La Scuola (Ferrata, Introzzi), Larizzan.65, 2015, pp.2994-2997

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Schermata 2015-07-09 alle 11.25.25Il Capostipite della nostra Scuola Medica è stato senza dubbio Adolfo Ferrata, per tanti anni Clinico Medico a Pavia – o se si vuole è stato il nostro Emoistioblasto, per usare una terminologia a lui cara. Ma è molto difficile rintracciare tutte le cellule, alcune anche illustri, che sono derivate da quell’Emoistioblasto. Basti pensare che i primi e più importanti Allievi di Adolfo Ferrata furono Giovanni Di Guglielmo ( e dico poco!) presto sbarcato nella Capitale, il cremonese (come me) Aminta Fieschi che ha colonizzato Genova e l’intera Liguria, Angelo Baserga che ha portato la Scuola Pavese a Ferrara, Paolo Introzzi che ha preso l’eredità di Ferrata proprio a Pavia, Edoardo Storti che ha retto a lungo la Clinica di Modena e che poi ha sostituito Introzzi a Pavia. Tutti meritavano i galloni e l’hanno dimostrato con la loro attività: Adolfo Ferrata non era uomo che temeva i confronti e promuoveva i mediocri.

Così, questi primi Allievi hanno interiorizzato l’insegnamento del Maestro ed hanno a loro volta lanciato Seguaci degni del Capo. Se si ricordassero tutti si correrebbe il rischio concreto di fornire una serie di nomi da elenco telefonico. Quindi occorre scegliere una linea, eritroide, mieloide, linfoide o altro e seguire quella. Si potrà capire meglio il significato di una Scuola e l’importanza che essa riveste nella Ricerca e nella Clinica.

Nella scelta non posso non riferirmi alla mia esperienza personale e quindi non posso dimenticare una fredda giornata del gennaio 1955 – il 7 gennaio per la precisione – quando in una banchina della stazione ferroviaria di Pavia io, laureato da qualche mese, aspettavo con una certa ansia Paolo Larizza, Allievo di Paolo Introzzi e mio futuro Capo con lo scopo non banale di partire con lui per Cagliari per affrontare, con ruoli ovviamente diversi, una nuova avventura. La scelta è dunque fatta: la linea da seguire (eritroide all’inizio, ma successivamente anche mieloide, come si vedrà) è quella Ferrata- Introzzi –Larizza. Di Adolfo Ferrata ho già fatto cenno: non l’ho conosciuto personalmente perché è morto nel 1946 quando io ero ancora al liceo, ma negli anni 50 la sua presenza era ancora sensibilissima nella Clinica Medica dell’Università di Pavia che frequentavo in qualità di “studente interno”. Era il Grande Capo che aveva individuato il ruolo dell’Emoistioblasto ed i suoi rapporti con l’Emocitoblasto e con tutte le filiere ematopoietiche. La Clinica di Pavia, molto grande e polimorfa, si caratterizzava ancora per la sua impronta ematologica e le ricerche di Ferrata costituivano per tutta l’Ematologia mondiale un esempio di profondità e di successo. Per la verità, l’Ematologia non era l’unico campo che Adolfo Ferrata aveva arato: basti pensare agli studi sui villi intestinali ed a quelli sulla struttura e sulla embriologia del rene; ma quelli ematologici avevano un fascino e forse anche una validità scientifica molto maggiore ed erano codificati in importanti Trattati ( il famoso testo di Ematologia di Ferrata e Storti) che andavano per le mani di tutti gli studiosi dell’argomento ed anche degli studenti più intraprendenti. Così tutti si aspettavano che Paolo Introzzi, come successore di Ferrata prendesse in mano il testimone e portasse avanti prevalentemente il solco ematologico iniziato dal suo Maestro. Ma Introzzi aveva una sua personalità e, senza abbandonare l’Ematologia, si era dedicato anche ad altri campi di studio.

Inoltre si era circondato di numerosi allevi con interessi diversi e li aveva spinti ad allargare il loro campo di ricerca. Così si devono ricordare le sue personali ricerche sulle anemie megaloblastiche e sul ruolo della milza nell’emopoiesi, ma anche quelle sul potere amilolitico della saliva e del siero di sangue, che in qualche maniera si collegavano alla mia tesi di laurea che verteva sull’uropepsinogeno. Fu un trattatista attento chiaro ed aggiornato come dimostrano i capitoli sulle malattie dell’intestino nel trattato di Ferrata sulle malattie dell’apparato digerente, redatto assieme a Paolo Larizza e le rassegne sul metabolismo del ferro assieme a Sandro Ventura, di cui dovremo ancora parlare in seguito. Nelle corsie dei piani bassi si faceva vedere di rado, ma la sua fama di ottimo medico e di accurato terapeuta era ben consolidata fra tutti i Collaboratori. Uno di questi, Caporeparto di uno dei numerosi Reparti della Clinica Medica, era Paolo Larizza, un calabrese ottimamente trapiantato al Nord, coadiuvato da Sandro Ventura e da Antonia Notario e da altri bravi Collaboratori .

Il caso volle che nel 1952 fossi assegnato, come studente del 4° anno, proprio a quel Reparto, con mia grande soddisfazione perché aveva la fama di essere uno dei migliori. Ebbi così modo di apprezzare, ancor prima della laurea, le doti cliniche e didattiche di Paolo Larizza che frequentava i piani alti, ovviamente, ma che dedicava gran parte del suo tempo, con assoluto scrupolo, al Reparto che dirigeva. Se ho imparato qualcosa di Medicina lo devo anche a quel periodo di lavoro intenso e gratificante. La svolta per Paolo Larizza (e, in maniera inaspettata, anche per me) avvenne nell’estate del 1954 quando fu chiamato a dirigere la Patologia Medica dell’Università di Cagliari. In quei tempi vigeva la norma, tutto sommato abbastanza saggia, che il Direttore di un Istituto Universitario poteva portare con sé qualche Allievo di cui si fidava. Oggi questo non sarebbe più possibile e, secondo il nostro parere di anziani che hanno passato una vita in Università, non è detto che sia un bene. Anzi. In ogni caso, ai primi di gennaio del 1955 il gruppo iniziale della Scuola Larizza partì per Cagliari. Era composto da Alessandro Ventura, Aiuto “anziano”, benché giovanissimo, da Antonia Notario e Demetrio Meduri Assistenti, e da me neolaureato. A Cagliari trovammo altri leali Collaboratori in Efisio Sulis, Antonio Medda, Efisio Fancello, Antonio Pirastu.

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Il gruppo era pronto ad affrontare sfide cliniche e di ricerca. Le sfide cliniche erano rappresentate dalla necessità di ricostruire tecnicamente una attività che si era un po’ deteriorata per la mancanza di continuità direzionale, quelle di ricerca erano vastissime, come sempre, ma in particolare rappresentate dalla singolare patologia ematologica presente in Sardegna: la talassemia e il favismo. I primi due anni hanno consentito di ripristinare un’attività clinica di prim’ordine. Non c’erano “piani alti” nella Patologia Medica di Cagliari: il Capo dormiva in Clinica ed era sempre presente, gli arrivi da Pavia vivevano per lavorare non avendo altro da fare a Cagliari. In parallelo con l’attività clinica si è subito iniziata una attività di ricerca in un laboratorio interno progressivamente meglio attrezzato. Ma non saremmo mai usciti da mediocri risultati senza l’arrivo di due rinforzi (neolaureati) da Pavia : Paolo Brunetti e Gastone Mattioli.

Questo gruppo ha affrontato il problema del favismo ed in un tempo sorprendentemente breve è arrivato alla soluzione del mistero: i globuli rossi del soggetto fabico erano geneticamente carenti di Glucosio-6 -fosfato deidrogenasi. Assieme alle indagini sul metabolismo del ferro condotte da Sandro Ventura, è stato il primo successo della “linea eritroide” della Scuola che ha compattato il gruppo ed ha spinto verso ulteriori traguardi. Larizza si è però accorto che era necessario allargare gli orizzonti ed ha iniziato la politica di inviare i propri uomini all’estero per sprovincializzare l’équipe ed acquisire contatti. Così sono partito per la Germania a frequentare la Clinica Medica di Marburg/Lahn che stava facendo ricerche analoghe sulla Glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Ma dopo di me sono partiti per gli Stati Uniti Paolo Brunetti e Gastone Mattioli. Quest’ultimo ha ottenuto una magnifica posizione presso un Istituto di Microbiologia americano ed ha iniziato il ciclo delle nostre “metastasi benigne” che si sono ripetute nel futuro.

A rimpiazzare quelli che erano partiti, si unirono al gruppo alcuni fra i primi laureati cagliaritani come Adolfo Puxeddu ed Elio Del Piano che poi hanno seguito Larizza a Perugia. Infatti nel 1959 terminò il ciclo cagliaritano e Larizza si trasferì a Perugia con Sandro Ventura, Paolo Brunetti, con i neolaureati Adolfo Puxeddu ed Elio Del Piano, con Alberto Colonna, proveniente dalla Puglia e con me, reduce dal soggiorno tedesco. Meduri ritornò nella sua Calabria e Antonia Notario rientrò a Pavia. L’esperienza cagliaritana era stata fondamentale perché aveva cementato il gruppo e tracciato chiaramente gli obiettivi: ricerca approfondita e grande attenzione alla clinica.

A Perugia, dopo un breve periodo in Patologia Medica, Larizza prese possesso della Clinica Medica diretta fino a quel momento da Giorgio Dominici che aveva lasciato un’ottima Scuola di gastroenterologi e di cardiologi. L’atteggiamento di Larizza nei confronti dei suoi Allievi e degli Allievi di Dominici che aveva ereditato, fu molto intelligente e determinato: grande controllo “top-down”, ma anche grande libertà ed incoraggiamento “bottom-up” e fu un atteggiamento vincente: non si crearono malumori o rivalità malsane con la Scuola di Dominici che vide riconosciuti i suoi meriti. Così Giorgio Menghini, gastroenterologo di punta, inventore del famoso ago per biopsie epatiche, ottenne un primariato nelle Marche con l’appoggio di Larizza, mentre per Diogene Furbetta fu creata la cattedra di Medicina del Lavoro che divenne in breve tempo un ottimo centro clinico e di ricerca. Uno dei giovani Allievi di Larizza, Giuseppe Abbritti, fu affiancato a Furbetta e ne divenne successore. Oggi la Medicina del Lavoro è diretta da Giacomo Muzzi, anch’egli derivato della Scuola. Francesco Orlandi, Allievo di Menghini, rimase per qualche tempo in Clinica con il nostro gruppo avviando un filone gastroenterologico che continuava le tradizioni di Dominici. Quando Orlandi vinse la Cattedra di Gastroenterologia di Ancona sempre con il pieno appoggio di Larizza, questa specialità fu presa in mano da Antonio Morelli, Ricercatore del gruppo Larizza e destinato a diventare Professore Ordinario di Gastroenterologia a Perugia, con grande successo. Rimasero in Clinica anche i Cardiologi Pasquale Solinas e Franco Santucci che diedero vita ad un gruppo di Ospedalieri molto stimato e destinato ad autonomizzarsi. Purtroppo, nel corso degli anni, ci furono anche episodi assai tristi per tutti noi: si verificarono due gravi lutti che ci colpirono profondamente: la morte di Pietro Rambotti, avviato, come Professore Associato, ad una brillante carriera nel campo dell’Immunologia e di Francesco Narducci anch’egli Professore Associato, valido Collaboratore di Antonio Morelli in Gastroenterologia. Pietro Rambotti mi era particolarmente vicino e anche negli anni successivi sentii molto la sua mancanza.

Il clima da noi creato era comunque molto stimolante, divenne noto in Italia ed attirò moltissimi giovani Medici che trovarono a Perugia un ambiente nel quale si univano l’interesse per l’ammalato ed un grande desiderio di ricerca. L’abbondanza di cervelli che gravitavano attorno al nostro gruppo consentì un periodo di attività difficilmente riproducibile e di grande rilievo. Con l’aumento dei Ricercatori anche i campi di interesse si ampliavano e nascevamo gruppi di Lavoro in numerosi settori della Medicina Interna, ciascuno dei quali era destinato ad una propria autonomia. Il primo ad rendersi indipendente non poteva che essere Sandro Ventura, che aveva spostato i propri interessi alla patologia dell’anziano. Nacque così la Geriatria, con Umberto Senin all’inizio valido ricercatore, ma destinato a succedere a Sandro Ventura e con Elmo Mannarino, allora alle prime armi e oggi Presidente della Scuola di Medicina dell’Università di Perugia. All’ordinariato è giunta anche Patrizia Mecocci che, al momento della nascita della Geriatria, era una giovane Assistente.

Anche Paolo Brunetti abbandonò l’Ematologia per dedicarsi all’Endocrinologia ed in particolare allo studio e alla terapia del Diabete, nel momento in cui fu chiamato a dirigere la Patologia Medica. Il Gruppo che si costituì attorno a Brunetti, ancor oggi vivissimo ed in piena attività, vanta nomi di grande prestigio quali Adolfo Puxeddu, futuro efficientissimo Preside di Facoltà, Fausto Santeusanio, Geremia Bolli senza dimenticare la “metastasi benigna” di Roberto Pacifici oggi alla Emory University di Atlanta. In quel periodo era anche cresciuto il ruolo di Giuseppe Nenci che si era dedicato allo studio della coagulazione del sangue affiancato da Giancarlo Agnelli, oggi ricercatore di fama mondiale, che ha sostituito Nenci nella Direzione del Reparto di Medicina interna, e da Paolo Gresele, anch’egli Professore Ordinario di Medicina Interna. La Medicina Nucleare costituì un altro fiore all’occhiello della Clinica Medica e Renato Palumbo ne fu l’animatore ed in seguito l’apprezzato dirigente. Nella seconda metà degli anni 70, l’Università di Perugia decise di aprire dei corsi di laurea a Terni, dove esisteva un moderno Ospedale senza “infiltrazioni” universitarie. Fu affidato a me il compito di dirigere la Clinica Medica e di insegnare la Medicina Interna agli studenti. Ammaestrati dall’esperienza di Cagliari e dal comportamento di Paolo Larizza, riuscimmo a farci accettare dai Colleghi Ospedalieri e, con un gruppo di neolaureati o quasi (Angelo Allegra, Marina Liberati, Franco Buzzi, Francesco Di Costanzo, Bruno Biscottini, Mauro Brugia), riuscimmo a impostare una buona attività Clinica, ad avviare attrezzati laboratori di ricerca ed a far partire un’attività di Oncologia, che rimane una solida acquisizione per l’Ospedale di Terni, ora diretta da Marina Liberati, Associata in Oncologia e da Franco Buzzi, mentre Francesco Di Costanzo dirige oggi l’Oncologia all’Ospedale Careggi di Firenze e costituisce un’altra delle nostre “metastasi benigne”. Bruno Biscottini Lavora come Primario all’Ospedale di Todi. Quando, nel 1982, lasciai Terni per tornare a Perugia come successore di Paolo Larizza, fui lieto di consegnare ad Adolfo Puxeddu, valente Clinico ed ottimo Reumatologo nonché, come si è detto, futuro Preside di Facoltà, un Reparto Clinico e Laboratori di ricerca di buona qualità.

Non posso parlare della mia attività entusiasmante e feconda, durata 18 anni, come successore di Paolo Larizza alla Direzione della Clinica Medica dell’Università di Perugia che ho a mia volta consegnata nelle mani di Albano Del Favero. Posso però indicare due fenomeni che abbiamo provocato e sostenuto con tutte le nostre forze: il potenziamento delle attività specialistiche e lo sforzo di ricerca che abbiamo compiuto negli anni 80 e 90. In quel periodo furono autonomizzate la Gastroenterologia, affidata ad Antonio Morelli, l’Oncologia Ospedaliera guidata da Maurizio Tonato ed ora da Lucio Crinò, chiamato come Professore Universitario di prima fascia per chiara fama, noti per le ricerche sul carcinoma polmonare, la Reumatologia diretta ora da Roberto Gerli, Professore Ordinario della nostra Facoltà. Ma soprattutto va ricordata l’Ematologia, affidata ad uno dei nostri migliori Docenti, Massimo Martelli.

 

Memore degli emoistioblasti ferratiani, l’Ematologia si è sviluppata fortemente con ricerche note a livello internazionale sul trapianto di midollo osseo non compatibile, sulle caratteristiche delle cellule di Hodgkin, sulla genetica delle cellule leucemiche. L’Ematologia perugina è oggi in pena fioritura, guidata da Brunangelo Falini clinico ed istopatologo che la dirige, da Andrea Velardi, clinico ed immunologo e da Cristina Mecucci clinica e genetista, tutti di fama mondiale. Nei laboratori della Clinica Medica, in collaborazione con quelli dell’Ematologia è stata approfondita la patogenesi e la terapia con acido retinoico della leucemia promielocitica, possiamo ben dire in prima mondiale. E’ stato il successo della “linea mieloide” che ha sostituito la cagliaritana linea eritroide.

Questi risultati furono possibili perché a guidare i Laboratori di ricerca furono personaggi che sono altre nostre “metastasi benigne” nel mondo: mi riferisco a Pier Giuseppe Pelicci, allora Ricercatore in Clinica Medica ed ora Direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano come successore di Umberto Veronesi, a Pier Paolo Pandolfi, che ha collaborato con Pelicci nei nostri laboratori ed ora è Direttore del Cancer Center dell’Università di Harvard, a Francesco Grignani che, dopo vaste esperienze estere, è ora ordinario di Patologia Generale a Perugia, a Claudio Anasetti che ha contribuito alla creazione dei nostri laboratori ternani e che ora dirige il Cancer Center and Research Institute di Tampa. Non basterebbe tutto lo spazio a disposizione per riassumere l’attività di ricerca anche di una sola di queste “metastasi benigne”. Ma noi ne siamo orgogliosi.

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Grignani F., La Scuola (Ferrata, Introzzi), Larizza, Medicina e Chirurgia, 66: 2994-2997, 2015.

Luigi Migone, un Maestro da ricordaren.65, 2015, pp.2955-2958

Con emozione e con gratitudine voglio fare memoria, a grandi linee, dei principali avvenimenti della vita accademica e culturale con i tratti essenziali dell’attività e dell’insegnamento di Luigi Migone, iniziando dalla Sua venuta dall’Università di Sassari all’Università di Parma al seguito del maestro Prof. Michele Bufano, fino al 1983, anno della Sua uscita dai ruoli accademici, soffermandomi in particolare sull’attività svolta nell’Ospedale Maggiore di Parma.

Schermata 2015-04-27 alle 15.05.50A Parma, negli anni 50, in seguito alla chiamata del Prof Domenico Campanacci all’Università di Bologna, il Prof. Carlo Bianchi divenne titolare della Cattedra di Patologia Speciale Medica e successivamente, dopo il trasferimento del suo maestro Prof. Bufano alla Università “La Sapienza” di Roma, di quella di Clinica Medica, liberando la Cattedra di Patologia Speciale Medica, che la Facoltà nel 1958 chiamò a ricoprire il Prof. Luigi Migone, Aiuto del Prof Bufano. In seguito la Facoltà chiamò a ricoprire la Cattedra di Semeiotica Medica il Prof. Ugo Butturini, Aiuto del Prof. Domenico Campanacci, a Bologna.

In quegli anni il Prof. Migone portò avanti, attraverso una ribadita alleanza con i fisiologi, ricerche fondamentali sulla funzione renale, sul bilancio elettrolitico intra- ed extracellulare, sull’applicazione dei diuretici (acetazolamide e tiazidici),  sulle modificazioni metaboliche ed ormonali associate, ed in patologia nel vasto campo delle glomerulonefriti, studiate anche mediante agobiopsia (studio morfologico ed immunologico), oggetto di una relazione alla Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) e di una monografia.

E’ risultata questa la base scientifica e clinica su cui il Prof. Migone operò nella Clinica Medica del Suo Maestro, Michele Bufano ed assieme al Prof. Monasterio, Clinico Medico a Pisa, fondò nel 1957 la Società Italiana di Nefrologia (SIN), di cui è stato segretario fino al 1966; nel 1984 fu eletto membro onorario della EDTA-ERA e nel 1997 fu nominato Presidente Onorario della SIN (primo ed unico a tutt’oggi).

Nel 1960 a Ginevra è stato uno dei fondatori della International Society of Nephrology.

A Parma Egli formò la Sua Scuola che si estese nelle sedi ospedaliero-universitarie in varie Regioni, dove venne portata l’impostazione del Suo operare come Medico e Scienziato ed attuò tale concetto attraverso la formazione di numerosi Clinici: Ambrosoli, Azzolini, Baronio, Borghetti, Cambi, Canaletti, Carrara, Cocconi, Dall’Aglio, Ferioli, Fiaccadori. Franchini, La Greca, Maiorca, Mantovani, Minardi, Minari, Missale, Novarini, Pecchini, Pisano, Prati, Savazzi, Savi, Scarpioni, così da costituire una Scuola proiettata verso il futuro.

Le strutture ospedaliere-universitarie, che lo accolsero, non erano proprio le migliori, che si potessero desiderare: l’assetto edilizio era stantio con le corsie  piene (24 uomini, 24 donne) oltre alcune stanze pensionanti, ma in disordine; i laboratori erano ampi e mal strutturati, gli ambulatori mal posizionati e trascurati, anche se attivi.

Il prof. Migone si impegnò per una ristrutturazione edilizia con l’acquisizione di una nuova ala nel retro del vecchio Istituto e successivamente con il trasferimento in un nuovo padiglione di tre piani con reparti di degenza in stanze da 1-2-4 letti, con auletta, con laboratori di ricerca ben attrezzati anche con la stanza refrigerata, con il laboratorio di micropuntura e di immunopatologia renale, con quello di coagulazione e di fisiopatologia cardiopolmonare, costituendo pregevoli novità per la Facoltà e per l’Ospedale Maggiore: l’Istituto di Patologia Medica poi trasformato (1971) in Istituto di Clinica Medica II e dopo in Clinica Medica e Nefrologia, successivamente è diventato Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, dal 2013 è Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale.

Proprio il Suo impegno operativo e culturale nella Facoltà di Parma lo portò a rifiutare il trasferimento all’Università Cattolica di Roma (Policlinico Gemelli), all’Università di Genova, in sostituzione del Prof. Antognetti, pur essendo genovese di nascita ed infine all’Università “La Sapienza” di Roma per succedere al Suo Maestro, Prof. Bufano.

Nella Medicina italiana emergeva la necessità di innovare la modalità di insegnamento e della ricerca rivedendo anche gli orientamenti culturali affinandone i contenuti attraverso le specializzazioni. Il Prof. Migone, condividendo queste esigenze, incoraggiò i suoi collaboratori a dedicarsi all’approfondimento di settori specialistici soprattutto nel campo della Nefrologia per cui attuò una stretta collaborazione triangolare tra Lione (Prof. Traeger) Berna (Prof. Reubi) e Parma con periodici e regolari incontri di studio nelle tre sedi e con scambi di ricercatori: a Lione il Prof. Ferioli iniziò e portò a Parma l’applicazione del rene artificiale con le placche di Kiil, nel 1971 nacque a Parma la “dialisi breve” di quattro ore settimanali ad opera di Cambi; del Metabolismo Minerale (con lo studio dei bilanci idroelettrolitici e determinazione di anioni e cationi anche intracellullari, mediante agobiopsia muscolare, in diverse patologie mediche e chirurgiche); della Medicina Preventiva e del Lavoro, iniziata dal Prof. Borghetti nel 1968 in collaborazione con il Presidente della Regione Emilia-Romagna e continuata nel 1974 dal Prof. Franchini; delle Malattie Cardiovascolari (con l’utilizzo della fonocardiografia e della poligrafia per la diagnostica delle valvulopatie, con la prova da sforzo per la determinazione del lavoro aerobico massimo e del quoziente respiratorio, con lo studio degli effetti dovuti alla centralizzazione di volume mediante immersione in acqua);   della Emostasi; della Gastroenterologia; della Genetica Medica (le specifiche competenze furono acquisite dal Prof. Savi frequentando nel 1968-69 l’Istituto di Genetica Medica dell’Università di Torino, diretta dal Prof. Ceppellini) e dell’Immuno-Allergologia (con contributi originali nella diagnosi e cura delle patologie autoimmuni: sclerosi multipla, Sjogren ed in particolare del LES, e nella prevenzione, eziopatogenesi e diagnosi delle patologie respiratorie da allergeni) e del trapianto renale, stabilendo attraverso il Prof. Dall’Aglio, rapporti con la cliniche milanesi prima del Prof. Melli e poi del Prof. Zanussi, peraltro sempre tenendo ben ferme le basi internistiche.

Migone, alla scuola di Bufano si era formato nell’ambito della Medicina Olistica “costituzionalistica”, però non ebbe remore, ma anzi stimolò ad aprirsi alle  nuove discipline che ne avrebbero potuto parcellizzare il “corpus”, ma che nel suo insegnamento si riunirono stabilmente e coerentemente nella Medicina Interna. Questa impostazione, voluta dal Prof. Migone si tradusse progressivamente in insegnamenti ufficiali e diversi allievi raggiunsero le rispettive cattedre di Medicina Interna (Borghetti, Novarini e Dall’Aglio), Nefrologia (Andreucci, Cambi e Buzio), Genetica Medica (Savi), Medicina del Lavoro (Franchini, Mutti): istituì presso l’Università di Parma le Scuole di Specializzazione in Nefrologia e di Allergologia ed Immunologia Clinica.

Dopo il pensionamento di Migone nella direzione della II Clinica Medica, poi Clinica Medica e Nefrologia, successivamente Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione ed infine Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale si sono succeduti, fino ad oggi, Borghetti, Cambi, Franchini, Borghi, Mutti.

Ma, come era prevedibile, la capacità espansiva della scuola ha permesso ad alcuni suoi membri di entrare a far parte di altre Facoltà italiane: Andreucci a Napoli (Federico II), Dal Canton a Pavia e Maiorca a Brescia.

A completamento di questa elencazione, un po’ troppo schematica, è necessario riferire che un altro manipolo di allievi, collegati con il nucleo centrale della Scuola, ha assunto responsabilità primariali: Scarpioni (M.I a Piacenza), Carrara (M.I a Castel San Giovanni-PC), Ambrosoli (M.I a Fidenza-PR), Prati (M.I a Colorno-PR), La Greca (Nefrologia a Vicenza), Pecchini (Nefrologia a Cremona), Fiaccadori F. (Infettivologia a Parma), Missale (Gastroenterologia a Parma), Cocconi (Oncologia a Parma), Rossi Egidio (Nefrologia USL- Parma), Canaletti (Oncologia a Piacenza); Baronio (Malattie Respiratorie a Misurina-Belluno), Rossi Ermanno (Medicina Interna a Reggio Emilia).

Non vanno poi dimenticati numerosi professori Associati e Ricercatori di valore distribuiti negli alti livelli delle Facoltà, degli Ospedali e dei Laboratori di Ricerca (Allegri, Arisi, Biggi, Bignardi, Bruschi, Cabassi, Cavatorta, Coruzzi, David, Fiaccadori E., Gardini, Garini, Guariglia, Musiari, Neri, Perinotto, Savazzi).

È stato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione ed ha ricevuto la Medaglia d’oro per i meriti della scienza e della cultura. Ampio e vario è stato il suo impegno nella trattatistica di base e nella promozione di diversi convegni scientifici dove Egli ha presentato importanti relazioni nei congressi di Medicina Interna (nel 1968 “Insufficienza Renale Cronica”) ed in campi specialistici, soprattutto di Nefrologia, puntando sempre a privilegiare gli aspetti fisiopatologici così da far emergere, proprio in base alla Sua cultura olistica, i meccanismi di insorgenza ed evoluzione degli eventi morbosi.

Nel contesto degli indirizzi della Scuola, nel tempo, si sono formati gruppi di ricerca di primo piano che hanno acquisito apprezzamento e fama in Italia ed all’estero facendo onore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia di Parma: sono sorti, a varia distanza di tempo, diversi gruppi di studio e strutture collegate con il CNR, con il Ministero della Sanità, con Società Scientifiche Nazionali ed Internazionali. Va citata in particolare l’”Associazione Emma ed Ernesto Rulfo” per la Genetica Medica, da Lui voluta e presieduta fino alla Sua scomparsa e poi da Savi, la quale mette a disposizione da vari anni fondi importanti per sostenere la ricerca scientifica attraverso borse di studio e contributi di ricerca a studiosi di Università italiane su temi inerenti la Genetica Medica, i tumori, i trapianti, l’immuno-patologia renale, la nefrologia e la bio-etica: in particolare per progetti di ricerca svolti presso l’Università di Torino e Parma, supportando anche le attività del centro di Bio-etica Luigi Migone, fondato nel 2006 dai suoi Allievi per fare memoria del Maestro.

Sono inoltre da ricordare il Laboratorio di Micropuntura Renale su ratti selezionati, i cui reni presentano glomeruli superficiali, iniziato da una collaborazione con l’analogo Centro di Dallas-Texas (USA), diretto da D. W. Seldin e F.C. Rector, dove fece esperienza per due anni Andreucci,poi trasferitosi a Napoli.

Molti dei più giovani colleghi che operano nelle strutture tuttora efficienti, non hanno incontrato il Prof. Migone, ma hanno ricevuto l’influsso del Suo insegnamento e dei suoi orientamenti di ricerca fisiopatologica e nell’allontanarsi nel tempo dagli inizi della scuola  rimane sempre vivo ed attuale il suo contributo alla medicina di Parma ed in Italia.

Senza falsi pudori ed ipocrisie, forse perché suo allievo, mi sento di affermare che il Prof. Migone vada annoverato fra le eminenti personalità mediche che, anche per merito dei traguardi raggiunti e realizzati dagli allievi, hanno onorato in vari decenni la Medicina Interna Italiana.

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Per completare il quadro della personalità di Luigi Migone è emozionante ricordare le Sue doti umane accennando brevemente alla sua vivace intelligenza, alla prontezza con cui si rendeva conto delle situazioni più contorte, alla sua sensibilità che gli consentiva di percepire le espressioni comportamentali (linguistiche e logiche) degli interlocutori; aveva un’ampia preparazione umanistica ed esprimeva inoltre con coerenza la sua fede cristiana così da essere Presidente dal 1965 al 1993 dell’AMCI di Parma, fondata nel 1952,  alla quale con altri Suoi allievi, anch’io mi onoro di appartenere, (Presidente dal 1998 al 2001), insieme con Cocconi (Presidente dal 2001 al 2009).

Fra i molti ricordi che vengono in mente con emozione vi sono alcune sue lezioni tenute in aula, molto elaborate, a lungo preparate con la nostra collaborazione ed esposte con chiarezza e passione così da trascinare studenti, medici interni, specializzandi ed assistenti ad entusiastici applausi.

Ebbe un alto concetto dell’Università in cui si doveva esprimere al massino la fantasia creativa, la correttezza metodologica, l’approfondimento scientifico, il personale e creativo coinvolgimento nelle prospettive culturali più promettenti: trasmetteva la Sua aspirazione alla verità, alla responsabilità, all’impegno, al progresso della scienza e della conoscenza per aiutare gli ammalati.

Era certamente un grande clinico con le caratteristiche di saper distinguere, quasi a colpo d’occhio, i dati essenziali da quelli che esprimevano un rumore di fondo in un caso clinico complicato: la sua lezione era che un  buon medico non doveva fare diagnosi brillanti, ma diagnosi corrette.

Capendo questo la mia ammirazione fu altissima e in più occasioni gli chiesi come aveva fatto ad arrivare a certe conclusioni, ma Lui non dette mai spiegazioni: forse pensava che fosse questione di intuizione, non facile a teorizzare. Più di una volta, nella mia pratica di clinico di fronte a casi complessi mi sono chiesto: cosa avrebbe detto e fatto il Prof. Migone?

Mi sono più volte domandato  se con il Suo pensionamento e più ancora con la Sua scomparsa, in qualche modo la Scuola iniziata da Michele Bufano sia giunta al termine: è una riflessione difficile perché i tempi sono cambiati e la medicina non è più la stessa in quanto la personalità di alcuni protagonisti conta meno e la stessa idea di scuola medica si è molto indebolita. Per me è e resta un comportamento formativo-culturale, che mi ha ispirato quando sono diventato Professore Ordinario, dirigendo una struttura di degenza e di ricerca (Clinica e Semeiotica Medica), avendo così degli allievi, oltre che Preside della Facoltà dal 1990 al 2005. Ho molto amato la Patologia Cardiovascolare, in particolare l’ipertensione arteriosa, ma sempre inserita in tutta la Medicina Interna, soprattutto l’arte clinica, seguendo lo stimolo e l’incitamento anche del Prof. Borghetti, successore del Prof. Migone nel 1983.

Fortunatamente ho avuto bravissimi allievi: Loris Borghi (Ordinario di Medicina Interna e co-fondatore con me della Medicina Interna-Lungodegenza Critica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma e dal novembre 2013 Magnifico Rettore della nostra Università), Alberto Montanari (Ordinario di Medicina Interna e mio successore nella direzione della Clinica e Semeiotica Medica); Paolo Coruzzi (Associato di Medicina Interna – responsabile della Unità Operativa di Prevenzione e Riabilitazione Cardiovascolare presso il Centro “Santa Maria ai Servi” della Fondazione Don Carlo Gnocchi di Parma e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Cardiovascolari).

In conclusione, scusandomi per la pochezza dei mio dire e del mio ricordo, sicuramente incompleto nel fotografare la complessa Figura del Prof. Migone e della Sua Scuola, formulo l’augurio che il Suo insegnamento sia seguito e continuato dagli appartenenti alla Sua Scuola, tuttora presenti ed attivi nell’Università Italiana: è stato per noi Maestro ed Educatore con idee chiare, concrete, possibili essendo una guida con l’esempio, con la parola e con le opere. A testimoniare tutto questo, con affetto e gratitudine, i Suoi Allievi hanno posto una targa nel corridoio d’ingresso del Dipartimento (allora Clinica Medica e Nefrologia):

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La Scuola di Melli Zanussin.64, 2014, pp.2907-2912

Dopo tanti anni di esperienza di medicina e di università credo di essermi chiarito il concetto di “Scuola” in ambito accademico. Questa non è tanto legata alle opportunità intellettuali e di affermazione personale che un professore autorevole può offrire ai suoi allievi, che è pure importante, ma è soprattutto consistente nella trasmissione di uno stile di pensiero e di una specie di ispirazione di fondo che un caposcuola sa comunicare. In questo senso le scuole mediche italiane non possono essere circoscritte a singole personalità, ma si sono svolte nel tempo con la successione di maestri e allievi che, a loro volta, divenivano maestri, stabilendo ramificazioni con una continuità che ancora dura. In questo senso io ho avuto la fortuna di essere inserito in una delle più prestigiose scuole italiane, quella di Orsi, Grocco, Frugoni, Melli e Zanussi.

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Questo accadde per caso quando da studente feci l’esame di Patologia Generale. A differenza dei più, io avevo scelto gli studi medici non pensando di fare il clinico, ma desideroso di dedicarmi alla ricerca di base.  Perciò ambivo a frequentare come studente interno l’Istituto di Patologia Generale, allora diretto dal professor Pietro Rondoni, accademico pontificio, direttore scientifico dell’Istituto dei tumori di Milano, autore del più rinomato testo di Biochimica di quei tempi e di un’opera originale (che ancora conservo) intitolata “Il cancro”.

Ma mi era stato detto che Rondoni accettava studenti interni solo dopo che avessero sostenuto l’esame di Patologia Generale e avessero preso trenta.  Io ero fiducioso dato che avevo riportato questa votazione in quasi tutti gli esami sostenuti, ma mi sbagliavo perché all’esame con Rondoni presi solo ventotto.

Perciò rinunciai alla Patologia Generale e feci domanda d’internato e fui accettato in Patologia Medica, senza sapere bene in che cosa differisse da quella Generale. Fu così che si decise tutto il mio avvenire perché, ai miei primi contatti con gli ammalati, capii che non potevo che fare il clinico. Ma questa è un’altra storia e il fatto importante è che così feci le mie prime armi in una delle più prestigiose scuole mediche italiane, alla quale dovevo restare legato per tutto il resto della mia carriera. So molto di questa scuola grazie a un libro, “Ricordi e incontri”, che Cesare Frugoni pubblicò nel 1974, quando aveva 93 anni, e che io recensii, senza firmarmi, sulla rivista Tempo Medico. La recensione gli piacque tanto che egli volle sapere il nome dell’autore e poi mi scrisse una gentilissima lettera di ringraziamento, alla quale io risposi dichiarandomi, come allievo di un suo allievo, un suo nipote scientifico, e questo fu l’inizio di un breve scambio epistolare che io ricordo con un certo orgoglio.

Capostipite della scuola fu Francesco Orsi di Pavia (1828-1909), studioso di semeiotica fisica cardiaca, che dette, insieme al suo allievo Pietro Grocco (1856-1916) , clinico medico di Firenze, il nome a un segno ottenibile con la percussione, detto anche del cappuccio di Grocco, per riconoscere la dilatazione dell’atrio sinistro, segno che credo che nessun medico odierno, io per primo, sarebbe in grado di cogliere. Ma a quei tempi  non esisteva alcun mezzo strumentale per studiare il cuore e i medici supplivano con dei virtuosismi di semeiotica  che sono andati perduti.

Come si è visto, l’origine della scuola è cardiologica, ma l’indirizzo che doveva prevalere in seguito fu dato proprio da Cesare Frugoni, uno degli allievi di Grocco che ne continuò la scuola prima a Padova e poi a lungo e con grande successo  a Roma (gli altri allievi di Grocco che occuparono cattedre di prestigio furono Raffaello Silvestrini a Perugia e Pio Bastai a Torino). Fu Frugoni che per primo si avventurò, per quanto i suoi tempi lo consentissero, sul terreno dell’immunologia, arrivando addirittura a pensare ai trapianti,  come risulta dal suo libro già citato. Ma, in realtà, più che ai trapianti pensava all’allergia.

Infatti, a quei tempi, la moderna immunologia doveva ancora nascere e l’allergia era il territorio sul quale si appuntavano prevalentemente le curiosità scientifiche dei precursori di questo settore del sapere medico. In Italia se ne era occupato Cesare Frugoni, che già nel 1935, insieme a Giuseppe Sanarelli e Amilcare Zironi, aveva fondato la prima rivista europea di allergologia, i “Quaderni dell’allergia”. In seguito, era stata creata l’ “Associazione italiana per lo studio dell’allergia”, con presidente Zironi e vice-presidente Guido Melli, l’allievo di Frugoni che sarebbe stato il maestro di Carlo Zanussi e mio, e successivamente la “Società Italiana di Allergologia” con presidente onorario Frugoni, presidente Antonio Lunedei e segretario Serafini. Melli fu presidente della società dal 1965 al 1968, quando questa cambiò nome e divenne la  “Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica”. In seguito fu il primo presidente della “Società Italiana di Immunologia e Immunopatologia”.

Ma Frugoni fu anche un protagonista negli altri campi della medicina interna, e fu un clinico di grande successo che si occupò della salute di vari personaggi illustri, e fu all’origine di una notevole ramificazione della sua scuola, mettendo in cattedra allievi di grande spessore, come (in ordine alfabetico) Virgilio Chini a Bari, Mario Coppo a Modena, Giuseppe Giunchi a Roma, Aldo Luisada a Chicago, Flaviano Magrassi a Napoli, Gino Meldolesi a Palermo, Guido Melli a Milano, Mariano Messini a Roma, Umberto Serafini a Firenze.

Ma torniamo alle mie esperienze come neofita alla scuola di Melli. A quell’epoca (anno accademico 1950-1951) il mio futuro maestro, nato nel 1900, era da poco tempo a Milano. In realtà era già divenuto, quando non ancora aveva 40 anni, professore ordinario di Patologia Medica all’Università di Parma, e ne era stato scacciato nel 1938 in seguito alle leggi razziali del regime fascista, dato che era ebreo. Aveva trascorso gli anni seguenti parte in Italia, lavorando per un’industria farmaceutica, e poi in Svizzera durante il periodo dell’occupazione tedesca. Ora i suoi diritti gli potevano essere restituiti. Ma il suo posto a Parma era già stato occupato da un altro valente collega, perciò fu una buona occasione che si fosse resa disponibile una cattedra di Patologia Medica a Milano dove alla fine fu chiamato.

Vale la pena di ricordare la storia di questa cattedra. L’Università statale di Milano era giovane, essendo stata fondata dal ginecologo Mangiagalli nel 1928. Inizialmente il clinico medico era Luigi Zoia e il patologo medico Domenico Cesa Bianchi, poi, con il pensionamento di Zoia, Cesa Bianchi era divenuto clinico medico e in Patologia Medica era stato chiamato Luigi Villa. Intorno al 1945 o poco dopo Cesa Bianchi fu colpito da un ictus che lo costrinse a lasciare il servizio. Questo rese, per così dire, orfani i suoi allievi e in modo particolare quelli che ambivano a divenire professori ordinari, in modo particolare Marcello Cellina ed Enrico Poli. Villa divenne infatti clinico medico, condusse con se i suoi allievi e dirottò quelli di Cesa Bianchi (tranne Cellina che divenne primario a Monza) sulla Patologia Medica , che era la cattedra sulla quale era stato chiamato Melli.

Perciò, quando io misi piede nell’istituto diretto dal mio futuro maestro, la scuola vera e propria doveva ancora concretizzarsi. Convivevano, infatti, nella stessa sede allievi  delusi di Cesa Bianchi con altri colleghi che avevano seguito Melli provenendo da altre università. Da Parma era venuto il primo aiuto, Cesare Bartorelli, che era nato fisiologo, ma si era convertito alla clinica studiando l’ipertensione arteriosa e aveva appena tenuto, insieme a Melli,  su questo argomento una relazione al Congresso di  Medicina Interna. Bartorelli aveva una notevole personalità ed era destinato a una brillante carriera, divenendo nel 1956 ordinario di Patologia Medica all’ università di Siena, e poi, 10 anni dopo, tornando a Milano per occupare il posto reso vacante quando Melli si trasferì in Clinica Medica in seguito al passaggio fuori ruolo di Villa. In queste sedi fondò una vera e propria nuova scuola caratterizzata da un’impronta, per quei tempi nuova e originale, di interpretazione fisiopatologica della clinica. Bartorelli, a sua volta, mise in cattedra numerosi suoi allievi: prima Alberto Zanchetti e Arnaldo Libretti, entrambi destinati alla Clinica Medica a Milano, e poi altri, tra i quali mi piace ricordare, in Patologia Medica, Alberto Malliani, al quale, purtroppo prematuramente scomparso, sono stato legato da amicizia personale e da una specie di sintonia intellettuale.

La partenza di Bartorelli per Siena, tuttavia, non fece scomparire nel nostro istituto il nucleo di ricerca cardiologica che egli aveva fondato, che fu mandato avanti con successo da Giuseppe Folli, a sua volta destinato a divenire ordinario di Patologia Medica, prima a Milano, e poi alla Università Cattolica a Roma, dove successivamente passò alla Clinica Medica.

Altri due collaboratori di Melli, Vincenzo Grifoni e Carlo Zanussi, provenivano da Roma ed erano originariamente allievi di Frugoni. Grifoni s’interessava di Ematologia e trascorse un certo periodo a perfezionarsi negli Stati Uniti. Era un bravo clinico e un accurato ricercatore, ma era di una pignoleria leggendaria. Scherzando, non senza sfumature maligne, si diceva che un suo stretto collaboratore era stato valorizzato perché faceva bene la punta alle matite. Io stesso posso testimoniare che, dovendo inviare insieme una lettera a Lancet, iniziammo dedicando non poco tempo alla scelta della carta su cui scrivere. Ma, al di là di certe singolarità caratteriali, Grifoni era certamente di eccezionale cultura e con aperture al futuro che a quei tempi pochi coltivavano.  Io stesso gli sono debitore per avermi indirizzato allo studio dei linfociti, che nel 1960 Nowell aveva scoperto non essere cellule terminali, ma capaci di trasformarsi in blasti e moltiplicarsi sotto varie sollecitazioni, tra le quali la più popolare era la fitoemagglutinina. Era la nascita della moderna immunologia e gli studi sui linfociti dovevano segnare il passaggio dei miei interessi scientifici dalla ematologia alla immunologia clinica, un campo al quale, da allora in poi, sono rimasto fedele. Devo pure a Grifoni di essere stato iniziato allo studio della statistica. Oggi, che la Statistica viene studiata di regola in tutti i corsi di Medicina, questo mio ricordo può sembrare sorprendente, ma a quei tempi nessuno teneva corsi di questa disciplina e la ricerca clinica era più qualitativa che quantitativa. Grifoni invece me ne parlò e mi suggerì lo studio del testo americano di Snedecor e Cochrane, che per qualche anno fu la mia Bibbia.

Grifoni divenne poi, prima professore ordinario di Patologia Medica a Cagliari, e poi di Clinica Medica a Genova, e venne a mancare improvvisamente poco prima di lasciare per anzianità questa cattedra.

Ma il vero continuatore della ispirazione originale di Frugoni e Melli fu Carlo Zanussi, che fondò nel nostro istituto un nucleo vivacissimo di ricercatori che aveva per tema l’allergia.  Questo gruppo fu molto attivo e si distinse per l’originalità di molte ricerche e per la anticipazione di molti temi della moderna immunologia clinica che, nel frattempo, si stava affermando. Avrebbe poi incluso varie personalità importanti per la immunologia italiana, come Domenico Mazzei, Fulvio Invernizzi, Sergio Del Giacco, Roberto Cattaneo e Claudio Ortolani. Anche personaggi destinati a posizioni di rilievo in altre specializzazioni fecero le prime armi in quel gruppo, come l’oncologo Gino Luporini e gli infettivologi Mauro Moroni e Francesco Milazzo. Purtroppo, Mazzei nel 1979, poco più che cinquantenne, e Invernizzi nel 2007 ci hanno lasciato. Il primo era divenuto ordinario di Immunologia Clinica della Università di Milano e il secondo ordinario di Patologia Medica sempre della stessa università.

Nel 1965 Zanussi vinse un concorso di professore ordinario di Malattie Infettive alla Università di Sassari e si allontanò da Milano con Moroni, che lo seguì in Sardegna. Doveva ritornare a Milano pochi anni dopo, prima come professore di Malattie Infettive e poi di Semeiotica Medica e infine, nel 1971, come professore di Patologia Medica ed erede della scuola fondata dal suo maestro Melli e da lui stesso resa tanto importante e attiva. In seguito sarebbe stato Clinico Medico e con questa qualifica sarebbe andato fuori ruolo nel  1995. Quando, tre anni dopo, andò in pensione, fu nominato professore emerito della Università di Milano.

Vorrei, a questo punto, dire qualcosa di Melli con il quale ebbi molta consuetudine fin da giovanissimo, essendo stato per molti anni uno dei due assistenti addetti al Reparto Solventi (nulla a che vedere con la chimica, in questo caso i solventi erano quelli che pagavano il ricovero), dove il direttore, come allora lo si chiamava, veniva a giorni alterni a visitare i pazienti ricoverati.

Melli era molto alto e, pur non essendo grasso, aveva una figura imponente. Portava i capelli grigi pettinati a spazzola, dei semplici baffi e aveva degli occhi azzurri, apparentemente freddi, ma che io ho visto inumiditi di lacrime al letto di qualche caso pietoso. Era chiuso e molto riservato, tutto quello che si sapeva di lui era che viveva semplicemente con sua moglie e che non avevano figli. Pur avendolo frequentato molto, mi è difficile dire se avesse interessi culturali extramedici: una sola volta in un suo discorso nominò Ernst Mach, che allora conoscevo solo come fisico e non ancora come filosofo. Questo mi fa pensare che avesse una solida cultura umanistica, ma non la esibisse, in accordo con il suo temperamento. Era un grande gentiluomo e trattava con la stessa cortesia una nobildonna nel reparto Solventi e una contadina in un reparto comune, e questo in un’epoca nella quale spesso i medici davano del tu ai ricoverati, indipendentemente dall’età e dal sesso.

Si diceva che non era sempre stato tanto chiuso e riservato, ma anzi che in gioventù fosse stato vivace e amante soprattutto di automobili veloci, una passione che non doveva essergli passata del tutto anche ai miei tempi, se è vero che suscitava le ambasce del prudente Bartorelli quando quest’ultimo doveva salire su un’automobile guidata dal suo capo.   Ma si diceva anche che era cambiato dopo gli anni di persecuzione razziale. In effetti era nato a Ferrara, dove esisteva un’importante comunità israelitica, eternata nei suoi romanzi da Giorgio Bassani. Probabilmente il suo ambiente originale era quello descritto nel “Giardino dei Finzi-Contini”, per fortuna con esiti meno tragici, ma sempre tanto drammatici da segnare un uomo per sempre.

Era certamente un grande clinico. Quello che soprattutto lo caratterizzava era saper distinguere, per così dire a colpo d’occhio, i dati essenziali da quelli che rappresentavano solo un rumore di fondo in un caso clinico complicato. In questo credo che fosse stato influenzato dal suo maestro Frugoni, che pure vidi in azione in un paio di consulti con Melli che venne a fare nel nostro reparto.

Questa capacità del nostro maestro era inizialmente un po’ deludente per noi giovani medici che amavamo le diagnosi brillanti. Ma la lezione di Melli era che il dovere del clinico non è di fare diagnosi brillanti, ma diagnosi corrette. Quando capii questo l’ammirai moltissimo e in più di un’occasione gli chiesi come aveva fatto ad arrivare a certe conclusioni, ma lui fu parco di spiegazioni. Probabilmente pensava che era una questione d’intuizione, non facile a teorizzarsi.

D’altro canto, a quel tempo pochi si ponevano il problema del metodo clinico e il solo Enrico Poli aveva pubblicato nel 1965 un libro intitolato: “Metodologia medica. Principi di logica e di pratica clinica”e il suo unico predecessore era stato, tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, Augusto Murri, cui non a caso il libro di Poli era dedicato. Ma era stato poco seguito. Si narra che quando Grocco fu gravemente malato e si temette per la sua vita, i suoi allievi suggerirono di chiedere il parere di Murri e l’illustre paziente replicò che aveva bisogno di un medico e non di un filosofo.

Melli aveva molta attenzione per la ricerca nel suo istituto. Da giovane era stato inviato da Frugoni a perfezionarsi in Germania, che a quei tempi era l’equivalente scientifico degli Stati Uniti di oggi, e parlava perfettamente il tedesco. Poco dopo essere venuto a Milano aveva dato un importante contributo alla Immunologia italiana pubblicando un ponderoso volume intitolato “Allergia e malattie allergosimili”, dove per allergosimili si intendevano quelle che ora si chiamano malattie immunopatologiche.

Non amava le teorie complicate cui si interessavano molti dei suoi colleghi ed era incline a un sano scetticismo. Rimase celebre una sua polemica con Lunedei a proposito della iperostosi frontale interna, malattia che, secondo Melli semplicemente non esisteva. Inizialmente, non era tanto il promotore, ma piuttosto un interessato valorizzatore delle ricerche condotte dai suoi collaboratori. Ricordo che, in un’occasione in cui  gli mostrai alcuni  miei  risultati sperimentali e mi attendevo un breve colloquio, mi trattenne invece per più di un’ora a discutere i miei dati e a darmi suggerimenti. Si impegnò molto di più quando, secondando le iniziative di Domenico Mazzei (che aveva preso il posto di Zanussi come coordinatore del gruppo immunologico, dopo che questi si era trasferito a Sassari), fu iniziato nel nostro istituto, in collaborazione con il Clinico Chirurgo Edmondo Malan, un programma pionieristico di trapianti renali. Fu allora che, insieme a Mazzei, fece una relazione al Congresso della Società Italiana di Medicina Interna su “I farmaci immunosoppressori”.

Melli era un docente di grande successo. Le sue lezioni erano sempre affollate e io stesso, e molti altri assistenti, andavamo e sentirle appena era possibile. Sarebbe potuto restare in servizio più a lungo di quanto fece, perché gli era riconosciuto il diritto di recuperare gli anni perduti per le persecuzioni razziali, ma lo fece solo per un anno e ci lasciò a sorpresa. Per combinazione io fui il primo cui comunicò questa inattesa decisione e fui profondamente turbato, così come lo furono anche tutti i miei colleghi, anche tenendo conto delle difficoltà connesse alla successione del proprio Direttore.

In effetti, alcuni passarono a lavorare con Elio Polli, che prese il posto di Melli come Clinico Medico, altri seguirono Folli, che nel frattempo era divenuto uno dei Patologi Medici della nostra Università, altri ancora, e io fra questi, scelsero di andare con Zanussi, che divenne anche lui uno dei Patologi Medici, da professore di Semeiotica che era. Fu una scelta felice perché Zanussi divenne il vero successore del nostro primo maestro e io personalmente ne fui valorizzato e gli devo di essere divenuto a mia volta ordinario di Patologia Medica, sempre all’Università Statale di Milano, ma nella sede convenzionata dell’Ospedale San Raffaele.

Dopo di allora vidi Melli poche volte e il caso volle che dovessi essere io a commemorarlo in  Consiglio di Facoltà in occasione della sua morte nel 1985. Doveva farlo Zanussi, ma quella volta era assente e il Preside chiese a me di farlo. Lo feci male, non solamente perché dovetti improvvisare, ma anche perché mi sentivo impacciato da una strana emozione.

Zanussi era diversissimo da Melli. Era biondo, con  capelli discriminati nel mezzo della testa, così che a tratti dei ciuffi gli ricadevano sulla fronte, aveva un profilo aguzzo e la bocca per lo più atteggiata in un sorriso ironico, ma anche pronta a serrarsi in un’espressione risoluta quando doveva esercitare la sua autorità. Perché, se Melli regnava più che governare, Zanussi invece ci teneva a dirigere con polso fermo tutta la scuola, compresi gli allievi che erano divenuti cattedratici a loro volta.

Io non appartenevo al nucleo originale della scuola di Zanussi per puro caso. Anzi, in seguito, quando vedevo la vivacità di questo gruppo provavo una certa invidia. Come ho già detto, arrivai alla immunologia attraverso l’ematologia, quando si capì l’importanza dei linfociti per il sistema immunitario. Ma, a quell’epoca, Zanussi era in Sardegna e cominciai a collaborare con Mazzei. Quando Melli andò fuori ruolo cominciai a lavorare con Zanussi in maniera molto proficua. Tanto che amavo ripetere che io, nel filone delle sue ricerche, ero come la via alternativa del complemento. Insieme abbiamo fatto varie relazioni a congressi, ho collaborato al suo “Terapia Medica Pratica”.

Ma, se lo ammiro come maestro di medicina, più di tutto lo ricordo per le sue straordinarie qualità personali. Era un uomo di grande cultura non solamente medico-scientifica, di vaste letture, con il quale si poteva sempre fare una conversazione intelligente. Ma tutto questo senza pedanteria, venato sempre di ironia e alleggerito dal suo amore per la vita. Amava l’arte, ma anche i buoni vini e la buona cucina, gli piacevano le espressioni pittoriche, ma anche era capace di apprezzare la bellezza femminile. La sua compagnia era sempre piacevole.

A differenza di Melli, che era un solitario, Zanussi era molto socievole e coltivava numerose amicizie, anche con personaggi di notevole rilievo come, per esempio, il direttore del Corriere della Sera, che allora era Piero Ostellino, che richiese la sua collaborazione per argomenti medici sul suo giornale, anche in prima pagina. Si impegnò anche in politica, con il Partito Socialista e per un breve periodo fu anche direttore della ASL milanese, incarico che lasciò volontariamente dopo brevissimo tempo, forse accorgendosi di quale divario esiste tra l’accademia e la politica.

Ma, prima di tutto, diede un importante impulso alla ricerca in una fase di evoluzione del pensiero immunologico particolarmente vivace. Partecipò attivamente alla vita di molte società mediche, come quella Italiana di Medicina Interna, per la quale fece due relazioni, nel 1990 a Milano sui “Meccanismi di guarigione e cronicizzazione delle infezioni virali”, e nel 1992 a Firenze  su “ I sistemi di controllo endogeno delle malattie infettive e infiammatorie” . Fu anche molto attivo nella Società Italiana di Immunologia e Immunopatologia, della quale per un certo periodo fu anche Presidente, e nella Società Italiana di Allergologia e Immunologia Clinica”. Scrisse dei libri, tra i quali il più famoso è il suo “Terapia Medica Pratica”, uscito in prima edizione presso la UTET nel 1986 ed evolutosi in “Diagnosi e terapia”, sempre presso lo stesso editore nel 1995, un’anticipazione dei suoi interessi clinici della maturità avanzata, che avrebbero portato al suo “Metodologia diagnostica in medicina interna” (UTET 1999), al “Breviario medico” (Selecta editrice 2004) e, infine al “Il metodo in medicina clinica” (Mattioli 2007).

La sua scuola ebbe notevoli successi. Molti allievi di Zanussi sono divenuti professori di prima fascia: nel 1980 a Milano Mauro Moroni in Malattie Infettive, io stesso a Milano, e a Cagliari Sergio Del Giacco (dopo un intermezzo con Grifoni), entrambi in Patologia Medica. Successivamente lo sono divenuti, pure in Patologia Medica e sempre a Milano, Fulvio Invernizzi e Luigi Cantalamessa, Raffaella Scorza in Immunologia Clinica, e, più recentemente, a Brescia Roberto Cattaneo in Immunologia Clinica (che, però, già da tempo in questa sede svolgeva come professore associato funzioni dirigenziali in un importante servizio specialistico) e a Milano Pierluigi Meroni in Reumatologia. Anche altri allievi hanno avuto posizioni di rilevo in campo ospedaliero, tra i quali ricordo Claudio Ortolani, che è divenuto coordinatore del Dipartimento di Allergologia Milanese e ha dato importanti contributi a questa disciplina.

Zanussi come clinico non era inferiore a Melli, si vedeva anche nel suo caso l’influenza di Frugoni, ma con uno stile diverso, più comunicativo, e per questo piaceva molto ai giovani. Era anche lui un docente di grande successo.

Mi sono più volte chiesto se con il suo pensionamento, e più ancora con la sua scomparsa, in qualche modo la scuola iniziata da Orsi sia giunta al suo termine. E’ una riflessione difficile: i tempi sono cambiati e la medicina non è più la stessa. Forse da Orsi al primo Zanussi la medicina è mutata meno che nel periodo seguente. Forse adesso la personalità di alcuni protagonisti conta di meno e la stessa idea di scuola medica si è indebolita.

Ma per me resta come un’ispirazione di fondo che può e deve essere trasmessa e che, per quanto mi riguarda, ho cercato di avere presente, pur senza richiamarla esplicitamente, quando, a mia volta, mi sono trovato a essere professore ordinario, a dirigere una struttura di degenza e di ricerca, e ad avere così degli allievi.  Ho sempre amato molto l’immunologia, ma anche tutta la Medicina Interna e, in particolare, l’arte della clinica. Fortunatamente ho avuto bravissimi allievi: per restare al campo universitario, ricordo Maria Grazia Sabbadini, che è divenuta ordinario di Medicina interna e in qualche modo il mio successore, Ruggero Pardi, attualmente ordinario di Patologia Generale, e i più giovani professori associati Angelo Manfredi in Reumatologia, e Patrizia Rovere Guerini in Medicina Interna, tutti presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.  Auguro loro di essere all’altezza, pur in condizioni tanto diverse, delle vicende umane e scientifiche che sono alle loro spalle.

La Scuola di Lorenzo Bonomon.63, 2014, pp.2864-2865

Gli anni durante i quali il Prof. Lorenzo Bonomo ha svolto il suo ruolo di Clinico e di Ricercatore sono stati segnati da uno straordinario sviluppo conoscitivo, favorito dall’esplosione tecnologica e dalla globalizzazione delle conoscenze. Andavano pertanto sempre meglio definendosi diversi settori clinico-scientifici che, pur provenendo dal grande tronco della Medicina Interna, si proponevano come branche specialistiche per patologie d’organo o apparato. Una branca nuova e in rigoglioso sviluppo era a quell’epoca l’Immunologia Clinica, che era infatti un’area di ricerca alla quale il Prof. Bonomo e i suoi collaboratori hanno apportato importanti contributi.

Queste premesse spiegano come mai il primo allievo dello stesso Prof. Bonomo ad andare in cattedra sia stato Alfredo Tursi, quale professore straordinario e poi ordinario (nell’attuale linguaggio universitario si direbbe professore di prima fascia) di Immunologia Clinica, disciplina comunque afferente al settore scientifico-disciplinare della Medicina Interna. L’Immunologia Clinica è andata poi estendendosi per abbracciare a pieno titolo anche l’Allergologia.

Il secondo allievo a conseguire lo status di professore ordinario è stato Franco Dammacco, che ha ricoperto la cattedra dapprima di Patologia Speciale Medica e Metodologia Clinica, e successivamente di Medicina Interna. Dammacco è stato anche Presidente della Società Italiana di Medicina Interna e poi del Collegio dei Docenti della stessa disciplina.

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 hanno poi raggiunto il traguardo dell’ordinariato Antonio Capurso in Gerontologia e Geriatria (anch’essa afferente al settore della Medicina Interna), Francesco Paolo Schena in Nefrologia e Vincenzo Liso in Ematologia.

Gli ultimi due allievi del Prof. Bonomo a vincere un concorso a cattedra di Medicina Interna sono stati Salvatore Antonaci, che è rimasto cattedratico a Bari, e Giacomo Lucivero, che è stato invece chiamato alla seconda Università di Napoli Federico II.

Due allievi di Franco Dammacco sono a loro volta diventati ordinari di Medicina Interna: Angelo Vacca, che ha preso il suo posto dopo il suo pensionamento, e Franco Silvestris che, dopo essere stato Ordinario di Medicina Interna per 10 anni presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bari, ha poi chiesto ed ottenuto di cambiare settore disciplinare e dal 2010 è ordinario di Oncologia Medica presso la stessa Università.

Un terzo allievo di Franco Dammacco, cioè Federico Perosa, è invece diventato ordinario di Reumatologia.

Ma i frutti di una guida illuminata e per molti versi irripetibile, qual è stata quella del Prof. Lorenzo Bonomo, non si limita ai pur significativi traguardi sopra sintetizzati.

Diversi altri allievi sono andati, infatti, a ricoprire il ruolo apicale di Primari di Medicina presso numerosi ospedali della Regione Puglia, e uno di essi, Riccardo Marano, è stato per molti anni Primario di Medicina nello stesso Policlinico di Bari.

Numerose e proteiformi sono state le tematiche scientifiche che il Prof. Bonomo ha sviluppato con i suoi allievi nel corso degli anni, grazie al suo instancabile impulso e alle esperienze che lo stesso Capo-scuola e la gran parte dei suoi collaboratori hanno acquisito attraverso periodi di addestramento in prestigiosi centri di ricerca europei e americani. Ne sono testimonianza e dimostrazione le numerose pubblicazioni comparse sulle più prestigiose riviste bio-mediche a livello internazionale, nonché le relazioni plenarie svolte nei Congressi della Società Italiana di Medicina Interna e in diversi consessi extra-nazionali.

Tra tali tematiche, ricordiamo in particolare le connettiviti, le sindromi da immunodeficienza primitive e secondarie, la crioglobulinemia e le sue connessioni con il virus dell’epatite C, le vasculiti primarie sistemiche, l’amiloidosi e alcune neoplasie del sistema emolinfopoietico quali il mieloma multiplo, le gammapatie monoclonali di significato indeterminato (MGUS), la macroglobulinemia di Waldenström e i linfomi di Hodgkin e non-Hodgkin.

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Cataldo Cassano, il Personaggio, la Scuola e l’Universitàn.62, 2014, pp.2819-2822

Abstract

This survey deals with the main part of his life  spent in teaching and research in the Department  of Internal Medicine of the Rome University “Sapienza”. In this Department he has been Director  for seventeen years, until his retirement.

From the University of Pisa , in which he was  Professor of Clinical Medicine, in 1955 he moved  to Rome, where he was able to form a remarkable group of doctors and researchers in different fields, especially gastroenterology, endocrinology  and metabolism, nephrology with the aim of bringing in medical school the modern knowledge of specializations with highest scientific impact. In teaching  and research he  privileged the inquire into the pathophysiological mechanisms  of disease with the most advanced techniques. In these areas  his coworkers reached a grade of excellency on national and international levels and gave birth to different groups  highly considered in the scientific milieu; many of them obtained leading positions in different Italian Universities.

He has been member of the Senate of the Republic for two  terms, but he managed to be above all a University teacher  and not  a fully dedicated politician.

His life and teaching leave a considerable mark in the University medical history in Italy.

Articolo

Mi è gradito il compito di ricordare nelle grandi linee i principali avvenimenti dell’iter accademico e culturale, e possibilmente il contenuto essenziale  dell’attività e dell’insegnamento, di Cataldo Cassano iniziando dal 1925, anno della sua laurea raggiunta all’età di 23 anni, fino al 1972, anno della sua uscita dai ruoli, e soffermandomi in maniera più specifica nei diciassette  anni trascorsi nel Policlinico Umberto I.

In prima istanza ed in termini generali e preliminari, per la parte più strettamente accademica, si  può ricordare che egli ha fatto parte di un gruppo di cattedratici che in un periodo di grande progresso e di importanti rivolgimenti politico-sociali in Italia, ed in particolare a Roma, è stato di riferimento clinico e culturale per medici e studenti. Quando, venendo da Pisa, Cassano giunse nella capitale trovò nella Facoltà personaggi come G. Di Guglielmo, L. Condorelli, P. Valdoni, R. Paolucci, per ricordare solo i cattedratici della medicina e chirurgia generale; a questi durante il periodo del  suo insegnamento si succedettero alle scadenze previste dalle leggi P. Stefanini, G. Giunchi, M. Bufano, E. Biocca, ed altri che in diverse discipline hanno onorato la Facoltà medica di Roma.

Giungere a Roma per un cattedratico del tempo costituiva una tappa finale ed una degna conclusione dell’iter accademico nella sede ritenuta la più prestigiosa del nostro paese. Il Policlinico Umberto I era l’ospedale più grande e più famoso in Italia, centro di cultura, ma anche di prestigio personale e di potere. In periodi precedenti alla cattedra di  Patologia, e poi di Clinica Medica, di Pisa egli era stato assistente di Anatomia Patologica a Perugia, indi assistente nella stessa disciplina a Cagliari e subito dopo Aiuto nella Clinica Medica di Bari al seguito del suo maestro Francesco Galdi. A Roma  Cassano per un anno fu Professore di Semeiotica Medica e fu ospitato nella Clinica Medica per la benevola disponibilità di G. Di Guglielmo, e subito dopo nell’Istituto di Patologia Medica, lasciato da L. Condorelli, a sua volta  passato in Clinica Medica; aveva portato con se una dozzina di stretti collaboratori, cui si associarono anche alcuni studenti. Richiamo alla memoria che in quell’epoca un cattedratico che si spostava ad una nuova sede, in virtù di una usanza consolidata, poteva portare con se aiuti e assistenti, che collaboravano gomito a gomito col maestro, e davano un solido significato al concetto di Scuola. Da Pisa si erano trasferiti a Roma in diversi scaglioni Ernico Fiaschi, Carlo Conti, Lidio Baschieri, Aldo Torsoli, Domenico Scavo, Domenico Andreani, Aldo Fabbrini, Mario Andreoli, Gianfranco Mazzuoli, Ivo Baschieri, Alessandra Perego, Luciano Palagi; e fra gli studenti Renzo Caprilli. Nel  nuovo  Istituto fu subito circondato da un nutrito manipolo di giovani medici che si unirono in buona armonia ai “pisani”. Un folto numero di studenti divennero “interni” e costituirono ben presto una apprezzabile frazione della Scuola ed una promessa per il suo futuro.

Le strutture che lo accolsero, peraltro, non erano proprio le migliori che si potessero desiderare;  l’assetto edilizio era fatiscente, le corsie piene ma in disordine, i laboratori confusi e vuoti, gli ambulatori attivi ma trascurati.

Cassano dette subito mano alla strutturazione edilizia con l’acquisizione di una nuova grande ala nel retro del vecchio Istituto, anche con l’intervento del noto architetto Nervi, che aveva un figlio fra i giovani medici al seguito del maestro. È doveroso ricordare l’impegno di tempo e di energie che Carlo Conti prodigò fino a completamento del rinnovato Istituto di Patologia Medica. Nuove moderne strutture vennero realizzate secondo gli orientamenti che Cassano volle dare alla scuola, specialmente nella nuova sezione. Ricorderò l’ampia aula, che di recente gli è stata dedicata, i nuovi  reparti di degenza, gli ampi laboratori di ricerca con le stanze refrigerate, il reparto di medicina nucleare e quello di microscopia elettronica, che costituirono pregevoli novità per il Policlinico e la Facoltà. L’Istituto di Patologia  Medica nel 1968 si trasformò in Istituto di Clinica Medica 2, e tale è  rimasto fino ad oggi.

Nella medicina italiana si era chiaramente manifestata la necessità di rinnovare le modalità dell’ insegnamento e della ricerca, come pure di rivedere gli orientamenti culturali; ed era impellente il bisogno di specializzare il grande contenitore della medicina interna, per affinarne i contenuti.  Cassano comprese queste esigenze ed incoraggiò i collaboratori a dedicarsi con  impegno all’approfondimento dei settori specialistici, soprattutto nel campo della gastroenterologia, del metabolismo, della endocrinologia, della nefrologia e della ematologia, sempre tenendo in considerazione le basi  internistiche. Per la cardiologia, che pure era coltivata intensamente a Pisa, si ritenne importante ed esauriente il fondamentale apporto della Scuola di Condorelli, atto a soddisfare completamente le richieste di aggiornamento e perfezionamento in questo ambito della didattica e della attività clinica nella Facoltà e nel Policlinico. In un secondo tempo nell’alveo della endocrinologia, soprattutto  per  merito di Conti, assunse una parte autonoma l’andrologia, che offriva nuove ampie prospettive.  Cassano era cresciuto nell’ambito della scuola italiana di medicina costituzionalistica arricchita da consistenti basi di anatomia patologica, ma non  ebbe  remore ad aprirsi alle nuove discipline, che  avrebbero potuto parcellizzare il corpus della medicina interna, ma che nel suo insegnamento si riunirono felicemente nella patologia medica.

Sul piano degli assetti accademici gli orientamenti impressi da Cassano si tradussero progressivamente in insegnamenti ufficiali ed un buon numero di allievi raggiunse le rispettive cattedre di medicina interna, endocrinologia, di gastroenterologia, in successione di nefrologia e più tardi di  andrologia e diabetologia.

Alcuni allievi in quel periodo occuparono ruoli di primo piano nelle università di Cagliari (Ernico Fiaschi) e di Pisa (Lidio Baschieri). In varia scadenza nella nostra Facoltà  si inserirono Carlo Conti, Domenico Scavo, Domenico Andreani ed Aldo Torsoli, cui con diverso intervallo di tempo  con  l’ampliamento del corpo accademico si aggiunsero Aldo Isidori, Gianfranco Mazzuoli, Mario Andreoli, Aldo Fabbrini, Giulio A. Cinotti e Francesco Sciarra; alcuni di questi allievi erano provenienti da altre  sedi universitarie  che temporaneamente li avevano ospitati. Nello stesso periodo si ebbe anche il trasferimento di cinque validissimi collaboratori negli USA e nel Canada, dove raggiunsero  ruoli di “full professor” (Giuseppe Andres, Mario Di Girolamo, Diego Bellabarba, Mario Giacomelli, Luciano Zamboni).

Senza seguire pedissequamente l’ordine cronologico, ricorderò che per il normale e previsto ritmo delle successioni, vi fu il progressivo  inserimento nella nostra Facoltà  di altri quindici docenti di prima fascia: Marcello Negri, Umberto Di Mario, Massimino D’Armiento, Franco Dondero, Giovanni Spera, Emilio D’Erasmo, Giuseppe Aliberti, Francesco Pugliese, Vincenzo Toscano, Cesare Corazziari, Gian Franco Delle Fave, Franco Fallucca, Salvatore Minisola, Mario Giacovazzo ed Andrea Lenzi, attuale Presidente del CUN. E non mi sembra fuori luogo aggiungere che due illustri studiosi, che hanno raggiunto fama internazionale, e cioè Lelio Orci, professore di Istologia della Università di Ginevra, e Giorgio Croce, eminente ricercatore in genetica ed immunologia  negli Stati Uniti, si sono sempre ritenuti in buona  misura collegati con la nostra scuola, essendone  stati allievi per alcuni anni.

Dopo il pensionamento di Cataldo Cassano nella direzione della 2° Clinica Medica, più tardi con l’aggiunta di Dipartimento di Clinica medica e delle specialità, si sono succeduti fino ad oggi Alessandro Beretta Anguissola, Domenico Andreani, Aldo Torsoli, Marcello Negri, Umberto Di Mario, Emilio D’Erasmo, Sebastiano Filetti. Ma come era prevedibile, la capacità espansiva della Scuola ha fatto sì che molti suoi membri siano entrati a far parte di altre Facoltà mediche al di fuori della Sapienza. Mi è gradito il compito di ricordare quei colleghi che hanno onorato la Scuola raggiungendo i più alti traguardi accademici in  sedi come Padova, Pisa, Napoli,  Verona, L‘Aquila, hieti  e nella stessa città di Roma nelle nuove Facoltà di Tor Vergata, Università Cattolica e Campus Biomedico. A completamento di questa elencazione, in realtà un po’ sommaria e burocratica, è necessario riferire che un altro manipolo di professori in stretto rapporto collegati con il nucleo centrale della Scuola ha occupato fuori dalla “Sapienza”ruoli di prima fascia (Fabio Tronchetti, Ernico Fiaschi, Lidio Baschieri, Ludovico Scuro, Aldo Pinchera, Romano Carratù, Guido Menzinger, Gaetano Frajese, Ivo Baschieri, Francesco Pallone, Luciano Campanacci. Remo Naccarato, Glauco Torlontano, Fabrizio Monaco, Emilio Tresalti, Enio Martino, Gian Franco Fenzi, Sergio Tonietti, Paolo Pozzilli, Alfredo Pontecorvi) senza contare quegli allievi di una generazione ancora più giovane, che chiamerei affettuosamente di  “nipotini”, giunti in evidenza per il diretto intervento dei “padri”, che partendo da Padova, Pisa e Roma si sono sparsi in altre sedi italiane. E non vanno dimenticati numerosi professori associati e ricercatori di vaglio distribuiti negli alti livelli delle Facoltà, degli ospedali e dei laboratori di ricerca a Roma ed altrove. Può darsi che involontariamente abbia trascurato qualche nome: nel caso me ne scuso fin da ora. Voglio ricordare che per le leggi della vita la maggioranza dei docenti citati non sono più fra noi e mi sembra doveroso rivolgere a loro un grato pensiero per il patrimonio comune che hanno contribuito a formare.

Passando ad altri aspetti della personalità di Cassano, farò presente che egli era ben introdotto negli ambienti politici della capitale; già a Pisa era stato consigliere comunale per la DC; era stato, ed a Roma ancor più, era medico personale di Presidenti della Repubblica, Capi del governo, ministri e parlamentari di ogni collocazione politica; egli stesso è stato senatore per due legislature. Ma desidero subito chiarire che Cassano mai si è dedicato in pieno alla attività politica, perché ha continuato il regolare insegnamento universitario ed ha seguito i pazienti in ospedale e fuori. Pur essendo chiara  la sua fama, non fu scevro di qualche sorpresa in quell’epoca l’arrivo nella Patologia Medica di un emiro arabo con il dovuto seguito di funzionari,  mogli e concubine, con il prevedibile sconquasso organizzativo; non mancherò  i ricordare anche che egli ha curato a lungo Padre Pio da Pietrelcina,  recandosi periodicamente a San Giovanni Rotondo nell’Ospedale da lui fondato; tra l’altro in questo ospedale hanno prestato la loro opera nel primariato di medicina interna, molti allievi della Scuola.

Nel 1964 insieme ad eminenti colleghi si fece promotore della fondazione della Società Italiana di Endocrinologia, di cui è stato Presidente per un decennio, e della Società Italiana di Diabetologia. Nel 1965 è  stato Presidente del Congresso Internazionale sul gozzo a Roma, che ebbe gran successo  per l’attivo intervento di Mario Andreoli, e che gli fece condurre tutti i congressisti insieme al Rettore della Sorbona, J. Roche, in udienza al Pontefice  Paolo VI, di cui era stato allievo nell’epoca della sua militanza nella FUCI, quando il futuro Papa era semplice assistente ecclesiastico della organizzazione.

E’ stato membro del Consiglio Superiore dalla P.I. per due tornate ed ha ricevuto la medaglia d’oro per i meriti della scienza e della cultura. Non è mancato un impegno nella trattatistica ed editoriale: il primo volume su “Le malattie metaboliche” con il suo maestro Galdi, quello sulla “Tiroide” con L, Baschieri, il volume sulla “Terapia del diabete e delle complicanze” con D.Andreani, ed infine il “Trattato italiano di Endocrinologia”, che ha visto l’opera attiva  di molti membri della scuola, in primo luogo Domenico Andreani, Marcello Negri, Federico De Luca e Leonardo Cramarossa. Proseguendo un  impegno culturale contratto a Pisa,  ha diretto fino al suo collocamento a riposo la “Rivista di fisiopatologia clinica e terapia” e la più nota “Folia Endocrinologica”, che in pratica è servita da palestra a tutti i giovani endocrinologi delle diverse scuole italiane. Si è fatto promotore di diversi convegni scientifici ed ha presentato importanti  relazioni nei Congressi di medicina interna e nei campi specialistici (ricordo le relazioni congressuali su: la clorosi, le sindromi gastrocardiache, la fisiopatologia del colon, la sindrome nefrosica, gli ipertiroidismi, la sterilità endocrina maschile); mi sembra opportuno annotare che in tutti i contributi clinici e di ricerca egli tendeva a privilegiare gli aspetti fisiopatologici in logica conseguenza del suo desidero di comprendere i meccanismi di insorgenza ed evoluzione degli eventi morbosi.

Riportandomi nel contesto degli indirizzi della Scuola riferirò che nel prosieguo di tempo si sono formati gruppi di ricerca di primo piano, che hanno acquisito apprezzamento e fama in Italia ed all’estero e che hanno onorato la Facoltà Medica e lo “Studium  Urbis”.come allora era denominata la nostra Università, e poi la “Sapienza”. Ed in questa scia sono sorti a varia distanza di tempo diversi gruppi di studio e strutture collegate con il CNR, con il Ministero della Sanità, con Società scientifiche nazionali ed internazionali: sono da ricordare il gruppo di studio sugli ormoni steroidei di Conti, il gruppo di studio degli ormoni proteici di Menzinger, il Centro di studio delle malattie della tiroide di Andreoli, il Canale didattico parallelo di Torsoli, ed ancora di Torsoli la Fondazione di  ricerca sulla fisiopatologia dell’apparato digerente, la Fondazione per il diabete, l’endocrinologia ed il metabolismo (DEM), di cui mi onoro di essere tuttora Presidente, il Centro per lo studio del metabolismo osseo di Mazzuoli, il Centro Internazionale per lo studio della malattia diabetica e della complicanze (CISD) di Pozzilli, il Centro andrologico internazionale sperimentale di Lenzi, il  Centro di studi sulle cefalee di Giacovazzo,il Gruppo  Italiano di studio del colon, divenuto poi  European Crohn’s and colon Organization di Caprilli.  Ritengo importante  citare anche i collegamenti di studio e ricerca  sull’apparato gastroenterico ed in particolare delle vie biliari, con la Scuola di P. Stefanini, anch’egli venuto a Roma da Pisa.

Molti dei più giovani colleghi che operano nelle citate strutture tuttora efficienti non hanno certamente incontrato il prof. Cassano, ma hanno ricevuto l’influsso del suo insegnamento e dei suoi  orientamenti di ricerca fisiopatologica. E constato  che con l’allontanarsi nel tempo dagli inizi della Scuola appare sempre più vivo ed attuale il  suo contributo alla medicina in Roma ed in Italia. E non temo di affermare che egli vada annoverato fra le eminenti personalità mediche che,  anche  in  virtù delle propagini e dei traguardi realizzati dagli allievi, hanno punteggiato nei vari decenni la medicina italiana.

A questo punto sarebbe necessario completare il quadro della personalità di Cataldo Cassano, ricordando le sue doti umane; molto brevemente accennerò alla sua vivace intelligenza, alla prontezza con cui si rendeva conto delle situazioni più contorte, alla sua acuta sensibilità che gli consentiva di percepire minime variazioni dello standard  espressivo linguistico e logico degli interlocutori; godeva di ampia preparazione umanistica, di una garbata ironia, di una signorile  accettazione dello spirito scanzonato e caustico dei toscani; non mancava di un fine spirito umoristico. A mò di esempio citerò un episodio che dice molto dei suoi  atteggiamenti.

Quando dietro incitamento di Aldo Moro, che allora era Presidente del Consiglio, si presentò per la candidatura al Senato ed ebbe successo, all’On. Taviani, che era uno dei principali notabili della D.C. e che si congratulava con lui, ebbe a sortire con una frase che creò nei presenti viva ilarità:” Caligola fece senatore il suo cavallo e Moro ha fatto senatore il suo medico”.

Fra i molti ricordi che vengono in mente con vivezza in questo ambito vi sono alcune sue lezioni tenute nell’aula, ora a lui dedicata, molto elaborate, talora tormentate, a lungo preparate con la nostra collaborazione ed esposte con grande trasporto emotivo, che trascinarono studenti ed assistenti ad entusiastici applausi. In una di queste occasioni Cassano venne fuori con una frase che diceva molto sul suo sottofondo sornione; egli ebbe a dire:” vi impedisco di applaudire, come in un domani vi impedirei di fischiarmi, quando una lezione non fosse da voi approvata”.

Egli ebbe un alto concetto della Università in cui si dovevano esprimere al massimo la fantasia innovativa, l’ approfondimento scientifico, il coraggioso coinvolgimento nelle prospettive culturali più attraenti  e  promettenti. E c’è da sperare che questo suo insegnamento sia seguito dagli epigoni della Scuola  tuttora attivi nella università italiana.

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Cita questo articolo

Andreani D., Cataldo Cassano, il Personaggio, la Scuola e l’Università, Medicina e Chirurgia, 61: 2819-2822, 2014.

La scuola internistica di Alessandro Beretta Anguissolan.61, 2014, pp.2760-2762

Alessandro Beretta Anguissola nacque a Travo (Piacenza) il 22 Dicembre 1913. Compì gli studi classici a Firenze ove si laureò nel 1936, non ancora ventitreenne, con il Prof. Pio Bastai che seguì, nel 1939, come giovane assistente alla Clinica Medica di Padova. Crebbe scientificamente, insieme al Prof. Gino Patrassi, nell’ateneo patavino sino al 1950 quando seguì il Maestro Bastai alla Clinica Medica di Torino. Nel 1951 vinse la cattedra di Patologia Medica di Sassari dove fu raggiunto da Gian Franco Dal Santo e da Francesco Saverio Feruglio dando così il via alla creazione della Scuola. Quando poi nel 1956 venne chiamato a dirigere la Patologia Medica di Perugia si trasferì nel capoluogo umbro con al seguito gli  allievi sassaresi Salvatore Campus, Giuseppe Pino e Baingio Migheli. Nel trasferimento successivo del 1959 alla Patologia Medica di Torino lo seguirono anche Carlo De Martinis, Livio Chiandussi e Franco Pupita. Il gruppo che arrivava quindi a Torino, già consistente come numero e decisamente valido per potenzialità, si arricchiva innanzitutto di alcune personalità cliniche già presenti ed appartenenti alla scuola di Giulio Cesare Dogliotti come Vincenzo Prato, Vinicio Nazzi, Dario Indovina, Giorgio Bert e Guglielmo Pandolfo. Nel giro di pochissimi anni poi si inserirono  altri giovani,  sia provenienti da altre università italiane, come Ettore Bartoli, Renato Lauro, Piero Zardini e  Paolo Russo, e sia neolaureati “torinesi” come Fabrizio Fabris, Domenico Fonzo, Eugenio Uslenghi, Alessandro Rappelli, Valerio Gai e Lucetta Gastaldi solo per citarne alcuni fra quelli che assistettero sin dall’inizio al formarsi del “gruppo”. Dopo essere stato Preside della Facoltà di Medicina e membro del Consiglio del CNR, nel 1972 il Prof. Beretta Anguissola fu chiamato a Roma alla IIa Clinica Medica sino ad allora diretta dal Prof. Cataldo Cassano dal quale ereditò gli allievi essendo stato seguìto a Roma, degli allievi torinesi, soltanto da Renato Lauro. Oltre ad essere stato Presidente della Società Italiana di Medicina Interna, Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Presidente dell’Istituto di Medicina Sociale, il Prof. Beretta Anguissola diresse la 2° Clinica Medica fino al 1984, quando fu collocato fuori ruolo. Egli, tuttavia, continuò a seguire le problematiche universitarie e sanitarie nazionali nonchè quelle dei suoi allievi sino alla morte che lo colse a Fano nel Luglio del 2002.

La  Scuola del Prof. Beretta Anguissola ha avuto ed ha tuttora una connotazione scientifica in larga misura orientata alle malattie cardiovascolari ed endocrino metaboliche. Già durante il periodo perugino il Prof. Beretta diede alle stampe il volume “Malattie dell’apparato cardiocircolatorio” e nei primi anni del periodo torinese l’impegno scientifico dell’Istituto di Patologia Medica fu condensato nella Relazione “Fisiologia della circolazione viscerale distrettuale” al 64° Congresso della Società Italiana di Medicina Interna. Ma fu proprio a Torino che l’Istituto di Patologia Medica vide nascere e svilupparsi numerosi gruppi di ricerca nei vari campi della Medicina Interna: il filone gerontologico-geriatrico con Francesco Saverio Feruglio poi seguito da Fabrizio Fabris, Mario Molaschi e Carmine Macchione; quello endocrino metabolico con Carlo De Martinis, Renato Lauro, Domenico Fonzo e Renato Doglio, quello ematologico con Vincenzo Prato, Umberto Mazza ed Eugenio Gallo, quello nefrologico con Franco Pupita ed Ettore Bartoli, quello di immunologia clinica con Giorgio Bert, Anna Massaro e Donatella Lajolo, quello pneumologico con Giuseppe Pino, Ambrogio Chiesa, Luigi Balbi, Giuliano Ciappi ed Alessandro Dolcetti, quello epatologico con Livio Chiandussi, Luigi Cesano, Gianfranco Sardi  e successivamente Mario Rizzetto ed infine nell’ambito cardiovascolare la creazione di una delle prime Unità Coronariche in Italia affidata a Salvatore Campus e successivamente a Piero Zardini ed il contributo alla nascita e crescita della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa da parte di Salvatore Campus e Alessandro Rappelli a loro volta seguiti poi da Nicola Glorioso, Paolo Dessì Fulgheri, Paolo Madeddu, Riccardo Sarzani, Franco Veglio, Paolo Mulatero e Leonardo Sechi per citare i più conosciuti anche a livello internazionale.

Dal primo nucleo di allievi arricchito da quelli torinesi è iniziata all’inizio degli anni ’70 la ramificazione della Scuola  con gli insediamenti accademici di Feruglio prima a Torino e poi a Trieste, di De Martinis e Russo ad Ancona di Campus a Sassari dove si affermarono anche Rappelli, Chiandussi e Bartoli, Zardini in cardiologia a Verona ed il trasferimento del Professor Beretta a Roma con Lauro. Negli anni ’80 poi, dopo il collocamento fuori ruolo del Maestro, ci furono vari spostamenti di De Martinis a Roma, Chiandussi a Torino, Rappelli ad Ancona e Bartoli ad Udine e successivamente a Novara. Nel frattempo altri allievi raggiungevano l’ordinariato come FabrizioFabris in Geriatria, Mario Rizzetto in gastroenterologia, Umberto Mazza in ematologia a Torino, Lauro a Roma ove divenne prima Preside e poi Rettore a Tor Vergata. Numerosi poi gli allievi di seconda generazione che hanno raggiunto posizioni accademiche di vertice nelle varie sedi. La figura che rappresenta l’albero genealogico della Scuola riporta, per ragioni di spazio,  solo i nominativi dei professori di prima fascia ma molti sono quelli di seconda fascia nonché i primari ospedalieri che costituiscono una grande famiglia che ha contribuito significativamente all’affermazione della Medicina Interna e delle sue branche in Italia e all’estero.

Il Prof. Beretta Anguissola era una personalità ricca di fascino, sicuro, sorridente, elegante nel tratto, nel portamento, nel porgersi agli altri, nell’incedere, nel gestire, nobile nel portamento, nel distacco che lasciava trapelare, senza volerlo, un senso di superiorità vissuta con leggerezza, senza pompa o prosopopea, con un modo di fare che induceva rispetto. Le sue lezioni di Patologia Medica erano sempre affollatissime e seguitissime per la chiarezza espositiva e per la capacità di collegare la fisiopatologia con la spiegazione dei segni e sintomi in una visione clinica moderna e ragionata.

Sua grande passione e motivazione era poi la Ricerca Scientifica, l’Istituto inteso come promozione della Scienza e della formazione. Vide immediatamente la discrepanza fra i dati, originali e innovativi, ottenuti sul circolo coronarico, e la limitatezza della loro diffusione, che avveniva prevalentemente a livello nazionale. Capì lucidamente come fosse urgente la transizione verso l’Inglese, il nuovo latino scientifico. Perciò, incoraggiò ed aiutò gli allievi ad andare in Inghilterra e negli Stati Uniti, per poter operare il salto di qualità verso la proiezione internazionale della Ricerca. Fu così che Chiandussi, Campus, Zardini, Rappelli, Chiesa, Cesano, Fonzo, Sardi, Gallo, Lauro, Rizzetto, e tanti altri andarono all’estero e riuscirono ad imprimere la svolta voluta dal Maestro al loro ritorno in Istituto, che si affacciò quindi al palcoscenico della Ricerca Internazionale.

In corsia sapeva mettere i malati a proprio agio e conquistarne la fiducia dimostrando che i pazienti non vogliono parolone, spiegazioni tecniche, statistiche, probabilità, cercano un Medico del quale avere fiducia, e questa uno se la gioca nei primi due minuti del contatto. Il Prof. Beretta questa consapevolezza la aveva innata, e in due minuti sapeva conquistare la fiducia, la stima, il rispetto del paziente. Non cercava diagnosi astruse o improbabili per stupire, ma atteggiamenti concreti che aiutavano.

La Sua vera opera, di Docente, di Medico, di Ricercatore, di Manager della Ricerca e del progresso, si svolse a Torino.

Fu a Torino che impostò lucidamente un progetto e lo perseguì, controcorrente, tra i contrasti, con una serenità che simulava un apparente distacco, mentre nascondeva, perché irrituali in un aristocratico, le virtù contadine: la tenacia, la convinzione, la continuità, la costanza con cui portava avanti il suo progetto, forte della fede nel progresso, nella convinzione di poter migliorare uomini e cose tramite l’educazione, la ricerca, l’intelletto, la pietas intesa come umanità verso i malati. Non si lasciò mai scoraggiare dalle avversità, perché era terribilmente realista, perseguiva obiettivi e tappe raggiungibili, e non mollava finché non le avesse raggiunte, senza farsele più scappare. Sapeva coniugare il sogno con obiettivi realisticamente conseguibili, con praticità e prammatismo. Vedeva lucidamente il percorso, e lo seguiva rispettandone le tappe e le scadenze.

Se ne andò da Torino, dove aveva dato tutto, perché colpito nell’autostima, nella persona, nell’impegno che sentì degradato da una indagine insensata quanto violenta ed accanita, che finì, come doveva finire, nel fatto non sussiste.

A Roma ottenne gli onori tardivi della senescenza, la Presidenza del Consiglio Superiore di Sanità, dell’Istituto di Medicina Sociale, della Medicina Interna.

Ebbe gli attestati, i riconoscimenti, le croci da cavaliere.

Il Professore non ebbe figli. I figli di Beretta sono stati i suoi allievi. Ha voluto bene loro come un padre, come un padre li ha motivati, educati alla Scienza ed alla professione, li ha aiutati, indirizzati, incoraggiati, temprati alla tenacia, all’impegno, alla intellettualità, allo studio, all’intraprendere un percorso, a seguire un disegno, prefigurarsi obiettivi che avessero valore per sé, per la comunità, per la patria, per il malato, per le generazioni a seguire.

Come un padre, quando furono maturi, li fece camminare con le loro gambe, perché scegliessero la loro strada e la percorressero liberamente.

Come tutte le persone veramente intelligenti, non tenne mai alcuno al guinzaglio, certo della superiorità della libertà.

Ha creato una Scuola, una Scuola medica, un percorso scientifico comune fatto di percorsi individuali convergenti nel valore comune della ricerca, dell’innovazione e del futuro.

Questa Scuola ha impresso soprattutto a Torino l’orma lasciata dal Maestro, ne ha seguito la traccia, ed ha fatto parte attiva del tessuto sociale delle città ove è stata presente con Ricercatori, Primari, Docenti, professionisti che hanno contribuito al progresso ed all’affermazione della Scienza e della Sanità ed ha lasciato testimonianze, idee, risultati, contributi in campo nazionale ed  internazionale, dove hanno ottenuto riconoscimenti e attenzione.

Il maestro ebbe fede nella vita, nel progresso, nella Scienza, nell’uomo, ed i suoi allievi hanno continuato quella fede e quell’impegno, che seguirà in altri, che manterranno viva la curiosità intellettuale, il piacere di migliorarsi, di sacrificarsi, di credere nel perfettibile, di avere un fine, di volere che l’individuo, la nazione, l’uomo avanzino intellettualmente.

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La scuola internistica padovana di medicina clinica e sperimentale di Gino Patrassin.60, 2013, pp.2710-2712

Gino Patrassi nacque ad Amelia (Terni) il 31 agosto del 1904. Laureatosi a Firenze nel 1927, si dedicò nei suoi primi anni accademici allo studio della morfologia, come allievo e docente nell’Istituto di Anatomia Patologica diretto dal prof. Bindo De Vecchi, e ottenne l’incarico di insegnamento di Istologia Patologia  e poi di Anatomia Patologica presso l’Università di Firenze. Completò la sua preparazione mediante periodi di perfezionamento all’estero, in Germania, presso le scuole allora famose di Rossle e a Berlino, presso l’Istituto di von Bergmann, il padre dell’anatomia funzionale. Al ritorno dalla Germania passò dall’Anatomia Patologica alla Clinica medica, diretta dal prof. Pio Bastai, con il quale si trasferì, come suo aiuto,  alla Clinica Medica di Padova nel 1939. Divenne professore straordinario di Patologia Speciale Medica nel 1949, cattedra tenuta presso l’Università di Cagliari, e poi di nuovo a Padova, chiamato dalla Facoltà ad occupare la medesima cattedra e a dirigere l’Istituto. Nel 1963 è chiamato a dirigere la cattedra e l’istituto di Clinica Medica generale dell’Università, dove rimase fino al 1974, anno del suo pensionamento. Il prof. Patrassi morì a Padova, il 12 settembre 1981.

La sua produzione scientifica è multiforme, come si usava nelle cliniche mediche quando la medicina non era così specializzata com’è adesso. La sua bibliografia contiene studi sulla patologia del sangue – meritano di essere ricordate l’anemia ellitto-poichilocitica che ha avuto l’eponimo di Fanconi-Patrassi e gli studi sulle leucemie aleucemiche e subleucemiche; poi gli studi di splenoepatologia, di cui fondamentale fu la monografia su La questione del Morbo di Banti, contributo a quell’epoca fortemente originale, indirizzato allo studio delle correlazioni fisiopatologiche tra malattie epatiche progressive fino alla cirrosi e all’ipertensione portale e le variazioni emodinamiche nel contesto splenico e splancnico. Da qui gli studi sulle cirrosi splenomegaliche e sulla circolazione portale, argomento conclusosi, con la partecipazione degli allievi C. Dal Palù, A. Ruol e P. D’Agnolo, con la relazione La pletora portale, al Congresso Nazionale di Medicina Interna, tenutosi a Torino, nel 1961, in collaborazione con il chirurgo di Roma, prof. P. Valdoni. Altro settore di studio di Patrassi fu la patologia endocrina in particolare quella tiroidea, che culminò con una  relazione al Congresso nazionale di Medicina Interna sulla Terapia delle Distireosi, allora agli albori della pratica clinica. Ancora, a sottolineare la multiformità degli studi clinici di Patrassi e il suo prestigio a livello nazionale, vi furono le relazioni, sempre alla Medicina Interna nazionale, sull’Ipertensione reno-vascolare”1968), in collaborazione con C. Dal Palù e A. Ruol, e sulle Iperlipoproteinemie (1971), in collaborazione con G. Crepaldi. Ma sono soprattutto i suoi contributi sulla descrizione di casi clinici che stanno a significare la sua profonda capacità e competenza clinica in tutti i settori della medicina, espresse dalla visita quotidiana in corsia, dove era di impareggiabile insegnamento il suo rapporto con il malato e la sua grande umanità con pazienti, personale paramedico, studenti, giovani medici e assistenti anziani. Era puntuale nella visita e meticoloso nell’ascolto dell’anamnesi e nell’esame obiettivo, sereno nella discussione, sempre attento a cogliere il problema principale e proporne soluzioni concrete. Parallelamente alla notevole competenza clinica, ebbe sempre altrettanta attenzione ai giovani, espressa in particolare nell’insegnamento della Medicina interna, sia in lezioni magistrali, sia durante la visita medica, al letto del malato.

La sua attività didattica si svolse per quasi mezzo secolo a Firenze, a Padova, a Cagliari e poi ancora a Padova, ove è ricordato dagli allievi per chiarezza di pensiero, equilibrio, compiutezza di aggiornamento, indirizzo verso le decisioni concrete, essenzialità delle nozioni, nonché la sua innata arguzia toscana. Memorabile fu una sua relazione del 1964 su Prospettive di riforma degli studi medici, dove egli delinea il quadro di grave crisi a cui stava incamminandosi l’Università italiana, quasi a presagire i grandi sconvolgimenti che avrebbero portato alle manifestazioni studentesche del ’68 e alle sue conseguenze. In questa relazione colpisce soprattutto la logica con cui sono delineati i possibili piani di studio in funzione del tipo di medico che si vuole far uscire dall’Università; prevede una maggiore attenzione alla formazione medica e clinica generale, con approccio globale al malato attraverso gli strumenti prioritari dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, una riduzione del carico didattico di argomenti specialistici, già allora eccessivamente prevaricanti nel corso di laurea. Riteneva indispensabile una solida formazione metodologica e clinica internistica, prima di approdare a qualsiasi specializzazione, che peraltro guardava sempre con un certo sospetto per l’ineludibile componente riduzionistica propria di ogni specialità, a fronte della visione olistica del malato che sempre aveva propugnato e testimoniato. Auspicava inoltre il coinvolgimento dei medici ospedalieri, in particolari quelli dei grandi ospedali, nella formazione pratica dei neo laureati. Infine illustrava le modalità con cui si sarebbero dovute svolgere le carriere dei ricercatori e degli assistenti. Proposte ragionevoli e illuminate, dettate da esperienza e saggezza, dove la preparazione scientifica e di ricerca doveva trovare un forte connubio con la preparazione clinica e didattica: proposte rimaste inascoltate in questi 40 anni di vita universitaria, dove le riforme degli studi medici succedutesi hanno portato le facoltà mediche alla deplorevole condizione attuale, con progressiva frammentazione della preparazione medica, carenze formative nell’approccio al malato e prevalente dominio dei settori specialistici e tecnologici.

Coerentemente con i suoi interessi scientifici preminenti, il prof. Patrassi ha fondato a Padova e organizzato il Centro di Splenoepatologia, tuttora attivo come centro di ricerche sperimentali e cliniche ad opera degli allievi e dei successori. Patrassi fu insignito della medaglia d’oro dei Benemeriti della Scuola e della Cultura e dell’Arte e gli fu riconosciuto il premio Ganassini e il premio Marzotto, negli anni 1967-68.

Nell’ambito delle iniziative accademiche ha contribuito a fondare e avviare la Facoltà di Medicina presso l’Università di Trieste, facendo parte del Comitato Ordinatore assieme al prof. Valdoni; inoltre ha fondato e avviato la Facoltà di Medicina presso l’Università di Verona, come sede distaccata dell’Università di Padova. Numerosi suoi allievi furono chiamati ad occupare cattedre di Medicina interna e di specialità mediche presso queste nuove facoltà, dalle quali gemmarono prestigiose Scuole cliniche e di ricerca, affermatasi a livello nazionale e internazionale. A testimoniare il suo vivo interesse per il governo dell’Università, Patrassi fu anche preside di facoltà negli ultimi anni della sua carriera accademica, a dire il vero senza grandi soddisfazioni.

Il ricordo di Gino Patrassi come Maestro e come scienziato sarebbe decisamente parziale e astratto se dovesse prescindere dalla sua personalità reale, ben presente in chi lo ha potuto conoscere direttamente. Tutti coloro che gli sono stati vicini, nelle buone come nelle tristi vicende della vita, lo hanno apprezzato ancor di più come uomo, con il suo corredo di grandi doti intellettuali, morali e civili e anche, perché no (come ebbe a dire Piero Leonardi, uno dei suoi Aiuti più amato, nel ricordo che di Patrassi fece all’Ordine dei Medici di Padova nel 1982 e dal quale sono tratte queste note), di qualche piccola umana debolezza, che imponeva a chiunque lo conoscesse non tanto di venerarlo come un mito, quanto di circondarlo di comprensione e di affetto. Immenso infatti fu il suo attaccamento alla famiglia, negli ultimi anni ripetutamente e atrocemente colpita, il senso di responsabilità e la comprensione verso i malati, la costante fedeltà ai suoi ideali, avulsi da ogni interesse materiale, la profonda onestà intellettuale e professionale, l’amor di Patria, in pace e in guerra, la passione per la musica e le arti in genere, l’entusiasmo per una partita di caccia, la sana giocondità espressa nei convivi con gli amici, ove non si contavano le battute spiritose o pungenti, il riconoscimento ed il rammarico di qualche suo inevitabile errore e infine la serenità con la quale ha accettato la fine dei suoi giorni, da lui lucidamente prevista e coraggiosamente affrontata, sempre circondato dall’affetto dei suoi cari e degli allievi più amati.

Gli Allievi

Professori di prima fascia

Titolarità di Cattedra di 1° Fascia conseguita durante la vita accademica del Maestro

– In Medicina Interna: M. Austoni (Padova), G. Crepaldi (Padova), C. Dal Palù (Padova, Trieste, Verona, Padova), G. De Sandre (Padova, Verona), A. Ruol (Padova, Trieste, Padova)

– In Cardiologia: S. Dalla Volta (Padova)

Titolarità di Cattedra di 1° Fascia conseguita con gli Allievi del Maestro

– In Medicina Interna: G. Baggio (Sassari), R. Corrocher (Parma, Verona), R. Fellin (Ferrara), A Gatta (Padova), D. Girelli (Verona), O. Olivieri (Verona), A. Pagnan (Castelfranco Veneto, Padova), P. Palatini (Padova), P. Pauletto (Padova-Treviso), A.C. Pessina (Trieste, Verona, Padova), P. Prandoni (Padova), G. Realdi (Siena, Sassari, Padova), G.P. Rossi (Padova), L. Vettore (Verona)

– In Geriatria-Gerontologia: G. Curri (Trieste), G. Enzi (Padova), M. Frezza (Trieste), E. Manzato (Padova)

– In Malattie del Metabolismo: A. Avogaro (Padova), S. Del Prato (Pisa), D. Fedele (Padova), M. Muggeo (Verona), A. Tiengo (Padova)

– In Cardiologia: G.P. Trevi (Chieti, Novara, Torino)

– In Immunologia Clinica ed Ematologia: G. Perona (Verona), G. Pizzolo (Verona), G.P. Semenzato (Padova)

– In Oncologia Medica: R. Cellerino (Ancona), G.L. Cetto (Verona)

– In Gastroenterologia: A. Alberti (Padova)

– In Pneumologia: M. Saetta (Padova), R. Zuin (Padova)

– In Anatomia Umana Normale: F. Munari (Padova)

– In Alimentazione e Nutrizione Umana: P. Tessari (Parma, Padova)

Professori di 2° fascia con responsabilità primariale

– G.B. Ambrosio (Venezia), G.C. Falezza (Verona-Negrar), L. Caregaro Negrin (Padova), A. Semplicini (Venezia)

Primari ospedalieri

– G. Andolfatto-Zaglia, P. Avogaro, G. Battaglia, G. Belloni, A. Benedetti, G. Bertelli, F. Binda, A. Bonanome, A. Bonadonna, G. Bovo, G. Buttò, D. Corà, V. Crepaldi, G. Dagnini, B. D’Agnolo, L. Dalla Palma, C. Dalla Rosa, I. Dal Zotto, S. De Biase, M. Di Lollo, G. Diodati, W. Donadon, G. Donaggio, Francescon, F. Furlanello, S. Gabaldo, G. Ghiotto, Gregoris, P. Leonardi, L. Lusiani, A. Maggia, I. Masetto, G. Mazzei, R. Miori, Nardini, F. Palermo, E. Piccolo, Porro, G. Roberti, P. Spandri, F. Tremolada, R. Trevisan, G. Vescovo, Vignato, A. Visonà, S. Zamboni, E. Zerbini, Zerman

Principali linee di ricerca della Scuola

– Linea di Medicina Interna (epidemiologia clinica, metodologia clinica e sperimentale): M. Austoni, C. Dal Palù, A. Ruol, G. Crepaldi, G. Realdi, R. Corrocher

– Linea cardiovascolare (clinica e sperimentale): C. Dal Palù, S. Dalla Volta, A. Pessina, A. Pagnan, G.P. Trevi, R. Corrocher, G.P. Rossi, P. Palatini, P. Pauletto, O. Olivieri, D. Girelli

– Linea endocrina-metabolica: (patologia endocrina, dislipidemie, diabete): G. Crepaldi, A. Tiengo, M. Muggeo, G. Enzi, E. Manzato, G. Baggio, D. Fedele, A. Avogaro, S. Dal Prato

– Linea ematologica-immunologica: (clinica e sperimentale) G. De Sandre, G. Perona, L. Vettore, G. Pizzolo, G.P. Semenzato

– Linea pneumologica (clinica e sperimentale): M. Saetta, R. Zuin

– Linea gastroenterologica ed epatologica (Clinica e sperimentale): A. Alberti, A. Gatta, G. Realdi

– Linea oncologica: R. Cellerino, G.L. Cetto

 

La Scuola internistico-metodologica padovana di Mario Austoni

Mario Austoni nacque a Brescia nell’ottobre del 1912 e si laureò in Medicina e Chirurgia a Padova nel 1936 a pieni voti e lode. Dopo la laurea trascorse un anno e mezzo come medico interno nell’Istituto di Farmacologia della nostra Università, allora diretto dal prof. Egidio Meneghetti, di cui ammirò molto il rigore scientifico e la dirittura del suo stile di vita.  Si trasferì poi a Roma, nel 1937, come medico interno, nella Clinica Medica diretta dal prof. Cesare Frugoni. Nello stesso anno vinse una borsa di studio ministeriale che gli permise un primo soggiorno a Berkley in California, dove frequentò l’Istituto di Biochimica e la Clinica Medica.

Tornato a Roma nel ’39 vi rimase due anni come assistente del prof. Frugoni. Nel ’41, in seguito a vicende familiari e belliche, tornò all’Università di Padova dove era allora Patologo Medico il prof. Giulio Andrea Pari. Ricoperse l’ufficio di Assistente (durante il richiamo alle armi) e quindi di Aiuto fino al ’49 anno in cui il prof. Pari morì improvvisamente. Il prof. Austoni si trovò allora a dirigere, per alcuni mesi, come Direttore interino, l’Istituto di Patologia Medica, rimasto senza Direttore.  All’inizio dell’anno accademico 1949-50, venne nominato Patologo Medico a Padova, il prof. Gino Patrassi il quale volle mantenere al suo fianco, come Aiuto, il prof. Austoni.

Nel ’53 il prof. Austoni vinse un’altra borsa di studio americana e si recò per la seconda volta a Berkley dove frequentò, questa volta, l’Istituto di Fisica Medica. Lì apprese  i principi delle applicazioni mediche dei radioisotopi, tecnologia che egli al suo ritorno a Padova applicò alla diagnostica ed alla terapia di alcune patologie, dando avvio a quelle attività cliniche che, negli anni seguenti, culmineranno nella costituzione all’Università di Padova, di un Centro di Medicina Nucleare  che, a sua volta, si trasformerà più tardi in una Cattedra omonima.

La Medicina nucleare era allora utilizzata prevalentemente per la diagnostica e la terapia di alcune endocrinopatie e di alcune emopatie: da ciò originarono gli interessi del prof. Austoni per entrambi questi settori medici che rappresentarono poi uno dei primi e principali filoni di attività dell’Istituto di Semeiotica Medica. Si interessò inoltre di Malattie Infettive, disciplina che insegnò negli anni dal ‘51 al ’54 e che lo portò alla stesura di una monografia sulle Leptospirosi, assai apprezzata in quei tempi nei quali questa malattia era assai più frequente di oggi. Altro campo cui il prof. Austoni diede particolare impulso è quello dell’Immunologia Clinica soprattutto nel campo delle malattie autoimmuni.

Tuttavia, nonostante l’apparente differenziazione e frammentazione dell’attività clinica e scientifica nei diversi settori ora ricordati, sui quali il prof. Austoni indirizzava e promuoveva le ricerche dei suoi allievi, a livello clinico era fermamente convinto della necessità che la Medicina non dovesse essere divisa in settori tra loro separati, per non “trascurare – sono parole Sue – la globalità dell’essere umano malato”. Riconosceva l’importanza e la necessità delle Specializzazioni, ma sosteneva con altrettanta convinzione che coloro che si dedicano alle diverse specializzazioni devono costruire le proprie competenze su solide fondamenta costituite dalla perfetta conoscenza della Medicina e della Chirurgia generale. Questo atteggiamento olistico della Medicina clinica ha rappresentato il germe su cui il prof. Austoni ha poi costruito la peculiare caratteristica del suo insegnamento e della sua Scuola: l’atteggiamento metodologico.

Nel 1954, il prof. Austoni assunse la titolarità come incarico, dell’insegnamento ufficiale della Semeiotica Medica, insegnamento allora complementare e lo mantenne fino al 1959 quando pervenne alla cattedra di Semeiotica Medica come Professore straordinario e, come Professore ordinario, nel 1962. In quest’anno venne ufficialmente costituito l’Istituto di Semeiotica Medica, che il prof. Austoni diresse fino al suo collocamento a riposo, nel 1982.

Quando fu fondato, nel ’62, l’Istituto di Semeiotica Medica, il prof. Austoni accolse con sé un limitato numero di collaboratori: Pasquale Carenza, Donato Ziliotto, Romeo Lazzaretto, Sergio De Biasi, Felice Casson, Antonio Girolami, Cesare Scandellari, Nicola Conte. Mentre D. Ziliotto, A. Girolami e C. Scandellari intrapresero, negli anni seguenti, la vita universitaria, gli altri si dedicarono per lo più alla vita ospedaliera dove contribuirono a far conoscere i principi metodologici imparati durante la permanenza nell’Istituto del prof. Austoni. Alcuni di loro poterono raggiungere – il primariato ospedaliero, sia in Divisioni di Medicina Generale (come P.Carenza, F. Casson e N. Conte) sia in Centri di Diagnostica di Medicina nucleare (come F. Ferlin, D. Casara e A. Vianello, entrati a far parte, in un’epoca successiva, dell’Istituto di Semeiotica Medica).

Tra gli allievi che negli anni seguenti si unirono all’Istituto di Semeiotica Medica, uno ha rappresentato in particolare un elemento essenziale per il successivo orientamento di tutta a Scuola austoniana. Ci si riferisce a Giovanni Federspil (prematuramente scomparso nel 2010)  che con la sua profonda cultura umanistico-filosofica seppe dare un contributo fondamentale alle riflessioni  sulla metodologia medica e clinica. E furono queste riflessioni e queste ricerche  gli elementi che diedero forma e sostanza agli orientamenti metodologici che avrebbero , da allora in poi, caratterizzato la Scuola padovana di Austoni, rendendola particolarmente nota e apprezzata soprattutto in Italia ma anche in altri Paesi Europei (Belgio e Svizzera).

Come già è stato detto, il prof. Austoni, nel 1959 vinse la Cattedra di Semeiotica medica, evento che più d’ogni altro ha segnato la sua vita universitaria: cioè la sua decisione – in gran parte condizionata, come sempre accade, da vicende  contingenti, ma non per questo meno convinta – di dedicarsi interamente alla Semeiotica Medica. Fu un connubio – se così può essere chiamato –  fortunato ed estremamente significativo sia per la stessa disciplina Semeiotica Medica che per il prof. Austoni.

Risultò fruttuoso per la Semeiotica – che a quei tempi era considerata la disciplina cenerentola della Medicina Interna – poiché proprio dalla passione e dalla dedizione che ad essa profuse il prof. Austoni, trasse nuova linfa vitale, ottenendo finalmente, non solo presso il corpo docente universitario padovano ma anche nell’ambito nazionale, quella considerazione e quel prestigio che la Semeiotica Medica merita in funzione della sua rilevanza per la formazione del futuro medico. Questa valorizzazione della Semeiotica Medica venne ottenuta dal prof. Austoni dimostrando che questa disciplina non deve essere limitata agli aspetti esclusivamente tecnici di esame del malato, com’era sempre stata considerata – anche se tutti i suoi allievi sanno quanto il prof. Austoni pretendesse e quanto ci tenesse alla correttezza della raccolta anamnestica ed alla cura dell’osservazione obiettiva del malato. Il grande merito del prof. Austoni è stato quello di arricchire ed ampliare questa disciplina alla riflessione sul metodo e sul ragionamento clinico. Pretese – in sintesi – che ogni suo collaboratore, ogni medico che con lui operava, si chiedesse sempre, di fronte ad ogni decisione che riguardasse l’ammalato: perché faccio questo? e: quale valore ha la decisione che mi accingo a prendere?

L’incontro con la Semiotica Medica, fu d’altro canto fondamentale anche per il prof. Austoni poiché, coltivando questa disciplina, Egli potè esprimere e sviluppare al meglio, tutte le sue doti di clinico, di studioso, di docente. Alla Semeiotica Medica il prof. Austoni dedicò tutta la sua carriera.

Quando, assieme ad alcuni Colleghi di altre Università, ottenne la Cattedra venne chiesto loro l’impegno di non considerare quella Cattedra come un primo gradino verso i ruoli della Patologia Medica e della Clinica Medica, che al tempo rappresentavano le due uniche fasi della progressione di carriera nell’ambito della medicina interna e, in quanto tali, ambite e contese nelle Facoltà Mediche. Il prof. Austoni – a differenza di qualche suo collega – si sentì vincolato sul suo onore a questo impegno che mantenne lungo tutta la Sua carriera, al punto di rifiutare l’opportunità – che pure in anni successivi gli si presentò – di acquisire gli insegnamenti allora ritenuti più prestigiosi di Patologia Medica e di Clinica Medica. Fece questo “grande rifiuto” – come venne definito anche da qualche suo collaboratore – sia per favorire due suoi allievi (Girolami e Scandellari) che poterono acquisire l’insegnamento per incarico di Patologia Medica – ma soprattutto per coerenza verso l’impegno che aveva preso quando vinse la Cattedra. Ma verosimilmente, il vero e più decisivo motivo, era costituito dall’attaccamento sentimentale culturale e intellettuale che Egli provava per la Semeiotica Medica e per il ruolo che questa disciplina gioca nella formazione del medico.

E quando nel 1982, lasciò l’insegnamento per raggiunti limiti d’età, volle  come successore non tanto uno dei due suoi allievi con titolarità all’epoca più prestigiosa (Patologia Medica) preferendo che la continuazione del suo insegnamento si mantenesse nel solco della Semeiotica Medica: suo successore fu quindi Donato Ziliotto, allora  cattedratico di Semeiotica Medica all’Università di Verona.

Sebbene non possano essere considerati di secondaria importanza i filoni di ricerca e di applicazione clinica coltivati dalla Scuola di Austoni negli ambiti più tradizionali per una Scuola Medica –  quali quello Endocrinologico affidato tra gli altri a Donato Ziliotto, a Franco Mantero, B. Busnardo, I. Mastrogiacomo, M. Boscaro, L. Varotto, E. Girelli, D. Armanini, C. Foresta; quello Ematologico curato da Antonio Girolami, Fabrizio Fabris  G. Cella, C. Scaroni, M.L. Randi, S. Casonato e altri; quello immunologico-clinico, sviluppato da Franco Bottazzo, P. Borini, C. Betterle ; quello Metabolico, sviluppato da Giovanni Federspil, Trisotto,  Roberto Vettor e Nicola Sicolo; quello relativo alla Medicina Nucleare (C. Macrì, F. Ferlin, A Vianello, D. Casara); quello della Medicina dello Sport (M. Zaccaria) – è indubbio che fu l’indirizzo metodologico quello che fruttò maggior notorietà alla Scuola austoniana come centro di innovazione dell’atto medico. E’ vero che le nozioni di Metodologia non erano all’epoca, del tutto nuove: già nel 1965 Enrico Poli, primario medico al Fatebenefratelli di Milano, aveva pubblicato un libro intitolato Metodologia Medica, che tuttavia non ebbe al momento molta risonanza tra la classe medica. Migliore fortuna – forse anche perché i tempi erano mutati – ebbero le pubblicazioni della Scuola Auatoniana: è del 1975 il libro “Principi di Metodologia Clinica” scritto dallo stesso Austoni con la collaborazione di Giovanni Federspil mentre dieci anni dopo, nel 1985, Cesare Scandellari e Giovanni Federspil ottennero la possibilità di esporre all’intera Comunità internistica italiana, riunita a Sorrento per l’86° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, una esauriente relazione sui contenuti e sul significato della Metodologia Medica indicandola come elemento derivato dalla metodologia scientifica ed elemento basilare per la medicina clinica. Veniva così a compiersi il progetto tanto vagheggiato dal prof. Austoni di dare nuova sostanza e più efficacia al modo di fare medicina.

Gli Allievi*

Hanno raggiunto la titolarità di Cattedre di Prima Fascia:

Donato Ziliotto                     Endocrinologia               (attualmente a riposo per limiti di età)

Antonio Girolami                 Medicina Interna             (attualmente a riposo per limiti di età)

Cesare Scandellari             Medicina Interna            (attualmente a riposo per limiti di età)

Giovanni Federspil              Medicina Interna            (deceduto  2010)

Fabrizio Fabris                    Medicina Interna

Franco Mantero                  Endocrinologia

Roberto Vettor                         Medicina Interna

Carlo Foresta                           Endocrinologia

Gian Franco Del Prete               Med. Int e Immunoallergologia      (deceduto  2010)

Corrado Macrì                          Medicina Nucleare                       (deceduto  2008)

 

Hanno raggiunto il Primariato in Ospedali di Provincia:

Pasquale Carenza                  Padova                                      Medicina

Felice Casson                         Chioggia (Ve)                             Medicina

Nicola Conte                           Treviso                                      Medicina

Rodolfo Scarpa                      Chioggia                                    Geriatria

Giorgio Ferlin                          Treviso                                      Medicina Nucleare

 

Gianfranco Bottazzo è stato per alcuni anni Head of Department of Immunology al St. Batholomew’s and the Royal London School of Medicine and Dentistry – London (UK)

Principali linee di ricerca

Linea Internistica: Pasquale Carenza, Felice Casson, Romeo Lazzaretto, Nicola Conte, Rodolfo Scarpa, Maurizio Benato, Sergio De Biasi, Mario Lazzarin, Daniele Fioretti, Marco Zaccaria (Medicina dello Sport), Renato Guido

Linea Metodologica: Cesare Scandellari, Giovanni Federspil

Linea Ematologica: Antonio Girolami, Fabrizio Fabris, Giuseppe Cella, Maria Luigia Randi, Sandra Casonato, Adriano Brunetti, Giovanni Maurizio Patrassi, Nicoletta Borsato, Renzo Dal Bo Zanon

Linea Endocrinologica: Donato Ziliotto, Franco Mantero, Carlo Foresta Benedetto Busnardo, Giuseppe Opocher, Nicola Sicolo, Carla Scaroni, Ismaele Mastrogiacomo, Decio Armanini, Maria Elisa Girelli, Francesco Fallo, Giovanni Luisetto, Guglielmo Bonanni, Francesco Fallo, Marco Rossato, Pietro Maffei, Chiara Martini, Roberto Mioni

Linea Metabolica: Giovanni Federspil, Roberto Vettor, Carlo De Palo, Silvio Dal Fabbro

Linea Immunologica: Gianfranco Bottazzo, Corrado Betterle, Alberto Trisotto, Gian Franco Del Prete, Paola Borini

Linea Medicina Nucleare: Corrado Macrì, Giorgio Ferlin, Franco Bui, Dario Casara, Paolo Ridolfi

Linea Medicina di Laboratorio: Ferdinando Callegari, Giuseppe  Piemonte

*Gli elenchi sono tratti da registri appartenuti all’ex-Istituto di Semeiotica medica ora disattivato. E’ pertanto possibile che contengano qualche lacuna.

La Scuola biochimica bolognese di Giovanni Moruzzi

Giovanni Moruzzi, proveniente da Parma dove si era laureato in Chimica Pura, Farmacia e successivamente in Medicina e Chirurgia, univa le competenze fondamentali e cruciali per fare sorgere la “Biochimica”.

Nato a Parma il 19 novembre 1904 aveva iniziato la sua carriera universitaria nel 1929 come assistente nell’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università di Parma, diretto dal Prof. Camis, dove si occupò dapprima delle proteine vegetali  e successivamente delle vitamine a seguito della sua collaborazione con il premio Nobel  Prof. Richard Kuhn. Fino dal 1934 ebbe l’incarico dell’insegnamento della Chimica Biologica, che mantenne anche negli anni seguenti quando nel 1936 passò come aiuto all’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università di Bologna.

Vincitore del primo concorso bandito in Italia nel 1942 per la Cattedra di  Chimica Biologica, subito chiamato dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia nello stesso anno fondò l’Istituto di Chimica Biologica di Bologna, che diresse ininterrottamente per 36 anni. Tenne anche l’incarico di Chimica Biologica per la Facoltà di Farmacia fino al 1972 e di questa Facoltà fu anche Preside dal 1965 al 1972.

Pur operando in un periodo drammatico per le devastazioni dell’Ateneo Bolognese, con coraggio e determinazione riuscì ad avviare e mantenere viva l’attività scientifica e didattica. Cessato il conflitto, animato da grande volontà e da non comune dedizione si accinse all’opera di costruzione ed espansione  della Scuola di Biochimica dell’Università di Bologna e si può pertanto attribuire al Prof. Moruzzi  il merito di essere uno del ristretto numero di pionieri che hanno gettato le basi della Biochimica Italiana.

Esiste, peraltro,  un evidente parallelismo tra l’evoluzione delle attività di ricerca promosse dal Prof. Moruzzi e lo sviluppo e il consolidamento della Biochimica in Italia. La varietà, originalità e importanza dei filoni di ricerca proposti dal Prof. Moruzzi ai suoi allievi sono stati alla base dell’espansione della Scuola, che ha visto accrescersi gradualmente sia il numero degli allievi dediti alla ricerca ed all’insegnamento in diverse Facoltà di parecchie Università, sia la quantità ed il livello della produzione scientifica.

I primi allievi del Prof. Moruzzi sono stati i Proff. Carlo Alfonso Rossi e Alfredo Rabbi e successivamente Romano Viviani, Mario Marchetti e Claudio Marcello Caldarera,  Edoardo Turchetto per Scienza dell’Alimentazione, Bruno Barbiroli per Biochimica Clinica, Giorgio Lenaz, Carlo Guarnieri per la Facoltà di Medicina e Chirurgia. Da questi sono derivati ulteriori allievi sia nella sede di Bologna che in altre sedi universitarie che procurarono grande sviluppo alla Scuola Bolognese di Giovanni Moruzzi; alcuni di questi allievi sono stati poi richiamati ad implementare la sede bolognese.

Dalla Chimica Biologica della Facoltà Medica di Bologna di Giovanni Moruzzi derivarono: 1) a Bologna l’Istituto di Biochimica della Facoltà di Medicina Veterinaria (Romano Viviani, Anna Rosa Borgatti, Emilio Carpenè), l’Istituto di Biochimica della Facoltà di Farmacia (Carlo Alfonso Rossi, Anna Maria Sechi, Lanfranco Masotti, Laura Landi), la Biochimica di Scienze Biologiche (Giorgio Lenaz, Bruno Andrea Melandri, Rita Casadio), la Chimica della Facoltà di Medicina e Chirurgia (Alessandro Bertoluzza); 2) a Roma la Chimica Biologica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Adriano Castelli); 3) a Parma l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Medicina (Alfredo Rabbi, Claudio Marcello Caldarera, Lanfranco Masotti, Amos Casti, Petronio Pasquali, Carlo Clò, Alberto Spisni, Saverio Bettuzzi), 4) a Modena l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Medicina e Chirurgia (Bruno Barbiroli, Arnaldo Corti, Gabriele Mezzetti, Maria Stella Moruzzi, Maria Giuseppina Monti, Stefano Ferrari), la Biochimica della Facoltà di Scienze dell’Università (Lorenzo Bolognani,  Gian Paolo Rossini), la Biochimica della Facoltà di Scienza della Vita (Michele De Luca), la Biochimica della Facoltà di Agraria (Angela Conte); 5) in Ancona l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Medicina e Chirurgia (Giorgio Lenaz, Enrico Bertoli, Giovanna Curatola, Giulio Magni, Gian Paolo Littarru, Laura Mazzanti), la Chimica Biologica della Facoltà di Agraria (Siverio Ruggeri, Nadia Raffaelli), la Biochimica della Facoltà di Scienze (Fabio Tanfani); 6) a Camerino la Biochimica della Facoltà di Scienze (P. Natalini); 7) a Pisa l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Medicina e Chirurgia (Carlo Alfonso Rossi, Giovanni Ronca, Domenico Segnini, Simonetta Testoni, Antonio Raggi, Maria Ranieri, Riccardo Zucchi), l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Scienze (Pier Luigi Ipata, Umberto Mura), la Chimica Biologica della Facoltà di Farmacia (Antonio Lucacchini, Claudia Martini, Maria Mazzoni), la Chimica Biologica della Facoltà di Medicina Veterinaria di Pisa (Romano Felicioli); 8) a Sassari l’Istituto di Chimica Biologica della Facoltà di Medicina e Chirurgia (Bruna Tadolini, Carlo Ventura, Francesco Sgarrella).

Uomo di grandissima cultura ed amante del bello e dell’arte, era un oratore brillante ed affascinante che riusciva ad entusiasmare e trascinare sia gli allievi che gli studenti. Le sue lezioni, frequentatissime, erano dei momenti che appassionavano gli studenti portandoli ad amare una disciplina di non facile approccio. Queste sue doti erano riverberate nel testo di “Principi di Chimica Biologica”, uno dei primi apparsi in Italia,  che univa la semplicità dell’esposizione e delle illustrazione dei cicli metabolici alla profondità dei concetti, costituendo un testo di riferimento in molte Facoltà mediche italiane. Intere generazioni di studenti e tutti i suoi allievi si sono arricchiti dei principi di Biochimica continuamente dispensati ed aggiornati dal Prof. Moruzzi, che manifestava uno scrupolo estremo nel riportare i risultati della ricerca scientifica internazionale.

Quelli sopra elencati sono i Professori Ordinari della Scuola di Biochimica che perpetuando i principi, i valori, lo stile e le linee di ricerca proposte dal loro Maestro, Giovanni Moruzzi, hanno permesso la crescita e lo sviluppo della Scuola Bolognese nelle varie Facoltà di Bologna e delle altre Sedi come testimoniato anche dalla formazione di numerosissimi Professori Associati e Ricercatori che rappresentano la continuità ed il futuro dell’opera del  Professore Giovanni Moruzzi, riconoscendo in lui il Maestro che unendo alle capacità per la  ricerca quelle di ideazione e progettualità è stato in grado di scoprire talenti, di farli crescere e di valorizzarli.

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La Scuola Biochimica di Giovanni Moruzzi (Disegno di Claudio Casti)