Analisi delle cause del ritardo studentesco nel CLM in Medicinan.74, 2017, pp. 3366-3371, DOI: 10.4487/medchir2017-74-2.

Abstract

Although the number of inactive students is rather high in Italian University (35%), the figures are distinctively lower for medical students (14% of inactive students and 3-5% of renouncing). A recent survey among medical students at La Sapienza University of Rome has singled out the following as the main causes of graduation delay: difficulties in studying (43%); delayed matriculation (due to controversies in the application competition) (16%); psychological upset (13%); family (6%) or health (3%) problems; and economical difficulties (3%).

The causes of graduation delay have been debated by the National Conference of the Undergraduate Curricula Presidents in a Forum held in Novara. Four types of causes and solutions have been discussed: i) teaching causes and active tutoring; ii) psychological upset and counselling; iii) social, cultural and economic hardships and counter window interventions; and iv) disproportion between didactic load and learning capabilities, and educational interventions.

In conclusion, the need for monitoring student upset and for reducing disciplinary learning objects (subject to quick obsolescence) in favour of methodological ones (that favour a lifelong learning) has been assessed.

Key words: Medical Education; Graduation Delay; Tutoring; Counselling

Parole chiave: Pedagogia Medica; Ritardo Studentesco; Tutoraggio; Assistenza Psicologica

Questo articolo riferisce sui risultati del Forum “Le cause del ritardo studentesco” che si è tenuto durante la riunione della Conferenza Permanente dei Presidenti di CCLM in Medicina che si è svolta presso l’Università del Piemonte Orientale il 31 marzo 2017.

Articolo

Introduzione

Una notevole percentuale degli studenti in Medicina arriva alla laurea con “ritardo” (dati 2013-14, fonte: Sapienza, Università di Roma): il 60% degli studenti si laurea in medicina con oltre 1 anno di ritardo.

Nel 2011 un gruppo di lavoro della commissione “Medical Education” della Sapienza, ha svolto una indagine su 50 studenti “inattivi” che non avevano effettuato esami da almeno 12 mesi. (Merli et al., 2012). I principali problemi rilevati risultarono prevalentemente di carattere logistico (pendolarismo, difficoltà a frequentare i corsi, studenti lavoratori) o amministrativo-burocratico (soprattutto per gli studenti stranieri). Nel 2016 abbiamo voluto ripetere questa indagine rivolgendo la nostra attenzione agli studenti “irregolari” che, pur avendo effettuato esami negli ultimi 12 mesi, risultavano carenti per il numero di crediti raggiunti rispetto agli attesi. La situazione dei crediti individuali è stata richiesta alla “banca dati di Infostud” al termine dell’AA per gli iscritti al 2°, 3° e 4° anno. La carenza di crediti è stata definita la situazione in cui lo studente non raggiunge il totale dei crediti acquisibili nell’anno precedente (uno studen-te che alla fine del 3° anno non ha ancora raggiunto i crediti ottenibili alla fine del 2° anno). Sono stati individuati 170 studenti “irregolari” (su 648 iscritti) ed è stata loro inviata una mail con un breve questionario per individuare il principale motivo del ritardo. Le risposte (ottenute dal 27%) hanno individuato come cause prin-cipali le “difficoltà nello studio” (56%), l’essere “entrati con ritardo” per problemi di scorrimento della gradua-toria o ricorsi legali (16%), cause familiari (6%), motivi di salute (3%), motivi economico lavorativi (3%).

In conclusione, il ritardo si instaura già dai primi anni di studio e l’università dovrebbe concentrare in questa fase uno specifico supporto alle “difficoltà nello studio” (Manuela Merli).

I  Laboratorio: Ritardo per cause didattiche: interventi di tutoring

Relazioni introduttive

Sicuramente, il passaggio dal mondo scolastico a quello universitario è un punto cruciale per uno studente in medicina: in molti riescono ad affrontarlo, mentre per altri rappresenta un ostacolo. “Classi” più grandi, la necessità di uno studio autonomo e di conseguenza di un metodo di studio efficace che però non da tutti è posseduto, la difficoltà del nuovo rapporto studente-docente, diverse modalità di apprendimento, sono tutte possibili situazioni che possono portare al ritardo, in particolare proprio nei primi anni. Per questo forse è necessario un accompagnamento degli studenti nel loro percorso, e il tutorato può rappresentare uno strumento utile a questo scopo (Federica Viola).

Il ritardo studentesco per cause didattiche nasce nei primi anni di corso dove si concentrano le scienze di base, impegnative e non molto attrattive per un aspirante medico, cui si aggiungono carenze nelle conoscenze preliminari, disagi sia nell’affrontare il passaggio dalla scuola superiore all’università sia legati allo scorrimento della graduatoria nazionale. È importante mettere in atto varie azioni di tutorato per ridurre il rischio di ritardo e rendere più agevole l’ingresso nella vita universitaria. Un primo intervento è puramente didattico, volto a colmare carenze derivate dal percorso pre-universitario o da iscrizioni a semestre inoltrato. È però altrettanto importante modificare l’approccio allo studio, “imparare a studiare” e stimolare la formazione di una comunità studentesca che consenta l’apprendimento attraverso un confronto tra pari. Gli studenti sono parte attiva, presen-tano e discutono tra loro un argomento del programma, il docente ha il ruolo di moderatore e interviene solo per correggere e puntualizzare (Maurizia Valli).

Il ritardo medio nazionale alla Laurea rilevato da Alma Laurea si declina in modo diverso nelle varie sedi, rendendo necessario identificare strumenti e interventi correttivi “confezionati su misura”.

Il PdQ dell’Università di Chieti ha sviluppato due sistemi S.I.Ca.S. e M.E.P. che, estraendo i dati da Esse3, forniscono di default un’analisi delle carriere studenti, per criteri specifici, consentendo di individuare studenti in ritardo o “a rischio” ed aiutando nell’identificazione della/e causa/e. Questa analisi, condotta già dai primi anni di corso sta permettendoci di effettuare interventi mirati di “tutorato attivo”. Nel nostro CdL coesistono diverse tipologie di tutor: docenti-consiglieri che seguono lo studente fino alla Laurea; docenti-tutor che su richiesta svolgono attività didattiche mirate; e infine, più re-centemente, studenti-tutor, impegnati in attività didattiche di supporto, di counselling e di studio guidato.

La nostra esperienza suggerisce che uno stretto monitoraggio delle carriere degli studenti può consentire interventi precoci e mirati di tutorato attivo svolto da docenti e/o studenti più anziani (Raffaella Muraro).

Sintesi per il debriefing di quanto emerso nel I laboratorio

Indicatori del ritardo studentesco: Dal laboratorio sono emerse diverse criticità, che sono particolarmente sensibili nei primi anni di corso:

  • il disagio provocato negli studenti dal cambiamento del metodo di studio dalla scuola secondaria all’univer-sità e dalla delusione per un biennio di base che non viene avvertito come realmente finalizzato al percorso clinico;
  • la difficoltà nell’affrontare gli esami di profitto, che spesso non tengono conto del patto formativo e dipen-dono troppo dalla soggettività del docente.

Metodi di rilevazione del ritardo studentesco: I migliori risultati sembrano emergere dalle osservazioni personali messe in atto dai Presidenti di CLM e dai docenti, anche tramite le esperienze di orientamento. La scheda del riesame dovrebbe essere uno strumento utile anche se le domande poste dall’ANVUR non sono sem-pre adeguate al rilevamento del disagio studentesco. Rimane essenziale il monitoraggio delle carriere messo in atto dal singolo Presidente di CLM, che permette di valutare anche l’influenza socio-culturale specifica del proprio territorio.

Possibili strumenti di intervento sul ritardo studentesco: Accanto alle attività di orientamento, il tutorato è unanimemente considerato la strategia più efficace, purché venga messo in atto un tutorato attivo con la creazione di piccole comunità di studenti assistite da docenti, studenti anziani e counsellor (Licia Montagna: testo non rivisto dall’Autore).

Laboratorio: Ritardo per cause di disagio psichico: interventi di counselling

Relazioni introduttive

Durante gli anni di Medicina, il tipo di disagio psi-chico che noi studenti più sentiamo come vicino noi è quello della “ipocondria”, che da alcuni è stata definita come la “sindrome dello studente di Medicina”. Si inizia-no a studiare i sintomi, la semeiotica, le patologie ma la nostra abilità diagnostica è limitata, forse molto sensibile a captare qualsiasi minimo sintomo ma altamente aspe-cifica per qualsivoglia reale malattia. Da ciò, nasce che studenti che percepiscono un minimo tremore o una lieve miochimia possano convincersi di essere affetti da malattie neurologiche gravi come la SLA. In studenti fuori sede, con pochi amici, con una scarsa rete di sup-porto e con una determinazione non troppo stabile, tale convinzione può portare facilmente ad ansia debilitante e ritardo studentesco (Adolfo Mazzeo).

La compromissione della salute psichica può influire grandemente sull’andamento della carriera universitaria fino a spingere lo studente ad abbandonare gli studi o a rimanere fermo, inattivo, incapace di riprendere il cammino.

I quadri clinici più frequenti, come d’altra parte nella popolazione generale, sono rappresentati da stati depressivi e vissuti ansiosi, spesso correlati a fatti perso-nali della loro vita ma anche alla difficoltà di studiare in modo soddisfacente e di superare le prove d’esame. Queste condizioni possono influenzare le funzioni cognitive di base come la memoria, l’attenzione, la capacità di concentrazione, rendendo ancora più laborioso l’apprendimento e mettendo a rischio la possibilità di superare con serenità gli esami. Da ciò spesso insorge una vera fobia dell’esame. La difficoltà di superare gli esami a sua volta può indurre uno stato di demoralizzazione e di sfiducia che comporta spesso una diminuzione della propria autostima. Più raramente, gli studenti presentano patologie psichiatriche particolarmente invalidanti che necessitano di un supporto farmacologico.

Per questi studenti problematici va programmato un percorso di tutorato attivo, su misura e personalizzato, che consiste nell’aiutare lo studente nella preparazione dell’esame e nell’accompagnarlo in sede di esame.

Come si fa ad intercettare il malessere psicologico dello studente? La prima persona che può cogliere uno stato di disagio dello studente è tutor clinico o il docente, sia durante le lezioni, sia durante le ore di ricevimento, ma soprattutto durante lo svolgimento dell’esame, che permette di conoscere più a fondo la reattività emotiva e lo stile relazionale dello studente. Il docente può indirizzare lo studente verso servizi dedicati, come il Servizio di Ascolto e di Consultazione (SACS) che dal 1991 è attivo presso l’Università dell’Aquila.

Il Ritardo studentesco viene preso come un indicatore di efficienza del sistema ma in realtà va ribadito che spesso le cause che portano una persona a ritardare il suo percorso universitario possono essere oggettive, quali per esempio una malattia fisica, metabolica, neurologica, psichiatrica, o condizioni socioeconomiche che spesso comportano la necessità per lo studente di lavorare durante gli studi (Massimo Casacchia).

Negli ultimi anni la raccolta del profilo e delle caratteristiche degli studenti che accedono ai servizi di counselling psicologico si è fatta sempre più sistematica (Strepparava et a., in stampa, Strepparava et al., 2016, Monti et al., 2014; Menozzi et al., 2016; Biasi et al., 2017) e ha evidenziato come, accanto a difficoltà di transizione evolutiva, vengano portate sempre più spesso problematiche di natura clinica.

Analizzando i dati di circa 300 studenti che hanno avuto accesso al nostro servizio di counselling psicologico, circa una metà degli studenti si presenta all’ingresso con una sofferenza di livello medio basso, in linea con la tipologia di difficoltà che questo tipo di servizio dovrebbe gestire, ma l’altra metà porta invece una sofferenza di livello medio alto, non di rado anche con un elevato ri-schio auto o etero lesivo. È quindi evidente che, proprio sulla base della rilevanza clinica di buona parte delle richieste di counselling, i servizi universitari debbano i) essere di fatto pensati e strutturati in modo tale da pre-vedere interventi differenziati, validati e adeguati ai vari gradi di sofferenza, ii) essere adeguatamente inseriti e collegati con gli altri servizi pubblici della rete territoriale per la salute mentale e soprattutto iii) avere operatori adeguatamente formati per fronteggiare questo tipo di casistica e saper lavorare in rete. I servizi universitari di counselling costituiscono spesso un primo (quando non l’unico) punto di accesso all’intervento e alla cura per giovani adulti che non arriverebbero all’attenzione dei servizi di salute mentale, in una fase di vita in cui i percorsi evolutivi patologici o di sofferenza possono ancora essere cambiati per una risoluzione più positiva.

La formazione degli operatori e l’organizzazione (sia interna che con la rete dei servizi territoriali) sono una delle sfide del futuro per i servizi di counselling: attualmente non vi sono linee guida comuni e ogni Ateneo ha strutturato i propri servizi in modo autonomo, sulla base delle diverse sensibilità dei coordinatori dei servizi, privilegiando in molti casi la dimensione tutoriale o degli interventi legati al sostegno allo studio, aspetti sicuramente rilevanti, ma non sufficienti alla gestione adeguata degli utenti. La formazione degli operatori deve, a nostro avviso, essere primariamente clinica, per garantire la sufficiente competenza nella diagnosi e nell’identificare le situazioni di maggiore gravità; la for-mazione clinica è importante soprattutto per evitare il rischio di sottostimare situazioni critiche e di ritardare interventi necessari. Anche la formazione dei docenti, che costituiscono le principali figure di riferimento per gli studenti, può facilitare il riconoscimento di situazioni di crisi e l’invio al servizio, anche se solo in poche occasioni gli Atenei riescono a lavorare con i docenti per fornire loro adeguate chiavi di lettura atte a riconoscere i campanelli di allarme, identificare chi può aver bisogno di aiuto e indirizzare nel modo più adeguato gli studenti ai servizi adatti.

Un ulteriore elemento di riflessione è dato dal legame tra la performance accademica e il disagio psichico: solo due studenti su 10 che accedono al servizio di counselling sono fuori corso; circa la metà riferisce di essere in ritardo con gli esami; questo significa che al servizio di counselling non si rivolgono solo «cattivi studenti», come una visione un po’ ingenua a volte sostiene: gli interventi devono essere sufficientemente articolati da prevedere anche un focus sulla performance acca-demica, ma la valutazione dell’efficacia dell’intervento non può passare solo attraverso la verifica del ripristino della carriera accademica (Maria Grazia Strepparava e Marco Bani).

Sintesi per il debriefing di quanto emerso nel II laboratorio

Dalle relazioni introduttive e dal dibattito, sono emersi i seguenti spunti:

Indicatori del ritardo studentesco: Il disagio psicologico è particolarmente diffuso tra gli studenti dei corsi di laurea delle professioni di cura e insorge in studenti vulnerabili. Si manifesta con ansia, da cui disturbi cognitivi che portano a difficoltà nello studio e a fallimento negli esami, con riduzione dell’autostima.

Metodi di rilevazione del ritardo studentesco: Docenti e tutor dovrebbero cogliere anomalie di comportamento dello studente come la difficoltà di relazione con il paziente. Gli strumenti sono l’osservazione diretta durante il tirocinio o l’invito a produrre scritti riflessivi.

Possibili strumenti di intervento sul ritardo studentesco: Docenti e tutor dovrebbero dare: a) consigli sulla metodologia di studio; b) suggerimenti per migliorare lo stile di vita; c) stimoli all’autovalutazione delle proprie difficoltà; d) inviti al ricorso ai servizi di counselling psicologico per la “gestione del fallimento”, o a interventi di terapia psicologica o ai servizi psichiatrici di secondo livello (Pietro Gallo).

III Laboratorio: Ritardo per cause di disagio sociale, culturale e scolastico: interventi di sportello studentesco

Relazioni introduttive

L’Università di oggi è un ambiente in cui gli studenti sono meno seguiti, la mole di studio è elevata, i professori giustamente poco flessibili, gli esami lunghi da preparare. Poco adatta quindi a studenti lavoratori come sono tuttora io, al mio settimo anno di Medicina. Pur rendendomi conto che le mie esperienze lavorative mi hanno resa una persona indipendente e capace di muoversi nel mondo del lavoro, gestirlo insieme allo studio non è stato semplice.

Credo quindi che sia necessario rendere sostenibile per tutti il carico di studi, anche per chi lavora. D’altronde, il primo passo, nonché il più difficile, per risolvere un problema, è ammetterne l’esistenza (Martina Cavagnero)

L’esperienza di Sapienza sul disagio sociale, culturale e scolastico si è centrata sul modo più efficace per intercettare il disagio sociale e culturale, sperimentando modelli tendenti a risolverne gli effetti sul rendimento accademico.

Sono state descritte, in estrema sintesi, due iniziative, tra le tante attualmente in corso.

La prima riguarda l’istituzione di una Mentoring Committee, operante da tre anni accademici, costituita da tre Docenti molto motivati a dialogare con gli stu-denti ed a coglierne i diversi problemi attraverso una prospettiva molto ampia, utilizzando le metodiche di tutoring, mentoring e remediation, cercando di personalizzarle sui singoli studenti, anche in collaborazione con il centro di Counselling Psicologico e con i docenti per concordare piani di recupero personalizzati.

La seconda, centrata sulla prevenzione del ritardo scolastico, riguarda il “programma orientamento in rete” (Falaschi et al., 2017), attivo da 18 anni, che fornisce risultati di successo e di allineamento efficace degli studenti soprattutto nei primi due anni di corso (Familiari et al., 2016) (Giuseppe Familiari).

Disagio scolastico: riguarda i debiti formativi che lo studente accumula quando rimane indietro con lo svol-gimento degli esami. Un peculiare debito formativo, che può incidere notevolmente al I anno di corso, è quello che deriva dalla diversa efficacia degli studi secondari. A questo si fa fronte con gli OFA (Obblighi Formativi Aggiuntivi). Questi possono essere attribuiti dai Corsi di Studio a quegli studenti che hanno superato il test d’ingresso a Medicina ma con un basso punteggio in aree tematiche quali la Biologia, la Chimica e la Matematica/ Fisica. Al termine di un corso di recupero, gli OFA si intendono assolti con il superamento della prova di profitto nella relativa area disciplinare, o in alternativa con il superamento di un test specifico.

Disagio culturale: è in genere imputabile alla difficoltà di adattamento, da parte dello studente, al contesto socio-culturale nel quale viene a situarsi, specie se fuori sede o straniero. Difficoltà ulteriori possono derivare da abusi e dipendenze. La strategia per farvi fronte parte da iniziative di supporto e indirizzo e, in particolare, dai servizi di counselling. Alla Sapienza è in elaborazione un servizio di sportello telematico che indirizza gli studenti con determinate problematiche verso servizi specifici in modo autogestito e con la possibilità di conservare l’anonimato.

Disagio socio-economico: può essere facilmente individuato grazie alla valutazione dell’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) e la principale strategia per affrontarlo è l’attribuzione di un bonus fiscale. A questo proposito, si riferiscono i risultati di uno studio condotto sui 120 studenti del IV anno di corso del polo Pontino della Sapienza. Tra gli studenti ripetenti e fuori corso, un terzo apparteneva alla fascia con ISEE ≤ 10.000 € e un ulteriore 17.6 % a quella con ISEE ≤ 20.000 €, mentre non vi erano studenti con ISEE ˃70.000 €. L’entità dell’ISEE, tuttavia, non ha mostrato correlazioni significative con il numero di esami soste-nuti. In definitiva se ne deduce che il bonus fiscale è un giusto intervento “di sistema”, che aiuta ma non risolve il ritardo studentesco, per il quale rimangono determinanti interventi di tipo pedagogico.

In conclusione, l’approccio al disagio scolastico, culturale e sociale:

  • deve essere di sistema
  • deve prevedere una precoce individuazione del pro-blema
  • deve essere integrato da interventi pedagogici mirati

(Carlo Della Rocca)

Sintesi per il debriefing di quanto emerso nel III laboratorio

Importanti indicatori di questo tipo di ritardo studentesco sono:

  • la frequenza degli studenti ripetenti/anno
  • il rapporto tra il numero di esami effettuati/numero esami attesi
  • il numero di studenti lavoratori

I metodi di rilevazione sono il monitoraggio delle carriere da parte del Consiglio di Corso di Studi, anche tramite analisi ISEE e il rilevamento dei debiti formativi (OFA).

Il disagio adattativo e relazionale può essere intercettato precocemente con analisi mirate e counselling psicologico Per il disagio scolastico sono utili tutor metodologici e una maggiore flessibilità delle date degli esami. Per gli studenti lavoratori è utile l’utilizzo di piattaforme online di recupero.

Resta comunque fondamentale un approccio precoce “di sistema”, allestendo un portale che censisca il disagio studentesco e lo indirizzi verso lo sportello più congruo (Tiziana Bellini).

IV Laboratorio: Ritardo per cause di sproporzione tra carico didattico e capacità di apprendimento: interventi pedagogici

Relazioni introduttive

La sproporzione fra carico didattico e capacità dello studente si può certo intendere come “quantità di studio eccessiva” ma anche come “qualità dell’insegnamento non adeguata”.

Il punto più critico, e su cui l’intervento durante il Laboratorio si è soffermato maggiormente, riguarda la formazione dei docenti in quanto pedagoghi. Quasi sempre, in particolare durante il triennio clinico, le lezioni sono tenute da professionisti o da giovani docenti privi della necessaria esperienza. Purtroppo, conoscere a fondo una materia non significa automaticamente possedere l’abilità di trasmetterla. Uno standard pedagogico non adeguato non può che complicare lo studio, allungando i tempi di preparazione degli esami e portando dunque al ritardo (Umberto Rosso).

Il contenimento/recupero del ritardo nel percorso di studi può essere perseguito con due tipi di intervento.

  • intervento sul carico didattico. Mentre appare difficile contrarre gli obiettivi formativi a causa del continuo progresso delle conoscenze, vi è ampio margine per una razionalizzazione nel raccordo tra obiettivi -> risultati di apprendimento attesi -> programmi di insegnamento, attraverso un uso appropriato del core curriculum nella (ri)progettazione del corso di studi.
  • Rafforzamento dell’apprendimento durante le ore di docenza.

– Il ritardo nell’avanzamento di carriera obbliga lo studente a seguire corsi per i quali non ha ancora acquisito conoscenze propedeutiche. Un oculato ricorso alla iscrizione part time (guidato da un tutor) può favorire la frequenza degli studenti in aula coerente con la loro capacità di comprendere/apprendere gli argomenti trattati.

– Investimenti sulla formazione pedagogica dei docenti consentirebbero l’adozione sistematica di modalità di insegnamento attivo che facilitino l’apprendimento in aula (maggiore efficacia delle ore di didattica in presenza del docente) (Bruno Moncharmont).

Sintesi per il debriefing di quanto emerso nel IV laboratorio

Il laboratorio ha identificato i seguenti punti per con-trastare il ritardo studentesco:

–  ridimensionamento del numero degli obiettivi formativi privilegiando l’insegnamento metodologico rispetto ai contenuti disciplinari.

– applicazione del Core Curriculum che tenga conto dei successivi anni di studio dopo la scuola di medicina, che sono ormai la regola per la maggior parte degli studenti

– ridimensionamento del numero dei docenti coinvol-ti nei vari corsi considerando che gli specialisti tendono ad allargare il numero degli obiettivi formativi.

–  una didattica per competenza che faciliti l’apprendimento in aula.

– esami adeguati, obiettivi e leali superabili con una buona preparazione alla fine di corsi altrettanto leali e con obiettivi educativi ben esplicitati

– ridimensionamento dei blocchi annuali e della propedeuticità:

– attivazione di un tutorato vero (Oliviero Riggio).

Conclusioni del Forum

Dalle relazioni presentate nei laboratori e dal dibattito finale in assemblea plenaria sono emersi due ordini di cause di ritardo studentesco:

– cause strutturali che esulano dall’ambito di intervento dei Presidenti di CLM:
Negli ultimi anni il ritardo studentesco è stato fortemente alimentato dalla graduatoria nazionale per l’accesso al CLM in Medicina che, con il suo lento scorrimento, ha portato ad immatricolazioni tardive, con conseguente ritardo nella progressione degli esami. Questa condizione è stata esasperata dall’esito di ricorsi al TAR da parte degli studenti esclusi che ha non solo accentuato i ritardi ma anche provocato un rilevante numero di abbandoni.

– cause che sfidano l’organizzazione didattica e la struttura del curriculum studiorum del CLM:
La struttura del curriculum medico dovrebbe sfron-dare gli obiettivi disciplinari (soggetti a rapida obsolescenza) e privilegiare gli obiettivi metodologici (che favoriscono il lifelong learning) e rivedere il numero di CFU assegnati ai corsi, in funzione dei reali tempi di apprendimento dello studente. Inoltre, il curriculum dovrebbe prevedere elementi di flessibilità in funzione della capacità di apprendimento degli studenti.

Vista la correlazione esistente tra basso reddito dello studente e insuccesso scolastico, occorre anche monito-rare precocemente il disagio economico dello studente.

Cruciale rimane, infine, la formazione pedagogica dei docenti, che dovrebbero essere in grado di svolgere un tutorato attivo e di cogliere il disagio emozionale degli studenti, osservandoli durante il tirocinio e stimolandoli al pensiero riflessivo (Pietro Gallo).

Bibliografia

Biasi V, Cerutti R, Mallia L, Menozzi F, Patrizi N, Violani C. (2017). (Mal)adaptive psychological functioning of students utilizing university counseling services. Frontiers in Psychology, 8, 403. DOI: 10.3389/fpsyg.2017.00403

Falaschi P, Familiari G, Longo F, Relucenti M, Eleuteri S, Volpe M, Filetti S, Vullo V, Gaudio E. (2017). Programma Orientamento in rete: http://www.uniroma1.it/didattica/orientamento/orientamentorete

Familiari G, Eleuteri S, Longo F, Ditoma C, Barbaranelli C, Falaschi P. (2016). The impact of specific preparatory courses upon academic success during Medical Degree-Course Studies at Sapienza University of Rome. AMEE Conference, Barcelona, Abstract Book, p. 86.

Menozzi F, Gizzi N, Tucci MT, Patrizi N, Mosca M. (2016). Emotional dysregulation: The clinical intervention of psychodynamic university counselling. Journal of Educational, Cultural and Psychological Studies, (14), pp. 169-182. DOI: 10.7358/ecps-2016-014-meno

Merli M, Cavaggioni G, Colosimo A, Della Rocca C, Lai E, Marceca M, enzi P, Romanelli F (2012): Motivazioni del ritardo nella Facoltà di Medicina. Analisi qualitativa e al-cune riflessioni per un tutoraggio attivo. Medicina e Chirurgia 54, 2392-2395. DOI: 10.4425/medchir2012-54-4

Monti F, Tonetti L, Ricci Bitti PE. (2014). Comparison of cognitive-behavioural therapy and psychodynamic therapy in the treatment of anxiety among university students: An effectiveness study. British Journal of Guidance & Counselling, 42(3), 233–244.

Strepparava MG, Bani M, Corrias D, Dolce R, Zorzi F, Rezzonico G. (2016). Cognitive counseling intervention: treatment effectiveness in an Italian university center. British Journal of Guidance and Counselling. 44, 4, 423-433. doi: 10.1080/03069885.2015.1110561

Strepparava MG, Bani M, Zorzi F, Mazza U, Barile F, Rezzonico G. (in stampa). Does the severity of psychopathology of Italian students receiving counseling services increase over time? A 5 year analysis and a comparison with a clinical and non-clinical sample. Clinical Psychology & Psychotherapy, DOI:10.1002/cpp.2096

Cita questo articolo

Gallo P., Bani M., Bellini T., et al, Analisi delle cause del ritardo studentesco nel CLM in Medicina, Medicina e Chirurgia, 74: 3366-3371, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-74-2

Criteri e parametri di valutazione della didattica ai fini della valutazione del docenten.63, 2014, pp.2830-2841, DOI: 10.4487/medchir2014-63-2

Abstract

The Working Group (WG) has identified a number of topics that constitute the “quality of teaching” vast planet with particular emphasis on aspects related to the “quality of Teacher” in a perspective of integrated educational and scientific evaluation of the teacher.

In this document, which is a synthesis of what has been discussed and approved by the Standing Conference of the Presidents of the Council of  Degree in Medicine and Surgery, the most critical issues arised following the implementation of the ANVUR-AVA legislation are discussed and a series of corrective actions in areas of particular significance for the evaluation of the Teacher in the School of Medicine are proposed.

Articolo

A. Premesse generali alla valutazione della didattica

1. Valutare e  misurare

La valutazione è “un atto (che implica nei casi di maggiore complessità, raccolta di informazioni, analisi e riflessione) tendente alla formulazione di giudizi di valore su un oggetto, su una situazione o su un evento” (Lipari 1995). Questo implica che vi siano dei criteri socialmente e culturalmente condivisi e che il soggetto valutante sia in possesso di un’autorità e di una legittimazione tale da essere riconosciuta da parte del valutato.

“La valutazione deve poter avere conseguenze nella realtà. Non è quindi solo produzione di un giudizio, ma produzione di un giudizio che consenta di fare” (Bisio 2002).

La valutazione è “un evento politico, essa non ha carattere neutro ed è esposta, a sua volta, a condizionamenti da parte dei committenti o delle parti interessate. Per tali peculiarità, gli esiti della valutazione, oltre a costituire un’informazione utile per impostare, correggere, migliorare programmi sociali, possono anche essere costruiti e utilizzati allo scopo di legittimare le iniziative assunte e i programmi già avviati” (Fraccaroli, Vergani 2004).

Riguardo gli oggetti della valutazione è possibile distinguerli in due diverse categorie, che danno luogo alla “valutazione di prodotto” e alla “valutazione di processo”. La prima si basa sulla verifica della rispondenza tra obiettivi e risultati (Tyler 1949), è nata dall’esigenza di abolire azioni basate sulla casualità, l’improvvisazione, l’ambiguità. Per poter valutare è necessario definire prima obiettivi descritti come comportamenti attesi e necessita quindi di una standardizzazione. La seconda si basa sull’accertamento del valore sociale ed educativo di un’azione formativa (Eisner 1967) ed in campo educativo è nata dall’esigenza di far luce sul processo di apprendimento per migliorare l’offerta formativa.

Per ottenere un risultato soddisfacente sono necessarie entrambe: la valutazione di prodotto consente di verificare se il risultato finale corrisponde a quanto stabilito e per questo necessita di una definizione esatta di quanto bisogna produrre ma “poiché un risultato è sempre la conseguenza di un processo d’azione, senza l’analisi del processo, la comprensione dei risultati risulta fortemente problematica e comunque parziale” (Lipari 1995). La valutazione di processo si occupa di tutti gli aspetti che lo caratterizzano dall’inizio alla fine.

Permette di riflettere su tutto il percorso formativo cogliendo anche quegli aspetti che una valutazione di prodotto non permetterebbe di osservare ma senza la valutazione del prodotto può dar luogo a risultati aberranti.

Da queste considerazioni emerge la necessità di sviluppare per ambiti molto complessi, quali ad esempio quello formativo, modelli di valutazione integrata sia di prodotto che di processo. Attraverso questo passaggio potrà realizzarsi nel tempo l’adeguamento del nostro sistema universitario a modelli consolidati e condivisi a livello internazionale, in particolare in accordo con quanto stabilito dall’European Association for Quality Assurance in Higher Education, ENQA, nel documento Standards and Guidelines for Quality Assurance in Higher Education, ESG.

L’introduzione di un sistema di valutazione, soprattutto in ambito formativo, deve essere in linea con i seguenti principi:

i.  valorizzazione del merito;

ii. garanzia di pari opportunità di diritti …ma anche di doveri;

iii. trasparenza dei risultati conseguiti;

iv. tempestività di diagnosi ed efficacia di intervento correttivo attraverso strutture accreditate per l’incident reporting per la segnalazione di “non conformità” (malfunzionamenti, disguidi, inosservanze delle norme, inceppamenti organizzativi, etc.);

v. definizione degli strumenti per gli interventi correttivi.

La misurazione intende quantificare, attribuire un punteggio secondo certi parametri. Ha l’obiettivo di consentire una stima, sulla base di un sistema di riferimento condiviso, delle informazioni sulle quali si intende operare o che debbono essere considerate ai fini di formulare un giudizio. Nella misurazione, attribuiamo dei valori numerici a oggetti o ad eventi secondo regole che permettono di rappresentare caratteri degli oggetti o eventi in questione con proprietà del sistema numerico. Per questioni sperimentali e teoriche (ad esempio il principio di indeterminazione di Heisenberg) ciò che intendiamo misurare non è, in realtà, descrivibile da un solo valore numerico, anche ipotizzando una precisione di misurazione infinita. Ciascuna misura è quindi una stima del valore vero. Per ragioni pratiche occorre quindi definire un intervallo entro cui la misura viene considerata accettabile. Quando intendiamo misurare parametri riferibili ad un prodotto o ad un processo è quindi essenziale definire gli standard di riferimento.

La valutazione tiene conto di attributi concreti, prevalentemente unidimensionali, risultati della misurazione ma non solo di essi in quanto è espressione anche di valori aggiuntivi non direttamente misurabili consistenti per esempio in benefici emotivi che riguardano attributi astratti, prevalentemente multidimensionali, non oggettivamente misurabili.

Nel mondo della Scuola-Università i termini misurazione e valutazione sono due funzioni spesso (con)fuse insieme.

2. La valutazione nella attuale realtà universitaria italiana

Nella attuale realtà universitaria (non solo italiana) l’attenzione riservata ai temi valutativi sembra essere prevalentemente il risultato di scelte politiche provenienti dall’esterno (SISTEMA ANVUR/AVA), come esito di una pressione esogena più che un bisogno emergente all’interno dell’organizzazione

Sicuramente nel corpo docente non esiste una diffusa cultura della valutazione ma non c’è ostilità preconcetta verso l’azione valutativa in sé, quanto piuttosto un sostanziale rifiuto verso una valutazione che si esprime unicamente in giudizi di adeguatezza o inadeguatezza.

E’ questo un effetto negativo, prodotto da forme di valutazione oggettiva dirette a fare classifiche e a stabilire la quota di risorse che vanno alle università in conseguenza di questa valutazione e che molto difficilmente riescono a favorire e sostenere processi di messa a punto e di superamento delle carenze rilevate (vedi a proposito  la “Raccomandazione sul DM 47/13” espressa dal CUN nell’adunanza del 27/3/13).

Il rischio di rifiuto diventa molto rilevante se gli indicatori scelti generano risultati aberranti e se il processo di valutazione è percepito come incompleto o parziale.

B. Valutazione della didattica-Valutazione del docente

1. Qualità della didattica: una scelta politica

In una prospettiva di facoltà o scuola di qualità l’attenzione alla qualità della docenza sembra essere un nodo essenziale, poiché si stima che in assenza di insegnanti competenti ed efficaci vengono a mancare le premesse fondamentali per la qualità della didattica e dell’offerta formativa.

Alla qualità del docente si accompagna la qualità dell’organizzazione della didattica (modalità della didattica, adeguatezza delle risorse umane o di struttura, ecc.), proveniente dalle determinazioni che riguardano il livello politico, amministrativo, organizzativo e gestionale su cui però la scuola o facoltà non sempre ha il potere di condizionare le scelte da adottare.

Le attuali pratiche valutative della didattica universitaria sono fondate principalmente sul rapporto fra docente e studente, dove chi apprende esprime un valore rispetto al processo di insegnamento avvalendosi di questionari/interviste come strumenti privilegiati di giudizio. Tali questionari sono costruiti soprattutto sulla filosofia della customer satisfaction, tendente a valorizzare l’assunzione di responsabilità delle organizzazioni formative e il potere del consumatore.

La student satisfaction, nonostante le tipiche aree di criticità da più parti rilevate, se opportunamente contestualizzata e delineata in relazione al valore formativo della valutazione, può motivare processi di revisione della pratica di insegnamento attuata dal docente, ma se considerata come fonte esclusiva (o quasi esclusiva) di informazione sullo stato della didattica rischia di ridurre gli spazi di intervento per il miglioramento della qualità. Sono quindi auspicabili nella valutazione della didattica/docente analisi a più livelli, pluralità di metodi e strumenti da adottare, pluralità di contesti da esaminare non solo basati su tale contesto.

2. Valutazione del docente: aspetti critici

La disponibilità del docente ad essere valutato e a rendere conto del proprio operato con misure oggettive (teacher accountability) è il prerequisito per affermare una pratica valutativa. L’esercizio della valutazione è, per il nostro sistema Universitario, certamente un inevitabile cambiamento epocale. A lungo infatti si è sottratto a tale necessità ed ancora oggi la sua applicazione è molto disomogenea. Accanto ad una diffusa mancanza di standardizzazione dei parametri di giudizio e condivisione di comportamenti c’è un aspetto molto rilevante che fino ad ora non è stato affrontato: la motivazione a farsi valutare. È infatti innegabile che, fino a quando la didattica rimarrà un’attività senza peso nella carriera del docente universitario, sarà molto difficile implementarne la valutazione. La valorizzazione delle attività svolte dal docente in termini di qualificazione e mantenimento della competenza didattica, anche se apparentemente un’ovvia conseguenza dell’operare nell’Università, è poco riconosciuta. Attualmente infatti la carriera del docente viene influenzata dalla ricerca (abilitazione nazionale e valorizzazione dei prodotti della ricerca) ma non dalla didattica. Quello speso nell’acquisizione di specifiche competenze, il mantenimento delle stesse, l’eccellenza (o il deficit), la coerenza con il mandato formativo assegnato nei Corsi di Laurea o nelle Specializzazioni viene quasi considerato tempo sottratto alla possibilità di fare ricerca (o assistenza).

Le principali criticità della pratica valutativa nell’attuale modello sono:

i.  La mancanza della definizione esatta ed inequivocabile degli obiettivi sul raggiungimento dei quali effettuare una verifica. In un buon sistema di qualità è infatti essenziale definire gli standard sia di prodotto che di processo che si intende raggiungere;

ii.  La mancanza di una formazione degli studenti come valutatori per esprimere un giudizio basato su regole e comportamenti condivisi;

iii. L’assenza della definizione di criteri oggettivi per cui si abbia da parte degli studenti la percezione che i loro sforzi nella valutazione diano risultati in termini di miglioramento della didattica poiché la qualità della partecipazione e della motivazione degli studenti è una premessa iniziale per il successo delle valutazioni degli insegnamenti/docenti;

iv. La scarsa flessibilità del modello di valutazione adottato (es., questionario) da sottoporre agli studenti in momenti differenti del corso tale per cui si riesca a cogliere l’aspetto evolutivo della percezione degli studenti riguardo al corso stesso con la possibilità di confrontarla con quella dei docenti;

v. La mancanza della valorizzazione della competenza didattica;

vi. La assenza di strumenti per identificare le situazioni aberranti ed intervenire per correggerle.

C. Valutazione del docente nella Scuola di Medicina

1. Le caratteristiche distintive dell’ordinamento degli studi medici

Esistono alcune caratteristiche peculiari e distintive dell’ordinamento degli studi medici che è bene sottolineare per giustificare la necessità di strumenti di valutazione specifici in questo contesto:

i.  Il Corso integrato: la specializzazione – e la parcellizzazione – del sapere medico hanno reso necessario il ricorso sistematico al corso integrato (CI) nella programmazione curricolare. Il significato ed il grado di integrazione dei CI variano notevolmente nella realtà, passando da CI mono-disciplinari con integrazione limitata ad una collaborazione di docenti della stessa disciplina, a CI multi-disciplinari nei quali si alternano docenti di settori scientifico-disciplinari differenti, a CI inter-disciplinari nei quali si realizza una reale integrazione con l’organizzazione di unità didattiche complesse e di copresenze. Pertanto nella valutazione del docente occorre tenere distinti due aspetti, uno relativo al CI (come riuscita complessiva), l’altro relativo ai singoli docenti che compongono il CI (caratteristiche di insegnamento/docenza).

ii. L’attività professionalizzante ed il tutor clinico: negli attuali schemi didattici largo spazio viene dato al tirocinio professionalizzante. Il tutor clinico non solo deve avere le competenze specifiche per l’ambito didattico per il quale è richiesto il suo contributo (così come il docente che svolge l’attività didattica formale) ma deve soprattutto operare in modo da permettere allo studente di elaborare un proprio profilo operativo (imparare “a fare”). Pertanto nella valutazione del docente nella Scuola di Medicina occorre tenere distinte le due figure: il professore e il tutor clinico (che possono anche essere la stessa persona a seconda della numerosità del personale ma con funzioni distinte)

iii. La Frequenza: a Medicina esiste l’obbligo certificato di frequenza per tutti gli studenti sia che si tratti di attività di didattica formale che di attività di tirocinio professionalizzante.

2. Gli ambiti di valutazione

Come discusso nell’introduzione, ambiti complessi, come appunto quello formativo, richiedono approcci valutativi multidimensionali, con analisi a più livelli, pluralità di metodi e strumenti da adottare, pluralità di contesti da esaminare (nel nostro caso non solo confinati all’attività didattica propriamente detta). Lavorando su questa base, il Gruppo di lavoro ha identificato quattro ambiti di valutazione del docente nella Scuola di Medicina:

1) Autovalutazione;

2) Valutazione del docente da parte degli studenti;

3) Valutazione del Tutor clinico da parte degli studenti;

4) Altre forme di valutazione del docente.

I quattro ambiti sono discussi in un’ottica di un percorso valutativo integrato e, laddove esistenti, le nostre proposte sono messe a confronto con le procedure ANVUR/AVA attualmente in vigore.

2.1 Autovalutazione

La scheda predisposta dall’ANVUR (Scheda n. 7, da compilarsi a cura del docente per ogni insegnamento) è divisa in due parti:

i. aspetti organizzativo-strutturali (carico di studio accettabile, orario lezioni, aule e servizi di supporto, etc., 6 items) e

ii. aspetti didattici (conoscenze preliminari, coordinamento, modalità esame, soddisfazione complessiva del docente, 4 items).

Le domande sono molto generali e prevedono come risposta un giudizio/opinione espressa dal docente con una scala valutativa a quattro gradi (da decisamente no a decisamente sì).

Il docente ha l’obbligo di compilare la scheda dopo lo svolgimento dei 2/3 delle lezioni e di consegnarla agli uffici competenti insieme al Registro delle attività didattiche al termine dell’anno accademico (31 ottobre anche se dovrebbe essere 30 settembre viste le semestralizzazioni).

Il GdL ritiene che la scheda così come predisposta dall’ANVUR/AVA, più che un’autovalutazione ex post del docente in merito alla qualità della realizzazione del corso, appare essere un dispositivo formale finalizzato ad adempimenti burocratici e come tale non sufficiente a garantire il raggiungimento dei due obiettivi fondamentali sottesi all’autovalutazione:

i. A livello personale: sviluppare nel docente un atteggiamento critico verso il proprio operato (practical reflections, educational criticism);

ii. A livello istituzionale: promuovere una responsabilizzazione del docente (teacher accountability) coinvolgendolo come parte integrante del processo di miglioramento dell’istituzione universitaria.

Proposte del GdL

Vista l’importanza del processo e l’assenza di una cultura e di una pratica diffusa di autovalutazione nelle Scuole di Medicina italiane, si propone un modello di autovalutazione più articolato composto dal questionario per l’autovalutazione del docente ed il teaching portfolio.

a) Questionario per l’autovalutazione del docente.

Si propone un questionario (Hoyt e Pallett 1999, modificato) composto da due sezioni. La prima sezione si riferisce al C.I. e contiene domande riguardanti:

1) il contesto in cui è collocato il CI (sia rispetto alle caratteristiche degli studenti, sia rispetto ad altri CI del curriculum;

2) gli obiettivi del CI;

3) le strategie didattiche impiegate;

4) i materiali didattici utilizzati;

5) le modalità di valutazione del profitto degli studenti adottate.

La seconda sezione si riferisce al singolo docente e contiene domande su:

1) le attività svolte in aula;

2) il coordinamento didattico con gli altri colleghi del CI.

L’obiettivo del questionario per l’autovalutzione è quello di spingere il docente a farsi le seguenti domande: 1 – è corretto il contesto in cui è collocato il corso integrato? 2 – sono chiari gli obiettivi del corso integrato? 3 – sono state discusse le strategie didattiche? 4 – i materiali didattici sono soddisfacenti e facilmente reperibili? 5- le modalità di valutazione del profitto sono state discusse dai docenti del corso integrato? 6 – è stato soddisfacente il coordinamento didattico? 7 – sono stati tenuti presenti nell’ambito del CI e nei singoli moduli i descrittori di Dublino? 8 – i cfu assegnati sono insufficienti o meno? 9 – il numero di ore di lezione e la loro organizzazione sono soddisfacenti? 10 – le attrezzature per le attività in aula sono adeguate?

Come tempistica di rilevazione, il questionario va compilato annualmente dal docente a chiusura del ciclo di lezioni e consegnato agli Organi di Valutazione interna per gli adempimenti del caso.

b) Teaching portfolio.

Una delle procedure indicate come la più adeguata a sensibilizzare il docente all’autovalutazione è quella della produzione del teaching portfolio.

Il teaching portfolio (da non confondere con il Registro delle attività didattiche) rappresenta una raccolta di dati, attestati, materiali vari, documentazione ufficiale, sulle attività del docente. La raccolta delle informazioni contenute nel portfolio non deve essere necessariamente esaustiva di tutte le attività compiute dal docente, ma presentare una selezione di quelle attività che egli considera didatticamente efficaci e qualitativamente importanti.

Dall’analisi della letteratura emerge che la costruzione del portfolio può avere una valenza sia soggettiva e servire al docente come stimolo all’autoriflessione, che istituzionale e servire al docente come un prodotto da utilizzare per integrare la documentazione della sua attività in vista della sua progressione di carriera.

Il portfolio potrebbe inoltre costituire, insieme ai risultati dei questionari di valutazione (sia autovalutazione del docente che valutazione del docente da parte degli studenti), uno strumento utile per misurare la qualità dei docenti e formulare una graduatoria di merito interna con effetti premiali per i più bravi (riconoscimenti di prestigio o economici o di carriera).

Gli elementi particolarmente significativi per la costruzione del teaching portfolio (trasformabili in indicatori a fini valutativi) possono essere:

i.  Tesi (numero e qualità) seguite dal docente come relatore;

ii. Risultati del progress test relativi all’area di riferimento del docente mediante l’analisi critica effettuata insieme agli altri colleghi del CI;

iii. Risultati degli esami  (rispondenza dei risultati rispetto agli obiettivi del CI, livelli di performance da parte degli studenti, analisi dell’andamento/risultanze, al di là del semplice score);

iv. Percentuale di presenze del docente ai consessi degli organi di governo (Consigli Struttura di Raccordo, Facoltà, Scuola, etc.);

v.  Partecipazione del docente a Commissioni relative all’organizzazione, programmazione, valutazione dell’attività didattica (es. Commissione Tecnica di Programmazione didattico-pedagogica, Commissione Paritetica etc.);

vi. Valutazione dei giudizi riportati dagli studenti (analisi critica e soluzioni formulate insieme agli altri colleghi del CI in caso di esiti negativi);

vii. Adesione ai descrittori di Dublino;

viii. Partecipazione del docente ad attività di formazione pedagogica finalizzate a migliorare le sue competenze in termini di progettazione, erogazione, valutazione del percorso di apprendimento. Con riferimento a quest’ultimo punto, potrebbe essere utile introdurre un sistema di accreditamento sul modello degli ECM (S.I.Pe.M., Atelier didattici della Conferenza, etc.).

La costruzione del teaching portfolio, come pratica autovalutativa, è a nostro avviso molto importante non solo su un piano concettuale innovativo ma anche tecnico di valutazione perché soddisfa il criterio dell’approccio valutativo multidimensionale includendo misure/valutazioni sia di processo (come il docente ha agito) che di risultato, quest’ultimo a sua volta inteso sia come output (quanto il docente ha prodotto) che come outcome (quale effetto ha avuto l’attività del docente rispetto agli obiettivi prefissati).

2.2 Valutazione del docente da parte degli studenti

Nella Scuola di Medicina italiana la valutazione dell’insegnamento/docente da parte degli studenti è pratica ormai accreditata, ben prima dell’introduzione del sistema ANVUR/AVA, anche se si registrano vistose difformità nei modelli sviluppati/criteri di applicazione adottati nelle differenti sedi.

I nodi ancora da sciogliere riguardano non tanto e non solo gli strumenti da adottare (di cui discuteremo più avanti) quanto piuttosto l’applicazione dei principi su cui si basa un sistema di valutazione efficace, applicazione ancora inesistente nella quasi totalità delle sedi.

Occorre pertanto considerare i seguenti aspetti:

i. sensibilizzazione dello studente alla valutazione (chi insegna agli studenti a valutare per garantire da parte loro un giudizio oggettivo ed omogeneo e come). Allo scopo potrebbero essere utilizzati brevi corsi sommministrati anche on-line;

ii. definizione di criteri oggettivi condivisi che trasmettano agli studenti la percezione che i loro sforzi nella valutazione diano risultati in termini di miglioramento della didattica;

iii. avvio di procedure validate per l’incident reporting, incluse sanzioni e correttivi da applicare in caso di inadempienze o omissioni.

Passando agli strumenti e prima di discuterne, è bene ricordare gli obiettivi sottesi alla valutazione del docente da parte dello studente che sono: espliciti di tipo culturale (la proposta di contenuti disciplinari da parte dei docenti, perché essi vengano appresi dagli studenti) e formativi (lo sviluppo personale e professionale dello studente). L’altro aspetto da ricordare riguarda l’attenzione all’efficacia versus eccellenza del docente. L’efficacia, ovvero il rendere sempre più efficaci i processi di insegnamento considerando prioritariamente la crescita culturale e professionale degli studenti, è un concetto che domina lo scenario internazionale da più di un decennio, collegato alla qualità della didattica complessiva dei corsi di laurea ed alle connessioni di questa con gli standard per valutarla e le eventuali procedure di accreditamento. La valutazione dell’efficacia si traduce sostanzialmente in termini di valutazione dell’apprendimento e della soddisfazione degli studenti. L’eccellenza ovvero l’esplorazione e adozione da parte del docente di nuovi approcci all’insegnamento e all’apprendimento, è un concetto più sofisticato e meno praticato, che richiede forme valutative più complesse (come dossier, peer- e self-evaluation) all’interno di una valutazione istituzionale.

La scheda predisposta dall’ANVUR per la valutazione del docente da parte dello studente (Scheda n. 1) è divisa in tre parti:

i.  aspetti di insegnamento (conoscenze preliminari, carico di studio/CR, materiale didattico adeguato, definizione delle modalità d’esame, 4 items);

ii.  aspetti di docenza (orari e puntualità del docente, qualità di insegnamento, attività didattiche integrative, etc, 6 items);

iii. interesse dello studente agli argomenti trattati (1 item); a queste tre parti si aggiunge una sezione di  “Suggerimenti al docente” (9 items già prefissati tra i quali optare, es., alleggerire il carico didattico complessivo, inserire prove d’esame intermedie, etc.).

Per le prime tre parti si richiede allo studente di esprimere un giudizio (quattro gradi di giudizio/ item, da decisamente no a decisamente sì).

Commentando la scheda predisposta dall’ANVUR e relativamente alla obbligatorietà e tempistica di rilevazione, vogliamo far notare che

i. l’obbligatorietà di compilazione deve essere per noi, più che un adempimento burocratico, un valore a cui educare lo studente di medicina;

ii. la tempistica di rilevazione al momento dell’iscrizione all’esame, qualora quest’ultimo si svolga a distanza di molti mesi dal corso, rende le risposte poco attendibili.

Suggeriamo come strumento migliore quello di un questionario di gradimento/soddisfazione da sottoporre a tutti gli studenti a lezione, possibilmente alla fine del CI, piuttosto che all’atto dell’iscrizione all’esame per evitare che passi troppo tempo tra attività e raccolta dei dati.

Relativamente alla formulazione della scheda, sulla base di quanto discusso sopra e dell’esperienza maturata in alcune sedi, proponiamo un modello più articolato rispetto a quello dell’ANVUR/AVA, composto da due sezioni:

– una prima di soddisfazione complessiva – aspetti di contesto, riferita al CI (6-8 item, soddisfazione, interesse agli argomenti, utilità o meno di ripetizioni e sovrapposizioni rispetto ad altri CI, etc.)

– una seconda riferita al “docente”, predisposta nominalmente per tutti docenti del CI, composta da due parti:

i.  aspetti organizzativi (pochi item, es., puntualità del docente all’inizio delle lezioni,  modalità di svolgimento dell’esame,etc.) e

ii. aspetti di docenza propriamente detta (5-6 item), questi ultimi relativi sia alla capacità del docente di attivazione cognitiva (es chiarezza espositiva, trattazione esauriente) che alla capacità del docente di supporto al learning (es., se il docente risponde a domande, se fa domande e lascia tempo per le risposte, se i contenuti di apprendimento sono appropriati rispetto ai prerequisiti richiesti, anche utilizzando gli obiettivi dei singoli core curricula così come raccolti dalla Conferenza).

A queste due sezioni se ne aggiunge una riferita al C.I., che comprende due domande, una sul carico di lavoro complessivo rispetto ai crediti formativi assegnati al CI ed un’altra sulla effettiva integrazione tra i docenti .

Un totale di circa 20 domande che riguardano sia il CI che i singoli docenti. A queste tre sezioni si può aggiungere una quarta di “Suggerimenti” identica a quella proposta dall’ANVUR (Scheda n. 1, vedi sopra).

Nota. Con riferimento alla valutazione del docente da parte degli studenti, l’ANVUR ha anche predisposto un’altra scheda, la cui rilevazione partirà però dai prossimi AA. Si tratta della Scheda n.2, Studenti frequentanti, relativa all’organizzazione dei corsi dell’AA precedente (parte A) e solo, gli esami sostenuti (parte B), con tempistica di rilevazione al momento dell’iscrizione all’AA e con elemento di obbligatorietà consistente nel blocco dell’iscrizione all’AA o all’Esame di Laurea; gli studenti dell’ultimo anno di corso dovranno compilare questa scheda prima della laurea. Con questa scheda l’ANVUR/AVA intende affrontare la valutazione ex post dello studente sui corsi svolti l’anno precedente, inclusi gli aspetti relativi all’esame. Riteniamo questa scheda non del tutto soddisfacente, sia per la tempistica, che per la parte relativa all’Educational Assessment Knowledge and Skills (sostanzialmente la valutazione del docente come valutatore), riteniamo l’argomento troppo importante e complesso per affidarlo allo studente. In alternativa proponiamo altri approcci come descritto in precedenza (qualificazione dello studente come valutatore, teaching portfolio) e più avanti (punto 2.5).

2.3 Valutazione del tutor clinico

Il tutor clinico, come già anticipato, è una  figura protagonista nell’insegnamento della medicina attuale. Egli rappresenta una cerniera del sistema formativo soprattutto nell’ambito del tirocinio professionalizzante, che viene effettuato sotto la sua diretta responsabilità, nel corso del quale lo studente deve acquisire la confidenza con la professione, integrando la didattica essenzialmente rivolta a fornire informazioni teoriche e pratiche con un apprendimento basato sull’acquisizione di competenza (dal piano delle conoscenze scientifiche a quello della semeiotica fisica e strumentale, a quello della componente umanistica della professione medica).

Dalla qualità dei tutores che si susseguono a fianco dello studente nel corso della formazione dipende la qualità della formazione stessa e l’attitudine professionale del neo-medico.

La Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia (CPPCLMMC) ha elaborato ed approvato una guida, “Codice di comportamento del Docente tutor e dello studente iscritto ai Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia nello svolgimento delle attività didattiche cliniche tutoriali” (Familiari et al, Med e Chir, 55, 2012, pp 2465-2474), che è stata successivamente condivisa ed approvata anche dalla Conferenza Permanente dei Presidi delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia.

In essa si identificano intenti, valori e doveri di docenti e studenti, insieme, nello svolgimento delle attività assistenziali condotte all’interno delle strutture assistenziali e del territorio. L’auspicio della Conferenza è che la guida diventi parte integrante del Regolamento didattico dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Il Codice/guida comprende tre sezioni:

i.  Fondamenti etici (l’etica come base di azione del docente e dello studente; norme di etica “essenziale” inerenti il rapporto con il paziente);

ii. Aspetti didattici e pedagogici (competenze e responsabilità crescenti degli studenti; obblighi di frequenza);

iii. Norme di condotta dello studente.

Nonostante il forte richiamo etico centrale, il clima attuale locale (singole sedi) è ancora di incertezza/resistenza/confusione nei riguardi delle Attività Didattiche Professionalizzanti (ADP) (sia come pianificazione che realizzazione che valutazione).

Le ragioni di questo disagio sono sostanzialmente riconducibili alla mancanza di soluzioni, direttive comuni, scelte condivise relative ad alcuni aspetti critici legati alle ADP quali:

i.  Definizione operativa di obiettivi e competenze pertinenti all’attività tutoriale in ambito clinico;

ii. Individuazione di strategie di formazione dei tutor clinici (esame certificativo con abilitazione?);

iii. Natura e numerosità delle ADP teorico-pratiche (soprattutto di livello 3, essere capaci di fare, in applicazione ai Dublino 3 e 4) giudicate essenziali e irrinunciabili da tutte le sedi;

iv. Modalità utili per la scelta, apprendimento, e valutazione delle competenze metodologiche (capacità dello studente di trasformare le conoscenze in competenze mediante l’applicazione in contesti operativi, in applicazione ai Dublino 2, 3, 4).

Per superare queste criticità la Conferenza ha designato un GdL ad hoc (“Core curriculum”, coordinatore il prof. Eugenio Gaudio) che ha già prodotto alcuni risultati incoraggianti in un’ottica di costante dialettica con le singole sedi.

Tenuto conto dell’assenza di riferimenti ANVUR, sia pure in un clima di incertezza, riteniamo importante avanzare alcune proposte relative alla valutazione delle ADP e del tutor clinico ad esse dedicato:

a. definizione di un meccanismo di reclutamento dei tutor clinici (proposti da ciascun presidente del Corso Integrato e nominati dal CCdS), che preveda:

I. la predisposizione di un curriculum standard,

II. la partecipazione ad un corso di formazione,

III. la valutazione della performance del periodo precedente;

b) definizione, da parte del CCdS, degli obiettivi del tutoraggio (possibilmente corrispondenti ai Clinical Skills in corso di definizione a livello di Conferenza);

c) inserimento degli obiettivi del tutoraggio tra gli argomenti di esame del corso integrato di riferimento;

d) questionario di gradimento/valutazione del tutor clinico da parte degli studenti basato sul criterio della student satisfaction. Il questionario, predisposto nominalmente per ogni tutor clinico responsabile di ADP nel C.I., è composto da tre sezioni: la prima relativa alla tipologia delle ADP, soprattutto in riferimento alle teorico-pratiche di livello 3 (saper fare) e alle metodologiche (applicazione dei Dublino 2, 3, 4); la seconda relativa alla modalità di verifica del tirocinio svolto. Per gli item più importanti si richiede allo studente sia di fornire l’informazione (sì/no) che di esprimere un giudizio/grado di soddisfazione. In linea con il principio di trasparenza, i risultati del questionario di gradimento, inclusa la graduatoria di merito dei C.I./tutor, potranno essere resi pubblici compatibilmente con la normativa sulla privacy; la terza relativa al livello di soddisfazione riferito alla situazione ambientale (modalità di accoglienza, disponibilità degli operatori).

2.4 Incremento dell’autonomia responsabile

Il meccanismo proposto per AVA (binomio dialettico autovalutazione-valutazione, responsabilizzazione delle strutture da valutare, valutazione trasparente e consapevole da parte dei valutatori esterni) è corretto. Vi sono tuttavia delle criticità, alcune delle quali vogliamo discutere con riferimento specifico alla valutazione della didattica/docente in un’ottica di sviluppo dell’autonomia responsabile da parte delle strutture universitarie.

In primo luogo, si impone l’avvio di una riflessione costante sulla qualità della didattica e del servizio offerto, inclusa la definizione degli obiettivi sottesi alle scelte che si fanno (l’impostazione del DM 47/13 appare essere solo di tipo autorizzativo-certificativo).

In secondo luogo, si richiede l’adozione di forme di governance improntate a relazioni non gerarchiche ma reticolari di consultazione, coinvolgimento, coordinamento. A tal fine proponiamo

a)   l’istituzione di un “Comitato di Monitoraggio dell’attività didattica dei docenti” con ruolo di supporto agli organi di valutazione interna (Presidio di Qualità, Nucleo di Valutazione, Commissione Paritetica) e di raccordo ad un

b)   “Osservatorio Permanente per il Monitoraggio dell’Attività didattica dei Docenti” da istituire a livello della Conferenza.

In terzo luogo, riteniamo che la valutazione della qualità dell’insegnamento/docente debba coinvolgere tutti gli attori primari della scena didattica e che, quindi, il docente non dovrebbe essere valutato solo dagli studenti (come di fatto propone il DM 47/13) ma implicarsi esso stesso nella valutazione del proprio operato sviluppando soprattutto la pratica dell’autovalutazione o utilizzando altri criteri innovativi proposti e analizzati nei paragrafi precedenti.

2.5 Altre forme di valutazione del docente

L’efficacia del docente e la soddisfazione dello studente possono essere valutate anche considerando altre strade, quali, ad esempio,

i. incontri di gruppo tra gli studenti e i loro rappresentanti nelle istituzioni universitarie;

ii. interviste semi-strutturate fatte a studenti e colleghi del docente da valutare;

iii. rilevazione di buone pratiche didattiche che incoraggino il mantenimento e lo sviluppo della qualità della docenza e che possono portare alla consapevolezza che la valutazione del docente può essere effettuata attraverso molteplici percorsi;

iv.  valutazione tra pari con site visit di altri docenti del corso o esterni;

v.  resoconti periodici sul docente fatti dal Coordinatore di semestre/ anno con lo strumento dell’incident reporting (p.es. per problemi relativi a contenuti di un corso, modalità di esame, ecc.).

D. Gli indicatori della qualità della didattica/docente

Per quanto riguarda l’analisi dei dati provenienti dalla raccolta delle opinioni degli studenti e dei docenti ha naturalmente particolare rilievo la scelta degli indicatori della qualità che dipende dagli obiettivi specifici che si vogliono raggiungere. Possono servire per verificare il raggiungimento di standard o anche consentire la comparazione tra corsi o tra sedi. Dal punto di vista metodologico, si identificano due tipologie di indicatori potenzialmente applicabili:

1. Indicatori netti, che spiegano gli eventuali fattori che possano aver inciso sui risultati ottenuti;

2. Indicatori lordi, che sintetizzano i dati in un’unica misura.

Le valutazioni espresse direttamente dagli studenti possono essere influenzate, oltre che dal reale livello qualitativo percepito dei singoli fattori, anche da altri fattori di natura:

– macro-contestuale o «di contesto esterno» quali ad es. gli aspetti demografici, culturali, politico-istituzionali che caratterizzano l’ambiente socio – economico in cui il processo formativo universitario dell’Ateneo è inserito;

– micro-contestuale o «di contesto interno» quali ad es. gli aspetti organizzativi, gestionali, politico-istituzionali che caratterizzano l’ambiente universitario;

– individuale quali sesso, età, formazione scolastica secondaria superiore, interesse per area disciplinare ecc. che  evidenziano le peculiarità della popolazione studentesca destinataria del servizio.

Gli indicatori netti possono essere costruiti utilizzando la generica classe dei multilivello (Snijders e Bosker,1999) e consentono di ricavare risultati privi dell’influenza di specifici fattori di contesto o individuali, anche se in condizioni di sufficiente omogeneità del collettivo analizzato, è stata empiricamente verificata la similarità tra le valutazioni ottenute da indicatori lordi e netti (Rampichini et al. 2002).

Gli indicatori lordi possono essere Unidimensionali e Multidimensionali se ricavati considerando rispettivamente solo un aspetto della qualità percepita (chiarezza del docente, adeguatezza delle aule) o più aspetti contemporaneamente

E’ evidente la parzialità dell’informazione sulla qualità della didattica che gli indicatori netti possono offrire rispetto agli indicatori lordi. La costruzione di questi ultimi tuttavia è diretta conseguenza delle scelte metodologiche effettuate sui primi.

È compito del Presidio di Qualità di Ateneo scegliere le tecniche di misurazione dei dati provenienti dalla raccolta dell’opinione degli studenti e dei docenti. Fino ad oggi la maggior parte delle elaborazioni da parte dei Nuclei locali di valutazione di Ateneo si è limitata al calcolo della mediana e della moda, tra l’altro attribuendo valori numerici ai giudizi espressi dagli studenti in termini meramente descrittivi: l’individuazione puntuale di tali valori numerici da sostituire alle modalità ordinali avviene in modo sostanzialmente soggettivo o addirittura arbitrario con la conseguente divergenza nei risultati a seconda della scala di misura predeterminata.

Ciò significa che ad indicatori differenti corrispondono inevitabilmente altrettante valutazioni differenti le quali non consentono, ovviamente, la realizzazione di oggettivi confronti ad es. tra diversi Atenei. E’ necessario, dunque, che ogni Presidio di qualità di Ateneo indichi uno standard metodologico uniforme e rigidamente esplicitato.

Pertanto, è emersa fortemente l’esigenza di standardizzare metodologicamente la procedura di valutazione individuando un indicatore lordo multidimensionale della qualità della didattica che sia indipendente da preventive assunzioni teoriche e dalla soggettività di scelte individuali quale potrebbe essere ad esempio, l’indicatore di entropia. (Di Traglia 2013)

E. Conclusioni

Il documento parte dall’analisi dei termini “valutazione” e “misurazione” che discute in relazione alla qualità della didattica/docente sia per gli aspetti generali che per quelli specifici per la Scuola di Medicina.

Con riferimento al DM 47/13 ed al binomio autovalutazione/valutazione applicato alla figura del docente, si sottolinea l’importanza dell’autovalutazione come forma di responsabilizzazione del docente nei riguardi dell’istituzione. Si avanzano inoltre proposte di modifica (formulazione e tempistica) del questionario di valutazione del docente da parte degli studenti proposto dall’ANVUR-AVA perché più rispondenti alle finalità/peculiarità didattiche del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

Come indicato nelle premesse generali, l’analisi/valutazione del prodotto richiede la definizione di obiettivi predeterminati. Per tale motivo è estremamente importante definire in modo chiaro, attraverso la utilizzazione del Core Curriculum nazionale della Conferenza, le competenze che un laureato in Medicina e Chirurgia deve possedere, definire cioè la figura del “Medico Normale Italiano” (corrispondente al medico standard della bibliografia anglosassone). Questa operazione culturale condizionerà a ritroso i contenuti/obiettivi dei singoli core curricula disciplinari  con conseguente normalizzazione delle competenze e agevolazione del trasferimento degli studenti tra le diverse sedi.

F. Proposte

A titolo ricapitolativo e per aprire la discussione riportiamo in elenco le proposte più significative contenute nel documento:

– Schede di valutazione ANVUR (autovalutazione del docente e valutazione del docente da parte degli studenti): proposte di modifica nel rispetto delle specificità del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia;

– Valutazione del Tutor clinico: proposta ex novo di un questionario di gradimento/soddisfazione degli studenti;

– Indicatori di sistema: preparazione di uno strumento omogeneo per tutte le Sedi di elaborazione dei dati relativi ai risultati dei questionari di valutazione;

– Proposta di istituzione dello strumento degli Audit (eventualmente gestito dalla Conferenza);

Proposta di istituzione di un Sistema di Formazione Permanente per la Didattica (tipo ECM);

– Proposta di istituzione di un “Comitato di Monitoraggio delle attività didattiche” della Conferenza con ruolo di supporto alla triade tecnica locale dell’ANVUR (PQ, NV, CP) e di collegamento ad un “Osservatorio Permanente” da istituire a livello della Conferenza ;

– Proposta di ricongiunzione di tutti i sistemi di valutazione con il Core Curriculum (unico per tutte le Sedi e con set di standard per singola disciplina) e definizione del Medico Normale Italiano;

– Prospettiva di Istituzione dell’Abilitazione Nazionale Didattica gestita, come quella scientifica, da ANVUR.

Ringraziamento

Un particolare ringraziamento va a Maria Luisa Eboli, Tiziana Bellini e Laura Recchia per le lunghe ed appassionate sessioni che ci hanno coinvolto nella stesura del presente documento. A Massimo Casacchia, il cui lavoro di coordimento fatto prima di me ha costituito la solidissima fondazione su cui abbiamo costruito il nostro edificio. Ad Andrea Lenzi che ci ha guidato con la mano ferma ed esperta del timoniere straordinario che è.

Bibliografia

1) Bisio C. (a cura di), Valutare in formazione. Azioni, significati e valori, Angeli-AIV, Milano, 2002.

2) Di Traglia M., Recchia L., Curcio F., La valutazione della didattica: dalla raccolta delle opinioni degli studenti come espressione di gradimento ad un modello di valutazione della qualità tramite indicatori di prodotto VII Congresso Nazionale SISMEC (Società Italiana di Statistica Medica ed Epidemiologia Clinica  Sapienza – Università di Roma, 25-28 Settembre 2013.

3) Eisner, E.W., “Educational objectives: help or hindrance?” School review, vol.75, 1967.

4) Fraccaroli F., Vergani A., Valutare gli interventi formativi, Carocci-Le Bussole, Roma, 2004.

5) Lipari D. Progettazione e valutazione nei processi formativi, Edizioni Lavoro, Roma, 1995.

6) Rampichini C., Grilli L., Petrucci A.,  Statistical Methods and Applications, 13(3):357-373, 11/2004.

7) Snijders Roel J. Multilevel Analysis: An introduction to basic and advanced multilevel modeling, Sage Publishers, 1999.

8) R. Tyler “Basic Principles of Curriculum and Instruction” University of Chicago Press, 1949.

Cita questo articolo

Curcio F., Recchia L., Tonin E., et al, Criteri e parametri di valutazione della didattica ai fini della valutazione del docente, Medicina e Chirurgia, 63: 2830-2841, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-63-2

Il Servizio di Ascolto e Consultazione per Studenti. L’esperienza del S.A.C.S. dell’Università degli studi dell’Aquilan.58, 2013, pp.2582-2585, DOI: 10.4487/medchir2013-58-5

Abstract

The mission of the Counselling and Consultation Services for Students (S.A.C.S.) of the University of l’Aquila is to provide psychological assistance to students to address their academic and career concerns. Specifically the service is devoted to those students which are encountering obstacles and psychological distress during their academic life. In the academic year 2011-2012 forty-seven students, most of them female, were assisted by S.A.C.S. For each of them the clinical case history, the analysis of the problem and the mental and emotional well-being, have been assessed. Students afferent to the Service have reported a moderate level of perceived stress. In our study there were no statistically significant differences between the two sexes about the anxious-depressive symptoms and perceived stress levels except for the psychopathological dimension “somatization” which was much more represented in women.

In order to promote the mental health well-being in young people, and to prevent the abandonment of studies and consequent invalidation of university career, the implementation and improvement of the university counselling services should be of primary importance.

Articolo

Introduzione

La legge sul riordino della docenza universitaria n. 341/90 (art.13) afferma che: “il Tutorato è finalizzato ad orientare ed assistere gli studenti lungo tutto il corso di studi, a renderli attivamente partecipi del processo formativo, a rimuovere gli ostacoli ad una proficua frequenza dei corsi, anche attraverso iniziative rapportate alla necessità, alle attitudini ed alle esigenze dei singoli”. Sulla base di tale definizione l’Università dell’Aquila ha organizzato le attività di tutorato in tre fasi definite d’ingresso, in itinere e in uscita. All’interno del Tutorato in itinere viene collocato anche il servizio di counseling universitario (Servizio di Ascolto e Consultazione per Studenti- S.A.C.S.), istituito nel 1991 per venire incontro ai problemi e ai bisogni degli studenti universitari.

Il Servizio, coordinato dal Prof. Massimo Casacchia, si propone di sostenere gli studenti universitari durante il loro percorso accademico e di aiutare coloro che si trovano a vivere un momento di difficoltà dovuta ad un insuccesso nello studio o ad una condizione di disagio psicologico. Il S.A.C.S. si propone di prevenire l’insorgenza delle cause di abbandono, di contenere i tempi di permanenza degli studenti entro la durata legale del corso di studi e di promuovere e sostenere il successo scolastico. Lo sportello è completamente gratuito ed è aperto a tutti gli studenti dell’Ateneo. Lo staff è composto da counsellors esperti e da giovani medici in formazione della Scuola di Specializzazione in Psichiatria che volontariamente vi prestano la loro opera.

Dopo l’evento sismico del 6 Aprile 2009 il S.A.C.S. ha riorganizzato la propria attività sulla base delle nuove esigenze degli studenti. Oltre a continuare ad interessarsi del rendimento accademico e delle problematiche legate allo studio, come già era stato fatto in passato, ha rivolto la propria attenzione anche alle condizioni di vita, al benessere psicologico degli studenti e al loro grado di adattamento alla nuova realtà cittadina. Nel portale dell’Università (www.univaq.it) è possibile accedere al sito del SACS e avere informazioni rispetto agli orari di apertura dello sportello, ai recapiti telefonici ed e-mail  per contattare il servizio, effettuare un piccolo test per valutare i propri livelli di stress, ed avere alcuni consigli per fronteggiare meglio la situazione di disagio che si sta vivendo.

Il periodo della vita che coincide con l’inizio degli studi universitari rappresenta per i giovani un momento critico poiché segna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta ed impone il confronto con aspetti evolutivi complessi (Casacchia et al. 1999; Ruby et al, 2009). Le difficoltà possono scaturire dal confronto con un contesto formativo differente, dalla perdita del precedente gruppo di riferimento dei pari e dalla lontananza dalla famiglia d’origine. L’esperienza universitaria per molti giovani può rappresentare una fonte di preoccupazione fino a determinare a volte un vero e proprio disagio emotivo (Casacchia et al, 2005). Numerosi studi in letteratura evidenziano una prevalenza particolarmente elevata di distress psicologici, disturbi d’ansia e depressione tra gli studenti universitari (Mahmoud et al, 2012; Vázquez et al, 2012), con una maggiore prevalenza di disturbi emotivi stress-correlati tra gli studenti di medicina (Verger et al, 2009; Dyrbye et al, 2006).

L’obiettivo del nostro studio è quello di descrivere l’attività svolta dal Servizio S.A.C.S. nell’anno accademico 2011-12 evidenziando le caratteristiche dell’utenza e le problematiche psicologiche emerse.

Materiali e metodi

Vengono effettuati due incontri conoscitivi con ciascun utente che si rivolge al Servizio, durante i quali, attraverso un ascolto attivo, si procede ad una raccolta anamnestica, ad un’analisi del problema principale e ad una valutazione dello stato di benessere psicologico. In un successivo terzo incontro viene restituito a ciascun utente un resoconto della valutazione effettuata proponendo una strategia di intervento per le problematiche riferite o emerse durante i colloqui: psicoeducazione e alfabetizzazione alle emozioni, individuazione dei pensieri disfunzionali e ristrutturazione cognitiva breve, problem solving, supporto psicologico, incontri di gruppo per la gestione dell’ansia, tutoraggio nello studio, invio ad ambulatori specifici per il disagio mentale nei giovani (U.O.S. SMILE- Servizio di Monitoraggio e Intervento precoce per la Lotta agli Esordi della sofferenza mentale e psicologica nei giovani dell’Ospedale “S. Salvatore” dell’Aquila).

Sono stati inclusi nel nostro studio tutti gli studenti che nel corso dell’anno accademico 2011-12 si sono rivolti al Servizio di Ascolto e Consultazione per Studenti dell’Università dell’Aquila. Tutti gli studenti sono stati sottoposti ai seguenti questionari standardizzati self-rating:

– General Health Questionnaire-12 items (GHQ-12) per la valutazione del livello di stress percepito (Goldberg et al, 1988);

– Self-Rating Anxiety Scale (SAS) per la valutazione della sintomatologia ansiosa (Zung, 1971);

– Self-Rating Depression Scale (SDS) per la valutazione della sintomatologia depressiva (Zung, 1965);

– Brief-Cope per la valutazione delle strategie di coping (Carver, 1997)

– Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90-R) per la valutazione dei sintomi di disagio psichico in  varie dimensioni psicopatologiche (Derogatis, 1994)

Risultati e discussioni

Nell’anno accademico 2011-12 si sono rivolti al Servizio S.A.C.S. 47 studenti di cui 13 maschi (27,7%) e 34 femmine (72,3%) con un’età media di 24,85 (ds+5,9). Le caratteristiche socio-demografiche del campione sono riportate nella Tabella 1.

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Il 46,8% (N=22) è venuto a conoscenza del Servizio attraverso l’informativa telematica, il 27,7% (N=13) tramite locandine e brochures distribuite in aula e nelle biblioteche, il 17% (N=8) ha conosciuto il SACS attraverso il “passaparola”, e nel restante 8,5% (N=4) l’afferenza al Servizio è stata consigliata da un docente. Nella maggior parte dei casi il contatto è avvenuto attraverso l’invio di una e-mail. Il 34% (N=16) degli utenti ha contattato il Servizio riferendo difficoltà nel percorso accademico (ritardo negli studi, blocco agli esami e/o ansia d’esame, difficoltà di adattamento al contesto universitario, demotivazione, difficoltà di concentrazione e di memoria, riduzione del rendimento), il 51,1% (N=24) ha lamentato una sintomatologia ansioso-depressiva o sintomi psicopatologici di varia natura (attacchi di panico, insonnia, iperarousal, sintomatologia post-traumatica, sintomi psicotici, disturbi somatoformi) e il 14,9% (N=7) si è rivolto al Servizio per problematiche relazionali in ambito familiare, affettivo o sociale.

Il 66% degli utenti vive a L’Aquila come studente fuori sede e condivide l’abitazione con altri giovani universitari, mentre il 21,3% ogni giorno raggiunge la sede universitaria da altre città limitrofe. Il 46,8% degli studenti che si sono rivolti al Servizio ha direttamente vissuto l’evento sismico del 6 Aprile 2009 e di questi il 36,3% ha perso la propria abitazione.

Gli studenti afferenti al Servizio hanno riportato un punteggio medio al GHQ-12 di 20,21 (ds+6,1) indicativo di un moderato livello di stress percepito (cut-off >15), con punteggi medi più elevati nei maschi seppur senza differenze statisticamente significative tra i due sessi. Il punteggio medio riscontrato alla SAS è stato di 49,06 (ds+14,4) indicativo di una significativa sintomatologia ansiosa (cut-off>45), mentre alla SDS si sono riscontrati punteggi superiori al cut-off di riferimento (cut-off>50) nel 48,9% del campione. La valutazione della sintomatologia psicopatologica effettuata attraverso la SCL-90-R ha messo in evidenza valori superiori ai cut-off di riferimento nella maggior parte delle dimensioni indagate (“ansia”, “depressione”, “ossessività”, “somatizzazione”), con una differenza statisticamente significativa tra i due sessi per quanto riguarda la dimensione “somatizzazione” maggiormente rappresentata (Tab. 2) negli utenti di sesso femminile.

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Le principali strategie di coping adottate dal campione sono di tipo “adattivo” con prevalenza di stili di fronteggiamento come “affrontare operativamente” (74,4%), “uso del supporto emotivo” (68%) e ”pianificazione” (63,8%), tuttavia sono emerse anche strategie maladattive come ”distogliere l’attenzione” e “autoaccusa” utilizzate rispettivamente dal 61,7% e 65,9% del campione.

Nell’anno accademico 2011-12 l’attività del servizio SACS si è arricchita di nuove figure e molteplici iniziative che hanno permesso di accogliere più prontamente le richieste degli studenti e di fronteggiare al meglio le maggiori problematiche riscontrate (ritardo negli studi,  stato di ansia pre-esame,  difficoltà ad affrontare una prova orale, ecc):

– Tutor Senior: sono studenti senior iscritti ad una Laurea Specialistica o ad un Dottorato di Ricerca che hanno il compito di supportare i colleghi in difficoltà o fuori corso. I Tutor Senior hanno rappresentato un aiuto prezioso per la qualità del servizio e hanno permesso di monitorare costantemente e più da vicino gli studenti attraverso il Tutorato in Ingresso (ascolto alle matricole) e il Tutorato in Itinere (tutor d’aula, progetto Help, monitoraggio carriere, valutazione della qualità percepita, assistenza studenti extra-comunitari).

Progetto Help: iniziativa già intrapresa in passato con lo scopo di  monitorare e supportare gli studenti fuori corso. Attraverso gli elenchi forniti dalla Segreteria Studenti è stata inviata una lettera via e-mail a tutti coloro che presentavano un ritardo negli studi con l’invito a contattare il Servizio. Successivamente sono stati organizzati incontri di gruppo in cui si è cercato di rilevare le difficoltà, sia accademiche che psicologiche, e nei quali sono stati proposti interventi individuali di supporto, tecniche di gestione per l’ansia, strategie per migliorare la metodologia di studio. Con il lavoro dei Tutor Senior inoltre è stato offerto agli studenti fuori corso la possibilità di ripetere gli argomenti d’esame e di preparare il programma con una costante supervisione.

– Incontri di gruppo per la gestione dell’ansia: Iniziativa aperta a tutti gli studenti dell’ateneo, volta alla comprensione della natura fisiologica dell’emozione ansia e all’insegnamento di tecniche di respirazione e rilassamento muscolare  per la gestione dello stress secondo il metodo Andrews (Andrews et al, 2003). Sono stati organizzati gruppi di lavoro durante i quali è stato distribuito del materiale informativo ed è stata effettuata una valutazione testistica specifica.

Nell’anno accademico 2011-2012 si sono rivolti al Servizio SACS per lo più utenti di sesso femminile: la maggior richiesta di aiuto da parte delle studentesse potrebbe  essere legata soprattutto a differenze personologiche e alla maggiore predisposizione delle stesse a ricevere aiuto rispetto ai soggetti di sesso maschile. Anche se le studentesse rappresentano la popolazione più a rischio per lo sviluppo di patologie stress correlate come ansia e depressione (Vázquez et al, 2012), nel nostro studio non sono emerse differenze statisticamente significative tra i due sessi per quanto riguarda la sintomatologia ansiosa, depressiva e i livelli di stress percepito, tranne che per la dimensione psicopatologica “somatizzazione” che è risultata maggiormente rappresentata nelle donne.

Tra gli studenti che hanno richiesto una consulenza al SACS quelli del CLM in Medicina e Chirurgia sono i più rappresentati, costituendo il 38% del campione esaminato. Questo dato può essere spiegato sia dalla maggiore predisposizione di questi ultimi a vivere condizioni di stress legati al percorso formativo scelto (Dyrbye et al, 2006), sia dalla localizzazione dello sportello nel polo didattico di Medicina, di più facile accesso per gli studenti di questo corso di laurea.

Il disagio riscontrato nel nostro campione inoltre potrebbe essere determinato anche dalle difficili condizioni di vita che si sono venute a creare dopo il sisma del 2009: l’esperienza del terremoto infatti ha inevitabilmente interessato sia coloro che l’hanno direttamente vissuta e sia quanti si sono ritrovati a vivere le conseguenze dell’evento (mancanza di punti di aggregazione per i giovani, difficoltà a trovare un alloggio a prezzi equi, displacement)

Conclusioni

Gli sportelli di counseling universitari, per la loro localizzazione e per la facilità di accesso rispetto agli ambulatori pubblici che operano in ambito della salute mentale, rappresentano un’immediata risposta alle richieste di aiuto dei giovani che si trovano ad affrontare un disagio emotivo-psicologico durante il loro percorso di crescita. Sarebbe opportuno implementare la diffusione di tali servizi al fine di prevenire l’insorgenza di disturbi psichiatrici, promuovere il benessere psicologico e la salute mentale nei giovani, contrastare il ritardo negli studi e il fenomeno dell’abbandono.

Bibliografia

1) Andrews G, Creamer M, Crino R, Hunt C, Lampe L, Page A. Trattamento dei disturbi d’ansia. Guide per il clinico e manuali per chi soffre del disturbo. Centro Scientifico Editore, 2003.

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3) Casacchia M, Giosuè P, Roncone R. Sopravvivere all’Università. Gruppo Tipografico Editoriale, L’Aquila, 2005.

4) Casacchia M, Arduini L, Roncone R. Servizi di consultazione psicologica per gli studenti universitari: esperienze a confronto. Atti della Giornata di Studio L’Aquila, 10 Dicembre 1999.

5) Derogatis L. R. Symptom Checklist-90-R (SCL-90-R): Administration, scoring and procedures manual. Minneapolis, MN: National Computer Systems Inc. 1994.

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11) Vázquez FL, Otero P, Díaz O Psychological distress and related factors in female college students. J Am Coll Health. 2012;60(3):219-25.

12) Verger P,  Guagliardo V, Gilbert F, Rouillon F, Kovess-Masfety V. Psychiatrc disorders in students in six French universities: 12-month prevalence, comorbidity, impairment and help-seeking. Soc Psychiatr Epidemiol (2009).

13) Verger P, Combes JB, Kovess-Masfety V, Choquet M, Guagliardo V, Rouillon F, Peretti-Wattel P. Psychological distress in first year university students: socioeconomic and academic stressors, mastery and social support in young men and women. Soc Psychiatr Epidemiol, 2009;44:643-650.

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15) Zung WWK: A rating instrument for anxiety disorders. Psychosomatics 12:371, 1971.

Cita questo articolo

de Lauretis I., Giordani Paesani N., Casacchia M., et al., Il Servizio di Ascolto e Consultazione per Studenti. L’esperienza del S.A.C.S. dell’Università degli studi dell’Aquila, Medicina e Chirurgia, 58: 2582-2585, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-5

L’integrazione del territorio nel sistema delle cure. Ricadute sul processo formativon.58, 2013, pp.2599-2605, DOI: 10.4487/medchir2013-58-9

Abstract

Aim of the present article is to report the conclusions of an educational workshop on the teaching opportunities deriving from community-based medical education.

The workshop started with a briefing illustrating why, how and when the hospital and community settings should be integrated in planning an undergraduate curriculum in Medicine. After that, participants have been divided into four parallel workshops respectively dealing with; i) physician-patient-family interaction; ii) management of frail patients in the community; iii) health care in the community; iv) management of healthcare resources in the community.

The final debriefing and discussion has allowed some conclusions to be drawn: i) integration of the hospital and community settings in medical students education is both necessary and useful, taking profit of the natural features of the two settings, respectively favouring the study of disease and illness; ii) such an integration should not be limited to the last years of the medical curriculum, but be spread along all the six years, starting from an early clinical contact in the first year; iii) some educational tools and methods appear to be particularly suitable in the community context, e.g. narrative medicine (and board diary in particular) and problem solving (not limited to individual medical histories but extended to community health problems); iv) aim of community-based medical education is not only to develop students’ knowledge, skills and professional competence, but also to help students acquire a comprehensive vision of healthcare management.

Articolo

Premessa

Scopo di questo articolo è riferire sui contenuti dell’atelier pedagogico che il Gruppo di Studio Innovazione Pedagogica ha organizzato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di CL in Medicina. L’atelier (Tab. 1) si è svolto in occasione della riunione della Conferenza che si è tenuta a Firenze, il 5 Ottobre 2012.

L’atelier ha preso l’avvio con una riflessione su tre domande: perché realizzare l’integrazione sul territorio del sistema delle cure? E come realizzarla? E, infine, quando, in quale fase del curriculum degli studi, realizzarla?

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Tab. 1 – Programma dell’atelier “l’integrazione nel territorio del sistema delle cure: ricadute sul processo formativo” (Firenze, 5 Ottobre 2012).

Perché un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione del territorio nel sistema delle cure?

La riflessione della Conferenza è stata che l’integrazione nosocomio-territorio nella formazione dello studente in Medicina è intanto necessaria, ed è sopratutto utile. La necessità di questa integrazione deriva dal patto formativo tra Università e Studenti, che prevede che non sia corretto sottoporre a verifica certificativa ciò che non è stato insegnato. Al contrario, l’attuale normativa prevede che l’esame di stato per l’abilitazione alla professione medica includa un tirocinio valutativo sul Territorio e, nello specifico, presso gli studi dei Medici di Medicina Generale. È evidentemente necessario che l’Università organizzi un tirocinio formativo prima della laurea, in modo da preparare i propri studenti all’esame di stato. Al momento, il tavolo tecnico insediato presso il Ministero della Salute sta valutando l’ipotesi di inserire organicamente nel curriculum degli studi medici un tirocinio sul territorio che sia insieme formativo e valutativo, aprendo la strada alla trasformazione dell’esame di laurea in Medicina in una laurea abilitante. La nostra Conferenza auspica da tempo questa soluzione, vedendovi un’utile opportunità didattica. Infatti, il Territorio si presta meglio del Nosocomio per l’insegnamento di significativi aspetti della professione medica, quali:

– la relazione medico-famiglia-paziente, con tutte le implicazioni della visita domiciliare;

– la relazione interprofessionale tra i diversi professionisti della salute, che trova ambiti privilegiati nel territorio;

– la metodologia didattica dell’approccio clinico per problemi, che include tanto problemi di salute del singolo paziente, che problematiche di epidemiologia e prevenzione dell’intera popolazione;

– l’approccio privilegiato al paziente fragile, in un contesto di prevalenza di problemi di salute cronici assai diverso da quello nosocomiale;

– l’insegnamento sul campo della struttura e delle funzioni del sistema sanitario nazionale e delle cure primarie;

– l’insegnamento dei principi del management sanitario e della sostenibilità dell’impegno sanitario sul territorio;

– Un approccio più sistematico di quanto sia possibile realizzare nel nosocomio ai principi della salute globale e della medicina delle migrazioni.

Infine, mostrare allo studente in Medicina l’importanza della gestione del benessere e della salute della popolazione è un modo per migliorare la qualità (ed accrescere la quantità) delle vocazioni rispetto alla medicina di base e per innescare una preparazione remota all’impegno attivo sul territorio.

Come un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione del territorio nel sistema delle cure?

L’integrazione nosocomio-territorio è solo un caso particolare di quell’integrazione didattica (trasversale vs. longitudinale, interdisciplinare vs. interprofessionale) di cui la Conferenza Permanente dei Presidenti di CL in Medicina ha da tempo riconosciuto la necessità e il valore pedagogico. La Conferenza si è espressa più volte in favore del superamento della mera multi-disciplinarità, intesa come “somma” di discipline; del raggiungimento di una effettiva interdisciplinarità e interprofessionalità; e della progressione verso la transdisciplinarità, con un insegnamento che prescinda dall’appartenenza disciplinare dei docenti e tenda al superamento del concetto stesso di settore scientifico-disciplinare.

Quando, in quale fase del curriculum, un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione sul territorio del sistema delle cure?

Al momento attuale, la tendenza maggioritaria nei CL in Medicina italiani è quella di realizzare l’integrazione del sistema delle cure nel territorio nell’ultimo anno del corso di laurea in Medicina, favorendo l’integrazione didattica dei medici di medicina generale con i docenti di medicina interna e/o di sanità pubblica. Al contrario, in un curriculum degli studi a forte integrazione longitudinale1, nel quale le attività professionalizzanti siano “spalmate” in diversi e successivi anni di corso, si può ipotizzare una collocazione più ampia del contributo offerto dal territorio.

Al termine di questa introduzione, i partecipanti all’atelier si sono suddivisi (Tab. 1) in quattro laboratori distinti, diversificati per tema.

Laboratorio No. 1: L’interazione medico-paziente-famiglia

Il Laboratorio No. 1, condotto da Luciano Vettore e animato da Massimo Casacchia e Maria Stella Padula si è dato un titolo articolato e programmatico: “Le differenze nelle relazioni tra medico, paziente e famiglia negli ambiti professionali della medicina ospedaliera e – rispettivamente – della medicina generale; possibilità d’integrazione e peculiarità che meritano di essere insegnate: quando, come e da chi?

Dopo una breve premessa iniziale del conduttore sulle “regole del gioco”, i due “discussant” hanno presentato come “trigger” della discussione due storie di relazioni tra medico, paziente e famiglia.
La prima “storia” nel contesto ospedaliero, presentata da Massimo Casacchia, narra il ricovero nella “reparto-tenda” di Psichiatria nel dopo-terremoto dell’Aquila di un ragazzo di 24 anni per peggioramento del quadro clinico, su iniziativa del suo  Medico di famiglia (MdF), che aveva riorganizzato la sua azione di cura nelle tendopoli. La madre del paziente, ospitata nella struttura (a differenza di quanto sarebbe potuto accadere nel reparto ospedaliero in muratura), collabora con medici e infermieri nell’assistenza al figlio e diventa in ciò “esperta”, continuando questo suo apporto anche dopo la dimissione. Anche dopo di questa l’MdF continua a seguire il paziente per i problemi medici in stretta relazione con la madre.

La seconda “storia” nel setting della Medicina Generale (MG), presentata da Maria Stella Padula, è stata scritta da una studentessa: narra una visita domiciliare a una paziente ultraottantenne emiplegica, assistita dalla figlia precocemente vedova, che presenta una amputazione all’arto superiore all’altezza del gomito; essa ha a sua volta tre figlie adolescenti, due delle quali con problemi di salute e psicologici. Tutto ciò fornisce un quadro esistenziale di sofferenza dell’intera famiglia, e i problemi delle figlie diventano il vero oggetto della visita, mentre le condizioni fisiche della nonna diventano alla fine solo il pretesto della visita domiciliare. Il racconto della studentessa è molto “partecipato” anche dal punto di vista emotivo e rivela i molti interrogativi che questa si pone come riflessione su ciò a cui ha assistito, tanto che ha intitolato la sua storia “Una famiglia da curare: un puzzle della sfortuna”.

Alla conclusione della presentazione delle due storie la discussione risponde sostanzialmente a tre domande:

1) Cosa abbiamo imparato dalle narrazioni?

2) Cosa possono imparare gli studenti dagli eventi narrati per farne tesoro quando nella loro professione futura dovranno porre attenzione alla relazione tra medico, paziente e suoi familiari, sia all’interno dell’ospedale che sul territorio.

3) Quale contributo formativo differente, ma sperabilmente integrabile perché complementare, possono dare riguardo a ciò la Medicina dell’Ospedale e la Medicina generale?

Infine l’ultima parte del Laboratorio è dedicata alla presentazione di un progetto, consistente in due moduli didattici.

Il primo modulo propone un progetto di lettera di dimissione dall’ospedale con i contenuti di seguito indicati, in buona parte attinenti alle relazioni con il MdF e con la famiglia.

– Le ragioni del ricovero, la diagnosi, la sua gravità e la prognosi;

– le possibili conseguenze della malattia sulla vita del paziente negli aspetti lavorativi, familiari, relazionali e comportamentali (per es, stili di vita);

– l’eventuale presenza di co-morbidità e di fattori di rischio;

– il grado di consapevolezza del paziente sulla sua condizione;

– il presumibile carico familiare dell’assistenza;

– il progetto terapeutico non solo con le prescrizioni, ma anche con le indicazioni dei possibili supporti che potranno venire dall’ambulatorio divisionale e dal day hospital;

– i possibili segni premonitori di un’eventuale riaccensione della malattia, nei confronti dei quali lo staff ospedaliero dichiara la propria disponibilità a fornire tempestivamente consulenza telefonica o via mail;

– l’invito esplicito e la piena disponibilità a continuare la collaborazione nel prosieguo delle cure con il MdF, con i familiari di riferimento e con gli eventuali care giver.

Le caratteristiche di tali contenuti acquisiscono valenza formativa se di esse è reso partecipe lo studente che conosce quel paziente.

L’obiettivo didattico del modulo si propone di stabilire nel processo comune di cura relazioni reciproche tra staff ospedaliero, MDF e famiglia.

La metodologia didattica consiste nella preparazione e nella consegna della lettera in presenza dello studente. Sarebbe poi auspicabile che ogni studente potesse accompagnare almeno una volta uno dei pazienti che ha seguito durante il ricovero alla prima visita del MdF dopo la dimissione, ma ciò sarà possibile solo con studenti già in possesso di discrete competenze cliniche e con MdF adeguatamente formati alla funzione tutoriale.

La collocazione temporale nel curriculum di fatto coincide con il periodo nel quale lo studente frequenta il reparto.

Il secondo modulo propone il progetto “Adottare un paziente cronico”.

Si tratta di un iter guidato della durata di 3 anni, nel quale uno studente deve seguire un paziente cronico e la sua famiglia nei percorsi di diagnosi e cura, sia nell’Ospedale che sul Territorio. Lo studente deve compilare un diario di bordo “strutturato”, costituito cioè da numerose “griglie” nelle quali annotare i problemi e le informazioni anagrafiche del paziente e della sua famiglia, i dati e le motivazioni del follow up clinico (osservazione delle visite, eventi intercorrenti, approfondimenti diagnostici, decisioni terapeutiche e loro motivazioni); sono presenti inoltre schede di autovalutazione delle capacità comunicative e dell’emotività, nonché spazi “narrativi” per le note personali sul caso, su ciò che lo studente ritiene di aver imparato, ma anche sulle proprie reazioni emotive suscitate da esso, fornendo così un forte stimolo all’apprendimento metacognitivo.

L’obiettivo didattico del modulo è quello di stimolare lo studente a osservare e narrare per imparare a riflettere su ciò che sta imparando.

La metodologia didattica si sostanzia di un diario di bordo strutturato con le caratteristiche sopra descritte.

La collocazione temporale nel curriculum è longitudinale: per es., al CdLM in Medicina di Modena, dove il progetto è in sperimentazione, è situata continuativamente dal 3 al 6° anno.

Laboratorio No. 2: La gestione del paziente fragile sul territorio

Conduttore Giuseppe Familiari, Discussant Anna Paola Mitterhofer e Giulio Nati

Definizione di paziente fragile

La descrizione del paziente fragile è piuttosto complessa e ancora in via di definizione poiché oltre a far riferimento ad aspetti di tipo clinico, raccoglie le problematiche di tipo socio-assistenziale che generalmente coesistono in questo tipo di paziente.

Nei pazienti fragili si osserva generalmente la presenza di più malattie croniche. Si tratta di pazienti generalmente anziani, disabili o con malattie disabilitanti, talvolta malati psichiatrici con comorbidità e di difficile gestione assistenziale, il cui outcome è quasi sempre negativo. Operativamente, la fragilità può essere quindi letta secondo alcuni aspetti/domini peculiari quali lo stato socio-ambientale critico, la ridotta autonomia funzionale, l’invecchiamento avanzato, la coesistenza di malattie croniche e la polifarmacoterapia.

La fragilità dovrebbe essere, però, più della somma di singole condizioni patologiche e andrebbe interpretata come una patologia complessa e unica, la cui gestione non si risolve sommando più consulenze specialistiche (più prestazioni professionali, più linee guida, più diagnosi, più prescrizioni terapeutiche), ma praticando realmente la cooperazione e l’interazione di più professionisti, del paziente, del suo nucleo familiare e sociale connessi in rete2.

Il rapporto didattico-assistenziale con il paziente fragile

I principali punti del rapporto didattico-assistenziale con i pazienti fragili sono basati su problematiche legate alla condizione geriatrica, al ruolo delle cure palliative, all’autonomia di questi pazienti e all’organizzazione dell’ambiente sociale3.

La condizione geriatrica a causa della multimorbidità e la presenza di disfunzioni disabilitanti come il difficile controllo vescicale, l’incontinenza e la riduzione del visus, richiede un approccio olistico ed un giusto timing dei ricoveri ospedalieri. Le cure palliative svolgono un ruolo cruciale nel controllo del dolore e la libertà dal dolore è una condizione necessaria per il miglioramento dello spirito e quindi lo stato psicologico di questi pazienti, influenzando positivamente loro autonomia. L’organizzazione dell’ambiente sociale condiziona e definisce il contatto con i curanti, è di estrema importanza per il paziente fragile, e sembra esserlo più di quanto i pazienti non riferiscano.

Gli obiettivi didattici nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia si debbono prefiggere di sensibilizzare gli studenti al tema della fragilità con l’esposizione precoce sin dal primo anno di corso (Early Clinical Contact, ECC) per una migliore empatia con il malato, di indurre motivazioni alla cura di condizioni di difficoltà sociale associate a disabilità mentale o fisica rinforzando l’aspetto sociale della cura medica, indurre riflessioni sull’assistenza e la comprensione di pazienti che manifestano fragilità, insegnare il comportamento più adatto nella gestione dei pazienti fragili, acquisire capacità di comportamento sia in ambito bio-medico che psico-sociale4-10.

Modelli adeguati di Curriculum medico dovrebbero inoltre prevedere un insegnamento interdisciplinare e interprofessionale (IPE), quest’ultimo rivolto a gruppi di infermieri e studenti di medicina, dedicato alle cure palliative e con gli obiettivi didattici specifici studiati su pazienti fragili anziani (geriatrics, palliative care, communication and patient autonomy, organization and social networks) allo scopo di formare futuri gruppi di lavoro più affiatati e quindi più efficaci9.

Deve poi essere sottolineata la necessità, per gli studenti, della figura di riferimento definita come “individual lead o champion”, intesa come docente fortemente motivato sull’importanza dell’insegnamento medico e capace di trasmettere con entusiasmo agli studenti un approccio sempre positivo verso il malato3. Il ruolo del docente in questo contesto si dimostra essere fondamentale per il semplice presupposto, ampiamente dimostrato, che gli studenti osservano e copiano i comportamenti dei loro docenti, ed il loro ruolo diventa un modello comportamentale per il carattere futuro degli studenti stessi11.

Il gruppo di lavoro ha anche ritenuto che fosse importante saper identificare precocemente i sintomi ed i segni che caratterizzano i pazienti fragili, in particolare per gli aspetti psichiatrici, per intervenire il più tempestivamente possibile ed arrestare il processo evolutivo della/e patologia/e.

Per quanto riguarda gli strumenti, si è ritenuto di dover sottolineare il valore didattico del tirocinio professionalizzante, in particolare se sostenuto da momenti d’aula sia prima (come introduzione) che dopo (come conclusione) del periodo di pratica.

La gestione del paziente fragile sul territorio

La definizione di tale obiettivo didattico è costituita dalla risposta alla domanda su quali tra le competenze specifiche un MMG debba saper mettere in atto per gestire i pazienti fragili, sempre nel riferimento alle caratteristiche di tali pazienti, per poi identificare quali competenze specifiche debbano essere messe in atto dalla Medicina Generale sul territorio.

Per quanto attiene specificamente alla Medicina Generale, è necessario fare riferimento allo specifico core curriculum per l’insegnamento, che descrive sei competenze specifiche (gestione delle cure primarie, centralità del paziente, risoluzione di problemi specifici, approccio multidisciplinare, orientamento alla comunità, approccio olistico), all’interno delle quali si possono identificare gli aspetti rilevanti nella presa in carico territoriale del paziente fragile12.

Laboratorio No. 3: La tutela della salute sul territorio

Conduttore Fabrizio Consorti, Discussant Maria Luisa Sacchetti e Loris Pagano

Il punto di partenza per poter parlare di tutela della salute sul territorio è la considerazione complessiva dell’intero sistema delle cure primarie, che si estende ben oltre la medicina generale, per quanto quest’ultima rivesta un ruolo “pivotale”. Infatti oltre alle diverse figure mediche coinvolte (pediatri di libera scelta e altri specialisti), bisogna considerare la complessa rete di strutture organizzative esistenti ed operanti nel territorio. Esistono infatti i Centri di Assistenza Domiciliare (CAD) e i servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e Programmata (ADP), ognuno dotato delle sue specificità, risorse e normativa. Non vanno dimenticati infine i grandi ambiti della Salute Mentale (CSM) e dei consultori materno-infantili. Tutte queste strutture devono poter trovare posto in un progetto organico di formazione al concetto di tutela della salute, che si pone come obiettivo non la cura della malattia acuta o cronica ma la promozione di stili di vita corretti, la diffusione di informazioni utili al mantenimento della salute, la prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

Una nota particolare durante il laboratorio è stata fatta a proposito del ruolo delle associazioni di volontariato, che possono costituire una ulteriore risorsa per la progettazione didattica, rappresentando spesso un ambiente privilegiato perché uno studente possa sperimentare le attività di prevenzione o avere contatto con ambiti particolari come le malattie rare, ad esempio per il counselling familiare.

Obiettivi formativi

Se si volessero delineare possibili obiettivi e competenze per l’ambito della tutela della salute nel territorio, si dovrebbe innanzitutto partire dalla caratteristica dominante del territorio stesso, per come delineato in precedenza, cioè dalla sua “complessità”.

Un primo obiettivo potrebbe perciò essere quello di consentire l’acquisizione da parte dello studente della visione e conoscenza complessiva del sistema delle “cure primarie”.

La frequenza delle strutture territoriali dovrebbe essere indirizzata a che lo studente possa esplorare

– il “ruolo” del medico nel territorio

– la complessità delle condizioni di salute

– il reale valore dei determinanti di salute

cogliendo l’importanza del lavoro coordinato e di équipe.

Temi particolari, tipici di questo ambito e molto attuali potrebbero essere le dipendenze:

– alcool

– sostanze da abuso

– gioco

Una funzione molto importante e che dovrebbe avere notevole rilievo è quella del ruolo informativo verso i pazienti, soprattutto per quanto riguarda gli stili di vita (alimentazione, attività fisica, fumo e altri fattori di rischio, igiene sessuale), la capacità di leggere in maniera critica le informazioni provenienti dai media e da Internet, il counselling genetico anche in funzione dei programmi di screening e i programmi vaccinali.

Tutto questo infine dovrebbe consentire allo studente di sperimentare come la pratica clinica basata su evidenze sia possibile anche nella complessità del territorio.

Collocazione curriculare e criticità

Come si vede non si tratta di obiettivi e competenze che possano essere risolti con qualche seminario, ma si richiede una riorganizzazione organica del curriculum, perché si possa essere efficaci.

In particolar modo sembra importante che le attività formative indirizzate a questo ambito siano collocate fin dall’inizio degli anni clinici (4° anno), avendo allocate una quantità di CFU significativa, basata soprattutto su didattica professionalizzante (fra 2 e 5 CFU), integrata da poca didattica frontale. Non si tratta della solita richiesta di “più spazio curriculare” di una nuova disciplina che si affaccia all’agone accademico, ma unicamente della considerazione che ci si sta avviando a trasferire il mese valutativo in Medicina Generale dell’esame di stato al’interno del corso di laurea. Si colga dunque l’occasione per caricare di significati didattici quell’esperienza.

Le principali criticità individuate consistono soprattutto nella miglior definizione della figura del tutor (riconoscimento e retribuzione, formazione e valutazione), nell’integrazione con le strutture del territorio – probabilmente più complessa ancora che con quelle ospedaliere – e nel rapporto politico coi decisori regionali. Da ultimo di sottolinea come un cambiamento di questa portata sarà possibile solo se preceduto dalla preparazione di un “terreno fertile” nei corsi di laurea, sostenuto da iniziative come quelle intraprese in maniera lungimirante dalla Conferenza.

Laboratorio No. 4: La gestione delle risorse sanitarie sul territorio

Il Laboratorio n. 4 è stato condotto da Carlo Della Rocca, ed animato dallo stesso e da Carlo Saitto.

Le tesi proposte all’inizio del lavoro sono state le seguenti:

– l’ottimizzazione delle risorse nella gestione della salute sul territorio è possibile tramite l’integrazione delle attività socio-sanitarie ed il continuo aggiornamento delle metodologie di prevenzione, diagnosi e cura

– questo approccio “aperto” e “lungimirante” alla gestione della salute pubblica deve essere patrimonio del medico e quindi merita di essere insegnato: quando, come e da chi?

Le modalità di lavoro adottate hanno seguito il seguente schema:

– Il Coordinatore ha brevemente introdotto il tema

– I due “Discussant” hanno presentato due esempi/proposte di ottimizzazione delle risorse per la gestione di interventi di sanità territoriale

– Il Gruppo ha effettuato un’ampia discussione collegiale sul tema dalla quale è scaturita una  proposta di un “modulo didattico” con i suoi obiettivi, metodologie didattiche e collocazione temporale nel  curriculum.

La considerazione preliminare è stata quella che la necessità di rendere “sostenibile” un sistema sanitario che si prenda cura in modo equo della totalità dei soggetti rende indispensabile che ogni singolo operatore sia consapevole della problematica dell’ottimizzazione delle risorse. In particolare il medico, per le sue prerogative di Dirigente, ovunque svolga la propria attività, mette in essere quotidianamente atti che comportano l’impiego di risorse o direttamente gestite o indirettamente coinvolte sia a livello di ospedale sia di territorio.  È ovvio che non è possibile, quindi,  escludere dall’iter formativo del medico una specifica informazione sulle conseguenze economiche delle sue scelte operative e l’esposizione alla problematiche della gestione delle risorse. Non è un caso, infatti, che ormai pressoché tutti i CLMMC d’Italia (fonte: site visit) prevedano nell’ambito dei loro curricula la presenza di corsi/moduli di “economia sanitaria/management”. Peraltro, nella maggioranza dei casi, i contenuti di tali corsi appaiono scarsamente integrati con le problematiche cliniche, come se fossero “a latere” delle stesse. In realtà è opinione del gruppo che la gestione delle risorse più che essere un argomento “aggiuntivo” da studiare, dovrebbe essere una chiave per  riordinare le conoscenze cliniche dello studente (e del docente). Le risorse, infatti, non vanno considerate come solo un mero problema di costi e la loro gestione è ormai diventata a tutti gli effetti parte integrante della qualità stessa delle cure. In questo senso la loro corretta gestione trasforma la conoscenza medica in assistenza, colloca l’assistito all’interno della sua storia e del suo sistema di relazioni, e inserisce la dimensione individuale dell’assistenza in un sistema di cura e di tutela della salute. Le conseguenze possibili di un approccio di questo tipo sul “sapere medico” coinvolgono sia gli aspetti della conoscenza, sia del conseguimento delle abilità e delle competenze, sia della visone stessa dell’apprendimento dello studente. Nello specifico settoriale del territorio sono considerabili due approcci esemplificativi: le risorse interpretate intorno al paziente con risvolti evidenti e immediati sulle problematiche di governo clinico e le risorse interpretate  intorno al bisogno di salute della popolazione con evidenti implicazioni di Sanità Pubblica.

In definitiva il gruppo ha condiviso che il tema della gestione delle risorse rimanda, in ultima analisi, alla definizione di un’etica delle responsabilità che è forse la sostanza della stessa idea di cura.

Alla luce di quanto discusso, il gruppo ha proposto il seguente “modulo didattico”:

• Obbiettivi (conoscenze, abilità, competenze, visione)

– saper agire, nel suo essere clinico (diagnosta e terapeuta), in modo “economicamente congruo”

– essere partecipe ed attore di strategie in continua evoluzione che devono portare al ripensamento continuo dei percorsi di prevenzione e diagnostico-terapeutici in base al progredire delle conoscenze e delle tecnologie

– interagire e coinvolgere altri soggetti in termini di sinergie di azioni e di interessi e di         integrazione socio-sanitaria

• Metodologia didattica

– Problem solving

– Stages

• Collocazione temporale

–  Spalmato tra metodologie – patologie integrate – medicine e chirurgie in forma di UDE (Unità Didattiche Elementari) su specifici problemi di ampia rilevanza (es. screening del carcinoma della cervice uterina; il diabete; ecc.)

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Tab. 2 – Ipotesi di lavoro, emersa a conclusione dell’atelier “l’integrazione nel territorio del sistema delle cure: ricadute sul processo formativo”, su una possibile distribuzione longitudinale della didattica sul territorio nel curriculum degli studi.

Conclusioni

Al termine del lavoro nei quattro laboratori, si è tenuto un debriefing di restituzione in assemblea plenaria. I Conduttori dei laboratori hanno riferito su quanto emerso nei rispettivi gruppi di lavoro e l’assemblea ha animato un dibattito.

Tutti hanno convenuto sull’opportunità dell’integrazione nosocomio-territorio nella formazione dello studente in Medicina, sfruttando le differenze naturali tra i due diversi setting, ad esempio privilegiando lo studio della disease in ambito ospedaliero e della illness sul territorio.

Un’altra conclusione sulla quale si è registrato un consenso unanime, è l’opportunità di non limitare l’apporto del territorio ad un tirocinio valutativo nell’ultimo anno del corso di laurea ma di distribuire la didattica in questo setting in numerosi anni, sfruttando esperienze di “dorsale metodologica” quali il corso integrato di Metodologia Medico-Scientifica che si estende dal I al VI anno nei corsi di laurea della Sapienza di Roma. Il dibattito si è animato sulla quantità di CFU che è necessario allocare per coprire la didattica sul territorio, specie se distribuita su diversi anni: c’è chi ritiene sia necessario riservare alla medicina sul territorio un elevato numero di CFU, e chi pensa che sia possibile inserirla come didattica integrata nei corsi esistenti senza dover ogni volta creare moduli didattici autonomi e allocare CFU specifici. La didattica sul campo solleva comunque il problema, tutt’altro che secondario, di formare, valutare e incentivare (retribuire?) i tutor.

Il dibattito ha incluso anche il suggerimento di strumenti didattici specifici per la didattica sul campo, quali la medicina narrativa (è di grande utilità e pertinenza l’uso del diario di bordo), il problem solving (non limitato ai problemi di salute del singolo ma anche a quelli della comunità). Il fine è quello di aiutare lo studente a sviluppare non solo conoscenze, abilità e competenze professionali, ma anche una visione complessiva della gestione della salute.

Infine, il dibattito emerso nei laboratori, ed illustrato in plenaria (Tab. 2), ha permesso di formulare una ipotesi di lavoro, che verrà ripresa nel Forum che il Gruppo Innovazione Pedagogica organizzerà per la riunione di Palermo, sulla possibile distribuzione nei sei anni di corso dei contenuti della didattica sul territorio.

Bibliografia

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2) Senin U: Frail Elderly: a new clinical entity in the aging society. http://www.leadershipmedica.com/sommari/2005/numero_08/medicina/sessione_1/articolo_ing/interfaccia.htm

4) Gibbins J, McCoubrie R, Maher J, Forbes K: Incorporating palliative care into undergraduate curricula: lessons for curriculum development. Med Educ 43:776-83, 2009.

5) Familiari G, Falaschi P, Vecchione A: La nuova laurea specialistica in Medicina e Chirurgia e la formazione di un medico con una cultura bio-medico-psico-sociale. Med Chir 16: 591-596, 2001.

6) Familiari G, Falaschi P, Ziparo V: L’organizzazione didattica del corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia, Roma “La Sapienza”, II Facoltà. Med Chir 32: 1291-1293, 2006.

7) Familiari G, Midiri G, Falaschi P, Relucenti M, Heyn R, Benvenuto R, Tarsitani G, Ziparo V: Outcomes of a fully integrated scientific/clinical methodology and medical humanities course in an Italian undergraduate curriculum. AMEE Conference, Prague, abstract book p. 320, 2008.

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9) Littlewood S, Ypinazar V, Margolis SA, Scherpbier A, Spencer J, Dornan T: Early practical experience and the social responsiveness of clinical education: systematic review. BMJ 331: 387-391, 2005.

10) Just JM, Schulz C, Bongartz M, Schnell: Palliative care for the elderly–developing a curriculum for nursing and medical students. BMC Geriatr. Sep 20;10:66, 2010.

11) Brunger F, Duke PS: The evolution of integration: innovations in clinical skills and ethics in first year medicine. Med Teach 34: e452-458, 2012.

12) Familiari G, Consorti F, Valanzano R, Vettore L, Casacchia M, Caruso G, Della Rocca C, Gallo P: Per un insegnamento eticamente fondato nei CLM in medicina e chirurgia. Med Chir 54: 2383-2391, 2012.

13) Andreoni M, Arullani A, Cavallini M, Chiriatti A, Cittadini A, Della Rocca C, Donato G, Mazzilli M, Nati G, A Nigro A, A Nobile A, G Tarsitani G, F Traditi F: Il Core curriculum per l’insegnamento degli argomenti di Medicina Generale nel Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Med Chir 46: I-IV, 2009.

Cita questo articolo

Gallo P., Consorti F., Studio individuale e studio guidato. Concetti, bisogni e approcci, Medicina e Chirurgia, 58: 2599-2605, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-9

L’etica della docenza. Per un insegnamento eticamente fondato nei CLM in Medicina e Chirurgian.54, 2012, pp.2383-2391, DOI: 10.4425/medchir2012-54-3

Abstract

Ethics of commitment, responsibility and mutual respect are the main rules of medical teacher behavior and, medical profession. In addiction, medical education should be founded on the respect for individual freedom, beneficence and distributive justice, incorporating all values of professionalism as a core physician competency. At present, as a result of changes in patients’ expectations, health care delivery, medical knowledge and students’ requirements, ethical issues beyond medical education needs to be discussed in great detail. The present paper deals on the necessity of ethics for medical educators founded on relationships amongst individuals, rules, regulations, values and cultural influences. It discusses topics as a result of four work-discussion groups, regarding ethics of teaching, student assessment, teacher-student-patient relationships as well as undergraduate curriculum planning and development. In addiction, the present paper introduces a series of forthcoming studies on this matter.

Articolo

Introduzione

In occasione della 104a riunione della CPPCdLM, tenutasi a Parma il 19 Novembre 2011, la Commissione per l’innovazione didattica e pedagogica ha tenuto un Atelier Pedagogico su un argomento di grande importanza, quello dell’etica della docenza. L’argomento è stato affrontato nel rispetto delle sue molteplici valenze, ed è stato analizzato da quattro gruppi di lavoro centrati su altrettante tematiche giudicate essenziali per una corretta medical education.

L’atelier pedagogico sarà seguito, nelle prossime riunioni della Conferenza, da una “Pillola Pedagogica”, e da un “Forum” in cui il dibattito sarà allargato a esperienze concrete su iniziative riferite da diversi Corsi di Laurea. Le tematiche saranno quindi notevolmente approfondite e troveranno spazio nei prossimi numeri di Medicina e Chirurgia.

L’articolo affronta e introduce questo tema importante in ambito internazionale, percepito come problema su cui deve essere posta grande attenzione, perché basilare per una funzione docente efficace ed efficiente. La Funzione docente deve rappresentare il punto di partenza di un processo di formazione che non si esaurisca nei sei anni di corso, ma che sia la base metodologica, etica e riflessiva che duri tutta la vita; per una vita professionale corretta.

 Necessità del discorso etico nella pedagogia

L’etica è quel ramo della filosofia che studia i fondamenti oggettivi e razionali che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status deontologico, ovvero distinguerli in buoni, giusti, o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti cattivi o moralmente inappropriati.

L’etica del docente si colloca a pieno titolo all’interno del vasto corpo filosofico delle etiche professionali. L’insegnante è infatti doppiamente soggetto all’etica, in quanto formatore di competenze sociali e cognitive.

È proprio dall’azione del docente che possiamo ricavare le formule di un’etica della professionalità insegnante. L’insegnante educa (saperi, cultura, norme) e valuta (l’apprendimento e la formazione); orienta, guida e sostiene l’allievo, modellando su di lui tutto il suo operato; opera all’interno di una micro-comunità (la classe, la scuola, l’università) e partecipa attivamente ai suoi processi, ai suoi problemi, alle sue pratiche; progetta, svolge un ruolo di programmatore, di costruttore di itinerari teorici e pratici, didattici e formativi (Cambi, 2008).

E’ quindi necessario che il docente si ponga il compito di fissare la propria etica, di esplicitarla, di articolarla a sua volta e di pubblicizzarla in modo adeguato.

Come costruire l’etica? Con l’esperienza formativa e con quei saperi della formazione che le sono strettamente congiunti. Fissando in norme e regole il proprio profilo e dando corpo a un codice deontologico capace di sorreggere e orientare tutto il lavoro dell’insegnante (Cambi, 2008).

L’etica del docente si colloca nel punto di unione e di tensione di tre forme etiche: l’etica dell’impegno, l’etica della responsabilità e l’etica della comunicazione; anche se la dialettica tra le forme etiche deve trovare il giusto baricentro sulla responsabilità per poter essere organicamente costruttiva.

L’etica del docente innanzi tutto reclama un’etica dell’impegno. Essa si presenta come un assumere su di sé un compito, farlo proprio, attivarlo in tutto il proprio agire e connetterlo allo scopo di quell’impegno, che è il formare, il partecipare attivamente a un processo che, insieme, coinvolge il docente e l’allievo. Impegnarsi significa collaborare, pianificare obiettivi e darsi compiti. E l’impegno si costruisce sulla comprensione e sulla fedeltà. Comprensione della differenza di colui per cui ci si impegna e fedeltà al proprio progetto, pur mutabile che sia. Senza impegno il processo formativo collassa a routine.

In secondo luogo vi è necessità di un’etica della responsabilità, sia come correlazione razionale tra mezzi e fini, quindi efficiente, controllabile, sia come investimento per il giovane, per il suo futuro, per la sua integrità possibile. Etica istituzionale da un lato, etica interpersonale dall’altro, ma in cui la responsabilità sta al centro, come dispositivo-chiave.

Poi c’è l’etica della comunicazione, che verte sull’ascolto, sul dialogo, sull’argomentazione, sulla conversazione. E’ la dimensione tipica dell’insegnare, perché si fonda sulla parola, sul confronto, sullo stare insieme, gestiti in forma sempre più razional-comunicativa (Cambi, 2008).

L’etica nell’insegnamento della medicina

L’etica assume un valore particolarmente importante quando il docente, che è anche medico, dovrebbe essere rappresentativo del paradigma della professione medica, e quando lo studente, che sarà il medico del nostro prossimo futuro, si trovano in un contesto clinico e relazionale caratterizzato dalla presenza del paziente, che non sempre trova beneficio diretto nell’ambito della didattica tutoriale. Infatti, nel tipico setting clinico, in cui i docenti insegnano al letto del paziente e gli studenti sperimentano le basi del saper fare e del saper essere, i pazienti rappresentano la parte ancor più debole , perché possono essere esposti a rischi di tipo fisico, psicologico e di cura, talora senza il loro pieno consenso (Jagsi e Lehmann, 2004).

Tale complesso rapporto, quello tra docente, equipe professionale, studente e paziente, non può essere quindi lasciato alla semplice occasionalità.

Dovrebbe essere chiaro, anche se molto deve essere ancora fatto, che il rapporto tra formazione clinica, formazione medico-scientifica e formazione umanistica rappresenta un nodo cruciale nel campo della medical education, perché ne costituisce il costrutto epistemico e relazionale. I tre aspetti dovrebbero integrarsi nella consapevolezza che, per un medico, l’uno non possa darsi senza l’altro (Binetti, 2011a,b).

L’etica della medical education dovrebbe quindi basarsi sui principi di base dell’agire medico (respect for individuals, beneficience and distributive justice) proprio per la presenza del paziente (Jagsi and Lehmann 2004), e sui valori autentici della “professionalità” (Stern, 2006). La formazione di medici che siano anche veri professionisti dovrebbe basarsi non solo sui valori importanti dell’efficacia clinica e della medicina basata sulle evidenze (lifelong learning, clinical effectiveness, randomized controlled trials and systematic reviews, evidence based practice, searching, appraising and presenting the evidence), ma anche e soprattutto sui valori della responsabilità e dei rapporti interpersonali corretti (commitment, caring, competence, integrity, confidentiality, ability to work in team, concern for the individual and the community, education and training, contributing to the knowledge base of the discipline) e sul possesso/acquisizione di qualità umane (creativity, the habit of truth, the sense of human dignity, tenderness, kindliness, human intimacy and love) (Stern, 2006). Se la “professionalità” costituisce l’apice della nostra formazione, all’interno di una struttura che deve essere solida ed efficiente, le basi di questa struttura devono essere rappresentate dalla competenza clinica, da buone capacità a saper comunicare e dalla ottima conoscenza dei principi etici, legali e deontologici, mentre i pilastri sono rappresentati dall’eccellenza, dall’umanità, dalla responsabilità e l’altruismo. Una buona professionalità non può esistere se non è sostenuta da queste fondamenta e da queste colonne portanti (Figura 1) (Stern, 2006).

Figura 1

Insegnare i valori della professionalità

Numerosi esempi potrebbero essere tratti dalla lettura di quanto organizzato a livello internazionale nei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia (Familiari, 2000; Torsoli et al., 2000; Familiari et al., 2006; Stern e Papadakis, 2006; Mueller, 2009; Snelgrove et al., 2009; Gallo, 2010; Consorti et al., 2011).

Il dato inequivocabile che emerge è quello della necessità assoluta a dover rappresentare e insegnare tutti i valori della professionalità in un contesto educativo complesso, ben programmato sia per quanto riguarda gli obiettivi didattici, che per la metodologia dell’insegnamento e la corretta valutazione dei risultati (setting expectations, providing experiences, evaluating outcomes), e che sia in grado di fornire le basi culturali e metodologiche corrette per lo sviluppo di tali valori nello studente (Stern e Papadakis, 2006). Anche l’insegnamento in sé è una competenza, e come tale, prevede dei core values ben definibili ed implementabili: tra questi, alcuni ne rappresentano la base, come le capacità di learner engagement, learner centeredness, adaptability e self-reflection (Srinivasan et al., 2011).

All’interno di un modello organizzativo ben strutturato, si trova il docente con i suoi “comportamenti” che dovrebbero essere un esempio rigoroso di professionalità e di eticità non solo nel contesto educativo, ma anche al di fuori dell’Università e dell’Ospedale. Nel processo educativo in sé stesso dovrebbe essere implicito il concetto secondo il quale il docente debba saper aiutare lo studente nell’apprendere le basi morali della pratica medica sulla base di un modello di condotta esemplare che sia rappresentivo di un vero e proprio “modello di vita” condotta su solide basi morali (Tan et al., 2011).

E’ purtroppo vero che, in alcuni casi, pur mantenendo integro nella formalità il rapporto docente/studente, anche in modo inconsapevole, si possono instaurare dinamiche personali del tutto negative quali: la presenza di relazioni inappropriate, la violazione delle regole del corso su programmi od orari, la non osservanza dei propri doveri didattici, l’imposizione agli studenti di punti di vista del tutto personali, un comportamento non imparziale o l’evidenza di favoritismi, il mettere lo studente in difficoltà o denigrarlo, l’invasione della privacy dello studente, il coinvolgimento dello studente in comportamenti non etici (Larkin e Mello, 2010; Singh, 2010). Tale lista potrebbe essere ancor più lunga, ed è quindi sicuramente incompleta. Questi comportamenti, anche se tratti dalla letteratura internazionale, sono sicuramente applicabili alla realtà italiana e tali da vanificare, di fatto, qualsiasi sforzo organizzativo messo in essere da chi ha responsabilità di coordinamento nel Corso di Laurea.

Una prima risposta importante a quanto evidenziato dovrebbe consistere in un miglioramento significativo delle conoscenze sulla necessità morale del senso di cooperazione sociale, della lealtà, dell’imparzialità, della reciprocità e del rispetto, valori fondanti del duplice ruolo di medico e di docente. In realtà, anche se esistono norme, codici etici e di comportamento all’interno delle Università, tuttavia pochi sono i programmi finalizzati ad insegnare ai docenti dei corsi di medicina le buone norme della pedagogia e le corrette relazioni che debbono intercorrere tra i componenti del patto formativo, con un “modus operandi” che divenga anche emblema del corso di laurea (Larkin e Mello, 2010).

Lo scopo di questo atelier pedagogico e delle altre iniziatitive ad esso collegate che seguiranno, si pone proprio in questo ambito.

Alcune proposte dedicate alla diffusione delle “buone pratiche” tra i docenti possono essere tratte dalla letteratura, anche se alcune di esse sarebbero difficilmente realizzabili nel nostro sistema didattico (Brooks, 1995; Glick, 2001; Gitanjali, 2004; Singh, 2010).

Innanzi tutto, dovrebbe essere delineato e condiviso un chiaro documento di condotta morale, in cui siano però chiaramente descritte le sanzioni previste in caso di non osservanza (Gjtaniali, 2004).

Dovrebbe poi essere attuata una attenta soveglianza degli standard previsti per gli esami, tenendo nella giusta considerazione il fatto che chi imbroglia agli esami, continuerà ad imbrogliare anche dopo, nel corso della carriera professionale (Brooks, 1995; Glick, 2001). Debbono pertanto essere programmate regole chiare che siano in grado di migliorare l’imparzialità e la correttezza degli esami stessi (Gjtaniali, 2004).

Altro elemento interessante su cui riflettere è l’ipotesi di prevedere un regime di premialità (progressione di carriera, integrazioni economiche?) anche per il comportamento del docente, poichè gli studenti tendono a conformarsi al “modello” del loro docente, costruendo così dei modi di essere che saranno difficilmente modificabili in seguito (Singh, 2010).

Anche se i questionari degli studenti sono attualmente utilizzati dal sistema universitario italiano, pur tuttavia il feed-back degli studenti andrebbe utilizzato anche per monitorizzare il comportamento ed il modo di insegnare del docente (Singh, 2010), ed il livello di professionalità dell’intero corso di laurea (Todhunder et al,. 2011).

Infine, soprattuto chi coordina e dirige il Corso di Laurea o la Facoltà dovrebbe comportarsi in modo esemplare, anche nell’ottica del buon nome dell’Istituzione che si rappresenta (Gjtaniali, 2004).

Come può notarsi, alcune proposte sono di non facile attuazione, mentre altre potrebbero essere realizzate con semplicità; pur tuttavia, anche se il percorso può apparire complesso, esso deve essere affrontato con chiarezza, lealtà e onestà intellettuale.

 Quattro laboratori di approfondimento

Il Decision Making dell’etica della docenza si dovrebbe fondare su tre punti chiave che possono rappresentare una triade. In primo luogo vi è l’universo delle relazioni tra i diversi “attori” interessati (relationship amongst individuals); in secondo luogo il rispetto delle normative, delle leggi e dei codici di condotta (laws, rules, regulations and code of conducts) e in ultimo, ma non per importanza, il rispetto dei valori e delle influenze culturali (values and cultural influences) (Figura 2) (Singh, 2010).

Figura 2

La commissione Innovazione Pedagogica, al termine di una serie di riunioni preparatorie nelle quali sono stati discussi tutti gli aspetti correlati a tale importante problema, ha deciso di incardinare la discussione in quattro laboratori di approfondimento, così definiti: Problemi etici nell’insegnamento, Etica delle relazioni interpersonali tra gli attori della didattica, Problemi etici nella valutazione dell’apprendimento, Etica dell’organizzazione e della programmazione I laboratori sono stati coordinati dai colleghi della Commissione (hanno svolto le funzioni di esperti e facilitatori), e vi hanno partecipato molti dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia presenti alla Conferenza che si è tenuta a Parma. I quattro gruppi di lavoro sono stati aperti da altrettanti trigger narrativi, opera di quattro anonimi studenti iscritti ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia italiani, e raccolti dagli studenti SISM. Tali contributi sono riportati integralmente.

 Le conclusioni dei quattro laboratori

Al termine del lavoro nei laboratori, esperti e facilitatori dei quattro gruppi di lavoro hanno riferito in plenaria sulle conclusioni raggiunte.

Laboratorio No. 1
Problemi etici nell’insegnamento:

Trigger narrativo:

Sono uno studente che frequenta le lezioni, i tirocini e tutto ciò che la didattica universitaria mi offre. Compatibilmente con la logistica quotidiana, si capisce, ma diciamo che sono presente a quasi tutte le lezioni. Perché frequentare le lezioni? Perché si è convinti che rispetto allo studio a casa sui libri la lezione possa darti qualcosa in più, che la spiegazione del professore faciliti la comprensione dell’argomento e l’esperienza del docente possa dirigere lo studio in modo mirato e critico.

 A volte però, e non sono casi isolati, durante il corso di studi si assiste a lezioni che arricchiscono ben poco il nostro bagaglio culturale. Professori che arrivano tardi a lezione, che non si presentano o mandano all’ultimo uno spiazzato specializzando a fare lezione.

Durante le lezioni troppo spesso si leggono diapositive troppo scritte e troppo teoriche. Raramente si impostano le lezioni a partire dai problemi, dai casi clinici.

 Per quanto riguarda i contenuti, poi, a volte si rimane un po’ perplessi. Alcuni docenti che dovrebbero spiegare un argomento ed essere esaurienti, tralasciano volontariamente parti di programma, e se viene loro chiesto il motivo spesso la risposta è: “queste cose non vi serviranno, o sono troppo specialistiche”, o più spesso “anche se vi parlassi della terapia non vi rimarrebbe nulla, certe cose finchè non le vedete in clinica non vi rimangono”.

Ma quando dovremmo vederle se a tirocinio siamo 15 in una stanza e spesso il tutor finito il breve giro visite ci dice di andare pure perché siamo troppi e non ci sarebbe comunque modo di fare niente di pratico?

Le occasioni in cui hai la fortuna che durante un tirocinio il tutor si trattenga a spiegarti qualcosa o ti coinvolga nelle attività cliniche sono rarissime e preziose.  Ma la Medicina è almeno in parte un’arte e l’arte non è come le nozioni, non si impara solo dai libri, nè dalle slides delle lezioni, si impara osservando, scavando dentro noi stessi e scovando quale nel profondo del nostro cuore sia la nostra vocazione, in che modo le nostre qualità professionali ed umane vogliono mettersi al servizio del prossimo nell’ambito dell’assistenza sanitaria. Insomma, imparare la medicina è un po’ imparare l’arte del guardarsi dentro e del mettere al servizio del paziente le nostre qualità migliori.

L’insegnamento è il momento formativo in cui il maestro sa di essere un anello fondamentale nella formazione del discente e perciò adotta in ogni circostanza un atteggiamento quanto più corretto ed etico possibile, perchè sa che non si insegna solo quando si fa lezione, ma che un allievo impara dal suo maestro osservandolo in ogni suo minimo gesto ed atteggiamento, per cui il suo comportamento dovrebbe essere quanto più corretto ed etico possibile. 

Eppure, sono all’ordine del giorno docenti che non sono puntuali, che non ricevono gli studenti, che non sono reperibili, che non si presentano agli appuntamenti o alle lezioni, che non hanno un comportamento rispettoso verso i pazienti, gli studenti, i colleghi.

Impossibile pensare che crescere, nel momento in cui ci stiamo formando, e quindi siamo più vulnerabili, in questo ambiente e con questi esempi non influenzi il nostro futuro, professionale ed umano.

 La sintesi conclusiva del dibattito

Vi sono tanto implicazioni etiche nell’insegnamento che dell’insegnamento, nel senso che occorre insegnare in modo eticamente fondato e bisogna formare lo studente in Medicina all’etica medica.

Etica nell’insegnamento: l’etica deve essere alla base del patto formativo, dell’alleanza tra docente e studente. Per formare il docente ad un insegnamento etico occorre coltivare il suo umanesimo: le medical humanities non sono solo necessarie per la formazione dello studente ma anche per quella del docente. Contenuti e modalità della formazione devono tener conto di aspetti come l’educazione alla interculturalità (religiosa, di cultura, di genere….) nella relazione, l’abitudine al risparmio delle risorse come strumento etico per assicurare un più ampio accesso alla salute, e l’insegnamento del rispetto dell’integrità fisica e psicologica del malato, in particolare, e di qualunque interlocutore: lo studente deve imparare ad avere relazioni interpersonali e interprofessionali valide e non un rapporto del tipo tra fornitore di prestazione e acquirente.

Insegnamento dell’etica: non ci si può limitare ad un “corso di etica”: la formazione dello studente al comportamento etico deve durare per il tutto il percorso degli studi (corsi di metodologia) e può avvalersi anche dello strumento dei casi clinici simulati nei quali possono essere inserite facilmente implicazioni etiche. Obiettivo di questa formazione è quello di creare medici che abbiano – e mostrino – dignità, tenerezza, gentilezza, umanità e amore.

Laboratorio No. 2
Problemi etici nella valutazione dell’apprendimento:

Trigger narrativo:

Esame del terzo anno, sprint finale di ripetizione del programma, studio da più libri e tanta paura di non rendere all’esame in modo consono allo studio fatto.

Il Prof. formula la sua prima domanda. Purtroppo non sembra troppo soddisfatto della mia risposta. Seconda domanda: morbo di… Su questo sono ferratissima! L’ho studiato benissimo, mi prendevo in giro da sola dicendo che ne soffrivo in forma paucisintomatica!!! Invece, ben presto, mi rendo conto che non lo sta soddisfacendo nemmeno quella risposta. Non capisco, e così, sicura di ciò che avevo studiato e con poca voglia di ripetere l’esame, gli chiedo gentilmente di potergli mostrare ciò che c’è scritto sul libro.

Mi dice, dopo averlo sfogliato con sufficienza, che avevo ragione, ma che mi consigliava di non usare quel libro. Allora gli rispondo d’istinto che in realtà quel libro ce lo aveva consigliato lui il primo giorno di lezione, tanto è vero che il primo rigo scritto nel mio quaderno sotto la data è proprio il nome del libro. Squilla il suo telefono e mi avverte che se non rispondo alla domanda successiva come vuole lui mi boccia. Fine della telefonata.

La storia non finisce qui … Vado a parlargli il giorno dopo e mi dice che per passare l’esame decentemente avrei dovuto studiare da un altro libro molto più specialistico. Così torno a casa un po’ perplessa, sicura che non avrei avuto vita facile.

Mesi dopo ho scoperto che l’autore del libro consigliato il primo giorno di lezione e il mio Prof. avevano litigato. E io durante l’esame avevo fatto presente al Prof. che quel libro, scritto dalla persona che gli aveva dato dell’incompetente solo un mese prima, ce lo aveva detto proprio lui di comprarlo!!!

Questo episodio mi ha fatto riflettere sul modo in cui noi studenti siamo valutati. Certo, magari non saremo sempre preparati e meritevoli di voti altissimi, ma le modalità di esame troppo spesso sono approssimative, sbrigative, superficiali.

Ascoltando gli studenti parlare è frequente sentire frasi del genere: “Per passare l’esame quella patologia devi farla dal libro X, il prof. la vuole da lì, poi il resto puoi studiarlo dall’altro libro”, “la terapia però studiala sugli appunti, lui vuole sentirla in quel modo”. Dove è finita la fantasia dello studente, l’approfondimento personale di studio nel cercare libri, articoli, trattati, ecc. se i docenti per promuovere all’esame vogliono sentirsi dire l’argomento in un determinato modo che si diffonde ben presto tra gli studenti? Preparare un esame sta diventando un conto matematico: “imparati questo paragrafo dal libro X, questo capitolo dal libro Y, questo elenco dagli appunti, e sicuramente sarai promosso”.

Per non parlare del fatto che, a parte l’aspetto teorico e nozionistico, nella valutazione non viene mai approfondita la competenza dello studente nello svolgere attività di pratica clinica (esame obiettivo, anamnesi, prelievo venoso, esplorazione rettale, ecc.) né le capacità comportamentali nell’approccio al paziente o nell’affrontare situazioni umane particolari (fine vita, disabilità, patologie psichiatriche, situazioni sociali particolari come disoccupazione, tossicodipendenza, abbandono, ecc.).

Considerando che in didattica tutto ciò che non viene valutato, o viene valutato male, non esiste, poiché è chiaro che lo studente non lo approfondirà nello studio e nella sua preparazione, siamo sicuri che questo modo di valutare sia consono alla formazione di futuri medici chirurghi capaci di svolgere al meglio la loro professione, sia dal punto di vista delle conoscenze teoriche che pratiche e comportamentali?

La sintesi conclusiva del dibattito

La valutazione dello studente ha implicazioni etiche generali nel dominio della relazione docente-studente e ne ha altre, più specifiche, nell’ambito del processo di valutazione in sé.

Deontologia ed etica della relazione docente-studente nel contesto della valutazione: in corso di esame, occorre vincere i pregiudizi sulle modalità di presentazione dello studente e imparare a controllare i condizionamenti che derivano dal suo aspetto estetico. L’esame rischia di assumere l’aspetto di una “valutazione incondizionata”, di un esercizio di potere che compromette la relazione di crescita tra docente e studente: la valutazione dell’apprendimento deve essere vissuta come un’occasione di crescita dello studente e non di svalutazione della sua persona (che porta alla disperazione e all’abbandono).

Deontologia ed etica della valutazione: l’esame è un’occasione per verificare o valutare? Il concetto di valutazione è più ampio e intersoggettivo di quello della verifica: non sempre la “risposta esatta” è migliore di una risposta parzialmente inesatta ma che deriva dal ragionamento dello studente. L’etica della valutazione deve basarsi sulla formulazione di un assessment contract: all’inizio dei corsi si dovrebbe dare non il “programma di insegnamento” ma il “programma di apprendimento”: le regole vanno date e poi rispettate, ma devono essere eticamente valide. Al contrario, attualmente non c’è sincronia tra insegnamento, apprendimento e valutazione: l’insegnamento condiziona l’esame mentre dovrebbe essere l’inverso, per cui l’introduzione di un approccio etico nell’apprendimento e nella valutazione richiede un cambiamento sostanziale dell’approccio didattico. Imparare ad usare le tecniche docimologiche fa parte dell’etica dell’attribuzione del voto.

 Laboratorio No. 3
Etica delle relazioni interpersonali tra gli attori della didattica (studenti, docenti e pazienti):

Trigger narrativo:

Una normale mattina di lezione del terzo anno di medicina. La lezione avrebbe dovuto iniziare 20 minuti fa, ma il professore non si vede. Gli studenti parlano, scherzano e ingannano il tempo.

Entra il professore. L’aula si fa improvvisamente silenziosa, un silenzio che indica rispetto, rispetto per l’arrivo del Prof, didatta e nostro punto di riferimento come esempio di comportamento e di cultura, e io sono li tra le prime file per seguire da vicino cosa ha da offrirmi.

La lezione sta per iniziare, ma il telefono suona, mi guardo intorno, chi ha lasciato il telefono acceso a lezione? Ma il suono non viene da dietro di me, ma tutto intorno a me, dagli amplificatori. E’ il prof che ha lasciato il telefonino acceso e risponde. Sarà una cosa urgente, è il primario!

E invece no, dal tono la conversazione sembra uno scambio di saluti e di battute tra amici, con tanto di appuntamento per il fine settimana…E a noi tocca ascoltare la conversazione.

Chiude dopo un po’, ma non spegne il cellulare, potrebbe sempre arrivare un’altra chiamata!

Un mio collega alza la mano e con un tono critico ma educato fa notare al professore che sono stati persi più di 10 minuti di lezione per una telefonata e che gli studenti sono perplessi e un po’ infastiditi.

Con estrema calma e con il sorriso sulle labbra risponde: “ Potrete sopportare dieci minuti di pausa, non credo che vi dispiaccia poi così tanto riposarvi un attimo. E poi si sa, le mie ore non sono troppo intense ed estenuanti, ma i contenuti e quello che si impara sapete che sono superiori alla media delle vostre lezioni. Ad esempio, le lezioni del mio collega, il prof. X, iniziano sempre puntualissime, spaccando il minuto e durano fino alla fine delle ore, a volte anche dieci minuti in più, solo perché è logorroico e si perde, ma ditemi che sono lezioni interessanti? Insomma mica è importante quanto spieghi, ma cosa spieghi e come lo fai!”.

Ci siamo guardati un po’ imbarazzati. E’ stato fastidioso e spiacevole sentire un docente parlare male di un suo collega proprio con noi studenti.

Forse noi studenti meritiamo di più. Docenti che arrivano tardi a lezione, che rispondono al telefono nelle ore di lezione e parlano indisturbati in aula senza nemmeno staccare il microfono. Docenti che criticano altri colleghi certo non ci abituano ad una collaborazione e ad un team working che invece dovrebbero essere parte integrante del mestiere che andremo ad esercitare. Non vorrei un domani esercitare la professione in questo modo, con superficialità, mancanza di rispetto e autoreferenzialità, né come clinico né come docente.

 La sintesi conclusiva del dibattito

Il laboratorio si è aperto con la presa d’atto che il Gruppo di lavoro Innovazione Pedagogica, che ha organizzato questo atelier, è partito dalla scelta di delimitare il campo all’etica delle relazioni che vengono agite nel contesto specifico del C.L. in Medicina. Il Gruppo ha preso atto che tali relazioni sono assai complesse ma possono essere ricondotte ad una rete che coinvolge i diversi attori della didattica: i docenti (medici), gli altri professionisti sanitari, gli studenti e i pazienti. Si è allora convenuto di identificare lo studente come l’elemento centrale di questa rete di relazioni, in quanto ne è l’anello debole, da proteggere dalle relazioni negative che si instaurano tra docenti, tra curanti e malati, e tra figure professionali diverse: tutto ciò che ostacola la formazione dello studente è un vulnus etico. Si è quindi passati ad identificare una serie di parole-chiave dell’etica in quattro specifici contesti relazionali:

Relazione docente-studente:

  • Il docente deve mostrare rispetto per la persona dello studente, indipendentemente dalla sua identità di genere, dal suo credo religioso, dal gruppo etnico e sociale di appartenenza, e deve insegnare allo studente il rispetto reciproco tra studenti.
    • Il docente deve aiutare lo studente a valorizzare i propri punti di forza e a minimizzare i propri punti di debolezza, stimolando l’umiltà dello studente ma evitando ogni forma di didattica per umiliazione.
    • Il docente trasmette valori, stili di vita, modalità di relazioni (il saper essere, il professionalism) anche inconsapevolmente: deve divenire cosciente dell’insegnamento per induzione vitale che dà.
    • Alla valutazione dell’apprendimento va affiancata quella dell’insegnamento, da farsi in modo indipendente da parte di studenti e di docenti terzi (peer review).

Relazione (docente-docente)-studente:

  • Un docente non deve mai delegittimare o sconfermare un altro docente agli occhi dello studente.
  • Il rispetto per il collega non deve però andare a scapito del rispetto per lo studente (le criticità non vanno coperte ma affrontate nell’interesse dello studente). I Coordinatori (di Corso Integrato, di Semestre) devono rappresentare in modo autorevole le istanze degli studenti nei confronti dei docenti e trovare le soluzioni attuabili, formalizzando e facendo rispettare le regole del gioco, anche proponendo sanzioni.

Relazione (docente-prefessionista sanitario)-studente:

  • Il docente-medico deve mostrare/insegnare rispetto e spirito di collaborazione con tutti i professionisti della salute.
  • L’insegnamento interprofessionale ha una valenza etica in quanto coinvolge e dà piena dignità ad una serie di figure professionali diverse.

Relazione (docente-paziente)-studente:

  • Il docente deve mostrare/insegnare rispetto per il paziente, per la sua persona, e insegnare allo studente a vedere in lui un partner competente nel processo di cura. Il rispetto per il paziente include la sua privacy (non portare mai il paziente in aula) e la sua integrità come persona: insegnare a rispettare il cadavere, a vedere in lui una persona deceduta, non un oggetto.
  • Il docente deve presentare gli studenti ai pazienti come futuri membri della professione medica, e responsabilizzare i pazienti nella collaborazione al loro processo formativo.
  • Il docente deve insegnare allo studente come stabilire un rapporto professionale corretto con il paziente ed ottenerne la compliance.

Laboratorio No. 4
Etica dell’organizzazione e della programmazione:

Trigger narrativo:

Stamattina mi sono svegliato molto eccitato, è il mio primo giorno di tirocinio nel reparto che forse vorrei frequentare per la tesi.

Siamo in tantissimi, i tirocinanti intendo, ed io sono troppo dietro per vedere come si fa un giro visite come si deve. Non che ci sia chissà cosa da vedere, il dottore a cui faccio riferimento svolge rapidamente il suo compito di lavoro e scompare in un attimo nell’ambulatorio: ”Se mi cercate sono di là”.

Mi chiedo, ma non sarebbe possibile programmare il tirocinio in modo che ci sia un numero decente di studenti per ogni tutor? Non sarebbe possibile fare in modo che il tutor che si impegna ad accompagnare gli studenti in reparto abbia tempo sufficiente per insegnar loro qualcosa? Forse non è possibile. Forse io sono giovane e vedo le cose in modo troppo semplicistico.

Mi cambio e vado a lezione.

Appena mi siedo mi accorgo che l’argomento della lezione è già stato trattato altre volte, da altri docenti, in altri corsi. Qualcuno di noi lo fa notare al docente, ma lui non è il docente del corso, è solo un medico del reparto commissionato dal professore a svolgere la lezione. Non aveva idea che l’argomento fosse già stato fatto, si scusa ma, dice, non sa di cos’altro parlarci, ha con sé solo quella lezione. Molti si alzano, altri restano, aprono altri libri, studiano.

Ancora una volta rifletto. Mi domando: possibile che nessuno sia a conoscenza dei programmi che vengono svolti nei singoli corsi e non possa inoltrarli ai docenti in modo da evitare spiacevoli sovrapposizioni? Possibile che quando un docente stila il programma delle sue lezioni non si interessi delle materie e degli argomenti che lo studente ha già studiato nei corsi precedenti e sta studiando nei corsi contemporanei al suo?

Possibile che non gli interessi quali materie lo studente conosca in modo da integrarsi alle conoscenze già fatte proprie per arricchirle? Possibile che questo non sia ritenuto importante?

Ancora una volta mi rispondo che forse sono troppo giovane, troppo semplicista. Forse c’è una ragione logica per cui quello che a me sembra ovvio in realtà risulta inattuabile.

Lo spero con tutto me stesso perché io all’Universtà ci vado tutti i giorni, pago le tasse, compro i libri e impiego molta della mia giornata a studiare o a seguire lezioni e tirocini. Magari non sono lo studente perfetto, ma merito comunque il massimo impegno nel cercare di fornire a me e ai miei colleghi la didattica e la formazione migliore possibile.

 Vado a casa, sperando che la giornata successiva sia più produttiva.

La sintesi del dibattito

Il laboratorio si è aperto con la presa d’atto che l’imperativo etico deve superare la fase dei buoni consigli e giungere ad un livello prescrittivo: le attività di pianificazione, programmazione e organizzazione vanno rinegoziate di anno in anno e vanno comunicate agli studenti, con un patto formativo esplicito.

Si è poi convenuto che il lavoro dei responsabili didattici (dai Presidenti di CL ai Coordinatori di Corso Integrato) si articola in tre fasi:

Pianificare: il Coordinatore deve informare e motivare, prima, e poi coinvolgere docenti e studenti interessati, perché il coinvolgimento attivo è indispensabile per ottenere risultati.

Programmare: va fatto un contratto d’onore (il patto formativo) tra docente e studente, ma questo deve essere formalizzato. Gli accordi vanno poi rispettati da una parte e dall’altra. Questo processo va rinnovato anno per anno, perché le cose cambiano.

Organizzare: l’organizzazione non può prescindere da condivisione e rispetto del patto formativo e richiede il reperimento di risorse adeguate. L’organizzazione didattica è più semplice per i corsi di base che non per quelli clinici, ma ciò non deve impedire una corretta organizzazione delle attività clinica: la complessità deve essere uno stimolo e non un ostacolo

 Un commento conclusivo

I trigger narrativi elaborati da studenti dei corsi di laurea italiani non lasciano nessuno spazio all’immaginazione, descrivendo situazioni drammaticamente reali e viste da ognuno di noi.

Un ulteriore forte impulso a proseguire in questo percorso si deve trarre da uno studio longitudinale condotto sugli studenti del Jefferson Medical College, in cui si dimostra che il calo significativo di empatia negli studenti si verifica nel terzo anno. Gli autori concludono: It is ironic that the erosion of empathy occurs during a time when the curriculum is shifting toward patient-care activities; this is when empathy is most essential (Hojat et al., 2009).

L’atelier si è concluso con una discussione su quanto riferito dai Gruppi di lavoro e con l’invito, espresso da Pietro Gallo a nome del Gruppo Innovazione Pedagogica, ad approfondire i temi trattati nelle Sedi (in Consiglio di Corso di Laurea, in Commissione Tecnica di Programmazione, in Commissione Medical Education, in un Gruppo nominato ad hoc) in modo che il prossimo Forum possa essere una grande assise condivisa e un momento di elaborazione “alta” da parte della nostra Conferenza.

Non deve essere mai dimenticato che l’obiettivo finale è quello di assicurare la cura efficace della salute del prossimo futuro, con i futuri medici, della cui formazione abbiamo, oggi, la grande responsabilità.

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Cita questo articolo

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