Le Tabulae anatomicae di Bartolomeo Eustachion.64, 2014, pp.2913-2916

1. Vita e opere

Bartolomeo Eustachio (c. 1510-74) è un grande anatomista del Cinquecento, considerato il padre dell’anatomia sottile. Nasce a San Severino intorno al 1510, e a San Severino nel 1539, dopo la laurea, riceve l’incarico della seconda condotta cittadina, che però non gli è rinnovato per l’anno successivo. Nello stesso periodo è chiamato dal duca Guidobaldo II della Rovere ad Urbino, a ricoprire il posto di medico di corte che era stato del padre Mariano prima e del fratello Fabrizio poi, scomparso prematuramente. Ad Urbino Eustachio diventa protomedico, arricchisce la sua cultura nella biblioteca fondata da Federico da Montefeltro, studiando tra l’altro le matematiche e le lingue classiche, compresi – sembra – arabo ed ebraico. Nel 1549 si trasferisce a Roma, al seguito di Giulio della Rovere, il fratello del duca nominato cardinale appena adolescente. A Roma Eustachio è presto un clinico ricercato da pazienti illustri, come Filippo Neri e Carlo Borromeo, insegna alla Sapienza, almeno nel decennio tra il 1555 e il 1565, e compie numerose dissezioni anatomiche sui cadaveri che gli sono forniti negli ospedali del Santo Spirito e della Consolazione. Il 9 agosto 1574, nonostante le precarie condizioni di salute, si mette in viaggio per portare soccorso al cardinale Giulio della Rovere, che si trova malato nella sua residenza estiva di Fossombrone. Eustachio ha difficoltà a procedere ed è costretto a rallentare e a fermarsi più volte lungo la Flaminia, anche con soste prolungate. Muore nei pressi di Fossato di Vico il 25 agosto 1574.

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Eustachio pubblica nel 1563/64 a Venezia, presso l’editore Vincenzo Luchino, gli Opuscula anatomica, una raccolta di cinque trattati di diversa dimensione o epistole, in cui espone i risultati che aveva raggiunti nelle sue ricerche anatomiche: Sui reni, Sull’orecchio (1562), Sulle ossa e il movimento del capo (1561), Sulle vene, Sui denti (1563). Il testo è accompagnato da otto tavole in quarto, che riguardano principalmente l’anatomia renale. Nel 1566 Eustachio pubblica inoltre a Venezia, presso l’editore Lucantonio Giunta, la traduzione latina con commento del Lessico di Ippocrate attribuito ad Eroziano, un oscuro grammatico greco del I sec. d.C., di cui aveva trovato un prezioso manoscritto nella Biblioteca Vaticana. Insieme pubblica un libretto intitolato De multitudine, sulla composizione del sangue.

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Ma da tempo Eustachio lavora ad un’opera più ambiziosa sull’anatomia umana, che comprenda grandi tavole anatomiche e un commento in cui siano discusse punto per punto le affermazioni di Andrea Vesalio, che nel 1543 aveva pubblicato il De humani corporis fabrica illustrato, attaccando per la prima volta l’anatomia di Galeno basata sugli animali e non sull’uomo. Eustachio è infatti un acerrimo avversario di Vesalio e un fedele sostenitore di Galeno, sebbene le sue ricerche rappresentino una revisione dell’anatomia di Galeno. Nella lettera prefatoria agli Opuscula anatomica, Eustachio annuncia la pubblicazione di quarantasei tavole, incise su rame, accompagnate da un trattato Sui dissensi e sulle controversie anatomiche, in cui sarebbero messe a confronto le opinioni dei medici antichi e moderni con le osservazioni anatomiche da lui fatte con l’aiuto dell’assistente Pietro Matteo Pini. Nella lettera introduttiva alla traduzione latina con commento del Lessico di Ippocrate di Eroziano, datata 1564, Eustachio ritorna sulle sue scoperte anatomiche e afferma che ormai da tempo aveva fatto incidere le tavole che vuole pubblicare. Nell’opera Sui reni scrive che le stesse tavole erano state incise nel 1552 (p. 68).

Eustachio tuttavia muore senza riuscire a pubblicare le quarantasei grandi tavole con il commento. Forse in questo fu impedito – come lui stesso scrive – dall’ingente impegno economico che un’opera del genere richiedeva, dall’età ormai troppo avanzata, dai dolori articolari che una malattia invalidante – sembra l’artrite reumatoide – sempre più spesso gli procurava, o dall’attesa di obiezioni da parte di altri anatomisti rivali che gli avrebbero fatto organizzare al meglio il testo, ma che non arrivarono, anche per la morte improvvisa di Andrea Vesalio nel 1564.

2. Le tavole anatomiche da Pini a Lancisi

Bartolomeo Eustachio aveva un figlio Ferrante (m. 1594) che studiò medicina e poi la insegnò a Macerata e a Roma, ma, secondo le sue disposizioni testamentarie, il fedele assistente Pietro Matteo Pini è il beneficiario del suo lascito scientifico: libri, manoscritti, disegni, rami e strumenti. Dopo la morte di Eustachio, Pini cade in una profonda depressione, “dimenticandosi di se stesso e trascurando ogni studio”, come lui stesso racconta nella prefazione all’Indice delle opere di Ippocrate, che aveva preparato per ordine del suo maestro e che ora pubblica per onorarne la memoria presso l’editore Roberto Meietti di Venezia, nel 1597, quando è ormai a casa, ad Urbino, già da qualche tempo e si sente ristabilito. Nello stesso passo, Pini scrive che vorrebbe pubblicare le famose tavole anatomiche, incise su rame, che Eustachio gli aveva lasciato, se Dio l’assiste, ma muore senza riuscire a realizzare il proposito.

In seguito, nel Seicento, medici e anatomisti ricercano le tavole anatomiche di Eustachio a Roma e a San Severino, nella convinzione che queste contengano importanti informazioni scientifiche. Per esempio lo fa, ma senza successo, il medico Marcello Malpighi (1628-94), che è il primo ad introdurre in Italia il microscopio nell’osservazione anatomica, e che ha una grande ammirazione per Eustachio, il quale – afferma Malpighi – avrebbe scoperto tutto quanto c’era da scoprire, se solo avesse avuto strumenti di osservazione più efficaci, il microscopio per l’appunto.

Nel 1712 i rami delle tavole anatomiche di Eustachio sono ritrovate da Giovanni Maria Lancisi, che si rivela un investigatore straordinario. Conoscendo gli scritti di Eustachio e di Pini, Lancisi si convince che bisogna cercare le tavole ad Urbino, dove l’assistente di Eustachio che le possedeva aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita. Con l’aiuto del papa Clemente XI, al secolo Gianfrancesco Albani (1649-1721), discendente di un’importante famiglia di Urbino, di cui Lancisi è amico, medico personale e archiatra, l’erede di Pietro Matteo Pini è presto identificato con il canonico Paolo Andrea de’ Rossi, suo pronipote per parte di madre. A casa di costui è in effetti conservata una cassa che era appartenuta a Pini, nella quale sono contenuti i rami delle tavole di Eustachio, ma non l’opera Sui dissensi e sulle controversie anatomiche che le avrebbe dovute accompagnare. Il Papa Clemente XI compra quindi i rami per 600 scudi e li mette a disposizione di Lancisi, che subito informa dell’entusiasmante ritrovamento i colleghi Antonio Vallisnieri (1661-1730), Giovanni Fantoni e Morgagni. Quest’ultimo è molto impressionato dalle tavole di Eustachio e scrive un lungo saggio sulle scoperte anatomiche, soprattutto riguardanti cervello e nervi, che sarebbero da attribuire ad Eustachio piuttosto che ad anatomisti successivi, come era avvenuto.

Il 21 maggio 1714, in occasione dell’inaugurazione della biblioteca dell’ospedale del Santo Spirito – oggi nota come Biblioteca Lancisiana – a cui partecipano il papa Clemente XI, cardinali, prelati e nobili romani, nel momento culminante della cerimonia, è presentata l’edizione in folio delle tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachio, con il commento che Giovanni Maria Lancisi aveva compilato giovandosi dell’aiuto dell’anatomista Antonio Pacchioni (1665-1730) e del giovane allievo Francesco Soldati, e anche con il citato saggio di Morgagni. Nel frontespizio è stampata un’acquaforte di Pietro Leone Ghezzi (1674-1755) che rappresenta Eustachio mentre dissezione un cadavere umano nel teatro anatomico; sopra, in caratteri cubitali, si legge il nome di Clemente XI, che aveva patrocinato sia il recupero dei rami sia la loro pubblicazione, e che è il dedicatario dell’edizione.

Le tavole anatomiche di Eustachio pubblicate da Lancisi sono quarantasette. In una nota contenuta nella lettera a Giovanni Fantoni (p. viii), Lancisi afferma che c’è una tavola in più rispetto alle quarantasei citate da Eustachio, perché un ramo è inciso sui due lati. Tuttavia, le prime otto tavole pubblicate da Lancisi sono quelle sull’anatomia renale, in quarto, già apparse negli Opuscula anatomica. La serie delle grandi tavole non è quindi completa: sono trentanove, e ne mancano sette rispetto alle quarantasei di cui parlava Eustachio, che dovevano essere andate già perdute. Inoltre Francesco Soldati, rivolgendosi al lettore (p. xxxv), segnala che la numerazione delle grandi tavole, che segue quella delle piccole, è inconsueta e ci si aspetterebbe che la tavola IX sulle tre cavità fosse posta all’inizio, davanti a tutte le altre; ma questa numerazione – spiega Soldati – è quella che risale a Pini. Tuttavia è certo che i numeri delle grandi tavole furono aggiunti nel Settecento, subito dopo il loro ritrovamento. Non sappiamo se Lancisi fosse consapevole di tutte le difficoltà o inesattezze che la sua edizione contiene. Il suo intento era forse quello di presentare le tavole anatomiche di Eustachio quanto più possibile complete, originali e autorevoli, perché su queste poggiasse una grande tradizione anatomica romana, capace di competere con quella di qualsiasi altra università, Padova innanzi tutto, che da Eustachio giungesse fino allo stesso Lancisi, passando per il chirurgo Marco Aurelio Severino (1580-1656). Forse in nome di questo progetto Lancisi accettò che nell’edizione si tacesse su quanto – omissioni o interventi – lo avrebbero indebolito.

3. Le tavole anatomiche dopo il 1714

Dopo la prima edizione, i rami delle tavole anatomiche di Bartolomeo Eustachio furono conservati alla Biblioteca Lancisiana. Ma in seguito, per intervento del cardinale Pietro Luigi Carafa, furono messi a disposizione del medico romano Gaetano Petrioli per la sua edizione del 1740. Nel 1750 Gaetano Petrioli afferma di aver letto sul retro del ramo XVII il nome del pittore Giulio Romano (1499-1546), allievo di Raffaello, e di Marcantonio Raimondi (1487-1534), famoso incisore del Cinquecento. Ma queste indicazioni pongono difficoltà cronologiche, perché le grandi tavole furono incise nel 1552, secondo quanto dice lo stesso Eustachio, molti anni dopo la scomparsa di entrambi gli artisti citati dal Petrioli. Quindi la testimonianza del Petrioli è da considerarsi falsa; si sono rivelate infondate anche le altre proposte che sono state fatte nel tempo per identificare pittore o incisore delle grandi tavole, Tiziano compreso. Sembra piuttosto ragionevole pensare che per queste lo stesso Eustachio avesse preparato i disegni o lo avessero fatto dei pittori che lavoravano con lui, in stretta collaborazione; quanto all’incisione bisogna distinguere almeno due o tre mani diverse, tutte coeve: la tavola XXX non può essere stata incisa dalla stessa mano della tavola XXXV!

La storia dei rami di Eustachio successiva a Petrioli ci è nota soltanto in piccola parte. Sappiamo infatti che in seguito i rami furono acquistati da Andrea Massimini (1727-92), chirurgo all’ospedale romano della Consolazione, per la sua elegante edizione pubblicata nel 1783, con un nuovo commento, che però segue da vicino quello del Lancisi della prima edizione. Dei rami di Eustachio si perdono poi le tracce e attualmente non sembrano conservati, almeno in nessuna istituzione pubblica.

Qual è la sorte dei disegni e dei manoscritti che Eustachio aveva lasciato in eredità a Pini, soprattutto l’opera Sui dissensi e sulle controversie anatomiche che avrebbe dovuto accompagnare le tavole ? Com’è possibile che nella cassa di Pini conservata ad Urbino, a casa del pronipote, non ci fosse altro materiale di Eustachio, oltre ai rami pubblicati dal Lancisi ? Nessuno si rassegna alla perdita. Lo stesso Lancisi, scrivendo a Fantoni, si augura che il commento di Eustachio possa essere ritrovato, con l’impegno del papa Clemente XI (p. xiv). Morgagni, scrivendo a Lancisi, chiede ardentemente, “oro te obtestorque”, che la ricerca non sia interrotta, perché il commento di Eustachio dovrebbe contenere molto di più di quanto le tavole mostrano (pp. xxix-xxxi), e suggerisce di continuarla proprio ad Urbino, presso gli eredi di Pini che custodivano le tavole.

In qualche modo la ricerca non si ferma neppure nei secoli successivi e coinvolge l’altra sponda dell’Atlantico. Il 14 novembre 1928 l’editore e antiquario fiorentino Leo Olschki scrive una lettera ad Harvey Cushing, padre della neurochirurgia e grande collezionista, che allora era a Boston, alla Harvard University, proponendogli l’acquisto di un “meraviglioso” manoscritto, al prezzo di 1.000 dollari: sarebbe stato trovato nella casa degli eredi di Pini nel 1715, e conterrebbe 307 disegni anatomici con il commento autografo di Eustachio. Cushing non si lascia sfuggire l’occasione e compra il manoscritto, ma si accorge subito che non è l’autografo di Eustachio. In tre pagine dattiloscritte compila un lucido resoconto, datato 25 dicembre 1928, segnalando che i disegni sono copiati dalle opere anatomiche di Vesalio e di Giovan Battista Canani (1515-79), e che di entrambe rappresentano una semplificazione. Cushing nega che il manoscritto abbia lo stretto legame con Eustachio che Olschki gli aveva vantato, ma non evita di metterlo in qualche modo in relazione con lui, ritenendolo appunti raccolti da uno studente diligente, probabilmente Pini. Tuttavia la scrittura di Pini, che Cushing non conosceva, è diversa da quella che aveva vergato il manoscritto da lui acquistato, oggi conservato a New Haven, alla Medical Historical Library, Harvey Cushing Collection, n. 9, insieme con le note dello stesso Cushing (Iter Italicum V 293a).

Nel 1972 Luigi Belloni, storico della medicina di Milano, identifica nel manoscritto conservato a Siena, alla Biblioteca Comunale degli Intronati, C IX 17, l’opera tanto ricercata di Eustachio Sui dissensi e sulle controversie anatomiche, a partire da una segnalazione dell’Iter Italicum II 151. Il testo presenta due scritture, che sono certamente quelle di Eustachio e di Pini, come accade anche altrove. Eustachio era afflitto dall’artrite che gli causava forti attacchi, come “un migliajo di tratti di corda”; non riusciva neppure a scrivere e ricorreva quindi spesso all’aiuto di Pini. Il 7 gennaio 1971 Eustachio scrive al duca Guidobaldo II della Rovere: “o scritto questa letera con molta difficoltà, e non potrej scriverne un’altra”. Il testo inoltre tratta l’anatomia umana nel suo complesso, ossa, muscoli, nervi, vene, arterie, addome, torace e cranio, ed è organizzato per syngrammata e antigrammata, cioè citazioni di Vesalio, principalmente del De humani corporis fabrica, e successive obiezioni o confutazioni di Eustachio. Questa struttura appartiene anche al trattato Sulle vene, pubblicato negli Opuscula anatomica, che lo stesso Eustachio presenta come una sorta di estratto di quello più ampio, in preparazione, Sui dissensi e sulle controversie anatomiche (p. 262).

Belloni pubblica subito la prefazione, interamente scritta da Eustachio, che contiene un elogio di Galeno contro gli anatomisti che negli ultimi tempi lo avevano ingiustamente attaccato, Vesalio prima di altri, e promette l’edizione di tutto il resto, che tuttavia continua ad essere un desideratum. Negli anni successivi, quasi per un decennio, Belloni pubblica diversi articoli su Eustachio, e nel 1981 l’indice dettagliato del manoscritto di Siena. Come avverte Belloni fin dal primo articolo, molti sono i fogli bianchi in questo manoscritto e il testo è largamente incompleto e provvisorio. Le citazioni di Vesalio, i syngrammata, sono state scritte, ma spesso mancano gli antigrammata di Eustachio, e anche quelli compilati, per esempio sulle vene, non sono definitivi, ma soltanto appunti da rielaborare, come si evince da un confronto tra questi e il trattato Sulle vene pubblicato negli Opuscula anatomica. Si può ora aggiungere che mancano soprattutto le parti sul cervello e i nervi, da cui ci sia aspettava molto o di più, almeno stando alle tavole anatomiche, come già aveva dichiarato Morgagni. Difficile dire se ci sia un’altra versione del trattato Sui dissensi e sulle controversie anatomiche scritta da Eustachio, ma non sembra probabile.

Quanto alla storia del manoscritto di Siena, è davvero molto oscura. Non ci sono note di possesso né indicazioni di provenienza. Neppure l’ingresso nell’attuale biblioteca si lascia in qualche modo datare sulla base dei cataloghi antichi, perché può essere avvenuto in qualsiasi momento, dalla metà dell’Ottocento fino a quella del secolo successivo. Molte domande quindi, per il momento, non hanno risposta. Si trovava il manoscritto di Siena nella cassa appartenuta a Pini, ad Urbino, fino al 1712 ? Ebbe una sua sorte diversa da quella delle tavole anatomiche anche prima del 1712 ? Fu mai nelle mani di Lancisi o di Clemente XI ? La sua esistenza fu allora tenuta nascosta da Lancisi e dai suoi collaboratori perché imbarazzante per l’eccessiva incompletezza ? In ogni caso, la storia della tradizione delle tavole anatomiche di Eustachio non sembra sia stata ancora completamente scritta.

De humani corporis fabrica di Andrea Vesalion.60, 2013, pp.2705-2709, DOI: 10.4487/medchir2013-60-5

Abstract

Andreas Vesalius published his De humani corporis fabrica in Basle in 1543. This treatise substituted Galen’s anatomy based on animals, and founded modern human anatomy. It was revolutionary because for the first time it criticized Galen, the Greek physician who had dominated the history of medicine until then. Vesalius gave an important contribution to the development of scientific method: he affirmed that the anatomist should trust his own observations and refuse every authority. The 300 illustrations of this treatise, which are precise and beautiful, were reprinted and plagiarized for many years.

Articolo

Andrea Vesalio (1514-64) pubblicò nel 1543, a Basilea, presso l’editore Giovanni Oporino, il De humani corporis fabrica, un’opera rivoluzionaria che avrebbe segnato una svolta nella storia della medicina, fondando l’anatomia umana moderna e superando, almeno in parte, il galenismo ancora dominante. Vesalio aveva allora soltanto 28 anni, ma non era un giovane qualunque né per origini familiari né per formazione né per esperienze di ricerca. Era nato a Bruxelles il 31 dicembre 1514 da una famiglia benestante di solide tradizioni mediche. Suo padre, Andrea come il figlio, era un farmacista apprezzato alla corte imperiale di Carlo V.

Dopo la formazione primaria a Bruxelles e alcuni anni all’università di Lovanio, a cui si era iscritto nel 1530, Vesalio si trasferì a Parigi nel 1533 per studiare medicina, e qui divenne allievo di professori come Jacques Dubois (1478-1555), conosciuto con il nome di Sylvius, e di Guinther d’Andernach (1505-74): entrambi erano impegnati in studi anatomici come interpreti e seguaci fedeli del nuovo Galeno greco che l’edizione Aldina, pubblicata a Venezia nel 1525, aveva reso più facilmente accessibile. A Parigi, durante le lezioni anatomiche di Sylvius, Vesalio si prestò ad eseguire le dissezioni dei cadaveri che in genere erano affidate a barbieri o chirurghi, insomma a persone con abilità manuali ma senza nessuna cultura, che avevano il compito di isolare le diverse parti anatomiche, descritte dal professore agli studenti ex cathedra, secondo le parole di Galeno.

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Nel 1536 Vesalio fu costretto a lasciare Parigi per il nuovo conflitto franco-spagnolo, e dopo un breve soggiorno a Lovanio, in cui si laureò in medicina nel 1537, si trasferì a Padova, una sede universitaria di grande prestigio che richiamava molti giovani d’Oltralpe. Qui ottenne il titolo di dottore in medicina il 5 dicembre 1537 magna cum laude, e il giorno dopo ricevette l’incarico di insegnare anatomia e chirurgia nello stesso ateneo. Diversamente dalla pratica consueta, Vesalio eseguì sempre, in prima persona, le dissezioni dei cadaveri per gli studenti, senza affidarle ad altri. E per avere a disposizione immagini del corpo umano da mostrare agli studenti, in assenza del cadavere, pubblicò nel 1538 sei tavole anatomiche incise da un artista olandese allievo di Tiziano, Stephen von Calcar (1499-1546). Nello stesso anno, nel 1538, pubblicò per gli studenti anche una revisione delle Institutiones anatomicae del suo professore Guinther d’Andernach, un manuale di anatomia uscito nel 1536 e basato su Galeno.

L’ambiente padovano fu favorevole a Vesalio e alle sue ricerche anatomiche. Non era mai stato facile per lui – e neppure per gli altri – avere cadaveri umani da dissezionare, ma a partire dal 1539 Marcantonio Cantarini, un giudice del tribunale di Padova interessato all’anatomia, gli fornì quelli dei condannati a morte in buon numero. Le sue esperienze di dissezione furono quindi più frequenti, e sempre più evidenti gli apparirono le differenze tra il corpo umano che osservava sul tavolo settorio e quello descritto da Galeno, che pure gli era ben presente. Negli stessi anni, infatti, Vesalio si trovò a rivedere le traduzioni delle opere anatomiche di Galeno – compresa quella dei primi nove libri dei Procedimenti anatomici, pubblicata dal suo professore Guinther d’Andernach a Parigi nel 1531 – per l’edizione curata da Agostino Gadaldini (1515-75) e stampata dai Giunta a Venezia nel 1541-42. Maturò la convinzione che il corpo umano non dovesse essere studiato sui libri di Galeno, ma attraverso la dissezione e l’osservazione diretta. Per sua stessa ammissione, del resto, Galeno aveva dissezionato e vivisezionato soltanto animali – scimmie, buoi, maiali, capre, pecore, cani – e aveva attribuito all’uomo le strutture che aveva osservato in questi, sulla base del metodo analogico che aveva ereditato da Aristotele.

Dopo le lezioni tenute a Bologna nel gennaio 1540, in cui diede dimostrazione che Galeno aveva descritto le ossa della scimmia piuttosto che quelle dell’uomo, Vesalio intraprese a Padova la stesura di un trattato completo di anatomia che superasse Galeno. A questo lavorò per i due anni successivi, e nell’estate del 1542 si trasferì a Basilea per curarne la pubblicazione presso l’editore Giovanni Oporino. Il De humani corporis fabrica uscì nell’agosto 1543 piuttosto che in giugno, come si legge nel colofone.

Si tratta di un’opera innovativa, bella e monumentale di oltre 700 pagine in folio. È divisa in sette libri che trattano delle ossa (libro I), dei muscoli (libro II), dei vasi sanguigni (libro III), dei nervi (libro IV), degli organi addominali (libro V), di quelli toracici (libro VI), del cervello (VII). La corredano circa trecento immagini, incise su legno, numerose a tutta pagina, di grande impatto estetico – soprattutto quelle delle ossa e dei muscoli – ma anche di straordinaria funzione didattica ed esplicativa. Il testo contiene infatti continui rimandi alle immagini, in cui le diverse parti sono sempre contraddistinte da lettere alfabetiche, maiuscole e minuscole, che trovano corrispondenza e spiegazione nella legenda allegata. Il De humani corporis fabrica non è la prima opera anatomica illustrata, ma le sue immagini superano tutte le precedenti per ricchezza, precisione e bellezza: furono in seguito ristampate e plagiate numerose volte e nel complesso dominarono l’illustrazione anatomica fino al Settecento.

Quanto al contenuto del De humani corporis fabrica, i primi due libri sono i più innovativi. Esemplari sono le descrizioni di Vesalio della mascella, dello sterno, dell’omero, del femore, della tibia, del perone, come pure le sue dimostrazioni che Galeno aveva descritto le stesse ossa, ma non quelle dell’uomo, piuttosto della scimmia. Gli altri libri, che trattano organi con una fisiologia più complessa, dipendono ancora massicciamente da Galeno. Ma anche in questi Vesalio fa importanti osservazioni, tra cui: la vena cava non parte direttamente dal fegato, come pensava Galeno, che le attribuiva la funzione di trasportare al cuore il sangue che sarebbe stato prodotto dal fegato (libro V); il setto interventricolare del cuore non contiene pori invisibili – come sosteneva Galeno – attraverso i quali il sangue sarebbe passato dal ventricolo destro a quello sinistro (libro VI); alla base del cervello non c’è la cosiddetta rete mirabile, un’area fittamente vascolarizzata – come pensava Galeno che l’aveva osservata negli ungulati – che avrebbe avuto il compito di filtrare il sangue e produrre il pneuma psichico, responsabile delle facoltà mentali, delle sensazioni e dei movimenti (libo VII); il nervo ottico non è cavo, come pensava Galeno, secondo cui tutti i nervi sarebbero stati percorsi dal pneuma psichico (libro IV). Queste osservazioni, che Vesalio talvolta condivise con anatomisti a lui precedenti – come nel caso della rete mirabile già negata da Jacopo Berengario da Carpi (1466-1530), il più importante anatomista pre-vesaliano attivo a Bologna – avrebbero avuto conseguenze devastanti per la fisiologia galenica, che tuttavia per il momento non fu attaccata: Vesalio espresse su questa diverse perplessità, ma non andò oltre. La prima scoperta fisiologica che supera Galeno riguarda la circolazione del sangue, e fu fatta nel secolo successivo da William Harvey (1578-1657), un medico inglese che non a caso la mise a punto a Padova, dove soggiornò tra il 1600 e il 1602.

Gli errori anatomici di Vesalio contenuti nel De humani corporis fabrica furono in seguito corretti, ma la sua lezione di metodo rimase fondamentale e insuperata nella storia della medicina e della scienza: priorità dell’osservazione e rifiuto di ogni autorità, compreso Galeno che era stato per secoli dominante. Vesalio ripete questa sua lezione in tutto il De humani corporis fabrica, ma la esplicita soprattutto nella prefazione dell’opera che indirizza a Carlo V, l’uomo politico allora più potente, presso il quale suo padre prestava servizio. Qui Vesalio critica la medicina del tempo che ha perso la sua unità, si è frantumata in molteplici specialità e ha abbandonato con disprezzo la manualità. Ne è conseguita una profonda decadenza della chirurgia, praticata da persone incolte, come pure dell’anatomia. La medicina, secondo Vesalio, può rinascere soltanto se pone al centro l’anatomia, intesa come pratica settoria che il medico deve fare in prima persona, senza affidare ad altri il coltello, fidandosi dei suoi occhi e ripetendo le osservazioni. Galeno non è autorevole tanto da sostituire l’esperienza. Vesalio quindi attacca Galeno perché non ha mai aperto cadaveri umani, ma quelli di animali, e con una certa arroganza afferma che Galeno avrebbe commesso addirittura duecento errori in una sola dissezione.

Tutto questo è rappresentato efficacemente nel frontespizio del De humani corporis fabrica. Al centro della scena c’è il cadavere di una donna, a cui è stata appena aperta la cavità addominale dal medico – Vesalio stesso, come dimostra il facile confronto con il suo ritratto contenuto nel foglio seguente – con i coltelli posti sul tavolo. Vesalio non è in cattedra – come avveniva di consueto – ma fa la sua lezione accanto al cadavere, descrivendo gli organi addominali che tiene in vista con la sua mano destra. Tra gli spettatori ci sono diversi animali, provocatoriamente vivi, tra i quali una scimmia tanto utilizzata da Galeno, poco realistica, ma ampiamente simbolica.

Il De humani corporis fabrica è l’opera più importante di Vesalio e in qualche modo anche la sua unica opera. Poco dopo la pubblicazione, Vesalio abbandonò l’insegnamento universitario e la ricerca a Padova a favore dell’attività clinica, diventando medico dell’imperatore Carlo V. Fu evidentemente per lui un’occasione troppo allettante, da non perdere: ritornava a casa, a Bruxelles, e per giunta per ricoprire un posto prestigioso e ben remunerato. Per il resto della sua vita Vesalio fu medico della famiglia imperiale, alla corte di Carlo V e poi del figlio Filippo II, a Bruxelles prima e dal 1559 in Spagna.

Continuò ad essere interessato all’anatomia, ad aggiornarsi sulle ricerche dei colleghi e sulle critiche che gli venivano via via rivolte, ma le occasioni di eseguire dissezioni diventarono molto sporadiche. Si occupò a più riprese del De humani corporis fabrica. Pubblicò nel 1543 un’epitome per gli studenti, nel 1555 la seconda edizione che contiene qualche novità anatomica, poi lavorò ad una terza edizione che non fu mai pubblicata, ma di cui rimangono le sue note, forse scritte prima del 1559, in una copia conservata presso la biblioteca dell’università di Toronto (Thomas Fischer Rare Book Library). Il progetto editoriale fu forse interrotto dalla morte, che avvenne il 14 ottobre 1564 a Zacinto, sull’Adriatico, nel viaggio di ritorno da un pellegrinaggio in Terrasanta. Non sono noti i motivi che lo avevano indotto a compiere il pellegrinaggio, ma sono privi di fondamento i racconti di errori – diventati presto colpe da espiare – che Vesalio avrebbe commesso sul tavolo anatomico, sezionando corpi di persone ancora vive. Piuttosto Vesalio doveva essere stanco della vita di corte in Spagna, e sembra che fosse molto concreto il suo progetto di ritornare ad insegnare all’università di Padova dopo Gerusalemme.

Il De humani corporis fabrica ebbe subito dopo la pubblicazione un grande impatto nella comunità scientifica, che si misura anche dal numero di quanti gli si opposero in nome di Galeno, e dalla violenza dei loro attacchi. Tra tutti basta citare Sylvius, il vecchio professore di Vesalio a Parigi, fervente galenista, che contro Vesalio scrisse in più occasioni – addirittura un’operetta nel 1551 – e lo ritenne responsabile di una terribile epidemia antigalenica che si stava diffondendo in Europa. Tuttavia il metodo di ricerca di Vesalio si fece strada ovunque, anche tra i suoi oppositori. Bartolomeo Eustachio (1510-74), attivo a Roma, progettò un trattato anatomico che punto per punto confutasse Vesalio e difendesse Galeno. Questa opera non fu mai completata, mentre Eustachio pubblicò nel 1563-4 gli Opuscula anatomica che riguardano la descrizione di parti sottili, come l’orecchio, i denti, le ossa del capo, i reni, il sistema vascolare, in qualche modo approfondendo le ricerche di Vesalio, non certo negandole. Inoltre, più che alla scrittura, Eustachio affidò alcune sue scoperte anatomiche, soprattutto sui nervi e sul cervello, alle immagini che Vesalio aveva tanto utilizzato e sviluppato e che invece Galeno difficilmente avrebbe approvato: le opere di Galeno, comprese quelle anatomiche, non sono illustrate. Nel 1552 Eustachio fece incidere su rame una serie di grandi tavole che furono pubblicate soltanto nel 1714 dal medico Giovanni Maria Lancisi (1654-1720): più accurate e precise di quelle di Vesalio, seppure meno belle, le tavole anatomiche di Eustachio finirono per sostituirle.

Critica di Andrea Vesalio a Galeno

Praefatio del De humani corporis fabrica indirizzata all’imperatore Carlo V, c. 3v

Tutti prestarono fede a Galeno a tal punto che non si trovava nessun medico che pensasse che un errore, seppure minimo, fosse stato mai rilevato nei suoi volumi di anatomia, e ancor meno che lo potesse essere in seguito. Invece – a parte il fatto che Galeno spesso si corregge, segnala non una sola volta una propria negligenza commessa in qualche opera, quando in seguito diventa più esperto, e frequentemente fa affermazioni contraddittorie – sulla base della rinata arte della dissezione, della lettura attenta dei suoi libri e della correzione sicura degli stessi in numerosi passi, è per noi evidente che Galeno non dissezionò mai un corpo umano. Piuttosto, preso dalle sue scimmie, sebbene abbia avuto due cadaveri di uomini senza sangue, spesso accusa a torto i medici precedenti che si erano esercitati nella dissezione di uomini.

Troverai per giunta in Galeno numerose affermazioni che non sono per niente corrette neppure per le scimmie, per non dire – cosa che suscita grandissima meraviglia – che Galeno non si è accorto di nessuna delle molteplici e infinite differenze tra gli organi del corpo umano e della scimmia, se non di quella che riguarda le dita e la flessione del ginocchio: senza dubbio avrebbe mancato anche questa insieme con le altre, se non gli fosse saltata agli occhi senza dissezione dell’uomo.

Ma fino ad oggi non mi sono mai impegnato ad esporre i falsi dogmi della dissezione di Galeno, facilmente il primo dei maestri, e ancor meno vorrei proprio ora essere considerato irriverente nei confronti di chi è maestro di tutti i maestri e poco rispettoso verso la sua autorità. Non ignoro, infatti, quanto i medici – non diversamente dai seguaci di Aristotele – si turbino quando osservano che Galeno, nel corso di una sola dimostrazione anatomica, errò più di duecento volte nella descrizione corretta dell’armonia umana delle parti, della loro utilità e funzione, e nello stesso tempo controllino le parti dissezionate con occhio severo e con lo scopo principale di difenderlo. Tuttavia anche questi in seguito, spinti dall’amore della verità, a poco a poco si calmano e attribuiscono maggiore fiducia ai loro occhi e ai loro ragionamenti, non inefficaci, piuttosto che agli scritti di Galeno.

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Fortuna S., De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, Medicina e Chirurgia, 60: 2705-2709, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-60-5