Notizie dall’ANVUR, dal CUN, dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, dal SISMn.77, 2018, pp. 3573-3576

Notiziario – News 

Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca – ANVUR

Il mese di Aprile reca una serie di adempimenti molto importanti agli effetti dell’accreditamento dei Corsi di Dottorato di Ricerca: si ribadisce intanto che, diversamente da quanto poteva sembrare ad una prima disamina della tempistica relativa al riaccreditamento quinquennale dei Dottorati stessi, la scadenza quinquennale non sarà quest’anno ma il prossimo anno. Quindi erano tenuti ad avviare la pratica di accreditamento solo i dottorati di nuova istituzione o quelli che avevano modificato oltre il 20% del Collegio di docenza, o che avevano sostituito il Coordinatore. La chiusura della banca dati è stata spostata al 6 aprile (nella prima versione si diceva che la banca dati sarebbe stata chiusa il 21 marzo) e pertanto ANVUR sarà tenuto a chiudere la propria valutazione entro il 5 maggio. Ricordiamo che esiste la possibilità da parte degli Atenei di presentare le proprie controdeduzioni nelle due settimane successive al giudizio di ANVUR, il che dovrebbe comunque consentire una approvazione finale dell’accreditamento dei Corsi di Dottorato da parte del Consigli Direttivo entro la fine del mese di Maggio .

Il 14 Marzo ultimo scorso si è tenuta una importante riunione dell’Intercollegio dei Professori di Area Medica cui ha partecipato anche il Presidente dell’ANVUR: è stata questa l’occasione per puntualizzare fra l’altro la posizione e l’impegno dell’Agenzia nei confronti di due importantissimi temi quali l’avvio della nuova tornata dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) e soprattutto la revisione, in corso in questi giorni da parte del MIUR, per il tramite dell’Osservatorio Nazionale, del riaccreditamento delle Scuole di Specializzazione di area sanitaria .

A questo proposito si ricorda che non sono previsti cambiamenti nell’ambito dell’Indicatore A di ANVUR e nel contempo si ribadisce che per essere accreditata ogni Scuola deve poter disporre all’interno del proprio Collegio di Docenza di almeno due professori, ordinari o associati dei Settori Scientifico Disciplinari caratterizzanti la disciplina .

Ricordo altresì che solo su questa tipologia di docenti viene calcolato l’Indicatore A di ANVUR che esprime il livello di qualità della ricerca del Collegio di Docenza .

ANVUR ha poi ribadito il proprio ruolo nell’ambito dell’esercizio ASN che consiste nel calcolare i valori soglia, aggiornati alla finestra temporale presa in considerazione, il cui raggiungimento consente la partecipazione al giudizio di idoneità. L’Agenzia si è già attivata attraverso la stipula dei contratti con le due consuete e principali banche dati: Scopus e WoS .

Lo scorso 16 Marzo si è tenuta presso la sede CRUI a Roma il lancio e la prima riunione operativa di APEnet, il network fra gli Atenei e gli Enti Pubblici di Ricerca che opera nel campo delle attività di “Public Engagement”. L’evento è stato co-organizzato con ANVUR. Ricordo che il public engagement, che caratterizza “l’insieme di attività organizzate istituzionalmente dall’ateneo o dalle sue strutture senza scopo di lucro con valore educativo, culturale e di sviluppo della società e rivolte a un pubblico di non specialisti”, fa parte di uno dei due grandi capitoli in cui è suddivisa la Terza Missione delle Università e precisamente quello relativo alla Produzione di Beni Pubblici. Di esso è parte integrante e direi addirittura caratterizzante la Tutela della Salute Pubblica, attività questa che distingue in modo estremamente significativo gli Atenei che fanno formazione medica da tutti gli altri.

Prof. Paolo Miccoli Presidente del Consiglio Direttivo ANVUR

Consiglio Universitario Nazionale Notizie dal CUN

La Sig. Ministra Valeria Fedeli ha inviato alla Presidente del Consiglio Universitario Nazionale una lettera, in data 11/01/2018, con la quale, tenuto conto delle considerazioni in più occasioni svolte dal CUN e dallo stesso Ministero circa la struttura dei settori scientifico-disciplinari e concorsuali e la necessità di una loro drastica semplificazione in ordine alla correlata flessibilità delle Classi di corsi di studio adeguata al contesto internazionale, ha conferito al Consiglio Universitario Nazionale il mandato a elaborare analisi e proposte atte a superare le criticità relative all’offerta formativa per Classi diLaurea e Laurea Magistrale, per come si definiscono a fronte dei mutamenti culturali e professionali intervenuti nei contesti, nonché all’articolazione dell’attuale classificazione dei saperi in direzione di un aggiornamento che la renda meno rigida e più aderente agli sviluppi culturali oltre che funzionale e coerente con gli indirizzi europei. In attuazione del mandato così conferito, la Presidente ha costituito, una Commissione Speciale “Semplificazione e aggiornamento dei saperi”, rappresentativa delle quattordici aree disciplinari CUN, con funzioni istruttorie e di studio in materia di organizzazione dei saperi accademico-disciplinari per le finalità della ricerca e della didattica .

Il 1° febbraio 2018 si è svolto presso la sede del CNR, Piazzale Aldo Moro 7, Roma, il convegno “L’Università forma il futuro. Giornata sulla modernizzazione dell’offerta formativa universitaria”, organizzato dal Consiglio Universitario Nazionale con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e AlmaLaurea. La giornata, aperta dalla Sig. Ministra Valeria Fedeli e introdotta dagli interventi della Presidente CUN, del Presidente CRUI e del Presidente AlmaLaurea, ha visto relazioni e interventi di componenti CUN, CRUI, AlmaLaurea, oltre a una tavola rotonda con esponenti del mondo delle professioni .

Le conclusioni sono state svolte dal Capo Dipartimento per la Formazione e per la Ricerca, Prof. Marco Mancini. I materiali della giornata sono visibili sul sito www.cun.it .

Il CUN, in osservanza del mandato conferito dalla Sig.ra Ministra, in questi mesi ha esaminato tramite l’attività istruttoria svolta congiuntamente dalla Commissione speciale “Semplificazione e aggiornamento della classificazione dei saperi” e dalla Commissione permanente “Politiche per la valutazione, la qualità e l’internazionalizzazione della formazione universitaria”, le criticità proposte dall’attuale sistemazione dei saperi accademici che, in forza di provvedimenti normativi adottati in tempi e per finalità differenti, risulta articolata su quattro livelli: settori scientifico-disciplinari e relative declaratorie; settori concorsuali e relative declaratorie; macro settori; aree disciplinari CUN.

In esito a queste analisi, il CUN ha approvato le prime linee portanti di un nuovo modello che, pur assicurando la sostenibilità del sistema in tutte le sue funzioni, possa risolvere le principali problematiche esistenti .

In merito alla classificazione dei saperi e alla revisione delle classi di laurea e di laurea magistrale nel segno di un aggiornamento e di una internazionalizzazione dell’offerta formativa che possa rispondere alla necessità, fra le altre, di identificare percorsi professionalizzanti per il rilascio di titoli a ciclo breve, il CUN ha rilevato l’opportunità di immaginare nuove classi di laurea e di laurea magistrale .

In particolare, con riferimento alle classi di laurea magistrale, il CUN sta valutando l’opportunità, per quanto riguarda le scienze della vita, di attivare nuove classi dedicate a Data Science, alle Neuroscienze e scienze cognitive. Al contempo, il Consesso ha condiviso la necessità di sottoporre a manutenzione le classi di laurea e di laurea magistrale già presenti in modo da aumentarne la flessibilità, garantendo comunque la possibilità di prosecuzione dell’offerta formativa esistente .

È stato terminato l’esame degli ordinamenti di nuova istituzione ed è in corso l’esame dei Corsi da adeguare .

Prof. Manuela Di Franco, Consigliere CUN Aera 06, Segr. Generale

Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

La riunione di Giunta si è tenuta il 18 dicembre a Bologna. Dopo aver ripreso gli impegni emersi in Assemblea del Meeting della Conferenza Annuale che si era tenuta sempre a Bologna lo scorso settembre, si sono dibattute le linee operative per il 2018. Le elezioni delle cariche della Conferenza si terranno in occasione del Meeting annuale fissato per il 28 e il 29 settembre 2018. Saranno eleggibili i Presidenti/Coordinatori in carica o che sono stati appena eletti e che assumeranno il mandato nell’anno accademico 2018-19. Nel Meeting saranno affrontate, tra le altre, le tematiche inerenti la Medicina di Genere, con una relazione introduttiva sull’argomento anche in accordo alla Legge appena approvata; e quelle relativa alle efficaci strategie di insegnamento pertinenti ai ‘nativi digitali’ al fine di aiutarli ad apprendere in modo significativo .

Conferenza Stato-Regioni, dei Ministeri e del CUN, l’esigenza di rivedere gli attuali piani di studio delle Lauree Magistrali nell’ambito delle regole vigenti; è infatti in fase di definizione da parte di un gruppo di lavoro di una proposta di ‘manutenzione’ delle LM nelle lauree sanitarie capace di valorizzare la flessibilità dei percorsi e le nuove istanze delle professioni e del sistema sanitario .

Rispetto agli importanti risultati della collaborazione ANVUR/CINECA con le Commissioni nazionali di CdS in Fisioterapia, Tecnici di Radiologia ed Infermieristica (> 6,300 studenti) per la realizzazione del TECO D e del TECO T hanno avviato i lavori di adesione al progetto anche le Commissioni di: Igienisti dentali; Tecnici della riabilitazione psichiatrica; Tecnico Ortopedico; Dietisti; Terapisti psicomotricità; Ostetrica/o; e Logopedia. La partecipazione degli studenti avverrà dopo approvazione del progetto ‘TECO D & T’ da parte degli organi collegiali di ciascun Ateneo .

Infine, su invito della dr. Rossana Ugenti, Direttrice generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane del Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Sanità, la Conferenza ha partecipato ai lavoro della 6th and 7th of February 2018, “Planning for Health Professions: How to act on skills needs in Brussels”. Il progetto vuole iniziare a riflettere non solo sulla quantità di professionisti ma anche sulle competenze che un paese dovrebbe possedere nella sua health-care work-force per sviluppare un sistema coerente e bilanciato. Nelle diverse relazioni è stata scelta come emblematica la competenza relazionale di cui vi è un importante bisogno di accrescimento non solo nelle metodologie didattiche, ma anche nella possibilità concreta di applicare queste competenze nella pratica considerato che gli ambienti organizzativi difficili determinano questa competenza tra quelle più missed. Sempre su invito della dott.ssa Ugenti, la Conferenza ha partecipato moderando una sessione al meeting internazionale “Investimenti nel settore Salute e Invecchiamento, Fondi europei e Risorse Umane: la prospettiva post 2020”, che ci si è tenuto il 18 e 19 gennaio presso il Ministero della salute. Il 44% dei cittadini europei ha competenze digitali insufficienti e, tra questi, anche gli operatori sanitari; a tal proposito la Commissione EU ha deciso di formare 2 milioni di persone entro il 2020 modernizzando anche la formazione di base e continua per accrescere non solo competenze tecniche ma anche di e-leadership .

Alvisa Palese Segretario Generale

Segretariato Italiano Studenti in Medicina – SISM

L’Emergency Medicine Simulation Seminary è una winter school in Medicina di Emergenza ideata e organizzata dalla Sede Locale di Genova del SISM, la cui prima edizione si è tenuta dal 22 al 26 gennaio 2018 presso il centro di Simulazione Avanzata in Medicina (SimAv) dell’Università degli Studi di Genova .

L’evento, patrocinato dall’Università di Genova, dalla SSMeF, SIPeM e SIMMED, è stato improntato all’internazionalità; ben 15 dei 26 partecipanti provenivano da: UK, USA, Honduras, Slovacchia, Ungheria, Siria, India, Turchia e Bulgaria, tutti afferenti agli ultimi tre anni del corso di studi; il seminario si è pertanto tenuto in lingua inglese, con l’ausilio di studenti madrelingua laddove necessario .

Le attività si sono svolte in contesti di macro e micro simulazione, con un’agenda costruita intorno alle principali skills di Medicina d’Emergenza necessarie ad un futuro medico: in particolare i partecipanti si sono cimentati in laboratori hands-on dedicati all’acquisizione di competenze specifiche in suture, drenaggio di ascessi, intubazione tracheale, accessi vascolari centrali e periferici e misurazione della PVC, drenaggio toracico, detensione di PNX e realizzazione di medicazioni semplici e avanzate per il trattamento di ulcere e ustioni .

La maggior parte del seminario è stata incentrata sulle tecniche di ALS, con particolare attenzione al Crisis Resource Management che ne ha costituito la peculiarità. Abbiamo inoltre deciso, data l’importanza sempre maggiore che rivestono, di dedicare una porzione di agenda all’utilizzo di tecniche ecografiche: non limitandoci all’uso della FAST, ma approfondendo il campo dell’US polmonare grazie all’intervento di un formatore internazionale di grande esperienza .

Il SISM ha attivamente contribuito a questa foltissima agenda con un training in “Bleeding Control”, tenuto da Soci formatori dell’American College of Surgeons, e con la sessione di Medicina dei Disastri, da anni fiore all’occhiello della nostra associazione, che anche in questo contesto ha saputo distinguersi per la sua qualità ed efficacia .

L’organizzazione di questo evento ha permesso di andare oltre le diverse esperienze delle parti coinvolte: in particolare l’abilità del SISM ha permesso un’efficace gestione logistica dei partecipanti e la possibilità di mettere in gioco le proprie competenze didattiche, realizzando sessioni di peer education di cui il training in “Bleeding Control” e la Medicina dei Disastri costituiscono un chiaro esempio .

L’esperienza dei docenti del SimAv ha permesso, nonostante le difficoltà di una didattica in lingua, che studenti provenienti da contesti e culture mediche differenti e con un livello di preparazione spesso non confrontabile riuscissero ad approcciarsi con successo a così numerose e variegate attività favorendo il confronto e la condivisione continua tra i partecipanti .

Il riscontro è stato eccellente da parte di tutti i partecipanti, con una valutazione di 4,6/5 e nessuna valutazione inferiore a 4/5; è stata inoltre effettuata la valutazione delle singole attività didattiche mediante l’utilizzo del Maastrict CTQ per rendere solidi e oggettivi i dati raccolti .

Felicitandoci per il successo di quello che ha costituito il primo tentativo Italiano di organizzare una scuola internazionale in ambito medico da parte di studenti ci auspichiamo che l’iniziativa possa essere mantenuta e sviluppata negli anni a venire .

Dott. Andrea Calandrino, Presidente EMSS
Dott.Alessio Riitano, Vice-Presidente EMSS Segretariato Italiano Studenti in Medicina – SISM

Il Pennsylvania Hospital, un ospedale dei primati nella culla degli Stati Uniti d’American.77, 2018, pp.3470-3472, DOI: 10.4487/medchir2018-77-4

Articolo

Filadelfia non rientra probabilmente tra le prime mete nordamericane per un turista europeo, ma quando si ha l’occasione di visitarla si ha subito la consapevolezza di essere giunti nella culla degli Stati Uniti. Durante l’immancabile visita alla Independence Hall, si entra finalmente nella celebre sala – esattamente arredata come allora – dove fu discussa e firmata la Dichiarazione d’Indipendenza del 4 luglio 1776. A questo punto è probabile che il Ranger in divisa che accompagna i visitatori vi faccia notare l’unica seggiola che non sta dietro ma a fianco di uno dei tavolini che erano destinati ai delegati delle tredici Colonie americane: è la sedia di Benjamin Franklin (1706-1790) che, a causa della gotta, aveva bisogno di uno spazio maggiore per il suo piede dolorante .

Anche se tutti conosciamo, più o meno, la poliedricità di quel genio indiscusso che fu Franklin – tipografo e giornalista, imprenditore edile e politico, scienziato e inventore… – non è altrettanto noto il ruolo decisivo che egli giocò anche nella storia della medicina e della sanità americane. Nel 1751, infatti, assieme al medico Thomas Bond (1712- 1784) Franklin diede vita al primo ospedale degli Stati Uniti, una istituzione destinata ad accumulare primati nei decenni e nei secoli successivi: il Pennsylvania Hospital .

Thomas Bond si era formato come medico in Inghilterra dove era venuto a contatto con un nuovo tipo di istituzioni ospedaliere, i voluntary hospitals, che venivano fondati a quel tempo in diverse città grazie al contributo volontario di un certo numero di benefattori per garantire un’assistenza sanitaria di qualità accettabile anche ai cittadini più poveri .

Rientrato a Philadelphia, Bond cominciò ad accarezzare e a diffondere il sogno di poter dare vita a qualcosa di simile anche nella capitale della Pennsylvania .

Inizialmente Bond pensava che quel progetto fosse troppo lontano dagli interessi del suo amico Franklin, già a quel tempo uno degli uomini più influenti della città, per poterlo coinvolgere direttamente. Ma appena gliene parlò questi gli offrì il suo sostegno incondizionato e, grazie al suo prestigio e capacità oratoria, il progetto del nuovo ospedale prese ben presto concretezza. Nella sua autobiografia Franklin scriverà: “Il Dottor Thomas Bond, un mio caro amico, concepì l’idea di stabilire un ospedale a Filadelfia destinato ad accogliere e a curare le persone povere… un progetto davvero benefico, il cui merito mi è stato spesso attribuito ma che si deve realmente a lui” .

In ogni caso, Franklin non fu solo tra i promotori dell’Ospedale ma ne divenne anche il primo amministratore e “storico”, nonché ideatore del suo celebre logo dedicato alla figura del Buon Samaritano .

Un’istituzione nata dalla mente e dal cuore di un uomo geniale come Benjamin Franklin – a Filadelfia è stato da poco inaugurato un bel museo dedicato a questa figura che verrebbe quasi da definire “leonardesca” – non poteva rimanere un ospedale come tutti gli altri. E infatti il Pennsylvania Hospital, ancora oggi una istituzione sanitaria all’avanguardia in molti settori, vede la sua storia secolare costellata di numerosi e notevoli primati .

Il Pennsylvania Hospital, oltre ad ospitare la più antica biblioteca medica (1762) e il primo reparto di ostetricia (1803) degli Stati Uniti, vide al lavoro il primo farmacista ospedaliero, una certo Jonathan Roberts (1752), e formò il primo resident statunitense .

Dal 1773, infatti, il sedicenne Jacob Ehrenzeller Jr., con l’impegno di non fornicare, comprare o vendere alcunché, giocare a carte o scappare, poté vivere nell’ospedale assistendo alle lezioni di medicina e alle operazioni chirurgiche, mentre il farmacista doveva “istruirlo accuratamente nella Medicina e nella Chirurgia” .

A proposito di chirurgia, ancora oggi nell’edificio settecentesco dell’ospedale si può visitare il più antico teatro operatorio degli Stati Uniti. Il bell’anfiteatro in legno, di forma circolare e con una balconata per il pubblico, funzionò dal 1804 al 1868: la maggior parte delle operazioni chirurgiche che vi si svolsero risalgono dunque all’era pre-anestetica e la totalità di esse a quella pre-antisettica. Non ci si stupisce quindi di scoprire che quella sala fosse popolarmente chiamata, per decenni, “the dreaded circular room” (la spaventosa sala circolare) .

Uno dei principali attori che calcarono a lungo la scena di quel teatro fu Philip Syng Physick (1768- 1837), ricordato spesso come il “padre della chirurgia americana”. Fu proprio Physick, per esempio, a rimuovere nel 1805 un tumore del peso di oltre tre chilogrammi che si può ancora oggi ammirare nella collezione storica dell’ospedale .

Decisamente meno precoce e più complicato fu l’ingresso nel Pennsylvania Hospital di personale femminile qualificato. Solo nel 1869 le studentesse di medicina furono ammesse a frequentare l’ospedale assieme ai loro colleghi maschi, benché a Filadelfia ci fosse un College per donne medico fin dal 1850. Il celebre chirurgo David Hayes Agnew rimase anche allora così contrario alle donne medico da rifiutare a lungo di essere nominato chirurgo al Pennsylvania Hospital. Solo alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento, poi, iniziò una vera scuola per infermiere secondo il modello stabilito, ormai quasi vent’anni prima, da Florence Nightingale .

Invece, uno dei principali titoli d’onore del Pennsylvania Hospital è sicuramente quello di avere dato origine alla psichiatria americana grazie all’opera di un altro firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza, il medico e riformatore Benjamin Rush (1746- 1813). L’accoglienza dei malati di mente era stata fin dall’inizio una delle priorità dei fondatori dell’ospedale e i “lunatici” ivi accolti rappresentarono fin dall’inizio una percentuale molto significativa sul totale dei ricoverati. All’inizio, però, il Pennsylvania Hospital non si distingueva molto in questo ambito dalle coeve istituzioni europee: i malati, soprattutto quelli più agitati e violenti, erano rinchiusi in vere e proprie celle e non di rado si ricorreva a metodi fisici di contenzione quali catene, ceppi e camicie di forza. Oggi rimaniamo abbastanza turbati nello scoprire che chi, nel 1763, voleva andare a “vedere i matti” doveva pagare un biglietto d’ingresso! Benjamin Rush cominciò a lavorare nell’ospedale nel 1783 e oggi viene abitualmente considerato uno dei padri della psichiatria moderna, nonché uno dei promotori di un metodo più umano di cura dei malati di mente. A dire il vero, la sua famosa “sedia tranquillante”, alla quale il malato veniva legato mentre la testa era rinchiusa in una scatola di legno allo scopo di ridurne i movimenti, il flusso sanguigno e quindi l’agitazione, non ci sembra un grande passo in avanti. Ma sicuramente i suoi tentativi in quella che oggi chiameremmo “terapia occupazionale” dimostrano perlomeno una maggior considerazione per l’umanità del malato di mente. Il suo Observations and Inquiries Upon the Diseases of the Mind (1812), primo trattato di psichiatria pubblicato negli Stati Uniti, testimonia bene le contraddizioni di quella nascente psichiatria, ancora rozza e sostanzialmente impotente, ancorché ben intenzionata e mossa da sentimenti umanitari… Curiosamente, i quattro principali protagonisti della storia del Pennsylvania Hospital – Benjamin Franklin, Thomas Bond, Philip Syng Physick e Benjamin Rush – sono tutti sepolti, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, nel piccolo cimitero della Christ Church, nella parte antica di Filadelfia, a poche centinaia di metri dalla Independence Hall e dal Museo dedicato a Franklin. Fare una visita al Christ Church Burial Ground non è solo un’occasione per rivivere le origini della medicina e della chirurgia americane. È anche l’occasione per scoprire il senso dell’umorismo e, al tempo stesso, la profonda spiritualità di Benjamin Franklin che, sia detto tra parentesi, è anche l’inventore delle lenti bifocali… Di fianco alla sua semplicissima tomba su cui sono incisi solo i nomi suo e della moglie, è stato trascritto su una targa d’ottone l’epitaffio che Franklin – tipografo, rilegatore e bibliofilo – scrisse per se stesso quando era ancora giovane: “Il corpo di B.Franklin, tipografo, come la copertina di un vecchio libro, il contenuto tutto strappato, titoli e dorature ormai perdute, qui giace, cibo per i vermi .

Ma l’opera non è perduta per sempre, dato che egli crede che essa apparirà di nuovo, in una nuova ed elegante edizione, riveduta e corretta dal suo Autore” .

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Bibliografia

Carl Binger, Revolutionary Doctor. Benjamin Rush (1746- 1813), Norton, New York 1966, pp. 366.

Benjamin Franklin, Autobiography. Edited from his manuscript, with notes and an introduction by John Bigelow, Lippincott, Philadelphia 1869, pp. 409.

Benjamin Franklin, Some Account of the PennsylvaniaHospital, from its first rise to the beginning of the Fifth Month, called May, 1754, Printed at the Office of the Unites States’ Gazette, Philadelphia 1817, pp. 145.

Kristen A. Graham, A History of the Pennsylvania Hospital, The History Press, Charleston-London 2008, pp .128.

Walter Isaacson, Benjamin Franklin. An American Life, Simon & Schuster, New York 2003, pp. 586

Cita questo articolo

Borghi L., Il Pennsylvania Hospital, un ospedale dei primati nella culla degli Stati Uniti d’America, Medicina e Chirurgia, 77: 3470-3472, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-77-4

Medicina di genere: un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di basen.77, 2018, pp.3466-3569, DOI: 10.4487/medchir2018-77-3

Abstract

L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che “il genere” rappresenta la parola chiave per la salute pubblica in termini di miglioramento degli approcci diagnostici e terapeutici disegnati sulla persona.

Le variabili genere-specifiche, che includono ovviamente anche il sesso, dovrebbero essere inserite nei modelli di prevenzione e cura. Questo ha portato, fin dal 2007, l’inserimento di percorsi specifici orientati al genere in molti corsi di laurea. Inoltre, nel 2016 la Conferenza Permanete dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia ha indicato, attraverso una Mozione firmata dal Presidente, la necessità di integrare il “core curriculum” dei Corsi di Laurea in Medicina Italiana con una declinazione dedicata al genere. L’Università di Ferrara e l’Azienda USL di Ferrara hanno creato “un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di base” che contiene 7 aeree tematiche ricche di documenti e bibliografia, che possono essere utili come supporto ai Professori Universitari per la implementazione dei loro corsi con integrazioni di medicina di genere. Questo ambiente online sarà fruibile e ottimizzabile dai membri della Conferenza utilizzando credenziali dedicate che verranno inviate dopo validazione del gruppo di lavoro dedicato

Parole chiave: Medicina di Genere, aggiornamenti online

Summary The WHO affirmed that gender is the main driver for health to develop diversified therapeutic approaches, and the need to adopt “gender policies” useful for remedying health inequalities due to sex-gender specifity and since year 2007 the gender sensitive perspective is placed among the training objectives in many degree program as Medicine and Surgery. In the 2016 during the #124 Italian Permanent Council of the Deans of Medical Curricula the President signed a Motion which recommend integrating and developing Gender Medicine educational activities in all Italian curricula in Medicine and Surgery In support of this important new decision, an updating/ training tool has been set up “Elements of Gender Medicine – A structured environment of online documentation accessible at a distance – Advanced level for University Professors” organized in seven thematic areas accompanied by an updated bibliography. This online structured environment is a fully managed area for each Degree Program concerned with links and related credentials provided by the Conference to each Educational Dean of the Degree Course in Medicine and Surgery .

Key Words: Gender Medicine, updates online

Articolo

Introduzione

L’orientamento da parte della medicina a considerare importanti gli aspetti sessuali (biologici anatomici, funzionali) e di genere, fattore che attiene alla percezione della propria identità sessuale, del ruolo che si riveste nella società in quanto donna, uomo, o altro, parte dagli anni Settanta del secolo scorso, sullo stimolo dei movimenti femministi che individuavano nella pratica medica discriminazioni basate sul sesso. Questo nuovo orientamento, che offre un nuovo sguardo attento alle differenze umane, ha visto dapprima un’attenzione specifica per la salute della donna, in particolare quella sessuale – riproduttiva, poi, nel considerare tutto il corpo, un’analisi delle differenze tra il corpo dell’uomo e quello della donna che sta arricchendosi di sempre nuove importanti conoscenze, tendenti all’appropriatezza e personalizzazione della cura .

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma da tempo, e con convinzione, la necessità di adottare “politiche di genere” utili a rimediare le disuguaglianze di salute dovute al sesso-genere .

E’ del 2007 il documento del Dipartimento Gender, Women and Health dell’OMS “Integrating gender into the curricula for health professionals” nel quale, per la prima volta, viene messo in luce in modo dettagliato come la chiave per raggiungere l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze di salute dovute al sesso-genere, consista nel rendere le considerazioni e conoscenze riguardanti il genere, parte integrante dei programmi di formazione degli operatori sanitari pre – servizio, cioè prima che inizino a lavorare, quindi durante il percorso universitario, in particolare degli studenti di medicina, infermieristica e ostetricia. Nelle poche iniziative in Australia e Nord America si erano riscontrate resistenze da parte delle istituzioni e difficoltà nel coinvolgere i docenti, in particolare, gli uomini .

Un altro ostacolo era ravvisato dalla poca condivisione e aggiornamento sulle questioni di differenze sesso genere come sui dati di ricerca gender-oriented, aspetti necessari per insegnare genere e salute, in ottica evidence-based .

La medicina di genere in Italia

Nel 1998 parte il progetto ministeriale “Una salute a misura di donna” i cui risultati confermavano una disattenzione e sottovalutazioni dei problemi di salute delle donne. Nel 2005 Ministero, Istituto Superiore di Sanità, AIFA e AgeNaS pubblicano le prime linee guida sulle sperimentazioni cliniche e farmacologiche con un approccio di genere. Nel 2007 escono i primi bandi della Ricerca Finalizzata sulla medicina di genere. L’anno successivo il Comitato Nazionale per la Bioetica pubblica il rapporto “La Sperimentazione farmacologica sulle Donne” e parte il Progetto “La medicina di genere come Obiettivo strategico per la Sanità pubblica: l‘appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna”. E’ del 2009 il primo Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere, a Padova (nel 2017 arrivato alla quarta edizione). Nel 2008 viene istituto il Centro Di Ricerca per la Valutazione della Qualità in Medicina e Medicina di Genere dell’Università di Roma “La Sapienza. Nel 2017 nasce il “Centro nazionale di riferimento per la medicina di genere” dell’Istituto Superiore di Sanità,” e a gennaio 2018 il Centro Universitario di studi sulla Medicina di Genere a Ferrara .

L’esempio della Medical University di Innsbruck

L’integrazione della medicina di genere nel curriculum medico nella Medical University di Innsbruck (Austria) ci fornisce un decennale esempio europeo (Hochleitner et al., 2013) che ha preso le mosse da due considerazioni: 1) le politiche di gender mainstreaming (attenzione al genere in ogni aspetto della vita) derivate dal Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, che, oltre a fornire le indicazioni necessarie a promuovere la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali delle organizzazioni e negli ambiti della ricerca, sono state interpretate come utile riferimento normativo per introdurre la medicina di genere nella formazione; 2) le indicazioni metodologiche di Elisabeth Tisdell (1995) per la costruzione di curricula inclusivi e gli esempi da lei riportati, che possono sembrare un po’ datati poiché riferiti a come ricomprendere la teoria e pedagogia “femminista” nell’insegnamento agli adulti, ma che hanno il pregio di sottolineare come puntare l’attenzione sul sesso e genere ed includerne contenuti ed espressioni in un percorso formativo di persone adulte, significhi mettere in discussione modelli di pensiero tradizionali, più o meno consolidati, spesso difficilmente ri-orientabili. Solo quando la medicina di genere è stata implementata nel curriculum, come obbligatoria, è diventata aspetto strutturale. Se anche si parte da una prospettiva di materia proposta in lezioni interdisciplinari, occorre aver chiaro l’obiettivo e cioè che applicare la medicina di genere al curriculum universitario significa esaminare ogni progetto di ricerca, ogni trattamento medico e ogni nuovo sviluppo per le sue conseguenze per donne e uomini e farla diventare una parte pratica dell’istruzione medica .

La medicina di genere nelle Università Italiane

Nel Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca del 4 ottobre 2000 la prospettiva gender sensitive è posta tra gli obiettivi formativi in sei classi di corso di laurea triennale (tra cui scienze delle attività motorie e sportive) su ventisei e in undici classi di laurea magistrale (tra cui medicina e chirurgia e la Magistrale di Scienze delle attività motorie) su cinquantadue .

Nel 2013 all’interno del Convegno nazionale “Genere, sociologia e Università” promosso dall’Università di Roma Tre è stata presentata la ricerca “La formazione universitaria e post-universitaria gender sensitive in Italia”. Dai dati riferiti all’anno accademico 2011-12, su un campione di 57 Atenei pubblici, è stato rilevato che solo 16 Atenei avevano attivato qualche Corso “sul genere”, il 20% dei quali nell’area della medicina. Sono poi nati alcuni insegnamenti facoltativi: dopo il corso in Medicina di genere dell’Università di Padova avviato dall’a.a. 2013-14 (organizzata a seminari interdisciplinari), viene avviata quello di Siena dall’a.a. 2014-15, mentre l’Università di Ferrara approva un insegnamento specifico a partire dall’a.a .

2015-16. In questi anni si stanno attivando vari centri di ricerca sul genere, anche declinati alla salute e alla sanità (citiamo gli esempi di Milano, Bologna, Trento, Sassari, Foggia, Pavia, Napoli e Bari) .

Mentre a gennaio 2018 l’Università di Ferrara ha fatto nascere il primo Centro Universitario denominato “Centro Studi di Medicina di Genere” finanziato dal MIUR e in convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità Nel dicembre 2016 a Roma, in occasione della 124a Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina il Presidente Prof .

Andrea Lenzi ha proposto una Mozione approvata da tutti i CdS di Medicina Italiani per l’inserimento nel Core Curriculum del tema trasversale della Medicina di Genere, che, su indicazione di un gruppo di lavoro (Bellini et al., 2017) ha visto l’aggiornamento dell’offerta formativa inserendo obiettivi specifici riguardanti l’attenzione al sesso/genere nella Scheda Unica Annuale del CdS e all’interno dei programmi di almeno un insegnamento per anno di corso nella maggioranza dei CdS di Medicina e Chirurgia Italiani .

Questo nell’intento di formare futuri medici con un insieme di conoscenze omogene e strutturate nel percorso di formazione .

Un ambiente strutturato di documentazione per condividere conoscenze di base

A supporto di questa importante nuova decisione, si è allestito uno strumento di aggiornamento/formazione “Elementi di Medicina di Genere – Ambiente strutturato di documentazione online fruibile a distanza –– Livello avanzato per Docenti Universitari” .

Si tratta di quello che in termini informatici viene definito repository, organizzato in sette aree tematiche corredate da una bibliografia aggiornata a disposizione .

Un primo paragrafo tratta il significato dei termini sesso e genere, approfondendo sia le caratteristiche anatomo-biologiche-fisiologiche, sia ciò che attiene agli aspetti di vissuti psicologici, di relazione, di ruolo sociale che le persone vivono in quanto sessualmente caratterizzate come maschio o femmina. Prendendo spunto da un articolo della cardiologa americana Marianne Legato del 2011 nel quale viene anche introdotta la tematica delle identità sessuali e di genere “altre” oltre alla definizione binaria di maschio e femmina, viene sviluppato il concetto di human continuuum e si afferma il fatto che se parliamo di medicina “di genere” occorrerà ricomprendere anche le identità sessuali e di genere ascrivibile ai profili gay, lesbiche, bisessuali, transgender, etc. LGBT. Tra gli allegati si trova il Quaderno 26/16 del Ministero della Salute dal titolo “Il genere come determinante di salute. Lo sviluppo della medicina di genere per garantire equità e appropriatezza della cura” che può chiarire diversi snodi clinici. Un approfondimento sui ruoli sociali maschio e femmina di Brigitte Nielsen Docente di sociologia alla Johannes Gutenberg – Universität di Mainz, Germania, testimonia l’elaborazione che le scienze sociali hanno fatto della materia in questi decenni. Due articoli introducono ai temi della violenza di genere, senza velleità esaustive, ma con l’intento a confermare che il tema rientra a pieno titolo nella trattazione della medicina di genere .

Il secondo paragrafo contiene descrizioni di come la medicina, che dagli anni Settanta del secolo scorso, dopo secoli di interpretazione della donna come “piccolo uomo”, abbia progressivamente maturato un’attenzione alla salute e al corpo delle donne che supera le tradizionali aree legate alla riproduzione (apparato sessuale e seni), per considerare ogni parte del corpo, con l’intento di analizzare le caratteristiche dell’uomo e della donna ed effettuare una comparazione che consenta di apprezzare somiglianze e differenze. Alcune definizioni della medicina di genere e un commento di Nicla Vassallo, Docente di Filosofia Teoretica all’Università di Genova, anticipano la definizione e l’articolo originale che molti considerano il documento fondativo della medicina di genere, di Bernardine Healy, cardiologa, prima Direttrice dei NIH americani, sulla “Yentl Syndrome” a commento del sistematico sotto-trattamento delle patologie cardiovascolari nelle donne. “Why sex really matters” è la conversazione di David Page, Docente e Ricercatore Biologo, Direttore del Whitehead Institute del MIT, che studia le differenze genetiche tra uomo e donna ed afferma l’inevitabile urgenza di trattare gli aspetti legati al sesso in relazione con le malattie .

Basi cliniche della medicina di genere

Il terzo paragrafo dell’ambiente strutturato di documentazione, rappresenta, attraverso lavori di ricerca considerati precursori di tutte le successive trattazioni, una esaustiva rassegna di madri e padri fondatrici e fondatori di questo filone di pratica. Così si avvicendano scritti delle americane Marianne Legato, cardiologa di fama internazionale, già Docente alla Columbia University, Londa Schiebinger Docente di Storia delle scienza alla Standford University, Virginia Miller, Direttrice di ricerca Specialized Center for gender differences, Mayo Clinic, di Vera Regitz-Zagrosek autorevole cardiologa dell’ Università Charitè di Berlino, di Marek Glezerman, Past President dell’International Society of Gender Medicine e degli italiani Andrea Lenzi, Docente di Endocrinologia Direttore della sezione di Fisiopatologia medica ed Endocrinologia del dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università di Roma; Flavia Franconi, già Docente e Ricercatrice di Farmacologia Molecolare, Università di Sassari e di Giovannella Baggio dell’Università di Padova .

Il report “Gender in health” dell’EU riassume, in visione europea, i temi delle differenze di salute uomo- donna, delle diseguaglianze nell’accesso ai servizi, con una prima breve introduzione al tema della formazione attenta al genere che viene poi ripreso e sviluppato nel quinto paragrafo .

Il quarto paragrafo parte con la ricerca preclinica ed i lavori di Walter Malorni, Alessandra Carè e i gruppi di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, quindi studi che trattano di come applicare principi-guida per una biomedicina attenta alle differenze sessuali, di come incrementare il numero di donne nei trials clinici e farmacologici e della posizione dei NIH americani sulla metodologia di ricerca. Offre una carrellata di testimonianze di applicazioni pratiche della medicina orientata e attenta alle differenze sessuali e di genere .

Viene quindi offerta una carrellata di testimonianze di applicazione: cardiologia (Patrizia Presbitero-Humanitas Milano; Giorgio Noera–Villa Maria Cecilia- Cotignola (RA) – Regione Emilia Romagna; Marcello Galvani Azienda Ospedaliera della Romagna; Biagio Sassone, Azienda Sanitaria Locale di Ferrara); cronobiologia (Roberto Manfredini, Università di Ferrara); diabetologia (Annali AMD; Valeria Manicardi, Aziensda Sanitaria Locale di Reggio Emilia); epatologia (Erica Villa, Università do Modena e Reggio Emilia); farmacologia (AIFA, Flavia Franconi, Università di Sassari; Katia Varani, Università di Ferrara); medicina generale (Raffaella Michieli, SIMMG nazionale); sicurezza sul lavoro con gli atti di un convegno tenuto a Piacenza. Una sezione specifica approfondisce statement e linee guida, trattando sia della prevenzione dello stroke, dell’analisi del trattamento dell’infarto nelle donne, ma anche gli aspetti metodologici utili a costruire linee guida gender oriented .

Formare all’orientamento al genere in medicina

Il quinto paragrafo dell’ambiente strutturato di documentazione, è dedicato ai temi legati alla formazione al genere e l’inserimento di questo orientamento nel curriculum formativo dei professionisti della salute .

Dopo un pamphlet dell’OMS con precise indicazioni, si analizza l’esperienza decennale dell’Università di Innsbruck. L’editoriale di Andrea lenzi e l’approfondimento di Tiziana Bellini, Università di Ferrara e Stefania Basili, Università La Sapienza di Roma ed i rispettivi gruppi di ricerca, descrivono le considerazioni che hanno rappresentato il “motore” della costruzione di “Elementi di Medicina di Genere – Ambiente strutturato di documentazione online fruibile a distanza –– Livello avanzato per Docenti Universitari”, auspicando di poter condividere linguaggio e conoscenza comune a tutte le Facoltà di Medicina italiane. Infine, una ricerca su studenti di medicina delle Università inglesi, ci ricorda l’opportunità di inserire fin da subito nella programmazione didattica le tematiche e la conoscenza del rapporto salute e mondo LGBT .

Un ultimo paragrafo tratta della parte normativa legata alla medicina di genere, presentando sia il testo della Proposta di legge sulla medicina di genere che la sua sintesi, l’articolo 3 del cosiddetto DDL Lorenzin, approvato nel dicembre 2017, quindi operativo e l’articolo che comprende anche la parte della Formazione.

L’ambiente strutturato “a misura” di ogni Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia

L’ambiente strutturato di documentazione si presenta poi come strumento aperto e in divenire nella sua completezza, aperto alle eventuali integrazioni e suggerimenti che si intendano utili .

Le proposte da parte dei vari Presidenti di Medicina per quello che definiamo “parte generale”, andranno indirizzate a presidenti.medicina@gmail.com per il vaglio della Conferenza Permanente dei presidenti di Corso di laurea in Medicina e Chirurgia .

La piattaforma poi consente ad ogni Università di ritagliare una “area personalizzata” che una volta approvata dalla Conferenza può essere condivisa da tutti i CdS di Medicina Italiani o restare in alternativa un bagaglio del singolo CdS .

Questo ambiente di documentazione on line è un’area a piena gestione di ogni Corso di Laurea interessato con link e relative credenziali dedicate. Questi link con user e password (forniti gratuitamente dal centro Se@ dell’Università di Ferrara) verranno inviati dalla Conferenza ad ogni Presidente dopo la validazione del Gruppo di Lavoro dedicato della Conferenza .

(Per ulteriori informazioni contattare: sgnflv@unife.it, blt@unife.it)

Bibliografia

Bellini T., Raparelli V., Moncharmont B., Basili S., Lenzi A. Una proposta per la formazione degli studenti di Medicina e Chirurgia alla Medicina di Genere. Med. Chir .73. 3310-3314, 2017.

Hochleitner M. Nachtschatt U. Siller H. How Do We Get Gender Medicine Into Medical Education? Health Care for Women International 2013, 34:3–13

Signani F. Medicina di genere: a che punto è l’Italia? Ital J Gender-Specifi c Med 2015; 1(2): 73-77.

Tisdell, E. J. (1995). Creating inclusive adult learning environments: Insights from multicultural education and feminist pedagogy. Washington, DC: ERIC Clearinghouse on Adult, Career, and Vocational Education, Ohio State University. Report no. 361:1 – 122

World Health Organization (2007) Integrating gender into the curricula for health professionals. Meeting report . Department of Gender, Women and Health (GWH), Geneva, Switzerland

Cita questo articolo

Signani F., Basili S., Bellini T., Medicina di genere: un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di base, Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 77: 3566-3469, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-77-3

I test con risposte a scelta multipla nel percorso formativo del medicon.77, 2018, pp.3451-3465, DOI: 10.4487/medchir2018-77-2

Articolo

Premessa e descrizione della situazione di contesto

I test con risposte a scelta multipla (Multiple choice question, MCQ) sono uno strumento di verifica dell’apprendimento e/o delle conoscenze che il futuro medico incontra in varie occasioni durante il suo percorso formativo. Sebbene non sia l’unica tipologia di verifica a cui il nostro studente viene sottoposto nel corso degli studi, questa è al giorno d’oggi sempre più utilizzata con differenti finalità: test di ammissione al corso, prove di autovalutazione intercorso, prove di esame di profitto, progress test, esame di abilitazione alla professione, prova di ammissione alle scuole di specializzazione. Un corretto allestimento di questo tipo di test ne può consentire l’utilizzo sia per la verifica dell’acquisizione di competenze conoscitive che di competenze interpretative e di competenze cliniche, anche se esso non si presta per la valutazione di altre tipologie di apprendimento quali ad esempio le cosiddette competenze trasversali (Descrittori di Dublino 3, 4 e 5) .

La versatilità dello strumento e la obiettività del risultato hanno favorito l’utilizzo dei MCQ in prove con finalità aggiuntive alla semplice valutazione del grado di raggiungimento di obiettivi formativi. Questa è il tipo di finalità di una prova costituita da una batteria di MCQ utilizzata in prove di autovalutazione in itinere o in esami finali di un corso o di un insegnamento e viene in genere corredata da una metrica (assoluta o relativa) correlabile al grado di raggiungimento degli obiettivi. Nel caso degli esami di profitto questo tipo di prova ha una valenza certificativa e non è strumento di valutazione comparativa tra probandi; nel caso del Progress test consente addirittura una valutazione longitudinale negli anni dello studente o della coorte .

Diverso è invece l’uso che si fa di una batteria di MCQ in un test di selezione, dove alla misura del risultato è richiesta una capacità discriminatoria tra candidati per un corretto posizionamento in una graduatoria .

Diverso ancora è l’uso dei MCQ in una prova di abilitazione, in cui è chiesto ai candidati l’individuazione della risposta esatta in un predeterminato numero di quesiti della batteria (cut-off). Appare quindi evidente che un utilizzo corretto di questo strumento di valutazione non può prescindere da una analisi preventiva delle caratteristiche di difficoltà e di discriminazione di ciascun quesito e del loro effetto combinato nella batteria di quesiti utilizzati, in funzione della tipologia di utilizzo che ne viene fatto. Non ultimo, a quest’analisi va attentamente definita ed agganciata la correlazione tra risultato del test ed esito della prova .

La scelta di uno strumento di rilevazione dipende in larga misura dagli obiettivi che abbiamo intenzione di raggiungere: gli obiettivi, assieme al contesto in cui si svolgerà la prova ed al tipo di interazione che si stabilisce tra chi eroga la prova e chi ne viene sottoposto, determinano la adeguatezza o la inadeguatezza dello strumento. Di conseguenza, non possiamo affermare in alcun modo che uno strumento sia buono in sé e, dunque, utilizzabile sempre e comunque; uno strumento è buono se aiuta a raggiungere il risultato che ci siamo proposti, riducendo al minimo gli errori e l’effetto di variabili concorrenti. Per scegliere o costruire lo strumento adeguato agli obiettivi, desiderati e prefissati, è necessario stabilire con esattezza le informazioni da raccogliere e le modalità migliori per proporre le domande. In questo caso il ragionamento si limita alle caratteristiche che debbono avere prove a scelta multipla per risultare efficaci al fine della rilevazione di conoscenze o abilità in situazioni di tipo formativo, in esami o in situazioni di concorso .

È necessario soffermarsi sul fatto che si tratta di tre diverse situazioni .

L’uso di test a scelta multipla per scopi formativi o in situazioni di ricerca ha l’obiettivo di misurare il possesso di abilità o conoscenze in una determinata popolazione o in un campione della popolazione .

In questo caso lo strumento deve essere in grado di misurare tutti i diversi livelli di competenza presenti, più o meno con lo stesso grado di precisione. Inconseguenza si richiede che la prova presenti una distribuzione normale della difficoltà delle domande, con numeri minori di domande di grande difficoltà o di minima difficoltà, tuttavia sufficienti per individuare tutti i diversi profili di abilità presenti nell’unità di analisi presa in esame .

In un esame relativo al profitto di un singolo corso il problema è diverso poiché siamo meno interessati a distinguere tra le abilità dei soggetti che hanno un profitto inferiore alla soglia di sufficienza e interessati invece a stabilire con accuratezza le differenze tra i soggetti che superano la soglia di sufficienza e a graduare le differenze tra loro. La curva di riferimento sarà dunque una curva ad asimmetria negativa, cioè il numero maggiore di domande dovrà avere difficoltà che si collocano al di sopra della soglia di sufficienza .

In un concorso ovviamente dipende dal numero di soggetti che si stima possano accedere alle posizioni messe a concorso e dal livello di padronanza degli argomenti previsti dal bando e dunque ancor più si dovrà accentuare il numero di domande necessario per selezionare in modo efficace pochi soggetti, tralasciando quelle necessarie per avere informazioni su soggetti di abilità inferiore .

Qualche considerazione sull’oggettività delle prove

Le prove a scelta multipla a volte vengono chiamate impropriamente prove oggettive in quanto riducono i margini di soggettività presenti in altri strumenti di rilevazione di abilità e conoscenze, la loro “oggettività” risiede nel fatto che la loro preparazione dovrebbe essere estremamente accurata e non il frutto del lavoro di pochi esperti .

La cosiddetta oggettività risiede nel fatto che un numero adeguato di esperti (esperti disciplinari ed esperti nella costruzione di domande) conviene nella correttezza delle domande e della risposta corretta alle domande e nella adeguatezza dei distrattori. Sempre la cosiddetta oggettività risiede inoltre nel fatto che a tutti i soggetti vengono poste le domande nelle stesse condizioni e nello stesso modo .

Quest’ultimo aspetto è in tempi recenti venuto a cadere di fronte alle esigenze di somministrare prove ad alti numeri di soggetti e di evitare fenomeni di collaborazione o di copiatura. I rimedi introdotti attraverso la variazione dell’ordine delle domande e delle alternative di risposta all’interno delle domande intaccano in parte il principio delle pari condizioni. Infatti se un test è necessariamente composto di domande di diverso livello di difficoltà uno studente che inizia la prova con le domande più difficili si troverà in una condizione diversa di uno studente che inizia la prova con domande più facili. L’impatto emotivo di iniziare a leggere domande di cui non si conosce la risposta può generare uno stato d’ansia che si ripercuoterà inevitabilmente sull’andamento della prova. Vedremo più avanti come eventualmente cercare di ovviare per il possibile a questa difficoltà .

Un test non è un test se non è testato

Un secondo problema è che una prova non può essere considerata utilmente spendibile se non è stata sottoposta ad una precedente taratura su un campione di soggetti con caratteristiche analoghe a quello sul quale dovrà essere utilizzata[1].

Un test funziona meglio se le persone non si sono preparate al test stesso

Un terzo problema deriva dal fatto che un test è tanto più efficace quanto meno le persone si sono preparate a rispondere a modelli analoghi di domande .

In presenza di repertori di domande da memorizzare, il rischio è che si misuri una capacità generale di adeguarsi alla prova e non le abilità o le conoscenze che dovrebbero essere oggetto di indagine .

Principali strutture dei test con risposte a scelta multipla

Valutazione delle competenze conoscitive

Le domande intese a valutare le competenze conoscitive sono certamente quelle più utilizzate nelle discipline relative alle scienze di base nel contesto specifico del corso di Medicina, come la chimica, la fisica, la biologia. Deve però essere tenuto presente che queste discipline, nei loro contesti specifici, possono assumere livelli di complessità molto elevata e tale da richiedere l’utilizzo di domande con valenza interpretativa .

Lo stesso binomio conoscitivo/interpretativo si applica alle altre discipline quali l’anatomia e l’istologia, la biochimica, la fisiologia, la genetica, la patologia generale .

Le domande di tipo conoscitivo sono quelle generalmente rivolte a ricordare singoli fatti che potrebbero essere utilizzati anche in contesti più complessi di tipo clinico; per questo motivo la composizione di tali domande non risulta per nulla facile, al contrario può far emergere difficoltà per la loro corretta elaborazione .

La stessa domanda può essere conoscitiva o interpretativa solo per il modo in cui viene posta .

L’esempio descritto da Case e Swanson (2002) chiarifica in modo esaustivo questo concetto:
Basic Science Recall Item Stem: What area is supplied with blood by the posterior inferior cerebellar artery?
Basic Science Application of Knowledge Item Stem: A 62-year-old man develops left-sided limb ataxia, Horner’s syndrome, nystagmus, and loss of appreciation of facial pain and temperature sensations.
What artery is most likely to be occluded?

È del tutto evidente come la prima domanda sia esclusivamente di tipo conoscitivo, mentre la stessa domanda posta diversamente si presti ad una interpretazione clinica; è anche evidente come, in questo caso specifico, la prima domanda possa essere posta ad uno studente del secondo anno di corso che ovviamente non possiede nozioni cliniche oltre all’anatomia .

È ulteriormente evidente come la seconda formulazione debba essere posta ad uno studente del quinto/sesto anno di corso, già in possesso di un bagaglio conoscitivo e di capacità interpretative idonee per poter rispondere correttamente al quesito .

Le domande di tipo conoscitivo possono essere poste con l’uso di immagini o di disegni, che debbono però risultare ben leggibili anche quando il disegno o l’immagine sia stata fotocopiata: si deve tener conto che l’utilizzo di immagini a colori deve garantire una buona riproducibilità dei colori stessi attraverso le fotocopie (a meno che non si utilizzi per la somministrazione del test un’aula multimediale ed il computer o la videoproiezione). L’argomento del quesito deve essere rilevante per gli sviluppi futuri delle conoscenze di tipo clinico dello studente, mentre deve essere evitato l’uso di argomenti molto rari che difficilmente si incontreranno successivamente nella pratica clinica .

La domanda deve essere formulata in modo chiaro, evitando le doppie negazioni anche implicite; i distrattori debbono essere omogenei (plausibili, compatibili logicamente e della stessa lunghezza della risposta corretta) e non marcatamente difformi dalla risposta corretta. Quest’ultima dovrebbe essere la migliore risposta tra quelle elencate, cui lo studente dovrebbe poter giungere ragionando tra le diverse opzioni proposte .

Le opzioni proposte sono normalmente 5, con una probabilità di risposta corretta casuale del 20% .

Non debbono essere mai utilizzate domande in cui sia scritto “quale di queste affermazioni è quella corretta” oppure “ciascuna delle seguenti affermazioni è corretta eccetto…”, in quanto queste formulazioni appaiono generalmente confuse e possono essere rappresentate da opzioni del tutto eterogenee .

Nella valutazione delle competenze conoscitive, le domande qualitativamente migliori sono quelle in cui si richiede “l’applicazione della conoscenza”, su presupposti conosciuti al momento della somministrazione della domanda stessa, piuttosto che il richiamo diretto alla nozione che deve essere conosciuta dallo studente. Anche in questo contesto vi può essere una storia clinica o di laboratorio, ma queste debbono essere davvero brevi e significative. Essendo generalmente rivolte a studenti dei primi anni di corso, queste storie non debbono contenere nomi di sindromi o patologie, ma la descrizione di un tipo di deficit (molecolare, strutturale, funzionale ecc.) nel quale sia coinvolta l’alterazione di un gene, di una proteina, di un organulo cellulare, di una struttura anatomica, di un metabolismo, ecc. In tal modo non vi sarà solo il richiamo ad una singola nozione, ma lo studente vi arriverà sulla base degli elementi proposti nella domanda stessa .

Esempio:

Ad un uomo di 63 anni viene diagnosticata, in pronto soccorso, una ischemia dell’apice del cuore .

Si sospetta l’ostruzione di un ramo coronarico distale. In quale arteria dovrebbe essere localizzata l’occlusione?

  1. a) Arteria coronaria destra
  2. b) Arteria circonflessa sinistra
  3. c) Arteria ottuso-marginale
  4. d) Arteria discendente anteriore (interventricolare)
  5. e) Arteria discendente posteriore (interventricolare)

Risposta esatta: d)

 Valutazione delle competenze interpretative

Le domande intese a valutare le competenze interpretative possono essere utilizzate in qualsiasi macroarea del sapere medico, ma sono particolarmente significative in discipline come la medicina di laboratorio, la diagnostica per immagini, l’anatomia patologica, la medicina interna e le specialità mediche e la chirurgia generale e le specialità chirurgiche .

La capacità di interpretare può essere applicata – e valutata – in contesti diversi. Intanto si può valutare la capacità di interpretare immagini, siano queste radiologiche, scintigrafiche, ecografiche o anatomopatologiche (macro- e micro-scopiche), poste in un contesto clinico. Poi si può scrutinare la capacità di interpretare i risultati di esami di laboratorio. In questo caso l’illustrazione del contesto clinico risulta particolarmente importante, in quanto il medesimo dato può assumere significati differenti in contesti diversi. La capacità di interpretare può riguardare poi gli esami strumentali, dal tracciato ECGrafico al risultato di una spirometria o di una emogasanalisi. Si rimane nel campo dell’interpretazione anche nella capacità di estrarre significato clinico da un referto (radiologico, anatomopatologico, ecc). Infine, si può valutare la capacità di interpretare rappresentazioni grafiche, siano queste relative a test statistici o ad esperimenti scientifici .

La struttura del test è la medesima in tutti i casi .

La domanda si apre con una breve storia clinica che inquadra il problema da risolvere. Segue l’immagine (il tracciato, il set di esami di laboratorio, il grafico, ecc) da interpretare e, infine, vengono enunciate la risposta esatta e i quattro distrattori (ovviamente in ordine casuale) .

Esempio: Guglielmo, un ragazzone di 23 anni, gioca regolarmente a calcetto. Benché ci sia in famiglia un caso di morte improvvisa (un cugino, dopo una serie di sincopi, è morto improvvisamente), Guglielmo non si è mai sottoposto a controlli cardiologici .

Durante una gara un po’ più impegnativa del solito, Guglielmo va incontro ad arresto cardiaco sul campo di gioco. I tentativi di rianimarlo non hanno successo, e viene richiesto un riscontro diagnostico necroscopico. Il Patologo non osserva alterazioni extracardiache di rilievo ed esegue una sezione del cuore secondo un piano longitudinale che ricalca l’asse lungo ecocardiografico. In base all’osservazione dell’immagine qual è, tra le seguenti, la causa della morte?

  1. a) ipertrofia eccentrica del ventricolo sinistro (cardiomiopatia dilatativa)
  2. b) ipertrofia concentrica simmetrica del ventricolo sinistro (cardiopatia ipertensiva)
  3. c) esteso infarto del segmento anterosettale del ventricolo sinistro (cardiopatia ischemica)
  4. d) ipertrofia asimmetrica del setto interventricolare (cardiomiopatia ipertrofica)
  5. e) endocardite ulcero poliposa infettiva della valvola mitrale (shock settico)

Risposta esatta: d) 

Valutazione delle competenze cliniche

Idealmente la valutazione della competenza clinica (cioè di ciò che un medico è capace di fare) dovrebbe fornire informazioni sulla reale pratica clinica (cioè su ciò che un medico abitualmente fa quando non è osservato) come pure sulla sua capacità di adattarsi al cambiamento, di trovare e generare conoscenze nuove e infine di migliorare la propria performance. La competenza è per definizione contestuale in quanto riflette la relazione tra le abilità mobilizzabili da un individuo per il compito che è chiamato a risolvere in una determinata situazione reale. La pratica e la riflessione sulla propria esperienza sono dunque essenziali per lo sviluppo della propria competenza. È dunque difficile per definizione valutare la competenza clinica in un medico in formazione non ancora inserito appieno nella sua pratica professionale. Partendo tuttavia da una definizione generale di competenza (non necessariamente medica) come capacità di mobilizzare apprendimenti (conoscenze, procedure e logiche disciplinari) al fine di risolvere problemi e affrontare situazioni problematiche nuove e significative è possibile testare tale capacità nei vali livelli della formazione del medico sottoponendolo a test che comportano la risoluzione di problemi. La complessità dei problemi da risolvere deve essere adeguata al livello di preparazione raggiunto e alla possibilità di applicarsi nella pratica che sarà scarsa o del tutto assente nello studente di medicina e parziale nei momenti formativi successivi .

Le risorse attivate dalla competenza al fine di risolvere un problema sono, in realtà, non solo cognitive (conoscenze) ma anche fisico-corporee come le capacità percettive utilizzate ad esempio nella ispezione della semeiotica fisica e le abilità pratico-manipolative dell’esame obiettivo o delle manualità mediche. L’esame scritto e i test a scelta multipla si limitano a valutare sostanzialmente soltanto le risorse cognitive non potendo valutare abilità tecniche e manualità per le quali sono richieste altri tipi di valutazione. Tra le risorse cognitive valutabili, quelle decisionali e gestionali sono perfettamente adatte ad essere testate con tale metodologia di esame che risulta quindi appannaggio del secondo triennio della scuola di medicina quando lo studente ha acquisito non solo le conoscenze necessarie ma anche sufficiente metodologia clinica per tentare di risolvere problemi .

La struttura del test a scelta multipla è dunque la stessa con una sola risposta corretta e 4 distrattori plausibili ma errati. La domanda è però fortemente contestualizzata e quindi simile a un breve caso clinico in cui devono essere forniti con molta attenzione tutti gli elementi anamnestici, i dati funzionali e strumentali obiettivi attraverso cui lo studente può dimostrare di essere in grado di prendere una decisione come ad esempio di ricoverare o no un paziente, oppure di indicare una procedura diagnostica o terapeutica o di gestire un programma di controlli clinici e strumentali adeguato. È evidente che un test adatto a valutare competenze cliniche attraverso la capacità di risolvere un problema è di livello superiore rispetto ai test adatti a valutare conoscenze e le capacità interpretative: è infatti attraverso la mobilizzazione delle proprie conoscenze e capacità interpretative che uno studente risolve un problema clinico. Molto importante è contestualizzare il problema in termini di fattori come il luogo in cui si opera, la prevalenza locale e persino elementi come la natura e l’educazione del paziente se questi sono significativi per la soluzione e se si vogliono rendere i problemi da affrontare inerenti alla preparazione richiesta da parte del discente .

Un buon test per valutare competenze cliniche deve essere preparato chiedendosi: Che cosa voglio che lo studente dimostri di saper fare? In quali situazioni o compiti complessi? Quali apprendimenti di base (conoscenze, abilità) lo studente dovrà attivare per risolvere il problema? Un livello ancora superiore per valutare la competenza sarebbe quello di testare la capacità dello studente a risolvere situazioni-problemi per lui nuovi in cui cioè non tutte le conoscenze necessarie sono state trasmesse ma che possono essere dedotte da quelle a sua disposizione .

Esempio di problema clinico concepito per studenti del corso di Patologia Integrata III (IV anno):

Un paziente di 63 anni da qualche giorno si lamenta di dolori lombari. Ieri pomeriggio accusa lieve giramento di testa. Questa notte alzandosi dal letto accusa ancora vertigine e senso di profonda astenia. Alle 5 di questa mattina chiama la guardia medica che lo visita senza trovare nulla di rilevante a parte una modesta ipotensione. Per questo motivo consiglia comunque il ricovero. Nel venire in ospedale il paziente presenta vomito ematico e al pronto soccorso una abbondante evacuazione .

Al Pronto soccorso il paziente presenta: Pressione arteriosa 120/70 mm/Hg in clinostatismo e 100/55 mm/Hg in ortostatismo; Frequenza cardiaca 120 b/min; pallore e sudorazione; le feci emesse sono nere e liquide .

Il paziente è affetto da:

  1. a) emorragia digestiva inferiore di lieve entità
  2. b) emorragia digestiva superiore di grave entità
  3. c) emorragia digestiva inferiore di grave entità
  4. d) emorragia digestiva superiore di lieve entità e) emoperitoneo di lieve entità Questa domanda valuta capacità interpretative .

Risposta corretta b)

Una volta stabilizzato il paziente richiedete:

  1. a) EGDS
  2. b) colonscopia
  3. c) TAC addome con m.d.c
  4. d) Ricerca del sangue occulto fecale
  5. e) Rx diretta addome Questa domanda valuta capacità decisionali, conseguenti a corretta interpretazione .

Risposta corretta a)

Analisi docimologica dei test , validazione dei test e correlazione all’esito

La validità di una prova a scelta multipla

La validità di uno strumento di misura indica se esso è idoneo alla misurazione delle caratteristiche che si intende sottoporre a misura o meglio il grado in cui evidenze empiriche e teoria supportano le interpretazioni dei punteggi del test per gli usi che ci si era proposti di raggiungere con il test stesso (Standards for Educational and Psycological Testing 2014, p. 11).

In questa prospettiva viene considerata superata l’idea di parlare di validità di uno strumento perché lo stesso strumento può essere utilizzato per scopi diversi e dunque è necessario verificarne la validità in relazione agli obiettivi ed ai diversi contesti in cui la prova verrà utilizzata. La validità di uno strumento viene tradizionalmente controllata rispetto ai contenuti, ai criteri, al costrutto, all’aspetto ed inoltre è necessario valutare la validità rispetto allo scopo e ai risultati attesi .

Validità di contenuto

Verificare la validità dei contenuti di una prova significa confrontare lo strumento con i modelli teorici (costrutti) che sono alla base della nostra ricerca e in particolare con scelta, la classificazione e la operazionalizzazione dei concetti relativi alle conoscenze o abilità o competenze prese in esame. Per valutare la validità del contenuto è necessario chiedersi se gli argomenti trattati in una prova costituiscono un campione rappresentativo delle capacità e delle conoscenze da verificare e se queste conoscenze rispondano alle interpretazioni e/o alle decisioni che si intendono assumere sulla base dei risultati della prova. Questo richiede in primo luogo una accurata definizione delle tematiche della prova che in genere vengono poi articolate per aree tematiche e per livelli di difficoltà .

Su questo modello si procederà poi alla scelta del numero delle domande previste per ciascuno degli aspetti presi in considerazione ed alla scelta del livello di difficoltà atteso per i diversi item. Se le domande misurano un in-sieme unitario di conoscenze, abilità, competenze ci aspetteremo che il loro insieme abbia un alfa di Cronbach[2]con valori che superino lo 0.80 e che si presenti con un modello unifattoriale[3].

Tuttavia non disponiamo di un criterio statistico sufficiente per stabilire il punto in cui una misura ha raggiunto la validità nel contenuto ed è perciò utile «un appello alla ragione relativo alla adeguatezza con la quale i contenuti sono stati campionati e alla adeguatezza con la quale il contenuto è stato organizzato nella forma di itemdel test» (Nunnally, 1964, trad. it. p.73) .

Uno dei problemi che si incontrano in proposito è l’assenza di riferimenti certi sulla mappatura delle aree di contenuto. Il problema è ovviamente più serio nei concorsi che chiedono di selezionare persone provenienti da curricula diversi, come nelle prove di accesso o in prove a cui partecipano candidati provenienti da diversi corsi di laurea e che non hanno sostenuto gli stessi esami e o i cui esami prevedevano contenuti non omogenei.

Spesso nelle prove di accesso di area medica vengono previste domande di cultura generale. Questa espressione non rimanda ad alcun insieme di contenuti mappabile o operazionalizzabile, tutto è cultura e ancor più cultura generale, senza specificazioni, delimitazioni e indicazioni le domande di cultura generale non possono essere considerate tecnicamente valide .

Validità di criterio

La procedura di convalida mediante criterio implica il ricorso a una misura effettuata con procedure diverse e indipendenti che si ritiene siano pertinenti rispetto a ciò che si vuole misurare. Il criterio può essere, per esempio, il punteggio in un altro test, il punteggio a un esame, una classificazione o ancora la misura di esiti attesi a distanza di tempo .

Così, per stabilire la validità di una prova a scelta multipla, si possono confrontare i voti o i giudizi attribuiti da un insegnante in modo autonomo agli stessi allievi relativamente alla abilità in esame con i risultati ottenuti alla prova che è stata costruita[4]. Se i due punteggi presentano un andamento simile (correlano), si può dire che la prova messa a punto ha una validità mediante criterio .

Esistono due metodi per rilevare la validità in rapporto a un criterio: quello concorrente e quello predittivo .

  • La “validità concorrente” si riferisce a misure fatte in modo sincronico. Nel nostro esempio, quindi, se l’insegnante interroga gli studenti nello stesso periodo in cui si somministra la prova o alla somministrazione di due prove che dovrebbero misurare le stesse abilità o conoscenze .
  • La “validità predittiva” si riferisce, invece, alla capacità di una misura di prevedere eventi futuri .

Così, per poter stabilire se uno strumento è valido da questo punto di vista, è necessario confrontare i risultati ottenuti grazie al suo utilizzo con quelli che saranno ottenuti in un periodo successivo all’applicazione dello strumento. Per esempio, nel caso di una prova messa a punto per selezionare gli allievi che si immatricolano ad un determinato corso di studi universitari, vi dovrebbe essere una corrispondenza tra i risultati ottenuti dagli allievi nella prova in questione e il rendimento degli stessi allievi nella successiva carriera di studi. «Tuttavia determinare la validità o meno di una tecnica da questo punto di vista presenta una difficoltà: non è facile, infatti, stabilire in base a quali criteri misurare i risultati ottenuti […] in quanto gli stessi esperti possono avere opinioni diverse per quanto riguarda i criteri in base ai quali misurare il successo » (Lovell-Lawson, 1970, trad. it. p.83). Inoltre è presente il rischio che l’eventuale correlazione sia il frutto di fattori estranei allo specifico della prova ad esempio abilità linguistiche generali o fattori di cultura generali dovuti all’estrazione sociale degli esaminati .

Validità di costrutto

La validità di costrutto si riferisce alla bontà di uno strumento giudicata sulla base di quanto i risultati raccolti con l’impiego di uno strumento hanno senso in relazione alle nostre teorie. La validità del costrutto si può dunque definire come il grado in cui uno strumento misura un tratto che in qualche modo esiste (Boncori, 1993). Tale validità è accertabile solo se disponiamo di un modello teorico in grado di spiegare la relazione tra il possesso di determinate abilità e particolari comportamenti osservabili. Se, ad esempio, una prova che segue uno specifico insegnamento non indicasse alcun miglioramento nelle tematiche in questione, essa cadrebbe nel sospetto di mancanza di validità nel costrutto, perché si ha ragione di supporre che l’insegnamento dovrebbe comunque avere un qualche effetto sulle abilità degli studenti (Lucisano, 1989, p.65) .

Validità di aspetto

Si parla di validità di aspetto, esteriore o a vista, per riferirsi alle caratteristiche di uno strumento così come viene valutato da parte di persone che non hanno una grossa esperienza di strumenti di misurazione .

Se, ad esempio, una prova di lettura propone domande che risultano fuori luogo per le persone cui è destinata (è il caso di domande che appaiono troppo facili, troppo difficili o inappropriate) l’aspetto della prova finisce per condizionare la sua validità. Infatti, se uno strumento appare troppo facile verrà affrontato con superficialità, se appare troppo difficile con timore, se appare inappropriato con perplessità o resistenze .

Validità interna ed esterna

Tale controllo non riguarda in realtà lo strumento, ma il problema più generale del significato da attribuire al risultato di una ricerca e in particolare al rapporto che esiste tra la relazione trovata nei dati osservati fra le variabili osservate e la relazione effettivamente esistente nella popolazione .

L’esame della validità interna serve a controllare se effettivamente la relazione tra due variabili sia causata da quelle variabili e non da altri fattori. Essa perciò è relativa alla correttezza della ricerca, alla accuratezza del controllo .

L’esame della validità esterna riguarda, invece, la possibilità di generalizzare i risultati ottenuti alla popolazione di riferimento. In altri termini, serve a controllare che la relazione tra le variabili prese in considerazione sia la stessa anche al di fuori dello specifico contesto in cui è stata effettuata la ricerca e se è quindi possibile considerare validi quei risultati in situazioni diverse da quelle dello studio originale[5].

L’affidabilità di uno strumento

Quando si ripete più volte una misura e si ottiene lo stesso risultato si dice che la misura è affidabile, attendibile o fedele. L’affidabilità si riferisce quindi alla costanza della misura di una data prestazione. L’importanza del concetto di affidabilità deriva dal fatto che, se uno strumento è attendibile nei risultati, si può essere sicuri che le variazioni che si verificano nei dati raccolti non dipendono da imperfezioni dello strumento utilizzato, ma dal mutare del fenomeno. Nelle ricerche in campo educativo, non differentemente da quelle fisiche e naturali, la ripetizione della stessa rilevazione darà difficilmente un risultato assolutamente identico a quello precedente sia perché le condizioni non sono mai assolutamente identiche sia per la presenza dell’errore casuale .

Aldo Visalberghi a tal proposito scrive: «Non c’è nulla di assolutamente misurabile. Se molte misurazioni fisiche risultano perfettamente uguali ciò non significa che la nostra capacità misurativa al riguardo è perfetta, bensì, tutto al contrario, che il nostro strumento di misura non è abbastanza sensibile per il lavoro che stiamo facendo. Ogni misurazione è una media» (1965, p.77) .

Il controllo dell’errore casuale viene effettuato mediante la ripetizione della rilevazione. Ovviamente la ripetizione della misura è facile quando si tratta di misurare due volte uno stesso oggetto, ma è assai complessa quando ci si riferisce a misure di prestazioni di soggetti. In ogni caso la prima misura che si effettua costituisce comunque uno stimolo che modifica il soggetto, il quale ad esempio può apprendere dalla prima prova a cui è stato sottoposto .

La validità e l’affidabilità degli strumenti di rilevazione sono strettamente connesse al controllo di altri elementi che possono interferire sulla loro precisione (Boncori, 1993). È bene che gli stimoli che costituiscono uno strumento di misura siano: 1 chiari e precisi. Se, ad esempio, una domanda di un questionario è formulata in modo da suscitare dubbi o fraintendimenti nell’interpretazione è ovvio che essa non potrà essere né valida né affidabile; 2 leggibili dal punto di vista formale/grafico. Non deve presentarsi alcun ostacolo formale che possa influire sulla qualità delle risposte raccolte; 3 verbalmente ridotti. Le istruzioni, le domande, le risposte (laddove previste) non devono essere troppo lunghe tanto da distrarre o da inserire altri tipi di difficoltà rispetto al compito richiesto .

Item-analisi di una prova a scelta multipla

Per costruire una prova a scelta multipla non è sufficiente seguire le regole sopra enunciate, ma è necessario sperimentare lo strumento su un campione della popolazione a cui è diretto e quindi procedere a un esame dei dati empirici ricavati. In questo paragrafo presenteremo le procedure utili a verificare l’efficacia di una prova e, in particolare, il funzionamento dei quesiti, ossia il funzionamento delle risposte esatte e dei diversi distrattori, che compongono una prova (item analysis), e faremo alcuni accenni alle procedure per una lettura complessiva dei dati[6].

Chiamiamo item-analisi l’insieme delle tecniche che permettono di ricavare informazioni sulla affidabilità di una prova nel suo complesso e sul funzionamento di ciascuna delle domande proposte. Questa analisi richiede di effettuare una prova pilota (try-out) su un campione sufficientemente ampio di soggetti con caratteristiche simili a quelle della popolazione sulla quale intendiamo lavorare[7]. Le tecniche di item-analisi muovono tutte dall’assunto che, se la prova nel suo complesso costituisce una misura di una dimensione unitaria, le singole domande e i singoli soggetti dovranno avere un comportamento coerente. Ci si aspetta dunque che i soggetti di un certo livello di abilità rispondano bene a quelle domande a cui rispondono soggetti con analoga abilità e male a domande che richiedono una abilità superiore. Parimenti ci si aspetta che a domande di un determinato livello di difficoltà rispondano bene i soggetti che rispondono bene fino a quel livello e non altri .

Il modello a cui ci ispiriamo è noto come modello di Guttman .

Per effettuare questa analisi possiamo ricorrere a modelli diversi che fanno capo a due impostazioni: la prima nota come CTT (Classical Test Theory) che risale agli studi sviluppati all’inizio del secolo scorso e la seconda nota come Item Response Theory[8]che prende le mosse dal modello sviluppato negli anni Sessanta da Rasch[9].

L’analisi degli item si sviluppa a partire dai punteggi grezzi ottenuti dai soggetti che hanno risposto alla prova[10]e si basa sulla identificazione dei valori di facilità[11]e di discriminatività[12]delle singole domande e sul calcolo della loro coerenza con il test .

Al di là delle discussioni teoriche, il modello di Rasch a un parametro fornisce graduatorie sostanzialmente analoghe a quelle che si ricavano con il metodo tradizionale, risultano invece più sgranate le graduatorie che si ottengono con i metodi sviluppati più recentemente che introducono nel calcolo del peso degli item e della abilità dei soggetti parametri diversi quali la discriminatività o il la considerazione della probabilità di indovinare la risposta corretta. Sia il metodo tradizionale sia il metodo di Rasch in presenza di unità di analisi ampie e di un numero limitato di domande infatti forniscono risultati con blocchi molto ampi di soggetti a parità di punteggio. Il modello a due parametri invece tende a sgranare i risultati e dunque a fornire indicazioni che rendono più facile operare tagli in una graduatoria .

L’attribuzione di un punteggio

Di norma se si segue il modello della CTT si usa attribuire un punteggio grezzo 1 alle domande corrette e 0 alle domande errate. Le prove si possono correggere: a) contando le sole risposte corrette; b) penalizzando l’errore. In questo caso la correzione delle prove può avvenire sottraendo alle risposte errate una frazione di punteggio pari alla probabilità di rispondere bene a caso a ogni singolo quesito. La formula utilizzata per la correzione del punteggio in base alla possibilità di individuare la risposta corretta casualmente è la seguente:

formula -77

 

dove:
Pe = Punteggio con penalizzazione dell’errore
e = Numero di risposte esatte
s = Numero delle risposte sbagliate
n = Numero delle risposte da scegliere per ogni quesito

La attribuzione di un peso agli errori introduce tuttavia un elemento di disturbo psicologico penalizzando gli studenti insicuri .

Se si segue il modello della IRT invece il punteggio di abilità è calcolato automaticamente dal programma che pesa la difficoltà degli item e attribuisce un punteggio di abilità in base alla probabilità del soggetto di rispondere alle domande di un determinato livello di difficoltà .

Sull’uso delle procedure statistiche per la definizione e l’interpretazione dei risultati di un test si è sviluppato un ampio dibattito che ha messo in discussione la validità del modello di Rasch a partire dalla critica del modo in cui è stato utilizzato dall’INVALSI e dal PISA, si tratta di una discussione che mette in evidenza i limiti dei modelli statistici e che tuttavia rimanda anche ai presupposti pedagogici e psicologici che sovraintendono alla misura di tratti latenti tramite procedure basate su domande (Rogora 2014a, 2014b, Miceli 2014) .

Standard o criterio

Nell’uso dei punteggi ricavati da una prova a scelta multipla si pone il problema della definizione delle soglie. Quale punteggio può essere considerato adeguato o inadeguato in relazione agli obiettivi che ci siamo proposti? In generale i test sono nati per ampie rilevazioni tanto che nel nome si usava definirli test standardizzati. Il concetto di standardizzazione definisce le soglie sulla base dell’andamento medio dei risultati nella unità di analisi presa in esame. Il modello tradizionale usato nell’uso scolastico delle prove fa riferimento alla distribuzione pentenaria. Il modello delle prove standardizzate prevede una taratura su grandi campioni tale da definire standard che potranno poi essere il riferimento nell’uso successivo su unità di analisi di diverse dimensioni .

Diversa è l’impostazione dei test di criterio. Per queste prove le soglie vengono definite a priori e dunque sono indipendenti dalle dimensioni e dalle caratteristiche dell’unità di analisi scelta. Il criterio può essere riferito all’intera prova o alle singole parti della prova, nel caso di un test che contenga più dimensioni (ad esempio il 75% del punteggio teorico e non meno del 50% di ogni singolo subtest). Se si usa la modalità standard in assenza di una adeguata taratura si corre il rischio di avere soglie che si spostano di somministrazione in somministrazione e di determinare una situazione nella quale in presenza di candidati con punteggi molto bassi le soglie si abbassano ed in presenza di candidati eccellenti le soglie si alzano .

È evidente, tuttavia, che in assenza di una conoscenza adeguata degli standard di prestazione di una popolazione la predeterminazione di soglie criterio corre il rischio di collocare i valori di soglia attesi e pretesi troppo in alto o troppo in basso rispetto alle caratteristiche reali della popolazione esaminata .

In ambito scientifico in genere le soglie vengono definite a seguito di tarature che consentono una conoscenza sia pure empirica della distribuzione del tratto osservato nella popolazione esaminata. Queste osservazioni portano alla considerazione che in assenza di una preventiva taratura la definizione di soglie è un’operazione che comporta rischi molto alti in relazione al conseguimento di un obiettivo definito .

I test per valutazione formativa, certificativa, di abilitazione e di ammissione

Premesse

È possibile trovare molte definizioni diverse di valutazione, provenienti da domini disciplinari diversi e con accenti ora sul suo essere un’attività sociale e contestualizzata, ora sulla centralità della comparazione con uno standard. Ma in tutte le definizioni è presente – più o meno esplicitamente – l’idea che la valutazione ha sempre uno scopo. Gli scopi sono inerenti al processo valutativo e caratterizzano in maniera decisiva forme e tempi della valutazione, tanto che valutare uno stesso oggetto (ad es. uno studente), esaminato con uno stesso metodo (ad esempio quesiti a scelta multipla), può dar esito a giudizi valutativi anche molto diversi, in funzione di scopi diversi .

In questa sezione esamineremo brevemente quali caratteristiche della valutazione cambiano se si effettua una valutazione formativa, certificativa, di abilitazione o di ammissione. Limitatamente ai quesiti a scelta multipla, analizzeremo le caratteristiche docimologiche, i tipi di contenuto e i tempi. La sezione precedente ha descritto in maggior dettaglio cosa si intenda per caratteristiche docimologiche di un test: in questa parte faremo uso dei concetti di indice di difficoltà e di discriminazione e del concetto di soglia .

Rimandiamo quindi alla sezione precedente per la discussione del concetto di soglia e la definizione di “difficoltà” di un singolo quesito .

Prima ancora di entrare nel dettaglio dei quattro diversi scopi elencati nel titolo, vorremmo proporre qui un metodo per definire il mix di domande da ideare, diverse quanto al tipo di contenuto. Sono stati definiti 5 tipi di contenuto:

  1. conoscenza dei termini: terminologia tecnica e definizioni;
  2. conoscenza dei fatti: descrizione di strutture e processi, elenchi di sintomi/segni, indicazioni e controindicazioni, correlazioni, …;
  3. conoscenza di regole e principi: leggi di funzionamento, meccanismi giustificativi dei fatti di cui al punto 2, linee guida, euristiche, …;
  4. capacità di effettuare trasformazioni e adattamenti: passare dal particolare al generale, porre in relazione fatti/concetti apparentemente distanti;
  5. capacità di effettuare applicazioni: ipotizzare, diagnosticare, prescrivere, gestire, progettare, educare, …

Non è difficile assegnare ogni tipo di contenuto ad una delle classi di obiettivi proposte in precedenza e relativi alle competenze conoscitive, interpretative, cliniche. È possibile infine costruire una tabella le cui colonne sono intestate ai 5 tipi di contenuto, mentre le righe sono costituite dagli elementi del programma di un corso specifico. In funzione degli obiettivi prevalenti di ogni corso, i docenti potranno stabilire le percentuali di tipo di contenuto da esplorare. Stabilito il numero di quesiti che si vogliono somministrare agli studenti possibilmente anche il “peso” relativo di ogni elemento di programma, ne consegue con un semplice calcolo di equivalenza il numero di domande per tipo e per argomento. A solo titolo di esempio, si riportano tre “contenuti” di tre corsi diversi, ipotizzando una diversa distribuzione delle percentuali .

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La valutazione formativa

È la valutazione che ha lo scopo di fornire informazioni di feedback sia agli studenti che ai docenti circa l’andamento dell’apprendimento durante il corso.

Per questo è detta anche valutazione “in itinere”, perché è effettuata a più riprese nello svolgimento del semestre, in modo coordinato con il procedere del programma. Il bilanciamento dei tipi di contenuto rifletterà perciò gli argomenti affrontati, con le quote che si modificheranno nel tempo fino al livello stabilito dal docente come target finale. Parimenti la difficoltà e discriminatività delle domande tenderà a salire gradualmente. In questo tipo di valutazione è opportuno usare anche domande abbastanza facili, su argomenti fondamentali, che servano da “soglia di allarme”: un errore a queste domande segnala l’esistenza di un problema potenzialmente grave .

Va considerata formativa anche la valutazione “di ingresso”, da eseguire all’inizio di un corso o di un modulo e destinata a sondare le pre-conoscenze ritenute necessarie ad affrontare il nuovo programma .

Fornisce un feedback essenziale al docente, relativo alla necessità di recupero di contenuti non ritenuti dai corsi precedenti. Deve essere limitata ai primi due o tre tipi di contenuto della griglia proposta .

La valutazione certificativa

È la valutazione che ha lo scopo di produrre il voto d’esame o di contribuire ad esso. Si effettua alla fine del corso stesso, con un mix equilibrato dei diversi tipi di contenuto in funzione degli obiettivi stabiliti per il corso stesso: più sbilanciato verso i tipi 1-3 per le discipline contributive, verso i tipi 3-5 per le discipline nosografiche e cliniche. A meno che non ci siano motivi particolari stabiliti dal docente (ad es. aver esplicitamente condotto percorsi di recupero), questa valutazione, specie per gli insegnamenti clinici, non dovrebbe contenere domande su contenuti contributivi. La loro conoscenza può venir inferita dalle risposte alle domande di tipo 4. Questo in certa misura è vero anche per le discipline di base, quando presumano a loro volta un insieme di pre-conoscenze derivate da altri corsi (ad es. da chimica per biochimica) .

Dal punto di vista docimologico questo tipo di valutazione deve misurare il grado di raggiungimento degli obiettivi cognitivi del corso, quindi un “buon” corso dovrebbe attendersi una distribuzione dei punteggi tendenzialmente a J più che gaussiana. Un mix equilibrato di domande a diverso indice di difficoltà contribuisce a questo scopo. La trasformazione della percentuale di risposte esatte in 30imi non può essere fatta con la semplice equivalenza (30/30 domande esatte = 30) ma tenendo conto di fasce di distribuzione meno rigide, come la già ricordata distribuzione pentenaria. L’ideale sarebbe aver validato in anticipo le domande su un campione di convenienza, così da conoscere la media e la distribuzione della performance attesa .

Valutazione per abilitazione

Si tratta della batteria di quesiti destinati a far parte dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione medica. Lo scopo dichiarato perciò è verificare il superamento della soglia minima richiesta per essere un medico affidabile, competente, consapevole del suo ruolo sociale .

È evidente che questo tipo di test debba avere un prevalente contenuto applicativo, fortemente sbilanciato sui tipi 4 e 5, non solo per le discipline cliniche ma anche per quelle legate agli altri aspetti della professionalità nel contesto nazionale, come quelli relativi alle norme legali, all’organizzazione del sistema delle cure, alle regole deontologiche ed etiche, alle caratteristiche epidemiologiche della popolazione italiana .

Va sottolineata l’importanza del non limitarsi a valutare la conoscenza di definizioni e fatti, ma insistere con le domande che esplorano la capacità di usare quella conoscenza, cioè la competenza. Qui si tratta di valutare – pur nei limiti dello strumento quesiti a scelta multipla – il possesso dell’idoneità al fare e all’essere medico, con una decisione si/no. La definizione della soglia è perciò elemento particolarmente critico e necessita di un set di quesiti ben collaudato, con caratteristiche docimologiche note: l’ideale sarebbe avere quesiti in grado di discriminare quella quota minoritaria di candidati che necessitano di un ulteriore anno di consolidamento della competenza minima richiesta. I contenuti delle domande devono rispecchiare quanto più fedelmente possibile il core curriculum nazionale, che negli anni è evoluto con l’apporto non solo dei corsi di laurea ma anche di molte istanze provenienti dal variegato panorama nazionale della professione .

Valutazione per l’ammissione

La valutazione per regolare l’accesso ai corsi di laurea di medicina è un problema sentito in tutto il mondo (Patterson et al., 2016; Prideaux et al., 2011). Per questo uso forse più che per tutti gli altri è vero che il processo di valutazione è un processo contestualizzato all’interno di valori sociali. Infatti si tratta di stimare la probabilità che un candidato da lì a sei anni si sarà dimostrato un buono studente di medicina e – più ancora – che sarà un buon medico. Quali caratteristiche di “potenzialità” deve avere un futuro buono studente o un buon futuro medico? È evidente l’estrema aleatorietà di questa sfida, che si gioca su una quantità tale di fattori da rendere l’attività di selezione una delle decisioni più complesse che esistano fra le attività di valutazione sociale. Poiché l’accesso è molto ambito, entrano in gioco anche questioni di giustizia ed equità sociale: si sta garantendo a tutti la stessa probabilità a priori di riuscire del test di selezione? È fuori dagli scopi di questa pubblicazione descrivere più in dettaglio l’argomento, trattato in maniera estesa nell’articolo scritto da Familiari et al. (2014) per la rivista della Conferenza. Rimanendo fedeli all’impostazione data per gli altri scopi della valutazione, esaminiamo brevemente ora le caratteristiche docimologiche e i contenuti dei quesiti a scelta multipla, ribadendone i limiti di strumenti in grado di misurare solo conoscenze teoriche ed alcune abilità intellettive .

A differenza della valutazione di abilitazione, destinata a certificare il superamento di una soglia, in questo caso si vuole ottenere una graduatoria, attraverso la misura di costrutti necessariamente diversi e legati sia alla conoscenza di termini, fatti e regole, sia ad alcune capacità intellettive, come quelle cosiddette logiche. Sarà quindi necessario predisporre una miscela di quesiti di difficoltà media ed alta ma livellati a quanto si può supporre sappia uno studente diplomato di scuola superiore, sulla base dei programmi di studio nazionali. I temi possono essere quelli che vanno dalle scienze fisiche, chimiche e biologiche, a conoscenze socio-economiche relative alla popolazione italiana, a nozioni di base di psicologia, mentre sembrano onestamente poco rilevanti quesiti che esplorino le cosiddette conoscenze culturali generali o meno ancora le conoscenze dell’attualità .

Correlazione dei quesiti al core curriculum

Il Core Curriculum della Conferenza permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e chirurgia (facilmente accessibile/consultabile in quanto presente on-line sul sito della Conferenza) è strumento utile a rendere omogenei a livello nazionale gli obbiettivi di apprendimento dei CLMMC fornendo ai singoli corsi di laurea una traccia da seguire, in completa autonomia decisionale, per la costruzione dei propri curricula, adattando il risultato finale alle caratteristiche peculiari di ogni sede. Nella sua versione attuale è costituito da 1659 Unità Didattiche Elementari (UDE), intese come “particelle del sapere medico con un contenuto tematico circoscrivibile e coerente, caratteristiche didattico-pedagogiche omogenee, descritte in un linguaggio comprensibile in modo univoco dagli studenti e dai docenti e verificabili”, raccolte in 4 Aree di Apprendimento che in qualche modo suggeriscono una progressione temporale e concettuale degli obbiettivi di apprendimento delineati nelle UDE stesse. L’adozione delle UDE ha il significato di porre l’accento sul “cosa lo studente deve apprendere”, e non su che cosa “il docente deve insegnare”. In questo senso, nelle intenzioni della Conferenza il Core Curriculum rappresenta nei fatti ciò che è indispensabile, ma allo stesso tempo ampiamente sufficiente, che lo studente in medicina apprenda per diventare un “medico standard” inteso come un neolaureato che possieda le basi della professione medica e sia quindi in grado di affrontare e risolvere i problemi di salute posti dai singoli pazienti e dalla comunità nella prevenzione, nella diagnosi, nella terapia e nelle riabilitazione delle malattie di più comune riscontro. È evidente che se si accetta questo concetto i test con risposte a scelta multipla da utilizzare nei diversi contesti (autovalutazione/verifiche in itinere, verifiche certificative, esami di stato per l’abilitazione, ammissione alla formazione specialistica) non possono che essere costituiti da domande che verifichino proprio il conseguimento degli obiettivi di apprendimento definiti dal Core Curriculum. Dal punto di vista pratico, e facendo riferimento al grado di competenza definito nel Core Curriculum per ogni UDE, si ritiene sia possibile prevedere che per il grado di competenza mnemonica siano utilizzabili le domande elaborate per la valutazione delle competenze conoscitive, per i gradi di competenza interpretativa e argomentativa siano utilizzabili le domande elaborate per la valutazione delle competenze interpretative e per i gradi di competenza clinica e gestionale siano utilizzabili le domande elaborate per la valutazione delle competenze cliniche (Tabella. II) .

Tabella II - 77

Non si ritiene che per indagare il raggiungimento degli obiettivi di apprendimento definiti dalle UDE di grado di competenza tecnica e comunicativo/relazionale, lo strumento del test con risposte a scelta multipla sia lo strumento più adeguato, essendo tali obiettivi certamente meglio verificati tramite rispettivamente l’OSCE (objective structured clinical examination) e l’OSVE (objective structured video examination) .

[1]Compito degli esperti sarà quello di analizzare ogni aspetto dello strumento: il modo e l’ordine in cui sono formulate le richieste; le informazioni superflue o mancanti; le modalità di risposta inappropriate, inadeguate, ridondanti o che costituiscono fonte di confusione; l’impaginazione. La sperimentazione su un piccolo campione del gruppo di rispondenti consentirà di verificare: tempi di somministrazione, chiarezza delle istruzioni, facilità o difficoltà delle domande, discriminatività, fedeltà, ecc.. Sarà possibile sondare, inoltre, attraverso interviste libere, l’effettiva comprensione dello strumento, ossia degli stimoli e delle eventuali risposte che lo costituiscono (Salerni, 1998);

[2]Il coefficiente alpha è un indice del grado in cui un test misura un singolo fattore. I test che misurano più di un tratto avranno probabilmente coefficiente alpha bassi, mentre i test omogenei tenderanno ad avere coefficienti alpha elevati .

Per tale ragione il coefficiente alpha è considerato un indice della coerenza interna di un test. La formula per calcolare il coefficiente alfa è la seguente:

formula 2 -77

 

Dove Vtot è la varianza totale della prova e Vi è la varianza di ogni singolo item Si deve tenere presente tuttavia che in campioni ampi l’alfa tende a crescere in relazione ad un effetto legato a caratteristiche complessive del gruppo non necessariamente riferibili alle conoscenze e alle abilità in esame .

[3]Se la prova interessa più aree di contenuto, l’analisi della coerenza dovrebbe essere sviluppata per ciascuna dimensione e l’analisi fattoriale dovrebbe evidenziare le diverse componenti del test .

[4]In questo caso si parte dall’assunto che i voti attribuiti dall’insegnante sono da ritenersi accettabili come criterio per stabilire la validità di una nuova misura. Essi sono, cioè, validi .

[5]A partire dalla pubblicazione di Cook e Campbell (1979), si considerano oltre alla validità interna e esterna, anche quella concettuale e quella delle conclusioni statistiche .

[6]Per un approfondimento delle questioni trattate in questo paragrafo si vedano, tra i molteplici testi in lingua italiana, in particolare Benvenuto – Lastrucci – Salerni (1995), Calonghi (1978), Calvani-Vincenzi (1987), Coggi – Calonghi (1992), Domenici (1991; 1993); Flores D’arcais (1972); Gattullo (1968); Gattullo – Giovannini (1989); Hudson (1973); Laeng (1989); Lucisano (1989); Vertecchi (1976, 1984b, 1993), oltre alla bibliografia indicata nel corso del testo.

[7]Per costruire una prova affidabile, ossia coerente e stabile, è necessario prevedere un numero di domande sovrabbondante (per area e per abilità) rispetto a quella che costituiranno la versione definitiva. Va infatti tenuto presente che non tutte le domande risulteranno adeguate e che alcune verranno scartate e altre dovranno essere affinate dopo la prova preliminare perché non risulteranno adeguati .

[8]L’Item Response Theory (IRT) è un modello che mette in relazione la difficoltà delle domande con le abilità dei soggetti a cui la prova viene somministrata (LORD, 1980). Tale modello ipotizza l’unidimensionalità del tratto che viene misurato con una prova. I vantaggi di questa assunzione sono i seguenti: è possibile descrivere la difficoltà di un item indipendentemente dai soggetti che possono rispondere a quell’item; è possibile individuare le abilità di una persona indipendentemente dal tipo di item somministrato; è possibile predire le proprietà di una prova rispetto alla sua somministrazione .

[9]L Tra i vari modelli di item-analisi ricordiamo quello che si rifà al modello probabilistico del danese Rasch e che viene oramai applicato prevalentemente nell’analisi dei dati raccolti nelle indagini internazionali su vasti campioni (si pensi ad esempio alle ricerche IEA o alle indagini OCSE). Rasch nel suo modello tiene conto della difficoltà della domanda e dell’abilità dei soggetti e considera la probabilità di rispondere a un item come funzione di questi due fattori. La difficoltà di una domanda è funzione del rapporto tra risposte corrette e risposte errate date a una domanda da tutti i soggetti. L’abilità di un soggetto è invece definita come funzione del rapporto tra il numero di risposte corrette e quello di risposte errate che il soggetto ha totalizzato in un’intera prova. Se l’abilità di un soggetto è superiore alla difficoltà della domanda la probabilità di dare una risposta corretta a quella domanda è superiore al 50%; al contrario se l’abilità di un soggetto è inferiore alla difficoltà della domanda la probabilità è inferiore al 50%. L’item analisi di Rasch, considerando le misure della abilità dei soggetti e della difficoltà delle domande, opera una serie di trasformazioni che, rispetto alle procedure tradizionali di item analisi consentono di: • rendere lineare la scala di misura, ottenendo una scala a intervalli, in cui gli intervalli su punti diversi della scala corrispondono a incrementi uguali nella proprietà misurata (sia essa la difficoltà della domanda o l’abilità dei soggetti); • rendere indipendente sia la misura dell’abilità di chi risponde alla prova dall’insieme delle domande presentate, sia la misura della difficoltà delle domande dall’abilità dei soggetti a cui vengono sottoposte; • esprimere la difficoltà della domanda e l’abilità dei soggetti su una stessa scala. È così possibile calcolare lo scostamento dei risultati empirici dal modello atteso attraverso una procedura di calcolo che fornisce un indicatore di corrispondenza (fit) al modello che consente di determinare il grado di incoerenza (misfit) di ciascun quesito rispetto al modello probabilistico

[10]Consideriamo il caso in cui ciascuna domanda contribuisce con lo stesso peso alla rilevazione dell’abilità che la prova intende misurare. In questo caso procediamo attribuendo il punteggio grezzo 1 alle risposte corrette e 0 alle risposte errate, omesse o non raggiunte .

[11]Si ottiene dividendo il numero delle risposte corrette il numero dei casi:

formula 2 -77

[12]L’indice di discriminatività di un item si può ricavare dal rapporto tra la differenza della somma delle risposte esatte dell’estremo superiore e quelle dell’estremo inferiore della unità di analisi con il numero di soggetti che compongono l’estremo:

formula 3 -77

dove:
d = indice di discriminatività
esup = risposte esatte dell’estremo superiore
einf = risposte esatte dell’estremo inferiore
n = numero dei soggetti di un estremo

L’indice varia da +1 a -1. Il valore 0 indica che l’item in esame non è discriminativo, ossia che i soggetti nell’estremo superiore e i soggetti nell’estremo inferiore rispondono all’item allo stesso modo. Quando invece il gruppo dei soggetti che hanno ottenuto un punteggio alto al test risponde meglio, la discriminatività ha segno positivo. Quando l’indice di discriminatività è superiore a 0,30 si può ritenere che la domanda ha una buona capacità di discriminare i due gruppi di soggetti, e quindi di misurare la variabile in esame .

La discriminatività di un item è anche calcolabile attraverso la correlazione punto-biseriale. Il punto biseriale è un coefficiente di correlazione che si ottiene mettendo in correlazione i risultati ottenuti da tutti i soggetti che hanno risposto correttamente a un singolo item con i punteggi di tutti i soggetti nell’intera prova, meno quella domanda. La formula generalmente utilizzata per calcolare il punto biseriale è la seguente:

formula 4 -77

Dove:
e= Media dei punteggi dei soggetti che hanno risposto bene all’item
t = Media dei punteggi al test dell’intero campione
s = Deviazione standard dei punteggi dell’intero campione
p = risposte esatte all’item/n. dei soggetti .

Il punto biseriale varia da –1 a +1. Un punto biseriale vicino allo 0 indica che la domanda non discrimina chi è andato bene alla prova da chi è andato male. Una discriminatività positiva, superiore a 0,3 indica che la domanda discrimina i soggetti più capaci da quelli meno capaci e tanto più questo valore si avvicina a 1,0 migliore è la capacità della domanda di “misurare”. Una discriminatività negativa indica che, fra chi risponde esattamente alla domanda, sono più numerosi quelli che sono andati complessivamente peggio alla prova (Per avere un esempio di item analisi in cui è stato applicato il punto biseriale  si veda Lucisano – Siniscalco, 1992)

Bibliografia

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La formazione pre-laurea in cure palliative e in terapia del dolore: una raccomandazionen.77, 2018, pp. 3446-3450, DOI: 10.4487/medchir2018-77-1

Abstract

La Legge 38 del 15 aprile 2010 indica che il MIUR e il Ministero della Salute hanno l’obbligo di individuare criteri per la realizzazione di specifici percorsi formativi in materia di Cure Palliative e di Terapia del Dolore. Ad oggi sono stati pianificati a tale scopo numerosi masters. Tuttavia, alla luce della legge e dei bisogni di una Società Civile è necessario sviluppare insegnamenti specifici in tutti i corsi che si occupano di formare professionisti della salute. Per tale motivo la Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CPPCLMM& C) è stata sempre al centro di discussioni e dibattiti su tali argomenti. Nel gennaio 2018, la CPPCLM-M&C ha ritenuto opportuno approvare una mozione per incentivare l’introduzione di percorsi specifici, debitamente indirizzati alle cure palliative e alla terapia del dolore, nei Corsi di Laure .

Parole chiave: le cure palliative, la terapia del dolore .

The law 38 released in 2010 clearly states that the MIUR and the Ministry of Health must design masters courses and identify criteria for the implementation of specific training courses in the fields of the Palliative Care and of the Therapy of Pain. While the Masters have already been planned and activated throughout the country, as regards specific training courses in the various pre- and post-graduate university courses, nothing has been done yet. Today the statement, considered by all civil society and not only by the Law, that the training in Palliative Care and in Therapy of Pain is of fundamental importance and it has to be developed for all who will be involved in the protection of health, has not yet found a practical realization. The Conference of the Presidents of the Degree Course in Medicine and Surgery (CPPCLM-M&C) has for years opened a debate on the topics and today we can see a possible solution, approved by the Assembly of the Conference that was held 22 January 2018 .

Key Words: Palliative Care, Treatment of Pain, End of Life, Pre-graduate Course

Articolo

Introduzione

La Legge 38 del 15 aprile 2010 recita chiaramente che il MIUR e il Ministero della Salute hanno l’obbligo di arrivare alla formulazione di corsi di Master ed alla individuazione di criteri per la realizzazione di specifici percorsi formativi in materia di Cure Palliative e di Terapia del Dolore1. Mentre i Master sono stati già pianificati e attivati su tutto il territorio nazionale, per ciò che riguarda la stesura specifici percorsi formativi nell’ambito dei diversi corsi universitari pre- e postlaurea, ancora non si è fatto nulla. Eppure, la affermazione, ritenuta da tutta la società civile, e non solo dalla Legge, che la cultura e la formazione in Cure Palliative è essenziale e venga sviluppata a tutti i livelli formativi di coloro che saranno addetti alla tutela della salute, non ha trovato ancora una realizzazione pratica .
La Conferenza dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia (CPPCLM-M&C) già da anni ha aperto un dibattito sul tema ed oggi si intravede una possibile soluzione, proposta e approvata dalla assemblea della Conferenza del 22 gennaio 2018 ed oggi in fase di attuazione .

L’Impegno della CPPCLM-M&C

Il tema dell’insegnamento universitario delle Cure Palliative e della Terapia del Dolore è stato oggetto di un paio di articoli pubblicati da questa rivista2,3 .
In entrambi sono state esposte esplorazioni e possibili soluzioni tecniche per realizzare nei corsi di Medicina e Chirurgia un programma dedicato alle due aree .
Nel primo articolo, datato 2013, era stata formulata la ipotesi di una “dorsale didattica” in modo tale che gli insegnamenti, in particolare quello delle Cure Palliative, potessero essere trattati gradatamente durante lo svolgimento del piano di studi nell’ambito di corsi con contenuti inerenti ai temi dei bisogni nelle fasi finali della vita di coloro che sono affetti da malattie croniche degenerative2 .
Nel secondo articolo, quello del 2017, sono stati esposti i risultati di un gruppo di lavoro costituito da rappresentanti della CPPCLM-M&C e della Conferenza Permanente dei Direttori di Master Universitari in Cure Palliative e in Terapia del Dolore3 .
In questo articolo era proposta la realizzazione di un programma di studio che fosse flessibile in relazione alla disponibilità delle diverse sedi universitarie ma i cui principi costitutivi fondamentali fossero delineati da una posizione definita dal corso di studio e riportata nella Scheda Unica Annuale (SUA). Nell’articolo si riprendeva la possibilità di una dorsale didattica ma veniva segnalata anche la esperienza di alcune sedi universitarie che hanno basato l’insegnamento su un corso specifico, in genere di un CFU-T, “imprestato” dalla Medicina Interna o dalla Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore. In questi corsi l’insegnamento era tenuto da docenti a contratto provenienti dal mondo professionale .
Quest’ultimo approccio rileva un aspetto importante che è quello di dedicare un corso specifico al tema affrontato e non inserire l’argomento all’interno di problematiche, anche cliniche, diverse, con un approccio metodologico differente a seconda dei docenti coinvolti. Il problema della didattica, in particolare anche se non esclusivamente delle Cure Palliative, di chi e come insegna, e su quali basi culturali è un problema delicato perché la Università sta iniziando ora a metabolizzare la necessità di insegnare gli argomenti della palliazione e del dolore nei malati inguaribili a prognosi infausta. Il corpo docente quindi deve affrontare ancora qualche passaggio prima di riuscire ad essere completamente solido per affrontare il tema .
Il docente universitario oggi deve ancora affinare la “cultura della palliazione” e inserirla in maniera sintonica al fianco della” cultura tecnica” della cura della malattia. E’ un processo di penetrazione e di affermazione culturale di materia “nuova” all’interno dell’Accademia che si prospetta inevitabilmente lungo .
Però non è possibile attendere ancora quindi l’idea di corsi dedicati, anche con il contributo di docenti esterni alla Università, è apparsa come una soluzione da percorrere in questo momento.

I problemi di inserimento di corsi specifici in Cure Palliative e in Terapia del Dolore nel CdL e ipotesi di soluzione

Nel percorso di formazione del CLM i crediti obbligatori teorici (CFU-T) sono 300 e quelli obbligatori pratici professionalizzanti (CFU-F) sono 60 per un totale di 360 crediti. I crediti formativi teorici (CFU-T) sono affidati ai settori scientifici disciplinari (SSD) e sono obbligatori .
Un primo ostacolo all’inserimento di un nuovo corso nei piani di studio è trovare la disponibilità di CFU. Così come sono organizzati oggi i corsi di Laurea, e tra questi anche quello in Medicina e Chirurgia, togliere crediti agli insegnamenti già formati all’interno dei CFU-T è una operazione difficilmente perseguibile .
Inoltre, non esiste oggi un SSD specifico per le Cure Palliative e né un SSD specifico per la Terapia del Dolore (anche se comunque quest’ultimo tema si trova nella declaratoria del MED/41-Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore) .
Per aggirare questi ostacoli si è ipotizzato di prendere i crediti formativi dai CFU-F obbligatori perché questi non hanno l’obbligatorietà di un SSD e, anche se si devono aggregare ad un SSD, possono essere svolti in maniera autonoma. Peraltro, i 60 CFU-F non sempre riescono ad essere impiegati tutti, quindi la loro attribuzione non presenta confini conflittuali particolarmente rigidi. Infine, a sostegno della validità didattica, i CFU-F possono essere espletati come seminari professionalizzanti o altre forme didattiche che non necessariamente implicano un approccio al letto del malato .
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, il Gruppo di Lavoro ha proposto alla CPPCLMC l’inserimento nel percorso di formazione del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di 2 CFU-F: 1 CFU-F in Cure Palliative (o Medicina Palliativa) e 1 CFU-F in Terapia del Dolore (o Medicina del Dolore) .
I crediti dovrebbero essere presi tra i 60 CFU-F obbligatori e sono di 25 ore/cfu. Questi crediti prevedono una valutazione finale con idoneità che, aggregata ad un SSD specifico, potrà confluire in un voto che nella valutazione complessiva terrà conto di questa idoneità. Si possono aggiungere a tal scopo anche abilità certificate sul libretto studente .
I CFU-F saranno associati ad un SSD: la proposta è quella di aggregare il CFU-F in Cure Palliative a Medicina Interna (MED 09) oppure a Oncologia Medica (MED 06) o ad uno degli altri 7 SSD citati dal DL ovvero oncologia medica (MED06), malattie infettive (MED17), radioterapia (MED36), ematologia (MED15), medicina interna (MED09), neurologia (MED26), pediatria (MED38), geriatria (MED09), anestesia e rianimazione (MED41) e di aggregare il CFU-F in Terapia del Dolore ad Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore (MED 41). Si propone inoltre l’inserimento nel quadro A4b2 della SUA dei Corso di Studio (CdS) dei diversi Atenei l’obiettivo specifico del sapere e saper fare con frasi riguardanti gli obiettivi sulle cure palliative e sulla terapia del dolore in ambito adulto, geriatrico, pediatrico (Tavola I). Con questa proposta un Corso in Cure Palliative e un Corso in Terapia del Dolore entrano di fatto con il loro titolo nel piano di studi dei CdL in Medicina e Chirurgia. Questi due insegnamenti saranno frequentati da tutti gli studenti perché fanno parte dei 60 CFU-F obbligatori, pertanto: (1) possono essere riconosciuti come denominazione a sè stante anche se con una aggregazione che dipende da ogni singolo CdS, (2) devono essere svolti per il conseguimento del diploma di laurea, (3) devono essere certificati .
L’attivazione dei due CFU-F viene completata attraverso l’inserimento negli obiettivi della SUA-CdS Quadro A4b2 (non RAD o non ordinamentale) di ogni singolo Ateneo e non devono passare necessariamente alla approvazione di CUN e MIUR .
La scelta dei docenti è affidata ad ogni CdS e si basa su criteri di qualità raccomandati dalla CPPCLMC riferibili principalmente a indicatori bibliometrici e a esperienza didattica in ambito accademico .

Conclusioni

La proposta, elaborata e presentata da Tiziana Bellini, è stata recepita dalla CPPCLM-M&C nella assemblea del 22 gennaio 2018 ed è stata l’oggetto della raccomandazione proposta dal Prof. Andrea Lenzi, Presidente della Conferenza, approvata alla unanimità ”… a tutti i CLM in Medicina e Chirurgia di integrare, a partire dall’aa 2017-2018, con 2 CFU-F di tirocinio professionalizzante, ricompresi nei 60 CFU F obbligatori dell’ordinamento dei CLM in Medicina e Chirurgia, denominando rispettivamente 1 CFU-F Cure Palliative (o Medicina Palliativa) e 1 CFU-F Terapia del Dolore ed associandoli ai SSD più opportuni, in funzione delle Sedi nell’ambito di quelli previsti nelle normative sopracitate, e di implementare i singoli CLM con attività didattiche riguardanti gli obiettivi specifici sulle Cure Palliative e sulla Terapia del Dolore in ambito pediatrico, dell’adulto e geriatrico.” (Tavola II) .
La raccomandazione considera pertanto lo sviluppo della didattica in Cure Palliative e in Terapia del Dolore non solo nel contesto di CFU dedicati ma anche all’interno di materie in cui dovrebbero essere affrontate tematiche e patologie che nella loro storia naturale possono evolvere nella cronicità e nella inguaribilità .
Prima dell’estate del 2017 è stato istituito un “Tavolo tecnico misto MIUR-Ministero della Salute per la individuazione dei criteri generali per la disciplina degli ordinamenti didattici di cui all’Articolo 8 della Legge 38”. Il tavolo tecnico ha elaborato proposte per l’inserimento degli insegnamenti in Cure Palliative e in terapia del Dolore nelle Scuole di Specializzazione Mediche, nei Corsi dei Laurea delle Professioni Sanitarie e in quelli di Psicologia, nei Corsi di formazione dei Medici di Medicina Generale. Il tavolo ha recepito anche la proposta del CPPCLM-M&C. Il punto di arrivo di tali proposte sarà la produzione di Decreti Ministeriali per la regolamentazione della formazione universitaria nell’area della palliazione e della medicina del dolore, in analogia a quanto avvenuto nel 2012 per i Master .
Il tavolo di lavoro e quanto recepito e approvato dalla CPPCLM-M&C sottolineano l’impegno delle Istituzioni nello sviluppo di una cultura palliativa che venga generata con con una didattica formalizzata e condivisa .
Il passo fatto dalla CPPCLM-M&C è veramente importante e pone la Accademia italiana al passo con quella di altre “leading countries” occidentali nel contesto della formazione dei nuovi medici4,5. In fase applicativa la raccomandazione deve confrontarsi con le disponibilità delle diverse sedi universitarie che dovrebbero agire sulla base di criteri generali condivisi. Certamente, perlomeno che ciò che riguarda le Cure Palliative, non è pensabile che tutti gli studenti possano svolgere le 25 ore dei CFU-F su pazienti in cure palliative. Appare opportuno quindi ipotizzare piani di formazione che devono escludere la didattica frontale ma potrebbero includere quella seminariale professionalizzante, e-learning, partecipazione a briefing multidisciplinari nei nodi delle reti. Anche la scelta dei docenti dipenderà dalle disponibilità locali ma è importante che avvenga sulla base di profili di conoscenza del tema e di provata capacità didattica e scientifica .
L’inserimento delle Cure Palliative e della Terapia del Dolore nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia pone inevitabilmente la necessità di un confronto del mondo universitario, che si responsabilizza nella formazione in tali ambiti su cui è ancora un po’ acerbo, con quello delle professioni, che, soprattutto nell’area delle Cure Palliative ha sviluppato temi di applicazione clinica e organizzativa ma che deve avviare una riflessione interna per definire quale idoneità scientifica e didattica è in grado di offrire a supporto di una formazione universitaria di qualità.
Lo stesso percorso dovrà essere fatto anche dalle altre figure professionali coinvolte nella cura palliative e del dolore perché tutta la formazione implica un confronto non solo tra Università e mondo delle professioni ma anche tra discipline mediche, specialistiche, infermieristiche per la caratteristica fortemente multidisciplinari delle Cure Palliative e per la interazione di queste con la Terapia del Dolore .
La qualità della docenza, la regolarità dello svolgimento del piano didattico e la conformità degli obiettivi formativi nel rispetto delle SUA, delle raccomandazioni della Conferenza, e di possibili futuri decreti legge potrebbero essere oggetto di valutazione da parte degli studenti che hanno dimostrato già da tempo interesse e bisogno di conoscere le problematiche del fine vita e del dolore per completare la loro formazione professionale.

Tavola I: un esempio di SUA CdS QUADRO A4.b2 che sostiene gli insegnamenti di Cure Palliative e di Terapia del Dolore nel CdL in Medicina e Chirurgia (in grassetto) (Università di Ferrara cortesia della Prof.ssa Tiziana Bellini)Schermata 2018-05-03 alle 12.43.41

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Cita questo articolo

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Editorialen.77, 2018, pp. 3445

Schermata 2017-04-26 alle 14.01.00

Questo primo numero dell’anno 2018 è un fascicolo prezioso per tutti i Docenti attuali e quelli che verranno. Infatti, nella parte centrale troverete un “documento”, frutto della cooperazione tra la “Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia”, con il suo “Gruppo di Innovazione Pedagogica” e la “Società Italiana di Pedagogia Medica” con il contributo del Prof. Pietro Lucisano, professore ordinario di Pedagogia sperimentale. Il documento, del quale avevo già dato annuncio nell’ultimo numero, è relativo ai Test con risposte a scelta multipla multipla (Multiple choice question, MCQ): strumento di verifica dell’apprendimento e/o delle conoscenze che il futuro medico incontra in varie occasioni durante il suo percorso formativo. Al giorno d’oggi i MCQs sono la forma di verifica sempre più utilizzata, dai test di ammissione al corso fino a quelli di ammissione alle scuole di specializzazione e, pertanto, ho ritenuto necessaria la redazione di questo documento allo scopo del corretto allestimento di questo tipo di test .
Il numero è ulteriormente arricchito dallo scritto sulla formazione pre-laurea in cure palliative e terapia del dolore. Da molto tempo la Conferenza si sta occupando di tali argomenti grazie al Gruppo di Lavoro dedicato, tanto che durante l’assemblea del 22 gennaio 2018 è stata approvata una mozione (che troverete alla fine dell’articolo) che raccomanda a tutti i CLMs in Medicina e Chirurgia di integrare le Cure Palliative e la Terapia del Dolore nell’ambito dei tirocini professionalizzanti .
Da Ferrara, arriva come preannunciato nell’ultima adunanza della Conferenza, una altra bella iniziativa relativa alla medicina di genere. Infatti, troverete un articolo sulla creazione di un ambiente strutturato, fruibile online, che racchiude molta della letteratura raccolta sulla medicina di genere dalla Prof. Fulvia Signani e che verrà messa prestissimo a disposizione della Conferenza .
Chiude il numero l’articolo nella sezione “uomini, scuole e immagini della storia della medicina”, che Giovanni Danieli ha sempre ritenuto fiore all’occhiello della rivista .
Nel notiziario sempre presenti i nostri Studenti attraverso il SISM e la voce dell’ANVUR grazie alla puntuale presenza del suo Presidente, il Prof. Paolo Miccoli. Proprio quest’ultimo scritto è di grande importanza riportando, tra l’altro, notizie dell’accreditamento dei Corsi di Dottorato di Ricerca e sul riaccreditamento delle Scuole di Specializzazione di area sanitaria .
Mi sembra giusto fare cenno alla sempre più fedele presenza delle altre Conferenze che ci onorano ogni volta di un piccolo scritto nella sezione “News”. Il nome dato dai fondatori alla nostra rivista oggi diventa una realtà. Questo sono e dovranno sempre più essere i “Quaderni delle Conferenze Permanenti” .
Buona lettura,
Andrea Lenzi
Presidente dell’Associazione Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Indice n.77/2018

MEDICINA E CHIRURGIA
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

77/2018

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale, di Andrea Lenzi

Opinioni Istituzionali

La formazione pre-laurea in cure palliative e in terapia del dolore: una raccomandazione, di Guido Biasco, Tiziana Bellini, Andrea Lenzi

I lavori delle Conferenze Permanenti

I test con risposte a scelta multipla nel percorso formativo del medico, di Bruno Moncharmont, Pietro Gallo, Stefania Basili, Fabrizio Consorti, Carlo Della Rocca, Giuseppe Familiari, Pietro Lucisano, Oliviero Riggio, Andrea Lenzi

Lo spazio dell’Ospite

Uomini, scuole, luoghi e immagini nella Storia della Medicina

Il Pennsylvania Hospital, un ospedale dei primati nella culla degli Stati Uniti d’America, di Luca Borghi

Notiziario

Notizie dall’ANVUR, dal CUN, dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, dal SISM, di Paolo Miccoli, Manuela di Franco, Alvisa Palese, Matteo Cavagnacchi