Strategie didattiche centrate sullo studente nei CLM in Medicina. III Le sbobinature (o “sbobine”): l’uso che se ne fa, come potrebbero divenire maggiormente utili nel processo di formazione degli studenti di medicina e chirurgia.n.79, 2018, pp. 3526-3529, DOI: 10.4487/medchir2018-79-4

Abstract

Le sbobinature rappresentano oggi uno degli strumenti più utilizzati dagli studenti di medicina e chirurgia per la preparazione degli esami. L’attuale prevalente setting di utilizzo privilegia, però, l’apprendimento passivo e mnemonico, utile per superare l’esame, ma non utile per l’acquisizione delle abilità al ragionamento critico e dell’autonomia di giudizio, competenze fondamentali per uno studente di medicina. In questo articolo viene presentata una ipotesi di utilizzazione razionale di tale strumento, con un maggiore coinvolgimento del docente, utile a trasformare la lezione in aula in un vero e proprio momento di costruzione del sapere e una reale opportunità per un apprendimento attivo da parte degli studenti.

Parole chiave: sbobinature, studente, docente

Today, the “sbobinature” (lecture transcripts) are one of the most employed tools by medical students for exam preparation. The current usage, however, favors passive and mnemonic learning, certainly useful for passing the exam, but useless for the acquisition of critical reasoning skills and judgment autonomy, that we believe are fundamental competences for a medical student. This article presents a hypothesis of a rational use of this tool, assuming a greater involvement of the teacher, that could become useful to tran-sform the classroom lecture into a real moment of knowledge construction and a real opportunity for active learning by students.

Key Words: lecture transcripts, student, teacher

Articolo

Cosa sono le sbobinature

Sbobinatura, s.f.,trascrizione dal nastro magnetico delcontenuto di una registrazione.

Questa definizione del dizionario è estremamente riduttiva se facciamo riferimento a quello strumento di apprendimento che, al giorno d’oggi, è largamente in uso tra gli studenti dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia in Italia. La semplice trascrizione delle parole del docente è, infatti, arricchita spesso di immagini, di riferimenti bibliografici e di schemi a cura di un vero e proprio comitato di redazione, che opera in seno alla comunità studentesca. In molti casi lo studio di questo documento, specifico per un insegnamento (o docente),è sufficiente per superare con successo la relativa verifica di profitto.

Come si usano

La preparazione e la produzione delle sbobinature per un corso seguito dagli studenti, richiede un’organizzazione di non poco conto. Ogni comunità studentesca universitaria struttura il proprio team in modo differente da ateneo ad ateneo. In tali gruppi, anche complessamente composti, ognuno ha un ruolo ben preciso. Ci sono turni da pianificare, deadlineda inserire e compiti da assegnare. La organizzazione non è la stessa in tutte le università, per cui ogni gruppo universitario di sbobinatori si autoregolamenta in maniera diversa. A grandi linee, possiamo rilevare come alcune figure ricorrano con più facilità. Ci sono gli sbobinatori, i quali materialmente trascrivono la lezione; spesso sono affiancati da revisionatori che possono essere sia revisionatori di contenuti, andando quindi ad inserire stralci dei libri consigliati, approfondimenti, rimandi a materie studiate in passato, o revisionatori di layout, di impaginazione e di grafica, che danno uniformità alle “sbobine”, rendendole in questo modo più fruibili.

Elenchi puntati, summaries, definizioni, slide delle lezioni, rendono le “sbobine” un prodotto altamente efficace per lo studio e molto più applicabile alla pratica clinica che ne consegue, grazie all’inserimento dei ragionamenti clinici che il professore elabora a lezione.

L’obiettivo di avere delle sbobinature non è quello di studiare di meno: questo è un concetto errato su cui occorre fare chiarezza. Avere delle sbobinature permette allo studente di integrare le informazioni del libro, in più momenti prolisse e dispersive, con le informazioni che il docente condivide a lezione. Questo le rende uno strumento enormemente vantaggioso per lo studente stesso, quando ovviamente esse non presentino errori o mancanze importanti.

Deve anche essere annotato come la struttura organizzativa della sbobinatura sia molto eterogenea e possa essere diversa da team a team:la capacità di chi la redige ad integrarla e\o approfondirla, rende infatti la qualità di questo strumento fortemente sbobinatore-dipendente; nonostante siano innegabili gli sforzi da parte di tutti gli studenti a fornire un prodotto affidabile, corretto e di qualità, queste ultime non sono sempre costantemente rilevabili in pieno nei prodotti utilizzati dagli studenti.

Vantaggi, svantaggi, rischi ed opportunità

La maggior parte degli studenti di Medicina, quando possibile, utilizza le sbobinature, spesso come unico strumento di apprendimento. La “sbobina” infatti, specifica per un insegnamento, consente di acquisire le conoscenze adeguate al superamento dell’esame, in quanto si trovano esattamente tutti gli argomenti che il docente ha spiegato (con le stesse parole da lui utilizzate) e che presumibilmente chiederà all’esame. Inoltre questi fascicoli sono disponibili a costi notevolmente inferiori ai libri di testo (costo della riproduzione o nemmeno quello nel caso di formato elettronico) e sono aggiornate di anno in anno.

Nella maggior parte dei casi, questo materiale non viene più consultato dopo il superamento dell’esame (o addirittura viene dismesso), in quanto lo stesso studente è consapevole che gli argomenti vi sono trattati con una prospettiva limitata dal punto di vista del docente e sono quindi considerati utensili per un apprendimento mnemonico ma non per un apprendimento critico. In altri casi, ove contengano anche i ragionamenti ‘clinici’ dei professori, sono custodite, diventando molto più utili di un libro di testo spesso asettico e non estremamente aggiornato.

Deve essere sottolineato, però, come le sbobinature spesso possano contenere errori o inesattezze, involontariamente introdotte dalla trascrizione del discorso; tali errori purtroppo sono destinati a persistere, in quanto le sbobinature non sono (salvo pochissime eccezioni) revisionate dal docente da cui sono state tratte.

Oltre al costo ridotto, un ulteriore fattore positivo per lo studente è quello di avere a disposizione uno strumento di apprendimento già strutturato per affrontare la specifica preparazione dell’esame, che gli garantisce un minor dispendio di tempo in confronto ad uno studio su uno o più libri di testo o su altra letteratura scientifica. Permane comunque il limite in cui le conoscenze acquisite attraverso le sbobinature potrebbero dimostrarsi non adeguate, nel caso in cui la verifica di profitto sia sostenuta con un docente diverso da quello che ha erogato la parte di corso da cui derivano le sbobinature stesse.

Una potenziale evoluzione della sbobinatura potrebbe essere quella di trasformarsi, senza dubbio con il contributo del docente, che ne dovrebbe curare una revisione almeno sommaria, da strumento di preparazione dell’esame a strumento di preparazione alla lezione. La consultazione preventiva della sbobinatura di un argomento (anche dell’anno precedente) consentirebbe allo studente una partecipazione più attiva alla lezione su quell’argomento stesso, nell’ambito di una modifica sostanziale della erogazione della lezione, che dovrebbe avvenire sulla base, ad esempio, della modalità così detta flipped classroom (Jeffries et al., 2017).

E’ anche doveroso evidenziare come la produzione delle sbobinature da parte di gruppi di studenti, che in maniera coordinata ed organizzata si dividono il lavoro e condividono il prodotto finale, abbia comunque una importante valenza formativa al lavoro di gruppo ed alle capacità di comunicazione per quel gruppo di studenti che ha collegialmente elaborato il prodotto finito.

Esperienze raccolte tra i docenti

Le sbobinature potrebbero rappresentare uno strumento per migliorare la qualità delle lezioni frontali. Questa affermazione è basata su due opportunità, rese possibili dalle sbobinature:

  • L’opportunità di rivedere e commentare le lezioni effettuate dagli altri docenti del corso;
  • L’ opportunità di corredare/completare le sbobinature con materiale aggiuntivo, che tramite link ipertestuali possono essere resi accessibili agli studenti. E’ evidente come, in entrambi i casi, sia necessaria una attiva revisione del prodotto grezzo derivato dalla trascrizione delle registrazioni effettuate a lezione dagli studenti sbobinatori.

Per quanto riguarda il primo punto, nell’esperienza recente di uno degli autori, tale revisione è idealmente effettuata dal coordinatore del corso integrato, che ha così la possibilità di conoscere i particolari dell’attività didattica degli altri docenti, pur non partecipando direttamente alla lezione. La conseguenza immediata di questa operazione è la possibilità di integrare, nel migliore dei modi, le varie componenti di un corso integrato, spesso rappresentate da docenti di diversa formazione e disciplina. Si pensi ad esempio a corsi integrati come le “Patologie Integrate”in cui, oltre alla componente medica e chirurgica vi possono essere contributi di altre discipline quali la farmacologia, la diagnostica per immagini, l’anatomia patologica o altro. Questi corsi multidisciplinari, sulla carta una grande risorsa, spesso perdono di efficacia per motivi di non perfetta organiz-zazione che porta spesso a ripetizioni e ridondanze. La lezione integrata in co-presenza, certamente non il metodo didattico più diffuso, non supera completamente il problema: alcuni contenuti dei corsi, quelli più propriamente conoscitivi disciplinari, potrebbero infatti non essere adatti alla lezione in co-presenza, che si presta meglio alle discussioni su problematiche gestionali e terapeutiche.

La revisione delle sbobinature permette dunque al coordinatore del corso, se coincidente col docente revisore delle sbobinature, non solo la banale correzione dei testi ma anche di affrontare la più problematica funzione del coordinamento vero e proprio. Un conto è infatti concordare in una riunione organizzativa di inizio semestre gli argomenti delle lezioni dei vari docenti e un altro è verificare nei particolari l’effettivo contenuto, avendo a disposizione uno scritto che può essere successivamente discusso ed elaborato. Ci si appropria in effetti del punto di vista degli studenti e si comprende maggiormente cosa effettivamente arriva alle loro menti.

La seconda opportunità è ancora più impegnativa e complessa, ma anche per questo, più stimolante e si collega alla possibilità di utilizzare le sbobinature come strumento per prepararsi alla lezione facilitando forme di didattica attive come quella della flipped classroom. Una sbobinatura potrebbe infatti essere corredata da link ipertestuali che rimandino gli studenti al testo di unmanuale, o meglio, in modo ancora più interessante, a linee guida, reviews, position paperse, in ultima analisi, alla letteratura medica. Questo approccio potrebbe avere due interessanti ricadute. La prima è che gli studenti sarebbero introdotti gradualmente alla ricerca della letteratura, inizialmente tramite il docente revisore delle sbobinature, che li guida aggiungendo testi e articoli, e in un secondo momento da soli, consultando database in autonomia. La capacità di gestire la letteratura medica dovrebbe essere oggi una delle metodologie più utili da far acquisire. I contenuti disciplinari cambiano infatti continuamente e la letteratura medica si aggiorna di continuo: una volta in grado di consultarla, lo studente sarà in grado di continuare a ottenere le informazioni necessarie alla professione. La seconda ricaduta di una sbobinatura “attiva” potrebbe essere quella di svincolare, almeno in parte, il docente in aula dai contenuti conoscitivi, consentendogli di dedicarsi alla possibilità di “tradurre” i testi, sottolineando le parti di un contenuto conoscitivo con ricadute nella pratica, dedicandosi a affrontare casi o condizioni cliniche emblematiche e significative. Questo approccio, che dovrebbe essere il futuro dell’insegnamento in aula, almeno per la parte clinica del corso di laurea, manca attualmente di supporti per studenti e docenti. La sbobinatura “attiva” dell’anno precedente, messa a disposizione degli studenti all’inizio del corso, potrebbe svolgere una funzione che difficilmente un libro di testo, per quanto modernamente correlato di interattività e connessione al web potrebbe offrire, se non altro perché non costringerebbe i docenti ad adattarsi a schemi e contenuti concepiti da altri.

La sbobinatura della lezione, in questi casi, sarà via via sempre più rispettosa della funzione metacognitiva che ciascun docente dovrebbe svolgere, senza essere costretto a riportare a lezione i contenuti che sarebbero già a disposizione degli studenti o reperibili sul web.

Esperienze raccolte tra gli studenti

Per valutare la dimensione del fenomeno sbobinature ed il significato che vi attribuiscono gli studenti, nell’ambito di una riflessione all’interno della Commissione Tecnico Pedagogica sul calo della frequenza alle lezioni durante il corso degli studi, è stato chiesto alle due associazioni studentesche del Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia di Bologna di sviluppare e promuovere un questionario dedicato a questi problemi. L’indagine è stata effettuata online ed analizzata autonomamente dagli studenti. Sono state raccolte 593 risposte. Alla domanda “utilizzi le sbobinature per prepararegli esami? ” la percentuale di SI è andata aumentandodal 77% al 1° anno al 91% al 6° anno. Alla domanda “In generale pensi che il contenuto delle sbobinature riproduca in maniera esaustiva la lezione?”, la percentuale dei SI è andata aumentando dal 66% del 1° anno al 76% del 6° anno. Infine, alla domanda “Potendo usufruire delle sbobinature, le ritieni una alternativa valida alla frequenza delle lezioni?” la percentuale dei SI è andataaumentando dal 43% del 1° anno al 71% del 6° anno.

Tutti questi dati confermano la realtà e la diffusione delle sbobinature e suggeriscono, quindi, la necessità di governare, docenti e studenti insieme, questo fenomeno.

Il contributo di riflessione della CPPCCLM

La discussione che si è tenuta nell’ambito del gruppo di lavoro dell’Atelier pedagogico dedicato a questo argomento (129ma riunione della dei Presidenti dei Corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, Trieste – 20 aprile 2018) ha riscontrato opinioni contrastanti sull’utilità dell’uso delle sbobinature nell’attuale setting di uso da parte degli studenti, anche se si è registrata una prevalenza di opinione a razionalizzare e condurre su un binario condiviso questo strumento. Infatti, così come messo in atto oggi, esso non rinforza certamente la formazione didattica critica e autonoma sulla base di quanto previsto dai descrittori di Dublino, specialmente per quegli studenti che rappresentano i meri utilizzatori del prodotto finito, che spesso non frequentano le lezioni in aula. Per quanto sopra esposto, risulta infatti chiaro come vi possa essere un contributo formativo importante per quegli studenti che preparano e confezionano la sbobinatura, ma non certamente per quegli studenti che la utilizzano in modo sostitutivo della frequenza in aula.

E’ anche doveroso sottolineare come l’analisi di questo fenomeno ci debba inevitabilmente condurre alla ricerca delle sue cause. Sebbene le sbobinature si stiano affermando (o si siano già affermate) come strumento principale di studio ed abbiano marginalizzato l’uso dei libri di testo per la preparazione dell’esame, gli stessi utilizzatori sono consapevoli che non potranno essere utilizzate come fonti di riferimento nel momento in cui, nella vita professionale, verrà loro richiesto un utilizzo critico delle conoscenze acquisite. Da questa evidenza scaturisce la considerazione che vede le sbobinature originarsi ed evolversi come risposta adattativa ad una pressione selettiva esercitata dalla modalità prevalente nel nostro sistema di misurare, nelle prove certificative, l’apprendimento mnemonico piuttosto che quello critico o, in altre parole, di privilegiare la verifica delle conoscenze a quella delle competenze. Se così fosse, probabilmente una evoluzione delle modalità di esame verso una sistematica verifica di competenze potrebbe condurre ad un tramonto delle sbobinature.

Infine, un possibile uso razionale e positivo della sbobinatura non deve prescindere da quelli che debbono essere considerati gli elementi di innovazione importanti per la costruzione di una lezione in aula che sia realmente utile alla crescita culturale dei nostri studenti. Traendo spunto dalla letteratura internazionale (Jeffries et al., 2017), non si deve mai dimenticare quelli che debbono essere considerati i punti chiave di una lezione frontale che sia davvero utile allo studente; tra questi deve essere enfatizzato il ruolo della lezione come evento di “costruzione” della conoscenza, conoscenza che deve divenire, per lo studente stesso, mezzo per l’acquisizione autonoma di nuova conoscenza critica. Una lezione in aula deve pertanto costituire sempre una opportunità per un “apprendimento attivo”: “Activelearning is those [practices] designed at least in part to promote conceptual understanding through interactive engagement of students in heads-on (always) and han-ds-on (usually) activities which yield immediate feedback through discussion with peers and/or instructors” (Hake, 1998).

Molto probabilmente, un uso concettualmente avanzato delle sbobinature potrebbe rappresentare un mezzo molto interessante e soprattutto condiviso con gli studenti, per promuovere efficacemente tale tipo di apprendimento, con maggiore efficacia su un più ampio numero di studenti, rispetto a quanto non lo sia ora in molti contesti formativi usuali nel nostro territorio

Bibliografia

Hake RR. Interactive engagement versus traditional methods. A six-thousand-students survey of mechanics test data for introductory physics corse. Am J Phys, 66: 64-74, 1998.

Jeffries WB, Hugget KN, Szarek JL. Lectures. In: Dent JA, Harden RM, Hunt D. A practical guide for medical teachers, Elsevier, 2017

Cita questo articolo

Moncharmont B., Familiari G., Mastrogiacomo N., Riggio O., Festi D., Strategie didattiche centrate sullo studente nei CLM in Medicina. III Le sbobinature (o “sbobine”): l’uso che se ne fa, come potrebbero divenire maggiormente utili nel processo di formazione degli studenti di medicina e chirurgia, Medicina e Chirurgia, 79: 3526-3529, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-79-4

Affiliazione autori

Bruno Moncharmont, Presidente del CLM in Medicina e Chirurgia della Università degli studi del Molise.

Giuseppe Familiari, Presidente del CLM in Medicina e Chirurgia “Sant’Andrea” della Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

Nicola Mastrogiacomo, Studente del CLM in Medicina e Chirurgia della Università degli studi di Ferrara

Oliviero Riggio, Presidente del CLM in Medicina e Chirurgia “corso C” della Università degli studi di Roma “La Sapienza”.

Davide Festi, Presidente del CLM in Medicina e Chirurgia della Università degli studi di Bologna.

Strategie didattiche centrate sullo studente nei CLM in Medicina. I. Da una didattica basata sull’insegnamento ad una centrata sull’apprendimenton.78, 2018, pp. 3494-3496, DOI: 10.4487/medchir2018-78-3

Abstract

The aim of this editorial is to recall the paradigm shift from teacher-centred to student-centred undergraduate education, in order to introduce a series of three articles on the topic of learning strategies of Italian medical students.

The shift towards student-centred education begins with the curriculum design, aimed to modulate the learning objects on the different outcome competencies that medical students have to acquire. Then, the various kinds of competencies must be aligned with the consistent modes of teaching and of learning assessment.

To favour this shift, the working group of medical education of the Italian Conference of the Presidents of Undergraduate Curricula in Medicine opened a debate on the question whether the teaching strategies carried out in our curricula are in keeping with the learning attitudes of our students. A forum was accordingly organized to discuss three of these learning strategies: the study groups; students’ transcriptions of lectures; and IT platforms and new media.

Three different articles will follow on these subjects, aimed to evaluate how to verify, validate, promote and integrate students’ learning strategies with our teaching tools.

Key words: Medical Education; Student-centred education; Competencies; Learning Objects

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Lo scopo di questo editoriale e di richiamare il cambio di paradigma da una didattica universitaria centrata sul docente a una centrata sullo studente, al fine di introdurre tre articoli sul tema delle strategie di apprendimento degli studenti in medicina italiani.

Lo spostamento verso la didattica centrata sullo studente inizia con la pianificazione del curriculum degli studi, finalizzato a modulare gli obiettivi di apprendimento sulle diverse competenze in uscita che gli studenti in medicina devono acquisire. Successivamente, i diversi tipi di competenze devono essere allineati con le pertinenti modalità di insegnamento e di valutazione dell’apprendimento.

Per favorire questo spostamento di paradigma, il gruppo di lavoro Innovazione Pedagogica della Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina ha aperto un dibattito sul quesito se le strategie di insegnamento portate avanti nei nostri corsi di laurea sono coerenti con le attitudini di apprendimento dei nostri studenti. È stato così organizzato un forum per discutere tre di queste strategie di apprendimento: i gruppi di studio; le trascrizioni delle lezioni (le cosiddette sbobinature); e le piattaforme informatiche e i nuovi media.

Seguiranno tre differenti articoli su questi temi, finalizzati a valutare come verificare, validare, promuovere e integrare le strategie di apprendimento degli studenti con i nostri strumenti di insegnamento.

Parole chiave: Pedagogia medica; Didattica centrata sullo studente – Competenze – Obiettivi di apprendimento

Articolo

È in atto, nella didattica universitaria, un cambio di paradigma con il passaggio da una dimensione della didattica centrata sul docente, e sull’insegnamento, a una basata sullo studente, e sull’apprendimento. Non si tratta di modificare solo l’angolo di visuale, ma di un mutamento radicale, che investe dimensioni molteplici (Tabella I).

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Il mondo universitario ha finora visto come la propria missione principale – se non unica – quella di produrre nuove conoscenze attraverso la ricerca scientifica, con il fine subalterno di trasferirleagli studenti.

Grazie ai progressi della pedagogia e della ricerca didattica, tuttavia, sta maturando progressivamente la consapevolezza che la promozione efficace dell’apprendimento dello studente non è una missionsubalterna per l’Accademia. In questa ottica, l’asse lungo il quale si sviluppa il curriculum degli studi universitari non è più quello di un “programma da svolgere” scelto “a priori” dal corpo docente ma quello delle “competenze che gli studenti devono acquisire”, individuate d’intesa con gli stakeholders.

Programmare per competenze significa rendersi conto che queste si distribuiscono su un ampio spettro di acquisizioni cognitive: dalle conoscenze(da apprendere, memorizzare, richiamare, rielaborare criticamente) che costituiscono il saperedello studente, alle abilità(interpretative, relazionali e operative) che attengono al campo del saper fare, alle attitudini(professionali ed etiche) che rientrano nella sfera del saper essere, alle meta-competenze clinicheche implicano il richiamo delle conoscenze e delle abilità da mettere al servizio della capacità di risolvere problemi e prendere decisioni e che richiedono la formazione di un professionista riflessivo.

Lo spettro delle competenze trasversali ha trovato un’efficace codifica nei cosiddetti Descrittori di Dublino: conoscenza e capacità di comprensione; conoscenza e capacità di comprensione applicate; autonomia di giudizio; abilità comunicative; capacità di apprendere.

Partire dall’apprendimento e dalle competenze da acquisire significa poi ripercorrere – e allineare– tutto il processo di definizione delle modalità di insegnamento e di verifica dell’apprendimento. Decenni di ricerca pedagogica, e di “buone pratiche” didattiche, hanno insegnato che non esiste né un’unica modalità di insegnamento efficace, né “la” forma migliore di insegnamento se avulsa dal contesto. La lezione frontale mantiene il suo impatto, specie se orientata alla pratica della flipped class, nell’insegnamento delle conoscenze, mentre la didattica a piccoli gruppi, al letto del paziente, nello skill lab o sul campo, nel territorio, è indispensabile per l’apprendimento delle abilità. Parimenti, le competenze cliniche si apprendono in contesti reali o in simulazioni realistiche.

Lo stesso discorso vale per la valutazione dell’apprendimento.

C’è ancora spazio per l’esame orale, ma l’acquisizione delle conoscenze può essere verificata più rapidamente – e in modo più obiettivo – con prove scritte. L’apprendimento delle abilità deve essere necessariamente valutato con una prova pratica, così come le competenze cliniche vanno verificate “in contesto”.

Procedura essenziale del lavoro di insegnamentoapprendimento è quindi il cosiddetto “allineamento” tra competenze, modalità di insegnamento e forme di valutazione in modo che queste siano coerenti tra loro.

Il sistema internazionale TUNING, con le sue matrici, offre uno strumento assai efficace per realizzare questo allineamento (Figura 1).

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In questo contesto di cambio di paradigma, la Conferenza Permanente dei Presidenti di CLM in Medicina si è interrogata sullo scarto esistente tra modalità di insegnamento e forme di apprendimento.

Il Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogicaha messo a punto una serie di eventi pedagogici che si seguiranno per tutto l’anno 2018.

Abbiamo iniziato (Roma, 21 Gennaio 2018) con la lettura magistrale tenuta da Fabrizio Consorti, dal titolo “Il cambiamento del ruolo del docente nel grande gruppo: da chi trasmette informazioni (lezione frontale) a chi facilita l’apprendimento (flipped class)”e abbiamo proseguito con il Forum (Trieste, 20 Aprile 2018) dal titolo “I nostri strumenti didattici sono adeguati all’apprendimento dello studente?”. In questo Forum, tre laboratori paralleli si sono interrogati su altrettante forme di apprendimento che sembrano essere privilegiate dagli studenti in Medicina italiani: i gruppi di studio, le trascrizioni delle lezioni (le cosiddette sbobinature) e le piattaforme informatiche e i nuovi media.

A questo breve testo introduttivo, seguiranno altri tre articoli, pubblicati sempre su Medicina e Chirurgia, che faranno il punto su queste tre forme di apprendimento, interrogandosi sul ruolo che il docente può svolgere per integrarle, verificarle, validarle, al fine di realizzare una sinergia tra le forme di insegnamento messe in atto dal docente e quelle di apprendimento messe in essere dallo studente.

Cita questo articolo

Gallo P., et al., Strategie didattiche centrate sullo studente nei CLM in Medicina. I. Da una didattica basata sull’insegnamento ad una centrata sull’apprendimento, Medicina e Chirurgia, 78: 3494-3496, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-78-3

Esperienze di lavoro di gruppon.71, 2016, pp. 3242-3250, DOI: 10.4487/medchir2016-71-6

Abstract

This Forum is a part of the tetralogy of educational events devoted to “Training of teachers, supervisors and students to leadership and teamwork”. In a tetralogy the so called “Pedagogical pills” are mini-lectures, the workshops are based on experiential learning, forums are the privileged environment in which the Conference co-constructs its shared knowledge, since they are small group activities focused on sharing and discussion of real life experience.

In this forum we identified some critical situations in which teamwork asks for a special attention, specially when the team is inter-professional. The following articles report on the most significant and common elements emerged from the discussion. The considered environments were the team of teachers of an integrated course, the relationship between teachers and administrative- technical personnel dn the inter-professional collaboration, probably the most challenging context in the near future.

Parole chiave: lavoro a piccoli gruppi – corsi integrati – collaborazione interprofessionale

Key Words: small group activities – integrated course – inter-professional collaboration

Articolo

  1. Introduzione

Questo Forum è parte della tetralogia di eventi formativi dedicati a “Formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo”. Se le “pillole pedagogiche” sono  mini-letture informative-formative  e gli atelier sono attività di apprendimento esperienziale, i forum sono il luogo privilegiato in cui la Conferenza co-costruisce la sua conoscenza condivisa, essendo attività per piccolo gruppo centrate sulla condivisione e discussione di esperienze reali.

In questo caso abbiamo individuato alcuni ambiti critici in cui il team work esige attenzione, specie quando il team è interprofessionale. Gli articoli che seguono riportano gli elementi  più significativi emersi a fattore comune dalle discussioni e condivisioni delle esperienze. Gli ambiti considerati sono stati il team di docenti di un corso integrato, la relazione tra docenti e personale tecnico-amministrativo e il lavoro di gruppo inter-professionale, forse il più sfidante contesto del prossimo futuro.

Fabrizio Consorti

  1. Lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato

Giuseppe Familiari (Conduttore), Licia Montagna, Roberta Misasi e Maria Filomena Caiaffa

Premessa

Il lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato (CI) riveste un aspetto cruciale per il corretto svolgimento del CI, soprattutto quando debbano essere integrate in modo efficace competenze multidisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari. Esso deve essere calibrato in relazione ai modelli organizzativi diversi dei CI dell’intero Corso di Laurea, soprattutto in riguardo alla fase iniziale (scienze di base), alla fase intermedia (fase pre-clinica) e alla fase finale del percorso formativo (fase clinica).

Debbono essere inoltre tenuti presenti i diversi modelli organizzativi dei CI nei confronti dell’organizzazione generale del Corso di Laurea, che può essere di tipo “tradizionale”, con maggiore attenzione all’integrazione orizzontale o di tipo “innovativo” con maggiore attenzione all’integrazione verticale. Deve ancora essere fatto riferimento ai modelli organizzativi diversi di integrazione nelle attività teoriche in aula, in relazione maggiormente con il sapere dello studente (Knowledge) e nelle attività pratiche a piccoli gruppi, molto più importanti, in relazione al saper fare e al saper essere dello studente (Competence, Performance, Action, Identity).

Asse centrale, nel gioco delle relazioni interpersonali in contesti complessi come quello medico, è senza dubbio la gestione del core curriculum del corso integrato, in riferimento a quei contenuti dell’apprendimento che debbono condurre alle abilità e alle competenze richieste alla laurea, con raggiungimento di un buon livello di professionalità (professionalism) o identità professionale (professional identity).

La gestione del core curriculum del CI deve infine rispettare due paradigmi importanti, deve cioè concordare, in relazione all’assetto generale specifico di ogni Corso di Laurea, con:

L’assetto verticale del curriculum, concordato come presupposto formativo dei CI in sequenza temporale, in riferimento al metodo scientifico, alla rilevanza fisio-patologica, al ragionamento clinico, alla consapevolezza del proprio ruolo;

L’assetto orizzontale del curriculum, inteso come sub-analisi del curriculum verticale, in relazione ai contenuti, alle propedeuticità, alle competenze dei docenti, alla progressione nei semestri, agli approfondimenti concordati.

Una integrazione efficace del core curriculum è alla base ed è basata sulla effettiva collaborazione tra docenti e studenti, presupposto irrinunciabile per condurre alla costruzione dell’ identità professionale di questi ultimi.

E’ importante sottolineare come il lavoro di gruppo all’interno del singolo CI, in piena sintonia con gli Studenti, debba essere condotto sui principi di collaborazione franca e leale con gli Studenti, utilizzando i principi di base della pedagogia (FAIR):

Feedback: monitorizzare la progressione degli Studenti sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi formativi;

Activity: lavorare “con” gli Studenti per un apprendimento attivo e non passivo;

Individualization: porre attenzione ai bisogni individuali di ogni singolo Studente, in relazione al raggiungimento degli obiettivi didattici;

Relevance: rendere l’insegnamento strettamente correlato agli obiettivi generali di apprendimento/competenze del Corso di Laurea.

Ovviamente, anche i rapporti tra i Docenti del CI debbono essere pienamente funzionali e basati sul rispetto, la lealtà e la correttezza reciproca, utilizzando i principi del modello SPICES di Harden, là dove la scala dell’integrazione (The integration ladder) prevede che vi sia: “greater central planning, greater communication between teachers, less emphasis on disciplines”.

La gestione di un CI è obbligatoriamente non facile e tale da richiedere grande attenzione; la sintesi dei punti fondamentali per una gestione di qualità deve prevedere:

– La pianificazione del CI, partendo dalle unità didattiche elementari (UDE), che sia davvero integrato (copresenza, correlazione pianificata in anticipo, ecc.);

– La pianificazione delle modalità di esame e valutazione coerente con gli obiettivi formativi del corso (esame veramente integrato e non prove singole, modalità di esame congrue con le conoscenze, le abilità e le competenze definite nel core curriculum,ecc.);

– Il ruolo centrale del coordinatore del CI che deve essere affidato a un Docente fortemente motivato (non è un notaio che prende atto dell’orario nell’aula, ma rende fattiva e possibile l’integrazione vera delle UDE, scioglie i contrasti, pianifica e concorda le copresenze, ecc.).

Le esperienze delle sedi

Nell’ambito del Laboratorio Pedagogico, sono state presentate e discusse le esperienze di tre sedi, che sono qui di seguito riassunte.

“Sapienza” Università di Roma, Corso di Laurea “C”

E’ stata presentata una interessante esperienza di lavoro di gruppo nella ristrutturazione del biennio clinico a maggiore caratterizzazione professionalizzante, per lo sviluppo della competenza medica.

L’idea è nata da una esigenza di dare un senso maggiormente compiuto alla struttura delle Medicine e Chirurgie I, II, III, CI del quinto/sesto anno di corso; Medicina e Chirurgia I integrata con l’Oncologia, Medicina e Chirurgia II con le Patologie Geriatriche, Medicina e Chirurgia III comprendente tutto il resto ma senza un programma ed un’organizzazione definiti.

In una serie di riunioni nella Commissione Tecnico Pedagogica è stato costruito un percorso di formazione per competenze, utile a garantire, a tutti gli studenti, un periodo di internato in medicina, chirurgia, medicina generale.

Vi sono state due fasi, una prima, dedicata al lavoro di gruppo in CTP per organizzare i CI e una seconda fase di lavoro di gruppo fra i docenti coinvolti nella realizzazione delle diverse attività. Sono state individuate la metodologia per l’attività frontale, la suddivisione dei problemi clinici essenziali, i metodi didattici specifici, la metodologia dell’attività pratica, i compiti dei tutor clinici, i compiti degli studenti.

Tra le attività di programmazione svolte debbono essere citati: lo studio in simulazione dei problemi clinici essenziali; la pianificazione in aula di metodologie didattiche specifiche, con discussione e metodologie di tipo professionalizzante; la raccolta  di casi clinici visti nei vari reparti frequentati durante il biennio clinico inclusa la frequenza dal MMG; la raccolta di schede narrative e brevi racconti di episodi vissuti durante il biennio clinico particolarmente significativi per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità medica; l’acquisizione in autonomia delle abilità essenziali previste dal libretto delle attività pratiche.

Il lavoro iniziale di reclutamento dei docenti è stato lungo e faticoso, in quanto essi dovevano avere disponibilità di reparto, conoscenze, passioni e attitudini diverse, voglia di partecipare. Malgrado le continue riunioni, continua però ad essere difficile mantenere una rigida distribuzione di compiti che eviti sovrapposizioni ed inutili ripetizioni.

Milano Humanitas, Corso internazionale in lingua inglese

L’esperienza presentata si riferisce alla ristrutturazione del corso, in riguardo alla organizzazione integrata del primo anno di corso. Viene, nello specifico presentato il lavoro svolto nella organizzazione di due CI.

Nel CI Body at Work (Fisica, Anatomia Umana, Biochimica, Fisiologia) è stato in particolare istituito un CdCI; vi è stata piena condivisione dei contenuti e dei metodi del corso, condivisione dei temi longitudinali del Priority Presenting Problems Portfolio (PPPP), la stesura di un syllabus, la definizione delle modalità d’esame.

I CI sono stati migliorati estendendo  la condivisione dei temi longitudinali del PPPP agli altri CI, lavorando sulla stesura di un syllabus integrato anche sugli altri corsi.

Grande lavoro di gruppo è stato fatto sulle modalità d’esame, prevedendo, sempre per lo stesso corso in esempio, un esame scritto tramite multiple choice test, il cui superamento garantisce l’accesso all’esame orale con i docenti, la revisione del compito e la discussione di un argomento del PPPP.

In questo processo di rinnovamento è stata data particolare enfasi al ruolo del coordinatore di CI, che condivide i principi e i metodi didattici del corso, sa costruire committment tra i colleghi e si confronta con il presidente del CDL e l’ Office for medical Education, supervisiona il syllabus, lavora a stretto contatto con il responsabile della pianificazione e con i colleghi del CI durante la pianificazione, supervisiona le domande d’esame, redige la prova d’esame finale, è referente diretto per gli studenti (domande, chiarimenti ecc..), riceve la valutazione del corso e si fa promotore di modifiche e miglioramenti.

Ateneo di Foggia, Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

L’esperienza presentata per il CLM di Foggia fa riferimento soprattutto alla situazione attuale e agli sforzi che il Presidente del Corso di Laurea sta mettendo in atto per il suo miglioramento. L’Università di Foggia è un Ateneo di media dimensione, con 16 Corsi di Studio di Area Medica (5 decentrati), 56 professori e 57 ricercatori/prof aggregati. Al Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia frequentano 80 studenti per anno. I CI sono organizzati sulla base di un modello tradizionale con «integrazione orizzontale».

Dall’analisi SWOT della situazione attuale emergono dei punti di forza, caratterizzati dalla omogeneità nell’organizzazione dei CI della fase iniziale, intermedia e finale; da una buona pianificazione dei CI e chiari obiettivi formativi; una evoluzione positiva del ruolo dei coordinatori di CI; l’integrazione dei contenuti e dei programmi dei CI in via di miglioramento; alcune criticità evidenziate anche dalla site-visit della CPCLMMC 2014, sono state obiettivo di miglioramento del Rapporto di Riesame annuale e ciclico 2016.

La stessa analisi SWOT evidenzia delle criticità quali le modalità di esame da migliorare (nell’integrazione); l’approccio individualistico nell’insegnamento della disciplina in alcuni moduli didattici; difficoltà a gestire la co-presenza dei docenti a lezione, in relazione al numero limitato di docenti con carico didattico importante nei diversi CdL.

E’ stata pertanto ribadita l’utilità reale del rapporto del riesame annuale e ciclico, da interpretare correttamente non come impegno burocratico, ma come effettivo strumento per il miglioramento della qualità didattica.

  1. Lavoro di gruppo interprofessionale

Davide Festi, (Conduttore), Maria Grazia De Marinis, Lorenza Garrino, Paolo Leombruni, Daniele Santini. Erano inoltre presenti: Fabrizio Consorti, Pietro Gallo e Rappresentati del SISM.

Dopo una breve introduzione incentrata  sulle definizioni di educazione interprofessionale, sia quella dell’OMS del 1988 che quelle del  CAIPE del 1997 e del 2006, sulla normativa  esistente  e sulle scarse evidenze scientifiche disponibili relative all’impatto della educazione interprofessionale sugli esiti clinici, sono state riportate alcune esperienze effettuate a Roma ed a Torino.

Maria Grazia De Marinis e Daniele Santini, del Campus Biomedico di Roma hanno presentato una esperienza di didattica simulata interprofessionale, che ha coinvolto studenti di Medicina e Chirurgia e studenti di Infermieristica, con l’obbiettivo  di esplorare i differenti ruoli professionali; valorizzare le diverse competenze, incoraggiare la comunicazione e la fiducia  tra i membri del gruppo; imparare ad esprimere emozioni, stati d’animo e necessità di aiuto nel gruppo; riflettere sulle difficoltà a ricevere e riferire commenti/apprezzamenti sul proprio lavoro.

Il seminario si è svolto attraverso le seguenti fasi:

  1. Analisi di un incidente critico: con l’obiettivo di offrire ai ragazzi la possibilità di riflettere, in gruppi di 6 persone, su una situazione di interprofessionalità in cui direttamente o indirettamente hanno partecipato nel loro tirocinio.

Gli è stato chiesto di descrivere una situazione ritenuta critica, che pensavano potesse essere gestita diversamente, attraverso la ricostruzione di emozioni, azioni, clima e modalità di lavoro, fornendo esempi chiari e concreti di comportamenti o parole osservate e di spiegare perché  dal loro punto di vista la situazione è stata ritenuta critica.

  1. Scrittura della trama per il Role Playing: il gruppo ha ricevuto l’invito a definire una semplice trama, utilizzando il contenuto dell’incidente critico e stabilendo cosa doveva essere detto e fatto  dai personaggi. In particolare, la trama richiedeva la descrizione di: dove accade; quando accade; a chi accade; che rapporti ci sono tra queste persone (relazione); di cosa si tratta (problema).
  2. c) Realizzazione del Role Play in quattro fasi:

due studenti hanno interpretato rispettivamente il ruolo del medico e dell’infermiere cercando di risolvere la situazione critica, così come descritto preliminarmente nella trama

“inversione dei ruoli”: il ragazzo che prima ha interpretato il medico ha poi interpretato l’infermiere e viceversa;

introduzione  dell’”io ausiliare”: è servito per suggerire ai due protagonisti nuovi punti di vista e nuovi comportamenti;

“sostituzione” dei ruoli: due nuovi ragazzi interpretano la scena per cercare di affrontare il problema con dinamiche differenti dalla precedente.

  1. d) Il feedback: è stata analizzata la registrazione della scena, sono stati raccolti i feedback dei partecipanti, si sono confrontate le differenti prospettive di analisi e i vari punti di vista conclusivi.

Da parte degli studenti è emerso: un’indicazione ad una comunicazione più chiara e diretta tra le diverse figure professionali; una considerazione sulle capacità di mettersi nei panni dell’altro per comprenderlo meglio;  la necessità di ri-conoscere il proprio ruolo e quello dell’altro e  di non essere intimoriti nel chiedere aiuto quando si sta gestendo una situazione critica.

La seconda realtà discussa all’interno del Laboratorio ha riguardato l’esperienza maturata in questi ultimi anni presso l’Università di Torino.

Lorenza Garrino e Paolo Leombruni hanno presentato alcune iniziative promosse dalla SIPeM sezione Piemonte  e VdA e realizzate come prima ricaduta del Congresso Nazionale svoltosi a Torino nel Maggio 2010. Sono stati tenuti, nel corso di più anni, workshop volti ad analizzare l’importanza dello sviluppo di una collaborazione interarea tra le varie figure sanitarie con simulazioni volte a stimolare il lavoro di gruppo e una maggiore consapevolezza delle capacità e responsabilità del proprio ruolo al fine di riuscire nella risoluzione di situazioni critiche. In particolare sono state organizzate due giornate di studio e lavoro, il 24 settembre 2010 e 11 settembre 2011, dal titolo ”Formazione alla interprofessionalità nei corsi di base della Facoltà di Medicina” alla quale hanno partecipato più di sessanta docenti universitari  e professionisti delle aree socio-sanitarie ed educative. Ai partecipanti sono stati proposti gruppi di studio interprofessionali da sperimentare nelle sedi appropriate, con la finalità anche di realizzare un percorso  triennale all’interno del corso di Medicina.  Obiettivi del percorso, partendo dai bisogni evidenziati, erano quelli di rendere lo studente in grado di descrivere le regole della comunicazione (grammatica della comunicazione, ascolto attivo); negoziare nel gruppo soluzioni condivise; utilizzare strumenti comunicativi efficaci. Una ulteriore iniziativa sull’interprofessionalità  ha riguardato la realizzazione di laboratori gesti o skill lab, gestiti da tutor infermieristici ai quali partecipano gli studenti di Medicina del primo triennio. A partire dall’Anno Accademico 2011-2012 è stata realizzata presso i corsi di laurea delle professioni sanitarie e il corso di laurea in medicina una attività elettiva interprofessionale  dal titolo “ Il caregiver : l’alleanza terapeutica nell’assistenza domiciliare in una prospettiva interprofessionale”, indirizzata alle professioni infermieristica, medica, riabilitative (fisioterapista, logopedista) ed agli educatori professionali.

Una ulteriore esperienza riguarda la collaborazione tra il corso di laurea in infermieristica di Torino e l’Università  Modena –Reggio, nata all’interno del master “Metodi e strumenti per l’insegnamento clinico della medicina generale nelle cure primarie” relativa alla partecipazione del paziente esperto nella formazione e nelle cure, in una ottica di interprofessionalità. Il presupposto è la sempre maggiore valorizzazione dell’esperienza che il paziente porta con sé quando arriva al professionista,  delle sue preoccupazioni, dei suoi desideri, delle sue conoscenze e della sua consapevolezza sulla sua situazione. IN un tale approccio il paziente diventa alleato, partner e viene valorizzata la sua esperienza nel percorso di cura ed a una migliore qualità di vita nelle diverse fasi di malattia.

L’esperienza fatta a Torino consente di concludere e prospettare la necessità di:

– implementare la formazione interprofessionale nei corsi di base per migliorare la comunicazione interprofessionale;

– una progettazione formativa interprofessionale attraverso l’identificazione di interventi mirati a favorire la conoscenza degli altri professionisti, la realizzazione di percorsi di tirocinio comune tra studenti di discipline diverse, incontri per favorire la comunicazione interprofessionale ed il confronto

– valorizzare e sviluppare il partenariato con i pazienti ed i care giver nella formazione e nelle cure.

In ultimo il gruppo di lavoro, rispondendo alla richiesta fatta dalla Presidenza, ha identificato:

1)  le cinque parole  relative al buon funzionamento dei gruppi: comunicazione, affiatamento, definizione dei ruoli, inclinazione alla leadership, sperimentazione.

2) le cinque parole relative alla criticità dei gruppi: necessità di una valutazione delle esperienze realizzate, numerosità (difficoltà nel rendere queste esperienze accessibili a più studenti dei corsi di laurea, valutazione della possibilità di inserire anche dei corsi ADE nel piano di studi, strutturati su più anni al fine di permettere in base alle competenze sviluppate dagli studenti analisi di problemi differenti); diffidenza (tra le figure in questione);

3) le cose da NON fare: mettere in un’aula tutti gli studenti; chiamare una lezione frontale “lezione sull’interprofessionalità”;

4) le cose da fare: necessità di esperienze di simulazione condivise; identificare gli spazi più idonei (es. tavoli tondi dove più studenti possono lavorare insieme); identificare le strategie di collaborazione più idonee e concrete; conoscenza dei valori reciproci delle diverse figure sanitarie.

  1. Lavoro di gruppo con il personale tecnico-amministrativo

Bruno Moncharmont (Conduttore), Maurizia Valli, Tiziana Bellini ed Anna Bossi

I normali processi di progettazione e gestione dei corsi di studi prevedono numerosi interazioni tra i docenti con ruoli di responsabilità (presidente del corso di studio, componenti della commissione tecnico pedagogica, gruppi per l’assicurazione della qualità) e tra il personale tecnico amministrativo della segreteria didattica, della segreteria studenti e degli altri uffici centrali dell’ateneo. Lo svolgimento armonico dei processi implica, però, frequenti e fondamentali interazioni tra i docenti e personale tecnico amministrativo. L’esperienza ci mostra che tale interazioni sono quasi sempre estreme: in alcuni casi armoniche, perfettamente funzionali e collaborative in altri disastrose, con il risultato di creare sovente ingiustificati ritardi nei processi. Il mandato del laboratorio era quello di comprendere, attraverso una analisi delle esperienze riferite da alcune sedi, quali erano gli elementi che costituivano un ostacolo all’instaurarsi di un rapporto operativo di gruppo tra docenti con ruoli di responsabilità nella gestione del corso di studi ed il personale tecnico amministrativo coinvolto nei processi di progettazione e gestione delle attività didattiche.

Maurizia Valli presidente del CL M di Pavia ha presentato le esperienze con la Segreteria studenti, Tiziana Bellini, presidente del CLM di Ferrara, quelle con la Segreteria didattica, con una particolare enfasi sull’importanza della funzione del manager didattico, ed infine Anna Bossi presidente del CLM di Milano statale-polo centrale quelle con Ufficio statistico di ateneo. Dalla animata discussione con gli altri partecipanti al laboratorio è emerso che una parte delle principali cause che ostacolano l’armonico sviluppo delle interazioni in un lavoro di gruppo sono di tipo strutturale-organizzativo:

– difficoltà di accesso ai dati (tipologie differenti di database ed aggiornamento non sincrono)

– scarsa integrazione tra sistemi software;

– rigidità nell’utilizzo delle applicazioni per la mancanza di manuali utente e per una insufficiente o inadeguata formazione;

– linguaggio utilizzato nella gestione degli aspetti didattici non sempre corrispondente a quello utilizzato per gli aspetti amministrativi;

– poca formalizzazione delle procedure e prevalente ricorso alla memoria storica;

– sostituzione di ruoli tra docenti e PTA su particolari aspetti.

L’altra parte delle criticità sono da annoverarsi sul lato relazionale:

– input e/o richieste antitetiche al personale tecnico amministrativo da parte del corso di studi e della struttura amministrativa;

– prevalenza della dimensione relazionale rispetto a quella organizzativa;

– formale divisione scientifica del lavoro;

– personalizzazione delle priorità lavorative;

– pregressi ed irrisolti conflitti intragruppo e di categoria;

– conflitti personali di relazione (componenti emozionali ed affettive) ed incompatibilità caratteriale;

– ambivalenza del peso dell’anzianità nella posizione;

– utilizzo del know-how talvolta capzioso e strumentale;

– rigidità nella sostituibilità professionale delle risorse disponibili;

– mancanza di strumenti premiali o punitivi.

Sebbene la durata limitata del laboratorio non abbia consentito di analizzare tutti questi aspetti con il dovuto approfondimento, è comunque chiaramente emerso che alcune semplici azioni (sottoelencate) potrebbero consentire di sfruttare al meglio le opportunità che lavoro di gruppo può offrire (conoscenza dei problemi degli altri, condivisione delle criticità, configurazione di soluzione ottimale);

– analisi puntuale dei processi, con definizione di procedure che indichino chiaramente tempi, strumenti e responsabilità;

– formazione ed aggiornamento contestuale del personale tecnico amministrativo e dei docenti con ruoli di responsabilità sugli strumenti di gestione della didattica e di assicurazione della qualità (ad esempio procedura esse3, SUA-csa).

  1. Considerazioni conclusive

Maria Grazia Strepparava (Milano Bicocca)

I lavori pomeridiani sulle dinamiche di gruppo sono stati pensati con uno scopo esplicito ed uno implicito. Lo scopo esplicito, ed esplicitato, ai partecipanti era innescare la riflessione condivisa sui diversi ambiti in cui i Presidenti si trovano a utilizzare il lavoro di gruppo. Lo scopo implicito, meno facile da trattare e soprattutto più complesso da trasformare in un oggetto di lavoro, era portare all’evidenza dei partecipanti l’importanza e la centralità che gli aspetti di comunicazione, interazione e relazione hanno nel facilitare, rallentare, ostacolare o promuovere il lavoro di  un  gruppo di persone.

Nella fase di progettazione di queste attività è stato immediatamente evidente che non sarebbe stato eccessivamente difficile aiutare i partecipanti ad individuare e portare poi alla discussione in plenaria gli aspetti relativi  al tipo e ai contenuti delle attività svolte in gruppo nei diversi luoghi del sistema formativo universitario: gli “oggetti” intorno ai quali si strutturano le diverse situazioni in cui si lavora in gruppo sono ben definibili e si va dallo sviluppo delle pratiche interprofessionali nella formazione e nel lavoro clinico, al lavoro di gruppo per la gestione di tutto ciò che entra nel campo di attività della CTP, ai molteplici oggetti di lavoro che portano la componente universitaria a interfacciarsi con il personale tecnico e amministrativo, per arrivare al lavoro collettivo dei docenti intorno alla progettazione dei corsi integrati. Altrettanto chiaro era che ben più complesso e poco ovvio sarebbe stato facilitare l’emergere delle rappresentazioni individuali che sono lo sfondo delle pratiche condivise (Wenger, 1996) del lavoro in gruppo: il modo in cui ciascuno – docente, studente o tecnico – pensa al proprio ruolo, ai propri compiti, ai propri obiettivi a breve e a lungo termine e agli obiettivi dell’istituzione stessa, è un sistema di immagini che orienta l’agire quotidiano di ognuno. Ugualmente nascoste sullo sfondo sono le caratteristiche dell’interazione e della relazione che si imposta e progressivamente si sviluppa tra persone che lavorano insieme. Queste dinamiche sono determinate dalle rappresentazioni di sé e dell’altro, dalle aspettative sui comportamenti altrui e propri, dal clima emotivo che si crea nel gruppo di lavoro e dai meccanismi individuali e collettivi di regolazione affettiva, in poche parole costituiscono il profilo relazionale del gruppo stesso e determinano lo stile di lavoro del sistema (Wenger, 1998).

Per favorire il lavoro sugli aspetti della conoscenza tacita, meno immediatamente accessibili alla riflessione individuale e condivisa, si è deciso di utilizzare stimoli che spostassero l’attenzione dalle rappresentazioni cristallizzate e consapevoli, facilitando l’accesso anche alla qualità emotiva dell’esperienza: come ci si sente nel trovarsi in una data situazione o nel vivere una certa esperienza. È stato così dato mandato ai quattro conduttori – dopo aver dedicato agli aspetti espliciti la parte iniziale del tempo a disposizione – di proporre al gruppo le domande sotto elencate.

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Pensando alle situazioni di lavoro che avete trattato nel vostro gruppo (CTP; Corso Integrato; Interprofessionalità; Personale tecnico-amministrativo) individuate:

– quali sono le cinque parole per definire le criticità,

– quali sono le cinque parole per definire il  “buon lavorare”

– quale immagine descrive quando le cose “vanno male” nel lavoro di gruppo

– quale immagine descrive quando il gruppo “funziona bene”

– quali sono le tre cose da NON fare

– quali sono le tre cose da fare

Alla base queste richieste ci sono alcune considerazioni: le parole sono etichette linguistiche che usiamo per condensare esperienze complesse e sono rappresentate in modo distribuito nella mente (Barsalou, 2008; Lakoff, Johnson, 1999); i termini del linguaggio o le metafore e le analogie che usiamo nel discorso evidenziano le dimensioni per noi salienti di ciò a cui ci riferiamo, il senso dell’esperienza (Lakoff, 1987) e le parole corrispondono a stati mentali e alla loro controparte fisica di cui spesso non siamo del tutto consapevoli, ma che orientano le nostre reazioni alle diverse situazioni in modo implicito (Gallagher, Hutto, 2008): un conto è “parlare degli aspetti del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo” e un altro e ben diverso conto è “parlare dei problemi del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo”: la rappresentazione costruita nella mente di chi parla e nella mente di chi ascolta è differente; non sempre chi parla e seleziona i termini del linguaggio, è consapevole delle sfumature che la sua scelta linguistica ha e dell’effetto sugli altri. Le parole da un certo punto di vista sono dei “punti di vista” sul mondo, possono chiudere o aprire prospettive, definire percezioni, far emergere in trasparenza modi di sentire, sono alla base della nostra costruzione della realtà .

Associare un’immagine a un concetto è un’altra strategia per avere accesso alle nostre conoscenze tacite – sempre sulla base dei principi del modello della embodied cognition, o grounded cognition per spiegare la rappresentazione della conoscenza (Varela, Thompson, Rosh, 1991; Damasio 1999; Gallagher, 2007). La richiesta di visualizzare specifiche azioni ha l’obiettivo di spostare l’attenzione dal piano semantico, astratto, al piano della memoria episodica, che è appunto memoria che integra, contestualizzandola, percezione e azione, facilitando l’accesso alla ricostruzione soggettiva dell’esperienza.

Nella tabella 1 sono riportate le sintesi delle risposte dei quattro gruppi. È facile vedere che vi sono alcune parole che ricorrono trasversalmente tra tutti i quattro gruppi di lavoro, permettendo di individuare alcuni campi semantici condivisi. Ugualmente però ogni gruppo presenta una sorta di filo rosso, di trama di significato che in un certo senso ne costituisce il profilo.

Un sistema di termini che ricorre in tutte le risposte ha per core il concetto di “condivisione”, sia concettuale (concertare, programma condiviso, conoscenza reciproca, strategie di collaborazione), sia fisico/emotiva (affiancamento, contatto quotidiano, condividere, senso di appartenenza, partecipazione):  partecipare non è solo mettere insieme le cose, ma agire insieme e nell’agire sentirsi insieme.

Un altro tema ricorrente, solo all’apparenza contrapposto al sentirsi-con con è la delimitazione dei ruoli, il mantenimento del senso della propria identità e della propria funzione dentro la percezione collettiva. I gruppi vivono anche della delicata dinamica tra il senso di appartenenza e, di fusione collettiva, di mancanza di confini, e la definizione di sé e il mantenimento della propria identità: per un buon funzionamento gruppale i processi intragruppo (io nel gruppo in relazione con gli altri componenti del gruppo) e intergruppo (noi in quanto gruppo verso altri gruppi o altri individui),  devono essere in equilibrio dinamico. L’identità di ruolo emerge come un aspetto costitutivo della percezione professionale di sé, aprendo alla domanda se vi sia e quale sia il legame tra l’assunzione di ruolo e il potere, cui non è certo possibile dare qui una risposta.

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Ancora più interessante rispetto alle riflessioni sul linguaggio, le considerazioni che possiamo fare sulla scelta delle immagini. La prima, e più evidente, è che tra i moltissimi quadri possibili ben due gruppi su quattro hanno scelto esattamente la stessa immagine (l’Urlo di Munch, Fig. 1) per rappresentare “quando il gruppo va male”. La formulazione della frase è stata lasciata volutamente ambigua, generale e fatta in uno stile colloquiale, per dare ai partecipanti quanti più gradi di libertà possibili. Sarebbe interessante chiedere ai componenti dei gruppi come sono giunti a questa scelta, a cosa hanno associato l’immagine (disperazione o impotenza davanti al conflitto? sconforto per l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi? assoluta mancanza di senso davanti alla confusione? pura emozione?), ma certamente la convergenza ci dice che c’è un tessuto di esperienza condivisa e significativa. In fondo anche nell’immagine del manicomio c’è la mancanza di senso, il caos, la disperazione, l’impotenza. Più variegate le immagini del gruppo ben funzionante: il popolo unito, un ingranaggio che funziona senza intoppi, qualcosa in cui ogni parte ha un posto ed è al suo posto. In alcune immagini c’è movimento e azione, in altre un quadro statico e organizzato. Stasi e movimento che ritroviamo nelle parole che ciascun gruppo ha scelto e nelle azioni indicate: il puzzle si accompagna alle parole integrazione, pianificazione, programma, riproducibilità; il meccanismo a funzioni, organizzazione, comunicazione, ruoli. Un ingranaggio è un sistema di parti che si muovono con sincronia, fisicamente connesse, e questo è proprio il gruppo che fa riferimento alla presenza e vicinanza fisica. Nel gruppo che ha scelto il Quarto Stato (Fig. 2), e la Battaglia di Anghiari (Fig. 3) il campo semantico delle azioni ci porta invece alla contrapposizione tra partecipazione/concertazione e accentramento/sopraffazione, che bene riflette il senso della lotta di popolo delle due immagini.

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Si potrebbe proseguire ancora nell’identificare i rimandi che legano parole concetti e immagini, ad esempio il filo dell’agire sperimentante (ricerca, sperimentazione, strategie, azione collettiva) che caratterizza la rappresentazione che sta sullo sfondo della riflessione di uno dei gruppi. Ma non dobbiamo dimenticare un punto essenziale: se ci poniamo nell’orizzonte filosofico e concettuale  del costruttivismo (Von Glaserfeld, 1984) ogni descrizione di un fenomeno avviene da una specifica prospettiva, è fatto da un lettore/narratore, parte da un certo punto vista: non esiste una sola verità assoluta, ma molteplici prospettive e la conoscenza quel sistema complesso che integra prospettive differenti, nessuna più vera di un’altra.

Il mio invito quindi ai lettori è guardare le griglie dal loro punto di vista e vedere quale rete di rimandi si delinea nella loro mente. Buon divertimento.

Bibliografia

1) Barsalou L., 2008, Grounded Cognition, W. Annu. Rev. Psychol. . 59:617–45

2) Damasio A. R., 1999, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness [trad. it. Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000].

3) Gallagher S.,  Hutto D. 2008, Understanding Others through Primary Interaction and Narrative Practice, in J. Zlatev, T. Racine, C. Sinha e E. Itkonen (a cura di), The Shared Mind: Perspectives on Intersubjectivity, John Benjamins, Amsterdam, pp. 17-38.

4) Gallagher S. , 2007, Phenomenological and Experimental Research on Embodied Experience, in T. Ziemke, J. Zlatev, R. Frank e R. Dirven (a cura di), Body, Language and Mind, vol. I, Mouton de Gruyter, Berlin, pp. 241- 63.

5) Lakoff, G. , 1987,. Women, fire and dangerous things: what categories reveal about the mind. Chicago and London: The University of Chicago Press.

6) Lakoff, George. Johnson Mark., 1999. Philosophy in the flesh. The embodied mind and its challenge to Western thought. New York: Basic Books.

7) Varela FJ, Thompson E, Rosh E. 1991. The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, MIT press, Cambridge, Mass.

8) Von Glaserfeld, E., An introduction to radical constructivism, in p. watzlawick, the invented reality, Norton, New York, 1984, pp 17-40 (tr.it. La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1987).

9) Wenger E. Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge University Press, New York 1998; tr. it. Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano 2006

10) Wenger E., 1996, Communities of practice: the social fabric of a learning organization,

11) Wenger E., 1996. How we learn. Communities of practice. The social fabric of a learning organization. Healthc Forum J. 1996 Jul-Aug;39(4):20-6.

Cita questo articolo

Consorti F., Familiari G., Festi D., et al., Esperienze di lavoro di gruppo, Medicina e Chirurgia, 71: 3242-3250, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-6