Esperienze di lavoro di gruppon.71, 2016, pp. 3242-3250, DOI: 10.4487/medchir2016-71-6

Abstract

This Forum is a part of the tetralogy of educational events devoted to “Training of teachers, supervisors and students to leadership and teamwork”. In a tetralogy the so called “Pedagogical pills” are mini-lectures, the workshops are based on experiential learning, forums are the privileged environment in which the Conference co-constructs its shared knowledge, since they are small group activities focused on sharing and discussion of real life experience.

In this forum we identified some critical situations in which teamwork asks for a special attention, specially when the team is inter-professional. The following articles report on the most significant and common elements emerged from the discussion. The considered environments were the team of teachers of an integrated course, the relationship between teachers and administrative- technical personnel dn the inter-professional collaboration, probably the most challenging context in the near future.

Parole chiave: lavoro a piccoli gruppi – corsi integrati – collaborazione interprofessionale

Key Words: small group activities – integrated course – inter-professional collaboration

Articolo

  1. Introduzione

Questo Forum è parte della tetralogia di eventi formativi dedicati a “Formazione dei docenti, dei tutor e degli studenti alla leadership e al lavoro di gruppo”. Se le “pillole pedagogiche” sono  mini-letture informative-formative  e gli atelier sono attività di apprendimento esperienziale, i forum sono il luogo privilegiato in cui la Conferenza co-costruisce la sua conoscenza condivisa, essendo attività per piccolo gruppo centrate sulla condivisione e discussione di esperienze reali.

In questo caso abbiamo individuato alcuni ambiti critici in cui il team work esige attenzione, specie quando il team è interprofessionale. Gli articoli che seguono riportano gli elementi  più significativi emersi a fattore comune dalle discussioni e condivisioni delle esperienze. Gli ambiti considerati sono stati il team di docenti di un corso integrato, la relazione tra docenti e personale tecnico-amministrativo e il lavoro di gruppo inter-professionale, forse il più sfidante contesto del prossimo futuro.

Fabrizio Consorti

  1. Lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato

Giuseppe Familiari (Conduttore), Licia Montagna, Roberta Misasi e Maria Filomena Caiaffa

Premessa

Il lavoro di gruppo nella gestione del corso integrato (CI) riveste un aspetto cruciale per il corretto svolgimento del CI, soprattutto quando debbano essere integrate in modo efficace competenze multidisciplinari, interdisciplinari e transdisciplinari. Esso deve essere calibrato in relazione ai modelli organizzativi diversi dei CI dell’intero Corso di Laurea, soprattutto in riguardo alla fase iniziale (scienze di base), alla fase intermedia (fase pre-clinica) e alla fase finale del percorso formativo (fase clinica).

Debbono essere inoltre tenuti presenti i diversi modelli organizzativi dei CI nei confronti dell’organizzazione generale del Corso di Laurea, che può essere di tipo “tradizionale”, con maggiore attenzione all’integrazione orizzontale o di tipo “innovativo” con maggiore attenzione all’integrazione verticale. Deve ancora essere fatto riferimento ai modelli organizzativi diversi di integrazione nelle attività teoriche in aula, in relazione maggiormente con il sapere dello studente (Knowledge) e nelle attività pratiche a piccoli gruppi, molto più importanti, in relazione al saper fare e al saper essere dello studente (Competence, Performance, Action, Identity).

Asse centrale, nel gioco delle relazioni interpersonali in contesti complessi come quello medico, è senza dubbio la gestione del core curriculum del corso integrato, in riferimento a quei contenuti dell’apprendimento che debbono condurre alle abilità e alle competenze richieste alla laurea, con raggiungimento di un buon livello di professionalità (professionalism) o identità professionale (professional identity).

La gestione del core curriculum del CI deve infine rispettare due paradigmi importanti, deve cioè concordare, in relazione all’assetto generale specifico di ogni Corso di Laurea, con:

L’assetto verticale del curriculum, concordato come presupposto formativo dei CI in sequenza temporale, in riferimento al metodo scientifico, alla rilevanza fisio-patologica, al ragionamento clinico, alla consapevolezza del proprio ruolo;

L’assetto orizzontale del curriculum, inteso come sub-analisi del curriculum verticale, in relazione ai contenuti, alle propedeuticità, alle competenze dei docenti, alla progressione nei semestri, agli approfondimenti concordati.

Una integrazione efficace del core curriculum è alla base ed è basata sulla effettiva collaborazione tra docenti e studenti, presupposto irrinunciabile per condurre alla costruzione dell’ identità professionale di questi ultimi.

E’ importante sottolineare come il lavoro di gruppo all’interno del singolo CI, in piena sintonia con gli Studenti, debba essere condotto sui principi di collaborazione franca e leale con gli Studenti, utilizzando i principi di base della pedagogia (FAIR):

Feedback: monitorizzare la progressione degli Studenti sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi formativi;

Activity: lavorare “con” gli Studenti per un apprendimento attivo e non passivo;

Individualization: porre attenzione ai bisogni individuali di ogni singolo Studente, in relazione al raggiungimento degli obiettivi didattici;

Relevance: rendere l’insegnamento strettamente correlato agli obiettivi generali di apprendimento/competenze del Corso di Laurea.

Ovviamente, anche i rapporti tra i Docenti del CI debbono essere pienamente funzionali e basati sul rispetto, la lealtà e la correttezza reciproca, utilizzando i principi del modello SPICES di Harden, là dove la scala dell’integrazione (The integration ladder) prevede che vi sia: “greater central planning, greater communication between teachers, less emphasis on disciplines”.

La gestione di un CI è obbligatoriamente non facile e tale da richiedere grande attenzione; la sintesi dei punti fondamentali per una gestione di qualità deve prevedere:

– La pianificazione del CI, partendo dalle unità didattiche elementari (UDE), che sia davvero integrato (copresenza, correlazione pianificata in anticipo, ecc.);

– La pianificazione delle modalità di esame e valutazione coerente con gli obiettivi formativi del corso (esame veramente integrato e non prove singole, modalità di esame congrue con le conoscenze, le abilità e le competenze definite nel core curriculum,ecc.);

– Il ruolo centrale del coordinatore del CI che deve essere affidato a un Docente fortemente motivato (non è un notaio che prende atto dell’orario nell’aula, ma rende fattiva e possibile l’integrazione vera delle UDE, scioglie i contrasti, pianifica e concorda le copresenze, ecc.).

Le esperienze delle sedi

Nell’ambito del Laboratorio Pedagogico, sono state presentate e discusse le esperienze di tre sedi, che sono qui di seguito riassunte.

“Sapienza” Università di Roma, Corso di Laurea “C”

E’ stata presentata una interessante esperienza di lavoro di gruppo nella ristrutturazione del biennio clinico a maggiore caratterizzazione professionalizzante, per lo sviluppo della competenza medica.

L’idea è nata da una esigenza di dare un senso maggiormente compiuto alla struttura delle Medicine e Chirurgie I, II, III, CI del quinto/sesto anno di corso; Medicina e Chirurgia I integrata con l’Oncologia, Medicina e Chirurgia II con le Patologie Geriatriche, Medicina e Chirurgia III comprendente tutto il resto ma senza un programma ed un’organizzazione definiti.

In una serie di riunioni nella Commissione Tecnico Pedagogica è stato costruito un percorso di formazione per competenze, utile a garantire, a tutti gli studenti, un periodo di internato in medicina, chirurgia, medicina generale.

Vi sono state due fasi, una prima, dedicata al lavoro di gruppo in CTP per organizzare i CI e una seconda fase di lavoro di gruppo fra i docenti coinvolti nella realizzazione delle diverse attività. Sono state individuate la metodologia per l’attività frontale, la suddivisione dei problemi clinici essenziali, i metodi didattici specifici, la metodologia dell’attività pratica, i compiti dei tutor clinici, i compiti degli studenti.

Tra le attività di programmazione svolte debbono essere citati: lo studio in simulazione dei problemi clinici essenziali; la pianificazione in aula di metodologie didattiche specifiche, con discussione e metodologie di tipo professionalizzante; la raccolta  di casi clinici visti nei vari reparti frequentati durante il biennio clinico inclusa la frequenza dal MMG; la raccolta di schede narrative e brevi racconti di episodi vissuti durante il biennio clinico particolarmente significativi per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità medica; l’acquisizione in autonomia delle abilità essenziali previste dal libretto delle attività pratiche.

Il lavoro iniziale di reclutamento dei docenti è stato lungo e faticoso, in quanto essi dovevano avere disponibilità di reparto, conoscenze, passioni e attitudini diverse, voglia di partecipare. Malgrado le continue riunioni, continua però ad essere difficile mantenere una rigida distribuzione di compiti che eviti sovrapposizioni ed inutili ripetizioni.

Milano Humanitas, Corso internazionale in lingua inglese

L’esperienza presentata si riferisce alla ristrutturazione del corso, in riguardo alla organizzazione integrata del primo anno di corso. Viene, nello specifico presentato il lavoro svolto nella organizzazione di due CI.

Nel CI Body at Work (Fisica, Anatomia Umana, Biochimica, Fisiologia) è stato in particolare istituito un CdCI; vi è stata piena condivisione dei contenuti e dei metodi del corso, condivisione dei temi longitudinali del Priority Presenting Problems Portfolio (PPPP), la stesura di un syllabus, la definizione delle modalità d’esame.

I CI sono stati migliorati estendendo  la condivisione dei temi longitudinali del PPPP agli altri CI, lavorando sulla stesura di un syllabus integrato anche sugli altri corsi.

Grande lavoro di gruppo è stato fatto sulle modalità d’esame, prevedendo, sempre per lo stesso corso in esempio, un esame scritto tramite multiple choice test, il cui superamento garantisce l’accesso all’esame orale con i docenti, la revisione del compito e la discussione di un argomento del PPPP.

In questo processo di rinnovamento è stata data particolare enfasi al ruolo del coordinatore di CI, che condivide i principi e i metodi didattici del corso, sa costruire committment tra i colleghi e si confronta con il presidente del CDL e l’ Office for medical Education, supervisiona il syllabus, lavora a stretto contatto con il responsabile della pianificazione e con i colleghi del CI durante la pianificazione, supervisiona le domande d’esame, redige la prova d’esame finale, è referente diretto per gli studenti (domande, chiarimenti ecc..), riceve la valutazione del corso e si fa promotore di modifiche e miglioramenti.

Ateneo di Foggia, Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia

L’esperienza presentata per il CLM di Foggia fa riferimento soprattutto alla situazione attuale e agli sforzi che il Presidente del Corso di Laurea sta mettendo in atto per il suo miglioramento. L’Università di Foggia è un Ateneo di media dimensione, con 16 Corsi di Studio di Area Medica (5 decentrati), 56 professori e 57 ricercatori/prof aggregati. Al Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia frequentano 80 studenti per anno. I CI sono organizzati sulla base di un modello tradizionale con «integrazione orizzontale».

Dall’analisi SWOT della situazione attuale emergono dei punti di forza, caratterizzati dalla omogeneità nell’organizzazione dei CI della fase iniziale, intermedia e finale; da una buona pianificazione dei CI e chiari obiettivi formativi; una evoluzione positiva del ruolo dei coordinatori di CI; l’integrazione dei contenuti e dei programmi dei CI in via di miglioramento; alcune criticità evidenziate anche dalla site-visit della CPCLMMC 2014, sono state obiettivo di miglioramento del Rapporto di Riesame annuale e ciclico 2016.

La stessa analisi SWOT evidenzia delle criticità quali le modalità di esame da migliorare (nell’integrazione); l’approccio individualistico nell’insegnamento della disciplina in alcuni moduli didattici; difficoltà a gestire la co-presenza dei docenti a lezione, in relazione al numero limitato di docenti con carico didattico importante nei diversi CdL.

E’ stata pertanto ribadita l’utilità reale del rapporto del riesame annuale e ciclico, da interpretare correttamente non come impegno burocratico, ma come effettivo strumento per il miglioramento della qualità didattica.

  1. Lavoro di gruppo interprofessionale

Davide Festi, (Conduttore), Maria Grazia De Marinis, Lorenza Garrino, Paolo Leombruni, Daniele Santini. Erano inoltre presenti: Fabrizio Consorti, Pietro Gallo e Rappresentati del SISM.

Dopo una breve introduzione incentrata  sulle definizioni di educazione interprofessionale, sia quella dell’OMS del 1988 che quelle del  CAIPE del 1997 e del 2006, sulla normativa  esistente  e sulle scarse evidenze scientifiche disponibili relative all’impatto della educazione interprofessionale sugli esiti clinici, sono state riportate alcune esperienze effettuate a Roma ed a Torino.

Maria Grazia De Marinis e Daniele Santini, del Campus Biomedico di Roma hanno presentato una esperienza di didattica simulata interprofessionale, che ha coinvolto studenti di Medicina e Chirurgia e studenti di Infermieristica, con l’obbiettivo  di esplorare i differenti ruoli professionali; valorizzare le diverse competenze, incoraggiare la comunicazione e la fiducia  tra i membri del gruppo; imparare ad esprimere emozioni, stati d’animo e necessità di aiuto nel gruppo; riflettere sulle difficoltà a ricevere e riferire commenti/apprezzamenti sul proprio lavoro.

Il seminario si è svolto attraverso le seguenti fasi:

  1. Analisi di un incidente critico: con l’obiettivo di offrire ai ragazzi la possibilità di riflettere, in gruppi di 6 persone, su una situazione di interprofessionalità in cui direttamente o indirettamente hanno partecipato nel loro tirocinio.

Gli è stato chiesto di descrivere una situazione ritenuta critica, che pensavano potesse essere gestita diversamente, attraverso la ricostruzione di emozioni, azioni, clima e modalità di lavoro, fornendo esempi chiari e concreti di comportamenti o parole osservate e di spiegare perché  dal loro punto di vista la situazione è stata ritenuta critica.

  1. Scrittura della trama per il Role Playing: il gruppo ha ricevuto l’invito a definire una semplice trama, utilizzando il contenuto dell’incidente critico e stabilendo cosa doveva essere detto e fatto  dai personaggi. In particolare, la trama richiedeva la descrizione di: dove accade; quando accade; a chi accade; che rapporti ci sono tra queste persone (relazione); di cosa si tratta (problema).
  2. c) Realizzazione del Role Play in quattro fasi:

due studenti hanno interpretato rispettivamente il ruolo del medico e dell’infermiere cercando di risolvere la situazione critica, così come descritto preliminarmente nella trama

“inversione dei ruoli”: il ragazzo che prima ha interpretato il medico ha poi interpretato l’infermiere e viceversa;

introduzione  dell’”io ausiliare”: è servito per suggerire ai due protagonisti nuovi punti di vista e nuovi comportamenti;

“sostituzione” dei ruoli: due nuovi ragazzi interpretano la scena per cercare di affrontare il problema con dinamiche differenti dalla precedente.

  1. d) Il feedback: è stata analizzata la registrazione della scena, sono stati raccolti i feedback dei partecipanti, si sono confrontate le differenti prospettive di analisi e i vari punti di vista conclusivi.

Da parte degli studenti è emerso: un’indicazione ad una comunicazione più chiara e diretta tra le diverse figure professionali; una considerazione sulle capacità di mettersi nei panni dell’altro per comprenderlo meglio;  la necessità di ri-conoscere il proprio ruolo e quello dell’altro e  di non essere intimoriti nel chiedere aiuto quando si sta gestendo una situazione critica.

La seconda realtà discussa all’interno del Laboratorio ha riguardato l’esperienza maturata in questi ultimi anni presso l’Università di Torino.

Lorenza Garrino e Paolo Leombruni hanno presentato alcune iniziative promosse dalla SIPeM sezione Piemonte  e VdA e realizzate come prima ricaduta del Congresso Nazionale svoltosi a Torino nel Maggio 2010. Sono stati tenuti, nel corso di più anni, workshop volti ad analizzare l’importanza dello sviluppo di una collaborazione interarea tra le varie figure sanitarie con simulazioni volte a stimolare il lavoro di gruppo e una maggiore consapevolezza delle capacità e responsabilità del proprio ruolo al fine di riuscire nella risoluzione di situazioni critiche. In particolare sono state organizzate due giornate di studio e lavoro, il 24 settembre 2010 e 11 settembre 2011, dal titolo ”Formazione alla interprofessionalità nei corsi di base della Facoltà di Medicina” alla quale hanno partecipato più di sessanta docenti universitari  e professionisti delle aree socio-sanitarie ed educative. Ai partecipanti sono stati proposti gruppi di studio interprofessionali da sperimentare nelle sedi appropriate, con la finalità anche di realizzare un percorso  triennale all’interno del corso di Medicina.  Obiettivi del percorso, partendo dai bisogni evidenziati, erano quelli di rendere lo studente in grado di descrivere le regole della comunicazione (grammatica della comunicazione, ascolto attivo); negoziare nel gruppo soluzioni condivise; utilizzare strumenti comunicativi efficaci. Una ulteriore iniziativa sull’interprofessionalità  ha riguardato la realizzazione di laboratori gesti o skill lab, gestiti da tutor infermieristici ai quali partecipano gli studenti di Medicina del primo triennio. A partire dall’Anno Accademico 2011-2012 è stata realizzata presso i corsi di laurea delle professioni sanitarie e il corso di laurea in medicina una attività elettiva interprofessionale  dal titolo “ Il caregiver : l’alleanza terapeutica nell’assistenza domiciliare in una prospettiva interprofessionale”, indirizzata alle professioni infermieristica, medica, riabilitative (fisioterapista, logopedista) ed agli educatori professionali.

Una ulteriore esperienza riguarda la collaborazione tra il corso di laurea in infermieristica di Torino e l’Università  Modena –Reggio, nata all’interno del master “Metodi e strumenti per l’insegnamento clinico della medicina generale nelle cure primarie” relativa alla partecipazione del paziente esperto nella formazione e nelle cure, in una ottica di interprofessionalità. Il presupposto è la sempre maggiore valorizzazione dell’esperienza che il paziente porta con sé quando arriva al professionista,  delle sue preoccupazioni, dei suoi desideri, delle sue conoscenze e della sua consapevolezza sulla sua situazione. IN un tale approccio il paziente diventa alleato, partner e viene valorizzata la sua esperienza nel percorso di cura ed a una migliore qualità di vita nelle diverse fasi di malattia.

L’esperienza fatta a Torino consente di concludere e prospettare la necessità di:

– implementare la formazione interprofessionale nei corsi di base per migliorare la comunicazione interprofessionale;

– una progettazione formativa interprofessionale attraverso l’identificazione di interventi mirati a favorire la conoscenza degli altri professionisti, la realizzazione di percorsi di tirocinio comune tra studenti di discipline diverse, incontri per favorire la comunicazione interprofessionale ed il confronto

– valorizzare e sviluppare il partenariato con i pazienti ed i care giver nella formazione e nelle cure.

In ultimo il gruppo di lavoro, rispondendo alla richiesta fatta dalla Presidenza, ha identificato:

1)  le cinque parole  relative al buon funzionamento dei gruppi: comunicazione, affiatamento, definizione dei ruoli, inclinazione alla leadership, sperimentazione.

2) le cinque parole relative alla criticità dei gruppi: necessità di una valutazione delle esperienze realizzate, numerosità (difficoltà nel rendere queste esperienze accessibili a più studenti dei corsi di laurea, valutazione della possibilità di inserire anche dei corsi ADE nel piano di studi, strutturati su più anni al fine di permettere in base alle competenze sviluppate dagli studenti analisi di problemi differenti); diffidenza (tra le figure in questione);

3) le cose da NON fare: mettere in un’aula tutti gli studenti; chiamare una lezione frontale “lezione sull’interprofessionalità”;

4) le cose da fare: necessità di esperienze di simulazione condivise; identificare gli spazi più idonei (es. tavoli tondi dove più studenti possono lavorare insieme); identificare le strategie di collaborazione più idonee e concrete; conoscenza dei valori reciproci delle diverse figure sanitarie.

  1. Lavoro di gruppo con il personale tecnico-amministrativo

Bruno Moncharmont (Conduttore), Maurizia Valli, Tiziana Bellini ed Anna Bossi

I normali processi di progettazione e gestione dei corsi di studi prevedono numerosi interazioni tra i docenti con ruoli di responsabilità (presidente del corso di studio, componenti della commissione tecnico pedagogica, gruppi per l’assicurazione della qualità) e tra il personale tecnico amministrativo della segreteria didattica, della segreteria studenti e degli altri uffici centrali dell’ateneo. Lo svolgimento armonico dei processi implica, però, frequenti e fondamentali interazioni tra i docenti e personale tecnico amministrativo. L’esperienza ci mostra che tale interazioni sono quasi sempre estreme: in alcuni casi armoniche, perfettamente funzionali e collaborative in altri disastrose, con il risultato di creare sovente ingiustificati ritardi nei processi. Il mandato del laboratorio era quello di comprendere, attraverso una analisi delle esperienze riferite da alcune sedi, quali erano gli elementi che costituivano un ostacolo all’instaurarsi di un rapporto operativo di gruppo tra docenti con ruoli di responsabilità nella gestione del corso di studi ed il personale tecnico amministrativo coinvolto nei processi di progettazione e gestione delle attività didattiche.

Maurizia Valli presidente del CL M di Pavia ha presentato le esperienze con la Segreteria studenti, Tiziana Bellini, presidente del CLM di Ferrara, quelle con la Segreteria didattica, con una particolare enfasi sull’importanza della funzione del manager didattico, ed infine Anna Bossi presidente del CLM di Milano statale-polo centrale quelle con Ufficio statistico di ateneo. Dalla animata discussione con gli altri partecipanti al laboratorio è emerso che una parte delle principali cause che ostacolano l’armonico sviluppo delle interazioni in un lavoro di gruppo sono di tipo strutturale-organizzativo:

– difficoltà di accesso ai dati (tipologie differenti di database ed aggiornamento non sincrono)

– scarsa integrazione tra sistemi software;

– rigidità nell’utilizzo delle applicazioni per la mancanza di manuali utente e per una insufficiente o inadeguata formazione;

– linguaggio utilizzato nella gestione degli aspetti didattici non sempre corrispondente a quello utilizzato per gli aspetti amministrativi;

– poca formalizzazione delle procedure e prevalente ricorso alla memoria storica;

– sostituzione di ruoli tra docenti e PTA su particolari aspetti.

L’altra parte delle criticità sono da annoverarsi sul lato relazionale:

– input e/o richieste antitetiche al personale tecnico amministrativo da parte del corso di studi e della struttura amministrativa;

– prevalenza della dimensione relazionale rispetto a quella organizzativa;

– formale divisione scientifica del lavoro;

– personalizzazione delle priorità lavorative;

– pregressi ed irrisolti conflitti intragruppo e di categoria;

– conflitti personali di relazione (componenti emozionali ed affettive) ed incompatibilità caratteriale;

– ambivalenza del peso dell’anzianità nella posizione;

– utilizzo del know-how talvolta capzioso e strumentale;

– rigidità nella sostituibilità professionale delle risorse disponibili;

– mancanza di strumenti premiali o punitivi.

Sebbene la durata limitata del laboratorio non abbia consentito di analizzare tutti questi aspetti con il dovuto approfondimento, è comunque chiaramente emerso che alcune semplici azioni (sottoelencate) potrebbero consentire di sfruttare al meglio le opportunità che lavoro di gruppo può offrire (conoscenza dei problemi degli altri, condivisione delle criticità, configurazione di soluzione ottimale);

– analisi puntuale dei processi, con definizione di procedure che indichino chiaramente tempi, strumenti e responsabilità;

– formazione ed aggiornamento contestuale del personale tecnico amministrativo e dei docenti con ruoli di responsabilità sugli strumenti di gestione della didattica e di assicurazione della qualità (ad esempio procedura esse3, SUA-csa).

  1. Considerazioni conclusive

Maria Grazia Strepparava (Milano Bicocca)

I lavori pomeridiani sulle dinamiche di gruppo sono stati pensati con uno scopo esplicito ed uno implicito. Lo scopo esplicito, ed esplicitato, ai partecipanti era innescare la riflessione condivisa sui diversi ambiti in cui i Presidenti si trovano a utilizzare il lavoro di gruppo. Lo scopo implicito, meno facile da trattare e soprattutto più complesso da trasformare in un oggetto di lavoro, era portare all’evidenza dei partecipanti l’importanza e la centralità che gli aspetti di comunicazione, interazione e relazione hanno nel facilitare, rallentare, ostacolare o promuovere il lavoro di  un  gruppo di persone.

Nella fase di progettazione di queste attività è stato immediatamente evidente che non sarebbe stato eccessivamente difficile aiutare i partecipanti ad individuare e portare poi alla discussione in plenaria gli aspetti relativi  al tipo e ai contenuti delle attività svolte in gruppo nei diversi luoghi del sistema formativo universitario: gli “oggetti” intorno ai quali si strutturano le diverse situazioni in cui si lavora in gruppo sono ben definibili e si va dallo sviluppo delle pratiche interprofessionali nella formazione e nel lavoro clinico, al lavoro di gruppo per la gestione di tutto ciò che entra nel campo di attività della CTP, ai molteplici oggetti di lavoro che portano la componente universitaria a interfacciarsi con il personale tecnico e amministrativo, per arrivare al lavoro collettivo dei docenti intorno alla progettazione dei corsi integrati. Altrettanto chiaro era che ben più complesso e poco ovvio sarebbe stato facilitare l’emergere delle rappresentazioni individuali che sono lo sfondo delle pratiche condivise (Wenger, 1996) del lavoro in gruppo: il modo in cui ciascuno – docente, studente o tecnico – pensa al proprio ruolo, ai propri compiti, ai propri obiettivi a breve e a lungo termine e agli obiettivi dell’istituzione stessa, è un sistema di immagini che orienta l’agire quotidiano di ognuno. Ugualmente nascoste sullo sfondo sono le caratteristiche dell’interazione e della relazione che si imposta e progressivamente si sviluppa tra persone che lavorano insieme. Queste dinamiche sono determinate dalle rappresentazioni di sé e dell’altro, dalle aspettative sui comportamenti altrui e propri, dal clima emotivo che si crea nel gruppo di lavoro e dai meccanismi individuali e collettivi di regolazione affettiva, in poche parole costituiscono il profilo relazionale del gruppo stesso e determinano lo stile di lavoro del sistema (Wenger, 1998).

Per favorire il lavoro sugli aspetti della conoscenza tacita, meno immediatamente accessibili alla riflessione individuale e condivisa, si è deciso di utilizzare stimoli che spostassero l’attenzione dalle rappresentazioni cristallizzate e consapevoli, facilitando l’accesso anche alla qualità emotiva dell’esperienza: come ci si sente nel trovarsi in una data situazione o nel vivere una certa esperienza. È stato così dato mandato ai quattro conduttori – dopo aver dedicato agli aspetti espliciti la parte iniziale del tempo a disposizione – di proporre al gruppo le domande sotto elencate.

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Pensando alle situazioni di lavoro che avete trattato nel vostro gruppo (CTP; Corso Integrato; Interprofessionalità; Personale tecnico-amministrativo) individuate:

– quali sono le cinque parole per definire le criticità,

– quali sono le cinque parole per definire il  “buon lavorare”

– quale immagine descrive quando le cose “vanno male” nel lavoro di gruppo

– quale immagine descrive quando il gruppo “funziona bene”

– quali sono le tre cose da NON fare

– quali sono le tre cose da fare

Alla base queste richieste ci sono alcune considerazioni: le parole sono etichette linguistiche che usiamo per condensare esperienze complesse e sono rappresentate in modo distribuito nella mente (Barsalou, 2008; Lakoff, Johnson, 1999); i termini del linguaggio o le metafore e le analogie che usiamo nel discorso evidenziano le dimensioni per noi salienti di ciò a cui ci riferiamo, il senso dell’esperienza (Lakoff, 1987) e le parole corrispondono a stati mentali e alla loro controparte fisica di cui spesso non siamo del tutto consapevoli, ma che orientano le nostre reazioni alle diverse situazioni in modo implicito (Gallagher, Hutto, 2008): un conto è “parlare degli aspetti del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo” e un altro e ben diverso conto è “parlare dei problemi del lavoro in gruppo con il personale tecnico-amministrativo”: la rappresentazione costruita nella mente di chi parla e nella mente di chi ascolta è differente; non sempre chi parla e seleziona i termini del linguaggio, è consapevole delle sfumature che la sua scelta linguistica ha e dell’effetto sugli altri. Le parole da un certo punto di vista sono dei “punti di vista” sul mondo, possono chiudere o aprire prospettive, definire percezioni, far emergere in trasparenza modi di sentire, sono alla base della nostra costruzione della realtà .

Associare un’immagine a un concetto è un’altra strategia per avere accesso alle nostre conoscenze tacite – sempre sulla base dei principi del modello della embodied cognition, o grounded cognition per spiegare la rappresentazione della conoscenza (Varela, Thompson, Rosh, 1991; Damasio 1999; Gallagher, 2007). La richiesta di visualizzare specifiche azioni ha l’obiettivo di spostare l’attenzione dal piano semantico, astratto, al piano della memoria episodica, che è appunto memoria che integra, contestualizzandola, percezione e azione, facilitando l’accesso alla ricostruzione soggettiva dell’esperienza.

Nella tabella 1 sono riportate le sintesi delle risposte dei quattro gruppi. È facile vedere che vi sono alcune parole che ricorrono trasversalmente tra tutti i quattro gruppi di lavoro, permettendo di individuare alcuni campi semantici condivisi. Ugualmente però ogni gruppo presenta una sorta di filo rosso, di trama di significato che in un certo senso ne costituisce il profilo.

Un sistema di termini che ricorre in tutte le risposte ha per core il concetto di “condivisione”, sia concettuale (concertare, programma condiviso, conoscenza reciproca, strategie di collaborazione), sia fisico/emotiva (affiancamento, contatto quotidiano, condividere, senso di appartenenza, partecipazione):  partecipare non è solo mettere insieme le cose, ma agire insieme e nell’agire sentirsi insieme.

Un altro tema ricorrente, solo all’apparenza contrapposto al sentirsi-con con è la delimitazione dei ruoli, il mantenimento del senso della propria identità e della propria funzione dentro la percezione collettiva. I gruppi vivono anche della delicata dinamica tra il senso di appartenenza e, di fusione collettiva, di mancanza di confini, e la definizione di sé e il mantenimento della propria identità: per un buon funzionamento gruppale i processi intragruppo (io nel gruppo in relazione con gli altri componenti del gruppo) e intergruppo (noi in quanto gruppo verso altri gruppi o altri individui),  devono essere in equilibrio dinamico. L’identità di ruolo emerge come un aspetto costitutivo della percezione professionale di sé, aprendo alla domanda se vi sia e quale sia il legame tra l’assunzione di ruolo e il potere, cui non è certo possibile dare qui una risposta.

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Ancora più interessante rispetto alle riflessioni sul linguaggio, le considerazioni che possiamo fare sulla scelta delle immagini. La prima, e più evidente, è che tra i moltissimi quadri possibili ben due gruppi su quattro hanno scelto esattamente la stessa immagine (l’Urlo di Munch, Fig. 1) per rappresentare “quando il gruppo va male”. La formulazione della frase è stata lasciata volutamente ambigua, generale e fatta in uno stile colloquiale, per dare ai partecipanti quanti più gradi di libertà possibili. Sarebbe interessante chiedere ai componenti dei gruppi come sono giunti a questa scelta, a cosa hanno associato l’immagine (disperazione o impotenza davanti al conflitto? sconforto per l’impossibilità di raggiungere gli obiettivi? assoluta mancanza di senso davanti alla confusione? pura emozione?), ma certamente la convergenza ci dice che c’è un tessuto di esperienza condivisa e significativa. In fondo anche nell’immagine del manicomio c’è la mancanza di senso, il caos, la disperazione, l’impotenza. Più variegate le immagini del gruppo ben funzionante: il popolo unito, un ingranaggio che funziona senza intoppi, qualcosa in cui ogni parte ha un posto ed è al suo posto. In alcune immagini c’è movimento e azione, in altre un quadro statico e organizzato. Stasi e movimento che ritroviamo nelle parole che ciascun gruppo ha scelto e nelle azioni indicate: il puzzle si accompagna alle parole integrazione, pianificazione, programma, riproducibilità; il meccanismo a funzioni, organizzazione, comunicazione, ruoli. Un ingranaggio è un sistema di parti che si muovono con sincronia, fisicamente connesse, e questo è proprio il gruppo che fa riferimento alla presenza e vicinanza fisica. Nel gruppo che ha scelto il Quarto Stato (Fig. 2), e la Battaglia di Anghiari (Fig. 3) il campo semantico delle azioni ci porta invece alla contrapposizione tra partecipazione/concertazione e accentramento/sopraffazione, che bene riflette il senso della lotta di popolo delle due immagini.

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Si potrebbe proseguire ancora nell’identificare i rimandi che legano parole concetti e immagini, ad esempio il filo dell’agire sperimentante (ricerca, sperimentazione, strategie, azione collettiva) che caratterizza la rappresentazione che sta sullo sfondo della riflessione di uno dei gruppi. Ma non dobbiamo dimenticare un punto essenziale: se ci poniamo nell’orizzonte filosofico e concettuale  del costruttivismo (Von Glaserfeld, 1984) ogni descrizione di un fenomeno avviene da una specifica prospettiva, è fatto da un lettore/narratore, parte da un certo punto vista: non esiste una sola verità assoluta, ma molteplici prospettive e la conoscenza quel sistema complesso che integra prospettive differenti, nessuna più vera di un’altra.

Il mio invito quindi ai lettori è guardare le griglie dal loro punto di vista e vedere quale rete di rimandi si delinea nella loro mente. Buon divertimento.

Bibliografia

1) Barsalou L., 2008, Grounded Cognition, W. Annu. Rev. Psychol. . 59:617–45

2) Damasio A. R., 1999, The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness [trad. it. Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000].

3) Gallagher S.,  Hutto D. 2008, Understanding Others through Primary Interaction and Narrative Practice, in J. Zlatev, T. Racine, C. Sinha e E. Itkonen (a cura di), The Shared Mind: Perspectives on Intersubjectivity, John Benjamins, Amsterdam, pp. 17-38.

4) Gallagher S. , 2007, Phenomenological and Experimental Research on Embodied Experience, in T. Ziemke, J. Zlatev, R. Frank e R. Dirven (a cura di), Body, Language and Mind, vol. I, Mouton de Gruyter, Berlin, pp. 241- 63.

5) Lakoff, G. , 1987,. Women, fire and dangerous things: what categories reveal about the mind. Chicago and London: The University of Chicago Press.

6) Lakoff, George. Johnson Mark., 1999. Philosophy in the flesh. The embodied mind and its challenge to Western thought. New York: Basic Books.

7) Varela FJ, Thompson E, Rosh E. 1991. The Embodied Mind. Cognitive Science and Human Experience, MIT press, Cambridge, Mass.

8) Von Glaserfeld, E., An introduction to radical constructivism, in p. watzlawick, the invented reality, Norton, New York, 1984, pp 17-40 (tr.it. La realtà inventata, Feltrinelli, Milano, 1987).

9) Wenger E. Communities of practice: learning, meaning and identity, Cambridge University Press, New York 1998; tr. it. Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano 2006

10) Wenger E., 1996, Communities of practice: the social fabric of a learning organization,

11) Wenger E., 1996. How we learn. Communities of practice. The social fabric of a learning organization. Healthc Forum J. 1996 Jul-Aug;39(4):20-6.

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Consorti F., Familiari G., Festi D., et al., Esperienze di lavoro di gruppo, Medicina e Chirurgia, 71: 3242-3250, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-6

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