda di tutti gli aspetti relativi nel Corso di Laurea: sono state elaborate 18 UDE che spaziano da argomenti di Metodologia Clinica alla definizione di Reazioni Avverse ai famaci (ed al  loro monitoraggio) ed alla definizione di appropriatezza prescrittiva.

Le Malattie Rare (Mauro Celli). Una malattia si definisce rara quando la sua prevalenza non supera la soglia convenzionale fissata allo 0,05 % della popolazione. Il numero di malattie rare conosciute e diagnosticate sfiora il numero di 8000 il che significa che in Italia ci sono circa due milioni di persone affette di cui il 70% in età pediatrica. Questi numeri puntualizzano quindi la necessità di UDE (6) che informino gli studenti della rilevanza del problema: spaziano dagli argomenti preclinici (definizione ed incidenza di malattie rare e valutazione degli esami di III livello) a quelli clinici gestionali, non dimenticando la necessità di saper comunicare ai pazienti (o alla famiglia)  una diagnosi di malattia rara.

La Medicina di Genere (Calogero Caruso) tiene conto del dimorfismo sessuale  e quindi studia l’influenza del sesso, nell’accezione biologica, e del genere, nell’accezione sociale, sulle differenze esistenti, tra uomini e donne, in termini di prevenzione delle patologie, manifestazione dei segni clinici, approccio terapeutico, prognosi, impatto psicologico e sociale. Vari studi hanno mostrato una diversa risposta farmacocinetica e farmacodinamica, una diversa reazione avversa ai farmaci, un differente istotipo ed una differente localizzazione dei vari tipi di cancro (associata ad una differente risposta terapeutica) nei due sessi, insieme ad  altre differenze fisiopatologiche e  cliniche, quali ad es. il dato che le donne rispetto agli uomini si ammalano di malattie cardiovascolari come l’infarto o l’ictus, circa 10 anni più tardi, puntualizzando la necessità per la Medicina di considerare le donne come entità differenti dagli uomini, (il mancato riconoscimento della specificità femminile è stato chiamato Sindrome di Yentl, dal nome dell’eroina del romanzo di Singer costretta a camuffarsi da uomo per frequentare una scuola rabbinica), non sottovalutando le peculiarità biologico-ormonali e anatomiche proprie delle donne che ovviamente non si esauriscono nella cosiddetta visione “bikini” della donna malata (organi sessuali primari e secondari). E’ emersa quindi la necessità di rivedere i relativi programmi inserendo 6 UDE che spaziano dallo studio dei meccanismi fisiologici di base al ruolo delle differenze di genere nella pratica clinica.

La Medicina di Precisione e Personalizzata (Francesco Curcio) costituisce la più recente visione della medicina: racchiude strategie di prevenzione e trattamento che prendono in considerazione la variabilità individuale. Non si tratta tuttavia di un concetto del tutto nuovo. Basti pensare alla caratterizzazione del gruppo sanguigno, che da più di un secolo è alla base delle trasfusioni di sangue. Tale approccio alla medicina è reso possibile grazie alla nascita di banche dati biologiche in continuo aggiornamento ed alla potenza dei metodi di caratterizzazione molecolare del singolo individuo (scienze omiche, trascrittomica, proteomica, metabolomica) e alla sempre maggiore diffusione di strumenti computazionali per l’analisi di dataset (collezione di dati) su larga scala. Ciò dovrebbe portare nel prossimo futuro all’identificazione di marcatori specifici per l’identificazione precoce di patologie che oggi vengono diagnosticate solo dopo l’osservazione di segni e sintomi. Sono state formulate 7 nuove UDE di cui due concernono l’oncologia dove il trattamento personalizzato è già una realtà.

La Medicina Narrativa (Luciano Vettore). Il medico deve essere sempre di più educato a comprendere quello che nella lingua inglese è definito come illness, piuttosto che disease che si riferisce ai segni e sintomi della malattia. Con il termine illness si intende il disagio del paziente per le alterate condizioni di benessere e le sue aspettative, il senso della disgregazione, la perdita d’immagine. Quindi essere educato ad ascoltare  la  storia di malattia, il  vissuto del paziente:  Medicina Narrativa (sono state formulate 6 UDE) che non è per nulla in contrapposizione con la Medicina basata sulle prove (EBM), ma si integra con essa e, tenendo conto della pluralità di prospettive, rende le decisioni mediche più complete, efficaci, appropriate, evitando che l’adempimento tecnico prevalga sulla partecipazione umana (si deve curare la persona, non la malattia). Come è riportato nel Corpus Ippocratico, è più importante conoscere l’individuo che ha la malattia, piuttosto che la malattia che ha l’individuo.

La Medicina Trasfusionale (Claudia Rizzo) e Calogero Caruso). Per troppo tempo i Servizi Trasfusionali sono stati considerati delle semplici Banche del Sangue, dove, on demand, si consegnavano gli emocomponenti e da parte delle unità operative mediche o chirurgiche c’è sempre stato un approccio indiscriminato alla terapia trasfusionale senza alcuna consapevolezza che “trasfusione” significa trapianto di tessuto liquido. E’ stato necessario quindi formulare delle UDE (6) che prevedano la conoscenza degli emocomponenti e del potenziale terapeutico di ciascuno di essi al fine di comprendere le principali indicazioni di terapia trasfusionale e la conseguente appropriatezza prescrittiva. Lo scopo di tale formazione è quello di acquisire le giuste competenze sul corretto uso  degli emocomponenti e degli emoderivati. Tale competenza si compone della capacità di mettere in atto le condizioni, le procedure e le precauzioni necessarie ad evitare l’errore trasfusionale e saper gestire correttamente gli effetti indesiderati a breve e a lungo termine della trasfusione. Di particolare importanza oggi è discutere con gli studenti il concetto di Patient Blood Management (PBM) che indica in generale l’orientamento verso una buona gestione della risorsa sangue, spostando l’attenzione dall’emocomponente al paziente. Il PBM è un approccio multidisciplinare basato sulle prove scientifiche per ottimizzare la cura dei pazienti che potrebbero aver bisogno di trasfusione. Il PBM comprende tutti gli aspetti della valutazione del paziente e la gestione clinica circostante processo trasfusionale decisionale, compresa l’applicazione di opportune indicazioni, nonché la minimizzazione della perdita di sangue e l’ottimizzazione della  massa eritrocitaria del paziente.

Le Medicine Alternative e Complementari (CAM) (Calogero Caruso) sono un disomogeneo e non ben definito insieme di pratiche mediche e paramediche e di tecniche e approcci alla salute ed alla malattia non integrate nel “corpus” delle conoscenze della medicina scientifica. In Italia 9-11 milioni di soggetti ricorrono a queste pratiche alternative,  sia pure occasionalmente e per lo più in modo “complementare” (“alternativo” si riferisce all’uso esclusivo di questi approcci diagnostici-terapeutici, mentre “complementare” si riferisce al loro uso integrato con la medicina  “convenzionale”). Alcune, come la fitoterapia, sono in linea di principio assimilabili e integrabili con la medicina, mentre molte altre differiscono fortemente dalla prospettiva su cui si fonda la medicina scientifica e in taluni casi si fondano sul principio di esistenza di una forza vitale e non riconoscono specifici meccanismi biologici alla base dei fenomeni patologici. Le CAM non perseguono lo scopo fondamentale della scienza, non aspirano cioè a costruire un sapere consensuale, fondato sull’esperienza empirica e sulla discussione razionale, costituendo pertanto un insieme di asserzioni e di pratiche non dimostrabili scientificamente, perché non falsificabili (criterio di falsificabilità sviluppato da Karl Popper). Sono state formulate 7 UDE per discutere criticamente il loro ruolo nella realtà sanitaria e i pericoli per il paziente che si affida alle CAM.

L’Osteoporosi (Paolo Falaschi) è una patologia geriatrica di rilevante impatto sanitario e sociale, che deve essere tempestivamente diagnosticata e trattata con l’obiettivo di ridurre in maniera significativa il numero di fratture da fragilità. Nel mondo occidentale,  le fratture osteoporotiche sono più frequenti dell’infarto del miocardio, dell’ictus e del cancro alla mammella;  in particolare tra di esse le fratture di femore hanno una mortalità annua che supera quella del tumore gastrico e pancreatico, in quanto  circa il 25% dei pazienti muore entro un anno dall’evento frattura e questa percentuale cresce con l’età. Considerata la rilevanza del problema in una società che invecchia sono state quindi elaborate 8 UDE che dalla morfologia e fisiologia spaziano alla clinica, inclusa una gestionale perché risulta molto importante una gestione interdisciplinare delle fratture a causa della peculiare fragilità del paziente anziano.

Le Tossicodipendenze (Francesco Squadrito). Il fumo di tabacco è la causa maggiore di morte nei paesi sviluppati e il beneficio della cessazione del fumo è stato ampiamente dimostrato. L’aspettativa di vita aumenta da 4 a 10 anni tra chi smette di fumare, a seconda della età al momento della cessazione, e diminuisce di più di 10 anni tra i fumatori rispetto ai non fumatori. Ovviamente le 18 UDE che sono state preparate sono solo in parte esclusive per la dipendenza da nicotina quale ad es. la definizione del  ruolo svolto dal polimorfismo dei recettori nicotinici colinergici nella dipendenza da fumo di sigaretta, o per altre sostanze d’abuso ma per lo più sono generali ed applicabili quindi anche alla nuova piaga della ludopatia.

La Vaccinologia (Francesco Vitale), neologismo creato nel 1977 da Jonas Salk, è una vera e propria scienza che, superando definitivamente gli empirismi del passato, esplora oggi metodicamente ogni aspetto della vaccinazione, integrando tutte le questioni che essa pone. Si occupa della metodologia dello sviluppo e dell’impiego dei vaccini: rappresenta una scienza multidisciplinare che vede coinvolte numerose materie biologiche (microbiologia, immunologia, epidemiologia, etc.) e sociali (sanità pubblica, economia, etica, etc.). Le recenti polemiche sulle vaccinazioni alimentate anche da decisioni di Tribunali, basate su studi discreditati,  e da scoop giornalistici basati su associazioni aneddotiche tra vaccinazioni e mortalità hanno reso necessario implementare il numero delle UDE dedicate all’argomento (11) ed in particolare spiegare le basi scientifiche per la verifica del nesso di causalità delle associazioni ipotizzate tra malattie e vaccinazione e le conseguenze a lungo termine della disinformazione per i non immunizzati.

Infine per quanto riguarda la E-Health (Calogero Caruso) ci si è limitati ad inderire un’UDE sul fascicolo elettronico, che secondo il ministero dovrebbe essere di imminente adozione. Nei prossimi anni saranno sempre più disponibili in campo sanitario devices elettronici: certo una UDE sulle stampa degli organi con la stampante 3D è abbastanza prematura ma in un futuro abbastanza prossimo bisogna pensare a delle UDE sull’utilizzo dei Big Data in Medicina, sull’auto valutazione da parte del paziente dei parametri vitali tramite App degli Smart Phone o dei livelli glicemici tramite micro sensori.

Bibliografia

1) Baggio G., Basili S., Lenzi A., Medicina di genere. Una nuova sfida per la formazione del medico, Medicina e Chirurgia, 62: 2778-2782, 2014.

2) Bellelli A. La Costruzione dell’Omeopatia. Mondadori Education SPA Milano, 2014

3) Biasio L.R., L’insegnamento della Vaccinologia  nei CLM in Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 59: 2630-2636, 2013.

4) Caruso C, Rizzo C, Vantini I. Insegnare nelle Università la Fitoterapia e l’Agopuntura? Med. Chir. 60. 2668-2678, 2013.

5) Collins FS, Varmus H. A New Initiative on Precision Medicine. N Engl J Med. 372:793-5, 2015.

6) Gaddi A., Basili S., Rizzo C., Lenzi A., Caruso C., Il Core Curriculum degli studi di Medicina. Stato dell’arte e prospettive, Medicina e Chirurgia, 62: 2791-2793, 2014.

7) Grassi M.C., Dipendenza da nicotina e terapia del tabagismo. Come formare una cultura medica per l’epidemia da fumo del XXI secolo, Medicina e Chirurgia, 63: 2845-2848, 2014.

8) http://www.orpha.net/consor4.01/www/cgi-bin/?lng=IT

Cita questo articolo

Caruso C., Il “Core Curriculum” italiano, storie di ieri e di oggi. La revisione del Core Curriculum degli studi di Medicina, Medicina e Chirurgia, 68: 3085-3088, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-2

Il progress test, dal novembre 2006 al novembre 2014n.68, 2015, pp. 3089-3093, DOI: 10.4487/medchir2015-68-3

Abstract

On November 15, 2006 the first Progress Test (PT) was made available to all Italian Medical Schools, on a voluntary basis, as an initiative of the Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Since 2006, the PT has been held annually for the last 9 years. During these 9 years, the percentage of Italian medical schools that have participated has increased from 50% to approximately 88% and has seen the number of participating students increase from 3,300 to approximately 22,000. Although the PT is not a new invention, but dates back to the 1970’s, it is undergoing a revival for the same reasons that it was originally created. At its inception it was realized that up to that time (as it continues to occur in many contemporary schools) the assessment of knowledge acquired during any academic year was obtained exclusively from end-of-course or end-of-year exams. Unfortunately, such exams have been shown to have important steering on learning since they push students to prepare themselves primarily for the passing of these exams. Such exams have also been shown to indirectly reinforce the mnemonic aspect of studying medicine and in the vast majority of cases students tended to limit their studies by concentrating primarily on what they believed would be the content of the exam.

From these reflections, a new philosophy mushroomed regarding the concepts of assessment and evaluation. It became clear that what had to be left behind was the direct relationship between specific educational programs and their evaluation. What had to be evaluated was not so much the acquisition of the specific course-related learning objectives but the progressive acquisition of the final objectives of the overall medical curriculum. For these reasons it was realized that evaluation had to be as a continuous a process as possible. The original idea of the creators of the PT was that exams should not interfere with an individual’s desired behavior in studying, and that decisions of pass/fail should be based on longitudinal and not on single evaluations.

Even though the PT was developed to respond to a new form of education introduced at that time, that of Problem Based Learning (PBL), it has been subsequently demonstrated that the application of a longitudinal, progressive method of assessment and evaluation is valid not only for PBL-based curricula, but also for those (still) using “traditional” curricula.

This report will begin with more detailed information on the philosophy, advantages and disadvantages’ of this type of exam, continue with a description of the Italian experience over the last 9 years and in particular, focus on of the results of the last PT taken by 22,955 Italian medical students.

Articolo

Introduzione

Gli Atenei italiani per la gran parte includono anche il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Sebbene i curricula di questi corsi siano spesso diversi, essi sono costruiti attorno ad un core costituito da unità didattiche elementari che fanno si che il prodotto finale, ossia il laureato in medicina e chirurgia, sia sufficientemente sovrapponibile indipendentemente dalla sua provenienza. Con l’introduzione dell’ammissione a numero programmato sulla base del superamento di una prova di ingresso uguale in tutte le scuole la popolazione che viene ammessa alla scuola di medicina sembrerebbe essere omogenea. Inoltre negli ultimi anni grazie alla graduatoria nazionale si può contare su una distribuzione diversa dalla regione di provenienza nel 50% dei casi. Tuttavia, la continua ricerca pedagogica che avviene da moltissimi anni all’interno della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia (CPPCLM&C) ha fatto emergere sempre di più la necessità di un metodo di valutazione interna e di confronto tra curricula. Inoltre, l’incremento della mobilità internazionale sia durante il corso degli studi (progetti ERASMUS) che dopo la laurea ha incrementato la ricerca di un modello di valutazione di ampio respiro internazionale.

In Medicina, la “conoscenza” ha sicuramente un ruolo centrale come in altri campi di studio nella determinazione della competenza professionale. E’ essenziale, quindi, che qualunque sistema di valutazione includa misure sull’acquisizione di “conoscenze” attendibili ed accurate.

Uno degli aspetti più importanti della competenza medica e del ragionamento clinico è la necessità che il medico acquisisca una notevole capacità di accumulare informazioni in modo organizzato e di mantenere nel tempo quelle essenziali all’esercizio delle competenze professionali (core curriculum); è altresì importante che questa abilità venga insegnata fin dall’inizio della frequenza alla facoltà di medicina. Se tanta informazione è realmente necessaria per far sì che uno studente diventi un buon professionista, allora le facoltà di medicina dovrebbero creare degli strumenti specifici per valutare l’acquisizione e il mantenimento delle conoscenze più rilevanti durante gli anni di formazione.

Sicuramente il metodo tradizionale degli esami di profitto garantisce stimoli comportamentali continui per lo studente che risponde strategicamente allo scopo di ottimizzare al massimo le possibilità di successo (assessment drives learning). Rompere il rapporto vincolante tra esame e apprendimento ed evitare che il sistema di valutazione certificativo rappresenti l’unica forza che spinge lo studente all’acquisizione delle conoscenze rappresenta da molto tempo una sfida ad una riforma curriculare significativa.

Negli anni settanta, quasi in contemporanea, l’Università di Missouri (Kansas City, USA) e l’Università di Limburg a Maastricht (Olanda) individuarono nel “progress testing” un metodo di valutazione progressiva dell’acquisizione di conoscenze. La base di questa metodologia si fondava proprio sulla nuova concezione della valutazione che non doveva interferire con il comportamento individuale desiderato nello studio e che le decisioni di “pass/fail” dovevano essere basate su valutazioni longitudinali e non su singole prove certificative. In seguito, a metà degli anni novanta anche l’Università di McMaster (Canada) incorporò il “progress testing” nel suo curriculum medico.

Tutte e tre le Istituzioni differivano per quello che riguardava la modalità e la specificità del progress testing. Tuttavia, i sistemi adottati avevano in comune delle caratteristiche essenziali:

a) il test è così omnicomprensivo che è virtualmente impossibile prepararsi per esso,
b) la valutazione è basata sulla performance globale e non sul risultato singolo (superamento o bocciatura al singolo esame).

Ne deriva che il progress testing rappresenta un metodo per valutare l’acquisizione e la ritenzione, tempo-dipendente, delle conoscenze riguardo agli scopi e obiettivi del curriculum formativo globale e non del singolo corso. In altre parole, un metodo per valutare la quantità di conoscenze accumulate dagli studenti, rispetto al dominio di conoscenze richieste del ‘prodotto finito delle Scuole di Medicina’, ossia il laureato ideale di un programma di formazione.

Poiché studenti di tutti gli anni di corso fanno lo stesso esame, i risultati di tutti gli anni permettono di seguire la crescita di conoscenze e competenze di ciascuno studente nel corso di tutti gli anni della sua educazione medica, e allo stesso tempo di trarre delle conclusioni che riguardano il curriculum o parti del curriculum formativo.

Anche se il Progress Test venne ideato anche per rispondere ad un nuovo metodo di insegnamento, quello del Problem Based Learning (PBL) è stato dimostrato che l’applicazione di uno strumento longitudinale per la valutazione progressiva è appropriato per valutare non solo programmi curriculari che adoperano l’apprendimento basato su problemi, ma anche quelli tradizionali.

Il 15 novembre 2006, la Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia aggiunse un nuovo tassello alla “mission” di migliorare la qualità della formazione degli studenti di medicina e, di conseguenza, dei nostri futuri medici organizzando in 25 Corsi di Laurea un progetto pilota centrato sul Progress Test somministrato a studenti del primo, quarto e sesto anno di corso.

I principali obiettivi che erano alla base di questo progetto pilota erano i seguenti: 1) capire e verificare se l’acquisizione cognitiva delle informazioni ottenute nel corso degli insegnamenti è una variabile continua oppure no; 2) valutare se vi è una perdita di conoscenze relative alle Scienze di Base nel corso degli ultimi anni del curriculum medico; 3) promuovere la responsabilità dello studente verso un’auto-valutazione oggettiva della propria preparazione, così da renderlo capace di porre autonomamente rimedio alle carenze della propria preparazione; 4) valutare se il Progress Test possa essere considerato una possibile forma di valutazione routinaria (annuale) nel corso di laurea; 5) fornire un’occasione per riflettere sulla struttura del curriculum valutando l’eventualità di attuare azioni correttive.

I risultato ottenuti in quel primo “progetto pilota”, che coinvolse 3496 studenti, indicarono che la performance globale, nonché quella nella vasta maggioranza degli ambiti disciplinari, tende ad aumentare con l’avanzamento degli studenti attraverso il curriculum formativo.

Da allora la CPPCLMM&C ha inserito il Progress Test tra i metodi di valutazione degli studenti per le Facoltà di Medicina e Chirurgia. C’è stato man mano un aumento delle Facoltà e degli studenti crescente che nel nono anno di utilizzo del Progress Test è arrivato a 22955 studenti.

Inoltre nella fine dell’agosto 2014, durante il congresso internazionale dell’AMEE (An International Association for Medical Education), abbiamo avuto la possibilità durante un simposio dedicato (Progress Testing In Italian Medical Schools: An 8 Year National Experience), di poterci confrontare con esperti dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) e di altre università europee come l’Università “Charité” di Berlino e quella Olandese di Maastricht. Da questo simposio è sicuramente emerso come l’esperienza italiana sia assolutamente di esempio alla comunità internazionale.

Di seguito verrà brevemente ricordata la metodologia del PT e focalizzati i risultati dell’ultimo PT 2014.

Modalità di svolgimento del Progress Test in Italia

Il test è sostenuto in due tempi: dalle 9:00 alle 12:00 la prima parte e dalle 14:00 alle 17:00 la seconda, mediamente con 80 secondi di tempo per rispondere a ciascuna domanda.

Il test viene somministrato in tutta Italia nello stesso giorno (in genere un mercoledì dei primi 15 giorni di novembre) in contemporanea con un sistema di controllo attento che non permette a nessun Corso di Laurea di conoscere le risposte alle domande.  Inoltre le domande vengono cambiate ogni anno e trasmesse ai Corsi di laurea con tempistiche strettissime per evitare ogni tipo di possibile diffusione agli studenti.  Esiste un coordinamento centrale che mantiene la segretezza del tutto e che si occupa anche di istruire tutto il personale coinvolto nelle varie sedi.

Il test è composto da 300 domande del tipo a scelta multipla (“nozionistiche”  e “di ragionamento”) come quello effettuato alla McMaster University in Canada.

Le domande sono divise per ambiti disciplinari (Tabella 1):  150 nell’area delle Scienze di Base (Pre-cliniche) e 150 nell’Area Clinica.

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In quest’ultimo anno le domande sono state frutto di un corposo coinvolgimento di tutti i docenti dei diversi corsi di Laurea Italiani che hanno prodotto il 75% delle domande somministrate dopo un attento controllo da parte della commissione centrale.  Si è cercato quindi di armonizzare al massimo le domande con i curricula formativi di tutte le realtà italiane.

Per il risultato del test sono valutate solo le risposte corrette alle quali è attribuito un punto.

La Conferenza nel 2011 alla luce dei suggerimenti della pedagogia medica, che sostiene che attribuire un punteggio che consideri sia le domande corrette (in positivo) che quelle sbagliate (in negativo) è il metodo di valutazione più appropriato perché evita risposte “a caso” decise di sperimentare anche tale valutazione.   In quell’anno, quindi, i risultati sono stati analizzati togliendo un punto per ogni risposta sbagliata. Tuttavia, l’analisi della performance globale e quella concernente le singole aree tematiche è stata sovrapponibile a quella degli anni precedenti togliendo ogni dubbio sulla possibilità di risposte a caso.

Dal 2011, quindi, sono valutate solo le risposte esatte.

Dopo la valutazione di tutti i dati locali e nazionali, gli studenti di ciascuna sede sono informati del loro risultato (mantenendo il loro anonimato se la pubblicazione dei risultati avviene in rete).

Ogni sede ottiene quindi delle informazioni sia in forma aggregata (numerica) che analitica rispetto agli ambiti culturali presi in considerazione.  A livello centrale è poi elaborata una media nazionale con la quale ogni sede può paragonare i risultati ottenuti dagli studenti dello stesso anno della propria Facoltà. Inoltre, all’interno di ogni Corso di Laurea sono discussi con i Docenti i dati statistici sull’andamento degli studenti nell’ambito di ogni disciplina nei diversi anni di corso. Infatti, la Conferenza in questi tanti anni di lavoro e sperimentazione è sempre più convinta che sia senz’altro vero che “assessment drives learning” ma che è altrettanto vero anche che “assessment drives teaching” ossia che ogni processo innovativo di valutazione dello studente realmente spinge il Docente a fare cambiamenti migliorativi nel curriculum.

Il Progress test 2014 – Metodi ed Analisi dei dati

Come ogni anno, anche nel 2014, è stato condotto, su iniziativa della Conferenza dei Presidenti di Corso di Laure in Medicina e Chirurgia il nono PT (12 Novembre 2014).

Dei 50 Corsi di laurea italiani, 44 (88%) hanno partecipato all’ultimo progress test. I sei CLM mancanti non hanno potuto partecipare per problemi di tipo logistico e/o organizzativo.

La difficoltà tecnica di somministrare il PT è dovuta soprattutto alla assoluta necessità di avere personale addestrato per la organizzazione, disponibilità di aule e di supporto elettronico per la correzione dei compiti. E’ da segnalare, tuttavia, che moltissime sedi provvedono da sempre alla correzione manuale con griglia degli elaborati e che questa incombenza è spesso svolta dai Docenti stessi.

Come ogni anno, su delega della Conferenza, ogni Corso di Laurea ha deciso in maniera autonoma a quale anno di corso fosse somministrato il PT.   La considerazione dell’utilità di tale metodologia di valutazione è sempre più diffusa tra i Docenti ed anche NEL 2014 si è osservato un aumento delle sedi che hanno deciso di somministrare il Test a più anni i di corso.

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In totale, sono stati coinvolti 228 anni accademici nelle 44 sedi partecipanti.

Come riportato nella Figura 1, più del 68% dei corsi di Laurea ha somministrato il PT ai 6 anni di corso e l’11% ad almeno 5.

La numerosità totale degli studenti partecipanti in questi anni di sperimentazione è stata sempre crescente. Infatti, come riportato nella figura 2, dal 2007, usciti dalla fase del progetto pilota, è andato crescente il numero degli studenti partecipanti da 7930 del 2007 ai 22955 del 2014. Il motivo della piccola flessione, sia del numero di studenti partecipanti che dei corsi di laurea partecipanti, osservabile nel 2013 è stato dovuto ad un improvviso problema organizzativo.

La percezione dell’importanza del PT da parte dei Presidenti e dei Docenti partecipanti al PT è stata trasferita in maniera significativa agli studenti considerando un incremento del 31% nella popolazione totale di studenti partecipanti rispetto all’anno precedente. Inoltre dai 23 corsi di laurea partecipanti nel 2007 si è arrivato al coinvolgimento di 44 corsi di laurea italiani.

La partecipazione degli studenti rispetto al numero potenziale degli iscritti si è sempre comunque attestata nei diversi anni intorno al 50% (Figura 3).

Nella Figura 4, è osservabile che tale percentuale raggiunge valori altissimi considerando gli studenti iscritti al primo anno di corso con una percentuale media che nel gli ultimi 3 anni di esercizio è stata superiore al 70%. Così come la numerosità degli studenti partecipanti negli ultimi due anni di corso rappresenta sicuramente la considerazione da parte dello studente del significato progettuale del PT, non vi è dubbio che questa ampia partecipazione del primo anno rappresenta la volontà del Presidente e del suo Corso di Laurea.

Analisi dei Risultati del Progress Test 2014 per anno di corso e per Tipologia di domande (ambito di Scienze di Base e Scienze Cliniche)

Nella figura 5 sono riportate le medie dei risultati ottenuti per le scienze di base e per quelle cliniche ottenute dai 44 CLMs che hanno partecipato al PT 2014.

Importante evidenziare come vi sia un graduale miglioramento della percentuale media delle risposte esatte andando dal primo al sesto anno; tale dato è assolutamente confortante e corrobora la capacità dei nostri core curriculum di portare lo studente al raggiungimento degli obiettivi didattici. E’ tuttavia ancora più importante porre l’accento come sussista anche il mantenimento delle conoscenze arrivando al sesto anno a più del 50% di percentuale media di risposte giuste.

Tale osservazione era riprodotta in tutte le discipline individuali delle scienze di base e delle scienze cliniche.

Per valutare meglio il dato abbiamo analizzato le diverse percentuali osservate solo considerando gli studenti iscritti al sesto anno di corso nei 44 Corsi di Laurea che hanno condotto il PT al sesto anno. Per le scienze di base la media nazionale è stata circa del 52% con una deviazione standard di circa il 10.8%. In modo simile si comporta quella delle scienze cliniche dove, come osservabile in Figura 6, la media era del 51.2% ma con una deviazione standard del 11.3%. Il PT 2014 al suo decimo anno sembra rappresentare per i Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia in Italia un test affidabile nella valutazione delle conoscenze acquisite durante il corso di laurea.

Il tentativo di trasformare l’attuale esame di abilitazione in un Progress Test Finale sta diventando una probabile realtà e forse una necessaria realtà alla luce dei “soliti” risultati dell’esame di abilitazione che anche quest’anno hanno dato delle percentuali di abilitata vicine al 99%. Questa percentuale non rappresenta una realtà e soprattutto non considera che la valutazione è una componente critica dell’insegnamento.

E’ quindi mandotario, come auspicato dalla Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM di Medicina e Chirurgia, che il PT ormai evenienza routinaria e capo saldo della formazione dei nostri studenti, futuri professionisti della salute diventi il prossimo modello per un corretto esame di abilitazione.

 

Bibliografia

  1. Mennin SP, Kalishman S. (1998). Student assessment. Acad Med.;73(9 Suppl):S46-54.
  2. Newble DI, Jaeger K. (1983) The effect of assessments and examinations on the learning of medical students. Med Educ. ;17: 165-171.
  3. Tenore A. (2010). Il Progress Test- Considerazioni e speranze per il futuro delle Facoltà di Medicina Italiane. Med Chir 49; 2123-2130.
  4. Recchia L, Moncharmont B. (2011) Elaborazione dei dati relativi al nuovo Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi del Molise. I risultati del Progress Test. Med Chir 51, 2237-2242.

Cita questo articolo

Tenore A., Basili S., Lenzi A., Il progress test, dal novembre 2006 al novembre 2014, Medicina e Chirurgia, 68: 3089-3093, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-3

Formazione pedagogica continua nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia italianin.68, 2015, pp. 3105-3108, DOI: 10.4487/medchir2015-68-5

Abstract

One of the strategic aims of the Italian Permanent Conference of the Presidents of the Undergraduate Curricula in Medicine is the continuous education of its members and, through them, of all the teachers who are engaged in the Undergraduate Curricula in Medicine.

The need for teachers’ continuous education comes from the growing understanding of students’ learning modalities and from the fast changes in the setting of medical care.

The first and most immediate recipients of the Conference educational strategy are the Conference members, i.e. the Presidents of the Undergraduate Curricula, but their formation is intended to reach the teams of educators present in the single curricula. The goal is to promote educationally grounded teaching strategies. In the different curricula, the task of ‘teaching to teach’ is assigned to Committees that are alternatively focused on teaching organization or on medical education. In both these types of committee the active presence of students is strongly recommended.

The Educational Innovation Working Group employs two main tools in order to carry out its continuous education strategy: i) educational events during the Conference meetings; and ii) the spur and support to the development of specific Medical Education Committees in the various curricula.

Educational events are lectures (given in one-day meetings) and workshops and forums (held in two-day meetings). The difference between the format of workshops and forums is that former are lead by medical education experts and the latter by the Presidents themselves, who report on their actual experiences and projects.

The proposed goals of the ideal Medical Education Committee are the formation of both teachers and teaching organizers; the promotion of continuous improvement of an educationally grounded teaching; and the advancement of both teaching excellence and research in medical education.

Articolo

Premesse

Tra gli obiettivi strategici della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina (CPPCCLM) c’è la formazione pedagogica continua dei Presidenti di CLM e, tramite questi, di tutti i docenti dei CLM Italiani.

In effetti, le Facoltà di Medicina Italiane si caratterizzano da decenni1 per un’attenzione agli sviluppi della pedagogia medica, e l’approvazione di numerose riforme dell’ordinamento del Corso di Laurea in Medicina testimoniano la ricerca continua di strumenti aggiornati e sempre più efficaci per la formazione del medico.2

Oltre ad una maggiore comprensione delle modalità di apprendimento dello studente universitario, è il rapido cambiamento del mondo delle cure a imporre una revisione continua del curriculum degli studi e, di conseguenza, un aggiornamento continuo dei formatori. Dent e Harden3 hanno recentemente elencato una lista di tematiche che richiedono di essere affrontate in modo prioritario:

– Formazione orientata in base al risultato: di che tipo di medico c’è bisogno oggi?

– Valutazione del rapporto costo-efficacia: quale tipo di curriculum possiamo sviluppare con le risorse che abbiamo?

– Nuove tecnologie di apprendimento: quali cambiamenti impongono?

– Scelta di strategie formative: qual è la migliore?

– Valutazione dell’apprendimento: quali sono gli strumenti migliori?

– Staff development e professionalism: possiamo ancora tollerare un approccio amatoriale alla docenza nella facoltà di Medicina?

– Best evidence medical education: siamo in grado di giustificare le nostre strategie educative?

– Medicina sul territorio: come integrare nell’insegnamento nel CLM in Medicina l’attività professionalizzante nel nosocomio e nel territorio?

La CPPCCLM, con il supporto costante della Società Italiana di Pedagogia Medica (SIPeM), si sente impegnata a rispondere a questi interrogativi e svolge un’attività ininterrotta di formazione rivolta a interlocutori differenti, con l’impiego di metodi e strategie diversificate.

Destinatari

Evidentemente, gli interlocutori diretti della CPPCCLM sono i Presidenti di CLM in Medicina, ma la conferenza ha inteso estendere il suo compito di aggiornamento pedagogico all’intero sistema educativo universitario della facoltà medica, con ricadute diversificate.

Destinatari: i Presidenti di Corso di Laurea

La Conferenza ha inteso svolgere la sua attività di formazione pedagogica dei Presidenti di CLM in primo luogo nell’ambito delle sue riunioni periodiche: quattro all’anno, due della durata di un giorno, centralizzate a Roma, e due della durata di due giorni, itineranti nelle differenti Sedi Italiane. Strumento essenziale di questa formazione è stato il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica, che è al momento composto da alcuni Presidenti in carica (Isabella Barajon, Milano Humanitas; Tiziana Bellini, Ferrara; Carlo Della Rocca, Roma Sapienza; Davide Festi, Bologna; Giuseppe Familiari, Roma Sapienza; Bruno Moncharmont, Molise; Oliviero Riggio, Roma Sapienza e Maurizia Valli, Pavia) nonché da alcuni esperti di Pedagogia Medica (Fabrizio Consorti, SIPeM; Pietro Gallo, Roma Sapienza; Laura Recchia, Molise; Felice Sperandeo, SISM; Maria Grazia Strepparava, Milano Bicocca e Rosa Valanzano, Firenze), scelti tra ex presidenti di CLM e autorevoli membri della SIPeM e del SISM.4

Il Gruppo di lavoro ha organizzato una lunga serie di eventi pedagogici che si svolgono nelle riunioni della Conferenza: brevi lectures (le pillole pedagogiche) nelle riunioni di un solo giorno, ed eventi più strutturati (con il formato dell’atelier o del forum) nelle riunioni di due giorni. Sono state messe a punto delle “trilogie” (una pillola introduttiva, un atelier e un forum) su tematiche di attualità: l’attività didattica professionalizzante; didattica e valutazione integrata; etica della docenza; l’integrazione nel territorio del sistema delle cure; verso una laurea professionalizzante; formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo. Come è evidente, non siamo distanti dagli obiettivi formativi individuati come prioritari da Dent e Harden.3 Oltre ad affrontare queste tematiche, il Gruppo di Lavoro ha periodicamente organizzato un atelier formativo su tematiche “di base” del lavoro del Presidente di CLM in Medicina, intitolato il ruolo del Presidente di Corso di Laurea in Medicina.5 Si tratta di un evento formativo destinato in particolare alla “formazione iniziale” dei Presidenti appena eletti.

Destinatari: i Formatori

L’attività formativa del Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica della CPPCCLM non può estendersi direttamente a tutti i docenti dei CLM in Medicina e deve quindi concentrarsi sulla formazione dei formatori. Ma ciò solleva la questione di chi possa essere incluso nel novero dei formatori nei nostri Corsi di Laurea.

La risposta più ovvia è che il compito di informare, formare e motivare il corpo docente spetta in primo luogo ai Presidenti di CLM ma è altrettanto evidente che questi, nello loro rispettive realtà, devono poi creare e formare una “squadra” di formatori.

L’attività di animazione di un CLM si svolge in due ambiti distinti anche se interconnessi: l’organizzazione della didattica e la promozione delle attività pedagogiche. In realtà, la migliore attività organizzativa è quella pedagogicamente fondata, per cui nessuno dei due ambiti sussiste senza l’altro. Se l’attenzione del Presidente si concentra maggiormente sulle attività organizzative, i formatori saranno per lui i Coordinatori Didattici (di anno o di semestre),6 che devono dare la coerenza di un progetto unitario alla struttura didattica del Corso. Se, al contrario, il centro del progetto formativo del Presidente è rivolto alla pedagogia medica, allora i formatori saranno i cultori di pedagogia medica che riuscirà a coinvolgere. Una soluzione di compromesso sta nell’investire del compito della formazione dei docenti la Commissione Tecnica di Programmazione didattico-pedagogica (CTP).7 La CTP ha inscritto nel nome che porta una duplice finalità formativa, didattica e pedagogica, ma la lezione delle on site visit ci dice che la composizione della CTP nei CLM Italiani è molto variabile. In molte Sedi la CTP è costituita, per intero o in gran parte, dai Coordinatori Didattici di semestre/anno e ciò rafforza il ruolo di formatore del Coordinatore Didattico. In altre Sedi, invece, la CTP si configura di più come una sorta di Consiglio del Presidente e, in questo caso, è più usuale trovarvi dei pedagogisti. Un elemento comune alle varie tipologie di CTP è poi la presenza di rappresentanti degli studenti e ciò apre una riflessione, abbastanza inedita nel nostro Paese, su come gli studenti possano essere non solo oggetto ma anche soggetto di formazione pedagogica. Nell’esperienza di chi scrive, la presenza di studenti nelle istanze preposte alla formazione nei CLM in Medicina è una risorsa preziosa, se non altro per fare quella analisi dei bisogni formativi che dovrebbe essere alla base di ogni intervento pedagogico. Questa presenza studentesca rappresenta anche un’eccellente strategia di formazione pedagogica remota dei futuri docenti.

I Presidenti più avvertiti sul piano pedagogico si avvalgono, per la formazione dei docenti, di una struttura specifica, quale la Commissione Medical Education (CME).8 A questa si farà riferimento più avanti.

In conclusione, la CPPCCLM non può evidentemente assumersi compiti di formazione dei formatori all’interno dei numerosi CLM Italiani, ma promuove questa formazione, tramite i Presidenti, suggerendo strategie ed illustrando, in appositi eventi pedagogici, il ruolo formativo che dovrebbe essere svolto dai Singoli Coordinatori Didattici, dalle CTP e dalle CME.

Destinatari: gli Operatori (Docenti e Tutori)

Come detto finora, la CPPCCLM non può svolgere un’attività formativa diretta a beneficio dei docenti dei CLM in Medicina. Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica cerca di promuovere questo necessario compito formativo fornendo ai Presidenti elementi-chiave sulle caratteristiche della docenza, in termini di insegnamento/apprendimento e di valutazione dell’apprendimento. L’ultima trilogia ad essere stata programmata (formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo) mira ad affrontare, tra l’altro, l’attualissimo tema dello staff development che ha oggi un ruolo cruciale nella promozione della didattica nei CLM in Medicina.9 Il recente riassetto organizzativo dell’Università Italiana, con la valorizzazione dei compiti didattici dei Dipartimenti a scapito delle Facoltà (o Scuole) ha avuto un impatto assai negativo sull’area medica, dove ha limitato il compito di raccordo tra i diversi Corsi di Laurea assegnato alle Facoltà senza dare una maggiore autonomia decisionale e una adeguata struttura organizzativa ai Presidenti di Corso di Laurea. È invece evidente che lo sviluppo della mission specifica di un CLM in Medicina passa attraverso la capacità del Presidente di reclutare i docenti in base ai bisogni formativi e al progetto pedagogico che si intende portare avanti.

Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica si è inoltre speso per ribadire la necessità di una formazione differenziata e specifica dei docenti a seconda che essi svolgano un’attività didattica frontale o tutoriale a piccoli gruppi, o che insegnino nelle scienze di base o siano impegnati, invece, in attività didattiche professionalizzanti.10-12

Strumenti

Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica si è avvalso sostanzialmente di due strumenti per portare avanti le sue iniziative: l’organizzazione di eventi pedagogici per le riunioni della CPPCCLM e un’opera di promozione affinché le Sedi si dotino di proprie istanze di formazione continua dei docenti: le Commissioni Medical Education (CME).

Strumenti: eventi pedagogici nelle riunioni della Conferenza

Come detto, la CPPCCLM ha sempre considerato la formazione pedagogica continua dei suoi membri un obiettivo prioritario e strategico. Per questo motivo, ogni riunione della Conferenza include nel suo programma un evento pedagogico, di taglio proporzionato alla durata della riunione.

Nelle riunioni di un solo giorno, l’evento pedagogico si è limitato, di regola, ad una lecture (la pillola pedagogica) tenuta da un membro del Gruppo di lavoro o da un qualificato esperto esterno, come Stefano Semplici (Etica e Salute Globale) o Maria Grazia De Marinis (L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi). Negli ultimi anni, lo scopo della pillola è stato quello di introdurre il tema di una nuova trilogia.

Nelle riunioni di due giorni, l’evento pedagogico è consistito, di regola, in un miniatelier o in forum. Il formato di base è analogo: si tratta di un evento della durata di tre ore, che esordisce con una presentazione del tema generale e di quelli particolari dei laboratori paralleli, prosegue nella conduzione di 4 laboratori su argomenti complementari, e si conclude con un debriefing di restituzione in plenaria. Ciò che distingue il miniatelier dal forum è la tipologia del conduttore che anima i laboratori: nel primo caso a introdurre il tema del laboratorio è un esperto di pedagogia medica, mentre nel secondo caso si tratta di uno o più presidenti di CLM, con il compito di esporre la propria esperienza concreta, maturata sul campo. Questa differenza di formato è strategica, perché il Presidente che partecipa al laboratorio vive non di rado l’esperto come estraneo alla propria realtà concreta, e parte dall’assunto che la sua proposta sia poco realizzabile. Questa remora cade, invece, quando a presentare la propria esperienza è un altro Presidente che vive, a sua volta, le sue stesse difficoltà e contraddizioni.

Strumenti: la Commissione Medical Education

Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica ha sempre svolto un’azione di promozione affinché le Sedi si dotino, eventualmente unendo le forze con la creazione di consorzi tra Università territorialmente vicine, di strutture dedicate alla formazione pedagogica.8 In tal senso, le finalità di una CME sono state illustrate in Conferenza tramite specifiche pillole pedagogiche e, recentemente, con il dedicare all’argomento uno dei laboratori dell’ultimo atelier “di base” (Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea in Medicina, Portonovo di Ancona, 25 Settembre 2015).

Nella riflessione di chi scrive, una CME dovrebbe darsi quattro obiettivi prioritari:

– formare gli operatori (i docenti del CL)

– formare i formatori (gli organizzatori della didattica)

– promuovere il miglioramento continuo della didattica (pedagogicamente fondato)

– promuovere la valorizzazione della competenza didattica dei docenti e la ricerca scientifica in Pedagogia Medica (anche attingendo al contributo di altre facoltà, come Scienze della Formazione o Psicologia)

Un dibattito ancora aperto è quello sui destinatari ideali della attività formative di una CME. In un modello ad extra, la CME dovrebbe rivolgersi a tutti i cultori di formazione sanitaria presenti sul territorio, e quindi non solo ai docenti della facoltà di Medicina. In questo modo la CME potrebbe prescindere dai finanziamenti dell’Ateneo, autofinanziandosi con le proprie iniziative. Un altro vantaggio sarebbe quello di di collocare l’Università al centro della rete formativa dei professionisti della salute. Questo modello organizzativo sembra essersi pienamente imposto, finora, nella sola Università di Genova.

In un modello ad intra, la CME concentra la sua attività sulla Facoltà/Scuola di Medicina e, quindi, sui CL di Medicina, di Odontoiatria e delle Professioni Sanitarie. In questa seconda modalità organizzativa, l’azione della CME si rivolge agli organizzatori della didattica (formazione dei formatori destinata al Presidente del CL, ai Coordinatori di Semestre/Anno e a quelli di Corso Integrato); a tutti i docenti del CL (miglioramento continuo della didattica); ai futuri docenti del CL (organizzando dei corsi di abilitazione all’insegnamento universitario); ai futuri ricercatori nel campo della Pedagogia Medica (da formare mediante interazioni con le scienze della formazione).

Nel modello ad intra, gli obiettivi formativi specifici della CME dovrebbero essere:

– insegnare a insegnare, ovvero come fare:

– lezioni frontali;

– didattica a piccoli gruppi, professionalizzante o meno;

– la verifica dell’apprendimento, ecc;

ma anche:

– insegnare a organizzare la didattica, ovvero:

– pianificare il curriculum

– pianificare e organizzare un semestre integrato (possibilmente con il relativo esame di semestre)

– pianificare ed eseguire un corso integrato (con le relative prove di valutazione), ecc.

Evidentemente, tanto più una CME farà proprie le metodologie della best evidence medical education e saprà promuovere attività di ricerca pedagogica applicata alla medicina, quanto più la sua attività formativa risulterà efficace.

Infine, una CME “dedicata” a uno o più CL dovrebbe essere in grado di organizzare eventi formativi rivolti al coinvolgimento dei docenti nella risoluzione, pedagogicamente fondata, di problemi formativi specifici. In questo senso, la CME può validamente collaborare con la CTP, al servizio della vision del Presidente, per elaborare la mission del CL e per tradurla in obiettivi formativi.

Bibliografia

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12) Gallo P, Casoli G, Consorti F, Della Rocca C, Familiari G, Guelfi MR, Guicciardi S, Leopardi E, Lubrano R, Masoni M, Moja EA, Nicolazzi M, Riggio O, Sperandeo F, Valanzano R Vivalda I: Verso una laurea professionalizzante. 1°. Acquisizione delle competenze professionali. Med. Chir. 62: 2797-2804, 2014

Cita questo articolo

Gallo P., Formazione pedagogica continua nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia italiani, Medicina e Chirurgia, 68: 3105-3108, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-5

On site visit 2004-2014. Risultati del primo esercizio del secondo ciclon.68, 2015, pp. 3094-3104, DOI: 10.4487/medchir2015-68-4

Abstract

The first repetition of the second course of the Site-Visit Project by CPPCLMC is completed. It appeared to be more agile and standardized than before and it leaded to the first internal provisional validation of all Italian CLMMCs, within the CPPCLMC, on the basis of the requirements commonly accepted. Comparison and integration with the Site-Visit Project by ANVUR is needed as far as official acceptance by MIUR in terms, also, of its recognition as possible instrument of teaching activity evaluation.

Articolo

Introduzione

Il progetto On Site Visit della CPPCLMMC, insieme al Progress Test, rappresenta la testimonianza dell’impegno della Conferenza, e di tutti i corsi di laurea magistrale di medicina e chirurgia italiani, nella ricerca di sistemi di autovalutazione sempre più obiettivi e affidabili sulla qualità nella formazione della figura del medico. Quelli che vengono sinteticamente riportati nel presente articolo sono i risultati del I esercizio del II ciclo (2013-2014). Il precedente ciclo di On Site Visit, che si è svolto in tre diversi esercizi, ha proposto, realizzato e affinato un metodo per costruire un vero e proprio sistema di accreditamento tra pari basato sul rispetto di requisiti minimi realmente raggiungibili, ai fini di un continuo miglioramento dell’attività dei corsi tramite la progressiva eliminazione delle criticità e la condivisione delle eccellenze riscontrate e divulgate. L’attuale esercizio ha rappresentato un primo tentativo reale di accreditamento effettivamente basato su requisiti minimi condivisi, stilati anche sulla scorta delle simulazioni effettuate sui risultati del precedente ciclo, e ha impegnato tutti i corsi di laurea a lavorare per il loro raggiungimento e mantenimento in modo “sostenibile”.

Metodologia

Il primo esercizio del secondo ciclo ha previsto quattro fasi:

– una fase propedeutica in cui è stato comunicato ad ogni Presidente di CCLMMC il risultato della simulazione effettuata per il proprio corso concepita come confronto tra i risultati dell’ultimo esercizio effettuato e i requisiti minimi condivisi dalla Conferenza e riportati in Tabella 1.Schermata 2016-01-15 alle 15.37.51

– una prima fase in cui è stato compilato on line, da ogni Corso di Laurea, un questionario di autovalutazione, attualmente volto ad accertare soprattutto i requisiti condivisi, che è stato reso disponibile in tempo reale alla commissione di coordinamento centrale e da questa messo a disposizione delle commissioni visitatrici;

– una seconda fase in cui le commissioni, costituite q
uesta volta da un minimo di due componenti (due Presidenti di CLMMC in carica di
cui uno con funzioni di coordinamento, appartenente alla commissione centrale o alla task-force e con possibilità di invitare un Past-President) hanno effettuato le visite presso le sedi dei Corsi di Laurea; in questo esercizio, accanto alla check-list già utilizzata in passato che prevede i passi fondamentali da effettuare durante la visita stessa, è stata predisposta anche una check-list per la verifica dei requisiti minimi e un modello per la stesura delle relazioni in modo da garantirne la comparabilità;

una terza fase in cui le commissioni hanno compilato e trasmesso alla commissione centrale le relazioni conclusive su quanto riscontrato; anche per questa fase, come in passato, è stata prevista una check-list con le stesse finalità di quella stilata per la fase II.

Nel complesso i Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia censiti tramite il questionario sono stati 49 e corrispondono a quelli attesi, che in realtà non sono perfettamente corrispondenti a quelli censiti nel precedente esercizio; infatti mentre in una sede è stato deciso di accorpare i 3 C.d.L. presenti, in un’altra il processo di separazione in 3 corsi di laurea differenti dell’unico corso originario è stato ultimato.

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Nel complesso, dal punto di vista metodologico, possono essere tratte due considerazioni principali:

L’aderenza delle visite alla check-list approvata dalla CPPCLMMC è stata ottimale, e comunque molto migliore del precedente esercizio (vedi Fig. 1) sebbene la percentuale di sopralluoghi nelle strutture assistenziali non sia ancora del tutto soddisfacente

L’utilizzazione di un check-list da compilare e restituire insieme alla relazione ha consentito di superare le criticità legate alle differenti modalità di “resa” delle relazioni, stante l’eterogeneità degli stili e, verosimilmente, ha fornito uno stimolo importante per commissari e visitati nell’organizzazione della visita

Risultati

I questionari

L’accreditamento e la qualità

Come nei precedenti esercizi anche in questo è risultato che la totalità dei corsi di laurea possiede documenti pubblici in cui sono indicati la mission e gli obiettivi formativi del CLM che, in oltre i 2/3 dei casi, sono diffusi e condivisi moltissimo.

Oltre il 95% dei CLM ha elaborato una strategia per assicurare la qualità dell’offerta formativa e nelle relative dichiarazioni di intenti appare in aumento, rispetto al passato, la considerazione degli aspetti, organizzativi, comportamentali e di relazione. Anche il dato relativo alla reale operatività delle dichiarazioni sulla qualità appare in netto miglioramento confermando il trend in crescita riscontrato negli ultimi esercizi (Fig. 2).

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È evidente che il bisogno di organizzare un sistema di controllo di qualità ai fini anche di un processo di accreditamento, già precedentemente censito, sembra avere ormai compiuto un importante viraggio verso l’operatività. Anche gli indirizzi appaiono maturati nel senso di una maggiore attenzione agli aspetti organizzativi, comportamentali e di relazione (e in questo senso ci piace credere che ci sia stato un effetto positivo del lavoro della Conferenza) oltre che a quelli strutturali e visibili. Resta da capire quanto questo sia dovuto realmente alla consapevolezza dell’importanza della presenza di un sistema qualità efficiente più che ad una necessità di adempimento formale (ANVUR – AVA). Certo l’occasione è ghiotta per cercare di colmare il divario tra adempimento formale e adeguamento sostanziale e intraprendere un virtuoso cammino di miglioramento continuo della qualità dell’offerta formativa dei corsi.

L’organizzazione

La situazione organizzativa attuale dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia italiani è riassunta nella Tabella 2 dove è riportata la percentuale di presenza nei vari corsi delle principali strutture e figure organizzative e/o di elaborazione pedagogica. Le commissioni tecnico-pedagogiche sono la struttura portante praticamente in tutte sedi sebbene ancora in 1/3 dei casi non sia stato previsto un regolamento scritto. Rare sono ancora le Commissioni di Medical Education presenti solo in ¼ dei corsi, peraltro la specificità delle stesse e la difficoltà della loro diffusione deve cominciare a far pensare alla possibilità di sperimentare strutture intercorsi/interfacoltà. Migliorato è il dato relativo ai coordinatori di semestre rispetto al passato nel senso che circa più dei 2/3 delle sedi se n’è ormai dotato. Di interesse appare anche l’aumento delle sedi che hanno a disposizione un supporto di personale amministrativo dedicato a tempo pieno alle attività del CLM che sono quasi il 90%.

Presenza di strutture/figure organizzative e/o di dibattito/elaborazione pedagogica
Struttura/figura percentuale Tot/risposte
Consiglio di Corsodi Laurea 94% 46/49
Commissionetecnico-pedagogicao Commissione didattica 96% 47/49
Commissione MedicalEducation 23% 11/48
Coordinatore di Semestre 71% 35/49
Coordinatore CorsoIntegrato 98% 48/49

Tab. 2

In sostanza l’organizzazione dei C.d.L. italiani non risulta ancora omogenea (anche perché basata sulle contingenze locali) e il rischio, almeno apparente, di cadere nella manutenzione più che gestire in modo innovativo, è ancora presente. Va sottolineato comunque un “miglioramento” rispetto al precedente esercizio sia per quel che riguarda il completamento dei sistemi di coordinamento, sia per la dotazione di personale amministrativo che deve proseguire fino al raggiungimento di uno standard minimo che permetta un’agevole funzionalità dei corsi.

Le risorse umane

Il numero medio dei docenti di ruolo per corso di laurea è in evidente contrazione passando dai 201 dello scorso esercizio ai 162 dell’attuale con una perdita secca di quasi 40 unità per corso, mentre quello dei docenti a contratto è rimasto sostanzialmente invariato (17vs18); questi ultimi sono attualmente di circa cinque anni più giovani rispetto ai primi che risultano avere ancora un’età media oltre i 50 anni sebbene in diminuzione rispetto al precedente esercizio (Tab. 3).

Corpo docente:
Opzioni di risposta Media tot Risposte
Numero di docenti di ruolo che svolgono attività didattiche nel CLM 162 7303 45
Numero di docenti a contratto che svolgono attività didattiche nel CLM 18 815 45
Età media dei docenti di ruolo nel CLM 51 35
Età media dei docenti a contratto nel CLM 45 3

Tab. 3

Il dato relativo alla carenza di docenti in specifici SSD resta costante con circa il 75% delle sedi che si trova in questa situazione e questo appare sostanzialmente dovuto all’impossibilità sia di ottenere forze nuove, sia di fare eccessivo ricorso alle docenze a contratto. Migliorata appare la situazione relativa alla valutazione dei curricula per gli affidamenti didattici che finalmente, in almeno ¾ delle sedi, è effettuata direttamente dal CCL.

In sintesi, continua la flessione del corpo docente (il cui apparente ringiovanimento al momento è fittizio in quanto determinato dalla fuoriuscita degli “anziani” più che dall’entrata di “forze nuove”), mentre stabile è la situazione delle docenze a contratto con il conseguente persistere della carenza, nel 25% circa delle sedi, di qualche SSD. Esiste, in altre parole, un reale problema di assottigliamento delle risorse umane mentre migliora l’appropriatezza della loro selezione.

Le risorse strutturali e i servizi

Le risorse strutturali appaiono in genere quantitativamente e qualitativamente adeguate con l’eccezione di alcune criticità per le aule che mal sopportano l’aumento di iscrizione dovuto al flusso dei cosiddetti ricorsisti sebbene in genere la dotazione appaia congrua (Fig. 3)

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L’offerta bibliotecaria appare in ulteriore miglioramento oltre che ormai quasi completamente informatizzata. Si conferma il dato per il quale nel 95% dei casi sono presenti spazi dedicati esclusivamente agli studenti e nella stessa percentuale sono presenti laboratori informatici. Purtroppo si conferma ancora il dato negativo relativo alla dotazione di spogliatoi per gli studenti dal III al VI anno, solitamente maggiormente coinvolti nelle attività professionalizzanti, che sono presenti in meno delle metà delle sedi (Fig. 4).

L’informatizzazione dei servizi appare ormai pressoché completata e buona permane l’offerta dei servizi per il diritto allo studio. (Fig. 5)

Per quel che concerne l’accessibilità alle strutture assistenziali, oltre l’85% delle sedi ha un rapporto posti letto/studenti immatricolati pari o superiore a 3. Nel 100% dei casi sono presenti più strutture diagnostiche dichiarate fruibili ai fini didattici e, nel 98%, esiste un Dipartimento Emergenza Accettazione a diretta gestione da pare di Unità Operative Complesse a direzione universitaria o in convenzione.

In definitiva si conferma la presenza di risorse strutturali generalmente adeguate, anche se, a fronte di un diffuso miglioramento qualitativo delle stesse in più sedi riscontrato, esiste ancora un problema della non costante presenza di una politica realmente guidata dalla didattica dell’utilizzo/rinnovamento delle stesse.

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La didattica

L’intervento nella metodologia didattica segna il passo, almeno in termini di risultati, come è evidente dal prevalere ancora della risposta abbastanza ai quesiti sulla integrazione tra gli insegnamenti. L’applicazione del Core Curriculum Nazionale, dichiarata in circa il 90% delle sedi, andrebbe verificata in termini di riscontro sui programmi pubblicati, stante il dato del non frequente utilizzo delle UDC e delle UDE. È confermata la presenza di crediti relativi alle discipline gestionali/di medicina di prossimità/di scienze umane in tutti i CDL mentre le ADP restano in grandissima parte svolte presso i plessi assistenziali malgrado sia ormai diffuso l’utilizzo dei laboratori di simulazione presenti in embrione in almeno i ¾ dei CDL (Fig. 6)

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Lo sforzo propositivo di innovazione didattica si scontra ancora con un difficile governo dell’attività didattica svolta dai singoli docenti. La variazione più significativa rispetto le precedenti esperienze appare l’incremento evidente dell’utilizzo della simulazione per la didattica professionalizzante.

L’internazionalizzazione

Alta resta la percentuale delle sedi (oltre il 95%) in cui è favorita l’internazionalizzazione degli studenti con un aumento delle situazioni in cui ciò è fatto molto o moltissimo e sempre alta è la prevalenza dei Progetti Erasmus/Socrates e/o SISM, sebbene comincino ad essere favoriti anche progetti gestiti direttamente dalle sedi tramite rapporti diretti di collaborazione (Fig. 7). In pressoché tutte le sedi sono registrati gli studenti in uscita e in entrata.

La coscienza dell’importanza del raggiungere un livello sovranazionale della formazione e del sapere è sempre più diffusa. I progetti Erasmus/Socrates e SISM costituiscono i progetti leader, ma cominciano a comparire altre realtà gestite direttamente dalle sedi che, in oltre l’80% dei casi, registrano gli studenti in entrata e in uscita dimostrando un incremento della mobilità, in ambedue le direzioni, rispetto l’ultimo esercizio.

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Il controllo e la valutazione degli studenti

È confermato il dato secondo il quale in tutti CLM è controllata efficacemente, sebbene con metodologia diversa, la presenza degli studenti alle differenti attività didattiche e, generalmente, il limite di tolleranza delle assenze è del 30% per tutte le attività obbligatorie e dello 0% per quelle elettive. Immutata appare la metodologia della valutazione dell’apprendimento che rimane prevalentemente effettuata tramite l’esame orale (nel 60% dei casi), prove scritte, integrate o no con le prove orali, in circa il 30% dei casi e prove pratiche per la verifica delle abilità acquisite in circa il 10%. Sempre molto incentivata è la valutazione espressa da più esaminatori appartenenti a diversi SSD presenti nel medesimo corso integrato.

Pressoché la totalità dei corsi ha ormai sperimentato il progress test (Fig. 8) che è spesso utilizzato come misura della capacità di apprendimento e della qualità dell’insegnamento.

La necessità di pervenire a modalità omogenee e obbiettive di verifica delle presenze degli studenti alle attività didattiche è sempre più stringente per quanto le attuali metodologie in uso siano già sufficientemente efficaci. Prevalgono ancora le valutazioni effettuate tramite il solo esame orale, ma la composizione multidisciplinare è molto incentivata. Il Progress Test è ormai ubiquitario e comincia ad essere utilizzato come strumento obbiettivo di misurazione sia dell’apprendimento, sia, indirettamente, dell’insegnamento.

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Il controllo e la valutazione dei corsi e dei docenti

La valutazione e il controllo dei corsi e dei docenti è effettuata ovunque, principalmente tramite la somministrazione semestrale agli studenti dei questionari di valutazione. In crescita le esperienze di valutazione tra pari (docenti vs docenti) ormai presenti in quasi ¼ delle sedi. Le sedi privilegiate di discussione dei risultati appaiono il CCL e la CTP denunciando un aumento dell’esigenza di discussione collegiale a fronte di una comunque sempre ben rappresentata abitudine alla discussione diretta tra docenti e Presidente di C.d.L.; ancora scarso appare il coinvolgimento, in questa fase così delicata e importante, delle figure di coordinamento, CS e CCI (circa 1/3/dei casi). I risultati sono utilizzati maggiormente per intervenire sull’organizzazione didattica e per migliorare la dotazione di attrezzature, mentre permane il disagio dovuto alla mancanza della possibilità di utilizzare mezzi di incentivazione/disincentivazione per il miglioramento della qualità. Il Progress Test è sempre più utilizzato come strumento di valutazione dei corsi (Fig. 9).

L’esigenza sempre più sentita di un metodo di valutazione non formale, ma realmente utile e possibilmente informativo, sta portando a una maggiore diffusione di sistemi di discussione collegiale dei risultati dai classici questionari di valutazione degli studenti ai nuovi strumenti, costituiti principalmente da percorsi di valutazione tra pari e dal Progress Test. Quest’ultimo risulta essere lo strumento di valutazione più utilizzato nella valutazione dei corsi dopo il questionario semestrale del NVA. Permane la necessità di individuare meccanismi di incentivazione/disincentivazione per applicare in modo efficace i risultati delle valutazioni, comunque ottenute, ad un reale processo di miglioramento continuo della qualità.

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La Medicina Generale

Stabile è la situazione del rapporto con la Medicina Generale del territorio che è presente in tutti CLM italiani con una media di 3 crediti dedicati, prevalentemente concentrati negli ultimi anni di corso, i cui contenuti di apprendimento sono ancora al momento valutati in modo non completamente standardizzato (giudizio più o meno strutturato del tutor e frequenza). In crescita la presenza di comitati costituiti con rappresentanze esterne ai CDL attualmente presenti in circa la metà delle sedi.

Oramai consolidato è il rapporto con la Medicina Generale che comincia ad essere meglio strutturato. L’ulteriore organizzazione/strutturazione dovrebbe fungere da volano per un rapporto più complessivo con le esperienze di medicina di prossimità.

I risultati

Circa il 55% degli studenti dei CLM italiani si laurea in corso e l’80% lo fa entro il I anno fuori corso. Attualmente in media la percentuale degli iscritti come ripetenti o fuori corso è del 20% in netto miglioramento rispetto al 30% precedentemente registrato. Il tasso di abbandono stimato sulla base degli immatricolati nell’anno accademico 2010-2011, confrontati con gli iscritti al III anno nell’anno accademico 2012-2013, ha dato un risultato dell’1%, evidentemente falsato da fenomeni riconducibili sia al subentro in anni successivi al primo di studenti in trasferimento o che hanno sostenuto esami utili pur essendo iscritti in altri C.d.L. prima di aver superato il test di ammissione.

Sebbene questi dati vadano ulteriormente raffinati, il quadro è stabilmente buono (soprattutto in confronto agli altri CDL, e risulta in miglioramento per quel che riguarda il rapporto in corso/non in corso confermando la necessità e il possibile successo di interventi di recupero/supporto per gli studenti in difficoltà.

La percezione soggettiva e… quella oggettiva

Il 97% dei Presidenti di CLM dichiara da abbastanza a del tutto raggiunti la missione e gli obiettivi del corso con un importante superamento da parte dei molto sugli abbastanza (Fig. 10).

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Tale percezione soggettiva appare confermata dalla percezione delle commissioni che, nelle conclusioni delle loro relazioni, hanno giudicato positivamente i C.d.L. in ordine a organizzazione e sintonia con il nuovo ordinamento didattico nella grande maggioranza dei casi (rispettivamente nel 75% e nel 63%).

Abbiamo finalmente superato il famigerato “abbastanza” con il “molto” confermando la percezione soggettiva dei Presidenti di CLMMC circa una buona realizzazione della “mission”. La soggettività del dato non lo deve sminuire in quanto ampiamente confermato dalle percezioni delle commissioni visitatrici e in linea con il nostro sano ottimismo “della ragione” che ci deve spronare nella continuità dell’azione di miglioramento dell’offerta formativa dei nostri corsi.

Relazioni e check-list sui requisiti minimi

Come già rilevato in passato, è arduo sintetizzare l’enorme messe di dati, impressioni ed emozioni che scaturisce dalla lettura delle relazioni delle commissioni che hanno effettuato le site-visit: l’atto della visita, andando oltre l’istituzionale funzione di verifica e di correzione di quanto riportato nei questionari, rappresenta infatti un formidabile momento di confronto e di crescita culturale, organizzativa e umana, sia per coloro che hanno effettuato la visita, sia per coloro che l’hanno ricevuta. Il fatto di aver adottato nel presente esercizio un modello condiviso di relazione, ha permesso un più facile confronto delle esperienze che si tenterà di rendere cercando anche di sottolineare il valore aggiunto, costituito principalmente dall’interpretazione della visita quale occasione di compartecipare la missione didattica per il miglioramento continuo della formazione del medico. L’introduzione dei requisiti minimi di accreditamento, e della conseguente check-list per il loro rilevamento, ha permesso da un lato di valutare il raggiungimento o meno del livello di accreditamento, che in questa fase è stato immaginato come corrispondente alla certificazione della presenza di almeno l’80% dei requisiti minimi, e dall’altra, grazie alle simulazioni elaborate sui dati del presente esercizio, di misurare il miglioramento reale dei singoli C.d.L.

Le informazioni

Nelle Figg. 11 e 12 sono riportati gli ambiti rispettivamente delle eccellenze e delle criticità, confrontati con quelli rilevati nel precedente esercizio e censiti nell’attuale esperienza nei CLM italiani.

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Per brevità ci si limiterà a considerare come alcuni effetti di apparente contraddizione rispetto al dato oggettivo siano probabilmente dovuti a fenomeni di “adattamento”. Per esempio, mentre il dato oggettivo di un Progress Test ormai diffuso ovunque ne dimostra la condivisa affermazione, la presenza dello stesso non è più percepita come eccellenza, così come il dato, anch’esso obbiettivo, della contrazione del corpo docente, evidentemente ormai considerato scontato, è meno denunciato come criticità. Un’altra considerazione utile all’interpretazione individuale dei dati è quella relativa all’ambito dell’organizzazione didattica, saldamente al primo posto sia tra le eccellenze, sia tra le criticità, situazione solo apparentemente contraddittoria.

Rimandando considerazioni più articolate al dibattito interno della Conferenza dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e dei corsi stessi per utilizzare al massimo le informazioni raccolte e svilupparle, si propongono sinteticamente le seguenti riflessioni:

La percezione di eccellenza strutturale per la didattica in quasi il 50% delle sedi rafforza il dato positivo derivato dal questionario; ciononostante questa volta la percezione di criticità nello stesso settore supera il 30% e appare in aumento probabilmente in relazione all’aumento degli iscritti;

A fronte di un netto miglioramento del rapporto qualitativo studenti/docenti, evidentemente segnale di una aumentata consapevolezza dell’importanza della partecipazione di tutte le componenti al progetto didattico, preoccupa il permanere delle criticità più frequenti (quasi nel 50% delle sedi) nell’ambito dell’organizzazione didattica; in questo senso grande importanza riveste, in quanto ripetutamente denunciata nelle relazioni, la confusione gestionale causata dalla non chiara definizione delle competenze in tema di didattica tra i Dipartimenti e le Facoltà/Scuole/organi di raccordo che spesso paralizza le attività dei C.d.L; i Presidenti sono quindi costretti a barcamenarsi sulla esclusiva base delle capacità personali di mediazione che permettono accordi operativi non scritti (ratifiche, approvazioni formali sequenziali, ecc), pericolosamente dipendenti dalla capacità e dalla volontà personale dei singoli. Tutto ciò è di evidente fragilità anche in considerazione dell’altrettanto pericolosa dicotomia progressiva tra direzioni strategiche e direzioni amministrative a qualsiasi livello delle strutture organizzative degli atenei. La crescita di eccellenze nello stesso ambito dell’organizzazione didattica dimostra un grande fervore di idee e di soluzioni apparentemente però ancora non strutturate;

Anche l’ADP, sempre più croce (nel 49% delle sedi) e confermata delizia (nel 22% delle sedi), è ambito di grande fermento che, però, ormai necessita di un intervento coordinato e razionale in grado di realizzare linee guida precise e diffondere gli strumenti elaborati dalla Conferenza anche in ordine a quanto offerto dall’innovazione tecnologica;

Preoccupa che, nell’ambito delle criticità di tipo logistico, rimangano largamente rappresentate problematiche inerenti banali servizi per gli studenti che rivestono grande importanza per la garanzia del diritto allo studio.

Il valore aggiunto

Per quel che concerne il valore aggiunto, così come definito in precedenza, di sicuro esso resta il dato di più difficile resa perché in apparenza poco palpabile anche se estremamente reale e particolarmente entusiasmante. Esso è testimonianza della capacità, da parte di chi è direttamente e quotidianamente impegnato nell’organizzazione e nella gestione dei CLM, di perseguire soluzioni che nei fatti, a fronte di contingenze non sempre favorevoli, permettono in tutta Italia una formazione del medico omogenea e di alto livello, come il Progress Test continua a dimostrarci. Si fa di seguito riferimento a due contesti che si ritengono di particolare rilevanza:

Il “valore percepito” della visita

Come anche nei precedenti esercizi, le visite sono state ben preparate e generalmente i Presidenti di CLM e il loro collaboratori hanno utilizzato la presenza della commissione per fare divulgazione e dibattito interno ai CLM sui problemi della didattica cercando di aumentare il consenso e la condivisone della missione del corso. A misura di questo impegno vale la pena di riportare il dato relativo alle figure istituzionali, non previste dalle varie check-list, che hanno partecipato alla visita incontrando la commissione (Fig. 13).

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È evidente l’ormai rilevante peso che l’evento Site-Visit riveste non solo per la realtà propria del C.d.L., ma anche per l’ateneo nel suo complesso e per i suoi organismi gestionali oltre che, in una proporzione crescente nel tempo, per le Aziende Sanitarie di riferimento..

Il confronto con tali figure istituzionali si è spesso rilevato momento reciprocamente utile in termini sia di condivisone di intenti, sia di stimolo motivante al perseguimento di obiettivi utili al miglioramento della qualità del C.d.L. visitato.

La figura del Presidente di CLMMC – Gli eroi e i mulini a vento

Anche in questo esercizio l’analisi delle relazioni ha permesso di censire frequenti citazioni relative alla centralità della figura del Presidente di CLM, cruciale sia a livello organizzativo, sia come motore motivazionale dell’attività del Corso e come riferimento per gli studenti. Piace ripetere quanto già in passato affermato circa la figura del Presidente di CLM che si ritiene possa essere a pieno diritto assimilata a quella di un dirigente con la responsabilità di un processo che coinvolge una media di 200 unità di personale (i docenti), destinato a circa 600 utenti fissi per un periodo di 6 anni (gli studenti) e il cui prodotto (il medico) è valutato dall’intera società civile; tutto questo viene svolto senza alcun strumento di incentivazione/disincentivazione oltre che senza un reale potere di dirigenza. Questo impegno, che senza retorica può essere definito quasi eroico, spesso cozza contro le difficoltà contingenti e va mantenuto anche negli avvicendamenti fisiologici di una carica sempre meno ambita in quanto sempre più onerosa e poco tutelata. Il lavoro svolto dalla Conferenza in questo ambito è stato, ed è, cruciale sia in termini di stimolo nei confronti degli organismi istituzionali accademici e non, sia come momento formativo dei nuovi Presidenti di CLM. L’intento delle visite e dell’intero progetto è stato anche quello di assistere i Presidenti nel loro lavoro e di farli sentire parte di una comunità pronta a sostenerli tramite la condivisone delle esperienze. La sensazione è che ciò sia stato raggiunto.

L’accreditamento provvisorio

Il dato conclusivo di estrema rilevanza che resta da considerare è quello relativo al raggiungimento, o meno, da parte dei C.d.L. della percentuale dei requisiti stabilita come soglia per l’ottenimento dell’accreditamento provvisorio che, come si ricorderà, era corrispondente all’80%. La Fig. 14 mostra la situazione così come censita dalle check-list compilate dalle commissioni.

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È evidente come tutti i CLMMC italiani abbiano raggiunto la soglia stabilita e pertanto debbano essere considerati come titolari dell’accreditamento provvisorio interno alla CPPCLMMC. Tale importante risultato riveste un significato ancora più rilevante alla luce di quanto dimostrato dalla simulazione, effettuata sui medesimi parametri, relativa ai dati del precedente esercizio di Site-Visit (Fig. 15) che fotografa una situazione ben diversa con più di 1/3 delle sedi sotto il livello di accreditamento e nessuna con il 100% dei requisiti.

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In altre parole in tre anni di lavoro mirato, ed evidentemente stimolato dalla motivazione indotta anche dalla partecipazione al progetto Site-Visit, i CLMMC italiani sono stati in grado di realizzare i correttivi necessari al raggiungimento dei parametri comunemente stabiliti. L’aver colto tale obiettivo, ci piace pensare anche grazie agli strumenti messi a disposizione dalla Conferenza, dimostra che si può ingenerare quel circolo virtuoso di miglioramento continuo della qualità votato, non già alla censura e alla “punizione” di chi è in difficoltà, ma alla individuazione delle criticità per la loro soluzione e alla condivisione delle eccellenze.

Considerazioni conclusive

Il processo di trasformazione del Progetto Site-Visit in un vero sistema di accreditamento tra pari è ormai concluso. Nello specifico i requisiti minimi di accreditamento sono stati stilati e condivisi e le linee guida per il raggiungimento/mantenimento in tempi ragionevoli di tali requisiti sono stati indicati. La simulazione di accreditamento sui dati già presenti e relativi al III esercizio del I ciclo, effettuata rispetto i requisiti minimi condivisi, ha dimostrato che quasi 2/3 dei corsi sarebbe già stata potenzialmente accreditabile, ma soprattutto ha indicato ad ogni singolo corso i propri punti di debolezza. Il I esercizio del II ciclo di Site-Visit è stato concepito in modo da essere più agile e strutturato in termini di standardizzazione delle procedure e con finalità di accreditamento interno alla Conferenza; in prima applicazione l’accreditamento è stato considerato raggiunto con il soddisfacimento di almeno l’80% dei requisiti minimi. Una criticità nel prossimo futuro sarà sicuramente rappresentata dalla necessità di adeguare i requisiti strutturali alle repentine fluttuazioni del numero degli studenti, il rispetto della cui programmazione è nei fatti continuamente inficiato dall’accoglimento da parte della magistratura, dei ricorsi circa presunte irregolarità del test di accesso. Il quadro della situazione dei CLMMC italiani è definito e questo può essere di grande utilità anche in considerazione dell’avvenuto avvio delle Site-Visit dell’ANVUR con le quali è sempre più necessario un processo di reale integrazione. Un primo passo può essere rappresentato dal fornire, nell’ambito della documentazione messa a disposizione dei commissari esperti valutatori impegnati nella visita per conto dell’ANVUR, la relazione della commissione della Site-Visit della CPPCLMM. Il passo successivo su cui puntare è la legittimazione ministeriale del programma delle Site-Visit della CPPCLMMC sia in termini di ufficializzazione, sia anche ai fini del suo riconoscimento quale strumento di valutazione della didattica relativamente alle strutture coinvolte (Atenei, Facoltà, Dipartimenti).

In sintesi:

– Ce l’abbiamo fatta: lo strumento di accreditamento tra pari c’è, è abbastanza agile e funziona, ovviamente è migliorabile.

– Il salto di qualità in termini di motivazione al miglioramento sembrerebbe pienamente raggiunto, nonostante le difficoltà intrinseche del momento.

– Cominciano a essere palesi esperienze di governo vero e proprio dei C.d.L. che debbono sostituire gradualmente, ma velocemente, la semplice manutenzione.

– La totalità dei C.d.L. ha raggiunto l’accreditamento provvisorio secondo i criteri della Conferenza, ma solo una piccola parte avrebbe raggiunto quello definitivo con il 100% dei requisiti raggiunti.

– Diventa cruciale a questo punto mettere a punto ulteriori azioni che aiutino tutti i C.d.L. a raggiungere il 100% dei requisiti minimi in tempi ragionevoli e a mantenerli.

 

 Ringraziamenti

Si ringraziano i colleghi Presidenti di tutti i CLMMC, veri protagonisti di questo risultato. Un particolare ringraziamento va ai componenti della commissione centrale, Francesco Romanelli e Riccardo Zucchi, e alla task-force costituita da Raffaele De Caro, Luigi Demelia, Pietro Gallo e Bruno Moncharmont senza i quali il compimento di questo esercizio non sarebbe stato possibile.

Si ringraziano infine la dottoressa Carmen Mazzitelli per il supporto costante in tutte le fasi della realizzazione del presente esercizio e per l’attenta revisione dell’articolo e la dottoressa Martina Leopizzi per il prezioso ausilio nell’elaborazione dei dati.

Cita questo articolo

Della Rocca C., Lenzi A., On site visit 2004-2014. Risultati del primo esercizio del secondo ciclo, Medicina e Chirurgia, 68: 3094-3104, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-4

Innovazione didattica: qualità e formazione pedagogica interdisciplinare per i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicinan.66, 2015, pp.2985-2988, DOI: 10.4487/medchir2015-66-4

Abstract

The School of Medicine, University of Ferrara, launched a project of educational training for clinicians, teachers and tutors.

This paper will present the basic elements of the project which, with an ongoing similar event in Rome “Sapienza”, is a pilot experience to innovate and to update the teaching methodology and the quality of training in the curricula for healthcare professionals.

The goal of this project is to create conditions for an advanced methodologically sound teaching with particular implementation on interdisciplinary aspects, in order also to standardize training curricula with European directives.

The organization of the project is to be seen in a perspective period of three years with classroom seminars and interactive workshops.

This series of meetings is therefore intended for all teachers of the School of Medicine, for tutors, for health care organizers, and the aim is to present a series of teaching methods whose effectiveness is based on evidence from international literature, and above all to begin a process of serious reflection leading to feasible and innovative solutions

Articolo

La Scuola di Medicina dell’Università di Ferrara ha varato un progetto di formazione pedagogica per docenti e tutors clinici dei Corsi di Studio che ad essa fanno riferimento.

In questo articolo saranno presentati gli elementi fondamentali di questo progetto che, insieme ad un evento analogo già in corso a Roma “Sapienza”, si presenta come esperienza pilota per innovare e aggiornare la metodologia didattica e la qualità dei percorsi formativi dei Corsi di Studio di area medica.

L’obiettivo è di creare le premesse pedagogiche per una didattica avanzata, con particolare implementazione degli aspetti di interdisciplinarietà, con lo scopo di uniformare i Curricula formativi alle direttive europee.

L’articolo sarà anche l’occasione per puntualizzare lo stato dell’arte nella letteratura internazionale riguardo ai metodi e temi del “Faculty development”.

La formazione pedagogica dei docenti di area medica

Da sempre le “professioni” hanno formato i loro futuri aspiranti membri attraverso l’affiancamento ad un professionista in esercizio, associato al processo di apprendimento basato sulle fonti bibliografiche. In questo modello didattico, la formazione del futuro professionista avverrebbe per assorbimento diretto di valori, prassi e attitudini. Non mancherebbero esempi che contraddicono questo assunto. Le Facoltà di Medicina nascono circa 900 anni fa e prevedevano certamente numeri di studenti più ridotti, e un’organizzazione della didattica già allora incentrata sulla lezione magistrale, accompagnata certamente dalla pratica, ma non in misura tale da impedire la famosa protesta degli studenti padovani che già nel 1597 scrivevano al Rettore dell’Università di Padova: “Pochi di noi sono venuti fin qui attirati soltanto dalle lezioni e tutti noi siamo venuti per imparare la pratica. Non ci mancano le lezioni nel nostro paese di origine, o altrove, e a casa nostra abbiamo libri che possiamo ben leggere stando là come facciamo qua. E’ lo studio della pratica che ci ha portato ad attraversare tante montagne e con così tante spese”.

Il problema di formare i docenti alla funzione didattica esiste in tutto il mondo.

Nella gran maggioranza dei paesi il reclutamento avviene sulla base della qualificazione professionale e scientifica, dando per scontato che se un professionista sa “cosa” deve insegnare, sappia automaticamente anche “come” lo deve fare.

Se questo ragionamento fosse valido, la pedagogia come scienza non avrebbe alcun motivo di esistere e meno che meno i corsi di studio in scienze della formazione, a meno che non si intenda che ad essi sia pertinente solo la preparazione degli insegnanti della scuola primaria e secondaria.

La realtà è che nella letteratura scientifica della medical education l’argomento della formazione pedagogica dei docenti (indicato di solito come “faculty development”) è talmente vivo da aver indotto la Best Evidence Medical Education collaboration (la BEME in pedagogia medica è l’equivalente della Cochrane collaboration per la medicina clinica) a produrre una revisione sistematica sull’argomento1.

Più recentemente Academic Medicine, prestigiosa rivista dell’Association of American Medical Colleges, ha dedicato una nuova review all’argomento2.

Estraiamo da questi due articoli alcune idee fondamentali sulle tendenze relative a modalità e argomenti di formazione pedagogica.

Gli elementi di qualità, maggiormente associati all’efficacia includevano l’uso di metodi di apprendimento esperienziali e basati su successivi feed back e l’uso di strumenti diversificati all’interno dello stesso programma di formazione.

Tuttavia il metodo più frequentemente usato è la serie di seminari, indirizzati soprattutto ai docenti clinici e dedicati ai temi della tutorship, ai metodi attivi di insegnamento sia in classe che nel piccolo gruppo, ai metodi di insegnamento nel contesto clinico.

La modalità più frequente di valutazione di efficacia è il questionario di gradimento e la survey di follow up con cui si esplora l’utilizzo di quanto appreso nella didattica routinaria a distanza di tempo dal corso.

Un tema particolare a cui sempre più facoltà dedicano attenzione è lo sviluppo delle capacità di leadership dei docenti3, intesa soprattutto come capacità di formare gli studenti ad affrontare la complessità e capacità di sviluppare la propria azione formativa in contesti organizzativi complessi, come quelli che caratterizzano oggi i corsi di laurea in medicina, sia nei policlinici universitari che nelle aziende ospedaliero universitarie e sanitarie.

Il “progetto pilota” di Ferrara

Il progetto nasce dalla necessità di innovare e aggiornare la metodologia didattica per migliorare la qualità dei percorsi formativi dei Corsi di studio afferenti alla Scuola di Medicina.

L’obiettivo è di creare le premesse pedagogiche per una didattica avanzata con implementazione degli aspetti di interdisciplinarietà e, a medio termine anche la creazione di un Medical Teaching Learning Centre in grado di costituire e sviluppare strategie di sostegno alla professionalità docente, nella logica della progettazione curricolare, della valutazione, della governance e dei servizi con una crescita progressiva delle competenze nella metodologia didattica.

La formazione continua del corpo docente è peraltro uno dei requisiti richiesti dal sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento) dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR).
A livello strategico, l’organizzazione del progetto viene vista nella prospettiva di un triennio con seminari teorico formativi ma soprattutto atelier pratici interattivi.

Seminari e Ateliers interattivi saranno tenuti da docenti esperti di pedagogia e metodologia didattica in ambito sanitario, con coinvolgimento della Società Italiana di Pedagogia Medica e della Conferenza dei Presidenti di Corso di Laurea di Medicina.

A tutto ciò si aggiunge la necessità di aumentare la pratica professionalizzante con l’acquisizione più estesa delle varie metodologie di simulazione di casi clinici (High Fidelity Simulation) e integrazione multidisciplinare per garantire agli studenti una maggiore professionalità e gestione del rischio.

In questa prima fase di attivazione sono stati progettati sei incontri seminariali, aperti da una prima parte di presentazione frontale, seguita da una ampio intervallo di tempo dedicato alla discussione orientata a risolvere dubbi e soprattutto a riflettere sulle possibilità di implementazione locale di quanto ascoltato nella prima parte.

Argomenti dei Seminari

Atelier 1 – 13 giugno 2015

Learning (PBL). Metodologie efficaci per un insegnamento orientato alle competenze: Case Based Learning (CBL) e Problem Based

La competenza è la capacità di usare conoscenze teoriche, abilità pratiche e atteggiamenti personali per risolvere problemi professionali. E’ evidente quindi che una didattica orientata all’acquisizione di competenze si debba fondare sui metodi tradizionali di acquisizione delle conoscenze teoriche e delle abilità pratiche elementari, ma poi debba aprirsi a metodi che pongano lo studente in posizione attiva nella soluzione di problemi, dapprima guidata e poi autonoma. Verranno presentati ed illustrati con esempi i principali metodi didattici di questo tipo e verrà lasciato ampio spazio finale al dibattito di approfondimento.

Atelier 2 – 14 settembre 2015

Integrazione di materie precliniche e cliniche: metodi di insegnamento e core curriculum

Il “core curriculum” è uno dei primi strumenti atti a favorire lo sviluppo organico ed equilibrato dei Corsi di Studio italiani. Si presenta non come un elenco di prescrizioni ma come un termine di riferimento e rappresenta l’essenziale della materia cioè ciò che lo studente deve sapere.

La sua recente revisione va nel senso di promuovere una integrazione sempre maggiore dei contenuti disciplinari, perché solo dall’integrazione ci si può attendere la formazione di competenze cliniche mature.

Verranno presentate alcune esperienze di integrazione di successo, con lo scopo di favorire la riflessione per la progettazione di soluzioni adatte al contesto locale.

Atelier 3 –   14 settembre 2015

Ruolo e importanza della didattica interprofessionale: integrazione fra discipline e docenti

Negli ultimi anni il tema della collaborazione interprofessionale diventa sempre più centrale nelle strategie di management delle organizzazioni sanitarie italiane a causa della crescente complessità delle configurazioni dei servizi socio sanitari, dei bisogni sempre più complessi dei pazienti e della eterogeneità dei profili professionali impegnati a diverso titolo nelle pratiche di cura.

Il lavoro di squadra diventa sempre più importante e fondamentale. Ne deriva che la formazione continua verso le skills interprofessionali diviene inderogabile nella definizione e valutazione delle competenze professionali.4

Pertanto se ci si spinge avanti sulla strada dell’integrazione, lo sbocco più naturale diventa considerare l’integrazione fra professioni e quindi la didattica interprofessionale.

Diventa quindi indispensabile la ricerca di competenze di collaborazione interprofessionale nella pratica clinica predisponendo ad esempio, periodi di tirocinio interprofessionale contemporanei, per studenti, sia di Medicina che Infermieristica o Fisioterapia o Ostetricia o altri corsi di laurea in cui si intersecano competenze didattiche di corsi di studio differenti ma che diventano utili per affrontare con un approccio integrato le problematiche cliniche.

Verranno presentati alcuni standard internazionali in questo settore, i vantaggi e i limiti di metodi didattici basati sull’integrazione interprofessionale. Concluderà l’atelier un ampio spazio di dibattito.

Atelier 4 –   16 novembre 2015

I gruppi tutoriali e la High Fidelity Simulation per la didattica Interprofessionale: una strada per uniformarci con le Direttive Europee

Le direttive europee che hanno costretto i corsi di laurea italiani a ricalcolare i propri monte ore perché le nostre lauree rimanessero valide in Europa, ha creato di fatto un ampio spazio orario che non è certo opportuno riempire di ulteriore didattica d’aula.

E’ quindi l’occasione per riflettere su alcune modalità alternative di didattica

Verranno rapidamente presentati i principi e alcuni esempi sia di didattica tutoriale che di didattica basata sulle simulazioni, fino alle cosiddette Simulazioni ad Alta Fedeltà.

In questo campo esistono alcune delle esperienze più avanzate di didattica inter-professionale della letteratura internazionale.

Atelier 5 – 16 novembre 2015

I problemi posti dallo studente: la relazione docente-studente e il ritardo.

La Commissione Paritetica docenti – studenti (CPDS): un aiuto e un controllo per docenti e studenti.

Gli studenti sono i principali committenti dell’attività didattica delle Università e ne rappresentano la maggior risorsa, ma anche la prima fonte di problemi pedagogici.

L’atelier analizzerà una serie di esempi del ruolo propositivo e di partnership che gli studenti possono incarnare per una modernizzazione ed aumento di efficienza dei Corsi di Laurea dell’area Sanitaria. La Commissione Paritetica Docenti studenti recentemente introdotta ha in questo contesto il compito di esprimere il proprio parere sulle proposte dell’attività programmata dai Corsi di studio verificare la coerenza tra i Crediti Formativi e obiettivi specifici e formulare proposte per il miglioramento didattico. La sua funzione è pertanto quella di ascoltare gli studenti nei loro giudizi ed esperienze contestualmente ai loro docenti, controllare ad aiutare i docenti a verificare le modalità dell’erogazione didattica sia per la qualità che per la congruenza con i crediti assegnati per disciplina.

In questo Atelier verranno anche presentati i problemi di identificazione e di recupero del ritardo studentesco, perché portare il maggior numero di studenti alla laurea in corso e con buona preparazione non sia solo un ossequio alle norme sugli indicatori premiali ma una pratica pedagogicamente fondata.

Atelier 6 – 14 dicembre 2015

La Valutazione delle competenze cliniche

Da più di 10 anni si sta affermando un movimento pedagogico orientato a progettare i Corsi di studio di area medica a partire dalla definizione del risultato finale, espresso come competenze che si intendono far raggiungere alla fine del percorso (competency-based medical education – CBME). E’ evidente come nell’ottica della CBME (ma anche nell’ottica di una laurea abilitante) l’uso appropriato di metodi di valutazione delle competenze (la capacità di usare conoscenze, abilità e atteggiamenti) e dei loro elementi costituenti sia fondamentale.

L’atelier passerà in rassegna alcuni dei principali metodi descritti in letteratura e già sperimentati in Italia, per poi lasciare spazio alla discussione.

Conclusioni

L’insegnamento nelle Facoltà o Scuole Mediche deve affrontare cambiamenti radicali.

Sono cambiati i bisogni di salute della popolazione e la stessa composizione del corpo sociale, ne sono esempi: anziani con poli-patologie croniche, cure palliative lunghe, dipendenze di diverso tipo, multi-culturalità. E’ cambiata pertanto anche la percezione che il cittadino ha del medico, che oscilla tra attese bio-tecnologiche miracolistiche e la richiesta di ridefinire un rapporto più paritario ed umano con il curante.

Infine la crisi economica e politica ha prodotto scelte di governo del sistema universitario forse discutibili, ma su cui l’Accademia nel suo complesso non ha mai provato ad aprire un confronto realistico, consapevole e propositivo.

Si deve recuperare la centralità del fatto formativo come ragione d’essere delle Università e i Corsi di Laurea in Medicina possono essere l’avanguardia di questa operazione, se sapranno concretamente dimostrare di saper formare professionisti competenti innovando la propria didattica e sfruttando appieno l’intero sistema integrato delle cure, senza rivalità e nel rispetto delle specificità dell’Università e del Sistema Sanitario Nazionale.

La ricerca e l’assistenza devono servire quindi per fornire una didattica di qualità.

Questo ciclo di incontri è perciò destinato a tutti i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicina, nonché ai tutors e Direttori delle attività didattiche delle lauree sanitarie e si propone di presentare una serie di metodologie didattiche la cui efficacia sia basata su evidenze di letteratura internazionale, e soprattutto di avviare un processo di riflessione locale che conduca alla progettazione di soluzioni innovative e fattibili.

Bibliografia

1) Steinert Y, Mann K, Centeno A, Dolmans D, Spencer J, Gelula M, Prideaux D. A systematic review of faculty development initiatives designed to improve teaching effectiveness in medical education: BEME Guide No. 8. Med Teach. 2006;28(6):497-526.

2) Leslie K, Baker L, Egan-Lee E, Esdaile M, Reeves S. Advancing faculty development in medical education: a systematic review. Acad Med. 2013;88(7):1038-45.

3) Steinert Y, Naismith L, Mann K. Faculty development initiatives designed to promote leadership in medical education. A BEME systematic review: BEME Guide No. 19. Med Teach. 2012;34(6):483-503

4) Ronald M. Epstein, MD; Edward M. Hundert, MD Defining and Assessing Professional Competence JAMA. 2002;287(2):226-235.

Cita questo articolo

Consorti F., Bellini T., Trombelli L., Innovazione didattica: qualità e formazione pedagogica interdisciplinare per i docenti dei Corsi di studio della Scuola di Medicina, Medicina e Chirurgia, 66: 2985-2988, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-4

Responsabilità sociale, salute e formazione in medicina. La proposta della RIISG e un’esperienza con i richiedenti protezione internazionale e rifugiati presso la Sapienza Università di Roman.66, 2015, pp.2978-2984, DOI: 10.4487/medchir2015-66-3

Abstract

The situations of crisis and social injustice of the globalized world call the people who deal with education in health to think again about the educational model of medical schools. The objective should be to capacitate social and health professionals to face with responsibility the challenges that wait them. On this point, the Italian Network for Global Health Education (RIISG) has recently published a document in which it express its contribution to the recent national debate about medical education. Experiences which allow a direct knowledge of realities on the fringe of society, as the one which takes place with asylum seekers and refugees at Sapienza University of Rome, can contribute to develop student’s critical reasoning and ethical conduct.

Articolo

Le sfide della società globalizzata: il caso studio dei migranti forzati

Sono purtroppo diventate quotidiane nei mezzi di comunicazione le immagini dei barconi stracolmi che attraversano il Mediterraneo e, se sono tra i più fortunati, raggiungono le coste della nostra penisola. Sbarcano volti provati da un viaggio estenuante; si tratta per lo più di persone in fuga da contesti di povertà, guerra e violenza. Migranti forzati, richiedenti protezione internazionale che hanno diritto a trovare un Paese che li accolga dove poter iniziare una nuova vita.

Se ci si sofferma per un attimo a riflettere sui fattori che influenzano la salute di queste persone, il pensiero va subito ai determinanti sociali, economici e politici che da un lato li costringono ad abbandonare le loro patrie e dall’altro modellano sistemi di accoglienza poco attenti ai singoli individui e alle fragilità che li caratterizzano. È proprio di questi giorni il dibattito portato avanti presso l’Unione Europea sulle politiche da mettere in atto per far fronte alla realtà delle migrazioni: si cercano risposte ad un fenomeno che non può essere più definito un’emergenza. La complessità dei fattori in gioco potrebbe provocare, in chi si lascia disturbare da questa provocatoria realtà, una sensazione di scoraggiamento ed impotenza; si potrebbe facilmente cadere in una chiusura nel proprio ruolo specialistico – qualsiasi esso sia – rinunciando a mettersi in discussione e a cercare con creatività nuove strade per promuovere una società più umana.

Appare però impossibile, soprattutto per chi si occupa di formazione in medicina (e in senso più ampio di formazione in salute) chiudere gli occhi e andare avanti. Sembra quanto mai urgente mettere a fuoco e riportare anche al centro del dibattito pedagogico lo stretto legame esistente tra responsabilità sociale e salute, sottolineando l’importanza di stimolare studenti e operatori ad un posizionamento etico proprio nei confronti di quei fattori che, nel macro come nel micro, influenzano la salute di tante persone. In altre parole prendere posizione di fronte alle situazioni di crisi, ingiustizia sociale ed emarginazione provocate dall’attuale sistema globalizzato. Come dimostrato anche dal dibattito presente nella letteratura internazionale (1;2) e nazionale (3-7), la domanda sulla capacità delle attuali scuole di medicina di far fronte alle grandi sfide del mondo contemporaneo e di formare professionisti capaci di rispondere ai bisogni di salute delle persone e delle comunità che andranno a servire non è più procrastinabile.

Le riflessioni della RIISG sulla formazione in medicina

Proprio da questo interrogativo è partita la RIISG – Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale[1] – (8) per elaborare un recente documento relativo alla formazione medica (9) (vedi allegato); in esso, sottolineando la componente etica intrinseca alla pratica della medicina e riconoscendo la complessità che connota la nostra epoca, viene affermata l’importanza di ridurre l’iperspecializzazione che caratterizza la formazione medica e di accompagnare lo sviluppo del pensiero critico degli studenti stimolando la riflessione anche con l’apporto di diverse discipline. Si tratta di direzioni indicate anche da un recente documento pubblicato su Lancet dal significativo titolo “Health professionals for a new century: transforming education to strengthen health systems in an interdependent world” (10). La RIISG ritiene inoltre che sia possibile stimolare il senso di responsabilità sociale degli attuali e futuri operatori sanitari soprattutto attraverso esperienze di conoscenza diretta del contesto nel quale questi si troveranno a lavorare. Momenti dunque di “uscita” dalle aule ma anche dagli ospedali universitari, per conoscere sia tutta quella grande parte di assistenza che avviene a livello territoriale sia i luoghi di vita quotidiana delle persone, in particolare di quelle che si trovano ai margini della società. Simili opportunità permettono infatti agli studenti di fare esperienza diretta dei fattori che influenzano la salute delle persone; aiutano a rendersi subito conto dei limiti non solo dell’approccio biomedico ma della stessa pratica medica, e dunque della necessità di mettersi in collegamento con altri saperi, professioni e discipline per promuovere veramente migliori condizioni di vita per tutti. I valori e le proposte contenute nel documento elaborato dalla RIISG appaiono in linea con le riflessioni riportate nel recente articolo su “Il medico del Terzo Millennio”, in particolare quando si sottolinea l’importanza di una “pratica attiva delle scienze umane” (11)

Teorie di pedagogia cui fare riferimento

A livello pedagogico[2] abbondante è la letteratura che si muove in questa direzione, e che qui verrà certamente accennata solo in parte. Appare particolarmente interessante in questo senso la teoria sociale dell’apprendimento elaborata da Etienne Wenger. “Le nostre istituzioni, nella misura in cui affrontano esplicitamente i problemi dell’apprendimento, si basano prevalentemente sull’assunto che esso sia un processo individuale, con un inizio e una fine, e che sia il prodotto dell’insegnamento. Di conseguenza predisponiamo aule dove gli studenti – liberi dalle distrazioni che comporta la partecipazione al mondo esterno -1 possono seguire un insegnante o concentrarsi sullo svolgimento di un esercizio. (…) E se adottassimo una prospettiva diversa, che inserisse l’apprendimento nel contesto della nostra esperienza concreta di partecipazione alla vita reale? (…) Se ci convincessimo che l’apprendimento, in buona sostanza, è un fenomeno fondamentalmente sociale che riflette la nostra natura profondamente sociale di esseri umani in grado di conoscere?“ (12). Tale teoria si concentra prevalentemente sull’apprendimento come partecipazione sociale, legato cioè all’essere partecipanti attivi nelle pratiche di comunità sociali e nella costruzione di identità in relazione a queste comunità.

L’apprendimento esperienziale (termine con il quale in letteratura viene indicato l’apprendimento attraverso l’esperienza) è strettamente connesso a quello riflessivo, e dunque alla possibilità di sviluppare un pensiero critico (13;14).

Nell’ambito delle Scuole di Medicina larga parte dell’apprendimento esperienziale avviene nel contesto universitario e ospedaliero anche attraverso quello che a livello di letteratura viene definito “curriculum nascosto”. Si tratta in altre parole degli atteggiamenti che gli studenti di medicina possono cogliere e sono portati ad assumere nel corso della loro formazione sia durante le ore di didattica frontale (quando si trovano per la maggior parte del tempo ad ascoltare passivamente quanto viene detto dal professore), sia al momento dell’esame (quando ai fini del suo superamento sono spinti a ripetere nozioni spesso imparate meccanicamente e passivamente) sia nel corso del tirocinio pratico nei reparti dell’ospedale universitario. Tra le principali e più diffuse conseguenze del curriculum nascosto sugli atteggiamenti degli studenti si possono citare la perdita di idealismo, la neutralizzazione emotiva, l’accettazione della gerarchia e il cambiamento dell’integrità etica (15).

Non mancano però esperienze di apprendimento nei contesti di vita della comunità. Si parla ad esempio di community based education (CBE) per indicare quelle esperienze formative che considerano la comunità un luogo di apprendimento dove studenti, insegnanti, singoli membri, rappresentanti di altri settori sono tutti coinvolti. La CBE offre la possibilità di coinvolgersi in modo crescente rispetto alle problematiche di salute della comunità, impegnandosi in modo creativo nei loro confronti (16).

In America Latina, e in particolare in Brasile, è molto diffusa l’estensione universitaria, termine con il quale si intende un processo interdisciplinare, educativo, culturale, scientifico e politico che promuove l’interazione (in grado di generare cambiamento) tra l’università e gli altri settori della società. Tale interazione è mediata dagli studenti di diversi corsi di laurea guidati da uno o più professori. Si tratta dunque di una strategia educativa che mira a sfumare le barriere tra università, servizi sociali e sanitari, e comunità, creando uno spazio in cui i saperi e le attività si “estendono” da un contesto all’altro.

Alla base di proposte formative di questo genere possono essere certamente riconosciute le teorie pedagogiche di Paulo Freire[3] e di John Dewey[4].

Nel modello problematizzante dell’educazione teorizzato da Freire l’insegnante e gli studenti sono insieme, ricercatori di verità e creatori di conoscenza. Non ci sono più lezioni da memorizzare, ma problemi da affrontare: problemi che riguardano la vita di tutti. “L’educazione problematizzante, di carattere autenticamente riflessivo, comporta un atto permanente di rivelazione della realtà. (…) (Essa) si sforza di far emergere le coscienze, da cui risulta la loro inserzione critica nella realtà”. Il pedagogista brasiliano arriva dunque ad affermare che l’educazione è un atto politico, anche quando si dichiara neutrale: in quel caso infatti va semplicemente ad affermare o a non contraddire la realtà dominante. “La formazione dell’individuo deve mirare alla crescita di una mentalità critica che liberi il campo all’etica della responsabilità dell’uomo verso l’altro uomo e dell’uomo verso l’ambiente vitale che lo circonda” (17).

La teoria dell’apprendimento attraverso l’esperienza di John Dewey nasce proprio dalla sua preoccupazione per il mancato coinvolgimento politico dei suoi concittadini (18). Il filosofo americano denuncia quel processo di frammentazione sociale e di anonimizzazione (si pensi alla più recente diffusione dei non-luoghi) che oggi è giunto a piena maturazione, mostrando in modo inequivocabile le difficoltà di una democrazia autentica in un sistema economico che spezza i legami comunitari ed isola nella ricerca individuale del benessere. Per Dewey è urgente ricostruire la vita comunitaria, in primo luogo favorendo un dibattito aperto ed una indagine seria e documentata sulle questioni di interesse pubblico e poi riallacciando i vincoli comunitari a partire dal vicinato. Esperienze dirette del contesto sociale e delle realtà di marginalità sembrano essere quelle che meglio possono favorire l’attenzione delle nuove generazioni verso i problemi della loro comunità ed il superamento del disimpegno politico e dell’indifferenza per le questioni riguardanti la sfera pubblica.

Conoscere e sperimentarsi in contesti formativi non familiari ed incerti può aiutare lo sviluppo di capacità necessarie per muoversi da persone e professionisti nella contemporanea società complessa (19). È significativo che il progetto International Medical School Label 2020 individui, tra le sei dimensioni per valutare l’internazionalità e l’internazionalizzazione[5] di una Facoltà di Medicina, anche il social engagement e il service learning (20). Particolarmente importante appare inoltre, proprio per la complessità dei bisogni di salute, la possibilità di interfacciarsi con studenti e operatori di altre professioni socio-sanitarie; l’interprofessionalità è da molti riconosciuta come una caratteristica sempre più necessaria proprio a cominciare dalla formazione di base (21).

Il progetto “Conoscere la realtà dei richiedenti asilo e rifugiati” presso la Sapienza Università di Roma

Nell’ambito di un progetto il cui scopo era quello di confrontare le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati in Italia, Germania e Svizzera e la loro influenza sulla salute, si è aperta per gli studenti di medicina e chirurgia, servizio sociale e scienze infermieristiche della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza Università di Roma la possibilità di fare esperienza di tale realtà grazie alla collaborazione e ad una convenzione stipulata con l’associazione Centro Astalli[6]. L’accordo con il SISM – Segretariato Italiano Studenti di Medicina – ha permesso di estendere la proposta formativa anche agli studenti degli altri Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia presenti presso la stessa università e presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università di Tor Vergata. Gli studenti, selezionati attraverso un bando, hanno potuto frequentare un Centro di Accoglienza gestito dall’associazione e oggi parte della rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati). La formazione iniziale, svoltasi in tre giornate in maniera itinerante in università, presso la sede centrale del Centro Astalli e presso il centro di accoglienza, è stata caratterizzata da un’introduzione alle tematiche della salute globale e alla realtà dei richiedenti asilo e rifugiati. Il gruppo di quindici studenti sta frequentando (da novembre 2014 a giugno 2015) il centro fornendo agli ospiti un supporto nell’apprendimento dell’italiano. Obiettivo dichiarato del progetto è infatti quello di far conoscere agli studenti di medicina e di altre professioni socio-sanitarie la realtà dei richiedenti asilo e rifugiati sia attraverso la centrale esperienza di relazione con i migranti ospiti nel centro di accoglienza sia tramite l’approfondimento e la riflessione teorica sulla tematica. Questa riflessione non vuole limitarsi solo all’aspetto tecnico ma anche aprire discussioni sugli orizzonti di significato che tale realtà dischiude e sulla necessità di un chiaro posizionamento etico rispetto ad essa.

L’esperienza, valutata attraverso indicatori di processo quali la presenza presso il centro di accoglienza e agli incontri di revisione periodica degli studenti, i feedback degli operatori del centro stesso, il diario che è stato chiesto di tenere agli studenti, sta risultando particolarmente apprezzata sia tra i partecipanti che tra gli ospiti e gli operatori del centro di accoglienza. La presenza di ragazzi italiani (e non solo) già integrati nella società e di età paragonabile a quella dei migranti accolti ha generato relazioni nuove, rispetto alle quali l’affiancamento nell’esecuzione dei compiti di italiano risultava per lo più un mezzo per entrare in contatto e dialogare su diversi aspetti. Un modo semplice e sicuramente iniziale per promuovere la crescita del capitale sociale, importante determinante di salute in particolare per chi si trova ai margini della società.

Sono i partecipanti stessi ad esprimere l’importanza che per loro ha avuto una simile esperienza. Eccone alcuni esempi:

“La partecipazione al progetto mi sta lasciando tante emozioni e soddisfazioni. Ogni incontro con i ragazzi è un arricchimento sia a livello personale che professionale: pian piano si è instaurato un rapporto di fiducia con loro, mi raccontano la propria storia o i loro problemi, ridiamo e scherziamo insieme proprio come un gruppo di amici. Dall’Università ho imparato il “sapere” ossia le conoscenze tecniche, dal progetto San Saba, invece, sto imparando il “saper fare” ossia applicare le conoscenze tecniche e il “saper essere” ossia la maturità e la capacità di relazione.”

“Oltre alla bellezza del mettersi in relazione con l’altro e di scoprire nuove culture, mi sto accorgendo di quanto sia complessa e delicata l’assistenza e la cura di chi ha subito traumi, soprattutto, dal punto di vista psicologico. Perciò, per quanto mi riguarda, il contatto costante con gli ospiti del centro ha aumentato la mia consapevolezza rispetto a questa realtà e la mia attenzione verso tutti quelli che sono i fattori che incidono,negativamente o positivamente sulla salute dei migranti forzati.”

“La consiglierei soprattutto alle studentesse e studenti in medicina per fargli toccare con mano come la salute e la vita delle persone si sviluppi all’interno di spazi e contesti molto differenti da quelli previsti dalla corsia dell’ospedale o dal lettino dell’ambulatorio. In questi contesti quello che conta è scoprire se stessi attraverso l’incontro con l’altro, una volta fatto provare a condividersi. Nella relazione terapeutica gli studenti imparano troppo in fretta che il camice e il ruolo che questo simboleggia dà loro la possibilità e quindi il potere di non esporsi come persone e di limitare il loro intervento alla sola prestazione. È importante che imparino a considerarsi medici anche in contesti diversi da quelli dell’ospedale e dell’ambulatorio perché così potranno essere persone nella relazione di cura.”

Conclusioni aperte

Quello riportato è solo un esempio di esperienze formative che “si svolgono al di fuori dell’aula universitaria e che permettono di approfondire la conoscenza del contesto, dei processi sociali che determinano lo stato di salute e malattia e delle risorse presenti nelle comunità[7]”. La RIISG sta portando avanti sia un approfondimento teorico-metodologico sia un lavoro di mappatura di simili opportunità fornite agli studenti a livello nazionale e internazionale. Si è infatti consapevoli che proposte del genere per gli studenti di medicina e delle altre professioni socio-sanitarie sono solo in fase iniziale e che molto è ancora necessario elaborare anche per una loro corretta valutazione[8]. Anche su questo la RIISG sta riflettendo e lavorando.

Si è convinti, per i motivi etici ed umani solo accennati in questo articolo, che esperienze di conoscenza del contesto, e in particolare delle realtà di marginalità sociale, siano necessarie e non rinviabili per formare “non solo professionisti ma prima di tutto cittadini, anzi persone” (9) pronti a prendere posizione e ad impegnarsi per una società più equa e più giusta – e dunque promotrice di salute – per tutti.

Note

1. La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) è un network nazionale che comprende istituzioni accademiche, società scientifiche, organizzazioni non governative, associazioni, gruppi, studenti e singoli individui impegnati nella formazione in salute globale, sia a livello universitario sia di società civile. Sito web: http://www.educationglobalhealth.eu/it/

2. Si utilizza qui il termine pedagogia, nella consapevolezza che a livello educativo in un contesto universitario e di formazione degli adulti il termine più corretto è in realtà quello di andragogia.

3. Paulo Feire (1921-1997) è stato un noto pedagogista brasiliano e un importante teorico dell’educazione.

4. John Dewey (1859-1952) è stato un filosofo e pedagogista statunitense.

5. Per internazionalità (internationality) si intende lo stato di un’istituzione rispetto alle attività internazionali in un dato momento. Per internazionalizzazione (internationalisation) si intende il processo attraverso il quale un’istituzione si muove da uno stato di internazionalità ad un tempo x ad uno stato di internazionalità più estesa al tempo x+n.

6. Il Centro Astalli è la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati-JRS. Da oltre trent’anni è impegnato in numerose attività e servizi che hanno l’obiettivo di accompagnare, servire e difendere i diritti di chi arriva in Italia in fuga da guerre e violenze, non di rado anche dalla tortura. Il Centro Astalli si impegna inoltre a far conoscere all’opinione pubblica chi sono i rifugiati, la loro storia e i motivi che li hanno portati fin qui.

7. Definizione RIISG

8. Sembra utile a tale proposito riferirsi alle parole di Dewey che afferma: L’effetto di un’esperienza non lo si può conoscere subito. Pone un problema all’educatore. È suo compito disporre le cose in modo che le esperienze pur non allontanando il discente e impegnando anzi la sua attività non si limitino a essere immediatamente gradevoli e promuovano nel futuro esperienze che si desiderano. (…) Ne consegue che il problema centrale di un’educazione basata sull’esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno (22).

Bibliografia

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3) Rosso A, Civitelli G, Marceca M. Global health, international health and public health: which relationship? Ann Ig 2012; 24: 263-267

4) Rinaldi A, Civitelli G, Silvestrini G, Gilardi F, Carovillano S, Furia G, et al. Perché dovremmo insegnare la Salute Globale alle studentesse e agli studenti di medicina? Il percorso della RIISG e l’esperienza di tre Università romane. Tutor 2012; Vol 12, n 3: 61-69

5) Bruno S, Silvestrini G, Carovillano S, Rinaldi A, Civitelli G, Frisicale E et al. L’insegnamento della Salute Globale nelle Facoltà di medicina e Chirurgia in Italia: l’offerta formativa nel triennio 2007-2010. Ann Ig. 2011 Sep-Oct; 23(5):357-65.

6) Semplici S., La Salute Globale, Medicina e Chirurgia, 55: 2430-2435, 2012. DOI:  10.4487/medchir2012-55-1

7) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L et al. La realtà internazionale della formazione medica. Medic 2013; 21(1): 53-59

8) Rinaldi A, Civitelli G, Marceca M, Tarsitani G. L’esperienza della Rete Italiana Insegnamento Salute Globale (RIISG). Salute e territorio 2014; 202: 401-404

9) RIISG (Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale). Ripensare la formazione medica. Disponibile alla URL: http://www.educationglobalhealth.eu/it/news/320-ripensare-la-formazione-medica (vedi allegato)

10) Frenk J, Chen L et al. Health professionals for a new century: transforming education to strengthen health systems in an interdependent world. Lancet 2010; 376: 1923–58

11) Familiari F., Volpe M., Il Medico del Terzo Millennio. Proposta di una “Carta dei valori e delle competenze degli studenti”, in un curriculum formativo rinnovato, in Italia, Medicina e Chirurgia, 65: 2925-2930, 2014. DOI:  10.4487/medchir2015-65-2

12) Wenger E. Comunità di pratica. Apprendimento, significato, identità. Raffaello Cortina Editore. Milano, 2006

13) Moon JA. Esperienza, riflessione, apprendimento. Manuale per una formazione innovativa. Carocci Editore, Roma 2012

14) Kolb D, Boyatzis R, Mainemelis C. Experiential Learning Theory: previous Research and New Directions. In: R. J. Sternberg and L. F. Zhang (Eds.), Perspectives on cognitive, learning, and thinking styles. NJ: Lawrence Erlbaum, 2000. Disponibile alla URL: http://www.medizin1.uk-erlangen.de/e113/e191/e1223/e1228/e989/inhalt990/erfahrungslernen_2004_ger.pdf

15) Lempp H, Seale C. The hidden curriculum in undergraduate medical education: qualitative study of medical students’perceptions of teaching. BMJ 2004; 329: 770–3

16) Kelly L, Walters L, Rosenthal D. Community-based Medical Education: Is Success a Result of Meaningful Personal Learning Experiences? Education for health 2014; 27, 1: 47-50; Mennin S, Petroni-Mennin R. Community based medical education. The clinical teacher 2006; 3: 90-96

17) Freire P. La pedagogia degli oppressi, tr. it., Edizioni Gruppo Abele, Torino 2002

18) Dewey J. Comunità e potere, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1971

19) Fraser S, Greenhalgh T. Coping with complexity: educating for capability. BMJ 2001;323:799–803

20) International Medical School Label 2020. The International Medical School (IMS) Label Methodology draft. Disponibile alla URL: http://www.ims-2020.eu/downloads/label_methodology.pdf

21) de Marinis M.G., de Marinis M.C., L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi, Medicina e Chirurgia, 58: 2586-2591, 2013. DOI: 10.4487/medchir2013-58-6

22) Dewey J. Esperienza e educazione. Raffaello Cortina Editore. Milano 2014

Allegato

Allegato: RIPENSARE LA FORMAZIONE MEDICA

Il contributo della Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale

Il documento allegato all’articolo, sotto riportato, è stato pensato, nel Marzo 2015, dalla “Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale”, come nota programmatica di ripensamento della formazione medica. Deve essere uno strumento utile a fornire spunti di confronto, discussione e dibattito aperto in quanti pianificano e organizzano i corsi di laurea magistrale in medicina e chirurgia.

Le scuole di medicina sono in grado di formare professionisti capaci di rispondere ai bisogni di salute delle persone e delle comunità che andranno a servire? Come rispondono alle sfide che l’epoca della globalizzazione e della complessità pone? Come affrontano il tema della responsabilità sociale (in altre parole, che ruolo intendono assumere nei confronti dell’ingiustizia sociale e il suo impatto sulla salute)? La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) ritiene che tali domande debbano essere prese in considerazione ed esprime in questo documento un contributo relativo al dibattito sulla formazione medica recentemente innescatosi a livello nazionale. Si fa in particolare riferimento al documento del Centro Studi e Documentazione FNOMCeO “Professione medica nel terzo millennio”, alla mozione del Consiglio Nazionale della FNOMCeO “Salviamo la formazione medica”, alla lettera inviata al Ministro MIUR e al Ministro della Salute dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e alla risposta del presidente della FNOMCeO dott. Amedeo Bianco.

Di seguito sono riportate alcune riflessioni elaborate dalla RIISG, esposte più in dettaglio nel testo e intese come spunti di confronto, discussione e dibattito aperto.

  • Ogni azione e decisione presa in campo medico non è eticamente neutrale. La medicina prevede degli aspetti etici intrinseci e deve essere studiata e insegnata a partire dalla sua componente etica.
  • Il paradigma della complessità che caratterizza la nostra epoca spinge a riconoscere i limiti intrinseci a ogni pratica umana, compresa quella medica, e invita a creare spazi di dialogo e confronto tra saperi, professioni e discipline.
  • È necessario, nel corso della formazione, accompagnare lo sviluppo di un pensiero critico e incoraggiare il posizionamento etico, prevedendo l’apporto di diverse discipline e stimolando la riflessione di carattere morale. Si ritiene che questo possa avvenire anche attraverso esperienze di conoscenza e radicamento nell’ambiente sociale nel quale i futuri professionisti saranno inseriti.
  • È necessario ridurre l’iperspecializzazione dando spazio ad un “nuovo generalismo”, cioè ad un approccio più ampio che veda salute e malattia nel contesto dell’intera vita delle persone.
  • È necessario richiamare gli attuali e futuri medici alla responsabilità sociale, intesa anche come risposta che deve essere data di fronte alle situazioni di crisi, ingiustizia sociale ed emarginazione provocate dall’attuale sistema globalizzato. Si ritiene che tale responsabilità non sia definita a priori ma debba essere cercata personalmente e contestualmente in un confronto con tutti coloro che “hanno sinceramente a cuore” tali questioni.

Dalla salute globale alla formazione in salute

La Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale (RIISG) è un network nazionale che comprende istituzioni accademiche, società scientifiche, organizzazioni non governative, associazioni, gruppi, studenti e singoli individui impegnati nella formazione in salute globale, sia a livello universitario sia di società civile. Sin dall’inizio importante parte attiva della RIISG è il SISM – Segretariato Italiano Studenti Medicina.

La RIISG sta seguendo con particolare interesse il dibattito sulla formazione medica accesosi in quest’ultimo periodo. Come realtà nata dal basso, accogliendo e facendo proprie le esigenze e le richieste degli studenti, protagonisti e destinatari di tale formazione, la Rete condivide le preoccupazioni riguardo all’attuale impostazione del sistema formativo per i futuri medici 1,2.

La riflessione e il lavoro culturale portati avanti dalla RIISG in questi anni non si sono, infatti, limitati a elaborare un nucleo di contenuti da aggiungere ai curricula già molto ricchi delle facoltà mediche ma, soprattutto nei tempi più recenti, si sono indirizzati ad aprire uno spazio di confronto nazionale sulla formazione in salute in senso più ampio.

Come componenti della RIISG riteniamo che fare formazione in salute globale voglia dire “introdurre un nuovo modo di pensare e agire la salute per generare reali cambiamenti sia nella comunità sia nell’intera società, colmando il divario esistente tra evidenza scientifica e decisioni operative”. Per questo il lavoro della RIISG, partito da riflessioni attinenti alla sola formazione medica, ha riconosciuto la necessità di prendere in considerazione i processi formativi di tutte le persone che – a vario titolo – concorrono alla promozione e alla tutela della salute.

La RIISG ritiene di poter dare il suo apporto propositivo e costruttivo al confronto auspicato sia dalla FNOMCeO sia dalla Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Proponendosi tra gli obiettivi quello di contribuire a “preparare una figura di Medico sempre più adeguata alla trasformazione dell’assistenza sanitaria del nostro paese, correttamente protesa verso la medicina territoriale e di prossimità”, la RIISG concorda con il Centro Studi FNOMCeO nel ritenere necessaria “una riforma non tanto della facoltà di medicina ma dei suoi paradigmi formativi”.

La medicina come pratica etica

La riforma auspicata dovrebbe partire dalla consapevolezza che pensare alla medicina semplicemente come a una scienza o a un’attività scientifica sia non soltanto riduttivo ma sostanzialmente sbagliato. La medicina, in quanto pratica, prevede azioni che esprimono una trama di significati e fini. Gli aspetti etici non possono essere visti come giustapposti, ma debbono essere considerati intrinseci a essa. Ogni decisione e ogni azione portate avanti in questo settore non sono neutrali, cioè non possono prescindere dalla dimensione etica; ciò significa che la natura della medicina deve essere studiata e insegnata a partire da una prospettiva etica.

Tale approccio non si dovrebbe limitare a riflettere su quanto avviene nel rapporto medico-paziente ma anche, ad esempio, sulla relazione della pratica medica con altri saperi, professioni, discipline. Un atteggiamento di questo genere aiuterebbe a mettere in luce le carenze e i punti deboli su cui diventa sempre più necessario prendere posizione.

Sembra dunque non banale né trascurabile porsi la domanda: le attuali scuole di medicina preparano futuri medici dotati di adeguati strumenti conoscitivi ed etici per muoversi come persone e cittadini consapevoli, prima ancora che come professionisti, all’interno dei sistemi complessi nei quali si trovano ogni giorno a vivere?

Per un nuovo generalismo

In un’epoca caratterizzata dall’aumento esponenziale delle conoscenze scientifiche e tecniche, i curricula universitari sono divenuti per lo più contenitori di nozioni da apprendere meccanicamente al fine di superare gli esami. Inoltre, l’impostazione sempre più orientata verso l’iperspecializzazione contribuisce a una situazione di “ricatto formativo”, che obbliga lo studente neolaureato a proseguire nel percorso di studi attraversando un “limbo di dequalificazione professionale e lavorativa”, un vuoto formativo, istituzionale e lavorativo tra università e scuola di specializzazione.

Il sapere diviene dunque sempre più iperspecialistico e frammentato, e il medico rischia di trasformarsi esclusivamente in un tecnico competente. Tale impostazione riduzionista e nozionistica, che risente della frattura tipica della cultura positivista tra scienza e agire morale, appare incapace di formare professionisti in grado di affrontare i bisogni delle persone e delle comunità che andranno a servire.

L’iperspecializzazione determina un sempre maggiore allontanamento del (futuro) medico dai luoghi di vita delle persone; la formazione si svolge per lo più in un contesto racchiuso tra ospedale e aule universitarie, impedendo di prendere consapevolezza dei tanti fattori che influenzano la salute nei differenti contesti sociali. L’invecchiamento della popolazione e la crescente prevalenza delle patologie croniche rendono necessario un approccio più ampio, nel quale dare centralità ad aspetti come quelli della prevenzione, della promozione della salute, delle cure primarie e dell’integrazione socio-sanitaria. Per questo riteniamo importante ridurre l’iperspecializzazione per dare spazio a un “nuovo generalismo” che veda salute e malattia nel contesto dell’intera vita delle persone

La necessità di scelte sagge

L’aumento vertiginoso delle possibilità diagnostiche e terapeutiche e la costruzione sociale dell’onnipotenza della biomedicina hanno alimentato un’ingenua fiducia che attribuisce a tale professione la capacità di liberare dal dolore, dalla sofferenza, dalla morte. La pressione sempre maggiore dell’industria farmaceutica e biomedicale contribuisce a una progressiva medicalizzazione di ogni aspetto della vita umana, a fenomeni come quello del disease mongering e alla conseguente induzione di falsi bisogni.

Crescono le aspettative di chi ai servizi sanitari si rivolge, ma cresce anche l’inappropriatezza delle prestazioni, e con essa la spesa sanitaria.

Il contesto di crisi economica e di scarsità (relativa) di risorse richiede invece, con sempre maggiore urgenza, che vengano fatte scelte di priorità nell’allocazione di tale spesa. Crediamo che tali scelte non possano che andare nella direzione dell’equità e dell’universalità nell’accesso alle cure, rifiutando un approccio utilitaristico che segue criteri esclusivamente economici e ricercando giustificazioni prima di tutto sul piano etico e sociale. Riteniamo che, a partire dalla formazione, sia importante lavorare sul concetto di limite e sulla necessità di scelte sagge ed eticamente fondate, orientate a evitare gli sprechi e a lottare contro la corruzione e i conflitti di interesse.

La responsabilità sociale del medico

Sono numerose le evidenze scientifiche che mostrano la diseguale distribuzione delle patologie tra le diverse nazioni e, all’interno delle stesse nazioni, in relazione alla classe sociale (espressa attraverso diversi tipi di indicatori di posizione socio-economica). Queste rimandano alla teoria dei determinanti sociali di salute e alla necessità di agire su tutti i fattori (non semplicemente quelli biologici) in grado di influenzare lo stato di salute dei singoli e delle comunità. Senza voler caricare la medicina di un compito eccessivo, riteniamo necessario richiamare i futuri medici a una più ampia responsabilità sociale, che non si esaurisca all’interno del rapporto medico-paziente, ma che comporti uno sguardo sull’intera società.

Crediamo, infatti, che la figura professionale del medico, proprio in quanto capace di riconoscere e documentare scientificamente le conseguenze concrete del sistema economico e politico sulla vita e la salute delle persone, non possa ritenersi neutrale di fronte alle cause di tali diseguaglianze.

Per questo i medici, e più in generale tutti gli operatori della salute, non possono rinunciare a entrare in relazione con i settori della società e con le discipline che lavorano alla ricerca del bene comune. Riteniamo che tale compito non costituisca un aspetto tecnico e facoltativo, quanto piuttosto un imperativo etico.

Ripensare la formazione medica, una questione sociale

Quelli citati sono solo alcuni esempi che mostrano come la formazione dei futuri medici debba necessariamente implicare sia elementi conoscitivi di natura più ampia sia riflessioni di carattere etico. In altre parole, crediamo che essa debba fornire strumenti per sviluppare un pensiero critico necessario ad affrontare la complessità del reale, e offrire occasioni di esperienze che stimolino una risposta libera e responsabile alle problematiche dell’attuale mondo globalizzato.

Tali problematiche, incorporate esemplarmente in coloro che rimangono ai margini della società e del sistema di cure, mettono anche in luce il limite di ogni agire individuale, legato alla propria persona, al proprio ruolo e alla propria formazione. Per questo ogni risposta, fondata su un reale e critico posizionamento etico, non dovrebbe ispirarsi a coscienze eroiche o volontarismi esasperati, ma riconoscere la necessità di cooperare in senso ampio con tutti i soggetti e le realtà coinvolte. Pensiamo che riflessioni ed esperienze pratiche relative a concetti come solidarietà, responsabilità, giustizia, uguaglianza, limite, pensiero cooperativo abbiano “diritto di cittadinanza” all’interno della formazione medica tanto quanto i classici argomenti della bioetica.

Siamo convinti che la riforma del sistema formativo di area medica non sia un argomento settoriale da affrontare in ambiti specialistici; per questo auspichiamo che si realizzi davvero quel “confronto ampio di tutti gli attori coinvolti” a cui invita la Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

Vista l’attenzione che ciascun componente della RIISG (professionisti sanitari, accademici, studenti, associazioni) dedica al tema della formazione e alla proposta di riforma dei curricula di corsi di laurea che si occupano a vario titolo di salute, ci sentiamo parte in causa in questo confronto e intendiamo partecipare con competenza e motivazione. Crediamo essenziale un forte coinvolgimento degli studenti, principali destinatari dei modelli didattici, quali protagonisti attivi e non semplici fruitori della propria formazione.

Siamo inoltre convinti dell’importanza di far tesoro di punti di vista di altre discipline, che aiutino ad analizzare il contesto di crisi economica ma soprattutto culturale, etica e antropologica nel quale le facoltà di medicina (e più in generale le università) sono coinvolte. Riteniamo tale confronto non un “di più”, ma una necessità legata ai limiti della medicina (così come di ogni altra disciplina), limiti sempre più evidenti all’interno dei sistemi complessi in cui si è chiamati ad agire.

Crediamo sia necessario mettere le basi per una nuova pedagogia della salute e siamo consapevoli che si tratta di un’impresa “culturale, organizzativa, etica, civile e professionale”. Si tratta di prepararsi a formare non solo professionisti ma prima di tutto cittadini, anzi persone, per una società in cui equità e giustizia sociale siano a pieno titolo “strumenti di salute”.

RIISG

(Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale)

marzo 2015

Cita questo articolo

Civitelli G., Familiari G., Rinaldi A., Marceca M., Tarsitani G., RIISG, Responsabilità sociale, salute e formazione in medicina. La proposta della RIISG e un’esperienza con i richiedenti protezione internazionale e rifugiati presso la Sapienza Università di Roma, 66: 2978-2984, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-3

Dal paziente reale al simulatore-paziente. Come la tecnologia migliora la formazione medica e la sicurezza del pazienten.66, 2015, pp.2974-2977, DOI: 10.4487/medchir2015-66-2

Abstract

The teacher’s role used to be that of presenter of facts to students who absorb information like passive sponges. Many teachers now recognize that role as having changed.

The modern simulations add a new dimension to the learning experience and develop the teacher’s role even further. The use of simulated activities in medical education is widely becoming recognized as an important tool in medical schools. Simulations can be used to provide a more fertile learning environment for students. Educational simulation offers several benefits, first of all removing the element of danger from the clinical situations. Medical simulators have been developed for training procedures ranging from the basics such as blood draw, to laparoscopic surgery and trauma care. The type of learning objectives that the training is intended to address should determine the technology level of simulation. Some simulators emphasize physical fidelity to enable clinicians to practice technical and nontechnical skills in a safe environment that mirrors real-world conditions.

The goal of simulation activities is to provide a safe clinical setting for teaching, assessing and testing clinical skills of medical students and residents through mock patient-doctor encounters, by providing opportunities for practicing medical interviews, conducting practice physical exams, and making diagnostic and therapeutic decisions. Simulation may be used to assess students’ clinical skills by working with medical faculty to plan, develop and evaluate the learning objectives for students in the specialty rotations. Simulation may also be used to assess students’ pre- graduation clinical skills by working with medical faculty to define the learning objectives as a minimal competency exam for students at the end of their course of degree. This may help to identify medical students who are not at the expected level of performance.

Articolo

Il ruolo del docente nel corso di medicina è stato tradizionalmente quello di illustrare conoscenze, teorie e fatti allo studente, che assorbiva tali informazioni passivamente come una spugna. Per insegnare gli aspetti pratici della professione, il docente doveva guidare lo studente a compiere i primi passi, per lo più maldestri, su un vero paziente.

Ricordo che quando frequentavo la corsia di medicina interna come interno del 6° anno il mio tutore mi faceva effettuare sui pazienti anche manovre invasive, quali prelievi arteriosi, toracentesi, paracentesi, puntati sternali, incisione di ascessi. Quando un paziente protestava o si rifiutava di venire maneggiato da uno studente, lo si tacitava con l’argomento che essendo ricoverato in una clinica universitaria doveva accettare che i medici in formazione si esercitassero su di lui. Spero di avere causato poco dolore e credo di non avere arrecato danni a quei malati, ma ovviamente fu solo fortuna, perché l’errore è sempre possibile.

Oggi non potrei mai accettare che uno studente effettui una manovra dolorosa o potenzialmente pericolosa su un malato senza prima averla eseguita più volte in forma simulata. Allo stesso tempo nessun paziente oggi accetterebbe di “fare da cavia” per uno studente. Inoltre il numero di studenti che affollano le corsie è oggi enormemente maggiore rispetto a 30-50 anni e riuscire a far fare loro una pratica sufficiente e certificabile rappresenta una seria difficoltà.

La gran parte dei docenti di medicina è oggi consapevole che il proprio ruolo è profondamente cambiato. Numerosi studi hanno dimostrato che non tutte le forme di insegnamento sono ugualmente efficaci. La tanto nota quanto criticata (Masters K. Med Teach. 2013;35: e1584-93) piramide dell’apprendimento di Edgar Dale indica che il livello di mantenimento delle conoscenze acquisite aumenta con il grado di coinvolgimento e di esperienza diretta. Ascoltare, leggere, guardare, dimostrare, discutere, fare insegnare: ecco le attività a cui corrispondono livelli progressivamente crescenti di apprendimento permanente. Ne discende che le attività formative devono avere caratteristiche tali da favorire al massimo l’apprendimento.

Il piano di studi del corso di Laurea in Medicina e Chirurgia prevede l’integrazione delle lezioni teoriche con tirocini formativi pratici, da effettuare nelle corsie di degenza. L’obiettivo formativo è l’acquisizione delle conoscenze sulla patologia umana e sui processi diagnostici e terapeutici, che costituiscono il fondamento della preparazione del medico. La frequenza in reparti di degenza consente allo studente di misurarsi con la semeiotica e le diverse patologie. La capacità di apprendimento è tuttavia limitata alle sole condizioni patologiche presenti nelle corsie di degenza ed è condizionata dall’impossibilità di usufruire di un apprendimento standardizzato ed uniforme, derivante dalla visita diretta al paziente e dalla partecipazione alla gestione clinica.

La simulazione oggi aggiunge una nuova dimensione all’esperienza di apprendimento e sviluppa anche più il ruolo del docente. La simulazione è un metodo educativo basato sulla riproduzione virtuale di situazioni reali o la realizzazione di situazioni plausibilmente reali. Il suo impiego nasce in aviazione, in seguito alla creazione dei primi simulatori di volo, per far fronte alla necessità di formare i piloti ad affrontare situazioni di emergenza, non riproducibili nel mondo reale in condizioni di assenza di rischio. Negli anni ’80 il dott. David Gaba, anestesista e pilota americano, introdusse per primo in ambito medico l’apprendimento basato sulla simulazione. Obiettivo della simulazione in ambito medico è innanzitutto la sicurezza del paziente e la necessità di diffondere la cultura della sicurezza in ospedale attraverso il miglioramento delle competenze cliniche degli operatori sanitari. La fedele riproduzione di situazioni cliniche complesse e della gestione delle stesse in dinamiche di team rappresenta un contesto educativo ottimale con l’obiettivo di ridurre in misura massimale gli errori cognitivi attribuibili al fattore umano.

L’uso delle attività di simulazione nella formazione del medico sta iniziando ad essere ampiamente riconosciuta come un importante strumento didattico delle scuole di medicina. Le simulazioni possono essere usate per fornire agli studenti un più fertile e stimolante ambito di apprendimento. La simulazione applicata alla formazione medica offre numerosi vantaggio, primo fra tutti la eliminazione dalle situazioni cliniche di qualsiasi fattore di pericolo per il paziente. I simulatori medici sono stati sviluppati per l’addestramento alla esecuzione di procedure, che vanno da manovre di base come i prelievi di sangue (i cosiddetti task trainers), sino a procedure ben più complesse quali l’endoscopia, la chirurgia laparoscopica, o la cura dei gravi traumi. Simulatori più sofisticati utilizzano manichini grandi come un individuo adulto oppure delle dimensioni di un bambino di diverse età o di un neonato. Questi manichini, guidati da un computer, sono programmati per creare anche scenari di emergenze minacciose per la vita, sono in grado di riconoscere i farmaci iniettati e anche di rispondere fedelmente alla loro somministrazione.

L’integrazione di programmi di simulazione nel corso di studio offre allo studente di medicina l’opportunità di confrontarsi con simulatori ad alta fedeltà relativamente alla rappresentazione della semeiotica ed alla riproduzione delle funzioni dell’organismo umano sano. Lo studente ha a disposizione un apparato tecnologico da poter utilizzare un numero indefinito di volte a differenza dell’esercizio di semeiotica direttamente sul paziente. L’esercizio con il simulatore implica inoltre la possibilità di stabilire criteri di uniformità di apprendimento e standard qualitativi di preparazione in ambito medico. Il processo formativo, attraverso il role-playing di scenari clinici simulati, prevede che lo studente sia nella condizione di misurarsi con le dinamiche di approccio al paziente e di interazione con i suoi colleghi, il personale di reparto e/o i suoi tutori.

L’obiettivo delle attività di simulazione è dunque quello di fornire un ambiente clinico sicuro per insegnare, valutare e testare le abilità cliniche degli studenti di medicina e degli specializzandi, mediante il contatto tra il medico e un finto paziente. Lo studente ha la possibilità di raccogliere l’anamnesi, effettuare un esame obiettivo e prendere decisioni diagnostiche e terapeutiche. Nell’impostare una attività didattica di simulazione è necessario tenere presenti i criteri da seguire per renderla realmente efficace.

 

Possibili obiettivi formativi della simulazione

1) Acquisizione di conoscenze di semeiotica con l’esercizio ripetuto sul simulatore, in alternativa al contatto diretto con il paziente, impossibile con le stesse modalità di reiterazione e continuità.

2) Consolidamento delle conoscenze teoriche di fisiopatologia.

3) Educazione all’approccio al paziente attraverso scenari clinici simulati.

4) Verifica standardizzata dell’apprendimento nei tirocinio in corsia, attraverso il role-playing di casi clinici simulati.

5) Educazione ai percorsi decisionali diagnostico-terapeutici relativi ai casi clinici simulati, alla luce delle linee-guida e delle evidenze scientifiche (EBM).

6) Confronto delle conoscenze durante le discussione guidata dei casi clinici simulati (debriefing)

7) Apprendimento interattivo basato sull’esperienza diretta.

La simulazione può essere usata anche per valutare le abilità cliniche degli studenti, dopo che la facoltà ha pianificato e definito gli obiettivi di apprendimento degli studenti nelle rotazioni dei tirocini nelle discipline specialistiche. Ancora, la simulazione può essere utilizzata per testare le competenze cliniche degli studenti prima della laurea, una volta che la facoltà abbia pianificato e definito gli obiettivi di apprendimento in termini di competenze minime da possedere al termine del corso di laurea. Ciò consentirebbe di identificare gli studenti che non hanno raggiunto i livelli attesi di performance teorico-pratiche, un aspetto particolarmente importante nella prospettiva della laurea professionalizzante.

L’esperienza del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di Sassari nella Simulazione.

La facoltà di Medicina e Chirurgia di Sassari è dotata di due centri di simulazione, uno attivo dal 2006 (“CardioSIM”) e l’altro dal 2013 (“Ospedale Virtuale”). Il centro CardioSIM è ubicato presso la “Porto Conte Ricerche” che fa parte del Parco scientifico-tecnologico della Regione Sardegna. Il centro dista circa 30 Km da Sassari ed è particolarmente adatto a corsi residenziali in quanto dotato di foresteria e mensa. E’ dotati di segretaria, aula per lezioni e debriefing, sala di regia, sala di macrosimulazione con manichino avanzato e collegamenti audiovisivi con l’aula didattica, auletta di micro simulazione al computer, sala per esercitazioni con 3 manichini di ALS e 5 manichini per BLSD. Nel centro CardioSIM si sono svolti ad oggi 40 corsi di BLSD, destinati agli studenti di medicina e chirurgia e di infermieristica, 5 corsi di ALS per specializzandi di varie scuole e oltre 50 corsi ECM residenziali rivolti a specialisti e a medici di medicina generale, su vari argomenti. Un corso residenziale è stato dedicato alla formazione dei formatori, ospitando come docenti i maggiori esperti europei di simulazione. Recentemente è stato realizzato anche un corso ECM sulla assistenza respiratoria, che ha avuto come docenti e come partecipanti specialisti pneumologi, anestesisti e rianimatori. Poichè in questo momento in Italia non ci sono opportunità di formazione in assistenza respiratoria, questa iniziativa formativa ha contribuito a migliorare le conoscenze relativamente a questo aspetto dell’assistenza al paziente.

Dal 2013, grazie alla creazione del centro di simulazione “Ospedale Virtuale”, la certificazione di “BLSD provider” deve essere acquisita obbligatoriamente da tutti gli studenti del 4° anno nel tirocinio formativo del Corso integrato di Sistematica I (2 CFU). Fa parte di questo tirocinio formativo anche l’apprendimento guidato della semeiotica cardiovascolare e polmonare sul manichino Harvey, che consente una eccellente preparazione pratica standardizzata comprendente l’ispezione, la palpazione, l’auscultazione. Il centro è anche dotato di un programma interattivo di casi clinici vari, fruibili anche a distanza, che sono particolarmente utili come strumento di addestramento, ma anche come mezzo di valutazione in sede di esame di scuola di specializzazione.

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Criteri da seguire nel realizzare attività che promuovono l’apprendimento

L’attività deve essere così realistica da apparire “virtualmente reale”. La simulazione è tale che vi è poca differenza tra lo scenario simulato e quello reale, in modo che possa verificarsi la stessa esperienza di apprendimento

L’attività deve avere un carattere pratico. In questo modo gli studenti possono diventare partecipanti, non meramente ascoltatori o osservatori. Gli studenti apprendono meglio dalla loro diretta esperienza piuttosto che dalle esperienze altrui che vengano loro riferite.

L’evento deve funzionare come motivatore di apprendimento. Il coinvolgimento dello studente deve essere talmente profondo da far sviluppare interesse ad imparare di più e meglio sula materia della attività.

L’attività deve essere “cucita su misura” per lo studente. Per ottenere questo risultato si deve tenere conto del suo livello di partenza. Inoltre ogni input dello studente è benvenuto e l’attività deve essere impostata in modo da incoraggiare gli studenti a migliorare l’evento contribuendo con le loro idee.

L’attività deve responsabilizzare. Gli studenti devono assumere un ruolo responsabile, trovare i modi per arrivare alla soluzione, e sviluppare gli strumenti atti a risolvere problemi come risultato della interazione.

Cita questo articolo

Ganau A., Dal paziente reale al simulatore-paziente. Come la tecnologia migliora la formazione medica e la sicurezza del paziente, Medicina e Chirurgia, 66: 2974-2944, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-66-2

Il Medico del Terzo Millennio. Proposta di una “Carta dei valori e delle competenze degli studenti”, in un curriculum formativo rinnovato, in Italian.65, 2015, pp.2925-2930, DOI: 10.4487/medchir2015-65-2

Abstract

Following the experience of the various medical courses given by Sapienza University of Rome, the information supplied by either the Italian Society of Medical Education (SIPeM) and the Standing Conference of Presidents of Italian Medical Degree Courses, we herein propose a “students’ values and skills charter” and a summary of those which should be considered -on the basis of international evidence- as the pillars of curriculum renewal. The discussion and diffusion of these important topics among students and colleagues should help in spreading a message of real commitment to innovation. The institutional, social and political context in which we move nowadays render essential this commitment.

Articolo

“Curare spesso,

Guarire qualche volta,

Consolare sempre”

Hôpital de l’Hotel Dieu, Parigi

Introduzione

Sapienza Università di Roma ha iniziato a sperimentare, nel 1999, nella formazione in Medicina e Chirurgia, un profilo formativo integrato di tipo biomedico-psicosociale, che prevede l’early clinical contact nei primi due anni di corso, un percorso caratterizzato dall’integrazione delle discipline di base e cliniche di tipo verticale, l’uso della didattica basata su casi clinici e problemi scientifici, un corso verticale di metodologia medico-scientifica e scienze umane. Esso prevede anche il coinvolgimento del territorio nel processo formativo, l’attenzione ai problemi della ricerca scientifica e all’internazionalizzazione con un percorso dedicato denominato “percorso di eccellenza”, una forte motivazione dei docenti interessati nei confronti dell’insegnamento e del corretto rapporto con lo studente, nei processi di cura e nella centralità del paziente (Familiari, 2000; Familiari et al., 2001, 2006, 2009, 2013; Snelgrove et al., 2009).

In particolare, il corso integrato pluriennale di metodologia medico scientifica e scienze umane accompagna lo studente lungo l’intero percorso formativo (I-VI anno). A tutti è nota l’importanza del metodo in medicina, sia per quanto riguarda la conoscenza della metodologia medica e delle sue regole secondo i principi della medicina basata sulle evidenze, sia per la metodologia clinica applicata al singolo malato. Per soddisfare tale esigenza, è stato quindi attivato questo corso, modificato ed ottimizzato più volte nel corso degli anni e sottoposto ancora a continua revisione culturale. Alla graduale acquisizione del metodo è affiancata la formazione umanistica degli studenti. Essi possono in tal modo crescere dal punto di vista scientifico e sviluppare parimenti una maggiore sensibilità alle problematiche etiche e socio-economiche, che consenta di interagire con il paziente nella sua interezza di uomo ammalato, secondo la concezione della whole person medicine. In questo modo si risponde alla crescente esigenza di un riavvicinamento della figura del medico a quella dell’uomo malato, sempre più allontanati da una pratica medica univocamente tecnologica. In quest’ambito, si è cercato di utilizzare anche la cosiddetta medicina narrativa, unitamente a griglie di riflessione, come strumento importante nell’acquisizione di una competenza emotiva e professionale vera da parte dello studente, utilizzata dagli Psicologi e dagli Psichiatri nel corso di Metodologia e nel corso di Psichiatria (Familiari, 2000; Familiari et al., 2001, 2006, 2009a, 2013a; Snelgrove et al., 2009).

Un Ordine degli Studi completo è consultabile su: http://corsidilaurea.uniroma1.it/sites/a14i/files/paragrafo/13-10-2014/ordine_degli_studi_2014-2015.pdf.

Precedentemente, dal 1994 in Sapienza Università di Roma, vi era stata la sperimentazione, su piccoli gruppi di studenti, del “Canale Parallelo Romano”; questa importante esperienza ha fornito le basi sperimentali e culturali per poter dare inizio a corsi che potessero coinvolgere un numero ampio di studenti (Torsoli et al., 2000).

Nel corso degli anni, alcuni risultati, in termini di outcome formativo e comportamentale, sono stati presentati a Conferenze Nazionali e Internazionali, e sono tali incoraggiare il percorso in questa direttrice formativa (Familiari et al., 2008; 2009b; 2011; 2012a; 2013b; Salvetti et al., 2009; Relucenti et al., 2014; Violani et al., 2014).

Contemporaneamente, sia le direttive della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia (Lenzi, 2012), che l’opera della Società Italiana di Pedagogia Medica (Gallo, 2011; Consorti, 2011; 2014 a, b) hanno molto incoraggiato e indirizzato il rinnovamento pedagogico in Italia. Deve essere precisato che le citazioni sugli scritti in tale argomento sono assolutamente indicative, e, a rigore, dovrebbe essere fatto esplicito riferimento a tutti i volumi di “Medicina e Chirurgia” e “Tutor” per la loro ricchezza in contributi sull’innovazione pedagogica in Italia.

Deve essere ancora sottolineato come, negli ultimi venti anni, vi sia stato un incremento enorme di produzione scientifica su tali temi, e come le riviste scientifiche “Academic Medicine”, “Medical Education” o “Medical Teacher” rappresentino delle autorevoli e importanti sedi di dibattito pedagogico internazionale, dedicate all’innovazione dell’insegnamento in Medicina e Chirurgia.

Nel presente articolo, sulla base della nostra pregressa esperienza, anche in rapporto alla letteratura nazionale e internazionale, è nostra intenzione fornire un’idea di valori che dovrebbero rappresentare il bagaglio formativo irrinunciabile per realizzare l’impalcatura professionale del medico del terzo millennio e, allo stesso momento, tracciare alcuni spunti di discussione su quelli che dovrebbero essere considerati i pilastri del rinnovamento curriculare di Medicina e Chirurgia.

Il Professionalism e la complessità della medicina e della cura

Il Professionalism (la professionalità) è definibile come il contesto della competenza del medico, cioè quell’insieme di regole, di condizioni e di significati attraverso cui si deve esplicare l’agire del medico, nonché la giusta capacità di riflessione critica sulla propria competenza tecnica, per operare scelte professionalmente competenti, quando siano in gioco elementi dilemmatici e di complessità (Consorti, 2014). La professionalità può essere descritta come “the fundamental core of the medicine” (Spandorfer et al., 2011). Essa deve essere considerata anche come “the basis of the medicine’s contact with society” (ABIM foundation e altri, 2002).

Fattori che debbono essere considerati come elementi di criticità e che conferiscono importanza crescente ai valori di una professionalità elevata e completa, sono rappresentati dal ricorso esasperato e centrale alla tecnologia, dalle aspettative sempre crescenti della società e dei singoli utenti, dalle esigenze commerciali e industriali legate alla professione, dalla burocrazia, dalla crescente aziendalizzazione, dalla cosiddetta appropriatezza, dal predominante uso delle risorse economiche del contenimento della spesa pubblica, dal contenzioso medico-legale e dal fenomeno del “burn-out” (Spandorfer et al., 2011; Consorti, 2014).

Non vi è dubbio che i valori della professionalità possano essere validamente supportati attraverso un percorso didattico e formativo ben codificato. Come scrive Fabrizio Consorti (2014), “uno studio condotto su studenti romani dimostra la presenza di caratteri di altruismo e moralità personale, focalizzazione sui rapporti interpersonali ma anche sul premiante valore della competenza tecnica e su un’idea, oggi irrealistica, di dominanza professionale. Mancano completamente l’idea di responsabilità sociale e di attenzione agli aspetti organizzativi ed economici”. E’ certamente, questa, una considerazione forse spinta all’estremo, ma su cui deve essere posta la massima attenzione da parte di Docenti che debbono avere non solo una forte motivazione all’insegnamento comunque, ma anche mantenere alti, in se stessi, i valori della professionalità.

Alle stesse conclusioni giunge Giuseppe Realdi (2014) che, in un articolo molto intenso, scrive: “l’atto medico è una decisione della volontà, che, nell’intento di perseguire fini di bene e di giustizia per la vita e per l’esistenza, muove l’intelligenza attingendo dalla conoscenza scientifica e dall’esperienza umana e professionale e traduce in azione operante le decisioni elaborate a livello critico e razionale. Questo passaggio dalla teoria alla prassi avviene attraverso l’applicazione del metodo clinico che comporta il costruire una relazione, prioritariamente tra due persone, il malato e il medico. Esso presuppone valori e principi, intuizione e razionalità e richiede pertanto di essere conosciuto, praticato e insegnato”.

I Valori e le Competenze, guida a fondamento della professionalità per gli studenti, oggi

Nel 2002, le Società internazionali di Medicina Interna approvano e promuovono un documento fondamentale della professionalità del medico, “The Physician Charter” (ABIM foundation e altri, 2002): La Carta è fondata sui principi fondamentali di “primacy of patient welfare, patient autonomy, social justice” e su un set di responsabilità professionali basate su “Commitment to: professional competence, honesty with patients, patient confidentiality, mantaining appropriate relations, improving quality of care, improving access to care, just distribution of finite resources, scientific knowledge, mantaining trust by managing conflicts of interest, professional responsibilities”. E’ questo, senza dubbio, uno dei documenti fondanti della professionalità (Spandorfer et al., 2011).

Sul fronte del corretto rapporto Docente, studente e paziente, la Conferenza Permanente dei Presidenti CLMMC ha recentemente organizzato un Atelier Pedagogico in cui si è discussa l’importanza dell’etica come filo conduttore in tutte le fasi del processo formativo dei nostri studenti, non solo in riguardo all’insegnamento corretto dei problemi etici, ma soprattutto in riguardo alle relazioni interpersonali tra gli attori principali della didattica (docente, paziente, studente), alla valutazione dell’apprendimento e all’organizzazione e programmazione del corso di studio (Familiari et al., 2012b). Sempre sullo stesso argomento, è stato approvato, dalla Conferenza Permanente dei Presidenti CLMMC, un “Codice di Comportamento del Docente e dello Studente”, allo scopo di mettere in chiaro i comportamenti e le condotte appropriati, sia da parte dello studente che del docente, per formare quei medici del terzo millennio pronti al rispetto e all’osservanza convinta e pienamente condivisa dei loro doveri professionali (Familiari et al., 2012c).

Deve ancora essere fortemente ribadita l’importanza dei valori portati dalle scienze umane in medicina, che debbono occupare uno spazio importante nel piano di formazione del medico, senza nulla togliere al rigore della formazione scientifica, ma evitando che questa rimanga l’unico asse portante dell’intera struttura formativa (Familiari et al., 2010a, b; Binetti, 2011a, b).

Noi crediamo che, per raggiungere un livello di migliore condivisione, sia necessario un reale e costante impegno dei docenti nell’agganciare gli studenti i comportamenti corretti e alla pratica riflessiva, e che sia giusto proporre una “Carta degli Studenti in Medicina e Chirurgia” da promuovere con convinzione e far rispettare con grande serietà e rigore.

Una proposta di Carta degli Studenti in Medicina e Chirurgia che rifletta le attuali esigenze e l’evoluzione delle connotazioni professionali è qui di seguito riportata, anche allo scopo di promuovere e favorire lo sviluppo di un dibattito nazionale che possa generare la condivisione più ampia di un “pathway” di modello formativo professionale che incontri il numero maggiore di esigenze contemporanee.

Carta dei Valori e delle Competenze degli Studenti in Medicina e Chirurgia

Gli Studenti in Medicina e Chirurgia, dalla condivisione del lavoro comune con i docenti, e dal corretto rapporto con i Pazienti, assumono l’impegno a far propri i valori e le competenze di:

1) Vocazione e Passione, Etica, Responsabilità e Spiritualità;

2) Cultura e Ricerca; Approccio metodologico scientifico; impegno nell’aggiornamento e disponibilità all’educazione continua;

3) Investigazione (Metodo) e Critica (anche autocritica);

4) Impiego appropriato e aperto della seconda opinione e dell’interazione specialistica;

5) Corretto e appropriato uso delle tecnologie e dell’informatizzazione;

6) Empatia con il paziente ed i congiunti; predisposizione psicologica ad aiutare;

7) Contatto umano e fisico con il paziente; implementazione del valore dell’esame clinico;

8) Difesa e rispetto della vita – “no surrender”/no accanimento;

9) Corretto uso delle risorse umane ed economiche, sviluppo di capacità manageriali sufficienti;

10) Confronto e Rispetto dei colleghi e dell’équipe (deontologia).

I pilastri del rinnovamento curriculare come strumento

E’ nostra opinione che le direttrici di un rinnovamento che stimolino gli studenti a far propri i principi e i valori sopra enunciati, non possano essere delegate alla buona volontà dei singoli docenti o degli studenti, ma, al contrario, richiedano la condivisione ampia e puntuale di regole e principi ed un coinvolgimento da parte di chi organizza e governa il sistema formativo e assistenziale.

La lettura della “Last Page” di Academic Medicine di Gennaio 2015 è molto interessante, in quanto dedicata ai principi fondanti della riforma degli studi di Medicina e Chirurgia negli Stati Uniti e in Canada (Pock et al., 2015). Una corretta riforma del curriculum degli studi di Medicina, secondo quanto descritto da Pock et al. (2015) deve basarsi su 4 pilastri da considerare elementi chiave del rinnovamento. La sintesi di queste direttive, centrate (1) sulla standardizzazione e sulla personalizzazione dei processi formativi, (2) sull’integrazione delle conoscenze teoriche e l’esperienza clinica, (3) sulla ricerca e l’innovazione, e (4) sullo sviluppo dell’identità professionale, adattate alla nostra realtà nazionale, potrebbero essere di grande utilità per l’identità del nostro processo di rinnovamento in continua evoluzione.

Ne proponiamo lo schema, in una versione che tiene in debito conto le nostre esperienze personali, le direttive della SIPeM e le proposte/iniziative, alcune delle quali ampiamente sperimentate, della Conferenza Permanente dei Presidenti CLMMC.

1. Standardizzazione dei risultati dell’apprendimento e individualizzazione del processo di apprendimento

– Utilizzare regole di progressione degli studenti basate su competenze raggiunte, rispetto all’uso di propedeuticità disciplinari prestabilite;

– utilizzare domande con risposte a scelta multipla (MCQs), riferite ai singoli moduli d’esame, avendo come esempio il “core curriculum” nazionale, al fine di garantire la padronanza di un nucleo condiviso e irrinunciabile di scienze di base e scienze cliniche;

– utilizzare esami cumulativi con l’uso di MCQs, a scopo di autovalutazione, utilizzando il “Progress Test” nazionale;

– utilizzare un sistema standardizzato nazionale per la verifica delle competenze cliniche e per correlarle con parametri di riferimento per la raccolta di dati e per il ragionamento clinico;

– incoraggiare l’uso, da parte degli studenti, di mappe concettuali come mezzo di espressione individuale e di comunicazione;

– programmare tempestive attività di recupero su misura per le esigenze degli studenti (remediation);

– avviare clerkships entro 12/18 mesi dall’immatricolazione, e utilizzare schede standardizzate di valutazione per il monitoraggio delle competenze raggiunte dagli studenti.

2. Integrazione di conoscenze teoriche e esperienze cliniche

– Considerare un approccio organo-sistema modulare nella parte curriculare pre-clerkship, con i correlati clinici integrati (rispetto all’approccio tradizionale, incentrato sulla disciplina);

– introdurre la medicina clinica già nei primi giorni del corso di laurea e consentire agli studenti di assumere la responsabilità di selezionare alcuni elementi di cura del paziente, attraverso la partecipazione alle attività in un reparto clinico, oppure con frequenze nel territorio (esempio: incontro con un paziente amputato e la sua famiglia durante il corso di anatomia del sistema muscolo-scheletrico);

– utilizzare il metodo “spaced education” per rinforzare le conoscenze delle scienze di base durante il periodo delle clerkships cliniche;

– pianificare discussioni scientifiche che integrino le scienze di base durante le clerkships;

– utilizzare il “case- and problem- based learning” e la medicina basata sull’evidenza (EBM).

3. Sviluppo dell’attitudine alla ricerca e all’innovazione

– Stabilire le fondamenta della ricerca scientifica, incoraggiando lo sviluppo critico dello studente, favorendone l’interazione attiva entro progetti di ricerca attivi;

– incoraggiare lo studente sulla formulazione di ipotesi di terapie d’avanguardia, sulla base dei più recenti progressi scientifici;

– consentire agli studenti di sviluppare e presentare risultati di un progetto di ricerca personalizzato (ad esempio, un progetto paradigmatico), elaborato con la guida di un docente tutor; I progetti possono riflettere gli interessi degli studenti (ricerca di base, ricerca traslazionale, ricerca clinica, miglioramento della qualità di cura o sicurezza del paziente);

4. Focus sulla formazione dell’identità professionale

– Introdurre le tecniche di “situated learning” e coinvolgere studenti in attività cliniche in comunità;

– coinvolgere gli studenti nella formazione interdisciplinare e promuovere l’apprendimento “team-based”;

– incoraggiare l’arte in medicina e le pratiche di pensiero riflessivo;

– discutere, lungo tutto il corso di laurea, tematiche riguardanti l’umanesimo, l’etica medica, la spiritualità intrinseca alla medicina e gli obblighi sociali, anche nel contesto delle attività cliniche.

Conclusioni

Dall’analisi di quanto sopra riportato, si evincono numerosissime proposizioni e modelli organizzativi già descritti e messi in atto nei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia di Sapienza Università di Roma, in relazione al modello biomedico-psicosociale (Familiari, 2000; Familiari et al., 2001, 2006, 2009, 2013; Snelgrove et al., 2009); si evidenzia altresì una ampia condivisione con le proposte e gli studi condotti dalla Commissione Innovazione Pedagogica, coordinata da Pietro Gallo, e da quanto proposto, come direttrice del rinnovamento, dalla Conferenza Permanente dei Presidenti CLMMC mirabilmente guidata oggi da Andrea Lenzi e fondata da Luigi Frati, Claudio Marcello Caldarera e Giovanni Danieli.

Alcune ulteriori innovazioni, ancora da attuare in maniera sistematica, potrebbero contribuire a rendere migliore il clima di internazionalizzazione dei nostri corsi. In ogni caso, questa sintesi rappresenta un ulteriore segnale di grande positività per quanto viene fatto in Italia, in piena sintonia con le proposte internazionali nel campo dell’educazione medica.

La risposta al dilemma sulla formazione di un medico o di uno scienziato (Realdi, 2014) deve essere trovata, a nostro avviso, (1) nel giusto equilibrio di integrazione tra scienze di base, che debbono prevedere la conoscenza della biologia evoluzionistica e della complessità biologica; (2) nella pratica medica clinica e metodologica, che deve essere particolarmente solida, con l’utilizzo ampio della didattica tutoriale che sia capace e consapevole di dover trasformare la conoscenza teorica in vissuto personale dello studente in modo da poter costruire autonomamente la propria scala di valori e interessi e (3) nella pratica attiva delle scienze umane, fondamentali a costruire quel bagaglio indispensabile a raggiungere la consapevolezza dell’essere medico e della professionalità che ne è alla base.

La sola conoscenza teorica di quest’ultime, senza che il docente sia in grado di trasmettere con l’esempio il valore antropologico dell’essere medico, vanifica in gran parte ogni progetto di rinnovamento.

Noi pensiamo che ribadire e discutere con i nostri studenti una “Carta dei Valori e delle Competenze”contemporanee e discutere e applicare, nell’ambito delle nostre programmazioni didattiche, i “Pilastri del rinnovamento curriculare” possa contribuire alla diffusione di un messaggio importante di reale volontà di rinnovamento. Il contesto istituzionale, politico e sociale in cui ci muoviamo, oggi, è tale da rendere improcrastinabile questo impegno.

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Familiari F., Volpe M., Il Medico del Terzo Millennio. Proposta di una “Carta dei valori e delle competenze degli studenti”, in un curriculum formativo rinnovato, in Italia, Medicina e Chirurgia, 65: 2925-2930, 2014. DOI:  10.4487/medchir2015-65-2