SISUMed: una nuova sfida per le Scienze Umane in medicinan.82, 2019, pp. 3666-3667

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Sinergie ‘antiche’ per una nuova Società scientifica
Fondata a Roma il mese di febbraio 2019, per iniziativa di un gruppo di docenti che insegnano Storia della medicina, Bioetica e Scienze Umane in medicina, la Società Italiana di Scienze Umane in Medicina (SISUMed) nasce come primo frutto del lavoro della Commissione Medical Education delle tre Facoltà mediche di Sapienza (Medicina e Odontoiatria; Medicina e Psicologia; Farmacia e Medicina) e, in particolare, di un suo gruppo di lavoro sulle Scienze Umane in Medicina, da alcuni anni attivo nel definire nuove strategie di pedagogia medica aperte al contributo possibile che le scienze umane possono apportare alla complessa formazione del medico del futuro.
Il lavoro inter e transdisciplinare portato avanti in questi anni da colleghi con formazione culturale molto diversa (storici della medicina; patologi; clinici; pedagogisti medici; antropologi culturali; psichiatri e psicologi) ha progressivamente messo in luce il fatto che la letteratura internazionale, sebbene si sia da decenni occupata della definizione e del ruolo possibile da attribuire alla scienze umane nella formazione del medico, ha fornito solo di rado contributi effettivamente innovativi, che non indulgano a un mero atteggiamento compiacente o, peggio, all’idea che la competenza ‘umanistica’ sia una decorazione elegante per il medico in formazione, ma non una necessità pedagogica sostanziale nella definizione dei curricula medici.
Il recente rinnovato interesse nei confronti delle soft skills, abilità trasversali volte a migliorare le prestazioni lavorative e a ottimizzare il clima in cui esse si svolgono, sembra imprimere una nuova direzione al dibattito scientifico. Gran parte delle riflessioni che gravitano attorno alle Scienze Umane in medicina tendono a porre l’accento sulle criticità del sistema formativo biomedico, a cui viene imputato il fenomeno di depersonalizzazione e reificazione del paziente e della ‘commercializzazione’ delle professioni mediche. Molto più rare sono le riflessioni e le proposte volte a strutturare linee guida condivise che possano condurre alla costituzione di programmi formativi adeguati all’interno delle diverse scuole mediche. Molti contributi1 evidenziano, infatti, le difficoltà incontrate nella misurazione dell’impatto delle Scienze Umane in medicina nei percorsi formativi, sottolineandone la fumosità e indeterminatezza, la cui causa è attribuita in genere alla loro spiccata vocazione interdisciplinare. Diversi autori manifestano un’allarmante preoccupazione in merito e dichiarano che la mancanza di prove quantitative riguardanti l’efficacia dell’insegnamento delle Scienze Umane in medicina può comportare la svalutazione dell’utilità di un approccio inclusivo nei percorsi di studio. Gli stessi studi riconoscono la quasi impossibilità di misurare l’impatto e l’efficacia formativa delle Scienze Umane in medicina attraverso strumenti sinora adottati nell’educazione medica, individuando ostacoli metodologici probabilmente insormontabili a causa della ampia pluralità di possibili confondenti. Da ciò discende una palese criticità nella misurazione dell’impatto formativo, che tuttavia non esclude la necessità di maggiore chiarezza in merito ai fondamenti epistemologici, fini, metodi e strumenti da utilizzare nella formazione degli studenti nel campo delle Scienze umane.
Un’interessante osservazione di Clayton J. Beker et al del 2017 2 propone un approccio di valutazione complesso, che non utilizzi soltanto un metodologia empirica, numerica e tassonomica ma che possa accostare ad essa la raccolta di narrazioni sull’esperienza individuale degli studenti di medicina.
Oltre queste problematiche metodologiche, il punto in cui sembra possano confluire le diverse prospettive sulle Scienze umane in medicina è il riconoscimento della necessità di accogliere due assunti fondamentali che ne definiscono l’utilità: da un lato, il bisogno di riconoscere una visione che possa storicizzare l’arte medica eurooccidentale, cercando di capire come il mondo medico viene a comporsi quale forma distinta di realtà per chi si accinge a immergersi nello studio della medicina; dall’altro, la consapevolezza degli avanzamenti conoscitivi e operativi della biomedicina che, se hanno consentito l’espansione della Sanità Pubblica nella sfera globale determinando un notevole controllo rispetto alle patologie infettive, hanno anche favorito, insieme a processi di altro ordine e grado, il conseguente e progressivo emergere di altre patologie come quelle degenerative, verso le quali i modelli virtuosi di lavoro scientifico sembrano aver perso gran parte del loro mordente. Al contrario e contemporaneamente, cresce la necessità dello studio e dello sviluppo della compliance fra professionista e paziente.
Nel suo celebre studio, La nascita della clinica, Michel Foucault3 riconosce criticamente come il nucleo della biomedicina si fondi su un logos di “visibilità” empirica del corpo e della malattia. La medicina scientifica e la formazione medica basano, secondo questo modello, il loro sguardo sul paradigma empirista che guarda al corpo come a una cosa in un mondo di cose. Segni e sintomi, allora, vengono messi in relazione con la ripetizione della frequenza di malattia. Dunque, decriptati dal significato individuale, segni e sintomi divengono significanti: la patologia assume un significato prestabilito. È quindi evidente quanto il processo di costruzione dell’idea di paziente quale oggetto dell’attenzione medica significa sottoporre lo studente a un lavoro di plasmazione culturale. A partire dalla consapevolezza della necessità di implementare questo lavoro culturale all’interno del percorso formativo biomedico è semplice comprendere l’importanza delle Scienze Umane in Medicina per arrivare, come suggerisce A. Bleakely ,alla dereificazione e de-oggettivazione del paziente. Se dunque è chiaro quanto nei documenti ufficiali della professione medica, sia nazionali che internazionali, da tempo si invochi un’evoluzione della medicina chiamata al compito gravoso ma ineluttabile di conciliare il progresso biomolecolare e lo sviluppo tecnologico con il recupero di una visione della cura e di chi è curato orientata alla complessità, l’approccio metodologico allo sviluppo congiunto di competenze riflessive di sensibilità globale rimane tuttora problematico. Ciò non toglie però che il vasto dominio delle discipline ricomprese negli ambiti delle Scienze Umane in medicina (in letteratura anglosassone, Medical Humanities: storia della medicina, filosofia della medicina, bioetica, antropologia culturale e antropologia medica, museologia medica e della sanità, storia della sanità pubblica, sociologia della medicina, storia della biologia, storia delle neuroscienze, filosofia della biologia, neurofilosofia, pedagogia medica, paleopatologia) ) e dei rispettivi metodi di indagine sembra avere le caratteristiche necessarie a garantire gli esiti di ricerca, di formazione e di applicazione necessari alla sfida. Le scienze umane possono aiutare a focalizzare quali strumenti culturali siano effettivamente utili al medico del futuro, chiamato a fronteggiare sfide importanti: l’aumento crescente delle disuguaglianze in salute4, delle diseguaglianze in relazione al genere, l’epidemia globale delle patologie croniche e la complessità della loro gestione in un contesto di crescente disagio socio-economico, unitamente ai cambiamenti culturali, socio-demografici legati all’invecchiamento della popolazione e a movimenti di popolazione, sono tutti componenti che, ci sembra, contribuiscono a rendere necessaria una riflessione strutturale sui campi di applicazione clinica del concetto di equità in salute. Queste premesse pongono l’urgenza di incentivare e incrementare, nel percorso formativo dei medici e dei professionisti della salute, un approccio interdisciplinare e multidimensionale.
La strada intrapresa dalla Società Italiana di Scienze Umane in Medicina (SISUMed) rispetto alla promozione di un perfezionamento del percorso formativo appare dunque attuale e necessaria: essa prevede la costruzione di esperienze di sviluppo e diffusione di conoscenze avanzate di interesse multie transdisciplinare, finalizzate a ottenere standard educativi sempre più alti e a monitorare costantemente processi di apprendimento che abbiano ricadute concrete nel garantire alle prestazioni sanitarie livelli intellettuali, professionali e etici elevati, a garanzia della comunità medica e dei pazienti che ad essa si affidano.

Bibliografia

  1. Belling C, Commentary: Sharper Instruments: On Defending the Humanities in Undergraduate Medical Education. Academic Medicine 2010;85(6):938940; Bleakley A, When I Say… the Medical Humanities in Medical Edu cation. Medical Education 2017;49(10):959-960; Charon R, Commentary: Calculating the Contributions of Humanities to Medical Practice-motives, Methods, and Metrics. Academic Medicine. Journal of the Association of American Medical Colleges 2010;85(6):935-937.
  2. Bleakley A, When I Say… the Medical Humanities in Medical Education. Medical Education 2017;49(10):959-960
  3. Foucault M, Nascita della clinica. Un’archeologia dello sguardo medico. Torino: Einaudi; 1998.

Cita questo articolo

Gazzaniga V., Iorio S., SISUMed: una nuova sfida per le Scienze Umane in medicina, Medicina e Chirurgia, 82, 3666-3667, 2019.

Affiliazione autori

Valentina Gazzaniga – Università Sapienza Roma

Silvia Iorio – Università Sapienza Roma

La scuola medica alessandrina. La via dei fenomeni su base quantitativa e la loro relativitàn.75, 2017, pp.3407-09, DOI: 10.4487/medchir2017-75-6.

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Dopo la morte di Alessandro Magno, a partire dal IV secolo a.C., e con particolare forza nel corso dell’epoca tolemaica, fiorisce intorno alla corte di Alessandria d’Egitto un movimento culturale di vastissime proporzioni. È infatti grazie alla costituzione di preziose istituzioni – un Museo e una Biblioteca –, che il regno tolemaico si imporrà come ‘frontiera intellettuale’ (von Staden, 1989) di fondamentale interesse per tutti i campi della scienza antica. Nei fondi librari della Biblioteca confluirono papiri provenienti dal territorio greco e secondo alcune fonti anche opere attribuibili ad Aristotele, mentre i contenuti delle sezioni letterarie, scientifiche e filologiche del Museo furono successivamente ricordati da Plutarco, Dione Cassio, Luciano e Galeno come un tesoro di incalcolabile prestigio. L’autorevolezza di tali istituzioni richiamò l’attenzione di molti scienziati: il matematico Euclide; il fondatore della meccanica Ctesibio; l’autore della teoria eliocentrica Aristarco di Samo; Archimede, che ad Alessandria d’Egitto avrebbe avuto contatti con Eratostene, matematico, astronomo e geografo, nonché inventore del primo sistema di misurazione del meridiano terrestre; Ipparco di Nicea, autore del più attento catalogo stellare dell’antichità e fondatore dell’astrometria.

La stabilità economica e politica dell’era tolemaica (protrattasi fino al II secolo a.C.) determina così, la nascita di un nuovo crocevia culturale derivante dall’incontro e dalla conseguente prolificazione di combinazioni armoniose tra tradizione greca, egizia e mesopotamica. Ad Alessandria le ibridazioni culturali sono il risultato di un complesso di contaminazioni tra il pensiero filosofico degli intellettuali dell’epoca, soprattutto greci, e le conoscenze mediche e tecnologiche proprie della cultura egizia e mesopotamica.

Già gli autori antichi riconoscono al periodo tolemaico e alla città di Alessandria un ruolo centrale nella ridefinizione dei parametri della scienza antica; la città così diventa il centro di una vera rivoluzione epistemologica fondata sul tentativo di misurazione quantitativa dei fenomeni biologici e sulla primissima organizzazione metodologica di un’anatomia ‘osservata’, sul cadavere e sul vivente.

I fondamentali rappresentati del mutamento che in medicina determinò la creazione di un’anatomia e una fisiologia umana per molti aspetti ’moderne’, sono Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato di Ceo, rispettivamente allievi di Parassagora di Kos e di Crisippo di Cnido. La tradizione successiva riconosce loro il merito di una ‘paternità fondativa’ di una vera e propria scuola medica, articolata attorno alla riflessione anatomo- fisiologica delle opere biologiche di Aristotele.

Erofilo ed Erasistrato, almeno a giudicare dai frammenti dei loro scritti, rispondono agli interrogativi di Aristotele riconsiderando il corpo come struttura complessa da indagare anatomicamente. Soltanto la conoscenza della composizione delle parti consente la comprensione del loro funzionamento e quindi della fisiologia permettendo, di conseguenza, lo studio della patologia, che è malfunzionamento. Sembra essere attribuibile ad Erasistrato il concetto di ‘osservabilità teorica’ dei fenomeni, per cui il medico deve essere in grado di postulare l’esistenza di organi e funzioni, anche nell’impossibilità di percepirli con i sensi; ed il concetto ‘eziopatogenetico di pletora’, secondo cui le malattie si generano per sovrabbondanza umorale in un’area determinata per dilagare poi in tutto il corpo.

La medicina alessandrina di epoca tolemaica avrebbe, poi, sfruttato una particolare licenza concessa dai Tolomei per dissezionare cadaveri: se l’affermazione di Aulo Cornelio Celso (14 a.C. – 37 d.C.) corrispondesse a verità, si comprenderebbe come Erofilo ed Erasistrato abbiano potuto gettare le fondamenta dell’anatomia antica, creando nuovi elementi metodologici e un vocabolario anatomico. Nella pratica medica che li precede, la dissezione dei cadaveri era infatti assente ed è quindi la prima volta che nella scienza greca si agisce su un corpo umano senza intenti di cura, ma con il solo proposito di approfondirne la conoscenza osservazionale e descrittiva. Sappiamo inoltre, sempre attraverso le testimonianze di Aulo Cornelio Celso (Celso, De medicina, proemio, 23-6 = test. 63a [von Staden]), della possibilità per Erofilo di usare nei suoi esperimenti in vivo condannati a morte forniti direttamente dal sovrano per poterne studiare il funzionamento. La possibilità di vivisezione, già discussa nel suo essere reale o meno dai commentatori antichi, costituirebbe il punto nodale del superamento di tabù intellettuali e religiosi, che fino al III secolo hanno condizionato l’indagine medica e la riflessione sulle strutture del corpo.

Come già detto, di questa grande rivoluzione epistemologica di cui si ha però testimonianza solo indiretta: la tradizione ha privilegiato infatti la conservazione di testi medici classici,  molto diffusi e studiati nel Medio Evo, come quelli di Ippocrate e Galeno, mentre i trattati di Erofilo ed Erasistrato sono andati perduti.

Se ne ha traccia in autori più tardi fra cui proprio Galeno e Polibio, Rufo di Efeso, Oribasio e Marcello Empirico.

Se da un lato Galeno fornisce dati importanti attraverso le dure critiche contro il pensiero anatomico di Erasistrato, dall’altro Celso ci offre una testimonianza, seppur tardiva, della portata rivoluzionaria dei due medici, la cui veridicità è suffragata dall’utilizzo della nomenclatura anatomica corrispondente, in particolar modo a quella usata da Erofilo. La libertà con cui Erofilo introduce la nomenclatura anatomica è cosa del tutto rara. In tutta la tradizione classica, come emerge da Platone e da Aristotele (Aristotele, De interpretatione), la libera scelta era concepibile solamente in relazione alla struttura fonetica delle parole, ma non per la denominazione degli oggetti individuati. Erofilo, invece, nello studio del sistema circolatorio crea concetti nuovi a cui accosta termini in uso e termini creati. Qui risiede uno dei tratti fondamentali della ‘rivoluzione alessandrina’: laddove l’utilizzo strumentale di concetti consapevolmente creati ci guida verso la sperimentalità del metodo, allontanandosi dunque dal metodo razionale (Galeno, De praesagitione ex pulsibus, II, 3 = test. 53 [von Staden]). Erofilo è infatti convinto dell’inesistenza del valore assoluto della teoria, rimarcandone al contrario l’aspetto deduttivo; medesime apparenze infatti, potranno essere spiegate con ipotesi diverse. Esemplificativa è l’attribuzione di non assolutezza che Erofilo accorda alla corrispondenza della previsione associata alla prognosi, così come della teoria associata al caso concreto (Galeno, In Hippocratis prognosticum, I, comment. I.4 = test.

264 [von Staden], 1-2).

Erofilo descrive inoltre in maniera accurata parti del sistema nervoso: il cervello, il cervelletto, le connessioni tra encefalo e midollo spinale, i nervi responsabili del movimento volontario (solidi) e dei processi sensoriali (cavi, contenenti pneuma cerebrale). Dedica parte dei suoi studi all’apparato digerente e al fegato nominandone alcuni tratti come quelli del duodeno e del digiuno, descrive gli organi della riproduzione come le ovaie, le tube e i canali spermatici (dei quali però non comprende la funzione) e si occupa della ritrattazione del modello che identifica l’utero come organo che può muoversi all’interno del corpo. Contribuisce alla fondazione dell’anatomia vascolare descrivendo i ventricoli del cuore e le valvole cardiache; di fondamentale importanza è anche il suo trattato dedicato all’occhio, dal quale deriva la prima descrizione e denominazione della retina e del nervo.

La prospettiva innovatrice di Erofilo non sembra aver interessato però la dimensione clinica, rimasta ancorata a concetti di stampo ippocratico, e la farmacologia, a cui Erofilo attribuisce ancora una derivazione divina.

Gran parte degli interessi scientifici di Erofilo sembrano condivisi da Erasistrato al quale viene attribuita la scoperta dei nervi e l’autorità di trattati sull’apparato digerente, l’idropisia, le febbri, la podagra e la paralisi.

I suoi studi anatomici sono stati dedicati ad approfondire lo studio del cuore e dei vasi (il ventricolo destro distribuisce sangue nelle vene, il sinistro pneuma nelle arterie, destinato a gonfiare i muscoli e a generare moto); la struttura e il funzionamento dello stomaco e del diaframma. Il papiro Anonimo londinese – uno dei rari testi medici autografi conosciuti, datato nel I secolo d.C., di carattere aristotelico – ci dice che avrebbe tentato di dimostrare la traspirazione insensibile (esalazioni dei corpi), attraverso la pesatura di un uccello con una bilancia.

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Ricostruzione panoramica della Biblioteca

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Il faro di Alessandria in un’illustrazione di Maarten van Heemskerck

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Vincenzo Camuccini, Tolomeo Filadelfo nella biblioteca di Alessandria

Bibliografia essenziale

Gazzaniga V, La medicina ellenistica: il contesto e i maggiori rappresentatnti. In: Conforti M, Corbellini G, Gazzaniga V, Dalla Cura alla Scienza. Milano, Encyclomedia, 2010.

Manetti D, Autografi e incompiuti: Il Caso Dell’Anonimo Londinese P. Lett Lond. Zeitschrift für Papyrologie Und Epigraphik. 1994; 100: 47-58.

Russo L., La rivoluzione dimenticata. Milano, Feltrinelli, 1996.

von Staden H, Herophilus: the art of Medicin in early Alexandria. Cambridge, Cambridge University Press, 1989.

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Iorio S., La scuola medica alessandrina. La via dei fenomeni su base quantitativa e la loro relatività, Medicina e Chirurgia, 75: 3407-3409, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-75-6