Notiziario

Consiglio Universitario Nazionale

Nel periodo immediatamente precedente la pausa estiva e la successiva ripresa autunnale il lavoro del CUN ha riguardato diversi temi, primo fra tutti, alla fine di luglio, è stato formulato il parere richiesto e obbligatorio  su “Determinazione dei valori-soglia degli indicatori da utilizzare per la valutazione della qualificazione scientifica degli aspiranti commissari e per la valutazione dei candidati ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale per l’accesso alla prima e alla seconda fascia di professori universitari”, dopo il quale è stata avviata la nuova ASN. Come è noto le principali differenza con le precedenti tornate sono la possibilità di presentare la domanda praticamente in ogni periodo dell’anno con un meccanismo praticamente a  “sportello”, la sostituzione delle mediane con valori soglia ed altro. Per chi volesse approfondire i riferimenti normativi sono i seguenti:

D.M. 29 luglio 2016, n. 602

DPR 95 del 4 aprile 2016 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n.130 del 6 giugno 2016.

DM n.120 del 7 giugno 2016 pubblicato su Gazzetta Ufficiale n.155 del 5 luglio 2016.

A Settembre sono state formulate: Osservazioni su “Linee guida per l’accreditamento periodico delle sedi delle università e dei Corsi di Studio” (AVA 2.0) che voglio essere uno spunto di riflessione per la formulazione di proposte nell’ambito del processo di revisione di AVA proponendo una semplificazione nei diversi adempimenti. Il documento completo è sul sito www. cun .it ( osservazioni  del 7/9 /2016)

E’ stato formulato un parere su Parere su «Allegato 3 del DM 635 dell’8/8/2016 corsi di studio prevalentemente a distanza e integralmente a distanza» nel quale vengono identificate le “classi che prevedono, per il perseguimento di specifici obiettivi formativi, particolari attività pratiche e di tirocinio, ovvero che prevedono la frequenza di laboratori ad alta specializzazione,”  e per le quali la formazione a distanza deve essere attentamente disciplinata.

Alla fine di settembre è stato pubblicato il documento “ Keywords CUN per l’identificazione del profilo scientifico dei ricercatori” in cui l CUN , propone nell’ambito di una collaborazione istituzionale con il CNGR, alla comunità scientifica un nuovo elenco aggiornato di parole chiave utili all’identificazione del profilo scientifico dei ricercatori. ( consultabile sul sito www.cun.it)

Infine con  l’ordinanza ministeriale del 7 ottobre 2016 il MIUR ha indetto nei giorni compresi tra il 19 ed il 25 gennaio 2017 le votazioni per l’elezione dei componenti del Consiglio Universitario Nazionale, in rappresentanza delle seguenti aree scientifico – disciplinari : 01,  02, 04, 06, 08, 11 e 14.

Per ciascuna delle predette aree sono eletti:

– n. 1 professore di I fascia;

– n. 1 professore di II fascia;

– n. 1 ricercatore, anche a tempo determinato.

Le votazioni avranno luogo tra le ore 9,00 e le ore 17,00, escluso il sabato. Il giorno 25 gennaio 2017 le operazioni di voto termineranno alle ore 14.00.

Quindi anche l’area Medica dovrà nuovamente eleggere i propri rappresentanti.

Manuela Di Franco

Segretario CUN

 

Agenzia Nazionale Valutazione Università e Ricerca

Terminata la complessa procedura di proposizione delle soglie da parte di ANVUR per accedere al giudizio da parte delle Commissioni per l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), sono scaduti ormai i termini per la presentazione delle relative domande per partecipare al sorteggio per la nomina di Commissario. Si attende quindi che il MIUR, che nel frattempo ha pubblicato sul suo sito i CV dei Colleghi che hanno fatto domanda, inoltri ad ANVUR la lista completa per la verifica del possesso dei requisiti, o meglio del raggiungimento di due soglie su tre; solo allora il Ministero potrà procedere al sorteggio. Sarebbe auspicabile, ed è stato da noi sottolineato, che quest’ultimo possa avvenire entro il termine previsto dalla legge per consentire ai Colleghi che saranno collocati a riposo nel prossimo anno accademico di vedere soddisfatta la legittima ambizione di entrare a far parte delle Commissioni stesse.

E’ in uscita a breve il DM sull’accreditamento delle sedi: esso avviene su proposta dell’ANVUR come noto; può essere un accreditamento iniziale, a seguito della verifica del possesso dei requisiti attraverso le procedure descritte dalle relative linee guida dell’ANVUR.

Può invece essere  un accreditamento periodico che avviene a seguito di

visite in loco delle CEV, analisi dei dati della relazione annuale dei Nuclei di Valutazione, analisi dei dati provenienti dalla SUA-CDS, dalla SUA-RD, analisi degli indicatori previsti dal MIUR, su indicazione dell’ANVUR.

Per quanto riguarda la proposta condivisa sia dal MIUR che dal Ministero della Salute di procedere speditamente ad un accreditamento, o almeno valutazione, del livello scientifico dei Membri universitari del Collegio di docenza delle Scuole di Specializzazione, si segnala che ANVUR, d’intesa ed in stretta contiguità con l’Osservatorio, sta preparando il data base completo di tutti Docenti degli SSD qualificanti delle Scuole: la relativa richiesta è già stata inoltrata a tutti i Rettori. Preliminarmente si è ritenuto, sempre d’intesa con l’Osservatorio, di utilizzare la VQR per tali valutazioni, in quanto unico strumento di valutazione cui presumibilmente si sono sottoposti tutti i Colleghi Docenti. Per VQR, e qui termino, si auspica ovviamente potersi intendere la VQR che dovrebbe terminare il 31 Ottobre p.v. Ricordo che in tal senso l’Intercollegio ha provveduto, lo scorso 26 Settembre, all’audizione del Collega Massimo Volpe, Coordinatore del GEV 6, che, pur con molte cautele, si è mostrato abbastanza ottimista sul buon esito della complessa operazione, pur non potendo ancora fornire garanzie, relativamente al suo GEV, sul rispetto assoluto della data di scadenza prevista.

Paolo Miccoli

Direttivo ANVUR

 

Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

Messina 16 e 17 Settembre 2016

All’apertura dei lavori il, 16 settembre, il Presidente ringrazia per l’ospitalità e per l’organizzazione il Prof. Eugenio Cucinotta, Presidente del CLMMC di Messina, e dichiara aperti i lavori illustrando brevemente l’OdG. Intervengono quindi il Rettore dell’Università di Messina e il Commissario Straordinario della Azienda Ospedaliera Universitaria “G. Martino” di Messina che portano il loro saluto istituzionale e augurano buon lavoro ai Presidenti intervenuti.

Come di consueto il Presidente fornisce gli aggiornamenti sui temi caldi del momento, soffermandosi in particolare sulle problematiche di interesse della Conferenza connesse sia alla nuova tornata dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, sia alle problematiche delle Scuole di Specializzazione.

Stefania Basili presenta lo stato dell’arte delle attività del tavolo misto ministeriale, che vede anche la partecipazione di Giuseppe Familiari per conto della Conferenza Permanente delle Facoltà e Scuole di Medicina e Chirurgia, sul nuovo Esame di Laurea con abilitazione informando che ormai i lavori sono in dirittura d’arrivo, nonostante la complessità del problema e le criticità emerse nel confronto delle varie parti presenti.

Nel pomeriggio si svolge l’Atelier organizzato dal Gruppo Innovazione Pedagogica dal titolo “LA LEADERSHIP NEL LAVORO DI GRUPPO” che prevede un’interessante simulazione, effettuata da due laboratori in contemporanea, di una riunione di CTP in cui i Presidenti e i Vice Presidenti designati si trovano a gestire un gruppo all’interno del quale gran parte dei componenti ha assegnati specifici ruoli, sconosciuti agli altri, al fine di far emergere problematiche simili a quelle che si riscontrano nella realtà. Il risultato è alla fine sintetizzato dai facilitatori/osservatori dei due laboratori, Maria Grazia Stepparava e Federico Zorzi, in una riunione plenaria particolarmente ricca di dibattito sulle metodologie di gestione del lavoro di gruppo in ordine sia agli aspetti relazionali, sia a quelli meramente tecnici. L’impressione collettiva finale è quella di un arricchimento in termini di consapevolezza della necessità di addestramento continuo alla leadership, soprattutto per i colleghi più giovani che si impegnano dell’organizzazione e nel coordinamento della didattica, e di ritorno positivo personale dell’esperienza vissuta nell’atelier.

I lavori sono quindi aggiornati al giorno seguente.

Il Presidente riapre i lavori la mattina del 17 ringraziando di nuovo l’ospite Eugenio Cucinotta anche per la perfetta riuscita della parte sociale del programma culminata, la sera precedente, nella cena sociale con lo splendido scenario dello stretto di Messina illuminato dal plenilunio. Quindi il Presidente affronta la problematica del futuro della Conferenza e del suo ruolo nelle istituzioni e nella pedagogia medica, rimarcando che la presenza ufficiale di un suo rappresentante al tavolo tecnico per il nuovo esame di Laurea con abilitazione insieme alla possibilità, ormai sempre più reale, che in tale contesto l’esame di abilitazione si basi sul modello Progress Test ideato e gestito dalla Conferenza per i CLMMC, sancisca il ruolo della CPPCLMC quale interlocutore istituzionale riconosciuto anche a livello ministeriale. Tale situazione impone che la Conferenza acquisisca una veste giuridica propria, ufficialmente riconoscibile, e quindi il Presidente ritiene opportuna la costituzione di una ASSOCIAZIONE “CONFERENZA PERMANENTE DEI PRESIDENTI DI CONSIGLIO DI CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA” della quale propone uno statuto che prevede essenzialmente il compito di dare supporto gestionale, organizzativo e amministrativo alla CPPCCLMMC delle Università italiane e identifica nel Consiglio Direttivo l’organo di coordinamento del quale declina la composizione. La Conferenza approva all’unanimità la proposta del Presidente.

Carlo Della Rocca presenta alla Conferenza la relazione definitiva del gruppo Editing Core Curriculum che, tramite un lavoro di razionalizzazione e semplificazione, ha proposto una versione che al momento consta 1737 UDE raccolte in quattro aree di apprendimento nel tentativo di facilitare l’utilizzo dello strumento da parte dei CdL. Nel lavoro di omogeneizzazione è stato modificato circa un quarto delle UDE originalmente proposte dalla passata revisione. L’analisi dell’attuale dimostra una coerente distribuzione delle UDE tra le aree di apprendimento per quello che riguarda il grado di conoscenza e il grado di abilità, sebbene, per quest’ultimo, sia forse necessario un incremento delle abilità pratiche. Per quel che concerne il grado competenza, risulta ancora forse troppo rappresentato quello mnemonico. Nella discussione che segue si decide di procedere alla separazione tra le skills vere e proprie e le UDE pratiche, di ribadire che il concetto di Core va riferito alle necessità formative del cosiddetto medico standard e non alle competenze specialistiche e che sarà necessario, nel futuro, trovare sistemi che rendano meglio fruibile lo strumento Core Curriculum. In questo senso la Conferenza ritiene di poter conferire al gruppo Core Curriculum il mandato di:

procedere a un ulteriore sfoltimento delle UDE pensando al Core per il medico standard e non per lo specialista;

– migliorare la generalizzazione;

– concepire linee guida per l’utilizzazione dello strumento;

– simulare la costruzione di un curriculum tipo basato su UDC e utilizzando le UDE approvate.

Isabella Barajon presenta lo stato dell’arte dei corsi in lingua inglese relazionando sui risultati di un questionario distribuito ai Presidenti dei CdL in lingua inglese che, per il momento, ha avuto un’adesione parziale. La situazione appare abbastanza eterogenea, probabilmente anche per la mancanza di un fattivo confronto tra le sedi circa sia le finalità dei corsi, sia delle metodologie didattiche di volta in volta utilizzate. L’interessante dibattito che segue termina con l’auspicio che il confronto si realizzi nell’ambito della Conferenza stessa tramite la partecipazione più assidua dei Presidenti dei CdL in inglese.

Per l’attività dei gruppi di lavoro riferiscono:

Stefania Basili per il gruppo Progress Test che informa sullo stato dell’arte della preparazione del nuovo P.T. e propone l’organizzazione, per gli studenti del VI anno, di un P.T. da effettuarsi alla fine del II semestre come simulazione dell’eventuale nuovo esame di abilitazione, proposta quest’ultima fatta propria dalla Conferenza all’unanimità.

Marco Krengli, per il gruppo MD-PhD, riporta i dati relativi a un questionario conoscitivo sul percorso di eccellenza a livello internazionale per il quale sono stati contattate 32 sedi straniere, prevalentemente europee, e che ha esitato in importanti informazioni circa le realtà estere esistenti sulla base dell’esperienza delle quali il gruppo prevede, tramite anche la collaborazione con il gruppo di lavoro Innovazione pedagogica, di elaborare per la prossima riunione della Conferenza una proposta di percorso MD-PhD.

Giuseppe Familiari, per il gruppo Accesso a medicina e test attitudinale, riporta alcune battute del dibattito che sull’argomento si è tenuto nell’ultimo congresso AMEE rilevando come ci sia coincidenza con le tematiche usualmente affrontate dalla Conferenza; inoltre chiede l’approvazione del modulo di consenso informato da proporre agli studenti per procedere con lo studio sulle attitudini e il benessere degli studenti del CLMMC.

La prossima riunione della Conferenza si terrà a Roma il 12 dicembre 2016.

Carlo Della Rocca

per il Segretario Amos Casti

 

Conferenza Permanente delle Classi di Laurea e Laurea Magistrale delle Professioni Sanitarie

Il Meeting che si è tenuto a Bologna dal 23 al 24 settembre ha segnato una importante tappa nella storia della Conferenza: inizia, infatti, il 19mo anno di attività (nel 2017 la Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie compirà 20 anni). In accordo all’esigenza di riflettere su come passare da una fase di crescita ad una piena maturità, le tematiche affrontate hanno riguardato la stabilità dei CdS e la loro integrazione nel sistema Universitario e nel Servizio Sanitario Regionale. All’apertura del meeting ospitato presso l’Università degli studi di Bologna, sono intervenuti il Prorettore Vicario Prof. Mirko Degli Esposti su delega del Rettore Prof. Francesco Ubertini, e il Prof. Paolo Pillastrini su delega del Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia Prof. Fabrizio De Ponti.

Nella mattina le Commissioni Nazionali hanno lavorato per sviluppare le tematiche di proprio interesse. Quindi, nel primo pomeriggio, la Conferenza che si è riunita in sessione plenaria nel Complesso Universitario Belmeloro, ha affrontato le tematiche dei processi di accreditamento ANVUR con la collaborazione del Prof. Bruno Moncharmont (esperto disciplinare valutatore ANVUR), dello studente Giulio Caridà, iscritto al 5° anno di Medicina dell’Università di Catanzaro, esperto valutatore e della Prof. Agg. Paola Ferri dell’Università degli Studi di Modena- Reggio Emilia. I primi hanno sintetizzato la loro esperienza in qualità di valutatori, mentre la Prof. Agg. Ferri ha riferito in qualità di Coordinatore di un CdS valutato, quali strategie di preparazione della valutazione ha condotto. Quindi, il Prof. Paolo Pillastrini e la Dott.ssa Anna Brugnolli hanno sintetizzato con uno sguardo aperto a tutte le Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie, lo stato dell’arte del Progress Test a livello nazionale. A chiusura della sessione il Prof. Miccoli, consigliere dell’ANVUR, ha ribadito l’importanza dei processi di accreditamento e la loro finalità; ed ha suggerito l’esigenza di discutere come integrare nelle dimensioni valutate dal progress test, le competenze traversali che costituiscono aspetti importanti su cui la formazione universitaria deve puntare.

La seconda sessione ha focalizzato l’attenzione sulla governance dei Corsi di Studi e, nello specifico, sul ruolo dei Coordinatori/Direttori delle Attività Formative Professionalizzanti. La Prof.ssa Luisa Saiani e la Dott.ssa Silvia Bielli hanno presentato dapprima la normativa e la sua evoluzione con particolare attenzione ai passaggi cruciali della definizione del ruolo; quindi, hanno presentato i primi risultati della Survey che hanno condotto a livello nazionale. Nel mese di Agosto/Settembre hanno invitato oltre 400 Coordinatori /Direttori a riflettere sul loro ruolo attraverso un questionario cui hanno risposto oltre 230 partecipanti. I risultati preliminari presentato hanno riguardato: la posizione del Coordinatore/Direttore, la sua stessa denominazione; le modalità di svolgimento del ruolo nonché i contenuti propri, con riferimento ai livelli di autonomia ed a quelli di interdipendenza. È stata anche portata l’attenzione sulla durata degli incarichi. Al termine della presentazione è stata suggerita l’esigenza di armonizzare questo il ruolo anche attraverso i protocolli di intesa. È intervenuta la Direttrice della Programmazione delle Professioni Sanitarie presso il Ministero della Salute, Dott.ssa Rossana Ugenti che ha proposto la costituzione di un tavolo di lavoro nell’ambito dell’Osservatorio del MIUR che coinvolga i diversi partner in cui affrontare le questioni poste del ruolo e delle funzioni del Coordinatore/Direttore. La sessione ha ricevuto una partecipazione molto attiva anche nel il dibattito.

La terza sessione ha volto lo sguardo verso il futuro. In particolare, come preparare le nuove generazioni a ruoli accademici. Hanno partecipato con proprie relazioni il Dott. Ercole Vellone dell’Università degli Studi di Tor Vergata e la Dott.ssa Elisa Pelosin dell’Università degli Studi di Genova. Le due relazioni complementari hanno trattato la questione dei criteri e dei requisiti di una buona Scuola di dottorato; i processi di reclutamento, selezione e sviluppo di professionisti capaci di sviluppare leadership nel campo della ricerca. Sullo sfondo, la questione se i dottorati delle Professioni Sanitarie devono essere mono o multidisciplinari al fine di garantire offerte stabili e vincenti.

Quindi, si è aperta la quarta sessione Istituzionale di confronto politico-istituzionale moderata dalla Prof.ssa Luisa Saiani e dal Prof. Luigi Frati. Il Prof. Andrea Lenzi, Presidente del CUN, ha sintetizzato lo stato dell’arte dei lavori per la nuova Abilitazione Scientifica Nazionale; il Prof. Adriano Ferrari ha invece presentato la questione delle docenze professionalizzati, se è necessario il requisito della Laurea Magistrale oppure no; quindi, la Dott.ssa Vanda Lanzafame della Direzione Generale per lo Studente, lo Sviluppo e l’Internazionalizzazione della Formazione Superiore del MIUR ha illustrato le possibilità di sviluppo delle Lauree Magistrali; infine, il Dott. Angelo Mastrillo ha descritto i flussi in entrata e in uscita dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie con particolare riferimento all’ultimo anno, ma nel contesto degli ultimi 16-20 anni di attività.

Il Prof. Giovanni Danieli, padre fondatore della Conferenza Permanente e Editor della Rivista Medicina e Chirurgia ha portato il suo saluto. Ha sintetizzato la storia della Conferenza, quali sono state le ragioni della sua nascita, i momenti di sviluppo e la maturità che ha raggiunto nel tempo. È stato un momento di grande partecipazione anche emotiva in cui coloro che sono presenti da sempre, e soprattutto coloro che si sono avvicinati alla Conferenza negli ultimi tempi, hanno potuto ricostruire l’importante lavoro svolto dalla stessa per lo sviluppo e l’affermazione dei Corsi di Studio all’interno dell’Università, nonché per il miglioramento della qualità delle competenze dei professionisti offerti al Sistema Sanitario. Un sentito ed affettuoso ringraziamento a Giovanni Danieli per aver avuto questa intuizione ed averci accompagnato per anni nel cammino è stato formulato dal prof. Frati a dalla prof.ssa Saiani a nome di tutta la Conferenza che è esplosa in un caloroso applauso.

Non secondaria alle sessioni scientifiche era quella relativa ai poster presentati da molte sedi per condividere esperienze di utilizzo a scopo didattico di simulazioni sulle technical and non-technical skills nei CdS e nei Corsi Magistrali delle Professioni Sanitarie. Sono stati presentati oltre 20 poster, visionabili per le due giornate nei locali del Meeting. La Dott.ssa Elisabetta Losi, Presidente della Commissione di Valutazione Poster ha presentato, al termine delle due giornate, i nomi dei vincitori dei poster esposti: G. Boselli e Collaboratori, G. Amaducci e Collaboratori.

Tutti i lavori della Conferenza sono disponibili a sito http://cplps.altervista.org/blog/. Nei prossimi mesi si riunirà la giunta della Conferenza per proseguire i lavori iniziati.

Alvisa Palese

Segretario generale

 

Sindacato italiano Studenti in Medicina

WOLISSO PROJECT

Aiutare vuol dire liberare dalla necessità di aiuto

 

Il Wolisso Project è un progetto di cooperazione internazionale nato nel 2005 in seno alla sede locale di Udine del SISM-Segretariato Italiano Studenti Medicina in collaborazione con Medici con l’Africa Cuamm. Ad oggi la collaborazione tra SISM e Cuamm è stata ufficializzata attraverso la firma di un Protocollo d’Intesa e il Wolisso Project è diventato Progetto Nazionale all’interno del SISM, diffondendosi in tutta Italia.

Il cuore del progetto consiste nel dare la possibilità agli studenti di Medicina di partire per un’esperienza di tirocinio sul campo presso le strutture sanitarie di Wolisso-Etiopia e Tosamaganga-Tanzania, che Medici con l’Africa Cuamm coordina all’interno dei suoi progetti. Durante il mese di tirocinio gli studenti affiancano il personale italiano Cuamm così come quello locale, frequentando i reparti ospedalieri e avendo l’opportunità di assistere alle attività nelle strutture periferiche. Accanto a ciò il Wolisso Project sviluppa progetti e studi nelle strutture sanitarie africane in cui è coinvolto e, attraverso l’organizzazione di eventi e seminari, si propone di sensibilizzare e preparare la futura classe medica e la popolazione riguardo le tematiche inerenti il diritto fondamentale alla salute e la cooperazione internazionale.

L’obiettivo è la formazione di una classe di professionisti che operino per una Medicina che si sappia adattare a risorse e bisogni differenti, dati dall’incontro con società e culture lontane dalle nostre, permettendo allo studente di ampliare il suo bagaglio professionale, culturale e umano.

Fino ad ora gli studenti partiti per l’Africa sono più di 200 da tutt’Italia; i progetti sviluppati sono 8; tra gli innumerevoli eventi e incontri promossi, sono stati organizzati corsi di Semeiotica di Frontiera in molte delle 37 sedi locali SISM su tutto il territorio nazionale.

Nei piani per il futuro, oltre all’impegno per rendere il progetto sempre più conosciuto, strutturato e valorizzato nelle Università italiane e in ambito internazionale, c’è la redazione di uno studio scientifico per andare a sondare quella che è stata la ripercussione del progetto all’interno della popolazione studentesca coinvolta in questi primi anni di attività.

Chiara Pertoldi

Coordinator Wolisso Project

L’ENPAM tutela gli studenti del quinto e sesto annon.71, 2016, pp. 3216-3218

Abstract

Early registration with Enpam allows students in their final years of medicine and dentistry to benefit from the pension and social security coverage offered by the Foundation. This is an initiative designed to help young people by giving them the security of being covered in difficult situations or when they need help in their personal or professional life. In addition to the strong solidarity it offers, this initiative is an important tool for strategic long-term planning: it is a possible alternative to the shifting forward of the retirement age as a solution to assuring the stability of social security systems; it is a tool that aims to guarantee adequate future pensions; and finally, it demonstrates faith and esteem in the potential of young people. Students who would like to register in advance can also count on the various strategic support initiatives offered by Enpam such as favourable mortgages for the purchase of a primary home.

Parole chiave: Studenti – Previdenza – Assistenza

Key-words: Students – Security – Assistance

Articolo

Il valore di essere previdenti

La Legge di stabilità ha introdotto la possibilità per gli studenti di medicina e odontoiatria del quinto e del sesto anno del corso di laurea di iscriversi facoltativamente all’Enpam, l’Ente di previdenza e di assistenza dei medici e degli odontoiatri. L’iscrizione precoce all’Enpam consente ai futuri professionisti di beneficiare da subito di tutte le garanzie previdenziali e assistenziali della Fondazione al pari degli altri professionisti già abilitati.

Questa misura, diventata norma con la Legge di stabilità, è stata proposta dall’Enpam e fa parte di un piano più ampio per riprogettare il sistema di welfare in modo da garantire i medici e gli odontoiatri non solo nel momento del pensionamento ma durante l’arco della vita professionale. Per potersi iscrivere però è necessario che il regolamento Enpam venga approvato dai ministeri vigilanti con un provvedimento atteso, sperabilmente, per l’inizio dell’anno accademico. Nei paragrafi seguenti spieghiamo le ragioni da cui Enpam è partita per arrivare a questa proposta e i vantaggi di un’iscrizione “anzitempo”.

La Fondazione Enpam in breve

L’Enpam è la cassa di previdenza e di assistenza dei medici e degli odontoiatri italiani. È una Fondazione senza scopo di lucro, con personalità giuridica di diritto privato, con oltre settant’anni di storia. Siamo l’ente pensionistico primario di alcune categorie come per esempio i medici di famiglia, i liberi professionisti e gli specialisti ambulatoriali. I medici e gli odontoiatri che lavorano come dipendenti (per esempio degli ospedali, delle case di cura private, delle Asl) hanno, invece, come cassa di previdenza principale l’Inps (ed ex Inpdap); mentre all’Enpam versano i contributi minimi dovuti con l’iscrizione all’Ordine ed eventualmente quelli sul reddito da libera professione nel caso svolgano anche questo tipo di attività. Ai dipendenti l’Enpam assicura una pensione di base, a cui si aggiunge anche quella maturata con la libera professione, e l’assistenza. Gli iscritti attivi sono 361mila, i pensionati 101mila.

Con il nuovo Statuto, entrato in vigore nel 2015, tutti gli iscritti hanno diritto di voto e tutte le categorie professionali sono rappresentate negli organi collegiali.

Sul futuro dei giovani una visione strategica

La sostenibilità di un sistema pensionistico è la capacità di una Cassa previdenziale di assicurare le pensioni e l’assistenza nel lungo periodo, nell’ottica di un patto tra generazioni subentranti.

Con la riforma delle pensioni entrata in vigore a gennaio 2013, l’Enpam ha dimostrato la sostenibilità del sistema per i prossimi cinquant’anni e oltre, come richiesto dal decreto Salva Italia. Una volta messe al sicuro le prestazioni istituzionali si è reso necessario proseguire il lavoro per poter garantire ai giovani condizioni ugualmente favorevoli rispetto alle generazioni precedenti.

Sul versante delle pensioni future ci sono alcuni elementi confortanti: la Fondazione Enpam ha un criterio di calcolo più favorevole rispetto al contributivo del sistema pubblico. Inoltre il meccanismo di valorizzazione dei contributi consente all’iscritto di conoscere fin da subito l’importo dell’assegno che ha maturato grazie ai suoi versamenti.

Una questione invece a cui è bene prestare attenzione è soprattutto l’adeguatezza del flusso dei contributi, quanto a importo e numero di anni di anzianità. I dati dell’Enpam dimostrano infatti che la capacità reddituale del libero professionista ad oggi diventa “adeguata” solo a partire dai 37 anni di età, mentre sostanzialmente è rimasta invariata l’età media d’iscrizione all’Ordine. In poche parole i futuri medici e dentisti continuano a essere puntuali nel laurearsi e abilitarsi ma hanno difficoltà a stabilizzarsi professionalmente. Una criticità che riguarda il mercato del lavoro su cui la Fondazione ha deciso di intervenire con investimenti sulla ricerca, sull’healthcare, sull’assistenza territoriale e sulla promozione dei corretti stili di vita, e con una visione strategica, includendo i giovani professionisti prima possibile nel sistema di tutele previdenziali e assistenziali dell’Enpam.

A quest’ultimo riguardo quello che è parso subito l’anello “debole” su cui intervenire è l’ingresso tardivo nel mondo del lavoro per i medici e gli odontoiatri, dovuto a un percorso formativo lungo, che rischia di diventare sempre di più una condizione di svantaggio da più punti di vista. Sul piano economico, perché le difficoltà del mercato del lavoro hanno allungato i tempi per poter arrivare poi a una stabilità professionale e del reddito. Sul piano delle tutele, perché si acquisiscono tardi le garanzie previdenziali e assistenziali che normalmente partono di diritto con l’iscrizione all’Albo.

Per di più, in uno scenario demografico caratterizzato dalla longevità crescente, non si può pensare di continuare a spostare in avanti l’età pensionabile come la panacea che risolve tutti i problemi di tenuta dei sistemi. Bisogna cioè uscire da una “prospettiva dell’emergenza” e ragionare in chiave previsionale e strategica con un’alternativa che favorisca veramente i giovani, come quella appunto di poter anticipare l’inizio della storia previdenziale.

Tutta la previdenza e assistenza Enpam

In altri Paesi europei gli studenti che lavorano in corsia hanno una remunerazione. In Svezia ad esempio già dal quarto anno di corso, gli studenti esercitano nelle strutture ospedaliere e percepiscono uno stipendio.

Anche in Italia la formazione professionalizzante inizia prima della conclusione del corso di studi, al quinto e sesto anno di università, ma da noi non è prevista alcuna remunerazione. Non potendo intervenire direttamente su questo, l’Enpam ha proposto e ottenuto dal Governo di estendere le garanzie previdenziali e assistenziali agli studenti senza attendere dunque il momento dell’abilitazione e dell’iscrizione all’Ordine, con la quale scatta automaticamente e obbligatoriamente anche l’iscrizione alla Fondazione. È la prima volta in Italia che si introduce una misura di questo tipo e senza alcun onere per lo Stato.

L’iscrizione all’Enpam per gli studenti sarà facoltativa. Non sarà necessario pagare subito ma si potrà scegliere di farlo anche dopo tre anni, e a rate. Le tutele invece scatteranno fin da subito per cui gli studenti potranno contare su:

– una pensione d’invalidità

– una pensione per i familiari in caso di decesso

– le prestazioni assistenziali

– il mutuo agevolato Enpam per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa

– aiuti economici in caso di nascita di un figlio

Il vincolo solidaristico della Quota A Enpam

Gli studenti del quinto e del sesto anno del corso di laurea, che vorranno anticipare il loro ingresso nella Fondazione Enpam, verranno iscritti alla Quota A del Fondo di previdenza generale.

La Quota A è la gestione pensionistica obbligatoria per tutti i medici e gli odontoiatri iscritti all’Ordine. È un fondo pensato per venire incontro soprattutto alle necessità dei giovani perché a fronte di un contributo ridotto garantisce una copertura previdenziale che non ha confronti con altri sistemi di primo pilastro.

I versamenti sono dovuti dal mese successivo all’iscrizione all’Ordine fino al compimento dell’età per la pensione di Quota A.

L’importo del contributo varia in funzione dell’età. Fino a trent’anni il versamento è minimo (meno di 20 euro al mese). Ogni quinquennio si passa a uno scaglione successivo fino ad arrivare alla cifra intera che si paga solo dopo aver compiuto quarant’anni, così per esempio nel 2016:

Ä 1432,06 all’anno per chi ha più di 40 anni

Ä   775,42 all’anno dai 35 anni fino ai 40

Ä 413,21 all’anno dai 30 anni fino ai 35

Ä 212,88 all’anno per chi ha meno di 30 anni di età

Tutti pagano in più 59 euro di contributo di maternità.

La Quota A dà diritto a tutte le prestazioni della previdenza obbligatoria e cioè: una pensione di base al raggiungimento dei requisiti, l’indennità di maternità, una pensione di circa 15mila euro (minimo) in caso di invalidità, le prestazioni dell’assistenza tradizionale e strategica. Inoltre, in caso di decesso dell’iscritto prima del pensionamento, assicura al nucleo familiare una pensione senza che siano richiesti requisiti minimi di anzianità contributiva.

Per gli studenti del quinto e del sesto anno i contributi saranno la metà di quelli chiesti a chi ha meno di 30 anni: per esempio quest’anno sarebbero meno di 9 euro al mese (in tutto 106 euro all’anno). Non si dovrà pagare il contributo di maternità anche se saranno comunque previsti aiuti economici in caso di nascita di un figlio. Non sarà necessario versare subito la contribuzione per essere iscritti e far scattare la copertura previdenziale e assistenziale. Il meccanismo è quello del prestito d’onore per cui si potrà versare anche dopo tre anni dall’iscrizione e a rate.

Verso un welfare integrato

L’iniziativa della Fondazione è una delle operazioni messe in campo per riprogettare un welfare di categoria. L’obiettivo è di facilitare la vita dei medici e degli odontoiatri con interventi di sostegno alla professione – per abbattere i costi assicurativi, creditizi, sanitari, di previdenza complementare –  e di sostegno alle esigenze abitative.

Sono state anche proposte misure per favorire il ricambio generazionale. Per i medici di famiglia e i pediatri di libera scelta che hanno già maturato i requisiti per la pensione anticipata, è stato previsto un incentivo verso una sorta di pensionamento part-time che, allo stesso tempo, permette ai giovani medici di entrare negli ambulatori affiancandosi ai titolari. Il progetto si chiama App che sta per “Anticipo della prestazione pensionistica”. Per il professionista che aderisse all’App la carriera proseguirebbe su un doppio binario, per metà prenderebbe la pensione anticipata e per l’altra metà continuerebbe a esercitare l’attività ordinaria. Contemporaneamente si creerebbe un posto di lavoro per un giovane medico che fin dal primo giorno di lavoro potrebbe arrivare a un compenso calcolato sulla metà dei pazienti assistiti, mentre si sa che in caso di apertura di un nuovo ambulatorio i tempi per avviare l’attività e avvicinarsi a un numero congruo di pazienti sono decisamente lunghi.

L’impegno della Fondazione Enpam proseguirà a tutto campo per garantire la sostenibilità del sistema e l’equità tra le generazioni, investendo proprio sui giovani, in termini di occupazione, di crescita economica e benessere.

Bibliografia

Cita questo articolo

Malagnino G.P., L’ENPAM tutela gli studenti del quinto e sesto anno, Medicina e Chirurgia, 71: 3216-3218, 2016

Il futuro del Medicon.71, 2016, pp. 3214-3215

Abstract

It is time to look at the future and understand what doctors,, what patients and what type of medicine we are going to encounter inside our National Health Service.

Doctors must provide information so patients will live according to correct life styles.

The reasons why medicine is becoming more and more complex are examined.

Appropriateness, innovation, chronicity, welfare and sustainability are the main issues to consider.

Medical humanities must be part of teaching, and will help future doctors to have a better relationship with the patients of the future.

Parole chiave: Appropiatezza – Cronicità – Medicina delle complessità 

Key-words: Appropriateness – Chronicity – Medicine of complexity

Articolo

E’ necessario guardare al futuro, individuare quale sarà la figura del medico, come sarà il paziente e quale medicina potrà realizzarsi all’interno del nostro Servizio Sanitario Nazionale.

I parametri da prendere in considerazione sono tanti, complessi e in costante evoluzione.

L’ambiente di vita e di lavoro, i livelli di istruzione e di equità sociale sono determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva. Il medico deve sempre più collaborare all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute, promuovendo e favorendo l’adozione di corretti stili di vita, informando sui fattori di rischio. Il medico deve adoperarsi per favorire l’uso appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni. La comunicazione alle persone deve essere pertinente. Sono norme tratte dal Codice di Deontologia del medico, revisionato nel 2014, ed in particolare dell’articolo 5, che tratta di promozione della salute, ambiente e salute globale1.

L’evoluzione del quadro demografico e sociale e caratterizzato da una maggiore longevità rispetto al passato. In Italia gli anziani costituiscono già il 20% della popolazione. Ma il numero è destinato ad aumentare, in tutto il mondo, ed i sistemi sanitari non sono pronti a fronteggiare questa evenienza.  L‘aumento di età della popolazione si associa ad un incremento di malattie croniche. Si modifica il  quadro epidemiologico, con incremento della prevalenza del diabete. Va aumentando l’obesità tra gli adulti.

Nel mondo, ma anche in aree diverse del nostro paese, si evidenzia grande variabilità se si considerano indicatori quali l’aspettativa di vita, il benessere soggettivo, l’equità.

Andrebbe modificata l’aspettativa di salute. La  definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che parla di benessere fisico, mentale e sociale – vale a dire di completo benessere – andrebbe trasformata in una definizione più dinamica e funzionale: salute come capacità di adattamento, capacità di adattarsi e gestire se stessi2.

Le cure sono sempre più personalizzate e costose, l’innovazione del settore biomedico è in crescita, le risorse sono sempre più limitate.

La professione medica vede una netta prevalenza delle donne medico, in assenza di adeguate organizzazioni che possano consentire una serena genitorialità, in un contesto che vede denatalità (1,39 figli per donna nel 2013), scarso ricambio generazionale e progressivo invecchiamento della popolazione3.

La interazione/integrazione con le Professioni sanitarie deve far sempre più sviluppare un lavoro in team, con obiettivi comuni, compiti e competenze interdipendenti, con condivisione delle informazioni, degli impegni e delle responsabilità.

Nascono inevitabili elementi di criticità che vanno governati.

Il tempo di raddoppiamento delle conoscenze in medicina va assumendo ritmi incredibili: nel 2020 è previsto che raddoppino in 73 giorni4. Le conoscenze si sviluppano più rapidamente della nostra capacità di assimilarle e applicarle. Lo sviluppo professionale continuo ed il life-long learning ne devono tenere conto.

Le parole chiave che sfidano la nuova responsabilità del medico sono: appropriatezza, innovazione, cronicità, welfare, sostenibilità, contenimento, medicina delle complessità e tagli. Va salvaguardata la relazione di cura con la persona.

 

La cosiddetta medicina difensiva fornisce scarsa sicurezza; il medico è in genere molto preparato, talora poco empatico. Vi è un progresso impari tra medicina tecnologica e l’etica.

 

I giovani medici chiedono un ampliamento nell’insegnamento delle medical humanities: etica e deontologia, diritto, storia e filosofia della medicina, antropologia medica; chiedono anche di acquisire maggiori competenze per quanto concerne  sociologia e economia sanitaria.

Vi è necessità di nuovi modelli organizzativi che tengano conto dell’integrazione tra sociale e sanitario, dell’integrazione  nelle diverse fasi del percorso del paziente, dell’integrazione tra discipline e professioni, della continuità delle cure. Devono essere mantenuti standard elevati di sicurezza, efficienza e riduzione dei costi.

Il medico del futuro deve essere cosciente del proprio ruolo sociale e politico, cosciente della realtà economica, deve essere capace di ascoltare e comunicare. Deve essere capace di tener conto della dialettica tra risposta alla singola persona, ma anche alla comunità, in un contesto di salute pubblica. Deve perseverare nel miglioramento proprio e della organizzazione in cui opera.

Nell’interagire tra scienza, coscienza e sapienza, il medico del futuro deve saper aiutare a decidere, senza imporsi, autorevole ma non autoritario, tecnicamente competente e umanamente partecipe, conoscitore dell’organismo ma anche dell’uomo ammalato.

Bibliografia

1) Codice di Deontologia Medica (2014)

2) BMJ 2011;343:d4163

3) Piano Nazionale Fertilità

4) Trans Am Clin Climatol Assoc, 2011;122:48

Cita questo articolo

Chersevani, R., Il futuro del Medico, Medicina e Chirurgia, 71, 71: 3214-3215, 2016.

Editorialen.71, 2016, pp. 3213

lenziLa Conferenza dei Presidenti di corso di laurea in Medicina ha avuto, in questi ultimi mesi, il privilegio di ospitare, quali relatori, Rappresentanti di diverse Istituzioni che operano nei campi della formazione medica e dell’assistenza sanitaria. Sono incontri nei quali l’integrazione di saperi ha portato ad acquisire nuove conoscenze e stimoli per la ricerca e l’innovazione metodologica.

Molti Relatori hanno poi messo a disposizione i loro contributi che oggi con soddisfazione presentiamo ai nostri Lettori.

In uno dei nostri appuntamenti Rossana Ugenti aveva riportato il parere del Ministero della Salute, di cui è Direttore Generale, sul tema del futuro fabbisogno di medici in Europa; su questo problema era stato istituita nel 2013 una Commissione europea con lo scopo di prevedere e quindi programmare il fabbisogno di medici negli anni. Nel progetto, che ha coinvolto partner di novanta stati europei, il nostro Ministero ha avuto assegnata una delle sette linee di attività, quella finalizzata a definire la metodologia adeguata per giungere ad una definizione esatta del numero di medici, odontoiatri, infermieri ed ostetriche necessari nel periodo 2015-2040.

Ma quale medico attende il futuro? La risposta non poteva essere data se non dalla Presidente della Federazione degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri, Roberta Chersevani che è stata nel contempo efficace, chiara, esauriente. La società, evoluta e modificata, si attende un medico che alla necessaria competenza associ l’umanità, che all’osservazione accurata del paziente e al ragionamento clinico unisca l’empatia, che conosca l’arte dell’ascolto e sia ben disposto all’informazione comprensibile ed alla condivisione delle scelte; un medico che curi la persona malata e non la malattia e che, nella salute, la aiuti a conservarla; un medico infine attento alle problematiche sociali e idoneo al lavoro di gruppo. Un messaggio molto apprezzato dai nostri Presidenti di Corsi di Laurea. Grazie Presidente!

Poi la voce dell’ENPAM  portata dal suo VicePresidente Gianpiero Malagnino ha presentato un’interessante proposta, ora in attesa dell’approvazione dei Ministeri vigilanti. Consiste nella possibilità offerta agli studenti del quinto e sesto anno di medicina di potersi iscrivere all’ente con una cifra contenuta nei 100 Ä/anno. Il vantaggio è quello di poter godere subito di quei privilegi previdenziali ed assistenziali che l’ENPAM offre ai professionisti iscritti. Senza dubbio quello che si può definire un buon affare. Porteremo il messaggio a tutti i corsi di laurea.

Walter Ricciardi, Presidente dell’ISS e Ordinario di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, riferisce i dati del Centro di ricerca e di studio sulla leadership in medicina, un centro che, come dice la denominazione, inteso a definire la leadership, la sua differenziazione dal management e  il ruolo di un  leader. In una medicina che non è più individuale ma quasi sempre lavoro d’équipe, in una medicina che, con l’evoluzione dell’organizzazione sanitaria, deve sempre più interfacciarsi con altre istituzioni, vi è senza dubbio necessità di figure di leader preparati e capaci di coordinare.

Inoltre, in una società che diviene sempre più multietnica, il medico che esce dall’Università deve avere sufficiente conoscenza degli usi e costumi di popoli d’Oltremare appartenenti a confessioni religiose diverse. Non si può stabilire con essi, quando malati, un efficiente relazione di cura se non si tiene conto e non si rispettano queste diversità. Da tali considerazioni è partito Gianfranco Gensini per costituire un Gruppo interreligioso, composto da docenti di altra nazionalità e religione, un gruppo che ha svolto a Firenze attività didattica elettiva nel Corso di Laurea in Medicina per appartenenti al cattolicesimo, all’ebraismo, all’islamismo, al buddismo e all’Hindù-Hare Krishna.

I Lettori interessati troveranno nell’interno i resoconti di questi importanti dibattiti. A me non resta che ringraziare gli illustri Ospiti che hanno scelto la Conferenza quale sede idonea per incontrarsi e scambiarsi le rispettive conoscenze ed esperienze.

Le scuole mediche di Crotone ed Elea. Il filo rosso del Pitagorismon.71, 2016, pp. 3254-3256, DOI: 10.4487/medchir2016-71-8

Abstract

Southern Italy between the VI and the V century b. C. was an extraordinary lively cultural enviroment. The presence of Pythagoreanism stimulated the philosophers’ thought in every field of knowledge, including the art of healing. The Greek colonies of Croton and Elea were the seat of two important schools of medicine which had been influenced by the Pythagorean intellectual model. By using the literary and epigraphic sources, this article aims at showing how deep this influence was and how it created an interesting web of wisdom in the pre-hippocratic tradition.

Parole chiave: pitagorismo – Crotone ed Elea – tradizione pre-ippocratica

Key Words: pythagoreanism – Croton and Elea – pre-hippocratic tradition

Articolo

La presenza di scuole mediche nelle colonie greche di Crotone ed Elea e dei loro rapporti con la filosofia pitagorica, che dopo l’arrivo di Pitagora da Samo avrebbe trovato proprio a Crotone la sua roccaforte e il suo centro di diffusione, rappresenta uno dei problemi più affascinanti e complessi della storia della medicina. La complessità risiede nella frammentarietà delle fonti, letterarie, epigrafiche e archeologiche, e nell’individuazione di un terreno comune tra pitagorismo e medicina su cui è forse possibile ipotizzare un vero e proprio dialogo scientifico tra i sapienti della grecità d’Occidente.

L’estrema vivacità culturale che caratterizza la Magna Grecia a partire dall’ultimo trentennio del VI sec. a. C. coincide in larga misura con la significativa e pervasiva influenza del pitagorismo. L’arrivo di Pitagora a Crotone (520 a. C. ca) innesca quell’ascesa politica che nel 510 permetterà alla polis di affrancarsi dal dominio di Sibari e di instaurare un vero e proprio dominio indiretto (cfr. Giangiulio 2015, 98) su un’area piuttosto vasta compresa tra lo Ionio, il Tirreno e la Lucania, almeno fino alla metà del V sec. a. C. La sintonia tra il sapiente, considerato quasi divino, e la comunità crotoniate (cfr. Poroh. VPyth. XVIII) consente alla scuola pitagorica non solo di radicarsi nel tessuto sociale della città, ma anche di imporre modelli culturali con cui tutti gli intellettuali, tanto delle colonie quanto della madrepatria, saranno costretti a confrontarsi (cfr. Musti 2005, 103-104). Nel caso di Crotone, il sodalizio con il governo di orientamento aristocratico e conservatore si accompagna a un’integrazione intellettuale che si esprime in uno scambio particolarmente virtuoso con la preesistente scuola medica (cfr. Iambl. VPyth. XXIX 163 sull’interesse pitagorico per musica, medicina e arte divinitoria). Qualche anno fa, G. Marasco, ragionando proprio sui rapporti tra la scuola medica di Crotone e il dilagante successo del pitagorismo, ha tracciato un magistrale quadro di sintesi che individua due ragioni per lo sviluppo così precoce dell’arte medica nella città: l’atletismo (cfr. Capparelli 1944, 213-214; Punzo 2004, 148; 150-151 per le vittorie riportate nei giochi panellenici dagli atleti di Crotone) e la vocazione bellicistica (cfr. Marasco 2008, 12-13). Il caso di Democede, in questo senso, risulta emblematico. Medico alla corte persiana di Dario, ebbe modo di esprimere la doppia abilità acquisita alla scuola di Crotone, l’una relativa alla medicina sportiva, l’altra alla chirurgia di guerra, curando in un caso la slogatura dell’astragalo che il Gran Re si era procurato in una battuta di caccia (cfr. Hdt. III 129), nell’altro il tumore al seno della moglie, la regina Atossa (cfr. Hdt. III 133). Il lessico tecnico utilizzato da Erodoto nel racconto dei successi terapeutici di Democede sembra confortare l’attendibilità della testimonianza (cfr. Squillace 2008, 31-32). Il brillante medico crotoniate, che assurge a fama internazionale, deve probabilmente la sua formazione al padre Callifonte. Questi, stando alla testimonianza del lessico bizantino Suda (cfr. 19 A 2 D-K), sarebbe stato sacerdote di Asclepio a Cnido dove i discendenti di Podalirio avrebbero dato vita a un ramo della famiglia degli Asclepiadi. Callifonte, dunque, istruito nella medicina templare e finito per oscure vicissitudini a Crotone, avrebbe trasmesso al figlio la professione secondo le consuetudini proprie della stirpe degli Asclepiadi (cfr. Marasco 2008, 14-15).

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Ora, al di là delle circostanze storico-aneddotiche che legano i medici di Crotone alla scuola pitagorica (cfr. Hdt. III 137; Iambl. VPyth. XXXV 257-258), particolare rilievo sembrano assumere proprio la matrice sapienziale dell’apprendistato di Callifonte nonché la cooptazione del figlio nell’arte, che tanto ricorda l’associazionismo culturale pitagorico. I pitagorici erano infatti vincolati tra loro e con il maestro da un giuramento che ne faceva una sorta di comunità votata al culto della sapienza. Proprio per questo L. Edelstein, nella sua brillante lettura del Giuramento di Ippocrate, ha individuato uno stretto legame tra le confraternite pitagoriche e i giovani accolti nella famiglia degli Asclepiadi per intraprendere la loro formazione medica (cfr. Edelstein 1987, 4-63). Su questa linea di contiguità intellettuale con i pitagorici si muove Alcmeone che “fiorì quando Pitagora era vecchio” (cfr. 24 A 3 D-K). Le testimonianze e i frammenti che lo riguardano, mescolano considerazioni riconducibili all’esercizio della medicina empirica a più ampie riflessioni di carattere sapienziale. Tuttavia, anche quando Alcmeone “osa” (cfr. 24 A 10 D-K) intraprendere l’esame autoptico del bulbo oculare, con quella perizia chirurgica propria dell’ambiente crotoniate, perché già riconoscibile nell’operato di Democede su Atossa, l’individuazione dei canali che dagli organi di senso conducono al cervello, offre il destro per la costruzione di una sorprendente fisiologia del pensiero. Non basta. La consonanza tra la salute dell’uomo intesa come isonomia (“equilibrio”) delle forze corporee (cfr. 24 B 4 D-K) e la salute dello stato intesa come uguaglianza davanti alla legge dei membri della aristocrazia, per preservare l’eynomia (“buon governo”: cfr. Musti 2005, 201-202), sembra associare Alcmeone a quella visione pitagorica unificante della realtà che sposta lo statuto dell’arte medica da un approccio sostanzialmente esperienziale a una più vasta meditazione filosofico-sapienziale. Di qui ad accogliere il sistema delle coppie oppositive il passo è breve, e lo è rispetto a un tema essenziale per la sopravvivenza delle poleis: l’embriologia. Dai pitagorici Alcmeone attinge la teoria encefalo-mielogena del seme, alla coppia pitagorica destra-sinistra Parmenide associa la determinazione del sesso del nascituro (cfr. 28 B 17 D-K, su cui vd. Lesky 1951, 1265).

I frammenti embriologici del filosofo di Elea contribuiscono a rafforzare due considerazioni:

  1. Gli interessi dei presocratici vanno ben oltre gli incasellamenti a cui li sottopone la manualistica tradizionale;
  2. L’esistenza nella colonia focese di una vivace scuola medica.

Nel 1965, infatti, Ebner (cfr. Ebner 1962, 4-6) pubblica quattro epigrafi rinvenute nello scavo di un Asclepieion. La quarta, databile su base paleografica alla metà del I sec. d. C., recita:

“Parmenide, figlio di Pirete, medico (physikos nel testo dell’epigrafe: cfr. Calogero 1968, 69-71 per una più prudente proposta di traduzione) degli Uliadai”.

L’epiteto Uliades chiama in causa Apollo Ulios in quella funzione di sanatore che lo accomuna al culto di Asclepio. Ora, se è vero che il termine physikos (cfr. Pugliese Carratelli 1965, 306) è genericamente riferito a tutti i presocratici da Aristotele in poi (Cfr. D-K III, 463 s. v.), il fatto che anche i tre iatroi pholarchoi (“medici folarchi”) delle precedenti iscrizioni siano definiti Ulis lascia intendere l’appartenza di Parmenide a un’associazione cultuale di carattere medico (cfr. Pugliese Carratelli 1990, 269-270; sull’appartenenza di Parmenide a una scuola medica, secondo la testimonianza della tradizione araba, cfr. Musitelli 1985; Pugliese Carratelli 1990, 272-276). E a riprova della presenza di una scuola medica a Elea, Pugliese Carratelli (cfr. Pugliese Carratelli 1963, 386) ricorda l’invio da Cos di θεωροί nel 242 a. C. (cfr. Herzog-Klaffenbach 1952, nr. 1, 21; 29). Che questa scuola fosse poi legata agli ambienti pitagorici, lo si evince proprio dall’etimo di pholarchos: infatti, sulla base delle glosse di Polluce (cfr. Iul. Poll. VI 8) e di Esichio (cfr. Hesych. s. v. pholeon), esso potrebbe indicare un culto collocato in un antro o in un edificio costruito come un antro a imitazione delle grotte “che a Samo e a Crotone offrivano a Pitagora un mistico ritiro” (cfr. Pugliese Carratelli 1963, 386). Dunque, le riflessioni embriologiche di Parmenide di Elea, basate sulla coppia oppositiva destra-sinistra, o meglio, sull’opposizione delle coppie destra-maschio, sinistra-femmina, che si tratti della provenienza del seme o del suo posizionamento nell’utero (cfr. Lloyd 1962; 1972; Kember 1971), e l’adesione di Alcmeone di Crotone alla medesima logica degli opposti (cfr. 24 A 3 D-K) testimoniano l’incidenza del modello ermeneutico pitagorico negli ambienti medici italici di VI-V sec. a. C., che sembrano dialogare tra di loro proprio in virtù di questa pervasiva presenza culturale. Del resto, il legame tra Parmenide e il pitagorismo trova riscontro in tutta una serie di testimonianze: Diogene Laerzio (cfr. Diog. Laert. IX 21) racconta di un certo Aminia, pitagorico e maestro di Parmenide, Strabone (cfr. Strabo VI 1, 1) definisce pitagorico il filosofo di Elea, Giamblico (cfr. Iambl. VPyth. 267) lo annovera tra i seguaci di Pitagora, come pure fa Nicomaco di Gerasa (cfr. 28 A 4 D-K).

Bibliografia

1) Calogero 1968 = G. Calogero, Filosofia e Medicina in Parmenide, in Filosofia e Scienza in Magna Grecia, Atti del V Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto, 10-14 ottobre 1965, Napoli, L’arte tipografica, 1968, 69-71.

2) Capparelli 1944 = V. Capparelli, La sapienza di Pitagora, I, Padova, CEDAM,1944.

3) D-K = H. Diels-W. Kranz, Die Fragmente der Vorsokratiker, I-III, Dublin-Zürich, Weidmann, 1971.

4) Ebner 1962 = P. Ebner, L’errore di Alalia e la colonizzazione di Velia nel responso delfico, «Rassegna Storica Salernitana»1962; XXIII: 3-44.

5) Edelstein 1987 = L. Edelstein, Ancient medicine, Baltimore and London, Johns Hopkins University Press, 1987.

6) Giangiulio 2015 = M. Giangiulio, Democrazie greche. Atene, Sicilia, Magna Grecia, Roma, Carocci, 2015.

7) Herzog-Klaffenbach 1952 = R. Herzog-G. Klaffenbach, Asylieurkunden aus Kos, «Abh. d. Deutschen Akad.», Berlin, Akademie Verlag, 1952.

8) Kember 1971 = O. Kember, Right and Left in the sexual theories of Parmenides, «JHS» 1971; 91: 70-79.

9) Lesky 1951 = E. Lesky, Zeugungs- und Vererbungslehren der Antike und ihr Nachwirken, Mainz, Akademie der Wissenschaften und der Literatur, 1951.

10) Lloyd1962 = G. E. R. Lloyd, Right and Left in Greek philosophy, «JHS» 1962; 82:56-66.

11) Lloyd 1972 = G. E. R. Lloyd, Parmenides’ sexual Theories. A reply to Mr. Kember, «JHS» 1972; 92: 178-179.

12) Marasco 2008 = G. Marasco, La società crotoniate, i Pitagorici e lo sviluppo delle scienze mediche, in G. De Sensi Sestito (a c. di), L’arte di Asclepio. Medici e malattie in età antica. Atti della giornata di Studio sulla medicina antica, Università della Calabria 26 ottobre 2005, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, 7-28.

13) Musitelli 1980 = S. Musitelli, Ancora sui ΦΩΛΑΡΧΟΙ di Velia, «PP» 1980; XXXV: 241-255.

14) Musitelli 1985 = S. Musitelli, Da Parmenide a Galeno. Tradizioni classiche e interpretazioni medievalinelle biografie dei grandi medici antichi, «Memorie dell’Accademia dei Lincei» 1985; serie VIII, vol. XXVIII 4: 217-276.

15) Musti 2005 = D. Musti, Magna Grecia. Il quadro storico, Bari, Laterza, 2005.

16) Pugliese Carratelli 1963 = G. Pugliese Carratelli, ΦΩΛΑΡΧΟΣ, «PP» 1963; XVIII: 385-386.

17) Pugliese Carratelli 1965 = G. Pugliese Carratelli, ΠΑΡΜΕΝΕΙΔΗΣ ΦΥΣΙΚΟΣ, «PP» 1965; XX: 306.

18) Pugliese Carratelli 1990 = G. Pugliese Carratelli, La scuola medica di Parmenide a Velia, in G. Pugliese Carratelli, Tra Cadmo e Orfeo. Contributi alla storia civile e religiosa dei Greci d’Occidente, Bologna, il Mulino, 1990, 269-280.

19) Punzo 2004 = G. Punzo, Le città della Magna Grecia e i loro campioni, in G. Punzo-A. Teja (a c. di), Agonistica in Magna Grecia. La scuola atletica di Crotone, Calopezzati, Edizioni del Convento, 2004, 137-213.

20) Squillace 2008 = G. Squillace, I mali di Dario e Atossa. Modalità d’intervento, tecniche terapeutiche, modelli di riferimento di Democede di Crotone (nota ad Erodoto III 129-134, 1), in G. De Sensi Sestito (a c. di), L’arte di Asclepio. Medici e malattie in età antica. Atti della giornata di Studio sulla medicina antica, Università della Calabria 26 ottobre 2005, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008, 29-62.

Cita questo articolo

Cilione M., Le scuole mediche di Crotone ed Elea. Il filo rosso del Pitagorismo, Medicina e Chirurgia, 71: 3254-3256, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-8

Risvegli. La neurologia letteraria di Oliver Sacksn.71, 2016, pp. 3251-3253, DOI: 10.4487/medchir2016-71-7

Abstract

At the end of World War I a strange disease appeared first in Europe and then all over the world: the encephalitis lethargica. Patients that survived infection developed, sometimes immediately, sometimes after many years, a post-encephalitic syndrome, characterized primarily from an atypical form of Parkinsonism. In the Thirties these patients were treated with a vinous decoction of nightshade, introduced by the popular Bulgarian healer Ivan Raev. But over the years, no therapy was effective in relieving symptoms of these patients, “frozen” in a long sleep, who populated the hospices and hospitals for the chronically ill. When, in the Sixties, the treatment with L-dopa was introduced for Parkinson’s disease, the British neurologist Oliver Sacks had the opportunity to investigate the effects of this drug on post-encephalitic patients, an experience that shook his scientific and literary life. The passionate book Awakenings, written by Sacks, is an inspiring exploration of the transformations that these patients underwent after the administration of L-dopa. A masterpiece of medical narrative, it addresses fundamental questions of human life: suffering, illness, health, cognitive empathy with the sick.

Parole chiave: Sindrome post encefalitica – Morbo di Parkinson – L-dopa

Key Words: Post-encephalitic syndrome – Parkinson’s disease – L-dopa

Articolo

Da ragazzino voleva fare il chimico. Era affascinato dalla tavola periodica degli elementi di Mendeleev – quel modo scoperto dallo scienziato russo di disporre razionalmente i mattoni fondamentali allora conosciuti della materia, sulla base delle loro proprietà – che lasciava immaginare la possibilità di imbrigliare in uno schema razionale l’ordine elementare della natura. Così Oliver Sacks trascorse i suoi anni giovanile quasi in un dialogo serrato con le sostanze elementari, che parlavano attraverso le proprietà, l’odore, il colore, la lucentezza delle loro superfici, i riflessi cromatici che emettevano alla fiamma. Un ricordo intenso che lo accompagnò tutta la vita fu la visione della grande tavola periodica esposta nel Museo della Scienza di South Kensington a Londra alla sua riapertura nel 1945, appena terminata la guerra. In realtà si trattava di una gigantesca vetrina di legno con tanti scomparti, ognuno dei quali etichettato dal nome di un elemento, il suo simbolo chimico e l’indicazione del peso atomico. Tutti distribuiti in una precisa posizione, dipendente dalle loro proprietà. Colpiva soprattutto, nello scomparto della vetrinetta corrispondente, la presenza di un campione di ogni singolo elemento, quando ottenuto in forma pura ed esponibile in condizioni di sicurezza. Oliver Sacks li osservava affascinato, percorrendo con lo sguardo quella sorta di “regno geografico” popolato da tanti enti chimici diversi disposti in gruppi, che definivano come dei territori, separati da precisi confini. Tornò più volte ad osservarla e fu una delle esperienze emotivamente memorabili della sua vita. Una passione, quella per la chimica, propiziata da Dave, “zio Tungsteno”, lo zio che fabbricava lampadine con filamenti di tungsteno1. Negli anni dell’infanzia e della prima adolescenza la chimica diventò un porto sicuro per Sacks, fatto di certezze e fenomeni affascinanti. Era un ragazzino timido e insicuro, che nella danza delle sostanze – e nella regolarità dei fenomeni che da loro sprigionava – trovava il modo per combattere l’introversione che ingabbiava la sua vita. Così usciva dalla grande casa edoardiana di Londra della famiglia – dove la musica era dappertutto – e si rifugiava nello stabilimento di zio Tungsteno a sentire racconti chimici affascinanti sui diversi metalli che componevano i filamenti delle lampadine, su come erano stati scoperti, le procedure per purificarli, quali fossero più adatti, luminosi e resistenti.

La chimica fu un passaggio del suo innamoramento per il mondo. Una passione precoce destinata però a mutare nel tragitto burrascoso e disordinato all’età adulta. Seguendo la tradizione familiare Oliver si iscrisse a medicina affrontando lo studio del corpo con una mentalità naturalistica. Poi si trasferì negli Stati Uniti e diventò neurologo al Mount Zion Hospital di San Francisco e all’Università della California a Los Angeles iniziando a pubblicare lavori scientifici e un libro dedicato all’emicrania. Aveva passione per lo studio degli stati del cervello e della mente, anche quando indotti dal consumo delle sostanze psicotrope. Sentiva che avvicinarsi ai fenomeni neurologici portava direttamente al cuore degli aspetti conoscitivi ed emozionali dell’esperienza umana.

Due incontri scientifico-culturali gli cambiarono la vita. Il primo con le opere di Aleksandr Romanovicˇ  Lurija, un famoso psicologo russo noto per i suoi studi sulla memoria e sulle funzioni corticali dell’uomo. Oliver Sacks lesse con ammirazione la sua descrizione dei pazienti con lesioni dei lobi frontali. Due anni dopo si imbatté in un piccolo libro scritto da Lurija dal titolo Una memoria prodigiosa e iniziò a leggerne le prime trenta pagine “pensando che fosse un romanzo”, poi capì che “in realtà era la descrizione di un caso clinico”, la più “dettagliata e profonda” che avesse mai letto “con la potenza drammatica, il sentimento e la struttura di un romanzo”2. Era quella particolare combinazione “del classico e del romantico, della scienza e della narrazione di storie” che lo colpì come una specie di rivelazione. Presto la fece totalmente sua e quel piccolo libro di Lurija riorientò la sua vita. Ma nel frattempo si verificò un altro incontro memorabile. Trasferitosi al Mount Carmel Hospital di New York, un ospedale per malati cronici, Sacks venne a contatto con un cospicuo gruppo di pazienti – circa duecento soggetti – affetti dai postumi di una singolare malattia, l’encefalite letargica, esplosa alla fine della prima guerra mondiale e durata qualche anno con diffusione mondiale. All’esordio la malattia colpiva tutte le fasce d’età, ma con preferenza individui nel momento più fiorente dell’esistenza, fra i dieci e i quarant’anni. Ne furono colpiti, tra gli altri, il famoso pediatra Scipione Riva Rocci, – inventore dello sfigmomanometro – e il poeta Emanuel Carnevali. La mortalità era elevata, a seconda delle casistiche fra il 30 e il 50 % dei soggetti colpiti. Chi sopravviveva poteva seguire nell’immediato un duplice destino: l’apparente guarigione clinica oppure lo scivolamento in una forma di parkinsonismo – parkinsonismo post-encefalitico – caratterizzato da grande ipocinesia, tremori e da un comportamento psicopatico e sociopatico. Il gruppo di pazienti che apparentemente guarivano, tornavano alla normalità per mesi e anni, ma poi sviluppavano anche loro, a scoppio ritardato, la grave affezione extrapiramidale. Negli anni Trenta questi ammalati erano stati curati con una strana terapia erboristica – un decotto vinoso di belladonna – inventata dal guaritore popolare bulgaro Ivan Raev3. La pozione veniva somministrata più volte al giorno e aveva l’abilità di ridurre drasticamente il tremore e di migliorare il movimento. Il trattamento era stato accolto con entusiasmo dalla Regina Elena di Montenegro – moglie di Vittorio Emanuele III – grande appassionata di medicina e ostetricia, la cui figlia Giovanna era la moglie dello zar di Bulgaria, Boris III. Proprio attraverso i suoi legami familiari con la dinastia regnante nello stato balcanico, la sovrana italiana aveva saputo delle qualità curative dell’intruglio inventato da Raev. Su suo impulso la  strana terapia venne sperimentata a Roma dal neurologo Giuseppe Panegrossi in una sezione clinica speciale dell’Ospedale  Umberto I e poi si diffuse in tutto il mondo venendo utilizzata per anni. Naturalmente all’intruglio originale si sostituirono poi formulazioni farmaceutiche più maneggevoli, come le compresse prodotte dall’Istituto Sieroterapico Milanese. Tuttavia, con il passare dei decenni, i sintomi della malattia si sclerotizzavano in una esasperante immobilità, una prigione dei movimenti che impoveriva la vitalità dei colpiti, irrigiditi in posture fisse, come statue di cera solidificata. Purtroppo anche la terapia con la belladonna perdeva allora di efficacia. In questa situazione Oliver Sacks trovò i pazienti nel 1966 quando assunse il ruolo di medico neurologo nel Mount Carmel Hospital di New York, un ricovero dove gli eccezionali encefalitici che avevano contratto la malattia acuta decenni prima trascinavano nell’acinesia la loro esistenza, accuditi pazientemente dal personale infermieristico. Corrispondevano esattamente alla definizione di “vulcani spenti” introdotta dal neuropsichiatra austriaco Constantin von Economo, il medico che per primo aveva identificato la malattia verso la fine della Prima Guerra Mondiale. Privi di qualsiasi prospettiva terapeutica popolavano le corsie dell’ospedale dando quasi la sensazione che nell’insieme costituissero un singolare museo delle cere viventi. Nel frattempo, tuttavia, una novità terapeutica era apparsa improvvisamente sulla scena neurologica mondiale. Lo studio del morbo di Parkinson aveva permesso di identificare nel depauperamento in dopamina del sistema nigro-striatale una delle cause patogenetiche della malattia. Da queste osservazioni sperimentali era nata l’idea di tentare il trattamento di questi pazienti con un precursore di questo neurotrasmettitore, la levo-diidrossifenilalanina o L-dopa, in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere così il cervello e i sistemi neuronali compromessi nella malattia. All’inizio del 1967 il medico greco-americano George Constantin Cotzias e i suoi collaboratori poterono annunciare l’efficacia del trattamento con L-dopa dei pazienti affetti da morbo di Parkinson. La notizia si diffuse in un baleno a livello mondiale, ma le applicazioni erano limitate dal costo elevato del farmaco, oltre 2000 sterline per una libbra, 454 grammi. Questo fatto limitò subito la possibilità del trattamento con L-dopa dei pazienti post-encefalitici del Mount Carmel Hospital “che era un istituto di carità, povero, sconosciuto, senza collegamenti con alcuna università o fondazione, ignorato dall’industria farmaceutica e privo di sponsor nel mondo economico o presso le autorità”4. I pazienti affetti da parkinsonismo post-encefalitico, non popolavano le corsie ospedaliere dove si faceva ricerca clinica, ma si trovavano prevalentemente confinati negli ospizi per cronici ”dove la Medicina odierna non si prende cura di scendere”. Pochi erano i medici, come Sacks, “entrati nelle sale e nelle corsie più appartate degli ospedali e dei ricoveri per cronici, e pochi avevano la pazienza di ascoltare e di osservare, di scandagliare la fisiologia e il dramma umano di questi pazienti sempre più inaccessibili”.

Le condizioni mutarono decisamente verso la fine del 1968 quando il prezzo del farmaco si abbassò drasticamente rendendo possibile il trattamento anche degli ammalati del Mount Carmel Hospital. Sacks non perse l’occasione che la vita gli stava riservando, si trovava in una situazione favorevole e ottimale per provare la L-dopa nei post-encefalitici così numerosi del ricovero. Se il farmaco aveva dimostrato una sua efficacia nel morbo di Parkinson, niente vietava di pensare che potesse possedere un’efficacia anche nelle simili forme dovute all’encefalite letargica. Come Sacks ricordò molti anni dopo: “Fui eccezionalmente fortunato nell’incontrare quei pazienti in quel determinato momento e in quelle condizioni di lavoro”5. Iniziò così un’esperienza scientifica e umana straordinaria. Perché gli effetti del farmaco si rivelarono subito sconvolgenti. Un grande fuoco covava sotto la cenere. I vulcani spenti si risvegliarono. Con sorpresa, entusiasmo e costernazione, Sacks assistette al ritorno alla vita, purtroppo soltanto transitorio e in situazioni spesso drammatiche, dei suoi pazienti trattati con L-dopa, che si risvegliavano dal carcere fisico e mentale in cui la malattia li aveva progressivamente relegati. “Davanti a tutti i nostri pazienti” – ricordò Sacks – si riapriva, almeno nell’immaginazione, la vita; per la prima volta da quarant’anni potevano credere in un avvenire migliore”6. L’atmosfera che si diffuse fra i pazienti era di un’esaltazione “quasi elettrica”. Leonard L., uno dei ricoverati “batté sulle lettere della tastiera di legno con cui comunicava, in un misto di entusiasmo e di ironia: «La Dopamina   è Resurrectamina. Cotzias è il Messia Chimico»”. Sacks era particolarmente entusiasta per quanto si svolgeva sotto il suo sguardo, ad appassionarlo era una malattia “diversa per ciascun paziente, una malattia che poteva assumere ogni forma possibile, ben a ragione chiamata «fantasmagoria» da coloro che per primi l’avevano studiata”. Finalmente aveva la possibilità di applicare l’insegnamento scientifico e letterario di Lurija, giungere alla scienza attraverso la biografia e la narrazione letteraria dei casi che con meraviglia mostravano tutta la ricchezza di drammi umani inimmaginabili. Il racconto di pazienti che improvvisamente avevano la possibilità di mostrare tutta la gioia di una rinascita ma anche la terribile frustrazione dell’ingiustizia che avevano patito, sentendosi defraudati da un’esistenza mancata. Per alcuni era come se il risveglio corrispondesse a una contrazione del tempo, come se fosse avvenuto nel giorno seguente il momento in cui la malattia aveva colpito. La sensazione di aver viaggiato in avanti lungo gli anni ritrovandosi proiettati nel futuro. Ma chi poteva ripagarli di quanto avevano perso, di tutto quel tempo in cui il mondo era cambiato mentre la loro esistenza si era fermata? Il risveglio dal “sonno” mentale era parallelo a quello fisico, impoveriti da decenni sul piano motorio, sotto l’effetto della L-dopa potevano ora effettuare movimenti sopiti tanti anni prima. E Sacks li osservava, registrando gli effetti del farmaco, interrogandoli, entrando in profonda identificazione empatica con loro. Se dapprima si sentiva come un naturalista che osserva e descrive, ben presto diventò qualcosa di più. Attraverso i pazienti Sacks poteva indagare “ciò che significa essere umani, e rimanere umani, di fronte ad avversità e minacce inimmaginabili”7. Oggetto dei suoi studi diventò “la loro identità e la loro lotta per mantenere un’identità”. Un’impresa che stava nel punto di intersezione “fra Biologia e Biografia” secondo la migliore lezione di Lurija. Da questa straordinaria – e per tanti versi sconvolgente – esperienza umana, scientifica e professionale nacque Risvegli, un capolavoro di scienza narrata, un libro colmo di empatia e di umana comprensione delle tragiche condizioni che talvolta riserva la vita.

Bibliografia

1Sacks O., Zio Tungsteno. Milano, Adelphi, 2002.

2Sacks O., In movimento. Milano, Adelphi, 2015, p. 187.

3Mazzarello P., L’erba della regina. Storia di un decotto miracoloso. Torino, Bollati Boringhieri, 2013.

4Sacks O., Risvegli. Milano, Adelphi, 1987, p. 72.

5Ibid., p. 20.

6Ibid., p. 23.

7Ibid., p. 25.

Cita questo articolo

Mazzarello P., Risvegli. La neurologia letteraria di Oliver Sacks, Medicina e Chirurgia, 71: 3251-3253, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-7

Esperienze di lavoro di gruppon.71, 2016, pp. 3242-3250, DOI: 10.4487/medchir2016-71-6

Abstract

This Forum is a part of the tetralogy of educational events devoted to “Training of teachers, supervisors and students to leadership and teamwork”. In a tetralogy the so called “Pedagogical pills” are mini-lectures, the workshops are based on experiential learning, forums are the privileged environment in which the Conference co-constructs its shared knowledge, since they are small group activities focused on sharing and discussion of real life experience.

In this forum we identified some critical situations in which teamwork asks for a special attention, specially when the team is inter-professional. The following articles report on the most significant and common elements emerged from the discussion. The considered environments were the team of teachers of an integrated course, the relationship between teachers and administrative- technical personnel dn the inter-professional collaboration, probably the most challenging context in the near future.

Parole chiave: lavoro a piccoli gruppi – corsi integrati – collaborazione interprofessionale

Key Words: small group activities – integrated course – inter-professional collaboration

Articolo

  1. Introduzione

Questo Forum è parte della tetralogia di eventi formativi dedicati a “Formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo”. Se le “pillole pedagogiche” sono  mini-letture informative-formative  e gli atelier sono attività di apprendimento esperienziale, i forum sono il luogo privilegiato in cui la Conferenza co-costruisce la sua conoscenza condivisa, essendo attività per piccolo gruppo centrate sulla condivisione e discussione di esperienze reali.

In questo caso abbiamo individuato alcuni ambiti critici in cui il team work esige attenzione, specie quando il team è interprofessionale. Gli articoli che seguono riportano gli elementi  più significativi emersi a fattore comune dalle discussioni e condivisioni delle esperienze. Gli ambiti considerati sono stati il team di docenti di un corso integrato, la relazione tra docenti e personale tecnico-amministrativo e il lavoro di gruppo inter-professionale, forse il più sfidante contesto del prossimo futuro.

Fabrizio Consorti

  1. Lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato

Giuseppe Familiari (Conduttore), Licia Montagna, Roberta Misasi e Maria Filomena Caiaffa

Premessa

Il lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato (CI) riveste un aspetto cruciale per il corretto svolgimento del CI, soprattutto quando debbano essere integrate in modo efficace competenze multidisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari. Esso deve essere calibrato in relazione ai modelli organizzativi diversi dei CI dell’intero Corso di Laurea, soprattutto in riguardo alla fase iniziale (scienze di base), alla fase intermedia (fase pre-clinica) e alla fase finale del percorso formativo (fase clinica).

Debbono essere inoltre tenuti presenti i diversi modelli organizzativi dei CI nei confronti dell’organizzazione generale del Corso di Laurea, che può essere di tipo “tradizionale”, con maggiore attenzione all’integrazione orizzontale o di tipo “innovativo” con maggiore attenzione all’integrazione verticale. Deve ancora essere fatto riferimento ai modelli organizzativi diversi di integrazione nelle attività teoriche in aula, in relazione maggiormente con il sapere dello studente (Knowledge) e nelle attività pratiche a piccoli gruppi, molto più importanti, in relazione al saper fare e al saper essere dello studente (Competence, Performance, Action, Identity).

Asse centrale, nel gioco delle relazioni interpersonali in contesti complessi come quello medico, è senza dubbio la gestione del core curriculum del corso integrato, in riferimento a quei contenuti dell’apprendimento che debbono condurre alle abilità e alle competenze richieste alla laurea, con raggiungimento di un buon livello di professionalità (professionalism) o identità professionale (professional identity).

La gestione del core curriculum del CI deve infine rispettare due paradigmi importanti, deve cioè concordare, in relazione all’assetto generale specifico di ogni Corso di Laurea, con:

L’assetto verticale del curriculum, concordato come presupposto formativo dei CI in sequenza temporale, in riferimento al metodo scientifico, alla rilevanza fisio-patologica, al ragionamento clinico, alla consapevolezza del proprio ruolo;

L’assetto orizzontale del curriculum, inteso come sub-analisi del curriculum verticale, in relazione ai contenuti, alle propedeuticità, alle competenze dei docenti, alla progressione nei semestri, agli approfondimenti concordati.

Una integrazione efficace del core curriculum è alla base ed è basata sulla effettiva collaborazione tra docenti e studenti, presupposto irrinunciabile per condurre alla costruzione dell’ identità professionale di questi ultimi.

E’ importante sottolineare come il lavoro di gruppo all’interno del singolo CI, in piena sintonia con gli Studenti, debba essere condotto sui principi di collaborazione franca e leale con gli Studenti, utilizzando i principi di base della pedagogia (FAIR):

Feedback: monitorizzare la progressione degli Studenti sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi formativi;

Activity: lavorare “con” gli Studenti per un apprendimento attivo e non passivo;

Individualization: porre attenzione ai bisogni individuali di ogni singolo Studente, in relazione al raggiungimento degli obiettivi didattici;

Relevance: rendere l’insegnamento strettamente correlato agli obiettivi generali di apprendimento/competenze del Corso di Laurea.

Ovviamente, anche i rapporti tra i Docenti del CI debbono essere pienamente funzionali e basati sul rispetto, la lealtà e la correttezza reciproca, utilizzando i principi del modello SPICES di Harden, là dove la scala dell’integrazione (The integration ladder) prevede che vi sia: “greater central planning, greater communication between teachers, less emphasis on disciplines”.

La gestione di un CI è obbligatoriamente non facile e tale da richiedere grande attenzione; la sintesi dei punti fondamentali per una gestione di qualità deve prevedere:

– La pianificazione del CI, partendo dalle unità didattiche elementari (UDE), che sia davvero integrato (copresenza, correlazione pianificata in anticipo, ecc.);

– La pianificazione delle modalità di esame e valutazione coerente con gli obiettivi formativi del corso (esame veramente integrato e non prove singole, modalità di esame congrue con le conoscenze, le abilità e le competenze definite nel core curriculum,ecc.);

– Il ruolo centrale del coordinatore del CI che deve essere affidato a un Docente fortemente motivato (non è un notaio che prende atto dell’orario nell’aula, ma rende fattiva e possibile l’integrazione vera delle UDE, scioglie i contrasti, pianifica e concorda le copresenze, ecc.).

Le esperienze delle sedi

Nell’ambito del Laboratorio Pedagogico, sono state presentate e discusse le esperienze di tre sedi, che sono qui di seguito riassunte.

“Sapienza” Università di Roma, Corso di Laurea “C”

E’ stata presentata una interessante esperienza di lavoro di gruppo nella ristrutturazione del biennio clinico a maggiore caratterizzazione professionalizzante, per lo sviluppo della competenza medica.

L’idea è nata da una esigenza di dare un senso maggiormente compiuto alla struttura delle Medicine e Chirurgie I, II, III, CI del quinto/sesto anno di corso; Medicina e Chirurgia I integrata con l’Oncologia, Medicina e Chirurgia II con le Patologie Geriatriche, Medicina e Chirurgia III comprendente tutto il resto ma senza un programma ed un’organizzazione definiti.

In una serie di riunioni nella Commissione Tecnico Pedagogica è stato costruito un percorso di formazione per competenze, utile a garantire, a tutti gli studenti, un periodo di internato in medicina, chirurgia, medicina generale.

Vi sono state due fasi, una prima, dedicata al lavoro di gruppo in CTP per organizzare i CI e una seconda fase di lavoro di gruppo fra i docenti coinvolti nella realizzazione delle diverse attività. Sono state individuate la metodologia per l’attività frontale, la suddivisione dei problemi clinici essenziali, i metodi didattici specifici, la metodologia dell’attività pratica, i compiti dei tutor clinici, i compiti degli studenti.

Tra le attività di programmazione svolte debbono essere citati: lo studio in simulazione dei problemi clinici essenziali; la pianificazione in aula di metodologie didattiche specifiche, con discussione e metodologie di tipo professionalizzante; la raccolta  di casi clinici visti nei vari reparti frequentati durante il biennio clinico inclusa la frequenza dal MMG; la raccolta di schede narrative e brevi racconti di episodi vissuti durante il biennio clinico particolarmente significativi per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità medica; l’acquisizione in autonomia delle abilità essenziali previste dal libretto delle attività pratiche.

Il lavoro iniziale di reclutamento dei docenti è stato lungo e faticoso, in quanto essi dovevano avere disponibilità di reparto, conoscenze, passioni e attitudini diverse, voglia di partecipare. Malgrado le continue riunioni, continua però ad essere difficile mantenere una rigida distribuzione di compiti che eviti sovrapposizioni ed inutili ripetizioni.

Milano Humanitas, Corso internazionale in lingua inglese

L’esperienza presentata si riferisce alla ristrutturazione del corso, in riguardo alla organizzazione integrata del primo anno di corso. Viene, nello specifico presentato il lavoro svolto nella organizzazione di due CI.

Nel CI Body at Work (Fisica, Anatomia Umana, Biochimica, Fisiologia) è stato in particolare istituito un CdCI; vi è stata piena condivisione dei contenuti e dei metodi del corso, condivisione dei temi longitudinali del Priority Presenting Problems Portfolio (PPPP), la stesura di un syllabus, la definizione delle modalità d’esame.

I CI sono stati migliorati estendendo  la condivisione dei temi longitudinali del PPPP agli altri CI, lavorando sulla stesura di un syllabus integrato anche sugli altri corsi.

Grande lavoro di gruppo è stato fatto sulle modalità d’esame, prevedendo, sempre per lo stesso corso in esempio, un esame scritto tramite multiple choice test, il cui superamento garantisce l’accesso all’esame orale con i docenti, la revisione del compito e la discussione di un argomento del PPPP.

In questo processo di rinnovamento è stata data particolare enfasi al ruolo del coordinatore di CI, che condivide i principi e i metodi didattici del corso, sa costruire committment tra i colleghi e si confronta con il presidente del CDL e l’ Office for medical Education, supervisiona il syllabus, lavora a stretto contatto con il responsabile della pianificazione e con i colleghi del CI durante la pianificazione, supervisiona le domande d’esame, redige la prova d’esame finale, è referente diretto per gli studenti (domande, chiarimenti ecc..), riceve la valutazione del corso e si fa promotore di modifiche e miglioramenti.

Ateneo di Foggia, Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

L’esperienza presentata per il CLM di Foggia fa riferimento soprattutto alla situazione attuale e agli sforzi che il Presidente del Corso di Laurea sta mettendo in atto per il suo miglioramento. L’Università di Foggia è un Ateneo di media dimensione, con 16 Corsi di Studio di Area Medica (5 decentrati), 56 professori e 57 ricercatori/prof aggregati. Al Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia frequentano 80 studenti per anno. I CI sono organizzati sulla base di un modello tradizionale con «integrazione orizzontale».

Dall’analisi SWOT della situazione attuale emergono dei punti di forza, caratterizzati dalla omogeneità nell’organizzazione dei CI della fase iniziale, intermedia e finale; da una buona pianificazione dei CI e chiari obiettivi formativi; una evoluzione positiva del ruolo dei coordinatori di CI; l’integrazione dei contenuti e dei programmi dei CI in via di miglioramento; alcune criticità evidenziate anche dalla site-visit della CPCLMMC 2014, sono state obiettivo di miglioramento del Rapporto di Riesame annuale e ciclico 2016.

La stessa analisi SWOT evidenzia delle criticità quali le modalità di esame da migliorare (nell’integrazione); l’approccio individualistico nell’insegnamento della disciplina in alcuni moduli didattici; difficoltà a gestire la co-presenza dei docenti a lezione, in relazione al numero limitato di docenti con carico didattico importante nei diversi CdL.

E’ stata pertanto ribadita l’utilità reale del rapporto del riesame annuale e ciclico, da interpretare correttamente non come impegno burocratico, ma come effettivo strumento per il miglioramento della qualità didattica.

  1. Lavoro di gruppo interprofessionale

Davide Festi, (Conduttore), Maria Grazia De Marinis, Lorenza Garrino, Paolo Leombruni, Daniele Santini. Erano inoltre presenti: Fabrizio Consorti, Pietro Gallo e Rappresentati del SISM.

Dopo una breve introduzione incentrata  sulle definizioni di educazione interprofessionale, sia quella dell’OMS del 1988 che quelle del  CAIPE del 1997 e del 2006, sulla normativa  esistente  e sulle scarse evidenze scientifiche disponibili relative all’impatto della educazione interprofessionale sugli esiti clinici, sono state riportate alcune esperienze effettuate a Roma ed a Torino.

Maria Grazia De Marinis e Daniele Santini, del Campus Biomedico di Roma hanno presentato una esperienza di didattica simulata interprofessionale, che ha coinvolto studenti di Medicina e Chirurgia e studenti di Infermieristica, con l’obbiettivo  di esplorare i differenti ruoli professionali; valorizzare le diverse competenze, incoraggiare la comunicazione e la fiducia  tra i membri del gruppo; imparare ad esprimere emozioni, stati d’animo e necessità di aiuto nel gruppo; riflettere sulle difficoltà a ricevere e riferire commenti/apprezzamenti sul proprio lavoro.

Il seminario si è svolto attraverso le seguenti fasi:

  1. Analisi di un incidente critico: con l’obiettivo di offrire ai ragazzi la possibilità di riflettere, in gruppi di 6 persone, su una situazione di interprofessionalità in cui direttamente o indirettamente hanno partecipato nel loro tirocinio.

Gli è stato chiesto di descrivere una situazione ritenuta critica, che pensavano potesse essere gestita diversamente, attraverso la ricostruzione di emozioni, azioni, clima e modalità di lavoro, fornendo esempi chiari e concreti di comportamenti o parole osservate e di spiegare perché  dal loro punto di vista la situazione è stata ritenuta critica.

  1. Scrittura della trama per il Role Playing: il gruppo ha ricevuto l’invito a definire una semplice trama, utilizzando il contenuto dell’incidente critico e stabilendo cosa doveva essere detto e fatto  dai personaggi. In particolare, la trama richiedeva la descrizione di: dove accade; quando accade; a chi accade; che rapporti ci sono tra queste persone (relazione); di cosa si tratta (problema).
  2. c) Realizzazione del Role Play in quattro fasi:

due studenti hanno interpretato rispettivamente il ruolo del medico e dell’infermiere cercando di risolvere la situazione critica, così come descritto preliminarmente nella trama

“inversione dei ruoli”: il ragazzo che prima ha interpretato il medico ha poi interpretato l’infermiere e viceversa;

introduzione  dell’”io ausiliare”: è servito per suggerire ai due protagonisti nuovi punti di vista e nuovi comportamenti;

“sostituzione” dei ruoli: due nuovi ragazzi interpretano la scena per cercare di affrontare il problema con dinamiche differenti dalla precedente.

  1. d) Il feedback: è stata analizzata la registrazione della scena, sono stati raccolti i feedback dei partecipanti, si sono confrontate le differenti prospettive di analisi e i vari punti di vista conclusivi.

Da parte degli studenti è emerso: un’indicazione ad una comunicazione più chiara e diretta tra le diverse figure professionali; una considerazione sulle capacità di mettersi nei panni dell’altro per comprenderlo meglio;  la necessità di ri-conoscere il proprio ruolo e quello dell’altro e  di non essere intimoriti nel chiedere aiuto quando si sta gestendo una situazione critica.

La seconda realtà discussa all’interno del Laboratorio ha riguardato l’esperienza maturata in questi ultimi anni presso l’Università di Torino.

Lorenza Garrino e Paolo Leombruni hanno presentato alcune iniziative promosse dalla SIPeM sezione Piemonte  e VdA e realizzate come prima ricaduta del Congresso Nazionale svoltosi a Torino nel Maggio 2010. Sono stati tenuti, nel corso di più anni, workshop volti ad analizzare l’importanza dello sviluppo di una collaborazione interarea tra le varie figure sanitarie con simulazioni volte a stimolare il lavoro di gruppo e una maggiore consapevolezza delle capacità e responsabilità del proprio ruolo al fine di riuscire nella risoluzione di situazioni critiche. In particolare sono state organizzate due giornate di studio e lavoro, il 24 settembre 2010 e 11 settembre 2011, dal titolo ”Formazione alla interprofessionalità nei corsi di base della Facoltà di Medicina” alla quale hanno partecipato più di sessanta docenti universitari  e professionisti delle aree socio-sanitarie ed educative. Ai partecipanti sono stati proposti gruppi di studio interprofessionali da sperimentare nelle sedi appropriate, con la finalità anche di realizzare un percorso  triennale all’interno del corso di Medicina.  Obiettivi del percorso, partendo dai bisogni evidenziati, erano quelli di rendere lo studente in grado di descrivere le regole della comunicazione (grammatica della comunicazione, ascolto attivo); negoziare nel gruppo soluzioni condivise; utilizzare strumenti comunicativi efficaci. Una ulteriore iniziativa sull’interprofessionalità  ha riguardato la realizzazione di laboratori gesti o skill lab, gestiti da tutor infermieristici ai quali partecipano gli studenti di Medicina del primo triennio. A partire dall’Anno Accademico 2011-2012 è stata realizzata presso i corsi di laurea delle professioni sanitarie e il corso di laurea in medicina una attività elettiva interprofessionale  dal titolo “ Il caregiver : l’alleanza terapeutica nell’assistenza domiciliare in una prospettiva interprofessionale”, indirizzata alle professioni infermieristica, medica, riabilitative (fisioterapista, logopedista) ed agli educatori professionali.

Una ulteriore esperienza riguarda la collaborazione tra il corso di laurea in infermieristica di Torino e l’Università  Modena –Reggio, nata all’interno del master “Metodi e strumenti per l’insegnamento clinico della medicina generale nelle cure primarie” relativa alla partecipazione del paziente esperto nella formazione e nelle cure, in una ottica di interprofessionalità. Il presupposto è la sempre maggiore valorizzazione dell’esperienza che il paziente porta con sé quando arriva al professionista,  delle sue preoccupazioni, dei suoi desideri, delle sue conoscenze e della sua consapevolezza sulla sua situazione. IN un tale approccio il paziente diventa alleato, partner e viene valorizzata la sua esperienza nel percorso di cura ed a una migliore qualità di vita nelle diverse fasi di malattia.

L’esperienza fatta a Torino consente di concludere e prospettare la necessità di:

– implementare la formazione interprofessionale nei corsi di base per migliorare la comunicazione interprofessionale;

– una progettazione formativa interprofessionale attraverso l’identificazione di interventi mirati a favorire la conoscenza degli altri professionisti, la realizzazione di percorsi di tirocinio comune tra studenti di discipline diverse, incontri per favorire la comunicazione interprofessionale ed il confronto

– valorizzare e sviluppare il partenariato con i pazienti ed i care giver nella formazione e nelle cure.

In ultimo il gruppo di lavoro, rispondendo alla richiesta fatta dalla Presidenza, ha identificato:

1)  le cinque parole  relative al buon funzionamento dei gruppi: comunicazione, affiatamento, definizione dei ruoli, inclinazione alla leadership, sperimentazione.

2) le cinque parole relative alla criticità dei gruppi: necessità di una valutazione delle esperienze realizzate, numerosità (difficoltà nel rendere queste esperienze accessibili a più studenti dei corsi di laurea, valutazione della possibilità di inserire anche dei corsi ADE nel piano di studi, strutturati su più anni al fine di permettere in base alle competenze sviluppate dagli studenti analisi di problemi differenti); diffidenza (tra le figure in questione);

3) le cose da NON fare: mettere in un’aula tutti gli studenti; chiamare una lezione frontale “lezione sull’interprofessionalità”;

4) le cose da fare: necessità di esperienze di simulazione condivise; identificare gli spazi più idonei (es. tavoli tondi dove più studenti possono lavorare insieme); identificare le strategie di collaborazione più idonee e concrete; conoscenza dei valori reciproci delle diverse figure sanitarie.

  1. Lavoro di gruppo con il personale tecnico-amministrativo

Bruno Moncharmont (Conduttore), Maurizia Valli, Tiziana Bellini ed Anna Bossi

I normali processi di progettazione e gestione dei corsi di studi prevedono numerosi interazioni tra i docenti con ruoli di responsabilità (presidente del corso di studio, componenti della commissione tecnico pedagogica, gruppi per l’assicurazione della qualità) e tra il personale tecnico amministrativo della segreteria didattica, della segreteria studenti e degli altri uffici centrali dell’ateneo. Lo svolgimento armonico dei processi implica, però, frequenti e fondamentali interazioni tra i docenti e personale tecnico amministrativo. L’esperienza ci mostra che tale interazioni sono quasi sempre estreme: in alcuni casi armoniche, perfettamente funzionali e collaborative in altri disastrose, con il risultato di creare sovente ingiustificati ritardi nei processi. Il mandato del laboratorio era quello di comprendere, attraverso una analisi delle esperienze riferite da alcune sedi, quali erano gli elementi che costituivano un ostacolo all’instaurarsi di un rapporto operativo di gruppo tra docenti con ruoli di responsabilità nella gestione del corso di studi ed il personale tecnico amministrativo coinvolto nei processi di progettazione e gestione delle attività didattiche.

Maurizia Valli presidente del CL M di Pavia ha presentato le esperienze con la Segreteria studenti, Tiziana Bellini, presidente del CLM di Ferrara, quelle con la Segreteria didattica, con una particolare enfasi sull’importanza della funzione del manager didattico, ed infine Anna Bossi presidente del CLM di Milano statale-polo centrale quelle con Ufficio statistico di ateneo. Dalla animata discussione con gli altri partecipanti al laboratorio è emerso che una parte delle principali cause che ostacolano l’armonico sviluppo delle interazioni in un lavoro di gruppo sono di tipo strutturale-organizzativo:

– difficoltà di accesso ai dati (tipologie differenti di database ed aggiornamento non sincrono)

– scarsa integrazione tra sistemi software;

– rigidità nell’utilizzo delle applicazioni per la mancanza di manuali utente e per una insufficiente o inadeguata formazione;

– linguaggio utilizzato nella gestione degli aspetti didattici non sempre corrispondente a quello utilizzato per gli aspetti amministrativi;

– poca formalizzazione delle procedure e prevalente ricorso alla memoria storica;

– sostituzione di ruoli tra docenti e PTA su particolari aspetti.

L’altra parte delle criticità sono da annoverarsi sul lato relazionale:

– input e/o richieste antitetiche al personale tecnico amministrativo da parte del corso di studi e della struttura amministrativa;

– prevalenza della dimensione relazionale rispetto a quella organizzativa;

– formale divisione scientifica del lavoro;

– personalizzazione delle priorità lavorative;

– pregressi ed irrisolti conflitti intragruppo e di categoria;

– conflitti personali di relazione (componenti emozionali ed affettive) ed incompatibilità caratteriale;

– ambivalenza del peso dell’anzianità nella posizione;

– utilizzo del know-how talvolta capzioso e strumentale;

– rigidità nella sostituibilità professionale delle risorse disponibili;

– mancanza di strumenti premiali o punitivi.

Sebbene la durata limitata del laboratorio non abbia consentito di analizzare tutti questi aspetti con il dovuto approfondimento, è comunque chiaramente emerso che alcune semplici azioni (sottoelencate) potrebbero consentire di sfruttare al meglio le opportunità che lavoro di gruppo può offrire (conoscenza dei problemi degli altri, condivisione delle criticità, configurazione di soluzione ottimale);

– analisi puntuale dei processi, con definizione di procedure che indichino chiaramente tempi, strumenti e responsabilità;

– formazione ed aggiornamento contestuale del personale tecnico amministrativo e dei docenti con ruoli di responsabilità sugli strumenti di gestione della didattica e di assicurazione della qualità (ad esempio procedura esse3, SUA-csa).

  1. Considerazioni conclusive

Maria Grazia Strepparava (Milano Bicocca)

I lavori pomeridiani sulle dinamiche di gruppo sono stati pensati con uno scopo esplicito ed uno implicito. Lo scopo esplicito, ed esplicitato, ai partecipanti era innescare la riflessione condivisa sui diversi ambiti in cui i Presidenti si trovano a utilizzare il lavoro di gruppo. Lo scopo implicito, meno facile da trattare e soprattutto più complesso da trasformare in un oggetto di lavoro, era portare all’evidenza dei partecipanti l’importanza e la centralità che gli aspetti di comunicazione, interazione e relazione hanno nel facilitare, rallentare, ostacolare o promuovere il lavoro di  un  gruppo di persone.

Nella fase di progettazione di queste attività è stato immediatamente evidente che non sarebbe stato eccessivamente difficile aiutare i partecipanti ad individuare e portare poi alla discussione in plenaria gli aspetti relativi  al tipo e ai contenuti delle attività svolte in gruppo nei diversi luoghi del sistema formativo universitario: gli “oggetti” intorno ai quali si strutturano le diverse situazioni in cui si lavora in gruppo sono ben definibili e si va dallo sviluppo delle pratiche interprofessionali nella formazione e nel lavoro clinico, al lavoro di gruppo per la gestione di tutto ciò che entra nel campo di attività della CTP, ai molteplici oggetti di lavoro che portano la componente universitaria a interfacciarsi con il personale tecnico e amministrativo, per arrivare al lavoro collettivo dei docenti intorno alla progettazione dei corsi integrati. Altrettanto chiaro era che ben più complesso e poco ovvio sarebbe stato facilitare l’emergere delle rappresentazioni individuali che sono lo sfondo delle pratiche condivise (Wenger, 1996) del lavoro in gruppo: il modo in cui ciascuno – docente, studente o tecnico – pensa al proprio ruolo, ai propri compiti, ai propri obiettivi a breve e a lungo termine e agli obiettivi dell’istituzione stessa, è un sistema di immagini che orienta l’agire quotidiano di ognuno. Ugualmente nascoste sullo sfondo sono le caratteristiche dell’interazione e della relazione che si imposta e progressivamente si sviluppa tra persone che lavorano insieme. Queste dinamiche sono determinate dalle rappresentazioni di sé e dell’altro, dalle aspettative sui comportamenti altrui e propri, dal clima emotivo che si crea nel gruppo di lavoro e dai meccanismi individuali e collettivi di regolazione affettiva, in poche parole costituiscono il profilo relazionale del gruppo stesso e determinano lo stile di lavoro del sistema (Wenger, 1998).

Per favorire il lavoro sugli aspetti della conoscenza tacita, meno immediatamente accessibili alla riflessione individuale e condivisa, si è deciso di utilizzare stimoli che spostassero l’attenzione dalle rappresentazioni cristallizzate e consapevoli, facilitando l’accesso anche alla qualità emotiva dell’esperienza: come ci si sente nel trovarsi in una data situazione o nel vivere una certa esperienza. È stato così dato mandato ai quattro conduttori – dopo aver dedicato agli aspetti espliciti la parte iniziale del tempo a disposizione – di proporre al gruppo le domande sotto elencate.

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Pensando alle situazioni di lavoro che avete trattato nel vostro gruppo (CTP; Corso Integrato; Interprofessionalità; Personale tecnico-amministrativo) individuate:

– quali sono le cinque parole per definire le criticità,

– quali sono le cinque parole per definire il  “buon lavorare”

– quale immagine descrive quando le cose “vanno male” nel lavoro di gruppo

– quale immagine descrive quando il gruppo “funziona bene”

– quali sono le tre cose da NON fare

– quali sono le tre cose da fare

Alla base queste richieste ci sono alcune considerazioni: le parole sono etichette linguistiche che usiamo per condensare esperienze complesse e sono rappresentate in modo distribuito nella mente (Barsalou, 2008; Lakoff, Johnson, 1999); i termini del linguaggio o le metafore e le analogie che usiamo nel discorso evidenziano le dimensioni per noi salienti di ciò a cui ci riferiamo, il senso dell’esperienza (Lakoff, 1987) e le parole corrispondono a stati mentali e alla loro controparte fisica di cui spesso non siamo del tutto consapevoli, ma che orientano le nostre reazioni alle diverse situazioni in modo implicito (Gallagher, Hutto, 2008): un conto è “parlare degli aspetti del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo” e un altro e ben diverso conto è “parlare dei problemi del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo”: la rappresentazione costruita nella mente di chi parla e nella mente di chi ascolta è differente; non sempre chi parla e seleziona i termini del linguaggio, è consapevole delle sfumature che la sua scelta linguistica ha e dell’effetto sugli altri. Le parole da un certo punto di vista sono dei “punti di vista” sul mondo, possono chiudere o aprire prospettive, definire percezioni, far emergere in trasparenza modi di sentire, sono alla base della nostra costruzione della realtà .

Associare un’immagine a un concetto è un’altra strategia per avere accesso alle nostre conoscenze tacite – sempre sulla base dei principi del modello della embodied cognition, o grounded cognition per spiegare la rappresentazione della conoscenza (Varela, Thompson, Rosh, 1991; Damasio 1999; Gallagher, 2007). La richiesta di visualizzare specifiche azioni ha l’obiettivo di spostare l’attenzione dal piano semantico, astratto, al piano della memoria episodica, che è appunto memoria che integra, contestualizzandola, percezione e azione, facilitando l’accesso alla ricostruzione soggettiva dell’esperienza.

Nella tabella 1 sono riportate le sintesi delle risposte dei quattro gruppi. È facile vedere che vi sono alcune parole che ricorrono trasversalmente tra tutti i quattro gruppi di lavoro, permettendo di individuare alcuni campi semantici condivisi. Ugualmente però ogni gruppo presenta una sorta di filo rosso, di trama di significato che in un certo senso ne costituisce il profilo.

Un sistema di termini che ricorre in tutte le risposte ha per core il concetto di “condivisione”, sia concettuale (concertare, programma condiviso, conoscenza reciproca, strategie di collaborazione), sia fisico/emotiva (affiancamento, contatto quotidiano, condividere, senso di appartenenza, partecipazione):  partecipare non è solo mettere insieme le cose, ma agire insieme e nell’agire sentirsi insieme.

Un altro tema ricorrente, solo all’apparenza contrapposto al sentirsi-con con è la delimitazione dei ruoli, il mantenimento del senso della propria identità e della propria funzione dentro la percezione collettiva. I gruppi vivono anche della delicata dinamica tra il senso di appartenenza e, di fusione collettiva, di mancanza di confini, e la definizione di sé e il mantenimento della propria identità: per un buon funzionamento gruppale i processi intragruppo (io nel gruppo in relazione con gli altri componenti del gruppo) e intergruppo (noi in quanto gruppo verso altri gruppi o altri individui),  devono essere in equilibrio dinamico. L’identità di ruolo emerge come un aspetto costitutivo della percezione professionale di sé, aprendo alla domanda se vi sia e quale sia il legame tra l’assunzione di ruolo e il potere, cui non è certo possibile dare qui una risposta.

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Ancora più interessante rispetto alle riflessioni sul linguaggio, le considerazioni che possiamo fare sulla scelta delle immagini. La prima, e più evidente, è che tra i moltissimi quadri possibili ben due gruppi su quattro hanno scelto esattamente la stessa immagine (l’Urlo di Munch, Fig. 1) per rappresentare “quando il gruppo va male”. La formulazione della frase è stata lasciata volutamente ambigua, generale e fatta in uno stile colloquiale, per dare ai partecipanti quanti più gradi di libertà possibili. Sarebbe interessante chiedere ai componenti dei gruppi come sono giunti a questa scelta, a cosa hanno associato l’immagine (disperazione o impotenza davanti al conflitto? sconforto per l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi? assoluta mancanza di senso davanti alla confusione? pura emozione?), ma certamente la convergenza ci dice che c’è un tessuto di esperienza condivisa e significativa. In fondo anche nell’immagine del manicomio c’è la mancanza di senso, il caos, la disperazione, l’impotenza. Più variegate le immagini del gruppo ben funzionante: il popolo unito, un ingranaggio che funziona senza intoppi, qualcosa in cui ogni parte ha un posto ed è al suo posto. In alcune immagini c’è movimento e azione, in altre un quadro statico e organizzato. Stasi e movimento che ritroviamo nelle parole che ciascun gruppo ha scelto e nelle azioni indicate: il puzzle si accompagna alle parole integrazione, pianificazione, programma, riproducibilità; il meccanismo a funzioni, organizzazione, comunicazione, ruoli. Un ingranaggio è un sistema di parti che si muovono con sincronia, fisicamente connesse, e questo è proprio il gruppo che fa riferimento alla presenza e vicinanza fisica. Nel gruppo che ha scelto il Quarto Stato (Fig. 2), e la Battaglia di Anghiari (Fig. 3) il campo semantico delle azioni ci porta invece alla contrapposizione tra partecipazione/concertazione e accentramento/sopraffazione, che bene riflette il senso della lotta di popolo delle due immagini.

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Si potrebbe proseguire ancora nell’identificare i rimandi che legano parole concetti e immagini, ad esempio il filo dell’agire sperimentante (ricerca, sperimentazione, strategie, azione collettiva) che caratterizza la rappresentazione che sta sullo sfondo della riflessione di uno dei gruppi. Ma non dobbiamo dimenticare un punto essenziale: se ci poniamo nell’orizzonte filosofico e concettuale  del costruttivismo (Von Glaserfeld, 1984) ogni descrizione di un fenomeno avviene da una specifica prospettiva, è fatto da un lettore/narratore, parte da un certo punto vista: non esiste una sola verità assoluta, ma molteplici prospettive e la conoscenza quel sistema complesso che integra prospettive differenti, nessuna più vera di un’altra.

Il mio invito quindi ai lettori è guardare le griglie dal loro punto di vista e vedere quale rete di rimandi si delinea nella loro mente. Buon divertimento.

Bibliografia

1) Barsalou L., 2008, Grounded Cognition, W. Annu. Rev. Psychol. . 59:617–45

2) Damasio A. R., 1999, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness [trad. it. Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000].

3) Gallagher S.,  Hutto D. 2008, Understanding Others through Primary Interaction and Narrative Practice, in J. Zlatev, T. Racine, C. Sinha e E. Itkonen (a cura di), The Shared Mind: Perspectives on Intersubjectivity, John Benjamins, Amsterdam, pp. 17-38.

4) Gallagher S. , 2007, Phenomenological and Experimental Research on Embodied Experience, in T. Ziemke, J. Zlatev, R. Frank e R. Dirven (a cura di), Body, Language and Mind, vol. I, Mouton de Gruyter, Berlin, pp. 241- 63.

5) Lakoff, G. , 1987,. Women, fire and dangerous things: what categories reveal about the mind. Chicago and London: The University of Chicago Press.

6) Lakoff, George. Johnson Mark., 1999. Philosophy in the flesh. The embodied mind and its challenge to Western thought. New York: Basic Books.

7) Varela FJ, Thompson E, Rosh E. 1991. The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, MIT press, Cambridge, Mass.

8) Von Glaserfeld, E., An introduction to radical constructivism, in p. watzlawick, the invented reality, Norton, New York, 1984, pp 17-40 (tr.it. La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1987).

9) Wenger E. Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge University Press, New York 1998; tr. it. Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano 2006

10) Wenger E., 1996, Communities of practice: the social fabric of a learning organization,

11) Wenger E., 1996. How we learn. Communities of practice. The social fabric of a learning organization. Healthc Forum J. 1996 Jul-Aug;39(4):20-6.

Cita questo articolo

Consorti F., Familiari G., Festi D., et al., Esperienze di lavoro di gruppo, Medicina e Chirurgia, 71: 3242-3250, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-6

Introduzione dell’insegnamento di ecografia nel curriculum universitario del Corso di laurea in Medicina. Stato dell’arte e proposte dell’EFSUMBn.71, 2016, pp. 3239-3241, DOI: 10.4487/medchir2016-71-5

con la collaborazione di Daniele Fresilli, Sveva Lamore e Francesco Flammia

Abstract

Abstract

The European Federation of Societies for Ultrasound in Medicine and Biology (EFSUMB) recommends that ultrasound should be used systematically as an easy accessible and instructive educational tool in the curriculum of modern medical schools. Medical students should acquire theoretical knowledge of the modality and hands-on training should be implemented and adhere to evidence-based principles. In this paper we summarise EFSUMB policy statements on medical student education in ultrasound.

Parole chiave: insegnamento, linee guida, raccomandazioni, US

Key Words: teaching, guideline, recommendation, US

 

“L’educazione è la miglior arma che si possa utilizzare per cambiare il mondo”.

Nelson Mandela.

Articolo

Introduzione

L’ecografia è un metodo efficace utilizzato in tutto il mondo per la valutazione dei pazienti in vari contesti clinici; essa si è oramai affermata come metodica di Imaging di prima linea. L’ avanzare del mondo della tecnologia ha reso le apparecchiature ecografiche economicamente accessibili e portatili fino ad aver raggiunto, adesso, più o meno le dimensioni di uno smart-phone1,3. Inoltre l’ecografo portatile ha il potenziale di estendere l’esame fisico e convalidare i dati clinici del medico nella medesima seduta della visita, effettuabile anche a letto del paziente e con costi sempre più contenuti. La tecnologia ha aperto nuove prospettive per l’applicazione clinica dell’ecografia; di conseguenza l’insegnamento e, successivamente, la preparazione e l’aggiornamento delle conoscenze sull’ecografia diventano cruciali4. L’EFSUMB (European Federation of Societies for Ultrasound in Medicine and Biology)5 e altri Autori6, hanno pubblicato un atlante di anatomia e di tecniche di utilizzo di dispositivi portatili. La preparazione di uno studente di medicina è tradizionalmente basata su metodi di apprendimento “classici “, come presentazioni, corsi e workshop. Tuttavia, le nuove tecnologie e fonti web di informazione hanno aperto applicazioni didattiche innovative nella pratica medica7. L’ ecografia, insegnata da personale esperto è tra le materie di più recente introduzione nel percorso di studi medico8. Alcune università e autori hanno sostenuto che l’ecografia possa essere utilizzata efficacemente per insegnare l’anatomia e la fisiologia medica, non solo la diagnostica per immagini9,12.

Le apparecchiature ad ultrasuoni possono essere utilizzati al fine di fornire contenuti didattici più rappresentativi per gli studenti di medicina e specializzandi. Alcuni autori hanno fatto riferimento ad essa come il ‘’ Sonoscopio ‘’ o “Echoscopio” evidenziando l’uso dell’ecografo come strumento ancora importante almno quanto lo sia lo stetoscopio3,13,14.  L’uso dell’ecografia, al di fuori del dipartimenti di radiologia, è stato spesso definito come “point of care “. Inoltre, alcune scuole di medicina, approfittando dei recenti progressi tecnici nella tecnologia dell’ecografo portatile, l’hanno introdotto all’interno del percorso di studi di medicina9-11,15,16. Nel 2011, il Prof. Hoppmann ha riportato i suoi primi 4 anni di esperienza presso l’Università di Medicina del South Carolina, dove è stato introdotto un insegnamento dell’uso dell’ecografo per tutti gli studenti, nei 4 anni della Scuola di Medicina9. Più recentemente, Baltarowich et al17 hanno proposto un doppio percorso di studi organizzato come segue:

Fase preclinica: uso dell’ecografo per facilitare gli studenti nell’apprendimento dell’anatomia, della fisiologia e della patologia.

Fase clinica: insegnare agli studenti come usare l’ecografo in maniera risolutiva come problem- solving nella diagnosi della patologia.

Fase preclinica

Se lo studio ecografico è integrato all’ interno di un più ampio percorso di studi, ha la capacità di migliorare la comprensione generale dell’anatomia, della fisiologia e della patologia18. Questa integrazione orizzontale dell’ecografia è probabilmente meglio organizzata e migliorata da una equipe multidisciplinare che include un medico interno, un radiologo e altri operatori ecografici specializzati, con il supporto dei direttori del corso di anatomia, fisiologia e fisiopatologia. Idealmente, il contenuto dell’insegnamento dovrebbe essere organizzato in letture didattiche e sessioni di piccoli gruppi, arricchito dall’ esperienza e dal contributo di immagini ecografiche da parte di esperti. Questo includerebbe 1 o 2 letture introduttive riguardo l’aspetto fisico ecografico, l’acquisizione delle immagini, indicazioni e limiti. In alternativa, alcune scuole di medicina potrebbero scegliere un approccio più verticale, dedicando ore specifiche all’ insegnamento dello studio delle immagini ecografiche e workshop per completare il percorso didattico preclinico19-22. Ogni corso modulare dovrebbe aggiungere informazioni alla didattica tradizionale e non sostituirla in modo da arricchire le conoscenze e fornire progressive successive competenze.

Fase clinica

Alcuni modelli di insegnamento dell’uso dell’ecografia sono stati modificati. Uno offre diversi livelli di dimostrazioni e di immagini agli studenti durante il tirocinio del loro terzo anno (Harvard Medical School, Boston, USA)23. Il secondo modello è più intensivo, organizzato in un programma della durata di 3 giorni (Thomas Jefferson University Hospital, Philadelphia, USA)17. Con l’attuale ampia variabilità di offerta formativa e di programmi di tirocini clinici, è comprensibile che uno studente possa completare il suo percorso medico senza aver mai studiato direttamente un paziente con un ecografo. Per quanto non ottimale, gli autori riconoscono che la qualità dell’immagine ecografica è ampiamente basata sull’ allenamento e sulla manualità dell’operatore. Per raggiungere questo obbiettivo in una clinica affollata, il concetto de “l’allievo supera il maestro” può essere applicato per reclutare studenti esperti per l’insegnamento dell’uso dell’ecografo. Inoltre, questi concetti possono essere estesi ai metodi di insegnamento che hanno un effetto positivo e un’azione di supporto nell’ uso di un ecografo24. Può essere dimostrato che lezioni universitarie di ecografia possono avere successo come strumento didattico ben recepito dagli studenti di medicina per stimolarne ancora di più la fantasia e la partecipazione all’attività clinico-didattica25.

Gli studenti necessitano inoltre di imparare i limiti dell’ecografo e di riconoscere situazioni in cui altre modalità di acquisizione dell’immagine sembrano essere più appropriate. Tuttavia gli attuali percorsi di studi di medicina dedicano piccoli spazi per contenuti addizionali, didattici e di insegnamento; noi crediamo che sia essenziale includere l’uso base di un ecografo per una migliore formazione di uno studente di medicina26-28. In conclusione noi ci rifacciamo alle parole di Solomone e Saldana: “una generazione di medici dovrà essere allenata a vedere questa tecnologia come una estensione dei proprio sensi, proprio come tante generazioni la hanno vista nello stetoscopio. Questa novità richiederà alla comunità medica di utilizzare ed introdurre questa tecnologia all’ interno del percorso di studi”29.

Stragegia dell’EFSUMB

L’EFSUMB ha realizzato un EFSUMB Course Book (ECB)30, l’EFSUMB Course Book Student Edition (ECBSE)31, l’Atlas on echoscopy5 e video didattici (sull’anatomia e sulla tecnica dell’esame)32 che sono gratuitamente scaricabili dal sito web dell’EFSUMB (www.efsumb.org)233.

L’EFSUMB ha deciso di fondare un Comitato per studenti indipendenti ma con un rappresentante nel comitato esecutivo dell’EFSUMB che promuoverà l’istruzione e le attività attinenti in Europa. Inoltre, l’EFSUMB sta progettando l’integrazione di un nuovo Student Congress con i congressi Euroson futuri.

L’Educational and Professional Standard Commitee (EPSC) dell’EFSUMB ha lo scopo di avviare e monitorare studi con la cooperazione internazionale sulla formazione degli studenti nell’ultrasonografia medica. Gli steps proposti sono i seguenti:

– Revisionare la presente conoscenza sulla formazione degli studenti e le precedenti esperienze riportate.

– Inoltrare una lettera ufficiale come conseguenza delle indagini precedentemente menzionate per informare le diverse università che rispondono, e a tutte le Università  incluse le organizzazioni rappresentative studentesche per informarle riguardo la proposta dell’EFSUMB di includere l’ecografia nel core curriculum della formazione medica. I risultati dei questionari (fin’ora più di cento da tutta Europa) che vertono sulla richiesta di informazioni riguardo lo stato dell’arte attuale presso le stesse università circa la presenza, i metodi e i tempi dedicati all’applicazione dell’ecografia come strumento didattico durante il corso di medicina saranno valutati dall’EFSUMB e proposti al prossimo congresso Euroson che si terrà a Lipsia a fine ottobre. L’utilizzo di tali dati verterà sulla necessità di conoscere quale sia la propensione delle universsità a introdurre l’ecografia, dove, come e quando. Parallelamente si analizzeranno i dati dei percorsi già esistenti in modo tale da avere un’evidenza scientifica che possa suggerire quale sia la giusta e più appropriata direzione. L’EFSUMB pertanto si è impegnata a:

-Fornire risorse di e-learning che possono essere utilizzate per la formazione degli studenti nell’ultrasonografia, ad esempio attraverso un portale educativo EFSUMB.

-Informare le relative Scuole di Medicina di tutta Europa del curriculum consigliato e le risorse disponibili nell’EFSUMB, e promuovere l’implementazione della formazione ultrasonografica.

-Testare un anno d’integrazione dell’ecografia nell’insegnamento dell’anatomia e della fisiologia in 4-6 università selezionate e fornire un’appendice specifica del core curriculum o effettuare altre valutazioni sperimentali secondo il modulo di istruzione su 6 anni o solo negli ultimi 3 anni.

L’EFSUMB pertanto alla luce di quanto sopra menzionato suggerisce di utilizzare l’ecografia sistematicamente come uno strumento educazionale facilmente accessibile e istruttivo nel curriculum delle moderne scuole mediche. Gli studenti di medicina dovrebbero acquisire la conoscenza teorica della modalità d’uso, dovrebbero compiere prove pratiche e aderire ai principi dell’evidence-based.  Secondo la nostra opinione è giunto il tempo di poter introdurre la formazione ultrasonografica nei programmi delle Università Europee e fornire ai nostri studenti la conoscenza e la tecnica sia la fine istruttivo nel campo dell’anatomia e per poi poter essere in grado di occuparsi della diagnosi e della terapia dei pazienti nel miglior modo possibile continuandone l’apprendimento durante i corsi post-laurea o di specializzazione.

Bibliografia

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23) Di Salvo DN, Clarke PD, Cho CH et al. Redesign and implementation of the radiology clerkship: from traditional to longitudinal and integrative. J Am Coll Radiol 2014; 11: 413–420

24) Hempel D, Sinnathurai S, Haunhorst S et al. Influence of case-based elearning on students’ performance in point-of-care ultrasound courses: a randomized trial. Eur J Emerg Med 2015

25) Gogalniceanu P, Sheena Y, Kashef E et al. Is basic emergency ultrasound training feasible as part of standard undergraduate medical education? J Surg Educ 2010; 67: 152–156

26) Garcia de Casasola Sanchez G, Gonzalez Peinado D, Sanchez Gollarte A et

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27) Kondrashov P, Johnson JC, Boehm K et al. Impact of the clinical ultrasound elective course on retention of anatomical knowledge by second-year medical students in preparation for board exams. Clin Anat 2015; 28: 156–163

28) Hempel D, Stenger T, Campo Dell’Orto M et al. Analysis of trainees’ memory after classroom presentations of didactical ultrasound courses. Crit Ultrasound J 2014; 6: 10

29) Solomon SD, Saldana F. Point-of-care ultrasound in medical education–stop listening and look. N Engl J Med 2014; 370: 1083–1085

30) Dietrich CF. EFSUMB Course Book on Ultrasound (ECB). In: Dietrich CF ed European Federation of Societies for Ultrasound in Medicine and Biology (EFSUMB); 2012, http://www.efsumb.org

31) Tuma JBR, Dietrich CF. EFSUMB Course Book on Ultrasound, Student edition (ECBSE). European Federation of Societies for Ultrasound in Medicine and Biology (EFSUMB) 2015, http://www.efsumb.org

32) Dietrich CF. Examination techniques. European Federation of Societies of Ultrasound in Medicine and Biology (EFSUMB) 2015, www.efsumb.or

33) Dietrich CF, Rudd L. The EFSUMB website, a guide for better understanding. Med Ultrason 2013; 15: 215–223

Cita questo articolo

Cantisani V., Introduzione dell’insegnamento di ecografia nel curriculum universitario del Corso di laurea in Medicina. Stato dell’arte e proposte dell’EFSUMB, Medicina e Chirurgia, 71: 3239-3242, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-5

Il medico e il rispetto della fede religiosa della personan.71, 2016, pp. 3225-3229, DOI: 10.4487/medchir2016-71-2

Abstract

Medicine is based on three main pillars: Clinical-scientific evidence, Clinical competence and appropriate approach to ethical values of each person. For this last point, physicians should be able to fully understand and respect these values, since patients experience distress in relation to their  their illness and, as in end of life, severe frailty. Therefore the curriculum of schools of medicine and nursing  should appropriately teach how to face patients with different religious beliefs.

At the University of Florence Medical School a specific teaching project aimed to provide future physicians and nurses with the knowledge elements of different religions and related habits. The group involved in the project included high level representatives of catholic, hebraic, islamic, buddhist and hindu religions. The activity was focused on religious assistance, prayer, pain, gender, heritage, organ transplantation, relations with relatives, nutrition, end of life, death and body care.

In particular, for pain each member was asked to answer three questions: 1) Is pain a religious valuable element? 2) are there gender specific differences in pain treatment? 3) is consciusness impairment acceptable in relation to pain relief?

During the special course, large interaction was stimulated to share the best way to face the most crucial problems in patients with different religious beliefs, in order to identify the best approach for health professionals.

Parole chiave: Fede religiosa, abitudini religiose, rispetto per la persona, dolore, fine vita

Key words: Religious belief, religious habits, respect for human beings, pain, end of life

Articolo

Nascita di una idea

La medicina si fonda essenzialmente su tre elementi portanti: le evidenze clinico-scientifiche, le competenze cliniche, e l’approccio coerente all’etica del paziente e quindi l’attenzione ai valori intrinseci della persona. Per quest’ultimo aspetto, il bravo medico deve essere in grado di comprendere questi valori, perché il paziente è una persona quasi sempre sofferente e nei casi più gravi, come nel fine vita, particolarmente fragile. Pertanto nei Corsi di Laurea per gli studenti di medicina, così come per quelli di infermieristica, sarebbe opportuno fornire un adeguata formazione sulla conoscenza delle varie confessioni religiose dei pazienti. I futuri medici e infermieri dovrebbero acquisire quella sensibilità nei confronti del paziente che  dovrebbe essere guidata e indirizzata attraverso un percorso formativo specificamente volto a fornire allo studente gli elementi di conoscenza delle diverse confessioni e dei comportamenti a queste legate che gli consentano di operare nel rispetto della persona anche in questo importante aspetto che si  inserisce nello sforzo della moderna medicina verso la medicina personalizzata, una terapia adeguata alle necessità della  persona  tenendo conto della spiritualità di ciascuno.

Il gruppo di lavoro

Su questa base razionale alla fine del 2014 è iniziato un lavoro di preparazione di un percorso di formazione specifico, sostanziatosi in un’attività di ADE, in cui hanno giocato un ruolo attivo:

Anita Norcini Tosi, Teologa, coordinatrice Incontri interreligiosi

Antonio Panti Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Firenze

Stefano Tarocchi  Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale

Joseph Levi Rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze

Abdel Qader  Moh’d Imam della Comunità islamica di Perugia

Mauro Bombieri Parabhakti Das

Alessandro D’Alessandro Istituto italiano Buddista Soka Gakkai

GF Gensini Professore di Medicina Interna

Il gruppo, coordinato da Anita Norcini Tosi e da Gianfranco Gensini ha lavorato nell’ottica di evidenziare i diversi approcci che il medico deve avere nei riguardi di coloro che soffrono appartenenti a fedi diverse. La comunicazione fra medico e “paziente” è tanto più stretta e favorevole ad un corretto percorso di cura quanto maggiore è la reciproca comprensione intendendo per questa il necessario diverso approccio che si deve tenere, seppur in casi di analoga malattia, a seconda della recettività del paziente: all’interno di questo ambito è determinante la conoscenza dei diversi approcci in relazione alle diverse fedi religiose. Queste a loro volta possono dare in questo percorso un contributo fondamentale, anche se il medico deve mantenere sempre un approccio laico rispettando l’autodeterminazione del paziente e aumentandone la resilienza, riducendo così il rischio di perdere la fiducia e la speranza. Un corretto approccio ai valori personali del paziente è fondamentale non solo in termini di rispetto del paziente stesso, ma anche per la guarigione o se questa non è possibile, comunque per la stabilizzazione della malattia.

E’ stato messo a punto una griglia semplificata, di seguito riprodotta, che elenca i diversi elementi di attenzione nella gestione clinica di pazienti di diverso credo.

Gruppo di lavoro interreligioso

I valori della persona

Il medico mediatore culturale e religioso

Firenze 18/11/2014

1) La spiritualità (assistenza religiosa; preghiera)

2) Il dolore

3) Il fine vita

4) Le differenze di genere (sessualità)

5) Eredità

6) I trapianti d’organo

7) Il rapporto con la famiglia

8) La morte e la gestione della salma

9) L’alimentazione

 

I moduli in cui si è sviluppato il corso sono stati in tutto 6, il primo di tipo introduttivo con la presenza di tutti i docenti. Sono seguiti tre incontri con due docenti di due diverse religioni per volta, un 5° incontro su temi specifici come la Fecondazione e il Fine Vita  e un 6° incontro finale su un argomento trasversale, il dolore, per fare un parallelismo di differenze comportamentali a seconda delle diverse religioni).

Il dolore

Il rapporto e la comunicazione medico-paziente nella visione delle diverse religioni

Il dolore è un valore?

Esistono pregiudizi di genere nella terapia del dolore?

Quanto è accettabile una modifica dello stato di coscienza in rapporto alla terapia del dolore?

Il punto di vista laico del medico:

Il progresso medico-tecnologico ci pone oggi di fronte a dilemmi che fino a pochi decenni fa non ci saremmo posti.

Le scelte etiche non necessariamente debbono sempre essere di tipo religioso, ma possono avere una visione più ampia e valoriale dell’intera società.

Il medico deve essere un inseparabile compagno di viaggio per il paziente con l’obiettivo di guarire le malattie, un viaggio che però troppo spesso rischia di trasformarsi in un percorso di accanimento terapeutico. L’atto medico non può esimersi dal considerare gli effetti che questo avrà sulla qualità di vita futura del paziente.

La posizione del medico dovrebbe sempre essere quella di accettare le volontà espresse dal proprio paziente sulla base del principio di autodeterminazione.

Il progressivo invecchiamento della popolazione determina lo sviluppo di una complessità di patologie croniche concomitanti e invalidanti che impongono al medico una visione olistica del paziente finalizzata a comprendere le esigenze prioritarie del malato rispetto alle aspettative  di qualità di vita del paziente.

Nella relazione medico-paziente è importante costruire un cammino condiviso (alleanza terapeutica) che consenta a quest’ultimo di affrontare il percorso di cure durante tutto l’arco temporale di vita nel modo più sereno possibile.

La Legge 30/2010 nell’Art.1  impone di assicurare un programma di cura individuale per il malato (terapia del dolore e cure palliative) e per la sua famiglia secondo tre principi fondamentali:

Tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione

Tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine

Adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia

Secondo il codice di deontologia medica (2014) il medico deve impegnarsi a trattare il dolore,  Art.3: doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza, nel rispetto della libertà della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali   o sociali nelle quali opera.

Di seguito quanto espresso dagli esponenti delle diverse confessioni nel lavoro di gruppo innescato dalle tre domande iniziali sul dolore:

Ebraismo

Nell’ebraismo biblico il corpo umano ha la qualità ontologica di esprimere la presenza divina ed è  lo strumento offerto all’uomo per vivere e sperimentare la vita terrena nella dimensione umanana

Da questa visione del corpo umano, della sua vitalità e armonia con il resto del mondo fisico e l’universo intero, scaturisce la posizione ebraica del dolore.

L’immagine divina e la mente non sono separati dal corpo ma ne fanno parte e risiedono in esso.

In questa prospettiva il dolore come mezzo di espiazione non trova alcuna giustificazione teologica.

Pertanto, il trattamento riguardo il dolore devono sempre cercare di riportare l’equilibrio di partenza rispetto alle forze vitali del corpo e della vita.

Il “dovere” del medico deve essere quello di aiutare il paziente alleviandone il dolore.

In questo modo il paziente viene portato ad un nuovo equilibrio fisico e mentale, riscoprendo la sua dimensione divina.

Anche quando le forze vitali o la vita stessa  arrivano al loro esaurimento naturale, il fine vita, il medico ha il compito di trovare le strategie più adeguate per una morte “più bella e dolce” alleviando il più possibile le sofferenze del paziente.

Al medico è stata sì offerta l’occasione di curare il paziente e di prolungargli la vita, ma anche quella di poter alleviare il suo dolore collaborando così con la forma spirituale della persona stessa.

Cattolicesimo

Se sovente il paziente vive il dolore come crisi, è altresì vero che il dolore è occasione di cambiamento.

La persona che soffre, rischia di perdere la certezza della sua esistenza e il senso stesso della vita.

la presenza del dolore chiama in causa l’identità personale più espressiva portando il paziente al doversi reinventare.

Affinché la malattia si apra a un cambiamento e il dolore possa quindi divenire una esperienza positiva è necessario che il paziente con l’aiuto del medico ritrovi in se stesso la forza di vincerlo.

Il medico ha pertanto il dovere di alleviare il dolore in quanto la presenza dello stesso degrada l’uomo nella sua complessità.

Il medico ha il compito di andare incontro alla sofferenza del paziente ricorrendo a tutte quelle terapie che costituiscano un beneficio nel rendere più accettabile la sofferenza.

Insieme al dolore e alla sofferenza, il medico deve imparare a gestire la condizione di angoscia del paziente, andando oltre una medicina solo curativa ed efficiente.

Anche se il dolore è una malattia comune sia all’uomo che alla donna, tuttavia l’elemento femminile spesso ne fa esperienza in profonda solitudine.

La donna in quanto portatrice potenziale di amore e di vita  ha in sé la capacità di trasformare il dolore in amore/dono sia attraverso le sofferenze del parto, ma anche in caso di sterilità: la donna, infatti è disposta a sopportare  il dolore fisico nella speranza di concepire e di donare la vita ad un nuovo essere umano.

Islamismo

Allah ha creato il dolore come segnale per ringraziarlo della buona salute.

La buona salute ci avvicina al nostro Creatore, l’unico e l’assoluto. Con il dolore possiamo valutare e comprendere l’importanza della salute il che deve spingere il medico ad accelerare la guarigione aiutando così il paziente a tornare alla società sano e produttivo.

Il medico deve cercare di tranquillizzare il paziente ricordandogli la misericordia di Dio e la sua pietà, poiché questo aiuta il processo di cura.

I musulmani credono che la malattia che colpisce una persona sia la volontà di Allah di voler purificare il malato da tutti i peccati che ha commesso.

Il paziente deve quindi trovare la forza interiore di fede affinché la sua difesa fisica e psichica possa consentirgli di guarire.

Il buon comportamento del medico verso il paziente determina un “effetto magico” che porta il paziente ad affrontare la malattia sopportandone il dolore e quindi accettando il proprio destino.

Il paziente deve imparare a convivere con il dolore con pazienza e speranza, ringraziando Allah per tutto ciò che ha ricevuto nella vita.

Il rapporto tra il medico e il paziente deve essere sempre ammantato di una spiritualità profonda e di una umanità capace di superare ogni tipo di pregiudizio e discriminazione.

Il medico o l’operatore sanitario devono essere sempre sensibili verso le differenti religioni poiché questo influisce positivamente sulla guarigione dei propri pazienti.

Hindu’ – Hare Krishna

La tradizione vedica considera il dolore un fattore imprescindibile del mondo fenomenico e l’antico testo sanscrito Bhagavad-gita nel seguente verso lo definisce come un prodotto naturale dell’incontro tra sensi e materia.

Il concetto di karma (legge di causa ed effetto) considera il dolore parte inevitabile delle dinamiche dell’esistenza fenomenica mentre la sua quantità e l’intensità sono determinati dalle azioni passate, anche se non si ha più memoria di esse.

La sofferenza è invece direttamente proporzionale all’identificazione dell’essere vivente con il corpo fisico e con la sua struttura psichica. Le crisi scatenate dal dolore nelle sue varie manifestazioni (fisico, mentale o spirituale) spesso innescano vere e proprie rivoluzioni interiori e portano con sé profonde trasformazioni .

Il ruolo ideale del medico, che ipoteticamente dovrebbe avere anche un approccio olistico verso il paziente, ha un’importanza vitale nel facilitare questi processi di comprensione e di trasformazione interiori.

Lenire e alleviare il dolore del paziente è una funzione essenziale della missione del medico. Aiutarlo a comprendere ciò che il dolore insegna è di altrettanta importanza per rendere efficace la cura nel lungo termine, cura che altrimenti risulterà incompleta.

Il medico deve esprimersi non solo nel curare i sintomi e le cause fisiche della malattia, ma anche essere in grado di  scoprirne le radici profonde, che spesso hanno connotazioni psicologiche sommerse.

Un paziente che possieda una comprensione profonda e completa della propria condizione di malato e nel contempo di essere spirituale eterno, affronterà il problema che lo affligge con maggiore tolleranza e in modo costruttivo, riconoscendo una via di crescita anche nelle situazioni più difficili, rivalutando in modo positivo la propria situazione.

I ricercatori spirituali seri tendono a evitare per quanto possibile l’assunzione di analgesici, tranquillanti, sedativi e altri farmaci o sostanze coadiuvanti della terapia del dolore quando non si presenti una reale e grave necessità. Questo perché tali prodotti vanno a influenzare e modificare in vari modi la lucidità mentale, indebolendo le funzionalità psichiche.

la coscienza di Krishna, la raggiunta consapevolezza interiore porta naturalmente a un grado superiore di sopportazione del dolore e a un approccio sereno nell’affrontare la malattia.

Buddismo – Soka Gakkai

La religione buddista è nata come una via di salvezza, di liberazione e di riscatto dal dolore, affinché ogni persona possa realizzare nel corso della propria vita la felicità per sé e per il proprio ambiente.

Per il Buddismo, quindi, la felicità è un valore, in quanto è un bene di per sé desiderabile e un fine da perseguire, mentre il dolore, per la ragione opposta, non può essere considerato in sé e per sé un valore.

Il dolore può essere utilizzato come un mezzo, una opportunità per indirizzare la vita verso la felicità.

La prima formulazione della concezione buddista del dolore ci è stata tramandata nella dottrina delle “Quattro Nobili Verità”, che costituisce il nucleo fondamentale della illuminazione del Budda Shakyamuni:

  1. L’esistenza in quanto tale è sofferenza poiché i cinque aggregati che determinano l’attaccamento all’esistenza (ovvero la corporeità, la sensazione, la nozione, la volizione e la coscienza) producono sofferenza: la sofferenza del nascere, quella di ammalarsi, quella di invecchiare e quella di morire, la sofferenza dell’unione con ciò che ci dispiace, la sofferenza della separazione da ciò che ci è caro e infine la sofferenza di non ottenere ciò che si desidera;
  2. la seconda verità afferma che la causa della sofferenza è il desiderio, la sete di esistere e la sete di non esistere, la sete del piacere e della passione;
  3. la terza verità afferma che se c’è un inizio della sofferenza c’è anche la cessazione della sofferenza, che consiste nella liberazione dal desiderio, nella cessazione dell’attaccamento all’esistenza;
  4. la quarta verità afferma che c’è una via per ottenere la liberazione dal desiderio e l’estinzione della sofferenza. Questa via è il nobile ottuplice sentiero, cioè: retta visione, retta intenzione, retto parlare, retta condotta, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta attenzione e retta concentrazione.

Ogni forma di esistenza, compresa la vita umana, per il fatto stesso di esistere, apparire, divenire, decadere e morire è dolore. Ogni esistenza, in quanto è soggetta a questo ciclo, comporta sofferenza fisica e psichica: disagio, difficoltà, bisogno, inquietudine, angoscia, tormento e paura.

Il dolore è coessenziale alla vita, non può essere estirpato per sempre ma può essere curato ricercandone la causa e la terapia.

Attraverso la trasformazione della sofferenza e della malattia gli esseri umani possono comprendere il significato, il valore, la sacralità e la dignità della vita e godere di una esistenza pienamente realizzata e felice.

In questa sintesi abbiamo riportato i diversi punti di attenzione posti dai diversi esponenti delle confessioni.

Naturalmente nel lavoro complessivo, che ha toccato i diversi punti citati e in particolare quanto previsto dalla scheda, sono stati approfonditi i diversi elementi valutati cruciali per impostare appropriatamente la relazione del medico con il paziente, con la famiglia, con coloro che collaborano alla cura.

La dimensione umana e spirituale del paziente è stata così rispettata, creando un valido legame di empatia fra il medico e la persona malata.

Tutto il materiale prodotto e raccolto è stato organizzato in un progetto FAD, che verrà erogato dall’Università Telematica San Raffaele – Roma in collaborazione con il CESMAV (CEntro Studi Medicina AVanzata) e il supporto tecnico di NUMEplus

Bibliografia

BUDDISMO

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Giangiorgio Pasqualotto, Oltre la filosofia, Angelo Colla Editore, Costabissara (Vicenza) 2008

INDUISMO HARE KRISHNA

Bhagavad Gita Cos’ì Com’è – BBT edition (Bhaktivedanta Book Trust)

Srimad- Bhagavatam (27 vol) – BBT edition

Caitanya Caritamrita (8 vol) – BBT edition

Sri Isopanisad  BBT edition

Nettare della devozione – BBT edition

Incontro con il maestro spirituale – BBT edition

Cita questo articolo

Gensini G.F, Norcini Tosi A., Panti A., et al., Il medico e il rispetto della fede religiosa della persona, Medicina e Chirurgia, 71: 3225-3229, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-2

Educazione alla Leadership in Medicinan.71, 2016, pp. 3219-3224, DOI: 10.4487/medchir2016-71-1

Abstract

The knowledge and skills sets required of today’s physicians include expertise in competency areas that have not been included in the traditional medical curricula.

In particular, the many challenges in health care today create a special need for great leadership. A considerable body of literature in the management sciences has defined leadership and how leadership skills can be attained. There is growing interest on the topic also within medical settings.

However, physicians-in training rarely receive specific education to develop leadership skills and the attitude to lead the change. In this context, an emerging trend in US and Europe is for healthcare institutions to offer physician-leadership programs.

It is time for physicians to think beyond making their institution, practice, or professional society better. It is time for physicians to practice better value health care in a whole population based perspective. The modern and complex healthcare needs, and deserves, a transformational leadership. And physicians can provide it.

Parole chiave: leadership medica, formazione medica, change management

Key words: medical leadership, medical education, change management

Articolo

  1. Introduzione

La medicina moderna ha fatto, nel corso dei secoli e, ancor più repentinamente nell’ultimo trentennio, progressi straordinari. L’aumento esponenziale delle dinamiche di complessità delle organizzazioni sanitarie, nonché delle responsabilità e competenze dei medici, non solo nell’attività clinica bensì anche nei nodi decisionali e di governo dei servizi, richiede una crescita personale e professionale dalla quale un buon professionista della salute non può assolutamente prescindere1.

È ormai universalmente accettato che nelle organizzazioni sanitarie ogni medico debba essere manager di se stesso, manager del suo tempo e delle sue risorse materiali e immateriali, manager del proprio gruppo di lavoro e manager del contesto e dell’azienda dove lavora2.

Il medico del resto è chiamato a esercitare leadership in una varietà di ruoli e impostazioni: al letto del paziente, in accademia o all’interno di servizi sanitari, nel mondo della ricerca e nella società in generale. Sono i pazienti, i colleghi, i centri accademici e le comunità che si rivolgono a medici per rispondere a esigenze sempre più complesse la cui soddisfazione è funzione della capacità del medico di esercitare una leadership efficace.

La leadership può essere il risultato di una capacità innata ovvero dell’acquisizione di competenze tecniche maturate attraverso un’esperienza educativa durante vari momenti del ciclo formativo e professionale3.

Negli ultimi anni anche in Italia il miglioramento della qualità assistenziale e del governo dell’innovazione, nonché le tematiche della sostenibilità e del governo delle organizzazioni complesse, acuite dalle scelte politiche di revisione della spesa, hanno portato alla luce la necessità di aumentare la qualità e la quantità della formazione medico manageriale nonché l’attitudine e le competenze alla leadership in ambito medico4.

  1. Cosa si intende per Leadership e in cosa differisce dal Management

La leadership è diventata negli ultimi tempi di gran moda e il numero di articoli e libri incentrati su di essa continua ad aumentare a ritmo incessante; è quindi lecito tentare di fare un po’ di chiarezza a riguardo e chiedersi cos’è la leadership e in cosa differisce dal management. Questa non è una domanda facile cui poter rispondere poiché, come spesso capita, più un termine viene utilizzato in ambiti diversificati più significati assume col tempo.

Alcuni autori usano ed hanno usato, particolarmente nel passato, le parole manager e leader come sinonimi: “il manager è l’elemento dinamico, la scintilla che da la vita, in ciascun tipo di attività. Senza la sua leadership il successo rimane tale solo in potenza e le risorse a disposizione non portano mai al risultato sperato”.5

Tuttavia si è sempre più d’accordo sul fatto che la leadership e il management siano, in realtà, attività differenti, sebbene sia d’esperienza comune come molti manager siano, di fatto, anche dei leader. Forse un modo per descrivere al meglio questo sillogismo è affermare che “tutti i leader sono manager ma che, al contrario, non tutti i manager sono necessariamente leader”.

Un approccio è quello di definire il management come un attività primariamente legata con lo svolgersi di un’attività ovvero qualcosa che indica “l’esecuzione meticolosa e quotidiano delle attività”.6

La leadership quindi è qualcosa di diverso dal management e si configura come un qualcosa in più, come ben distingue John Kotter: “Il management è un insieme di processi che sono in grado di mantenere integro un complicato sistema di persone e tecnologia, facendolo funzionare al meglio. Gli aspetti più importanti del management comprendono la pianificazione, il budgeting, l’organizzazione, la gestione delle risorse umane, la valutazione e la risoluzione dei problemi. La leadership, invece, è un insieme di processi che crea le organizzazioni dalle fondamenta o che le adatta a cambiamenti esterni significativi. La leadership disegna i confini del futuro, allinea le persone a una visione comune e orienta gli sforzi alla realizzazione del progetto nonostante gli ostacoli.”7

Probabilmente ci sono due caratteristiche del lavoro del leader che sono cruciali. Una è che il leader deve aiutare le persone ad adattarsi agli avvenimenti negativi, a riformulare la loro visione del mondo aiutandoli a superare i problemi più importanti che si presentano dinnanzi. L’altro è che è leader soprattutto chi crea e modella la cultura dell’organizzazione, mentre il manager è colui che opera all’interno di quella cultura per raggiungere degli obiettivi prefissati.

“Cinque temi comuni emergono dall’analisi e catturano la vera essenza della leadership: la visione, la creazione di una cultura di valori condivisi, la pianificazione di una strategia e la sua attuazione, l’empowerment delle persone, l’influenza, la capacità di motivazione ed ispirazione. [La] capacità di percepire i limiti della propria cultura e continuare a svilupparla, adattandosi, è l’essenza ultima e la sfida della leadership.”8

Secondo Edgar Schein la capacità di modellare la cultura è uno dei tratti distintivi della leadership.

“Quando esaminiamo la cultura e la leadership da vicino, vediamo che sono due facce della stessa medaglia, nessuna delle due può davvero essere compresa se analizzata senza l’altra. Se si vuole distinguere la leadership dal management o dall’amministrazione si può affermare che la leadership crea e modella le culture, mentre il management e l’amministrazione agiscono all’interno di una data cultura.”9

Come fa un leader a plasmare la cultura? A una prima analisi grazie alla propria personalità e al modo di comportarsi, tuttavia la gestione del linguaggio e dei concetti svolge un ruolo cruciale nella formazione della cultura; la stessa parola non può essere utilizzata all’interno di un organizzazione senza essersi prima accordati sul significato.

È utile, infine, distinguere tra il leader e la leadership. Il leader è un singolo individuo al vertice di un’organizzazione ma la leadership, in realtà, è una funzione che molte persone possono esercitare, con incarichi formali ma anche informalmente.10

Si può comprendere facilmente quindi che, seppure il management sia di vitale importanza per un’organizzazione, la leadership è molto più importante per le sfide che stiamo affrontando nel mondo globalizzato del XXI secolo.

  1. Leadership, governance e gestione del cambiamento

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Recita così uno dei più famosi aforismi di Winston Leonard Spencer Churchill. Naturalmente non tutti sono chiamati quotidianamente a gestire cambiamenti epocali agendo da statista. Tutti sono chiamati, però, specie se ci si trova in una qualunque posizione che implica una decisione – talvolta anche solo di contesti apparentemente marginali – a determinare con le proprie scelte il buon o cattivo esito di progetti, programmi o comunque a condizionare il contesto nel quale si opera e le azioni di altri colleghi.

Se si vuole descrivere però la gestione del cambiamento in modo più generale possibile, connaturata alle dinamiche macro e micro della realtà, allora la leadership può essere intesa come uno strumento stesso del change management e, in particolare, uno degli strumenti “paradigmatici”11.

Il Change management o Governo della Transizione è un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile il passaggio da una condizione presente a un futuro assetto desiderato. Dal punto di vista di un’organizzazione esso consiste nel gestire al meglio tutte quelle innovazioni (di prodotto, di processo, organizzative) introdotte in azienda come elemento critico di successo per creare efficienza e aumentarne la competitività12.

Tanto più è profondo il cambiamento tanto maggiore è lo sforzo e l’attenzione necessaria per governarlo e indirizzarlo verso la meta. Ragionare in termini di change management significa oggi attuare una strategia di azioni pianificate a supporto dell’organizzazione nel passaggio dalla realtà vigente a un modello di realtà futura. Significa, cioè, accompagnare l’Azienda lungo tutto quel processo di trasformazione, che s’innesca con la riorganizzazione strutturale del business per generare valore, in coerenza con gli intenti strategici e con gli obiettivi finali di cambiamento.13

Gestire un processo di cambiamento vuol dire assicurare una trasformazione pianificata, condivisa, coerente e coordinata di tutte le componenti aziendali. Tutto ciò è applicabile anche nel contesto delle aziende sanitarie nonché dei sistemi sanitari stessi.14

Un’ulteriore considerazione va fatta riguardo alla posizione dell’organizzazione nel contesto del suo ciclo di vita e cioè rispetto al punto in cui si colloca un’organizzazione nel continuum del proprio sviluppo, dalla nascita al declino. Nelle situazioni di cambiamento organizzativo può essere utile adottare un approccio alla leadership trasformazionale, quantunque si riconosca la necessità di una versione partecipativa bottom-up o qualora si leghi la leadership all’apprendimento organizzativo e allo sviluppo delle “learning organisations”.15

  1. Il valore della Leadership in Sanità

Mintzberg16 sostiene che nonostante la leadership medica sia critica per il successo, gli attuali modelli organizzativi in sanità prestano scarsa attenzione alla sua valorizzazione, mentre sono necessarie nuove forme di leadership medica che consentano:

– di rilanciare il più autentico significato della professione medica;

– di creare più efficaci raccordi e collaborazioni tra le diverse specialità mediche e gli altri professionisti della salute per costruire percorsi effettivamente centrati sui bisogni dei cittadini;

– di interpretare la complessità in modo che le organizzazioni e gli individui possano operare con successo pur in tempi incerti.

“Nebbia di guerra”, la famosa frase di Clausewitz, sintetizza efficacemente l’aria che tira quando, nel pieno della battaglia, si devono prendere decisioni rapide ed efficaci, e si può contare contemporaneamente su una quantità piccola di informazioni d’alto livello e su un gran numero di informazioni a basso livello. Probabilmente una delle metafore che più si avvicina, per molti aspetti, a quello che è il processo decisionale nella moderna sanità dei paesi più evoluti.17

Le evidence-based decisions non possono che essere razionali, fondate su prove di efficacia, ma nell’ambito del mondo reale e quindi anche in quello dell’assistenza sanitaria, la presenza di fattori sociali, etici e talora emotivi richiede che il giudizio sappia combinare al meglio decisioni razionali con altre variabili, spesso non-razionali, per addivenire ad una decisione “good enough in imperfect conditions”.18

In particolare, in sanità, ai medici e ai professionisti sanitari sarà richiesto di dimostrare vocazione alla leadership al fine di orientare la propria azione alla creazione di valore per i cittadini (value based medicine).19,20,21

  1. Modelli formativi della Leadership in Sanità

Sviluppare nuovi modelli di leadership richiede un’attenzione e un’enfasi forti, sin dagli anni della formazione medica di base, per proseguire a livello post-laurea e di formazione permanente22.

I bisogni di sviluppo della leadership clinica, medica e degli altri professionisti sanitari, sono da tempo oggetto di numerose discussioni ma non esiste consenso circa modelli, teorie, approcci e definizioni23,24.

Modelli e approcci diversi possono essere applicati per differenziare le conoscenze nel ruolo di leadership per i medici; l’importante è assicurare che i modelli o gli approcci usati siano in grado di riconoscere e valutare le differenze specifiche di specialità e setting all’interno dei quali i medici lavorano giorno per giorno.

Una possibile strada da percorrere è stata individuata nella capacità di essere deliberatamente eclettici e nell’utilizzo di approcci multi-prospettici contaminati da esperienze in altri settori25. Si spera che i diversi approcci possano aiutare i medici a svilupparsi come leader, aiutarli a essere criticamente consapevoli e a saper affrontare le differenze, le tensioni e i dilemmi implicati nel ruolo di leadership e che lo sviluppo della stessa si accordi con i cambiamenti strutturali e organizzativi dettati dalle politiche sanitarie riguardo alla professione e alla formazione medica.26

Diverse iniziative e programmi di leadership clinica sono stati promossi nel corso degli anni in Europa, per guidare lo sviluppo della formazione verso la leadership. Esemplare, è stata la creazione (sul modello di centri di leadership realizzati per altre branche del settore pubblico) di un NHS Leadership Centre nel sistema sanitario inglese – evoluto poi nella NHS Leadership Academy – che ha contribuito a diffondere all’interno del NHS e nei professionisti una maggiore consapevolezza circa la necessità di sviluppo di soluzioni per una leadership efficaci.27

Tra gli approcci formativi più largamente sostenuti, diversi autori hanno promosso l’action learning – apprendimento esperienziale – quale uno dei più efficaci strumenti per sviluppare e costruire la leadership. Alcuni autori hanno mostrato come la maggior parte delle capacità di leadership si apprendano dall’esperienza sul posto di lavoro, piuttosto che con la sola formazione frontale in aula.28

L’approccio basato sull’action learning ha il vantaggio di focalizzarsi su specifici fattori di situazione associati a modelli di leadership e sviluppo. Tale metodo di apprendimento diventa un imperativo per i medici, fornendo un meccanismo che lega lo sviluppo della leadership alle situazioni del “mondo reale”. Esso crea anche un collegamento tra i singoli medici, fondato su apprendimento di gruppo e comunanza organizzativa, e offre inoltre l’opportunità di facilitare lo sviluppo della leadership multi-disciplinare, basato sul team29,30.

La leadership deve essere sviluppata a ogni livello, non soltanto a quello apicale e pone l’attenzione sul team, assumendo che tutti i medici siano potenzialmente leader nelle giuste circostanze.31 La leadership, non esclusivamente legata a un livello o a una posizione formale nel quadro dell’organizzazione, risulta essere un’attività condivisa, distribuita o diffusa all’interno di un team capace di prevedere forme di leadership non tradizionali come ad esempio la rete (networking)32.

Questo approccio è compatibile con il passaggio dalle strutture gerarchiche a strutture basate sul lavoro in team, all’interno delle quali la leadership viene condivisa su principi di partnership, equità, responsabilità ed appartenenza.33,34

Questo stile “soft” di leadership non soltanto si mostra compatibile con i precedenti approcci (utilizzo del modello trasformazionale dell’empowerment), ma appare anche piuttosto adatto a seguire gli sviluppi dei sistemi sanitari complessi, che manifestano un rinnovato interesse manageriale verso il team clinico multi-disciplinare, sia nell’assistenza primaria che in quella secondaria.35

Questa prospettiva risulta coerente anche con lo spostamento verso forme di organizzazione a rete nelle quali si è passati da modelli di leadership formale e top down a modelli di leadership basata sull’esperienza e sull’influenza, prevalentemente focalizzata sulla capacità di lavorare con molteplici stakeholder e in condizioni dinamiche e incerte.36

Lo sviluppo dei team clinici sta avendo un impatto sulle peculiari necessità di formazione dei professionisti sanitari, con una progressiva attenzione dedicata alla formazione e alle iniziative educative multi-disciplinari: da qui deriva il crescente interesse verso approcci alla leadership basati sul team.37 Può sembrare che questo approccio contrasti in una certa misura con altre disposizioni di governance quali la Clinical Governance, focalizzata più alla responsabilità individuale che non alla responsabilità basata sul team, ma in realtà si tratta di dimensioni complementari.38,39

Un’area di ricerca poco sviluppata sulla leadership è quella che si focalizza sulle capacità cognitive e sull’importanza di rafforzare la “struttura cognitiva”. Alcune iniziative di sviluppo della leadership, costruite sull’approccio caratteriale e sull’apporto delle neuroscienze, enfatizzano le caratteristiche personali o le competenze, assumendo che tali qualità personali (capacità concettuali, interpersonali, di problem solving) possano essere sviluppate o utilizzate nella selezione dei leader in quanto connesse all’efficacia pratica della leadership.40,41

Questi sviluppi sfidano le visioni tradizionali della leadership e suggeriscono il bisogno di una visione alternativa basata su forme di leadership condivisa o distribuita.

In definitiva, da questa analisi, emerge come la leadership possa essere parte di un nuovo modello di governance professionalmente responsabile e focalizzato sulla responsabilità collegiale nel prendere decisioni, un modello orientato alla stewardship nel suo senso più pieno.42

  1. Riflessioni conclusive

Nessun sistema al mondo è in grado di esaudire indistintamente tutta la domanda di salute e di assistenza sanitaria che deriva dalla società. Tuttavia, è possibile adattare queste pressioni e utilizzarle in positivo per trasformare i modelli di cura e incrementarne efficacia ed efficienza.

La sanità moderna deve gestire un elevato numero di nuove variabili: la relazione con pazienti maggiormente informati e partecipativi, popolazioni destinate a vivere sempre più a lungo, malattie nuove o risorgenti, gli effetti dei moderni stili di vita, lo sviluppo della tecnologia e della medicina. Tutto ciò si è intrecciato in un’unica combinazione che ha posto insostenibili pressioni sui sistemi sanitari e, in Italia, la sopravvivenza di un sistema pubblico universalistico basato sull’organizzazione e sulle competenze del Servizio Sanitario Nazionale resta a forte rischio.

È il tempo delle “maledette decisioni”, quelle alle quali non c’è modo di sottrarsi, per le quali non esiste via di fuga e sulle quali qualcuno deve pur assumersi la responsabilità di agire.43 Una leadership efficace può essere la chiave del cambiamento organizzativo che ne deriva.

La difficoltà di essere leader, oggi in Italia, è data dalla cultura delle organizzazioni la quale, figlia di anni improntati al conservatorismo e del “si è sempre fatto così”, è ancora spesso caratterizzata da una lentezza di processi e da resistenze burocratiche che non si addicono a un mondo tecnologicamente evoluto, velocissimo nelle informazioni e nella necessità di reazione.

Per questo il leader moderno deve essere il leader del cambiamento, in grado di cambiare le cose con velocità e sapendo costruire alleanze con i propri colleghi, collaboratori e coordinatori. Il leader del cambiamento è una guida sicura nella tempesta delle onde in continuo movimento e sa guardare al futuro con intelligenza – visione sistemica – sapendo cogliere le soddisfazioni del presente con serenità ed equilibrio. Un vero leader crea nuovi leader e ne facilita la crescita e lo sviluppo, sostenendo il piacere quotidiano di fare parte di un sistema complesso, dinamico e in costante divenire.

La sanità italiana deve iniziare da subito una riflessione e una discussione rigorosa e impegnata sul ruolo della leadership medica e, pertanto, deve intraprendere un’azione decisa e sistemica nel versante della formazione medica a tutti i livelli. L’inserimento all’interno dei programmi dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia di “pillole” di management e leadership così come l’introduzione di specifici crediti formativi nei core curricula delle scuole di specializzazione, sono le azioni da intraprendere per garantire la crescita di una nuova e più competente classe medica.

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Cita questo articolo

Ricciardi W., Silenzi A., Parente P., Kheiraoui F., Favaretti C., Educazione alla Leadership in Medicina, Medicina e Chirurgia, 71: 3219-3224, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-1