Notizie dalla Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Meeting di Portonovo 12-14 settembre 2013

Il Meeting Annuale della Conferenza si è tenuto a Portonovo (Ancona) dal 12 al 13 settembre. Il 14 settembre si è realizzata una riunione congiunta con la Conferenza dei Presidenti delle lauree Magistrali a ciclo unico in Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e la Conferenze dei Presidenti delle Scuole di Medicina) per sviluppare riflessioni e prospettive di lavoro su problematiche comuni.

La partecipazione al Meeting della Conferenza è stata ampia.

Avevano giustificato la loro assenza il Presidente e la Vicepresidente della Commissione Nazionale CdL Ostetrica/o, prof. Colacurci e dott.ssa Vicario, che avevano annunciato l’organizzazione della prossima Commissione Nazionale del CdL in Ostetricia il 7 novembre p.v. presso il Congresso Straordinario AGUI; il prof. U. Tarantino, Presidente del CdL in Tecniche Ortopediche in quanto all’estero per attività accademiche.

Sulla base del programma, si riportano di seguito gli esiti e i problemi più rilevanti discussi durante il Meeting e gli impegni per il futuro.

a) Linee guida di indirizzo per l’esame finale. Dopo un lungo processo di consenso che ha visto la partecipazione delle Commissioni Nazionali e della Giunta, sono state portate all’Assemblea le ‘Linee guida per la progettazione, gestione e monitoraggio della qualità dell’esame finale’. Alla discussione e approvazione definitiva nella sede di Portonovo, era presente anche per il Ministero della Salute il dott. Massimo Giannetta che ha ribadito la rilevanza dell’esame finale e offerto contributi interpretativi sulla circolare dello scorso gennaio 2012. Il Dott. Giannetta ha precisato che le Linee guida, così come presentate, interpretano adeguatamente lo spirito della Circolare più volte richiamata; laddove si indicava nella stessa l’esigenza di fare valere ‘in parti uguali’ la prova pratica e la tesi non si voleva offrire una indicazione ‘quantitativa’ ma suggerire l’attribuzione di un valore anche alla prova abilitante (che oggi esita in idoneo/non idoneo). Ha, inoltre, precisato che la Commissione deve essere unica nella definizione dei criteri di conduzione dell’esame anche se in alcune modalità (ad esempio quando effettuata a letto del paziente) non necessariamente tutti i Componenti devono essere presenti contestualmente anche per salvaguardare la dimensione etica e proteggere il paziente. L’Assemblea ha chiesto al dott. Giannetta che il verbale di regolarità predisposto dal Rappresentanti del Ministero della Salute, includa anche l’indicazione

– se le attività didattiche teoriche e professionalizzanti di tirocinio sono state realizzate nella misura minima prevista dai Decreti Interministeriali (30 o 15 CFU da docenti appartenenti al profilo del CdL corso di laurea e 60 CFU di tirocinio);

– se le attività didattiche teoriche e professionalizzanti di tirocinio sono state formalmente affidate rispettivamente a docenti del SSD e a un Coordinatore/Direttore di adeguata esperienza appartenente allo specifico profilo professionale del CdL.

In allegato al presente, si riporta il documento approvato che si conclude con alcune raccomandazioni per il futuro. Infatti, l’Assemblea ritiene necessario, per potenziare la qualità dell’esame finale,

– sviluppare strategie e sistemi che assicurino una valutazione progressivamente indipendente e standardizzata delle competenze raggiunte dai laureandi, anche tramite l’attivazione di sperimentazioni di prove di abilitazione nazionali;

– sviluppare una attenzione ai laureandi portatori di disabilità, al fine di assicurare (come peraltro

all’ammissione) un esame finale appropriato al singolo studente, ma anche alle competenze attese dal profilo ed al mandato sociale;

– attivare, attraverso i rappresentanti ministeriali, un monitoraggio nazionale su modalità e criteri di conduzione degli esami finali, con particolare riferimento alla effettiva realizzazione dei tirocini professionalizzanti (nei CFU prescritti dalla norma) ed alla effettiva progettazione/conduzione di questi da parte di un Coordinatore/Direttore formalmente incaricato e appartenente allo specifico profilo professionale di riferimento del CdL;

– sviluppare sinergie con le rappresentanze professionali (Ordini/Collegi/Associazioni) e dei servizi al fine di individuare le competenze attese dal sistema dai neolaureati, al livello iniziale, tenendo conto anche delle competenze avanzate acquisibili in cicli successivi.

b) Master e Osservatorio. Il Prof. Stella componente dell’Osservatorio Nazionale, ha riferito lo stato dell’arte della riflessione e gli scenari futuri in ordine ai Master delle professioni sanitarie. In particolare, rispetto al Gruppo 2 ‘Profili Formativi’, dopo una prima panoramica sulla numerosità dei Master proposti da ciascuna rappresentanza professionale, ha riferito che si sta ipotizzando un sistema di avanzamento delle competenze che differenzia i Master tipizzati (o specialistici o professionalizzanti), correlati a specifiche funzioni attese dal SSN, e quelli a valenza culturale su tematiche trasversali e multiprofessionali come, per esempio, la Bioetica.

Inoltre, ha ricordato che dal giugno 2010, il CUN ha chiesto l’allineamento della denominazione dei titoli di Laurea di secondo livello (Magistrale) a quelli riportati nel Processo di Bologna (Master of Science) al fine di assicurare uno sviluppo armonico dei percorsi formativi italiani con quelli europei. Ha quindi precisato il contributo degli attuali Master di 1° livello, ricollocandoli all’interno del perfezionamento scientifico o di alta formazione permanente e ricorrente (art. 3 del Decreto

MURST 509/1999 e Decreto MIUR 270/2004, e attivati secondo le modalità di cui all’articolo 1, comma 15, Legge14 gennaio 1999, n. 4) a cui si accede dopo la laurea o un titolo straniero comparabile. Infine, nel costruire una relazione tra il framework Europeo e la Legge 43/2006, con riferimento alla numerosità delle proposte pervenute all’Osservatorio, ha precisato l’esigenza di procedere sulla base dei seguenti criteri;

– Individuare competenze avanzate o funzioni specialistiche che richiedono un approfondimento superiore a quello già presente nella formazione base della triennale;

– Evitare l’estensione di competenze in sovrapposizione alle aree proprie di altre professioni sanitarie;

– Evidenziare il fabbisogno del SSN attuale e futuro;

– Riferirsi ad evidenze di Master consolidati anche in altri contesti Europei.

Infine, ha suggerito che i Master siano inclusi nel sistema di accreditamento AVA. In particolare, è necessario monitorare la qualità formativa dei Master affinché siano anch’essi professionalizzanti fissando norme che definiscano i criteri di accesso e un ordinamento didattico uniforme a livello nazionale.

Dal dibattito di questa sessione è emerso un ricco confronto sulle attuali Lauree Magistrali (LM) e la loro diversificazione dai Master. I corsi di LM delle 4 classi delle professioni sanitarie, così come sono state pensate, ma non sempre realizzate, si proponevano di offrire ai professionisti sanitari lo sviluppo di abilità di dominio delle logiche e delle prassi professionali al fine di governare la complessità, prendere decisioni, attivare sinergie e integrazioni nei sottosistemi; per questo il piano di studi ha sino ad ora proposto metodologie manageriali, formative, di ricerca e disciplinari.

Se questa impostazione si presenta ancora valida e interessante, emerge dalle professioni più numerose e con aree di intervento complesse, l’esigenza di sperimentare una LM con un ordinamento didattico nuovo finalizzato ad un approfondimento disciplinare in un campo di responsabilità specifica.

Questa tematica sarà all’attenzione dei prossimi lavori della Conferenza.

c) Relazioni con le istituzioni. Il Direttore Generale del Ministero della Salute dott. Giovanni Leonardi intervenuto a conclusione del pomeriggio, ha precisato l’esigenza di sviluppare una formazione avanzata congruente alle attese e ai bisogni del Sistema Sanitario Nazionale ed ha invitato a riformulare la proposta di Master individuando un numero ridotto di corsi, ma fortemente allineati alle esigenze sanitarie e sociali del paese.

d) Interventi preordinati. Nella sessione delle relazioni preordinate è stata riferita l’esperienza dell’Università di Salerno relativa all’insegnamento integrato e multiprofessionale dell’anatomia coinvolgendo studenti di ostetricia, fisioterapia, infermieristica e medicina (Calabrese MC, Nori SL, Oro R, Vecchione C). E’ stato presentato lo stato di avanzamento del progress test relativamente al lavoro dei CL di Fisioterapia e Logopedia (Pillastrini P, Lovato G); è stata, inoltre, illustrata l’esperienza del gruppo di lavoro della Commissione Nazionale di Fisioterapisti rispetto alla revisione della durata del corso di studio e alla sua articolazione interna (Marcovich/Bielli S); infine, è stata segnalata la problematica relativa ai corsi di studio attivati per Terapisti della Riabilitazione che si riferiscono ad un profilo non attivo in Italia (Ferrari A) che ha stimolato una articolata discussione; infine, la Commissione Nazionale dei CdL Infermieristica ha presentato le Linee Guida per i programmi di Infermieristica approvati in Commissione Nazionale (Maragnolli O).

e) Dati sulle immatricolazioni. Angelo Mastrillo ha riferito l’analisi di trend delle immatricolazioni indicando che dai dati preliminari a disposizione si è registrata complessivamente una diminuzione dell’11% delle domande per le professioni sanitarie e del 0.6% per Medicina/Odontoiatria.

Tale dato è difforme sul territorio nazionale: ad esempio, per le Professioni Sanitarie da -18% della regione Piemonte e Marche al + 2% della regione Calabria. Rimane molto elevata la quantità di candidati per Fisioterapia (13.9/posto) e Logopedia (11.1/posto). In linea generale, tuttavia, si è osservata una flessione seppur minima su tutte le professioni sanitarie: iniziano a comparire professioni con meno di un candidato per posto (es. Terapista Occupazionale; Assistenti Sanitari). Il tasso di occupazione registrato da Alma Laurea è in calo ma comunque al di sopra di quello osservato in Corsi di Laurea dell’area non sanitaria.

Una profonda riflessione sarà necessaria nell’immediato futuro rispetto ai fabbisogni.

f) TeachingUniversities/ResearchUniversities. E’ intervenuto quindi il Professor Familiari riportando la diversità e il dibattito sulle Teaching University e Research University.

Nella sua relazione sono stati enfatizzati i seguenti aspetti: la differenza tra Ospedale di Insegnamento e Ospedale di Ricerca in cui, in accordo alla letteratura, non può esserci dicotomia tra insegnamento e ricerca. Infatti, l’insegnamento di qualità deve essere accompagnato da un ambiente educativo adeguato; inoltre, è necessario attuare progetti didattici che integrino la ricerca scientifica di base e translazionale, i poli assistenziali di elevata qualificazione i e poli didattici ad elevata tecnologia in una rete didattica integrata che dialoga costantemente con gli organi di governo dei corsi di studio.

In quest’ottica si colloca anche il contributo dell’Association of MedicalEducation in Europe (AMEE) il cui congresso si è appena tenuto a Praga in agosto 2013; nel 2014 il Congresso si terrà a Milano (inizi settembre). Si sollecitano i componenti della Conferenza ad inviare lavori scientifici.

g) Assemblea. La Conferenza si è conclusa con l’Assemblea in cui si sono assunte le seguenti decisioni:

1. Il Segretario generale da lettura testuale del verbale di Giunta dello scorso 20 marzo in cui si era discusso rispetto alle elezioni.

“Le Presidenze, le Vicepresidenze e i componenti delle Commissioni nonché quelli della Giunta, scadono a dicembre 2013.

Considerata l’esigenza di completare i lavori in corso, di dare modo ai Corsi di Studio di individuare i propri Coordinatori attraverso i processi di elezione di Ateneo (in atto entro l’anno in molte sedi), e di realizzare elezioni efficaci, si propone di sottoporre all’Assemblea la possibilità di posticipare le elezioni degli organi della Conferenza al 2014.

Dopo articolata discussione e analisi degli elementi a favore e contro, la prof.ssa Saiani chiede ai presenti di esprimere il proprio parere. I presenti, per alzata di mano con 25 voti favorevoli 1 voto contrario 1 astenuto approvano di portare all’Assemblea che si terrà a Portonovo (Ancona), la proposta di posticipazione delle elezioni delle cariche della Conferenza a settembre 2014.”

Ponendo la questione ai voti, l’Assemblea approva all’unanimità la posticipazione delle elezioni delle cariche della Conferenza a Settembre 2014 in sede da individuare.

2. In ordine alla problematica sollevata dalla Commissione Nazionale Fisioterapisti rispetto alla presenza sul territorio italiano di istituti che offrono formazione per Tecnico della Riabilitazione, superata dagli attuali ordinamenti didattici, si decide all’unanimità di segnalare la questione al Ministero della Salute attraverso una Mozione il cui contenuto è approvato all’unanimità. Si procederà alla valutazione della mozione ed alla sua analisi di contenuto consultando anche esperti nella disciplina giuridica.

3. Con riferimento alla questione dell’assenza in numerosi corsi di Laurea dell’incarico formale di Coordinatore/Direttore delle attività professionalizzanti ad un Docente in possesso dei titoli, o alla esclusione di tale ruolo nelle Commissioni di esame finale o negli Organi di rappresentanza (consiglio di corso) è approvata all’unanimità una Mozione.

h) Sessione congiunta delle tre Conferenze. I lavori della Conferenza sono proseguiti il 14 settembre in forma Congiunta con le altre Conferenze. In tale incontro particolare dibattito si è sviluppato sulle questioni attinenti alle procedure AVA in cui non appare adeguatamente rappresentata la componente professionalizzante che più caratterizza i Corsi di Laurea Sanitari e il contributo del Servizio Sanitario Nazionale di cui all’articolo 6 DLgv 502/92. A tal fine, l’Ufficio di Presidenza si impegna a trasmettere al Prof. Massimo Castagnaro del Consiglio Direttivo ANVUR ogni documentazione utile a comprendere le specificità delle lauree sanitarie.

i) Programmazione dei lavori futuri della Conferenza. Particolare rilevanza dovrà essere attribuita alla

1. analisi del fabbisogno di professionisti sanitari anche coinvolgendo i rappresentanti della Conferenza Stato Regioni, delle Professioni, dell’ISTAT e dell’INPS per comprendere in modo articolato il fenomeno;

2. Mission delle lauree Magistrali;

3. Durata e articolazione dei corsi di studio delle lauree triennali;

4. Strategie didattiche, tirocini, competenze minime attese ed esame finale di abilitazione per gli studenti portatori di disabilità.

Sarà inoltre individuata una sede per il Meeting che offra un corso di formazione valorizzato ECM.

 

Notizie dalla Conferenza Permanente dei CLM in Medicina e Chirurgia

Portonovo di Ancona 13-14 Settembre 2013

La 112a Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia si è tenuta il giorno 13-14 settembre 2013 nella splendida cornice di Portonovo e magistralmente organizzata da Giovanni Danieli e dai colleghi di Ancona. Nella prima giornata la Prof.ssa Basili ha illustrato i punti salienti della pianificazione e programmazione della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia sulle prossime scadenze AVA, e ricorda che la Scheda Unica Annuale (SUA) è uno strumento gestionale funzionale alla progettazione, alla realizzazione, all’autovalutazione e alla ri-progettazione del Corso di Studi, che deve essere completata entro il 30 maggio di ogni anno e si compone della “sezione qualità” e “sezione amministrazione”. La Prof.ssa Basili riferisce, inoltre, le date relative agli impegni per la realizzazione della prova del Progress Test che si svolgerà il 13 novembre 2013. Infine, il Prof. Curcio presenta sinteticamente il Rapporto del Gruppo di Lavoro sulla Valutazione della didattica. Il 14 settembre si è tenuta la Riunione congiunta delle Conferenze permanenti della Facoltà e Scuole e di Medicina su “Autovalutazione, Valutazione Periodica ed Accreditamento dei Corsi di Laurea” con le relazioni dei Professori Massimo Castagnaro e Giuseppe Novelli del Consiglio direttivi dell’ANVUR e dei Presidenti delle quattro Conferenze, magistralmente coordinati dal Prof. Luigi Frati. Le novità e gli aspetti critici sono stati ampiamente dibattuti ed approfonditi.

Roma, 9 Dicembre 2013

La 113a Conferenza Permanente dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia si è tenuta il giorno 9 dicembre 2013 a Roma. Dopo le comunicazioni del Presidente della Conferenza, Prof. Andrea Lenzi, il prof. Familiari presenta il primo punto all’ordine del giorno su “Questionari attitudinali e Test di orientamento” definendo le diverse fasi del modello sperimentale. Molto approfondito è stato il punto relativo al Progress Test, relatore il Prof. Tenore, sia per le note vicende, sia per l’importanza dell’argomento in previsione della sua utilizzazione per l’esame di stato. Il Prof. Della Rocca illustra il primo esercizio del secondo ciclo delle Site Visit, definendo gli intenti, il cronoprogramma, i livelli di accreditamento e le novità. Il Prof. Gaddi riferisce sullo stato dell’arte e programmi del core curriculum, e vengono presentati il razionale, i risultati e i possibili usi pratici. Di particolare interesse è stata la relazione della Prof.ssa Giovannella Baggio su “Medicina di Genere: una nuova sfida per la formazione del medico” che rappresenta una nuova dimensione della medicina che studia l’influenza del sesso e del genere su fisiologia, fisiopatologia e patologia umana. Il Prof. Consorti, relatore dell’ultima relazione su “Il Professionalism: teoria e attualità” definisce il professionalism come il contesto della competenza medica, cioè l’insieme di regole, di condizioni e di significati in cui si esplica l’opera del medico, e la capacità di riflessione critica sulla competenza tecnica, per operare scelte professionalmente competenti quando sono in gioco elementi dilemmatici o di complessità.

La prossima riunione della conferenza si terrà a Milano il 21 e 22 febbraio 2014.

Notizie dal CUN

A ottobre il CUN ha pubblicato il Rapporto relativo all’analisi dei dati risultanti dalla Consultazione pubblica telematica sui criteri di scientificità delle pubblicazioni e degli altri prodotti di ricerca per la costituzione dell’Anagrafe nominativa dei professori e dei ricercatori e delle pubblicazioni scientifiche (ANPRePS) che si è conclusa il 23 luglio.

L’obiettivo era quello di raccogliere contributi  funzionali all’individuazione dei  «requisiti minimi  idonei  a identificare il carattere scientifico delle pubblicazioni e degli altri prodotti della ricerca, ai fini del loro riconoscimento ed inserimento  nell’ANPRePS. Complessivamente sono stati registrati 16.195 questionari di cui 10.443 iniziati ma non completati, 5.752 completati e poi sottoposti a processo di validazione.

La Consultazione ha fatto registrare una partecipazione pari all’89% da parte di personale strutturato nell’Università, appartenente a tutte le aree disciplinari CUN,mentre il restante 11 è composto da figure che non appartengono al mondo accademico. L’intero rapporto è disponibile sul sito CUN. Anche alla luce delle risposte acquisite con la consultazione pubblica , il CUN  ha emanato una proposta sui criteri di scientificità delle pubblicazioni e degli altri prodotti della ricerca per la costituzione dell’ANPRePS (Criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni e degli altri prodotti della ricerca» ai sensi art.3-ter, comma 2, l. 9 gennaio 2009, n.1 e successive modificazioni).

Negli ultimi tre mesi sono state formulate raccomandazioni relative a:

Nuova disciplina delle chiamate dirette e ruolo della Comunità Scientifica in cui viene esaminata  la modalità di applicazione delle chiamate dirette con particolare riferimento all’autonomia e alla responsabilità valutativa della comunità scientifica (DM 1 luglio 2011, n. 276 ,legge n. 98 del 2013).

Finanaziamenti alla ricerca in cui prendendo atto della quota sempre minore dei finanziamenti devoluta dallo Stato alle Università per la ricerca (PRIN, FIRB, FIR) , si sottolinea l’importanza della ricerca di base liberamente proposta dai ricercatori e si auspica la massima razionalizzazione degli interventi e il recupero di risorse per i progetti di tale ricerca.

Sul calcolo e sull’uso degli indicatori finali di qualità della ricerca contenuti nella VQR 2004-2010  in cui si raccomanda che vi sia  un chiaro ed appropriato utilizzo degli indicatori della VQR e che le decisioni in tema di sviluppo universitario e di distribuzione delle risorse, tenga conto della molteplicità e complessità del sistema della ricerca universitaria utilizzando gli indicatori della VQR in modo consapevole e non automatico.

Sono state approvate inoltre diverse mozioni e formulati pareri tra cui  il Parere sullo schema di Decreto di riparto della quota premiale e dell’intervento perequativo del Fondo di Finanziamento Ordinario per l’anno 2013. Tutti i documenti sono disponibili sul sito CUN.

Riguardo al sito CUN è in corso il totale “ restiling” che auspichiamo lo renda più immediato, semplice da consultare ed efficace.

Relativamente all’Abilitazione Nazionale prosegue il monitoraggio. Le Commissioni che hanno proceduto all’invio degli atti al Ministero tramite l’apposita procedura telematica sono 149 su un totale di 184 e dal 2 dicembre è stato reso disponibile l’accesso ai risultati e agli atti dei settori concorsuali la cui ricognizione da parte del Ministero  può ritenersi conclusa. L’abilitazione partirà dalla data della pubblicazione degli atti sul sito del MIUR.

Il CUN ha proseguito la riflessione sull’open access delle pubblicazioni scientifiche e sulla nuova disciplina di cui all’art. 4, cc. 2 e 3 del Decreto legge 8 agosto 2013, n. 91 “Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, convertito inlegge, con modificazioni, con la legge 7 ottobre 2013 n. 112 (pubblicato sulla GU n. 236 del 8 ottobre 2013). Una commissione costituita da consiglieri del CUN sta lavorando con i delegati della CRUI alla formulazione di una proposta comune.

I primi di dicembre l’Assemblea generale della CRUI ha designato – ai sensi dell’art.1, comma 1 d), della legge n.18/2006 – i tre nuovi rappresentanti della CRUI al CUN, che sono:

Prof. Giovanni Melis, Rettore dell’Università di Cagliari;

Prof. Pasquale Nappi, Rettore dell’Università di Ferrara;

Prof. Giovanni Puglisi, Rettore dell’Università IULM di Milano e dell’Università Kore di Enna.

Durante la prossima seduta del 17-18 dicembre il CUN incontrerà il Presidente della CRUI  prof. Stefano Paleari.

Ospedali di Ricerca e Ospedali di Insegnamento nell’educazione medica. È necessario un dibattito?n.61, 2014, pp.2723-2727, DOI: 10.4487/medchir2014-61-3

Abstract

The concrete implementation of modern educational projects in keeping with the needs of prevention and care is changing constantly. Not only does the entire matter of the organization of medical education require rethinking, but the Faculties/Schools of Medicine also need to bring their leadership into play to foster a medical/health-care training network capable of covering the whole territory and delivering high-quality, customized tuition such as to cater for the real learning needs of medical/health-care students and graduates. 

Articolo

Introduzione

I rapporti di collaborazione tra Facoltà/Scuole di Medicina e territorio hanno origini lontane: basti pensare alla legge n 6972 del 17 Luglio 1890, là dove si trova scritto che “nelle città sede di facoltà medico-chirurgiche, gli ospedali sono tenuti a fornire il locale o a lasciare a disposizione i malati ed i cadaveri occorrenti per i diversi insegnamenti”.

Oggi, queste indispensabili interazioni sono regolate da numerosi dispositivi di legge. In breve, dalla riforma sanitaria del 1978 (legge 833) si giunge alla fine degli anni ‘90 a una nuova disciplina giuridica, rappresentata dal D.L.vo n. 517/99, che norma i rapporti tra Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e Università, e dal DPCM 24 Maggio 2001, che emana le linee guida atte a disciplinare l’integrazione tra assistenza, didattica e ricerca. Tale DPCM indica chiaramente come i rapporti tra SSN ed Università debbano essere ispirati al principio della leale collaborazione, definisce le linee della partecipazione universitaria alla programmazione sanitaria regionale, e indica i parametri per la individuazione delle strutture complesse che siano indispensabili e funzionali alle esigenze dell’Università, definendo anche il volume ottimale di attività necessaria alle attività didattiche relative al Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, ai Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie ed ai Medici in Formazione Specialistica.

Come è possibile leggere in un Documento del Ministero della Salute (2011), “con quest’ultima legislazione vengono di fatto superati i precedenti diversi modelli aziendali ed individuata una nuova tipologia di Azienda, che si caratterizza per una missione più complessa, giacchè deve raggiungere sia obiettivi assistenziali, che assicurare i compiti istituzionali delle Università. Dalla inscindibilità tra assistenza, didattica e ricerca si passa all’integrazione tra queste funzioni sulla base dei principi e delle modalità proprie dell’attività assistenziale del SSN. Non più giustapposizione tra SSN e Università, ma piena integrazione”.

Il DPCM del 24 Maggio 2001 contiene le linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra Regioni e Università per lo svolgimento delle suddette attività integrate; deve purtroppo essere notato come ancora oggi, dopo oltre un decennio dall’entrata in vigore del DPCM indicato, in molte Regioni Italiane, siano in discussione principi e norme che diano uniformità ed armonizzazione applicativa del D.L.vo n. 517/99 sul territorio nazionale.

Se nella premessa di una recentissima mozione della Conferenza Permanente delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia inviata all’On. Sig. Ministro del MIUR (seduta del 21 Novembre 2013) si legge che: “E’ necessario il pieno riconoscimento e la valorizzazione delle attività assistenziali delle Aziende Ospedaliero-Universitarie, che hanno la finalità di assicurare l’indispensabile supporto alle attività didattiche e scientifiche delle Facoltà/Scuole di Medicina; è, quindi, indispensabile il rafforzamento della collocazione delle Facoltà/Scuole di Medicina e delle Scuole di Specializzazione di area sanitaria nel Sistema universitario, con una piena e leale collaborazione con il SSN, anche mediante la realizzazione di reti formative che coinvolgano Ospedali accreditati secondo standard di qualità” si evince che il processo di armonizzazione e di piena collaborazione previsto dalle leggi vigenti per Università e SSN è ancora in una fase di dibattito, con nodi che debbono ancora essere sciolti e problematiche che debbono essere ancora risolte.

Lo scopo di questa breve nota è essenzialmente quello di fornire alcuni elementi per un forum di discussione, ma anche alcune ipotesi organizzative e proposte di razionalizzazione, nell’ottica del processo di internazionalizzazione del nostro sistema formativo, che tutte le nostre Facoltà/Scuole di Medicina hanno ormai, da lunghi anni, intrapreso (Familiari et al., 2013).

Ospedali di Insegnamento e Ospedali di Ricerca

Attualmente, in Italia, sono attivi sia Ospedali di insegnamento che Ospedali di ricerca con diverse attribuzioni e ruoli. Nell’uso corrente, quando si parla di Ospedali di insegnamento si fa spesso riferimento ai Policlinici Universitari, all’interno dei quali, ovviamente, vi è anche e soprattutto una grande e qualificata attività di ricerca scientifica, mentre esistono degli Ospedali classificati come Ospedali di ricerca, quali gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), che possono anche essi, in alcuni casi, fare diretto riferimento ad Istituzioni Universitarie. Esistono altresì numerose aziende ospedaliere che sono parte del SSN, che hanno rapporti convenzionali diretti con le Facoltà/Scuole di Medicina, e che di fatto ampliano la cosiddetta “rete formativa” a disposizione degli studenti di medicina, degli studenti delle professioni sanitarie e dei medici in formazione specialistica. Sono anche funzionanti, nel territorio, numerose strutture ospedaliere e territoriali delle Aziende Sanitarie Locali e strutture private accreditate che non hanno alcun tipo di rapporto convenzionale con le Facoltà/Scuole di Medicina.

Alcuni dati interessanti, derivanti da revisioni sistematiche della letteratura internazionale, mettono in evidenza un livello migliore nella qualità della cura erogata, osservabile negli Ospedali di insegnamento, nei confronti degli Ospedali dove non si pratica l’insegnamento universitario (Kupersmith, 2005). Queste differenze non sembrano però apparire estremamente significative e sono limitate, in alcuni casi, solo ad alcuni ambiti disciplinari (Papanikolaou et al., 2006). Non vi sono dati derivanti da revisioni della letteratura rilevabili da PubMed e riferibili alla realtà italiana.

Gli Ospedali di ricerca e gli Ospedali di insegnamento rappresentano comunque strutture o modelli organizzativi da doversi considerare non in alternativa ma, al contrario, come strutture complementari, in relazione alla complessità del processo di formazione che riguarda l’area medica.

Un breve cenno alla terminologia italiana ed internazionale

Il tentativo di traduzione dall’inglese all’italiano dei termini “research hospital” e “teaching hospital” fa emergere alcuni elementi che possono essere utili nella definizione dei ruoli e delle competenze.

La consultazione di un sito internazionale come WordReference.com, mette in evidenza come all’abbinamento con “research hospital” non corrisponda una traduzione univoca, mentre all’abbinamento con “teaching hospital” la traduzione principale assegni il termine univoco di “clinica universitaria”.

Anche se si cerca una definizione su Wikipedia, si hanno risposte non univoche. Infatti, mentre alla voce “teaching hospital” è associata una chiara definizione (A teaching hospital is a hospital that provides clinical education and training to future and current doctors, nurses, and other health professionals, in addition to delivering medical care to patients. They are generally affiliated with medical schools or universities (hence the alternative term university hospital), and may be owned by a university or may form part of a wider regional or national health system. Some teaching hospitals also have a commitment to research and are centers for experimental, innovative and technically sophisticated services), alla voce “research hospital” non si trova alcuna definizione (The page “Research hospital does not exist)” Research hospital” does not exist. You can ask for it to be created, but consider checking the search results below to see whether the topic is already covered), mentre si trovano riferimenti specifici a numerose Istituzioni internazionali, in maggioranza universitarie, corrispondenti a quelle che hanno compreso il termine “ricerca” nella definizione di esse stesse.

L’impressione che possiamo trarre da questa semplice consultazione è già quella che in realtà, a livello di terminologia internazionale, l’attività di ricerca sia intimamente legata e compresa all’interno dell’attività di insegnamento di tipo universitario.

Un cenno di storia e la definizione dell’insegnamento universitario

L’insegnamento universitario o insegnamento superiore è quello che l’articolo 1, primo e secondo comma del T.U. approvato con Regio decreto del 31 Agosto 1933, n. 1592, ha per fine quello di “…promuovere il progresso della scienza e fornire la cultura scientifica necessaria per l’esercizio degli uffici e delle Professioni”. Di fatto, esso sancisce il principio che, nell’Università, la ricerca è il momento stesso dell’istruzione, e l’istruzione, come trasmissione del sapere, si attua fondamentalmente attraverso il lavoro di ricerca del sapere, di approfondimento del vero. Nell’Università, l’istruzione non è pertanto semplice comunicazione, ma è partecipazione al lavoro sperimentale della scienza (Benvenuti, 1979). Al rafforzamento di questo concetto essenziale, provvede anche l’articolo 33, primo comma, della Costituzione Italiana, là dove è scritto che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; Anche in questo caso, deve valere l’interpretazione che, nell’ambito dell’istruzione universitaria, la didattica implica l’attività scientifica, per cui la libertà di scienza opera anche in funzione della didattica (Benvenuti, 1979).

Questi antichi capisaldi della nostra legislazione, sono di straordinaria modernità se confrontati con quanto si trova nella letteratura internazionale sullo stesso tema; Boyer (1990) ad esempio, afferma che: “We believe that it is time to move beyond the tired old “teaching versus research” debate and give the familiar and honorable term “scholarship” a broader, more capacious meaning, one that brings legitimacy to the full scope of academic work. Surely, scholarship means engaging in original research. But the work of the scholar also means stepping back from ones’s investigations, looking for connections, building bridges between theory and practice, and communicating one’s knowledge effectively to students”.

L’educazione medica di qualità, oggi

Per progettare e mettere in atto una istruzione universitaria di qualità è necessario sviluppare nuove metodologie pedagogiche e strutture didattiche avanzate, in grado di incoraggiare l’autoapprendimento ed il pensiero critico e riflessivo degli studenti. Non deve poi essere mai dimenticato che l’istruzione universitaria richiede, per essere messa in atto, docenti realmente entusiasti ed intellettualmente coinvolti, che siano all’avanguardia ed aggiornati sugli ultimi sviluppi delle rispettive discipline e degli standards della pedagogia medica internazionale (Gallo, 2011; Familiari et al., 2013; Mennin, 2013).

L’educazione medica ha raggiunto oggi un livello di complessità che nessuno avrebbe pensato possibile solo dieci anni fa. Profondi cambiamenti hanno interessato, non solo l’identificazione delle diverse tipologie di abilità del core curriculum (curriculum planning), ma anche la certificazione del loro effettivo raggiungimento (learning otcomes), le nuove strategie di apprendimento/insegnamento (approaches to teaching and learning), i metodi di verifica dell’apprendimento (assessment tools) e di tutto quello che riguarda, in senso lato, le metodologie ed il management della formazione nell’ambito dei numerosi corsi di studio gestiti dalle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia (McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Gallo, 2011; Familiari, et al., 2013; Mennin, 2013).

L’educazione medica, è, oggi, essa stessa una vera e propria disciplina scientifica, tale da richiedere al mondo accademico la giusta attenzione sui valori intrinseci di responsabilità sociale ad essa connessi e sulla necessità del suo accreditamento condiviso a livello internazionale. La necessità della professionalizzazione dell’insegnamento clinico su standard elevati ha richiesto pertanto un processo globale di rinnovamento dell’ambiente medico universitario, che è stato guidato da un complesso processo di rinnovamento legato alla leadership istituzionale, all’eccellenza dell’insegnamento, ma soprattutto legato ad una attenta definizione e valutazione di processo e di prodotto. (Goldie, 2006; McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Gallo et al., 2012; Familiari, et al., 2013).

Non vi è dubbio che il rinnovamento pedagogico messo in atto dalle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia italiane, in quest’ultimo decennio, sia stato di grande valore, soprattutto attraverso le iniziative condotte dalle Conferenze Permanenti dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e dei Presidi delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia e dalla Società Italiana di Pedagogia Medica (Snelgrove et al., 2009; Consorti, 2011; Del Vecchio, 2011; Gallo, 2011; Binetti et al., 2012; Lenzi, 2012; Familiari, 2013; Familiari e Consorti, 2013).

Deve infine essere ribadito che tale processo di rinnovamento non può più avere le caratteristiche della episodicità, ma deve essere considerato al pari di un vero e proprio “piano strategico” da percepire come strettamente necessario nella formazione di area medica, che sia funzionale alle necessità di salute della popolazione di oggi e del prossimo futuro (McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Binetti et al., 2012; Lenzi, 2012; Familiari, et al., 2013; Pershing e Fuchs, 2013).

Pershing e Fuchs (2013) individuano alcune nuove dimensioni nell’erogazione delle cure negli Stati Uniti, quali: “a different mix of patients; more ambulatory, chronic care and less acute, inpatient care; expanded insurance coverage; an older population; a team approach to care; rapid growth of subspecialty care; growing emphasis on cost effective care; and rapid technological change”. Appare subito chiaro che, a parte le problematiche legate alle coperture assicurative, che sono peculiari del sistema statunitense, gli altri punti possano essere condivisi, anche per quanto riguarda la realtà italiana, come punti esssenziali a cui mirare per la formazione dei nuovi medici, degli operatori sanitari e degli specialisti.

L’integrazione e le diverse tipologie di Ospedale per un reale rinnovamento

L’attuazione concreta di progetti didattici moderni che siano in linea con le necessità di prevenzione e assistenza in continua evoluzione, non solo richiede un ripensamento dell’organizzazione pedagogica, ma pone la necessità a che le Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia mettano in campo la loro “leadership” per riconfigurare e ripensare una rete formativa che si estenda sul territorio, che sia di qualità e che sia maggiormente adeguata alle necessità di reale apprendimento degli studenti e dei medici in formazione (Fraher et al., 2013; Hamdy, 2013).

Per raggiungere tale obiettivo è necessario pertanto creare una “rete”, che abbia necessariamente una “leadership universitaria” in grado di coinvolgere ed integrare realmente nel proprio processo formativo almeno le seguenti strutture: un Polo per la ricerca scientifica di base e traslazionale, un Polo assistenziale centrale di alta qualificazione (l’Azienda di riferimento) integrato con altri Ospedali cittadini e provinciali pubblici o privati accreditati, Centri di alta complessità per problemi specifici, Strutture territoriali (medici di medicina generale, assistenza primaria, prevenzione, promozione della salute), un Polo didattico ad alta tecnologia, i Dipartimenti Universitari/Assistenziali, i Consigli delle strutture didattiche, le Commissioni dei corsi di studio e multidisciplinari di Facoltà, gli Organi per il controllo ed il monitoraggio della Qualità, gli Organi delle Aziende Ospedaliero-Universitarie che comprendono generalmente il Direttore generale, il Collegio sindacale, l’Organo di indirizzo, il Collegio di direzione.

Una reale integrazione di queste entità è certamente un compito non facile, ma una vera e propria sfida culturale, se abbiamo veramente la volontà di voler formare i nostri giovani con un adeguato livello di professionalità e in grado di assolvere con competenza i loro gravosi impegni dedicati alla cura e alla prevenzione della Società globale.

La “rete” per una “didattica di qualità” deve essere integrata nella “ricerca” e in una “rete assistenziale di qualità” che deve essere ampia, in relazione al numero elevato delle esperienze dirette che sono necessarie per raggiungere una preparazione adeguata.

La lettura dei numerosi protocolli regionali approvati o in corso di approvazione mette generalmente in luce degli ottimi propositi di integrazione, ma, nella complessità dei diversi documenti, non vi sono argomentazioni chiare che indichino la “leadership universitaria” nella coordinazione di questo intricato rapporto organizzativo che vede ricerca e assistenza in funzione delle necessità didattiche degli studenti nei diversi gradi di formazione medica.

Fatte salve le esigenze di prevenzione, sicurezza e cura dei pazienti, si dovrebbe avere maggior coraggio nell’indicare con maggiore chiarezza lo scopo primario di questi accordi: quello del supporto alla formazione medica, dove la “leadership” non può non essere che universitaria, per quanto sopra scritto.

Ci sembra doveroso riportare quanto recentemente scritto da Fraher et al (2013). Essi affermano che: “Academic Health Centers (AHCs) – organizations at the forefront of innovations in health care delivery and health workforce training – are uniquely situated to proactively lead efforts to retrain the existing workforce”, e raccomandano: “a set of specific actions (i.e., discovering and disseminating best practices; developing new partnerships; focusing on systems engineering approaches; planning for sustainability; and revising credentialing, accreditation, and continuing education) that AHC leaders can undertake to develop a more coherent workforce development strategy that supports practice transformation”.

Pur nella considerazione che il contesto statunitense dell’organizzazione sanitaria sia diverso dal nostro, e che il nostro sistema sanitario sia, per numerosi aspetti, di livello superiore, deve essere notato come la responsabilità dell’Università nell’organizzazione generale della formazione in area medica debba essere considerata come prerequisito importante in grado di assicurare una crescita di sistema, su principi condivisi con il SSN, che abbia alla base l’implementazione della qualità e dell’internazionalizzazione, sia negli interessi dei giovani in formazione sia negli interessi della società di oggi e del prossimo futuro.

Bibliografia

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18) Ghirardini A, Andrioli Satagno R, Cardone R, Ciampalini S, Colonna A, De Feo A, Furlan D, Leomporra G, Seraschi C. Ufficio III Qualità delle Attività e dei Servizi, Ministero della Salute: Dipartimenti per il governo clinico e l’integrazione tra assistenza, didattica e ricerca, Workshop 1 Aprile 2011. Disponibile al sito web: http://www.salute.gov.it/qualita/qualita.jsp

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20) Pershing S e Fuchs VR. Restructuring medical education to meet current and future health care needs. Acad Med 2013; 88: 00-00 in corso di stampa.

21) Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio G, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The Challenge of reform: 10 years of curricula change in Italian Medical Schools. Med Teach 2009; 31: 1047-1055.

Cita questo articolo

Familiari G., Gaudio S., Ospedali di Ricerca e Ospedali di Insegnamento nell’educazione medica. È necessario un dibattito?, Medicina e Chirurgia, 61: 2723-2727, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-3

Quale formazione per i laureati in Medicina? Scienziati applicati al malato o Medici che si prendono cura della persona?n.61, 2014, pp.2720-2722, DOI: 10.4487/medchir2014-61-2

Abstract

Recently American medical education literature has argued about the failure of a curricular predominance of biomedical science to realize the ideal of the “good doctor”1-3; biomedical science should be conceptualized as just one form of knowledge in medical education, albeit an important one . Contrast opinion argued that doctors do not need preparation in the kind of philosophical thinking, but rather they should be prepared to be “applied scientists”, that is doctors who bring the patient and biomedical science into apposition in an attempt to maximize health benefit, and act as an intermediary between the human and the increasingly complex, autonomous universe of technology3. In this sense, maximizing health benefit is a normative idea, and the very concept of “health” hinges on what we value  in a human life. The scientist-doctor has several social responsibilities, all of which are aimed at bringing about improved health outcomes. Defining these aims implicate the limitations of the sole scientific knowledge and skills, as not equipped to address issues of value. Actually the technically skilful application of scientific and technological resources alone does not make one a doctor, for that, one also needs to be able to reach a thoughtful professional judgment about what the patient needs are that this skilful application are believed to served. Such values cannot exist as values in the abstract form, but they need to be defined in a normative standpoint and applied in the form of specific teaching strategies. 

Articolo

Le recenti prove di ammissione alla facoltà di medicina tenutesi in tutta Italia hanno evidenziato che questa facoltà continua ad essere la più ambita dai giovani che escono dal liceo o da un istituto tecnico o professionale. Le domande di iscrizione di quest’anno sono infatti aumentate di oltre il 20% rispetto all’anno scorso, con un rapporto tra domande e posti disponibili, a livello nazionale, di 8 a 1. Questo significa che solo uno studente su otto ha raggiunto il punteggio minimo per qualificarsi idoneo all’iscrizione. L’evento ha suscitato scalpore sui giornali e sui media, non solo per l’alto numero di richieste, ma ancor di più per le modalità di ammissione alla facoltà stessa tramite i test di ingresso (quiz a risposta multipla), considerati da molti del tutto inadeguati per una ponderata selezione di candidati dotati di caratteristiche intellettuali e umane adeguate per diventare futuri dottori in medicina. Tuttavia poco o nulla si è scritto e detto su quale tipo di medico la società vuole avere, quale formazione debba essere adottata per avere medici adeguati a far fronte ai nuovi bisogni della società, quale formazione medica deve perseguire l’università nei confronti della società. In altre parole non si è affrontata la domanda: Qual è il compito e il mandato del medico nella società del 21° secolo?

Una risposta a questa domanda non può essere elusa. Il medico infatti svolge nella società un compito professionale di grandi responsabilità, individuali e sociali, tutte indirizzate a ottenere migliori condizioni di salute della popolazione. Ora, la società odierna ha assistito in questi ultimi decenni, tra il finire del secolo scorso e l’attuale,  a profondi cambiamenti, da attribuire principalmente alle migliorate condizioni di vita, all’aumento del livello socio economico, all’estesa attuazione della prevenzione primaria e secondaria di molte malattie, agli enormi progressi delle scienze bio-mediche e delle tecnologie applicate, alla scoperta di nuovi farmaci. Questi progressi  hanno portato a un significativo aumento della vita media, all’adozione di schemi terapeutici che hanno consentito non solo di guarire tante malattie acute, ma anche di stabilizzare molte malattie croniche degenerative, con la conseguenza di un aumento non solo della vita media, ma anche del sommarsi di più malattie croniche nello stesso individuo, spesso invalidanti, che richiedono molteplicità di cure, di controlli medici e di assistenza. Questo impegno ha raggiunto proporzioni rilevanti, con aumento notevole della spesa sanitaria, a fronte di una crisi economica che investe l’intero l’occidente. Le conseguenze a livello politico si traducono in decisioni  impopolari di risparmio sulla spesa pubblica, con restrizioni dell’ assistenza gratuita e dei posti letto ospedalieri.

Tuttavia vi è un argomento di particolare criticità che non è mai stato affrontato. Non ci si chiede infatti chi ha in mano la penna per prescrivere accertamenti diagnostici, ricoveri ospedalieri o nuove terapie; non ci si chiede se non vi sia un eccesso diagnostico e terapeutico, o il perché di tanta medicina difensiva da parte di molti medici.

Ecco allora diventare prioritario il tema della formazione del medico. Se l’università vuole mantenere la responsabilità della formazione di persone che intendono diventare medici, la domanda cruciale è: che cosa deve dare l’Università a queste persone? E quali indicazioni è in grado di dare la stessa società all’università, in merito a questa rilevante domanda che riguarda pienamente e totalmente la società stessa? E di quale formazione si sta parlando?

La risposta è duplice a seconda di come si interpreta la persona, sana o malata, e il ruolo del medico. Da un lato si afferma che i dottori in medicina devono avere una preparazione esclusivamente scientifica da applicare al malato, devono essere cioè, come li definiscono gli anglosassoni, degli applied scientists o scientist-doctors. Dall’altro si sostiene che i dottori in medicina devono essere medici colti e competenti di scienze mediche, esperti nella cura della persona malata1-3. La differenza è importante: nel primo caso la formazione medica rimane ferma alla fase di acquisizione e di applicazione di conoscenze scientifiche, senza considerare chi e come le riceve; nel secondo caso la preparazione del medico comporta l’acquisizione anche di competenze e di esperienze di pratica medica indirizzate al singolo individuo, con lo scopo di risolvere i suoi problemi medici e comprendere i bisogni di salute della persona. Nel primo caso è sufficiente acquisire e applicare conoscenza scientifica, nel secondo caso il medico ha anche bisogno di una formazione antropologica, etica e morale. Si dirà che questa seconda proposta è sicuramente desiderabile, addirittura ovvia, da non mettere in discussione. Tuttavia la realtà dei fatti smentisce questa convinzione e questa prassi, in quanto l’attuale formazione del medico e l’odierno curriculum degli studi sono pressoché totalmente incentrati (non solo nel corso di laurea in medicina, ma anche nei corsi di specializzazione), sulla sola trasmissione e acquisizione di conoscenze scientifiche e di abilità tecniche.

Il medico non può essere semplicemente uno scienziato che applica la scienza biomedica al malato nel tentativo di rendere massimi i benefici della salute, agendo quasi da intermediario tra l’umano e l’universo tecnologico a lui disponibile, come recentemente sostenuto in alcune sedi1 e anche in Italia. E questo innanzitutto perché il medico, nel suo compito prioritario  di rendere migliore la salute delle persone, assume delle responsabilità sociali, quali il coinvolgimento dei pazienti, la valutazione critica dei bisogni del malato, la determinazione del rischio e l’uso adeguato delle risorse, alle quali responsabilità può far fronte solo se possiede conoscenze e competenze che esulano dalla pura scienza biomedica e tecnologica. Nessuno infatti mette in discussione che lo scopo del medico sia quello di rendere migliore la salute delle persone, ma piuttosto si discute il fatto che rendere migliore la salute delle persone sia un concetto ovvio, cioè si spieghi da solo! Il punto cruciale è che rendere migliore la salute delle persone non è un obiettivo perseguibile con la scienza, cioè non è passibile di spiegazione scientifica, ma è un concetto normativo, vale a dire strettamente connesso con il valore che il medico dà alla vita umana. Nell’ipotesi che i medici siano da considerare semplicemente degli esperti dotati di conoscenza scientifica e di abilità tecniche da applicare ai malati ogniqualvolta ALTRI decidono che tale applicazione è necessaria allo scopo di rendere migliore la salute delle persone, allora la tesi sopra riportata è da considerare sensata e accettabile. Tuttavia occorre ribadire che i medici non sono semplicemente dei tecnici, seppure esperti nell’ applicazione di una scoperta scientifica o di un protocollo o di una linea guida, ma sono dei professionisti e come tali dotati di capacità di giudizio critico e di decisione clinica razionale. Ma un giudizio professionale richiede conoscenza e comprensione della bontà di una pratica professionale, cioè richiede una valutazione di merito, valutazione che si compie nel momento del trasferimento della decisione razionale (basata sulle conoscenze scientifiche) alla realtà concreta. Questa valutazione di merito presuppone il riferimento a principi e a valori, quali il buono, il vero e il giusto, che richiedono di esser definiti nella loro tipologia, valutati criticamente, acquisiti a livello intellettivo, razionale e applicativo. La scienza, sia pura che applicata, non è dotata di questa capacità di valutazione, in quanto non è strutturata per definire concetti di valore. La scienza stessa sussiste ed è resa possibile grazie ai presupposti metafisici di aspirazione alla verità e grazie alle scelte etiche di bene, di comprensione e di armonia che ogni ricercatore più o meno coscientemente si è dato4-6.

In secondo luogo, occorre precisare che il medico applica le sue conoscenze e la sua esperienza a una persona che a lui si rivolge per chiedere una salute migliore. Orbene, il concetto di persona presuppone l’esistenza di un essere razionale dotato di autonomia e individualità, ma anche capace di relazione, di alterità, di partecipazione alla vita nel consesso degli uomini. Pertanto la persona che chiede al medico migliore salute, non si attende solo una spiegazione scientifica degli eventi che hanno alterato la sua salute, ma anche una comprensione e una partecipazione alla  sofferenza e al suo vivere, attraverso una relazione empatica, non contemplata dalle leggi scientifiche. Queste capacità se parzialmente possono essere innate, esse soprattutto si acquisiscono durante il periodo formativo  da docenti tutori capaci di trasmetterle. Il curriculum degli studi richiede l’inserimento di questa formazione, che riguarda concetti di filosofia, di etica e di morale2. Questa conoscenza non rientra nell’orizzonte della scienza e per questo viene troppo spesso bollata come conoscenza non razionale, ambito della pura soggettività, di iniziativa personale, di buonismo medico, da escludere quindi da ogni curriculum formativo. In realtà le discipline che si occupano del senso della vita e dei valori della conoscenza e delle scelte decisionali sono pienamente razionali, così come lo sono le teorie filosofiche  e le leggi scientifiche7.

Si deve riconoscere pertanto alla scienza proprietà analitiche ed esplicative, cioè in grado di spiegare i fatti sulla base di leggi scientifiche precostituite, formulate su base sperimentale; essa è dotata quindi di spiegazione. La valutazione del merito di una decisione avviene invece sulla base di principi e di valori, i quali esprimono giudizi, mai assoluti, ma orientati al bene e al vero e considerati meritevoli di essere perseguiti per contrastare la dittatura dell’individualismo e dell’egoismo, fattori questi ultimi distruttivi di ogni società7. La valutazione del merito e l’attuazione della decisione avvengono attraverso  la relazione che è partecipazione al vivere dell’altro, è cioè comprensione dell’altro e della sua realtà esistenziale, aspetto questo del tutto trascurato nella formazione del medico di oggi.

Ma non è sempre stato così. In passato la capacità e l’attitudine alla comprensione attraverso la relazione con il malato venivano trasmesse non con insegnamenti dalla cattedra, ma attraverso una esperienza diretta che lo studente aveva con il suo docente durante la visita medica, docente che quasi sempre era anche maestro di comportamento, testimone di valori, di razionalità critica  e di rispetto per il malato. I cambiamenti legati alla modernità hanno portato ad una progressiva ghettizzazione di concetti quali  cultura, etica, logica, valori umani e sociali, senso della vita e dell’esistenza, concetti che una tradizione culturale aveva mantenuto vivi nell’insegnamento universitario fino alla prima metà del secolo scorso, poi gradualmente affievoliti di fronte al modernismo, all’enorme e talora incontrollato sviluppo scientifico e tecnologico e al benessere sociale della seconda metà del secolo passato. Si dirà che a questa crisi di valori si è cercato di far fronte introducendo l’insegnamento delle scienze umane e sociali anche nel corso di laurea in medicina8. Si deve riconoscere tuttavia con tutta onestà il fallimento di tale insegnamento, non solo perché ghettizzato a spazi e tempi marginali, ma soprattutto perché è apparso fin dall’inizio un correttivo, inserito nel curriculum , indirizzato a trasmettere valori e principi considerati come un qualche cosa di esterno al processo formativo stesso, senza che una vera comprensione di questi argomenti etici e morali potesse in realtà costituire una parte integrante della formazione medica e di ciò che significa diventare un medico colto e formato e fare il medico nella relazione con i pazienti9. Il fallimento dell’insegnamento delle scienze umane nel curriculum formativo del medico non è solo fenomeno italiano, ma riconosciuto anche nei paesi anglosassoni1, tanto che il filosofo e teologo americano William Stempsey (1999) lo ha definito come “la quarantena delle scienze umane”.

Un’altra considerazione merita rilievo. I principi che ispirano l’agire e il decidere in medicina e i valori che ne costituiscono il presupposto possono essere tramessi solo da docenti dotati di tali caratteristiche e capaci non solo di insegnarle, ma soprattutto di viverle nella loro attività medica quotidiana di corsia o di ambulatorio. A fronte di questa ineludibile verità, il colpo di grazia all’ esclusione di tale formazione dal curriculum degli studi medici sta per essere inferto dall’attuazione della vigente legge che regola i concorsi universitari e l’arruolamento dei docenti, non solo nella facoltà di medicina, ma nell’intera università. Si tratta della cosiddetta “legge Gelmini” (dal nome del ministro dell’università e della ricerca che l’ha proposta), promulgata nel dicembre 2010 allo scopo di por fine agli scandali dei concorsi universitari, documentati  in molte sedi ed enfatizzati dai media.  Orbene, l’accesso alla valutazione nazionale, che consente di ottenere l’abilitazione per accedere poi alla nomina di professore universitario nelle singole sedi universitarie,  richiede la presentazione di un curriculum esclusivamente scientifico, basato cioè sulle pubblicazioni del candidato  su riviste scientifiche in grado di documentare la sua capacità e le sue doti di ricerca. Nessuna richiesta è prevista in merito alle capacità didattiche, né tanto meno a quelle professionali. L’attuazione di questa nuova legge induce a pensare che avremo docenti dotati di altissima competenza scientifica, in altre parole degli scienziati veri e propri, chiamati peraltro a insegnare non solo la medicina scientifica, ma anche il processo decisionale medico, il metodo clinico, la relazione con il malato, la complessità clinica, le scelte prioritarie da seguire per far fronte ai bisogni di salute della società10. Dove e come sono state acquisite queste capacità? E chi ha valutato la preparazione didattica e professionale di questi docenti?

In conclusione, il presupporre principi, valori e fini dà risposta alla grande domanda sul senso della vita e dell’esistenza, sul destino dell’uomo e dell’umanità, domanda che non si può in alcun modo eludere11 e che il malato stesso si pone, talora inconsciamente. Nessun laboratorio e nessuna scoperta scientifica, nessun esperimento e nessun calcolatore elettronico possono dare risposta a questa domanda e risolvere questo problema. Pertanto, se l’acquisizione di conoscenze scientifiche e di abilità tecniche è da considerare elemento indispensabile per diventare medici preparati e competenti, tuttavia questi obiettivi da soli non sono da considerare sufficienti affinché un laureato in medicina possa dire di essere medico nel senso proprio della parola, né tanto meno possa affermare di saper fare il medico, vale a dire di svolgere la professione di chi si prende cura della persona nella sua totalità e assume le responsabilità che la società intende affidargli.  L’atto medico è una decisione della volontà, che, nell’intento di perseguire fini di bene e di giustizia per la vita e per l’esistenza, muove l’intelligenza attingendo dalla conoscenza scientifica e dall’esperienza umana e professionale e traduce in azione operante le decisioni elaborate a livello critico e razionale. Questo passaggio dalla teoria alla prassi avviene attraverso l’applicazione del metodo clinico che comporta il costruire una relazione, prioritariamente tra due persone, il malato e il medico. Esso presuppone valori e principi, intuizione e razionalità e richiede pertanto di essere conosciuto, praticato e insegnato. Il tema del metodo, fondamentale per fare il medico, richiede piena attenzione ed esaustiva rinnovata trattazione.

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Cita questo articolo

Realdi G, Quale formazione per i laureati in Medicina? Scienziati applicati al malato o Medici che si prendono cura della persona? Medicina e Chirurgia, 61: 2720-2722, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-2

La via italiana all’autovalutazione della didattica e della ricercan.61, 2014, pp.2715-2719, DOI: 10.4487/medchir2014-61-1

Abstract

The Italian National Agency for the Evaluation of Universities and Research Institutes (ANVUR) is in charge of evaluating the quality of research and teaching activities of Universities. On the basis of the European Standards and Guidelines (ESG) published by ENQA in 2005, ANVUR has proposed an internal evaluation system founded on self-evaluation and internal quality assurance procedures and an external evaluation system based on a yearly-based evaluation of teaching and research outputs (Periodic Evaluation) and on an accreditation procedures. The integrated system has called AVA (Autovalutazione /Self-evalutation; Valutazione Periodica/Periodic Evaluation; Accreditamento/ Accreditation).  

The first application of the system during 2013 showed several areas of improvement from the technical and operative point of view. However the most important challenge is the change of mentality from a bureaucratic approach toward an enhancement of quality attitude that needs to permeate all the University system from the top to the bottom.

Articolo

L’Assicurazione della Qualità nell’educazione superiore: la prospettiva europea e l’interpretazione italiana

L’introduzione di un sistema di Autovalutazione, Valutazione Periodica e Accreditamento (A.V.A.) delle università trova i suoi riferimenti normativi all’interno della L. 240/2010, che prevede l’introduzione di un sistema di Accreditamento delle Sedi e dei Corsi di Studio universitari, fondato sull’uso di specifici indicatori definiti ex ante dall’ANVUR per la verifica del possesso, da parte degli atenei, di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economico-finanziaria.

Il DPR 76/210 (artt. 2; 3 e 4) definisce il ruolo dell’ANVUR nei sistemi di Accreditamento e di Valutazione Periodica e nell’elaborazione dei parametri di riferimento per l’allocazione dei finanziamenti statali.

Per compiere il suo mandato istituzionale l’ANVUR si ispira agli standard e alle linee guida per l’Assicurazione della Qualità nell’area dell’educazione superiore europea (European Standards and Guidelines, ESG-ENQA, 2005) adottate nel 2006 con Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio Europei (2006/143/CE). In tali Linee Guida si raccomanda gli Stati membri di: incoraggiare tutti le istituzioni di formazione superiore operanti nel territorio europeo a introdurre o sviluppare rigorosi sistemi interni di certificazione della qualità, conformemente alle norme e agli indirizzi in materia adottati a Bergen (2005), nell’ambito del processo di Bologna; incentivare tutte le agenzie di certificazione della qualità o accreditamento ad applicare i criteri di certificazione della qualità definiti nella raccomandazione 98/561/CE; e, al contempo, applicare l’insieme di norme generali e indirizzi comuni adottati a Bergen ai fini della valutazione.

Il Decreto 19/2012 disciplina l’introduzione di tutto il sistema A.V.A.; mentre il Decreto Ministeriale 47 del 30 gennaio 2013 recepisce i criteri e gli indicatori per l’accreditamento iniziale e periodico e per la valutazione periodica predisposti dall’ANVUR e contenuti nel Documento Finale1 A.V.A. Nel suo documento finale l’ANVUR si è impegnata a raggiungere una serie di obiettivi che si costituiscono come altrettanti servizi per il sistema e per la comunità. Tra gli obiettivi più rilevanti si possono ricordare: l’elaborazione di un sistema documentale rivolto all’università e finalizzato alla costruzione e allo sviluppo di un modello di Assicurazione della Qualità per l’Higher Education, basato sulla condivisione di informazioni utili a potenziare le loro strategie nella formazione, nella ricerca e nelle attività di terza missione; la definizione di elementi comparativi orientati a Corsi di Studio e alle unità di ricerca, sulla base dei quali poter progettare azioni per il miglioramento della qualità delle loro attività; l’organizzazione e la diffusione di informazioni necessarie agli organi di governo per la programmazione nazionale e per le decisioni relative all’allocazione delle risorse; l’organizzazione e la diffusione di informazioni utili e puntuali sulla base delle quali gli studenti e le loro famiglie possano fondare le loro scelte;  l’organizzazione e la diffusione di informazioni orientate al mondo del lavoro e delle professioni, e in grado di presentare la qualità dei programmi e dei laureati che il Corso di Studi si propone di formare; l’organizzazione e la diffusione di informazioni affidabili e trasparenti, in una logica di accountability sulle attività del sistema universitario italiano.

Secondo questa logica, l’Assicurazione di Qualità è considerata come un modello di governance e di progettazione organizzativa che ruota attorno all’orientamento al servizio, al cliente e alla responsabilità sociale delle proprie azioni.

Un’efficace politica di assicurazione della qualità fonda ogni intervento/processo decisionale su un giudizio consapevole e informato rispetto ai processi organizzativi e ai loro esiti, senza mai perdere di vista il più ampio ambiente di riferimento e l’insieme di stakeholders e/o shareholders con cui intessere alleanze e progetti di sviluppo. Essa sviluppa una visione integrata dell’agire organizzativo, e si fonda su quella logica di learning by doing che riconosce l’incidente critico come un’opportunità di apprendimento organizzativo. Altro elemento essenziale su cui si fonda la politica di assicurazione della qualità di un’organizzazione è il valore assegnato alla comunicazione che, mediante l’ausilio delle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie in termini di conservazione, analisi, condivisione e replicabilità dei dati, vede trasformare profondamente la sua funzione istituzionale. In un recente passato la comunicazione istituzionale era intesa come mera trasmissione formale di dati, ai fini di una logica burocratica e formale, di tipo lineare e top-down che richiedeva all’organizzazione di rendere disponibili poche informazioni standard e generali, in ordine a una funzione meramente di adempimento. Oggi, la comunicazione istituzionale si ispira ad un’idea di partecipazione, inclusione e trasparenza, di tipo orizzontale e circolare, che richiede all’organizzazione un notevole sforzo indirizzato in modo particolare alle ragioni dell’agire, finalizzato a comunicare valori, principi, mission, obiettivi e specificità che la contraddistinguono nel complesso quadro di relazioni locali e globali in cui si muove.

Il modello di AQ di Ateneo

Con il concetto di Assicurazione della Qualità (AQ) di Ateneo si fa riferimento al sistema attraverso cui gli organi di governo interno realizzano la propria politica di qualità in coerenza con i riferimenti normativi che definiscono l’ordinamento universitario e il mandato istituzionale dell’ANVUR. Il modello di AQ di Ateneo proposto coinvolge parimenti sia il personale docente che quello tecnico-amministrativo, chiedendo ad entrambi la maturazione di competenze nuove, volte a sviluppare un rinnovato approccio al proprio ruolo, al servizio e all’utente-cliente, oltre che un’apertura al contesto interno ed esterno, in una logica di ascolto e valorizzazione delle differenze e delle specificità. Il cambiamento del modello e delle routines organizzative e di nuove pratiche professionali, infatti, passano essenzialmente da un cambiamento culturale senza il quale si corre il rischio di “cambiare tutto senza che nulla cambi”. L’AQ di Ateneo risponde a quella trasformazione dell’Amministrazione Pubblica che si sposta sempre più verso un’organizzazione per processi, dove è necessario attuare un graduale trasferimento delle responsabilità “verso il basso”, riconducendole a chi realmente esegue le diverse attività e ne ha, di conseguenza, la “responsabilità tecnica”, assumendo su di sé il carico del coordinamento e della pianificazione delle singole attività, nonchè della gestione dei rapporti con gli altri processi organizzativi e della definizione e monitoraggio delle procedure attivate per realizzarli.

Il modello di AQ di Ateneo proposto include sia la didattica che la ricerca. Il primo si basa sulla presenza e il funzionamento complementare e interdipendente di quattro organi essenziali i quali svolgono attività di monitoraggio, valutazione, controllo e comunicazione in maniera complementare e sinergica e, soprattutto, da prospettive differenti: i Corsi di Studio (CdS); il Presidio della Qualità di Ateneo (PQA); il Nucleo di Valutazione (NdV); le Commissioni Paritetiche (CP). Il secondo coinvolge il Dipartimento nella definizione degli obiettivi di ricerca individuati e delle relative motivazioni a sostegno.

L’AQ di Ateneo può essere realizzata solo se ciascuno di tali organi concorrono, in una logica cooperativa e costruttiva, al raggiungimento degli obiettivi autonomamente prestabiliti dall’Ateneo, e sotto l’egida di legittimazione e investimento, degli organi di governo dell’Ateneo. L’assicurazione di qualità dell’ateneo, infatti, non è semplicemente una tecnica di gestione organizzativa, e non può esistere separata da una politica della qualità dell’Ateneo. Essa si esprime, al contrario, come “braccio operativo” delle policies didattiche e di ricerca portate avanti dagli organi di governo e può essere perseguita solo attraverso la formazione di: un management intermedio competente, legittimato e fortemente orientato verso azioni organizzativa ispirate alla qualità del sistema complessivo; una leadership intermedia situata, partecipativa e di trasformazione, cioè orientata al cambiamento.

I pilastri del sistema A.V.A.

Il modello di AQ promosso da ANVUR si basa sostanzialmente sui tre seguenti pilastri: l’Autovalutazione, la Valutazione Periodica e l’Accreditamento.

Per dare seguito e concretezza all’autonomia gestionale che la L. 240/2010 riconosce, anche in coerenza con la filosofia europea sull’Assicurazione di Qualità, è necessario sviluppare un sistema di autovalutazione sui processi, sui servizi e sui risultati dell’Università, con lo scopo di fornire agli organi di governance e di management  dell’ateneo le essenziali informazioni sulla base delle quali orientare le loro scelte strategiche, sia in termini di posizionamento di mercato/servizio, sia in termini di ricerca e sviluppo. Il primo grande obiettivo che l’ANVUR si propone è quindi quello di accompagnare un radicale cambiamento culturale, a tutti i livelli del sistema accademico (governance, management, operatori/docenti) con l’intento di far comprendere che l’autovalutazione è un utile, quanto ineliminabile,  strumento di gestione della complessità organizzativa che caratterizza le università del terzo millennio. L’autonomia gestionale riconosciuta alle università si richiama infatti alla responsabilità di fare scelte informate di cui dar conto agli stakeholder e agli shareholders di riferimento; e l’autovalutazione è lo strumento primario di questo processo di auto-analisi e comunicazione strategica.

La valutazione può essere concepita come un’attività di ricerca applicata e realizzata, nell’ambito di un processo decisionale, in maniera integrata con le fasi di programmazione, progettazione e intervento. In tal senso, la valutazione risponde allo scopo di riduzione della complessità decisionale, attraverso l’analisi degli effetti diretti e indiretti, attesi e non attesi, voluti e non voluti, dell’azione, compresi quelli non riconducibili ad aspetti materiali. Esistono quindi diversi tipi e momenti della valutazione che il sistema A.V.A. ha tenuto bene in considerazione sia nella elaborazione del modello di quality assurance proposto, attraverso la diversa articolazione di ruoli e compiti assegnati ai diversi organi di governo dell’ateneo (organi di governance, Presidio di Qualità, Nucleo di Valutazione, Corsi di Studio, Commissioni Paritetiche), sia nei suoi principali strumenti proposti: la Scheda Unica Annuale e il Rapporto di Riesame che attengono alla valutazione della didattica (SUA-CdS) e che insieme costituiscono l’intero processo e rapporto di auto-valutazione; e la Scheda Unica della Ricerca Dipartimentale (SUA-RD). Nel modello AVA si possono distinguere quindi una valutazione ex ante riferita al momento di progettazione e realizzazione del Corso di Studio e una valutazione ex post riferita agli Atenei, ai Corsi di Studio (da prospettive e con obiettivi differenti) e alla ricerca dipartimentale.

Con il concetto di Accreditamento si indica il procedimento mediante il quale una “parte terza” riconosce formalmente che un’organizzazione possiede la competenza e i mezzi per svolgere i suoi compiti. In tal senso, l’Accreditamento rappresenta una garanzia per gli utenti-clienti che le loro esigenze possono essere soddisfatte e i loro diritti fondamentali sono tutelati da un’autorità competente. Sulla scorta di questo chiarimento terminologico si può ricordare che la normativa assegna all’ANVUR due compiti essenziali in riferimento all’azione di accreditamento, quello iniziale e quello periodico. Il primo ha una funzione autorizzativa che viene rilasciata dal Ministero, su proposta dell’ANVUR, e consente di attivare sedi e corsi di studio universitari, a seguito della verifica del possesso dei requisiti didattici, di qualificazione della ricerca, strutturali, organizzativi e di sostenibilità economico–finanziaria, stabiliti e verificati ex ante. Il secondo consiste in una verifica, con cadenza almeno quinquennale per le sedi, e almeno triennale per i corsi di studio, e mira soprattutto a verificare il grado di applicazione del sistema di AQ istituzionale.

La “traduzione in pratica” del sistema A.V.A.

Sin dai suoi primi passi l’ANVUR ha riconosciuto come primo mandato della sua funzione la cura della comunicazione e l’accompagnamento al processo di transizione verso un nuovo modello di università. Il sistema A.V.A. è prima di tutto una sfida culturale per condurre la quale l’ANVUR si è impegnata, e sta continuando a farlo, in un’attività di In-Formazione indirizzata a tutte le componenti del mondo accademico. L’avvio del processo di transizione del sistema A.V.A si può identificare con il primo evento di presentazione pubblica realizzato a Torino il 26.10.2013. Da quel giorno, l’ANVUR ha investito su questo tema in uno sforzo, senza precedenti per l’amministrazione pubblica, in attività di sensibilizzazione e diffusione. Sono stati programmati e realizzati ventotto eventi di In-Formazione in altrettanti Atenei italiani, con l’intento di illustrare il sistema A.V.A., le sue implicazioni organizzative e i relativi strumenti operativi. Questo ha permesso di raggiungere circa 5.000 persone tra docenti e personale tecnico amministrativo, studenti, operatori del settore2. Questa attività di sensibilizzazione, e i relativi contatti via via costruiti sul territorio, hanno permesso di rilevare una forte richiesta da parte del personale universitario (accademico e non) a realizzare interventi focalizzati, volti non solo ad informare sui principi generali introdotti dal sistema AVA, ma anche ad accompagnare gli operatori all’acquisizione e/o potenziamento di conoscenze e competenze specifiche e nuove sul versante della valutazione. Bisogno che ANVUR ha raccolto e su cui sta approntando una nuova programmazione maggiormente orientata a formare competenze specifiche. Un dato positivo, e non scontato, che è possibile trarre dopo quasi un anno di attività sul piano dell’informazione, è la continua richiesta che ancora oggi perviene dalle università, per replicare, presso le loro sedi, gli interventi di In-Formazione. Il bisogno emergente da parte di quanti sono chiamati ad operare all’interno di questi gangli strategici consiste nell’essere accompagnati a: sviluppare conoscenze e competenze adeguate a rispondere alle nuove sfide progettuali, gestionali e organizzative poste dalla transizione in atto; accompagnare i singoli contesti accademici verso la progettazione di un modello di governance orientato alla piena comprensione e valorizzazione della AQ di ateneo.

In linea con la mission istituzione che la normativa le assegna, l’ANVUR ha istituito l’Albo degli Esperti di Valutazione che prevede quattro distinti profili: Esperti di Valutazione di Sistema; Esperti Disciplinari di Valutazione; Esperti Telematici di Valutazione; Studenti. In coerenza con la filosofia e i principi stabiliti con la Delibera ANVUR che istituisce tale Albo, le persone ritenute idonee hanno intrapreso un momento di formazione volto a socializzare i contenuti, i principi, i metodi e gli strumenti della valutazione promossi dal sistema AVA. Quanti hanno regolarizzato la propria posizione amministrativa dopo aver partecipato alla formazione sono stati iscritti all’Albo dei Valutatori ANVUR3 al quale è stato possibile attingere per la composizione delle prime Commissioni di Esperti della Valutazione (CEV) costituite nell’anno corrente, e sempre affiancate da personale interno all’ANVUR.

Nell’anno accademico 2013, sono stati valutati per l’Accreditamento Iniziale 92 CdS di nuova istituzione, e mai attivati precedentemente, attraverso la valutazione delle CEV; di questi 14 corsi di studio sono stati ritirati dalle Università. L’ANVUR si è quindi espressa alla fine su un totale dei 78 corsi, 13 dei quali erogati in modalità telematica. I CdS che hanno ottenuto un parere favorevole per l’accreditamento in prima istanza, sulla scorta della positiva valutazione delle CEV, in base al riscontro del rispetto dei requisiti di assicurazione di qualità, di cui all’art. 4, c. 4, del D.M. 47/2013, sono stati 46 (32 cds hanno riportato proposte di non accreditamento).

A seguito della conclusione dell’elaborazione della scheda SUA da parte degli atenei, l’ANVUR ha effettuato la valutazione di 4.359 CdS (L., L.M., LMCU), suddivisi in 89 atenei. Su questi si è effettuata la valutazione sui requisiti minimi e non sono state riscontrate particolari criticità, se non la significativa difficoltà, da parte degli atenei, ad adeguare i sistemi informatici al nuovo dispositivo di raccolta dati.

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Conclusioni e raccomandazioni

Il primo anno di accompagnamento alla “traduzione in pratica” di un sistema di Assicurazione di Qualità negli Atenei ha messo in luce alcune aree di miglioramento che si presentano trasversalmente diffuse tra tipologia di corsi di studio, atenei e territori. La prima consiste nella difficoltà ad operare una puntuale ed efficace ricognizione della domanda di formazione emergente e, altresì, dei fabbisogni formativi richiesti dal settore professionale di riferimento, in una prospettiva locale e globale. Questa difficoltà nella ricognizione della domanda si ripercuote su una cattiva o parziale elaborazione del quadro A1 della SUA-CdS. Da questo discende una significativa debolezza nell’elaborazione del quadro A2 della SUA-CdS, finalizzato a descrivere puntualmente i profili formativi in uscita, le funzioni associate in contesto di lavoro e le relative abilità/competenze che il CdS dichiara di formare, in coerenza con l’analisi della domanda. In continuità con questa debolezza interpretativa dei profili, si osserva una certa fatica ad esplodere gli esiti di apprendimento attesi (Descrittori di Dublino 1 e 2) per aree omogenee di insegnamento. Queste problematicità metodologiche, connesse all’elaborazione della SUA-CdS, tendono a mostrare un significativo problema di coerenza interna al progetto formativo e una certa difficoltà di comunicazione dello stesso in una logica di fruizione da parte del destinatario finale. Questo elemento di debolezza può essere interpretato, per un verso, con una certa tendenza alla delega che si può registrare in una parte del corpo docente verso la componente tecnico-amministrativa; per l’altro, nella cronica difficoltà che il sistema dell’istruzione (a tutti i livelli) incontra nel tentativo di costruire un dialogo paritario e utile con il più ampio sistema del mondo del lavoro. L’insieme di questi elementi di fragilità del sistema fa venir meno proprio quella dimensione propriamente progettuale di analisi del contesto e programmazione strategica che dovrebbero invece caratterizzare ogni CdS in un epoca di turbolenza e profonde trasformazioni. Tali difficoltà possono essere comprese nel quadro del mutamento che interessa il sistema accademico nel passaggio da quella prospettiva auto-referenziale e chiusa, espressa dall’immagine della “torre d’avorio” ad una che sia capace di stabilire nuove modalità di relazione con  il più ampio sistema sociale da cui trae risorse, legittimità e stimoli per l’innovazione. Relazione che va giocata non banalmente in termini adattivi rispetto ai bisogni formativi rilevati (cosa del resto assai complessa) ma in quella logica proattiva di innovazione e sviluppo che può affermarsi solo se, e dove, tutte le componenti del triangolo della conoscenza (istruzione, ricerca e innovazione) trovano uno spazio dove sperimentare nuove reciproche fertilizzazioni.

Tra gli altri elementi di miglioramento da considerare, strettamente connesso a questa difficoltà ad interpretare in una nuova vision strategica il ruolo dell’università, e di conseguenza i profili di competenza attraverso cui essa si esprime, è da leggersi nella tendenza a burocratizzare e a ritualizzare ogni passaggio/strumento organizzativo strettamente legato ai temi della valutazione. Infatti, sembra permanere ancora molto forte una cultura dell’adempimento che rischia di svuotare di senso ogni proposta di miglioramento operata in tema di valutazione. Ma la “rivoluzione” della valutazione può avvenire solo dall’interno, motivo per cui l’ANVUR ha scelto di investire uno sforzo così rilevante in termini di comunicazione e accompagnamento. Questo cambiamento di prospettiva si svolge all’interno di un nuovo clima culturale che riconosce la complessità4 come il tratto dominante della vita che si dispiega intorno a noi e che richiede nuove strategie interpretative, di ricerca e di organizzazione. E’ sulla scia di questi cambiamenti che anche all’accademia è richiesto di costruire, dal di dentro, nuovi modelli di direzione e di managment capaci di valorizzare cooperazione, creatività e interdisciplinarità, spingendo i tradizionali modelli organizzativi di tipo tradizionale e verticistico a trovare nuove forme di auto-governo, fondate sul principio dell’auto-valutazione come strumento per il miglioramento continuo.

Massimo Castagnaro è membro del Consiglio Direttivo dell’ANVUR, Coordinatore del Programma AVA

1 Il documento è disponibile al seguente indirizzo Internet: http://www.anvur.org/attachments/article/26/documento_finale_28_01_13.pdf

2 Per approfondimenti si consulti lo spazio “eventi” sul sito ANVUR: http://anvur-miur.cineca.it/eventi/index.php/

3 Albo Esperti di Valutazione: http://www.anvur.org/index.php?option=com_content&view=article&id=475&Itemid=490&lang=it

4 La teoria della complessità spiega i sistemi complessi (come anche quelli sociali) come sistemi le cui prestazioni e dinamiche sono il risultato dell’interazione spontanea tra numerosi e differenti attori, che co-evolvono muovendosi all’interno di un ambiente competitivo in continuo cambiamento. La teoria della complessità spiega che tali sistemi sono aperti, cioè interagiscono con l’ambiente e sono costituiti da reti di elementi più o meno complessi che interagiscono in modo locale e non lineare. Elementi fondamentali di questi sistemi sono: la ridondanza, cioè nessun elemento è indispensabile poiché manca una specializzazione.

Cita questo articolo

Castagnaro M., Capogna S., La via italiana all’autovalutazione della didattica e della ricerca, Medicina e Chirurgia, 61: 2715-2719, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-1