Sportello Counseling Accoglienza Studenti “Fatti Vivo!”. Un’opportunità per gli studenti di Sapienzan.54, 2012, pp.2407-2411, DOI: 10.4425/medchir2012-54-6

Abstract

The University Counseling Services were established in the United States in the late 1930s and afterwards became widely popular in Europe. Psychological counseling plays a primary role to fight the stigma against mental illness and significantly contributes to prevention. In November 2008, the university counseling service “Fatti vivo!” was established in “Sapienza” University of Rome. It addresses the university students, particularly medical students. The service provides 3-4 weekly meetings with a six-months follow-up and, if necessary, a post-counseling individual or group therapy and/or pharmacotherapy. We received 160 requests and 132 route consultations were activated, with a drop-out percentage of 21,6%. The mean age of the sample was 24,7 years (37,3% Male, 62,7% Female). While the 21,6% of the sample reported troubles to study, the 50% reported difficulties to study connected with other problems (such as anxiety, asthenia, difficulty in relationships) and the 28,4% reported psychiatric symptoms. The 23,5% of the students were diagnosed with at least one Axis I psychiatric di¬sorder, assessed by DSM IV-TR. The 43,1% of the sample was proposed a post-counseling group psychotherapy, while the 25,5% received other indications (individual psychotherapy and/or pharmacotherapy).

Articolo

Il counseling universitario

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il counseling come “un processo focalizzato, limitato nel tempo e specifico, che tramite il dialogo e l’interazione personale mette in condizione gli individui di gestire i problemi e rispondere a disagi e bisogni psicosociali nel modo migliore possibile secondo le loro potenzialità”1.

 I servizi di counseling universitari sono sorti negli Stati Uniti alla fine degli anni trenta e hanno poi trovato ampia diffusione anche in Europa2.

Il counseling psicologico in modo specifico, ha trovato spazi propri nelle Università, con offerte ampie ed eterogenee. È questa un’attività che non si limita all’orientamento o al mero supporto di particolari utenti. Prevedendo tra i propri compiti quello dell’informazione psicologica, dell’analisi della domanda e della diagnosi psicologica precoce, riveste un ruolo primario nella lotta allo stigma contro la malattia mentale e favorendo la soluzione di situazioni che possono trasformare il disagio esistenziale e relazionale in psicopatologia, contribuisce significativamente all’opera della prevenzione.

In Italia il primo servizio di counseling in ambito universitario è stato istituito negli anni ottanta presso la Cattedra di Psicologia dell’Università di Napoli.

Nel 12 novembre 2001 è stata fondata l’Associazione Universitari, Relazione d’Aiuto e Counseling (AURAC). Al centro dell’attività dell’Associazione si pongono lo studio, la ricerca, la formazione, le iniziative editoriali e l’aggiornamento culturale nel settore della relazione d’aiuto e del counseling svolgendo o partecipando ad una serie di attività di carattere scientifico e culturale e monitorando la realtà universitaria in riferimento ai servizi di aiuto psicologico mediante annuali riunioni in Congresso in diverse sedi.

Lo sportello di counseling-accoglienza studenti “Fatti vivo!”

Sulla base di queste esperienze ed alla luce di ricerche svolte in collaborazione con il “Dottorato di ricerca in Psichiatria: Interventi precoci nelle psicosi”3, nel novembre 2008, con l’approvazione dell’attuale Rettore Prof. L. Frati, del Preside Prof. E. Gaudio e di tutta la I Facoltà di Medicina e Chirurgia della ‘Sapienza’ Università di Roma, è stato attivato presso la UOD di Psicoterapia del dipartimento di Neurologia e Psichiatria uno sportello di counseling-accoglienza studenti dal nome “Fatti vivo!”, rivolto a tutti gli studenti iscritti all’università, con particolare riferimento alla I facoltà di Medicina e Chirurgia.

La scelta di rivolgersi a questo specifico uditorio nasce da diverse considerazioni. Prima fra tutte, l’idea che l’ingresso all’Università impone allo studente il passaggio ad una nuova modalità di formazione e di rapporto con la realtà. Questo non di rado sollecita l’emergenza di un ampio spettro di problematiche psicologiche. Tra queste, le più frequenti sono il conflitto tra dipendenza ed autonomia e le reazioni allo stress, con importanti ripercussioni sull’iter didattico e formativo.

Il servizio è presente sulla homepage di molte Facoltà e diversamente pubblicizzato. Ha una propria pagina web (http://w3.uniroma1.it/fattivivo/) ed è facilmente fruibile in quanto agevolmente raggiungibile e gratuito.

Le motivazioni che hanno indotto la sua costituzione sono diverse, dalla necessità di rispondere in generale agli obiettivi principali della Medicina attuale (ridurre la prevalenza, l’incidenza e la cronicizzazione delle malattie) e più specificatamente a quelli della Psichiatria (la prevenzione nel riconoscimento ed intervento sui prodromi e la presa in carico dei pazienti al loro esordio psicopatologico), all’analisi della recente letteratura che sottolinea il dato inquietante dell’insorgenza di disturbi psichiatrici gravi nel 75% dei casi prima dei 24 anni4.

Gli studenti universitari non solo rientrano in questa fascia d’età, ma rappresentano anche una categoria significativa di “giovani adulti” (ovvero, la potenziale futura classe dirigenziale).

Tuttavia, solo una minoranza di giovani con problematiche psicopatologiche cerca un aiuto specialistico. Da uno studio effettuato nel nostro ateneo ((Armando M, Dario C, Rigetti V, Saba R, Cavaggioni G, Lia C, Fiori Nastro P: Distribuzione della sintomatologia depressiva e ansiosa e correlazione con le condotte di Help-Seeking in un campione comunitario di giovani adulti. La Clinica Terapeutica 2010; 161 (2): 25-32)), su un campione di 1660 studenti universitari, è emerso che il 46,4% degli studenti ha sentito almeno una volta l’esigenza di rivolgersi ad uno psichiatra/psicologo, anche se solo il 31,0% di questi lo ha effettivamente fatto. Questo parrebbe significare che nel 69,0% dei casi l’esigenza di una richiesta d’aiuto rimane una “domanda inespressa” per “paura” (31,4% dei casi), “costo” (25,1% dei casi), “sfiducia” (23,5% dei casi) e “disinformazione” (20,0% dei casi).

Inoltre l’82,6% degli studenti troverebbe utile un servizio di supporto psicologico/psichiatrico pubblico esclusivamente dedicato alla fascia di popolazione dei “giovani adulti”. Date le sue caratteristiche, lo sportello risponde in pieno a questa richiesta.

Caratteristiche organizzative

La prenotazione di un incontro è possibile telefonando alla segreteria dello sportello, collegandosi all’indirizzo web o inviando una mail all’indirizzo e-mail: fattivivo@uniroma1.it. Il tempo medio di latenza tra la richiesta ed primo incontro è di circa 7,4 giorni.

Il servizio è caratterizzato da 3-4 incontri gratuiti della durata di circa 50 minuti l’uno effettuati da personale medico specialista in psichiatria (nei quali viene somministrata una batteria di test psicodiagnostici). Se da questi incontri non risulta necessaria una cura e quindi nessuna indicazione terapeutica, si fissa un incontro di follow-up dopo 6 mesi. Se, invece, dai primi incontri si evince una necessità di cura, lo sportello offre la possibilità di presa in carico in psicoterapia di gruppo post counseling, psicoterapia individuale e/o farmacoterapia in relazione al quadro psicopatologico dello studente. In particolari circostanze, può avvenire un invio presso il centro di salute mentale (CSM) di competenza territoriale o altri servizi pubblici. Per tutti gli utenti è previsto un incontro di follow-up dopo 6 mesi (Figura 1).

Figura 1

Alcuni numeri

Ad oggi abbiamo ricevuto 160 richieste di colloquio, sono stati attivati 132 percorsi di consultazione, sono stati effettuati 435 incontri, di cui 67 di follow-up ed abbiamo registrato il 21.6% di drop-out.

L’età media degli utenti è di 24,7 anni (σ 3,9). Gli studenti di sesso maschile rappresentano il 37,3%, quelli di sesso femminile il 62,7%. Per ciò che riguarda la provenienza geografica, il 47,8% degli studenti sono fuori sede, il 42,4% sono in sede, mentre il 9,8% sono pendolari. Il 13,5% degli studenti ha già conseguito la laurea, il 62,8% degli studenti dichiara di essere in corso, il 23,5% fuori corso. (Figura 2)

Figura 2

Il 19,4% degli studenti ha dichiarato di aver fatto uso di sostanze d’abuso (in particolare cannabis) e l’11,8% ne farebbe tuttora uso. Il 20,6% ha dichiarato di far uso di alcol prettamente nel finesettimana. Il 18,6% degli utenti ha in anamnesi pregresse cure psichiatriche (terapie farmacologiche e/o psicoterapie). La maggior parte degli studenti che si sono rivolti allo sportello provengono dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia (Figura 3), settuple questo dato sia influenzato dalla diversa modalità di presentazione dello Sportello, più diretta inizialmente per gli studenti di medicina, e comunque nel tempo si sta uniformando.

Figura 3

Indagando la motivazione alla richiesta d’aiuto presso lo sportello si è visto che il 21,6% degli studenti dichiara esclusivamente difficoltà negli studi; il 50% oltre alla difficoltà negli studi lamenta altre problematiche quali difficoltà relazionali, deflessione del tono dell’umore, sintomi di natura ansiosa, astenia, scarsa autostima; il 28,4% motiva la richiesta con la presenza di una sintomatologia psichiatrica. (Figura 4)

Figura 4

Al 23,5% degli studenti è stato diagnosticato un disturbo psichiatrico in Asse I del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, (DSM IV)5 con l’ausilio della Structured Clinical Interview for DSM IV Axis I Disorders Clinical Version (SCID- I cv) che viene redatta in occasione del primo colloquio. Di questi il 58,3% ha ricevuto diagnosi di Disturbo dell’Adattamento seguito dai Disturbi dell’umore, d’Ansia e dai Disturbi Psicotici6. (Figura 5)

Figura 5

L’indicazione terapeutica per il 43,1% degli studenti è stata la psicoterapia di gruppo post-counseling; il 31,4% non ha ricevuto nessuna indicazione terapeutica; il restante 25,5% ha avuto invece un’altra indicazione (invio o presa in carico per una psicoterapia individuale e/o una farmacoterapia). Gli interventi attivati per gli utenti che necessitavano di una cura (68,6%) sono, quindi, la presa in carico nella nostra UOD per 34,3% e l’invio presso altri servizi pubblici per 12,6%. (Figura 6)

Figura 6

 Conclusioni

L’attività che viene portata avanti e gli obiettivi futuri hanno come fine comune la prevenzione: primaria nell’individuazione degli stadi premorbosi e per questi l’istituzione di una psicoterapia di gruppo post-counseling dedicata; secondaria con il riconoscimento degli stati prodromici e delle franche patologie psichiatriche e attuando per questi terapie adeguate.

Attive in ultimo sono diverse collaborazioni. Tra queste le più significative in Sapienza sono, come accennato, quella con il Dottorato in Psichiatria “Interventi Precoci nelle Psicosi” e quella con la Commissione Medical Education della Facoltà di Medicina, per il recupero del drop-out/ritardo studentesco. Parimenti molteplici sono le compartecipazioni in ricerche ed attività sia con partner nazionali (il Centro Counseling dell’Università di Padova e l’AURAC) che europei (i servizi di counseling dell’Università di Oxford e di Cambridge).

Cita questo articolo

Cavaggioni G., Lia C., Lai E., Sportello Counseling Accoglienza Studenti “Fatti Vivo!”. Un’opportunità per gli studenti di Sapienza, Medicina e Chirurgia, 54: 2407-2411, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-6

  1. World Health Organization: Global Programme on AIDS, Psychosocial counseling for persons with HIV infection, AIDS and related desease. Ginevra, 1989 []
  2. Di Fabio A, Sirigatti S (a cura di): Counseling. Prospettive e applicazioni. Ponte alle Grazie, Milano, 2005 []
  3. Armando M, Dario C, Rigetti V, Saba R, Cavaggioni G, Lia C, Fiori Nastro P: Distribuzione della sintomatologia depressiva e ansiosa e correlazione con le condotte di Help-Seeking in un campione comunitario di giovani adulti. La Clinica Terapeutica 2010; 161 (2): 25-32 []
  4. Patel V, Flisher AJ, Hetrick S, et al: Mental health of young people: a global public-health challenge. Lancet 2007; 369: 1302-13 []
  5. American Psychiatric Association: Diagnostic and statistical manual of mental disorders (4th edn). Washington DC, 1994 []
  6. Lia C, Gallo V, Frassanito A, Cavaggioni G, Lai E: Prevalence of Mood Disorders in a university students population. La Clinica Terapeutica 2011; 162(3):e67-e72. []

Mozione Conferenza 27 Febbraio 2012

La Conferenza delle Facoltà di Medicina e Chirurgia riunitasi in Roma il 23 febbraio 2012

La Conferenza dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia riunitasi in Roma il 27 febbraio 2012

VISTA

la Legge 30 dicembre 2010 n. 240 “Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”;

VISTO

in particolare l’art. 2 “Organi e articolazione interna delle Università” che

al comma 2 sub c, nello stabilire i vincoli ed i criteri direttivi che devono essere osservati per la modifica degli statuti, definisce la “previsione della facoltà di istituire tra più dipartimenti, raggruppati in relazione a criteri di affinità disciplinare, strutture di raccordo, comunque denominate, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di studio, e di gestione dei servizi comuni; previsione che, ove alle funzioni didattiche e di ricerca si affianchino funzioni assistenziali nell’ambito delle disposizioni statali in materia, le strutture assumano i compiti conseguenti secondo le modalità e nei limiti concertati con la regione di ubicazione, garantendo l’inscindibilità delle funzioni assistenziali dei docenti di materie cliniche da quelle di insegnamento e di ricerca;”

al comma 2 sub f) prevede la istituzione di un organo deliberante delle strutture di cui alla lettera c), ove esistenti, composto dai direttori dei dipartimenti in esse raggruppati, da una rappresentanza elettiva degli studenti, nonchè, in misura complessivamente non superiore al 10 per cento dei componenti dei consigli dei dipartimenti stessi, da docenti scelti, con modalità definite dagli statuti, tra i componenti delle giunte dei dipartimenti, ovvero tra i coordinatori di corsi di studio o di dottorato ovvero tra i responsabili delle attività assistenziali di competenza della struttura, ove previste;

CONSIDERATO

che il modello organizzativo per Facoltà/Scuole risulta essere, allo stato, il più utilizzato e funzionale a livello europeo ed italiano;

VERIFICATO

che in tutte le Sedi Universitarie, nei nuovi Statuti, è prevista la costituzione della struttura di raccordo prevista dalla Legge, in particolare per le esigenze specifiche dell’area medica;

VERIFICATO

altresì, che in tutte le Sedi Universitarie la costituzione della struttura di raccordo per l’Area Medica è identificata nella Facoltà o nella Scuola;

VISTA

la nota MIUR n. 169 del 31 gennaio 2012, che ha definito le indicazioni operative relativamente all’offerta formativa per l’anno accademico 2012/2013, in particolare nei punti ove “Si precisa inoltre che le proposte dovranno riferirsi al complesso delle nuove strutture didattiche (Dipartimenti ed eventuali strutture di raccordo cui afferiscono gli stessi) dell’Ateneo, evitando pertanto soluzioni miste che riconducano i corsi di studio in parte alle Facoltà e in parte ai Dipartimenti.”

VISTO

l’Allegato 1 della nota – Procedura informatizzata per la trasformazione delle strutture didattiche di riferimento per l’offerta formativa degli Atenei. Indicazione delle strutture: dipartimenti ed eventuali strutture di raccordo. Afferenze dei corsi di laurea ai dipartimenti e dei dipartimenti alle eventuali strutture di raccordo. Ove si precisa che “Qualora sia adottato un modello organizzativo che prevede anche la presenza di strutture di raccordo si ricorda che, fatte salve le specificità relative all’area medica, le strutture di raccordo sono finalizzate al coordinamento, alla razionalizzazione e alla gestione di servizi comuni delle attività didattiche di almeno due dipartimenti raggruppati secondo criteri di affinità disciplinare. A tal fine sarà possibile indicare l’afferenza dei dipartimenti alle rispettive strutture di raccordo”.

CONSIDERATO

che i curricula dei corsi di laurea in Medicina Italiani sono stati fortemente ridisegnati in stretta relazione con i curricula europei1, e sono ora caratterizzati da un’elevata integrazione didattica2;

CONSIDERATO

altresì che ciò ha modificato sostanzialmente l’organizzazione del curriculum degli studi medici3, rendendo necessaria un’integrazione interdisciplinare trasversale, e ha messo in crisi il classico modello deduttivo del curriculum medico, portando alla creazione di integrazioni interdisciplinari longitudinali4;

TENUTO CONTO

che l’integrazione trasversale si realizza con l’istituzione di corsi integrati, caratterizzati dall’articolazione di ciascun corso in più moduli disciplinari coordinati e integrati, mentre l’integrazione longitudinale si compie con l’inserimento di moduli clinici nei corsi di base e di moduli di scienze di base nei corsi clinici, finalizzati ad una richiamo continuo delle premesse scientifiche della pratica medica;

TENUTO CONTO

che, quindi, il curriculum delle Lauree di area medica comporta la compartecipazione di numerosi Dipartimenti (da quelli delle Scienze di Base- quali Chimica, Fisica, Biologia, etc- a quelli delle Scienze Cliniche – quali Medicina Interna, Specialità Mediche, Chirurgia Generale, Chirurgia Specialistica – e dei Servizi – quali Medicina di Laboratorio, Anatomia Patologica, Radiodiagnostica, etc.) nonché la inscindibilità della didattica dalla assistenza, di responsabilità delle strutture di raccordo (Facoltà e Scuole);

all’unanimità

RITENGONO

che, da un punto di vista culturale, pedagogico ed organizzativo, i Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, così come quelli di Odontoiatria e P.D. e delle Professioni Sanitarie, non possano in alcun modo essere ricondotti a responsabilità gestionali dei singoli Dipartimenti, ma debbano essere gestiti da specifici Consigli dei Corsi di Studio coordinati e razionalizzati, anche ai fini della Offerta Formativa, dalle strutture di raccordo (Facoltà e Scuole) così come previsto dalla Legge;

CHIEDONO

pertanto, agli Organi competenti (MIUR, CUN) di pronunciarsi inequivocabilmente in tal senso, per evitare disomogeneità di comportamento che sarebbero gravemente dannose per l’organizzazione e la gestione di un così importante compartimento della formazione Universitaria nel nostro Paese.

  1. Frati L., Gallo P., Lenzi A., De Antoni E., Maroder M., Gaudio E. (2006): L’applicazione a Medicina del nuovo Ordinamento didattico, punto di arrivo di un processo di lunga data e punto di partenza per nuove sperimentazioni didattiche. Med. Chir. 31: 1200-1203 []
  2. Snelgrove H., Familiari G., Gallo P., Gaudio E., Lenzi A., Ziparo V., Frati L. (2009) The challenge of reform: 10 years of curricula change in Italian medical schools. Med. Teacher 31: 1047-1055. []
  3. Harden R.M. (2005) Curriculum planning and development. In: Dent J.A., Harden R.M. (eds): A practical guide for medical teachers. Edinburgh: Churchill Livingstone Elsevier.

    Leinster S. (2005) The undergraduate curriculum. In: Dent J.A., Harden R.M. (eds): A practical guide for medical teachers. Edinburgh: Churchill Livingstone Elsevier.

    Fish D., Coles C. (2005) Medical education. Developing a curriculum for practice. Maidenhead: Open University Press.

    DaRosa D.A., Derossis A. (2000) Applying instructional principles to the design of curriculum. In: Distlehorst L.H., Dunnington G.L., Folse J.R. (eds): Teaching and learning in medical and surgical education. Lessons learned for the 21st century. Mahwah: Lawrence Erlbaum

    Calman K.C. (2007) Medical education. Past, present and future. Handing on learning. Edinburgh: Churchill Livingstone Elsevier. []

  4. World Federation for Medical Education (2003) Basic medical Education, WFME Global Standards for Quality Improvement, WMFE Office, University of Copenhagen, Denmark.

    General Medical Council (2003) Tomorrow’s Doctors. Recommendations on undergraduate medical education. GMC, London.

    Grant J (2006) Principles of curriculum design. Association for the Study of Medical Education, Edinburgh, pp. 1-32. []

Letteren.54, 2012, p.2426

Caro Direttore,

alcune righe per, augurabilmente, suscitare nella sede ufficiale di Medicina e Chirurgia un dibattito su un tema della formazione medica davvero maltrattato.

Comincerò con parole non mie: «… dedicano tempo agli ammalati, li sanno ascoltare, più di quanto non facciano tanti medici. Questo sì che è medicina. E all’università non si insegna a parlare con i pazienti, a coinvolgersi, ad allearsi con loro contro la malattia». E’ il leitmotiv che si ritrova in numerosissime articoli di divulgazione scientifica: nelle Facoltà di Medicina italiane non si insegna nulla sulla comunicazione e sulla relazione con il paziente. E ad affermarlo non sono commentatori inesperti; ad esempio,  le parole citate – sul Corriere della Sera – sono di Giuseppe Remuzzi, ricercatore di fama internazionale e osservatore attento di molti aspetti della medicina contemporanea.

In questo numero compare un articolo del nostro gruppo sul Corso di Comunicazione e Relazione nel Polo San Paolo della Facoltà di Medicina di Milano. Il Corso è impegnativo (attribuisce 8 crediti) ed esiste ormai dai 12 anni. Scorrendo la bibliografia dell’articolo, il lettore potrà rendersi conto che, solo su questa esperienza, sono usciti nell’ultimo periodo diversi lavori (ne vengono citati 8). Eppure si continua a sostenere che nelle Facoltà mediche non si insegna a parlare con il malato. Vale la pena di chiedersi (l’abbiamo detto, si tratta anche di commentatori attenti) il perché di questa ‘leggerezza informativa’.

Una prima ragione può risiedere nel fatto che se Milano non rappresenta l’unica eccezione (ci sono corsi in cinque-sei altre Facoltà), nella maggior parte degli Atenei lo spazio dedicato alla formazione alla comunicazione è residuale, confinato nei corsi elettivi, o occasionale. Manca la pratica di un core curriculum, ovvero sembrano essere mancate fino ad oggi da parte del o dei – più probabilmente – SSD implicati in questo percorso culturale la forza e la generosità di saper e voler convergere su iniziative largamente condivise. E, naturalmente, una realtà non coordinata e a macchie di leopardo può essere con facilità sottovalutata o, addirittura, ignorata.

Una seconda ragione, altrettanto convincente, risiede nel fatto che è difficilissimo ottenere, in questo campo, dei risultati convincenti. Possiamo forse dire che gli studenti del Polo San Paolo saranno alla fine dei loro studi più capaci dei loro colleghi nella comunicazione e nella relazione con il paziente? Purtroppo no. A parte la straordinaria difficoltà di questa misurazione (il tema meriterebbe di per se’ una seria riflessione), gli studenti del San Paolo (come quelli provenienti da analoghe esperienze in altre Facoltà) entrano in una miriade di reparti in cui le acquisizioni sulla relazione medico-paziente vengono soffocate dalla pratica di una medicina cosiddetta disease-centred. La sintesi finale inevitabilmente si sposterà in questa direzione. Una diversa sintesi può avvenire solo se tutti – o la maggior parte – dei docenti e dei tutor di una Facoltà preposti alla formazione dei giovani condividano un medesimo modello di medicina in cui venga dato un adeguato spazio all’architettura di una visita centrata sulle esigenze cognitive ed emotive del paziente.

Il percorso che ci separa da questa meta è davvero lungo e tortuoso; nel frattempo teniamoci pronti a subire  altre reprimende: nell’università italiana non si insegna a parlare con i malati…

Egidio A. Moja

Professore Ordinario di Psicologia Clinica

Facoltà di Medicina e Chirurgia

Università degli Studi di Milano

Preparazione dei test di valutazione integratan.54, 2012, pp.2420-2425, DOI: 10.4425/medchir2012-54-9

Abstract

The assessment influences (drives) both the type and degree of learning; therefore, it is first necessary to change the way in which the assessment of students is made in order to change their way of learning. A useful and efficient examination test should have three essential goals: it should attempt to integrate multidisciplinary knowledge; it should assess knowledge and abilities by testing competence; students should be helped to correlate interdisciplinary knowledge and competence, possibly using a problem solving approach. The various techniques of assessment explore different fields of learning. So different types of tests have to be used to eva¬luate the acquisition of knowledge and of gestural or com¬munication skills. It is also necessary that the evaluation test be appropriate to the taxonomic level of the learning objectives. This paper examines advantages and disadvantages of the various evaluation tests. Some essential rules for building multiple choice questions (MCQ) are described to assess the attainment of cognitive learning objectives. The validity of MCQ is verified by docimologic indices. To evaluate the performance of both gestural and communication skills, their whole action should be divided into a sequence of singular observable and – if possible – measurable steps in a check list. The evaluation of gesture must consider the essential ability that the future professional will be able to master in an autonomous and automatic fashion. The communication skills can be evaluated using the “role playing” technique, or discussing in small groups the video sequences of a conversation. There follows a discussion of how the exam tests can be prepared taking into account learning objectives and their ap¬propriate evaluation techniques. Possible solutions for an effective integration of the exam tests are then suggested, stressing the importance that their plan¬ning be achieved through a collegial activity, so that both le¬arning and teaching are organized in an integrated fashion. Finally, a few practical suggestions are given to prepare exam tests which are both effective and fair.

Articolo

Premessa

E’ opinione condivisa e più volte ricordata che lo studente studia per l’esame e che ciò che non viene adeguatamente valutato è destinato fatalmente a essere svalutato.

E allora, quando si scelgono le prove d’esame, bisogna interrogarsi su quale tipo di apprendimento si ritenga necessario ottenere: si vuole valutare che cosa lo studente ricorda alla fine del Corso o piuttosto che cosa si ricorda ancora dopo qualche tempo ? E dal punto di vista della formazione professionale, è sufficiente che ricordi delle conoscenze, o non bisognerebbe anche verificare quali nuove competenze e abilità abbia acquisito in modo permanente?

Credo che un esame “ottimale” dovrebbe facilitare e misurare l’acquisizione duratura di competenze, cioè la capacità di utilizzare le conoscenze.

Un’altra opinione frequentemente ripetuta è quella che afferma che la valutazione condiziona il tipo e il grado di apprendimento. E allora, se vogliamo cambiare efficacemente il modo di apprendere, dobbiamo – prima – cambiare il modo di valutare.

In particolare, mi paiono essenziali tre obiettivi di una valutazione utile ed efficace:

  • integrare la valutazione delle conoscenze multidisciplinari;
  • valutare le conoscenze e le abilità attraverso la verifica delle competenze;
  • aiutare gli studenti a correlare le conoscenze e le competenze interdisciplinari mediante la soluzione di problemi.

Il conseguimento di questi tre obiettivi ha come risultato quello che si chiama un apprendimento “significativo”, cioè non “meccanico” in quanto esclusivamente mnemonico.

Inoltre, se la valutazione cambia in modo “virtuoso”, essa modifica anche il modo di insegnare: di fronte a studenti capaci di apprendere in modo critico e autonomo il docente si proporrà di trasferire il senso e il valore dei saperi proposti più che i loro dettagli (già contenuti nei libri di testo), si sforzerà di insegnare in modo “integrato” per far apprendere in modo “integrato”, e perseguirà un insegnamento e un apprendimento fondati sulla soluzione dei problemi che si incontrano più frequentemente nella pratica professionale, perché questo approccio è il più efficace per integrare le conoscenze e trasformarle in competenze.

Strumenti e tecniche di valutazione 

Gli strumenti di valutazione, per risultare efficaci, dovrebbero possedere i seguenti cinque requisiti qualitativi:

  • validità: grado di precisione con cui lo strumento misura ciò che deve misurare;
  • fedeltà o affidabilità: costanza con cui uno strumento misura la stessa variabile;
  • oggettività: grado di concordanza dei risultati ottenuti con lo stesso strumento da esaminatori indipendenti;
  • comodità: organizzazione, impegno, tempi e costi di preparazione ed esecuzione, che garantiscono la fattibilità;
  • equità: uguale trattamento degli esaminandi.

Non ci si può nascondere che è tutt’altro che facile realizzare prove di verifica dell’apprendimento che riescano a soddisfare adeguatamente tutti questi requisiti, ma almeno ci si deve impegnare a fondo per avvicinarsi alle condizioni ottimali.

Per farlo è necessario innanzi tutto rendersi conto che le differenti tecniche di valutazione esplorano qualità differenti dell’apprendimento.

Per verificare le conoscenze, e in qualche misura anche le competenze, risultano strumenti efficaci, sia pure in grado diverso: l’esame orale; le differenti tipologie di esame scritto (il “compito” tradizionale su di un tema, la relazione, le domande a scelta multipla, le domande a risposta breve aperta), e strumenti più sofisticati quali le mappe concettuali e l’esame a “tre salti” o “triple jump”1 (valido soprattutto in ambito clinico per valutare l’apprendimento per problemi).

Per valutare le abilità sia gestuali che relazionali è indispensabile porre l’esaminando nelle condizioni di esercitare tali abilità (esecuzione di manovre per le abilità gestuali e “role playing” per le relazionali); la verifica della performance viene effettuata con l’aiuto di “griglie”, che dettagliano le tappe essenziali della manovra, o rispettivamente le qualità della relazione da far eseguire. Può venire allestito un setting particolare d’esame  “a stazioni”, denominato OSCE (Obiective Structured Clinical Examination), nel quale viene valutata in tempi contenuti la performance di numerosi studenti nell’esercizio di abilità gestuali e relazionali.

Per valutare le competenze cliniche uno strumento particolarmente idoneo è il così detto “paziente standardizzato” o “simulato” (attori o ex pazienti adeguatamente preparati, che simulano il ruolo di un paziente; lo studente interroga il paziente e successivamente ne esegue l’esame fisico, per lo più sotto il controllo di un valutatore, dotato di una “griglia” di osservazione).

La scelta del metodo valutativo dipende non solo dal campo del sapere (cognitivo, gestuale o relazionale), ma anche dalle situazioni concrete di applicazione (tempi, numero degli studenti, da esaminare e dei docenti disponibili, etc.) e dalle caratteristiche dell’obiettivo educativo di cui si vuole verificare il conseguimento, possibilmente in condizioni che simulino la realtà professionale.

Ogni modalità, strumento o tecnica valutativa presenta pregi e difetti.

L’esame orale consente di verificare la capacità dello studente di ragionare, di argomentare e di esprimersi, cioè di valutare non solo le conoscenze ma anche caratteristiche personali e psicologiche, ma presenta anche alcuni difetti: una obiettività e una riproducibilità piuttosto scarse, il rischio di disequità e la necessità di tempi considerevoli.

Per migliorare la qualità e l’efficacia dell’esame orale possono risultare utili alcuni consigli:

  • preparare in anticipo un repertorio di domande con differente livello tassonomico, coerenti con gli obiettivi formativi proposti agli studenti;
  • bandire le domande “estemporanee” o “bizzarre”;
  • prestabilire i criteri di valutazione: punteggi e integrazione con i risultati di un’eventuale prova scritta;
  • cercare di valutare il processo oltre che i risultati dell’apprendimento, cosa abbastanza difficile da realizzare: il processo può risultare in qualche misura visibile inducendo lo studente a ragionare ad alta voce, il che non si limita a verificare la mera memorizzazione delle nozioni.

Va infine sottolineato che l’oggettività delle prove di valutazione è un valore, ma non può essere considerato un totem da perseguire in tutte le situazioni valutative.

Gli esami scritti hanno certamente il pregio di essere per definizione oggettivi, equi e parzialmente comodi, ma presentano, a seconda delle modalità di effettuazione, differenti pro e contro, riportati nella tabella 1.

Tabella 1: Luci e ombre dei test valutativi scritti2

Relazione o tesina scritta –  espressione libera delle conoscenze e delle argomentazioni-  scomodità e soggettività nella valutazione
Domande a risposta aperta breve (DRAB) – apparente facilità di preparazione- difficoltà di correzione: possibilità di risposte non interpretabili in  modo univoco- utilità e validità dipendenti dalla qualità delle domande
Test vero/falso –  maggiore facilità di preparazione e di verifica-  maggiore rischio di risposta corretta casuale (50% di probabilità)
Domande a risposta multipla (DSM o MSQ) – difficoltà di preparazione adeguata- efficacia valutativa dipendente dalla qualità- oggettività e comodità della verifica
Quiz “complessi” (di associazione, affermazione/motivaz.) – difficoltà di preparazione e di risposta- validità nella verifica di processi cognitivi elevati
Mappe concettuali – validità nella verifica dei processi mentali- difficoltà di standardizzazione dei criteri di valutazione

Le domande con risposte a scelta multipla

La tipologia di quiz  più comune (e forse la migliore) è quella delle domande chiuse con 5 risposte, di cui un sola inequivocabilmente corretta (DMS). Le componenti delle DMS sono definite nella Tabella 2.

Tabella 2: Terminologia delle DSM

COMPONENTI DEFINIZIONI

Enunciato

Problema come quesito o come affermazione da completare

Scelte alternative

Elenco di soluzioni suggerite (parole, numeri, simboli o frasi)

Risposta/e

Risposta/e senza alcun equivoco corretta

Distrattori

Risposte alternative plausibili, ma indubitabilmente NON corrette

Nella costruzione delle DSM è opportuno seguire alcune regole generali: innanzi tutto ogni quesito dovrebbe focalizzarsi su un unico obiettivo; per ragioni di semplicità, ma anche di chiarezza, sono preferibili i quiz con una sola risposta corretta, ma in alcune circostanze (per es., in quiz inseriti in casi clinici a cascata, dove più decisioni debbono essere prese contemporaneamente) si possono utilizzare check list con più di cinque risposte, delle quali più d’una sono corrette; vale a questo proposito il consiglio di aumentare il numero complessivo delle risposte che fungono da distrattori in relazione al numero di quelle corrette (per es., 8-9 distrattori per 2-3 risposte corrette).

Per non orientare lo studente alla scelta della risposta corretta è opportuno che tutte le risposte – sia quelle corrette che quelle errate – siano di lunghezza simile e le risposte corrette debbono essere disposte in ordine casuale (non al primo, al terzo o all’ultimo posto, come inconsapevolmente si rischia spesso di fare); unica eccezione è data dalle risposte numeriche, che vanno elencate in ordine crescente.

Si deve porre molta attenzione nel correggere gli errori ortografici, e vanno altresì evitate le abbreviazioni e la punteggiatura non necessaria. Con l’analogo fine di non aggiungere difficoltà interpretative ingiustificate a quelle intrinseche al quesito dovrebbero essere sempre utilizzate frasi affermative, evitando quelle negative (es., quale delle seguenti condizioni NON …), o ancor peggio contenenti doppie negazioni.

E’ pure assolutamente da evitare l’artificio della quinta risposta del tipo “tutte le precedenti” oppure “nessuna delle precedenti”, che indica soltanto l’incapacità dell’estensore di trovare una quinta risposta plausibile.

Vanno evitate le affermazioni opinabili o banali, ma anche le frasi tratte da libri di testo.

Soprattutto nelle prove “a cascata” è necessario porre attenzione nell’elaborazione delle domande, che debbono essere del tutto indipendenti dalle risposte date alle domande precedenti.

Può risultare utile usare modelli di quiz già positivamente sperimentati.  Infine, nei limiti del possibile sarebbe opportuno privilegiare quesiti che richiedano la interpretazione di dati, la soluzione di problemi, l’assunzione di decisioni e quiz che richiedano l’applicazione di nozioni piuttosto che la loro semplice memorizzazione.

Dopo la preparazione delle DSM per una prova di valutazione, i singoli quiz dovrebbero venire sottoposti a una verifica di qualità, attuabile rispondendo ai seguenti quesiti:

  • Il quiz esplora una conoscenza attinente a un obiettivo didattico pertinente?
  • La domanda è comprensibile?
  • Le varie risposte hanno una lunghezza ragionevole e senza parole inutili?
  • C’è un’unica risposta corretta, o indiscutibilmente migliore?
  • Le affermazioni indirizzano la risposta?
  • I “distrattori” sono plausibili?
  • Si sono evitate le risposte: “nessuna delle precedenti” o “tutte le precedenti”?
  • Si sono evitate le domande “negative”?
  • I contenuti sono stati accantonati per un po’ di tempo prima della loro revisione?
  • Dopo la revisione di un quiz, il suo quesito è ancora rilevante?
  • Il numero complessivo dei quesiti nella prova è adeguato?

Inoltre, un’ulteriore verifica delle validità dei quiz va effettuata dopo la loro somministrazione con il calcolo degli indici docimologici, almeno dei due principali:

  • l’indice di facilità: calcola la percentuale delle risposte corrette per ogni quiz somministrato in una prova d’esame; sono adeguate le domande con un indice comprese tra il 30 e il 70% (valori ottimali del 50-60%); non è molto informativo per piccoli numeri di esaminandi
  • l’indice di discriminazione: rivela in che misura un determinato quesito discrimina i candidati meglio preparati da quelli più scadenti; si calcola dividendo i candidati in 3 gruppi di uguali dimensioni: alto, medio e basso, in base al punteggio complessivamente conseguito in una prova d’esame; per ogni quesito va calcolata la percentuale di risposte corrette nei 3 gruppi:  la differenza nella percentuale di risposte corrette tra gruppo “alto” e gruppo “basso” dà una buona stima dell’efficacia discriminante di ogni singolo quiz; i valori ottimali sono compresi tra 0,25 e 0,35.

Relazione tra tipi di obiettivi cognitivi e test di verifica dell’apprendimento

I molteplici strumenti di valutazione degli obiettivi cognitivi debbono essere coerenti con il loro livello tassonomico: memorizzazione, interpretazione di dati, soluzione di problemi e assunzione di decisioni (Tabella 3).

Tabella 3: Relazione tra  i differenti tipi di test valutativi  e i livelli tassonomici degli obiettivi cognitivi.

Memorizzazione di nozioni:·  Domande a scelta multipla (DMS 1/5)·  Domande a Check list (Quiz x/y·  Domande a risposta aperta breve (DRAB) Interpretazione di dati:·  Check list (Quiz x/y)·  Quiz di associazione·  Casi brevi con Quiz “a cascata”·  Es. orale su schema scritto·  Mappe cognitive
Soluzione di problemi:·  Casi-problema realistici con informazioni alternate a domande (Quiz di vario tipo e DRAB, tutti con punteggi prestabiliti)·  Valutazione tra pari in piccolo gruppo
(= ragionamento a voce alta)·  Triple jump (per es., su un caso clinico reale) con relazione scritta sul percorso diagnostico·  Mappe cognitive·  Tirocinio tutorato con compiti prestabiliti
Assunzione di decisioni motivate:·  Casi-problema realistici con informazioni alternate a domande (Quiz di vario tipo e DRAB, tutti con punteggi prestabiliti)·  Valutazione tra pari in piccolo gruppo
(= ragionamento a voce alta)·  Triple jump (per es., su un caso clinico reale) con relazione scritta sulle motivazioni delle decisioni·  Disegno di flow chart decisionali·  Tirocinio tutorato con compiti prestabiliti

Valutazione delle abilità pratiche

Finora abbiamo considerato la valutazione degli obiettivi cognitivi; per ogni pezzo che un artigiano deve costruire serve l’attrezzo adatto e per ogni costruzione serve una cassetta ben fornita di attrezzi differenti; lo stesso vale per le procedure valutative.

Le prove di verifica delle abilità (sia gestuali che relazionali) debbono riguardare atti professionali che posseggono standard qualitativi di riferimento, perché altrimenti non è possibile valutare in modo affidabile la performance dell’operatore; inoltre debbono  essere eseguibili in tempi ragionevoli, debbono essere attuabili con i mezzi disponibili e debbono riguardare attività frazionabili in tappe, ciascuna con connotati osservabili e misurabili. Le singole tappe di esercizio di una abilità relativa a un’attività gestuale o relazionale costituiscono la “griglia” di osservazione e di valutazione (semi-)quantitativa della performance dell’operatore, per la quale deve essere definito a priori il livello minimo accettabile (LAP).

Elemento rilevante per la valutazione (come per l’apprendimento) delle abilità sia gestuali che relazionali è la cura del setting, che deve essere ovviamente coerente con il tipo di abilità considerata.

La valutazione sul campo delle abilità gestuali deve riguardare le abilità essenziali e irrinunciabili al livello professionale iniziale (quelle comprese nel “core curriculum”), cioè le azioni che il futuro professionista deve essere in grado di effettuare in modo autonomo e automatico al momento della laurea; ovviamente deve considerare le abilità certamente insegnate e apprese come obiettivi definiti durante tutto il corso degli studi.

L’esercizio delle abilità gestuali prevede anche le conoscenze teoriche ad esse pertinenti, che peraltro non costituiscono parte esplicita della prova di verifica.

La valutazione sul campo delle abilità relazionali deve riguardare, a seconda del livello tassonomico:

  • gli aspetti comportamentali, attinenti alla buona educazione, cioè il rispetto, l’aderenza al ruolo, il controllo delle azioni, l’attenzione all’ambiente, etc,;
  • gli aspetti comunicativi quali la chiarezza, l’ adeguatezza del messaggio, l’attenzione alla sua comprensione, etc.;
  • gli aspetti tecnici, quali la scelta adeguata al momento in cui porre all’interlocutore domande aperte o chiuse, il contatto visivo, il linguaggio non verbale, etc.

Le tecniche di  valutazione delle abilità relazionali, riguardanti per lo più lo stile comunicativo, comprendono il “role playing” o gioco dei ruoli e la discussione in piccolo gruppo di videoregistrazioni di momenti relazionali. Anche per la valutazione di queste abilità è indispensabile stabilire a priori criteri standardizzati di osservazione e predisporre griglie adeguate di valutazione.

E’ molto difficile sondare il livello empatico della relazione; per la valutazione – comunque approssimativa – di questo livello può essere più affidabile l’osservazione prolungata sul campo dei comportamenti del soggetto da valutare  e l’utilizzazione di strumenti, quali il “diario di bordo”, nel quale lo studente è invitato ad annotare le proprie reazioni emotive alle situazioni cui viene esposto in sede di tirocinio.

La valutazione delle abilità relazionali non è direttamente finalizzata alla verifica dei contenuti della comunicazione, che attengono al campo teorico cognitivo.

Pianificazione delle prove d’esame

La pianificazione  delle prove d’esame richiede la definizione preliminare degli obiettivi essenziali di apprendimento  (“core curriculum”), del “campo” al quale appartengono i differenti obiettivi formativi (cognitivi, pratici, relazionali, metacognitivi o metodologici), e del loro livello tassonomico. Successivamente è necessario individuare quali tra le molteplici metodologie valutative siano realisticamente applicabili nel proprio contesto operativo, considerando peraltro anche le possibilità concrete di attivare modalità di verifica ancora non disponibili nel setting specifico; quindi bisogna focalizzare quali delle metodologie valutative effettivamente disponibili siano le più idonee per verificare il grado di apprendimento dei singoli obiettivi scelti; solo a questo punto è possibile preparare la prova d’esame con la scelta delle metodologie valutative coerenti con i gli obiettivi prescelti.

Nella costruzione di una prova d’esame che comprenda obiettivi formativi di natura cognitiva con differenti livelli tassonomici può risultare utile in prima istanza  accorpare gli obiettivi di memorizzazione (non troppo numerosi) in un test con DSM o DRAB; successivamente vanno individuati gli obiettivi di interpretazione di dati o di soluzione di problemi, che possono essere verificati con DSM in “test a cascata”; infine si deve valutare l’utilità di una prova orale (per lo più successiva a quella scritta), finalizzata alla verifica della capacità di ragionamento e di argomentazione; ciò può effettuarsi anche con la discussione con il candidato delle sue risposte alle DMS o alle DRAB.

Va sottolineato, come si è già detto, che  la memorizzazione di molte nozioni può essere valutata anche soltanto dalla loro applicazione in situazioni concrete: infatti non possono essere applicate conoscenze non possedute, mentre verificandone l’applicazione si valutano  contemporaneamente conoscenze e competenze.

Integrazione delle prove d’esame

Un obiettivo troppo spesso trascurato è quello dell’integrazione effettiva delle prove d’esame, per esempio negli esami di corso integrato o di semestre; per conseguire questo obiettivo sarebbe utile che i docenti del corso integrato (o del semestre) in modo collegiale concordassero prima dello svolgimento del corso gli obiettivi didattici pertinenti dei singoli insegnamenti, individuando le possibili integrazioni reciproche di tali obiettivi; a questa fase dovrà seguire quella della preparazione – se possibile sempre collegiale – dei test; infine, dopo la loro somministrazione e la relativa correzione sarà possibile modificare (o eliminare) quelli che alla prova dei fatti (per es., per i cattivi risultati degli indici docimologici) si saranno dimostrati qualitativamente scadenti.

L’integrazione della valutazione in un esame finale del CdL può giovarsi della sua pianificazione bottom-up; tale pianificazione prevede il percorso da parte del corpo docente delle seguenti tappe:

  1. l’individuazione nell’intero curriculum delle conoscenze essenziali alla competenza professionale; tali conoscenze possono essere desunte dal “core curriculum”  e dalla considerazione critica dei “progress test” svolti durante l’intero corso di studi;
  2. la definizione preliminare delle competenze irrinunciabili allo stadio iniziale dell’esercizio professionale;
  3. la ricerca delle correlazioni/integrazioni possibili tra le competenze multi-disciplinari, fine che può raggiungersi con la preparazione di problemi interdisciplinari;
  4. il consenso sulle modalità di valutazione delle conoscenze e delle competenze integrate.

Una procedura di questo genere potrà avere come conseguenza sperabile anche la promozione di modalità d’insegnamento che facilitino l’apprendimento integrato, realizzando l’ aforisma: “assessment drives learning and teaching”.

Concretamente un esame conclusivo per la verifica delle competenze cliniche (mediche e chirurgiche) – forse anche utilizzabile come esame di abilitazione all’esercizio della professione – potrebbe essere costituito in successione dalle seguenti prove:

  • la soluzione “carta e penna” di alcuni casi clinici “a cascata”, con i quali viene valutata la capacità di risolvere problemi e di assumere decisioni pertinenti in ambito “generalistico” (cioè non strettamente specialistico), medico e chirurgico; questa prova viene valutata con un voto oggettivo, che poi verrà “integrato” con i risultati delle prove successive;
  • la discussione orale individuale con lo studente delle soluzioni date ai quesiti posti nei casi clinici; questa prova perfeziona il precedente voto oggettivo, valutando oltre alle conoscenze e alle competenze più strettamente professionali, anche le abilità metodologiche (capacità di applicazione ragionata del “metodo clinico”);
  • una prova pratica “bed side” (o con paziente “simulato”) per la valutazione delle abilità relazionali e gestuali; anche il risultato di questa prova ottiene un voto parziale;
  • infine, la definizione sintetica del voto finale, derivante dall’integrazione (che non è obbligatoriamente la media aritmetica, ma piuttosto la media “ponderata) dei voti parziali.

Conclusioni

Nella realtà concreta dei nostri CdL spesso si manifestano alcuni “pregiudizi” sugli esami che vengono espressi con le seguenti affermazioni:

  • con l’esame orale mi accorgo subito cosa sa lo studente: è preparato se risolve i problemi come ho fatto io a lezione;
  • con i quiz non si possono valutare i ragionamenti;
  • ci vuole troppo tempo per preparare e poi correggere i quiz;
  • agli esami scritti gli studenti copiano;
  • nel nostro Corso integrato noi facciamo già gli esami integrati: ogni docente fornisce da 5 a 10 quiz; così nessuno può accusarci di tresche o ingiustizie;
  • l’esame è mio e lo gestisco io; e ognuno deve gestire il suo.

Si tratta per l’appunto di “pregiudizi”, che di fatto nascondono la mancata volontà o la paura di cambiare le proprie abitudini didattiche.

Certamente è vero che purtroppo non esiste il test di valutazione “perfetto”, ma ogni strumento valutativo deve essere utilizzato coerentemente con i suoi fini; per ottenere risultati affidabili e quindi soddisfacenti le valutazioni dell’apprendimento dovrebbero avvalersi di punti di osservazione diversi e complementari che riguardino sia i risultati che il processo dell’ apprendimento stesso. Per questo è opportuna in ogni valutazione l’associazione di test formalmente diversi.

Tutto ciò che è stato scritto fino a questo punto può sembrare una discettazione teorica, troppo difficile da realizzare nella pratica; non vì è dubbio che sia difficile, ma non impossibile, anche se richiede un impegno faticoso, ma i risultati ottenibili dovrebbero costituire una motivazione e una gratificazione sufficienti a giustificare le difficoltà incontrate nell’impresa.

E’ comunque incontestabile che una modalità corretta di valutazione è di per sé un potente strumento formativo.

Riassuntivamente può forse risultare utile qualche consiglio “pratico”.

Per ottenere i risultati sperati, gli esami dovrebbero: avere dimensioni non troppo piccole, né troppo grandi; non essere troppo numerosi e/o frequenti; facilitare l’integrazione e la sintesi delle conoscenze; consentire un tempo sufficiente per l’acquisizione duratura delle competenze.

Per garantire la preparazione di “buoni” test cognitivi d’esame le domande (DSM e DRAB), come abbiamo già detto, debbono essere preparate e valutate collegiamente, e vanno testate in prove “formative” prima della loro somministrazione con fini certificativi”; ai risultati delle prove “formative” vanno applicati i test docimologici, che consentono di correggere le domande non soddisfacenti.

Sarebbe molto utile che le domande soddisfacenti venissero archiviate in una “banca dati” accessibile dai docenti di tutti in CdLM italiani. Alla costruzione di questa “banca dati” possono validamente contribuire anche quiz importati da “data base” già disponibili in molti Paesi stranieri, tradotti ed eventualmente adattati alle modalità formative consuete nei CdLM italiani. E possono altresì contribuire alla stessa “banca dati” pure le domande migliori, utilizzate nel tempo per i “progress test”.

Ovviamente i quiz scelti debbono essere classificati in relazione a “indicatori” quali l’ argomento, l’obiettivo formativo, il livello tassonomico e il risultato dei test docimologici. E bisogna anche disporre di una procedura per la estrazione automatica dalla “banca dati” delle domande necessarie secondo i loro “indicatori”.

La “banca dati” va gradualmente incrementata e modificata nel tempo. Si tratta di un impegno inizialmente piuttosto gravoso, ma che – se realizzato sia pure con pazienza in tempi non brevissimi – avrebbe ricadute molte positive sulla didattica dei nostri CdLM.

 Anche gli studenti vanno preparati alle prove d’esame: in primo luogo debbono essere definite chiaramente e rese pubbliche le regole del gioco; cioè all’inizio di ogni corso integrato debbono essere comunicati agli studenti il programma di apprendimento (obiettivi didattici specifici  tratti dal “core curriculum” utilizzato), il programma di insegnamento (contenuti e calendario delle lezioni) e le modalità di effettuazione dell’esame (scritto, orale, pratico, misto). Durante il corso è opportuno “allenare” gli studenti con prove “formative” costruite con domande tratte dalla “banca dati” (ma gli studenti non debbono conoscere l’intera banca dati per evitare una loro preparazione esclusivamente mnemonica, come purtroppo è già accaduto con i quiz dell’esame di stato); per rendere efficaci queste iniziative di preparazione degli studenti all’esame certificativo, ad essi deve essere dato il feed back sul risultato complessivo (cioè non individuale) delle prove formative.

Anche le prove d’esame debbono essere organizzate accuratamente; ciò vuol dire:  scegliere l’ambiente più idoneo per le prove scritte, tale da consentire una buona distribuzione degli studenti nell’aula in base al loro numero; comunicare loro con anticipo adeguato data, orario, durata e sede della prova; predisporre accuratamente il materiale necessario (testi cartacei con le domande randomizzate, se possibile, anche nelle risposte); predisporre e attuare efficaci modalità di sorveglianza; predisporre modalità adeguate per la correzione delle prove (schede e lettore ottico se i candidati sono numerosi).

Analogamente vanno preparate anche le prove orali d’esame, innanzi tutto decidendo preliminarmente con chiarezza le finalità dell’esame orale: prova unica (per valutare sia le conoscenze che le capacità razionali di applicazione), oppure di completamento della prova scritta (per valutare soprattutto le capacità di ragionamento); inoltre è necessario definire e concordare preliminarmente le caratteristiche di collegialità della prova (esame “integrato”), e debbono essere comunicati con anticipo adeguato e con chiarezza agli studenti fini, modalità e collocazione temporale della prova.

Infine, anche le prove pratiche per la valutazione delle abilità gestuali e relazionali (per esempio mediante l’OSCE) richiedono una predisposizione altrettanto accurata del setting.

Forse queste precisazioni sembreranno superflue per la maggioranza dei CdLM, ma non si può negare che non sempre gli studenti possono fruire di informazioni adeguate e particolareggiate. Esse di fatto costituiscono le regole deontologiche delle prove d’esame.

Preparare, organizzare ed effettuare in modo corretto ed efficiente queste prove non è meno importante dell’insegnare e del far apprendere; si tratta di un’attività complessa e impegnativa, spesso non immediatamente gratificante, ma dobbiamo ricordarci sempre che le modalità della valutazione dell’apprendimento condizionano significativamente sia l’apprendimento stesso che l’insegnamento.

D’altra parte l’impegno rilevante che esse richiedono fa parte dei doveri etici di ogni docente.

Cita questo articolo

Vettore L, Preparazione dei test di valutazione integrata, Medicina e Chirurgia, 54:2420-2425, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-9

  1. Raccolta delle informazioni necessarie su un problema clinico presentato in modo succinto; elaborazione delle informazioni raccolte per risolvere il problema; presentazione ragionata della soluzione []
  2. Nei materiali inviati via mail dal Segretario della Conferenza dopo la fine della sua 103a riunione sono compresi alcuni esempi commentati di quiz di buona e cattiva qualità (e anche esempi di griglie per l’ osservazione e la verifica di abilità gestuali e relazionali: v. oltre). []

Dal concetto di “consenso informato” a quello di “consenso condiviso”n.54, 2012, pp. 2417-2419. Doi: 10.4425/medchir2012-54-8

[tab name=”Abstract”]

Informed consent is more than a simple authorization collected from the patient; instead, it is the beginning of a biunivocal process in which the patient is directly involved in its health’s choices. Each patient is unique and unique is the medical approach as unique is the way the patient copes with his/her disease. The informed consent therefore becomes a condivided consent in which the major role is played by the constant dialogue. At this point the patient will be able to operate an intelligent consent. Beginning from university, doctors should train in communication skills by offering them dedicated communication courses.

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[tab name=”Articolo”]

Sicuramente oggi possiamo affermare che la relazione tra medico e paziente si inserisce in un contesto culturale del tutto diverso rispetto a qualche decennio fa. Nella moderna società il cittadino conosce, infatti, gli enormi successi e progressi della medicina, che ha raggiunto un grande livello scientifico-tecnico. La medicina contemporanea, infatti, rende possibili e plausibili molteplici iniziative diagnostiche e cure terapeutiche di diversa invasività e rischiosità che esigono la ponderazione di una molteplicità di elementi valutativi che non sempre sono di esclusiva competenza medica, ma che implicano necessariamente il coinvolgimento del paziente.

Sotto questo profilo si assiste ad una maggiore partecipazione del paziente alla cura medica, ciò soprattutto grazie alle varie fonti di informazione a cui può accedere il cittadino. Si pensi all’incidenza di internet nella ricerca delle informazioni in materia sanitaria che ha permesso ai pazienti di apprendere ed approfondire la propria conoscenza sulle tematiche di salute, malattie e possibili trattamenti terapeutici.  Sulla base di una ricerca condotta a livello europeo da una società indipendente di analisi di mercato (“Datamonitor”), è emerso che i cittadini europei hanno cercato informazioni relative alla salute, oltre che attraverso i tradizioni mezzi quali ad esempio le  riviste scientifiche , attraverso fonti di informazione online, permettendo così agli stessi di aumentare la consapevolezza sulla propria condizione di salute e sulle possibili cure esistenti. Certamente il ricorso al web ha permesso ai cittadini di svolgere un ruolo sempre più attivo nel rapporto clinico, ma è opportuno altresì evidenziare come ancora oggi l’utilizzo di Internet non può dirsi soddisfacente ai fini di un’adeguata informazione, posto che molto spesso le notizie presenti online sono ancora inaffidabili ed incomplete. Seppure inadeguato nella qualità dei contenuti offerti, il web è riuscito, pur tuttavia, ad incrementare il dialogo tra il medico e il paziente.

In questo nuovo contesto socio-culturale il medico necessariamente deve prendere coscienza del nuovo ruolo dell’assistito, assumendo un approccio che coinvolga quest’ultimo nel processo decisionale in ordine alle cure terapeutiche. Si assiste, infatti, ad un ripensamento del rapporto medico-paziente, ove ha un valore fondamentale la persona del paziente e la sua libertà di scelta in ordine alla propria salute, libertà che si esprime attraverso il consenso dato dal paziente stesso dopo essere stato adeguatamente informato.

Ed invero, fino ad oggi, i medici hanno recepito la problematica del consenso in termini riduttivi, nel senso che hanno considerato il consenso informato come un fastidioso obbligo informativo che esulerebbe dalla propria attività medica, non cogliendo, invece, la reale natura e portata dell’istituto del consenso svuotandolo del suo significato, non solo giuridico, ma anche etico.

Il consenso da parte del paziente, infatti, non deve rappresentare una mera formalità “burocratica” tramite un’affrettata apposizione di una firma su un modulo prestampato. Sul punto, va sottolineato come la prassi di far sottoscrivere al paziente un generico formulario precompilato abbia svuotato di ogni significato il concetto di “consenso informato”, vissuto come una imposizione esterna dalla quale difendersi, posto che il semplice modulo viene utilizzato dai professionisti per precostituirsi una prova scritta da esibire in una eventuale causa intentata avanti l’autorità giudiziaria da parte di pazienti, oggi sempre più insoddisfatti del rapporto che si è venuto ad instaurare con la classe medica. L’atteggiamento assunto dai medici, infatti, ha condotto alla c.d. “medicina difensiva”, orientata ad una prassi poco incline al rispetto della dignità della persona.

Al fine di uscire da questa empasse è necessario ricostituire un sereno rapporto fiduciario tra medico e paziente e, per raggiungere questo obiettivo, sicuramente appare necessario un mutamento di atteggiamento da parte dei medici, che non devono più sentire il consenso come un obbligo estraneo, bensì come un processo di partecipazione.

Non momento in cui il consenso informato viene assunto come partecipazione attiva del paziente a scelte importanti, tra alternative terapeutiche possibili, che ricadono sulla sua aspettativa e qualità di vita, l’informazione da parte del medico non deve più essere avvrtita come uno strumento volto ad ottenere un semplice “assenso” del paziente, ma deve assurgere a “presupposto” di una relazione effettiva, nella quale il medico coinvolga il paziente. Si osservi, infatti, come l’informazione in sé e per sé non comporta necessariamente la partecipazione attiva del paziente, in quanto il messaggio verbale unidirezionale tra medico e paziente può essere non compreso da quest’ultimo. E’ importante, invece, che il medico renda possibile una reale partecipazione del paziente e ciò può avvenire attraverso non una semplice “informazione”, ma una “comunicazione” che permetta uno scambio bidirezionale tra medico e paziente. In tal modo l’informazione si inserisce in un dimensione comunicativa, nell’ambito della quale viene preso in considerazione il vissuto della singola persona e soprattutto la sua esperienza soggettiva, posto che il medico si relaziona ogni volta con il singolo individuo con la sua unicità e complessità. Nella relazione terapeutica, infatti, il paziente vive un’esperienza che influisce nel suo modo di percepire la malattia e che nella maggior parte dei casi sconvolge la propria vita.

Deve essere pertanto superata l’idea che l’informazione contenga in sé la comunicazione. L’informazione innesca un complesso processo che coinvolge la relazione almeno tra due soggetti, ossia medico e paziente, e che non può essere compiutamente realizzata se non è sostenuta dall’ascolto e soprattutto dalla comunicazione bidirezionale con il paziente. La comunicazione, dunque, esprime un processo di costruzione collettiva e condivisa della cura terapeutica, o meglio un processo di consapevolezza orientato a costruire e a dare un significato all’informazione e comporta, inoltre, un diverso livello partecipativo orientato verso la realizzazione di una umanizzazione del rapporto tra medico e paziente.

Di qui sarebbe più corretto parlare non tanto di “consenso informato”, quanto piuttosto di “consenso comunicato” perché solo in tale modo si potrà ottenere una partecipazione attiva del paziente alla decisione medica, partecipazione che deve essere costruita lungo tutto l’arco di tempo della cura e dunque della relazione medico-paziente. Non va invero sottaciuto il fatto come spesso il corso della malattia possa cambiare la percezione che il paziente ha del proprio vissuto e così come la malattia stessa possa evolversi nel tempo. La relazione terapeutica deve essere, pertanto, continua: il dialogo tra medico e paziente deve essere non solo effettivo ma anche continuo.

Il consenso è, infatti, un processo che esso stesso si modifica nel tempo: il paziente, sulla base di ulteriori informazioni o del proprio vissuto della malattia, può cambiare idea.

Le informazioni cliniche devono, pertanto, diventare un momento della comunicazione e per far ciò le informazioni di per sé non sono sufficienti, perché una cosa è riferire nozioni al paziente, magari procurandogli incertezze e paure, altra cosa è giungere ad un rapporto comunicativo, ove assumono un ruolo fondamentale l’ascolto e il dialogo con il paziente.

Sicuramente per ottenere un consenso consapevole e partecipato, è necessario che esso sia preceduto da un attento ascolto da parte del medico e da un effettivo dialogo con il paziente. Il consenso deve essere, dunque, non solo informato ma anche condiviso.

Oggi il paziente ha bisogno di condivisione più che si semplice informazione, nel senso che egli sente sempre più l’esigenza che la decisione sulla cura sia adottata insieme al medico, attraverso un rapporto dialogico.

Consenso informato-condiviso significa, dunque, che il paziente esprime la propria volontà di sottoporsi o meno ad una determinata terapia soltanto a seguito di un dialogo con il medico che lo abbia informato sulla diagnosi, sulle conseguenze, sui rischi e sulle scelte terapeutiche alternative.

Nel momento in cui si giunge ad una determinazione del trattamento terapeutico attraverso la condivisione, si può senz’altro affermare che il paziente manifesta in modo consapevole il proprio assenso o dissenso al trattamento stesso.

In tal modo si assiste ad una condivisione delle conseguenze e dei rischi della scelta clinica, per la quale è necessario che il medico coinvolga il paziente per renderlo partecipe nelle scelte e si assicuri che quest’ultimo comprenda ciò che gli viene riferito.

Tanto ciò è vero che lo stesso Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), in un parere del 1992, ha precisato che, in caso di malattie importanti e di procedimenti diagnostici e terapeutici prolungati, il rapporto medico-paziente non può essere limitato ad un unico, fugace incontro. Il medico deve possedere sufficienti doti di psicologia, tali da consentirgli di comprendere la personalità del paziente e la sua situazione ambientale, per regolare su queste basi il proprio comportamento nel fornire le informazioni, evitando esasperate precisazioni di dati (percentuali esatte, oltretutto difficilmente definibili, di complicanze, di mortalità, insuccessi funzionali) che interessano gli aspetti scientifici del trattamento. In ogni caso, il paziente dovrà essere posto in condizione di esercitare a pieno i suoi diritti dando vita ad un compiuto e reale processo volitivo rispetto ai rischi ed alle alternative che gli vengono proposte.

Tutte le considerazioni svolte in queste brevi pagine, lascerebbero tuttavia insoddisfatti laddove non si procedesse a una constatazione davvero elementare. La declamazione a gran voce della “condivisione” del trattamento sanitario rimane un esercizio meramente retorico se non si provvede a fornire al medico una preparazione specifica in tema di comunicazione con il paziente.

Per essere chiari, nelle facoltà italiane di medicina non è presente alcun insegnamento volto alla preparazione del futuro medico circa le modalità di approccio e di relazione con il paziente. Ai giovani studenti e laureandi non viene insegnato come gestire il rapporto con il malato e ciò rappresenta una lacuna oggi non più accettabile.  E’ importante, infatti, insistere sulla necessità di introdurre un insegnamento sistematico del metodo di comunicazione, facendo sì che il medico abbia appreso già nel corso degli studi universitari come parlare al paziente e come ascoltarlo. Nel rapporto con il paziente, del resto, assumono un ruolo importantissimo non solo gli aspetti oggettivi e strettamente clinici, ma anche quelli soggettivi ed emotivi dell’assistito. Il medico deve saper tenere nella giusta considerazione anche il vissuto del singolo paziente che a lui si rivolge.

E’ fondamentale, in sintesi, che il mondo clinico percepisca la necessità impellente di una condivisione del trattamento sanitario con il paziente., attraverso la creazione di un sistema più evoluto che implica la conoscenza e la partecipazione dei medici. Questo risultato, giova ribadirlo, può esser raggiunto in gran parte attraverso l’introduzione di metodi formativi adeguati nei corsi universitari e di specializzazione, in modo tale che un corretto approccio comunicativo con il paziente divenga parte integrante e non secondaria del bagaglio culturale e professionale dei medici di oggi.

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[tab name=”Cita questo articolo”]

Callipari N., Dal concetto di consenso informato a quello di consenso condiviso, Medicina e Chirurgia, 54: 2417-2419, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-8

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Malato per un giornon.54, 2012, pp.2396-2398, DOI: 10.4425/medchir2012-54-5

Abstract

Relational and organizational competences are not widely diffuse in medical curriculum. Our goal standard is teaching and maintaining the cleverness to understand the experience of disease. In the project “Patient for a day”, 50 students (3rd year) followed the routinely steps for admission in a First Aid Unit, like a real patients, in order to understand the emotional impact. They observed: nurse reception, working environment, examination, transfer and permanence in a ward. All data were discussed with clinical psychologist. Efficiency seems to be prevalent on efficacy. Scarce attention was paid on privacy and human relations. Loneliness is diffuse among elderly.

Articolo

Introduzione

Le competenze professionali del medico includono la competenza relazionale e la competenza organizzativa, che non sempre trovano adeguato spazio nel curriculum formativo. Per una complessa serie di ragioni antropologiche, psicologiche, storiche e tecniche (su cui non ci soffermeremo) il rapporto tra medico è paziente ha una forma molto tipica e praticamente universale, benché sia nel contempo oggetto di valutazioni contrastanti e ambivalenti. Basti ricor­dare che lo storico della medicina Sigerist definì la relazione tra medico e paziente come una “relazione pura da persona a persona” proprio negli stessi anni in cui l’economista Schumpeter la valutava come “l’ultimo esempio sopravvissuto di sfruttamento diretto e puro dell’uomo sull’uomo”. L’unica affermazione certa è che si tratta di una relazione diversa da tutte le altre relazioni tra tecnico specialista ed utente profano. Basterebbe riprendere la letteratura contemporanea sul consenso informato e sull’autonomia del paziente per rendersene facilmente conto. Esiste dunque tra i due protagonisti un’asimmetria, che spesso viene letta in chiave di potere. Lettura fuorviante a meno che non si analizzi più in dettaglio il senso e la posta in gioco della asimmetria.

Rimanendo dal punto di vista del medico, dobbiamo riconoscere che in generale esiste una difficoltà del medico ad assumere il punto di vista del paziente, spesso per specifiche ragioni difensive di cui si deve riconoscere in alcuni casi la legittimità ed anche la necessità. Solo essendo sufficientemente lontano dal paziente, infatti, il medico può assumere un punto di vista “oggetti­vo”. Tuttavia, la distanza può diventare lontananza e rischiare così di impedire una comunicazione efficace ed efficiente proprio ai fini terapeutici. Cercare di collocarsi alla giusta distanza o, meglio, riuscire ad assumere diversi punti di vista richiede lo sviluppo di una competenza complessa che deve iniziare in fase formativa.

Dal punto di vista delle identificazioni, il percorso formativo dello studente in medicina può essere descritto come uno spostamento dall’iniziale identificazione con l’oggetto di cura alla finale identificazione con il curante. Tale percorso è necessario e pone le basi per lo sviluppo della professionalità ma, al contempo, sembra implicare l’oblio della primitiva identificazione. In altri termini, diventare medico sembrerebbe implicare l’acquisizione di uno sguardo ed un linguaggio specifici, con la contemporanea perdita della comprensione dello sguardo e del linguaggio della persona malata a cui può conseguire, nella relazione, una distanza che rischia l’incomunicabilità. Montaigne nei suoi Saggi scrive: “ (…) Platone aveva ragione di dire che per essere un vero medico sarebbe necessario che colui che volesse esserlo fosse passato per tutte le malattie che vuole guarire e per tutti gli accidenti e le circostanze di cui deve giudicare. È giusto che prendano la sifilide se vogliono saperla curare. Io mi fiderei veramente di costui. In realtà gli altri ci guidano come colui che dipinge i mari, gli scogli e porti stando seduto sulla sua tavola e facendovi andare su e giù il modello di una nave, in tutta sicurezza. Mettetelo alla prova dei fatti, non sa da dove cominciare” (Libro III, capitolo XIII).

Non perdere la capacità di cogliere il senso dell’esperienza di malattia (senza doversi per forza ammalare) è un obiettivo formativo specifico del nostro corso di laurea. In questo senso, stiamo sviluppando un percorso che permetta allo studente di instaurare e poi mantenere il contatto con la soggettività della malattia. Al precoce contatto con gli infermieri e le persone malate (I anno), segue la discussione e poi la stesura scritta e meditata sugli spunti offerti dal cineforum (II anno). E’ stato dunque quasi naturale proseguire l’iter formativo con un progetto focalizzato sulla capacità di ascoltare altri linguaggi, fondamento della competenza relazionale ed anche della competenza organizzativa. Raramente tale competenza viene presa in considerazione nel curriculum, nonostante il medico (ospedaliero o territoriale) si trovi a confrontarsi con la complessità organizzativa del sistema sanitario. Frequentare i reparti fin dalle prime settimane del corso, ritornarci poi come malato per un giorno contribuisce a mantenere attiva l’attenzione nei confronti dei modi di funzionare e della cultura degli attori sociali della sanità, condividendo al contempo i disagi, le sofferenze e le paure delle persone malate.

Materiali e Metodi

Nel progetto “Malato per un giorno” sono stati coinvolti 50 studenti del III anno del CLM in Medicina e Chirurgia, con modalità di arruo­lamento volontaria e certificazione come Atti­vità Professionalizzante a scelta dello studente. Non esistendo analoghe esperienze in altri Corsi, la strutturazione dell’attività, gli obiettivi for­mativi e la valutazione dei risultati sono stati proposti dal Presidente del corso di laurea e condivisi con un piccolo gruppo di docenti e tutors della Psicologi Clinica. L’organizzazione è stata coordinata dal Presidente del corso di laurea insieme a: Direttore Generale, Direttore Sanitario e Dirigente infermieristico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi – Firenze. L’attività formativa proposta prevede che lo stu­dente segua l’iter di accettazione in una struttura sanitaria complessa, come persona malata, al fine di coglierne l’impatto emotivo e di osservare tutto ciò che avviene. Egli condivide l’iter ed i tempi di accettazione in Pronto Soccorso e la seguente giornata nel reparto in cui viene assegnato, come tutte gli altri utenti. Descrive su un diario le sen­sazioni, i pensieri e le emozioni conseguenti alla permanenza in Pronto soccorso e poi in reparto. Gli elaborati sono successivamente oggetto di briefing condotti da docenti di Psicologia Clinica

Strutturazione della giornata

– Lo studente prepara a casa una piccola borsa contenente: pigiama, set per l’ igiene personale ed un quaderno.

– Si presenta alle ore 9 nei giorni di Venerdì o Giovedì (secondo il calendario stabilito) al desk del triage del Pronto soccorso, già munito di codice identificativo (codice rosa), fornitogli in precedenza.

– Dichiara dolore toracico e viene registrato su cartaceo, al fine di non gravare sui fondi assegnati dalla Regione e di non inficiare le casistiche relative alle varie patologie.

– Rimane al triage fino all’accettazione nella prima stanza libera.

– Viene visitato dai medici in servizio.

– Il personale amministrativo assegna il malato ad uno dei due reparti di accoglienza, identificati dalla Direzione sani­taria ed afferenti al DAI emergenza ed accettazione. Viene riservato un posto libero nei giorni identificati.

– Il front office comunica alla SOD l’arrivo del malato

– Il malato viene trasportato presso il reparto individuato. Indossa il pigiama e dispone i propri oggetti personali nel proprio armadietto.

– Gli infermieri sono informati, ma hanno avuto specifica informazione/formazione sul trattamento del paziente come tutte le altre persone malate.

– Il medico di turno visita il malato e ne raccoglie l’anamnesi

– Il malato usufruisce esclusivamente dei pasti previsti per i degenti.

– Il malato annota sul diario tutti gli eventi della giornata, nonché il proprio progressivo vissuto sui campi di osserva­zione elencati di seguito (con l’ovvia possibilità di ulteriori annotazioni):

  • accoglienza infermieristica
  • ambiente di lavoro
  • visita medica
  • trasferimento
  • degenza in reparto.

– Il malato viene dimesso la mattina seguente.

Risultati

Hanno completato la giornata 42/50 studenti. In 4 casi non era disponibile il posto letto; 4 studenti si sono ritirati volontariamente dopo alcune ore.

Sono stati compilati 19 report scritti e 23 orali, con successiva stesura scritta, includenti i campi di osservazione indicati e la relativa valutazione (Tab.1).

L’analisi dettagliata dei reports, associata al lavoro di de-briefing, ha consentito di approfon­dire l’analisi successiva all’osservazione, mirata prevalentemente alla condivisione dell’esperien­za con le persone malate. L’elemento peculiare è costituito proprio dal protagonista dell’esperien­za, che non appartiene a nessuna delle catego­rie che sono presenti nei luoghi di cura: medi­ci, infermieri, altre figure professionali, persone malate, loro familiari o amici, studenti.

I protagonisti sono infatti studenti che però vivono l’esperienza come persone malate. Di conseguenza il loro punto di vista e le loro per­cezioni sono assolutamente peculiari, anche se l’oggetto di osservazione è comune alle altre cate­gorie già elencate (professionali e non).

Tabella 1

Tab. 1 – Valutazione sui campi di osservazione espressa dai 42 studenti che hanno completato la giornata di osservazione.

Tutti gli ambienti del Pronto soccorso sono costantemente affollati con conseguente attesa quasi sempre molto lunga. La maggior parte dei pazienti sono anziani, talora soli. Quasi tutti riferiscono un senso di abbandono, che incrementa l’ansia. Molti studenti hanno chiacchierato con loro, constatando che tale semplice evento li rilassava e migliorava notevolmente il loro stato di malessere. Il bisogno ed il piacere della comunicazione arriva fino al punto che alcuni anziani dichiaravano di essersi lì recati solo per poter parlare con qualcuno. Al contrario, i pazienti giovani erano spesso chiusi in un silenzio privato, risultando l’esperienza della malattia come un evento mai considerato, ed escluso dunque dalla quotidianità. In alcuni casi il disagio delle persone malate era aggravato da problemi di comunicazione e di inadeguata considerazione delle eventuali difficoltà linguistiche e differenze religiose. Scarsa o assente attenzione a tali aspetti determinano, ad esempio, grave imbarazzo e profondo disagio a donne di religione islamica che si sono viste denudare, senza che le tende fossero correttamente chiuse. Ritornando alle osservazioni sul personale sanitario, un aspetto osservato dalla quasi totalità degli studenti verte nella constatazione della necessità imperativa di efficienza. Questo indispensabile elemento organizzativo può tuttavia determinare, indirettamente, una minor efficacia terapeutica, essendo necessario smistare quanto prima il malato ad un reparto di degenza. Così, quasi tutti gli studenti hanno osservato che i medici trascorrono la maggior parte del tempo di fronte al computer e non accanto alla persona malata; raccolgono l’anamnesi mentre scrivono, senza guardare il malato; verificano i risultati degli esami senza fornirne spiegazione. Spesso anche la procedura diagnostica e terapeutica che sarà intrapresa non viene illustrata in maniera chiara ed esaustiva. Tali annotazioni critiche devono tuttavia tener presente l’ambiente lavorativo nel suo complesso. Secondo un’indagine dell’Emergency Medicine and Care Academy nei reparti di emergenza si lavora costantemente in situazioni di stress che addirittura determinano patologie tra gli stessi operatori. Benchè tale parametro non sia precisato in tale report, si può tuttavia ipotizzare che tale condizione sia un elemento determinante nelle modalità operative dei medici e degli altri sanitari, a cui peraltro corrisponde una valutazione più benevola secondo il decrescere del livello di responsabilità del personale (Tab. 1). Tale interpretazione può trovare conferma dalla valutazione espressa dagli studenti riguardo alla permanenza in reparto, che è stata valutata sempre come ottima/buona. L’accoglienza è stata sempre cortese, il personale medico ed infermieristico era adeguatamente informato e disponibile, pur con alcune (poche) perplessità sull’attribuzione di un posto letto a chi non ne aveva realmente bisogno. L’aspetto alberghiero è stato sempre valutato complessivamente buono. Tutti gli studenti hanno a lungo parlato con gli altri degenti della camera, che si dimostravano molto interessati a tale esperienza. Anche in tale contesto l’esigenza maggiore delle persone malate risultava il colloquio, la condivisione delle proprie difficoltà con l’altro, visto come vicino ma anche come piccolo esperto, capace magari di rassicurare su un sintomo nuovo o su una terapia non del tutto compresa o sulla possibilità di guarigione.

Conclusioni

L’aspetto relazionale costituisce parte integrante ed imprescindibile dell’iter formativo di ogni professionista della salute. Un’adeguata capacità di comunicare, di stabilire un rapporto di empatia, di modulare il proprio comportamento in base alle caratteristiche della persona permette sicuramente una diagnosi più rapida e precisa, una terapia appropriata ed anche un risparmio economico, sia per la riduzione dei tempi di degenza sia per la riduzione delle richieste di risarcimento, incrementate del 65% in 10 anni. Mentre dunque la medicina difensiva aumenta in maniera esponenziale, l’attenzione della formazione dei futuri medici deve mirare all’etica della formazione, della docenza e dei docenti. E, come per tutto: “le cose si devono imparare da piccoli”.

Cita questo articolo

Valanzano R., Guerra, G., Malato per un giorno, Medicina e Chirurgia, 54:2396-2398, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-5

Motivazioni del ritardo nella Facoltà di Medicina. Analisi qualitativa e alcune riflessioni per un tutoraggio attivo.n.54, 2012, pp.2392-2395, DOI: 10.4425/medchir2012-54-4

Abstract

In this study a sample of students of Medical School of Sapienza University of Rome that do not take examinations from at least one year (dropout risk) is interviewed to determine the causes of delayThe wide range of found motivations is described and classified. Subsequently some possible recovery strategies are proposed and in-depth discussed.

Articolo

Nell’ambito della commissione Medical Education del CCLC della  “Sapienza” Università di Roma, è stato promosso un gruppo di lavoro sui motivi del ritardo e/o  dell’ ”abbandono” degli studenti della Facoltà e sulle relative possibilità di intervento. Il Gruppo Recupero ha coinvolto i responsabili dello sportello di counseling per studenti “ Fatti vivo”, dell’Università.

Studenti e ritardo nell’ Università

Il corso in Medicina, per la forte selezione all’ingresso, è considerato un corso con maggiore fidelizzazione (bassa frequenza di abbandono dopo il primo anno dall’iscrizione). Diversi studenti tuttavia vanno incontro ad un progressivo rallentamento del loro percorso, premessa talvolta di un abbandono vero e proprio. Questo fenomeno e le possibili azioni da intraprendere nell’ambito del recupero, sono temi che oggigiorno suscitano notevole attenzione.

La Carta dei diritti e dei doveri degli studenti attiva dal 2008-09 include, tra fondamentali, (art.2) il diritto “ a completare il proprio percorso formativo nei tempi previsti “. Riporta, tra gli interventi previsti in quest’ambito dalle facoltà, l’affermazione  (art. 3): “le Facoltà forniscono una assistenza individualizzata, mediante l’assegnazione di docenti come tutor”. E più oltre (art. 10) chiarisce come: “finalità della didattica è quella di far sì che il numero maggiore di studenti consegua nel periodo di durata legale del corso il titolo finale, (…). L’Università attiva iniziative volte a ridurre i fenomeni della dispersione e dell’abbandono”

Si sottolinea quindi come il compito dell’Università non sia solo quello del fornire formazione e competenze qualitativamente adeguate, ma anche che ciò si compia nei tempi previsti.

Nella recente relazione del Nucleo di Valutazione del 2009-2010 della Sapienza un miglioramento del rapporto tra studenti “regolari” e “non regolari” appare di nuovo un obiettivo prioritario anche considerando che la percentuale degli studenti non regolari nell’a.a.2008-2009 risulta del 35%  nelle  Università italiane, ma del 39% alla Sapienza (dati MIUR).  Il documento  richiama quindi “ a un miglioramento della attività di tutoraggio passando (…) da un tutoraggio essenzialmente passivo ad un tutoraggio attivo, in grado di monitorare e contattare gli studenti, almeno quelli il cui percorso appare in affanno, per indagare sulle motivazioni e offrire aiuto.”  Nella stessa relazione, per quanto riguarda la Facoltà di Medicina e Chirurgia 1 è riportato che la percentuale di studenti inattivi (nessun credito acquisito nell’ultimo anno) nell’anno accademico 2008-2009 è risultato del 14,25%.

Infine nel documento del 2011, “Assicurazione della Qualità dei Corsi di Studio universitari: il modello CRUI”  è riportato come “il servizio orientamento e tutorato in itinere, dovrebbe:  favorire un efficace avanzamento nella carriera degli studenti (…)”.

Naturalmente le possibilità di un’efficace attività di recupero sono associate ad un’adeguata e tempestiva conoscenza dei risultati relativi alla carriera accademica degli studenti. E’ primario attivare sistemi informatici in grado di elaborare informazioni attendibili: “ relativi alla progressione nella carriera degli studenti, con  riferimento, in particolare, ai passaggi da un anno di corso al successivo e alle relative dispersioni”

A questo proposito è stato recentemente attivato  presso la Sapienza un sistema informatico di registrazione e monitoraggio degli studenti di tutte le facoltà (Infostud), in grado, pur con alcuni limiti, di monitorare i risultati relativi alla progressione nella carriera degli studenti iscritti.

Sulla base di tali informazioni l’Ateneo ha  inviato una lettera a tutti gli studenti fuori corso, informando riguardo ad un possibile futuro aumento delle tasse per coloro che non completano gli studi nei tempi previsti e offrendo iniziative di tutoraggio da parte di studenti degli anni superiori arruolati attraverso il finanziamento di borse di collaborazione. Questo approccio tuttavia sembra aver riscosso scarso successo pur in assenza di dati ufficiali a riguardo.

Primo intervento conoscitivo

Sulla base di queste premesse abbiamo effettuato alcune riunioni nelle quali si è scelto di focalizzare l’attenzione sulle principali cause del ritardo definendole attraverso una indagine pilota di tipo qualitativo.  In particolare  si è  scelto di contattare studenti iscritti a Medicina che nel loro curriculum risultavano non aver svolto esami da almeno 12 mesi. Abbiamo considerato questi studenti la “punta di un iceberg” rappresentativa di coloro che sperimentano un  progressivo rallentamento degli studi per varie difficoltà.

Abbiamo quindi  richiesto al sistema  Infostud i nominativi e i recapiti di detti studenti. La valutazione era basata sugli esami verbalizzati, acquisiti dal sistema informatico.  Gli studenti del primo anno sono stati esclusi dalla valutazione in quanto al momento della richiesta (Marzo) non avevano comunque il tempo di valutazione minimo. Dalla lista ottenuta sono stati inoltre estratti i soli studenti appartenenti all’ordinamento 270, rappresentativi di una leva più recente di iscrizione.

Per stabilire il primo contatto con lo studente, si è scelto di inviare una e-mail presentandosi come un gruppo di docenti della Facoltà, spiegando brevemente il motivo della richiesta di colloquio  e preannunciando un successivo contatto telefonico (Appendice 1).  La e-mail veniva inviata da un sito ufficiale creato allo scopo. Questo primo contatto consentiva  allo studente anche di rifiutare il colloquio, rispondendo direttamente  per posta elettronica.

Nel corso del contatto telefonico è stato utilizzato un questionario semistrutturato per confermare alcune informazioni generali  (età, sesso, anno di corso, condizione di fuorisede, ecc..) in parte già note, lasciando tuttavia prevalentemente spazio a quanto lo studente voleva comunicare relativamente ai motivi della sua interruzione o ritardo. La modalità del colloquio si rivolgeva soprattutto alla percezione soggettiva delle cause  “A cosa attribuisci il tuo ritardo negli esami? Problemi familiari, economici, salute, ecc….?”

Caratteristiche degli studenti  contattati

Gli studenti individuati per l’invio della mail, sono stati 50, 26 maschi e 24 femmine. 13 erano studenti stranieri e 18 studenti fuorisede. La maggioranza degli studenti (26) risultava iscritta al II anno, 7 al III, 6 al IV, 4 al V e 7 al VI. Tutti sono stati suddivisi in gruppi e contattati da docenti diversi. Il docente non apparteneva allo stesso CL dello studente per ridurre l’eventuale disagio nella risposta. L’esito riassuntivo dei  contatti è riportato in Tabella 1.

Tabella 1
Esito dei contatti ricercati con un campione di studenti della Facoltà di Medicina della Sapienza Università di Roma che non aveva sostenuto esami da 12 mesi

Studenti che non hanno risposto al contatto mail o telefonico

30%

Studenti che hanno rifiutato il contatto telefonico pur rispondendo via mail

15%

Studenti che hanno comunque espresso un giudizio positivo sul contatto

50%

Studenti che hanno riferito problemi relativi alla loro condizione di stranieri

7%

Studenti che hanno riferito problemi relativi all’organizzazione didattica

5%

Studenti che hanno riferito problemi organizzativi di vario tipo

12%

Studenti che hanno avuto o richiesto un contatto con lo sportello counseling

3%

Circa un terzo degli studenti non è risultato rintracciabile. Dei contattati, la maggioranza ha espresso spontaneamente un parere positivo sull’essere stato avvicinato “attivamente”, anche quando riteneva di non avere necessità di aiuto, ma principalmente difficoltà legate a problemi definiti come “personali” (Appendice 1). Abbiamo rilevato come in alcuni casi, la scarsa abitudine ad essere contattati attivamente dalla “istituzione/facoltà” ha determinato un atteggiamento di iniziale diffidenza (“se mi chiamano sono in torto per qualcosa”) che è stato tuttavia superato iniziando il colloquio in modo “amichevole”. Le nostre modalità di approccio erano state discusse nelle riunioni preliminari per essere il più possibile uniformi. (Tabella 2)

Tabella 2
Alcune modalità scelte per contattare studenti che non avevano sostenuto esami da 12 mesi

“Siamo docenti della tua facoltà, stiamo cercando di capire se ci sono studenti che presentano problemi nel percorso di studi  per inadempienza della struttura universitaria”
“Infostud ci permette di conoscere con più oggettività il problema degli studenti in ritardo con il percorso di studi. Questo ha determinato il nostro interesse e desiderio di essere più attivi”
“Ci siamo chiesti, perché alcuni studenti, dopo l’ impegno per superare la selezione dell’ ingresso a Medicina e aver iniziato gli studi si trovino poi in difficoltà nel proseguire”
“Ci interessa la tua esperienza per aiutarti e aiutare altri con la stessa categoria di problemi”
“Ci chiediamo se un tutor possa svolgere un ruolo positivo nella risoluzione di alcuni problemi dello studente in ritardo negli studi”

Problematiche emerse

Le problematiche degli studenti che non hanno effettuato esami da 12 mesi sono risultate di varia origine (Appendice 2).  Alcuni studenti lavoratori, pur con difficoltà, preferiscono restare nel corso regolare piuttosto che usufruire delle facilitazioni offerte.  Alcuni studenti stranieri hanno incontrato numerose difficoltà  di ordine burocratico amministrativo. Difficoltà relative all’organizzazione didattica o  a specifici ostacoli nel superamento di un esame sono ammesse raramente dagli studenti a fronte dei vari problemi personali. A volte tuttavia possono rappresentare l’innesco di una condizione di sfiducia che, se non affrontata, determina una progressiva difficoltà nel proseguire  i ritmi di studio.

Alcune Proposte

Commissioni  per  monitoraggio e recupero

A nostro parere ogni CL dovrebbe dotarsi di una commissione specifica per il monitoraggio e recupero mediante strumenti dedicati. Esistono infatti studenti che divengono ripetenti  (mancanza d’esami superati per iscrizione all’ anno successivo) o fuori corso (superamento del numero di anni previsto per la laurea). Questi gruppi, che non rientrano tra quelli da contattati in quanto svolgono comunque alcuni esami nell’arco di 12 mesi, sono un numero consistente e rendono, in toto, disomogeneo il rapporto con la didattica. Riteniamo che, nel tempo, possano essere il gruppo a maggior rischio di abbandono. Tale commissione dovrebbe individuare precocemente queste situazioni a rischio, prevedere un contatto attivo e fornire programmi di tutoraggio, magari a piccoli gruppi omogenei, per consigliare e supportare lo studente, se motivato, a reinserirsi nel corso di studi. Il nostro campione indica che essere contattati attivamente è considerato un fattore positivo da oltre i due terzi degli studenti.

Sportelli dedicati

Soprattutto nelle grandi università, l’attività di “sportelli di facilitazione” per problemi specifici (studenti stranieri, convalida di esami in altre sedi, trasferimenti) dovrebbe essere potenziata.

Supporto alle difficoltà psicologiche e altro

Studenti con problemi di carattere psicologico o relazionali nelle modalità di affrontare lo studio, il rapporto con i docenti ecc.. dovrebbero avere facile accesso a strutture di counseling come quelle dello sportello “Fatti vivo!”  (vedi articolo su questo numero). Inoltre, un aspetto specifico di Medicina è il rapporto con il proprio futuro ruolo professionale, considerando le diverse peculiarità (rapporto con il corpo altrui, la sofferenza e la morte, la responsabilità verso la vita di altri). La collaborazione con  “Fatti vivo!”  ha portato alla proposta di attivare  gruppi di confronto per tutti gli studenti della facoltà, nei quali affrontare problematiche e aspettative rispetto al ruolo professionale che lo studente andrà a svolgere una volta entrato nel mondo del lavoro.

Figura del tutor e supporto didattico

Alcuni studenti incontrano problemi relativi alla organizzazione dello studio o hanno difficoltà nell’affrontare un singolo esame o nel rapporto con i docenti del corso. Il tutor può affiancare  lo studente nel prefigurare le modalità autonome di risoluzione di tali problemi. Abbiamo individuato alcune caratteristiche auspicabili del tutor che sono riportate in Tabella 4

Tabella 4
Caratteristiche prevalenti per il ruolo del tutor

Reperibilità Tutor ben conosciuto e contattabile, sia a distanza che fisicamente, in modo semplice e possibilmente rapido
Empatia Capacità di accogliere e ascoltare le problematiche dello studente
Capacità di discernere Capacità di individuare le motivazioni fondamentali alla base del disagio riferito dallo studente
 Capacità di orientare Capacità di orientare verso le persone  e servizi più consoni alla soluzione della difficoltà
Capacità di mediare tra lo studente e l’organizzazione universitaria o suoi membri
Capacità di proporre soluzioni di ‘sistema’ Capacità di proporre all’organizzazione universitaria le soluzioni di sistema ritenute più consone ad evitare o minimizzare problematiche diffuse

Conclusioni

Prevedere un aiuto efficace agli studenti in difficoltà nel mantenere i ritmi didattici previsti, presenta molti, differenti, significativi ostacoli. I problemi più rilevanti sembrano essere:

  • incompleta conoscenza delle dimensioni e caratteristiche psicologiche e socio-economiche del problema e rapporto con l’adeguatezza della offerta didattica, la qualità ed efficienza delle strutture di supporto;
  • la eterogeneità delle problematiche individuali, in una popolazione studentesca molto variegata, difficilmente correlabili in modo esclusivo a motivazioni di tipo tradizionale (background culturale, residenza, reddito ecc.)

Per il primo, è auspicabile una più approfondita conoscenza dei dati oggettivi che definiscono il problema nelle sue molteplici sfaccettature: sia di carattere generale (statistiche comparative e trends temporali nel raggiungimento degli obiettivi formativi) sia quelle specifiche, (verifica costante della fruibilità di condizioni di apprendimento adeguate e facilmente accessibili).

Per il secondo, appare cruciale un’attenzione “personalizzata” alle problematiche individuali che fornisca supporto efficiente di orientamento culturale e di valorizzazione delle risorse, senza sconfinare nelle dimensioni del “counseling psicologico” e senza essere orientata al mero superamento di difficoltà burocratiche, che devono trovare risposta nelle sedi deputate.

Su quest’ultimo aspetto il gruppo di lavoro ha formulato la proposta di un programma realistico di attività tutoriali, certi che da queste dipenda, una riduzione significativa del problema se non una soluzione. Condizione assolutamente necessaria alla sua realizzazione rimane comunque l’impegno personale e continuo di tutti i responsabili dell’educazione medica.

Bibliografia

W Arulampalam, RA Naylor, Smith JP., Dropping out of medical school in the UK: explaining the changes over ten years. Medical Education, 41:385-394, 2007.

O’Neill LD, Wallstedt B, Eika B, Hartvigsen J. Factors associated with dropout in medical education: a literature review. Medical Education, 45: 440-454, 2011.

A Squarzoni, E Stefano. Assicurazione della qualità dei corsi di studio Universitari. CRUI 2011

Nucleo di Valutazione di Ateneo, Relazione Annuale Didattica e Ricerca 2009/2010, Sapienza Università di Roma

Appendici

 Appendice I

La mail inviata Modalità di risposta di chi non voleva essere contattato
Buongiorno (nome dello studente),siamo un gruppo di docenti della tua Facoltà  che partecipano alla Commissione “Medical Education”.La recente introduzione del sistema Infostud per la gestione degli esami ci consente oggi di avere informazioni  sintetiche sugli studenti che sembrano in ritardo con gli esami.Poiché pensiamo che questa situazione sia, almeno in parte, legata a problematiche di natura didattica e organizzativa, ti contatteremo(*) telefonicamente al numero (numero telefonico dello studente) il giorno…………. in orario pomeridiano  per sapere se possiamo esserti di supporto nella evoluzione del tuo percorso universitario.Con i migliori saluti(è firmato da tutti i nomi del gruppo e colui che farà la telefonata è individuato da un asterisco) Buongiorno,grazie, ammetto che l’interessamento da parte Vostra nei confronti degli studenti in ritardo con gli esami mi colpisce in modo estremamente positivo. Tuttavia il mio ritardo dipende principalmente da motivi personali che sto cercando di risolvere, l’organizzazione della facoltà c’entra ma in minima parte. Sotto questo punto di vista sento il peso di una facoltà da svecchiare e modernizzare sia perché la medicina è (come tutte le scienze) in continua evoluzione che per coinvolgere ed invogliare maggiormente gli studenti più giovani nello studio. Ciò detto, apprezzo veramente l’iniziativa e ringrazio nuovamente ma mi trovo a rifiutare la vostra offerta di aiuto poiché, come già detto, il mio ritardo dipende principalmente da motivi personali. Grazie comunque.

Appendice II

Alcune risposte ai colloqui telefonici

Tel. 1 Chiamo il cellulare indicato. Più volte, senza successo. Infine mi risponde una donna. Accento campano. Le dico chi cerco. Sembra preoccupata e in parte imbarazzata. Ansiosa. La rassicuro qualificandomi. Mi chiede se ci sono problemi con la didattica e gli esami. Rispondo evasivamente. Mi dice che chi cerco è suo figlio. Voglio il numero? Naturalmente sì. Lo chiamo più volte. Risponde ancora la donna. Ribadisco deciso che nè voglio nè posso parlare con lei. Lo sa. Vorrebbe che il figlio parlasse con qualcuno, ma lui non vuole. Era venuto a Roma dalla provincia per studiare. Invece si è ammalato. Cheratocono. Le difficoltà visive non gli permettevano di leggere e studiare. E’ tornato a casa ed è stato molto frustrante per lui. Era preoccupato, arrabbiato, deluso. Per un lungo periodo non è ha esami. Qualche mese fa si è operato. La situazione è migliorata, ma ha ancora molte difficoltà. Ha fatto un esame da poco. Voto basso, ma superato. L’ umore però resta abbattuto. Magari trovasse accoglienza allo sportello! Ma per ora è triste e non vuole tornare a Roma.
Tel. 2 M. è del 79. Iscritto al 2° anno. Fatica a tenere il passo negli studi. Ha un mutuo da pagare e lavora. Contratto  a tempo indeterminato: 10 ore al giorno in un ospedale come fisioterapista. Dopo la laurea breve aveva iniziato Farmacia. Poi è passato a Medicina. E’ molto motivato, ma lamenta di aver trovato molte difficoltà organizzative e amministrative come nella validazione degli esami o nel riconoscimento dei titoli, che gli rendono il percorso didattico quasi impossibile.
Tel. 3 P. è del 86. E’ iscritta al VI ma ha fatto solo gli esami del III anno. E’ entrata prima al CL di Latina. Più di 2 ore e mezzo per  andare e altrettanto per tornare. Molta fatica. Troppa. A giugno scorso voleva quasi lasciare gli studi. Invece è riuscita a ottenere il trasferimento a  Roma e questo l’ha incoraggiata. E’ sempre pendolare ma ha deciso di riprendere gli esami. Ritiene che un tutor per lei sarebbe importante, ma non sa chi potersi rivolgere.
Tel.4 27 anni, fuori sede. Ripetente al 2° anno e in cerca di lavoro per mantenersi autonomamente. Il ritardo, percepito in termini non drammatici, viene attribuito a difficoltà giudicate superabili in tempi brevi. La prima reazione alla telefonata è di sorpresa. Poi, interesse per l’iniziativa. Ne vorrebbe beneficiare e chiedere supporto soprattutto riguardo a: definizione e ottimizzazione del piano di studi; chiarimenti delle procedure burocratiche e amministrative. Non intende assolutamente rinunciare al suo progetto di studio pur prevedendo di poter rispettare le scadenze definite per rimanere “in corso”.

Cita questo articolo

Merli M. et al., Motivazioni del ritardo nella Facoltà di Medicina. Analisi qualitativa e alcune riflessioni per un tutoraggio attivo, Medicina e Chirurgia, 54:2392-2395, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-4

Indice n. 54/2012

Medicina e Chirurgia
QUADERNI DELLE CONFERENZE PERMANENTI DELLE FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

54/2012

(scarica qui il l’intero numero in PDF)

SOMMARIO

Editoriale, di Eugenio Gaudio, Andrea Lenzi

Attualità

Lo stato di attuazione della legge di riforma delle università, di Sergio Stefoni e Paolo De Angelis

Conferenza permanente dei Presidenti di CLM in Medicina e Chirurgia

Etica della docenza: Per un insegnamento eticamente fondato nei CLM in Medicina e Chirurgia, di Giuseppe Familiari et al.

Motivazioni del ritardo nella Facoltà di Medicina. Una analisi qualitativa ed alcune riflessioni per un tutoraggio attivo, di Manuela Merli et al.

Malato per un giorno, di Rosa Valanzano e Giovanni Guerra

Sportello counselling, accoglienza studenti “fatti vivo!”. Un’opportunità per gli  studenti della Sapienza, di Gabriele Cavaggioni, Claudia Lia, Eliana Lai

Dossier

Ripensare la Facoltà di Medicina

Saluto di Elio Cardinale. Introduzione di Paola Binetti. Relazioni di Eugenio Gaudio, Andrea Lenzi, Walter Ricciardi, Giuseppe ArmocidaConclusioni di Luigi Frati, Paola Binetti.

Irnerio Lumen Iuris

Dal concetto di consenso informato a quello di consenso condiviso, di Nicola Callipari

Pillole pedagogiche

Preparazione dei test di valutazione integrata, di Luciano Vettore

Lettere, di Egidio A. Moja

Editorialen.54, 2012, p.2379, DOI: 10.4425/medchir2012-54-1

Articolo

L’attuale fase di riorganizzazione delle Università, mediante l’adeguamento degli Statuti e dei regolamenti alla nuova Legge 240/2010, pone importanti problemi in particolare alle Facoltà ed ai Corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, soprattutto per quanto attiene alle loro competenze e responsabilità, anche in rapporto alle nuove funzioni previste per i Dipartimenti.

Infatti, la Legge non parla mai esplicitamente della organizzazione dei Corsi di Studio, e dei rispettivi Consigli, che tanto ruolo hanno avuto ed hanno nello sviluppo della didattica e della andragogia medica, e rimanda agli Statuti la definizione più precisa delle competenze delle strutture di raccordo (in Italia denominate Facoltà o Scuole di Medicina) che hanno notevole rilievo proprio per l’area medica, in particolare per quanto riguarda il coordinamento dei Corsi di Studio e l’inscindibilità delle funzioni didattico-scientifico-assistenziali ed i rapporti con le Regioni e le Aziende Ospedaliero-Universitarie.

Queste considerazioni trovano fondamento nello spirito e nella lettera della Legge 240/10, che di seguito si riporta – per comodità – negli articoli interessati:

Legge 240/2010, Art. 2.2

c) previsione della facoltà di istituire tra più dipartimenti, raggruppati in relazione a criteri di affinità disciplinare, strutture di raccordo, comunque denominate, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività didattiche, compresa la proposta di attivazione o soppressione di corsi di studio, e di gestione dei servizi comuni; previsione che, ove alle funzioni didattiche e di ricerca si affianchino funzioni assistenziali nell’ambito delle disposizioni statali in materia, le strutture assumano i compiti conseguenti secondo le modalità e nei  limiti concertati con la regione di ubicazione, garantendo  l’inscindibilità delle funzioni assistenziali dei docenti di materie  cliniche da quelle di insegnamento e di ricerca;

f) istituzione di un organo deliberante delle strutture di cui alla lettera c), ove esistenti, composto dai direttori dei dipartimenti in esse raggruppati, da una rappresentanza elettiva degli studenti, nonché, in misura complessivamente non superiore al 10 per cento dei componenti dei consigli dei dipartimenti stessi, da  docenti scelti, con modalità definite dagli statuti, tra i  componenti delle giunte dei dipartimenti, ovvero tra i coordinatori  di corsi di studio o di dottorato ovvero tra i responsabili delle  attività assistenziali di competenza della struttura, ove previste.

Pertanto, dopo un approfondito dibattito che ha visto impegnate le Conferenze nazionali delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia nelle sedute, rispettivamente, del 23 e del 27 febbraio u.s., è stata approvata all’unanimità la mozione qui riportata.

Cita questo articolo

Gaudio S., Lenzi A., Editoriale, Medicina e Chirurgia, 54: 2379, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-1

Lo stato di attuazione della legge di riforma delle universitàn.54, 2012, pp.2381-2382. Doi: 10.4425/medchir2012-54-2

Abstract

The article follows a previous discussion concerning the main contents of the law 240/10 (the University Reform), examining the legal provisions contained in the law according to the degree of implementation. The law 240/10 is a law of principles, so that it contains: rules effective immediately; rules whose implementation is assigned to the decrees that have already been adopted; rules requiring implementation decrees that are still in progress. From the analysis performed the authors show how the state of implementation of the law is still far from being definitive.

Articolo

La Legge 240/10 di riforma delle Università è stata oggetto, negli ultimi mesi, di molteplici commenti1 che hanno avuto il merito di evidenziare aspetti positivi e negativi della Legge stessa. Nello scorso numero di questa rivista, dopo un breve sunto della normativa che ha regolamentato l’ambito universitario nello scorso secolo2, affrontammo l’aspetto inerente i rapporti tra Università e Sistema sanitario; anche questo ambito è stato oggetto di attenta analisi da parte della migliore dottrina3. Considerato che la L. 240/10 costituisce una Legge di principi (una legge, cioè, la cui attuazione è demandata a una pluralità di atti secondari), la sua realizzazione richiede l’emanazione di molti provvedimenti attuativi (decreti legislativi, regolamenti, decreti ministeriali). Tanto premesso, si ritiene opportuno in questa sede compiere un brevissimo esame sullo stato di attuazione della Legge, aggiornato al 20 gennaio 2012. Pertanto, saranno di seguito esaminate le disposizioni della legge:

A. immediatamente operative;
B. demandate a decreti che sono già stati adottati;
C. demandate a decreti che sono ancora in itinere.

a. Disposizioni immediatamente applicabili della L.240/10

Alcune disposizioni normative sono immediatamente applicabili e comportano, da parte delle Università, l’adozione di un atto specifico. Nelle successive tabelle sono indicati gli articoli che prevedono le principali incombenze immediatamente operative e che, dunque, impongono l’adozione di uno specifico atto da parte delle Università:

Tab.1 – Previsione espressa della L.240/10

Articolo

Atto

Oggetto

Eventuale termine

2, c. 4 Regolamento Codice etico 180 gg.
6, c. 4 Regolamento Incentivazione ———-
6, c. 7 Regolamento Modalità certificazione attività ———-
9, c. 1 Istituzione Fondo premiale ———-
10, c. 1 Istituzione Collegio di disciplina ———-
18, c. 1 Regolamento Chiamata professori ———-
24, c. 1 Regolamento Ricercatori a tempo determinato ———-

 Tab.2 – Previsione desumibile dalla L. 240/10  

Articolo

Atto

Oggetto

Eventuale termine

19 Regolamento Dottorato di ricerca ———-
22 Regolamento Assegni di ricerca ———-
23 Regolamento Contratti di insegnamento ———-

b. Disposizioni demandate a decreti che sono già stati adottati

Dei provvedimenti attuativi di stretta competenza del MIUR, a tutt’oggi soltanto 18 sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale e sono entrati, dunque, in vigore. Essi sono quelli previsti negli articoli di seguito indicati:

  • Art. 2, c. 1, lett. N. Emolumenti del Direttore Generale (DM 21.07.11, n. 315, in GU 31.10.11, n. 254).
  • Art. 5, c. 1, lett. B; c. 4, lett. G, H, I. disciplina del dissesto finanziario delle Università e del commissariamento degli Atenei (D.Lgs. 27.10.11, n. 199, in GU 25.11.11, n. 275).
  • Art. 6, c. 9. Criteri e parametri per la valutazione delle attività didattiche e di ricerca svolte dai titolari dei contratti (D.M. 24.05.11, n. 242, in GU 21.09.11, n. 220).
  • Art. 6, c. 11. Stipulazione di convenzioni per consentire ai professori e ricercatori a tempo pieno di svolgere attività didattica e di ricerca presso altro ateneo stabilendo le modalità di ripartizione dei relativi oneri (DM 26.04.11, in GU 26.09.11, n. 224).
  • Art. 7, c. 5. Criteri e modalità per favorire la mobilità interregionale dei professori universitari che hanno prestato servizio presso corsi di laurea o sedi soppresse a seguito di procedure di razionalizzazione dell’offerta didattica (DM 26.04.11, n. 166, in GU 17.09.11, n. 217).
  • Art. 12, c. 3. Individuazione delle università telematiche finanziabili, cui spetta il contributo premiale (D.M. 25.05.11 – senza numero, in GU 23.09.11, n. 222).
  • Artt. 15 e 16. Definizione dei settori concorsuali per il conseguimento dell’abilitazione scientifica (D.M. 29.07.11, n. 336, GU 01.09.11, n. 203).
  • Art. 16, comma 2. Regolamento concernente l’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari (D.P.R. 14.09.11, n. 222, GU 16.01.12, n. 12).
  • Art. 18, c. 1, lett. B. Definizione delle tabelle di corrispondenza tra le posizioni accademiche italiane e quelle estere (D.M. 02.05.11, n. 236, in GU 21.09.11, n. 220).
  • Art. 22, c. 7. Definizione dell’importo minimo degli assegni di ricerca (D.M. 09.03.11, n. 102, in GU 20.06.11, n. 141).
  • Art. 23, c. 2. Determinazione del trattamento economico spettante per i contratti di insegnamento (DM 21.07.11, n. 313, in GU 31.10.11, n. 254)
  • Art. 24, c. 2, lett. C. Criteri e parametri riconosciuti, anche in ambito internazionale, per la valutazione preliminare dei candidati destinatari dei contratti di cui all’art. 24 della L. 240/10 – ricercatori a tempo determinato (D.M. 25.05.11, n. 243, in GU 21.09.11, n. 220).
  • Art. 24, c. 3, lett. A. Regolamento concernente la definizione dei criteri di partecipazione di professori e ricercatori universitari a società aventi caratteristiche di spin off o start up universitari in attuazione di quanto previsto all’art. 6, comma 9, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (D.M. 10.08.11, n. 168, GU 17.10.11, n. 242).
  • Art. 24, c. 5. Criteri per l’individuazione con regolamento d’Ateneo degli standard qualitativi per la valutazione dei ricercatori a tempo determinato in possesso di abilitazione (D.M. 04.08.11, n. 334, in GU 26.08.11, n. 198).
  • Art. 28, c. 3. Istituzione del Fondo formazione e aggiornamento della dirigenza (DM 27.07.11 – senza numero, in GU 30.09.11, n. 228).
  • Art. 29, c. 6. Definizione dei posti disponibili per l’ammissione al corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia, per l’anno accademico 2011-2012 (D.M. 05.07.11 – senza numero, in  GU 01.08.11, n. 177).
  • Art. 29, c. 7. Identificazione dei programmi di ricerca di alta qualificazione (DM 01.07.11 – senza numero, in GU 03.11.11, n. 256).
  • Art. 29, c. 19. Criteri e modalità per la ripartizione delle risorse tra gli Atenei per premiare il merito accademico e scientifico dei docenti (DM 21.07.11, n. 314, in GU 31.10.11, n. 254).

c. Disposizioni demandate a decreti che sono ancora in itinere

E’ ancora in corso l’iter di approvazione di molti importanti provvedimenti, tra i quali si segnalano quelli previsti negli articoli di seguito elencati:

Quello descritto è uno stato ancora molto provvisorio di attuazione della Legge di riforma; la speranza è che, presto, le Università possano contare su un impianto normativo completo ed efficiente.

Cita questo articolo

Stefoni S., De Angelis P., Lo stato di attuazione della legge di riforma delle università, Medicina e Chirurgia, 54: 2381-2382, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-2

  1. Solo a titolo esemplificativo si veda: Bettini S., La nuova governance delle università, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2011, pp. 359-379; Brancasi A., La finanza, in Giornale di diritto amministrativo, 2011, pp. 371-376; Carloni E., L’organizzazione della didattica e della ricerca, ibidem, pp. 366-371; Marzuoli C., Lo stato giuridico e il reclutamento: innovazioni necessarie, ma sufficienti?, ibidem, pp. 360-366; Merloni F., La nuova governance, ibidem, pp. 353-359; Natalini A., La valutazione, ibidem, pp. 376-381. []
  2. Per il quale si ringrazia, ora per allora, la dott.ssa Elena Montepaone. []
  3. Solo a titolo esemplificativo si veda: Bottari C., Tutela della salute ed organizzazione sanitaria, Giappichelli, 2011, pp. 180-183; Roversi Monaco M.G., Università e Servizio sanitario nazionale: l’azienda ospedaliera universitaria, Cedam, 2011, pp. 153-157. []