Studiare Medicina in Europan.62, 2014, p.2777

Autori: Andrea Lenzi

Quando ci si confronta con l’Europa c’è sempre il rischio di lasciarsi condizionare da pregiudizi e luoghi comuni, o di perdersi nei tecnicismi delle norme comunitarie. Per mantenere un atteggiamento razionale il confronto dovrebbe basarsi in primo luogo su esperienze di vita e lavoro vissute in prima persona, e nel contesto della formazione medica questo atteggiamento è favorito dal numero crescente di studenti che ha la possibilità di svolgere parte del proprio percorso formativo all’estero, o di conseguire la specializzazione in un paese diverso da quello in cui si è laureato.

Nell’articolo presente su questo numero, Studying Medicine in Europe, Alice Accorroni, una studentessa dell’Università di Pisa che si è impegnata a fondo per integrare la propria preparazione con attività svolte all’estero, si è fatta carico di riassumere, con la supervisione del suo mentore Riccardo Zucchi, l’esperienza propria e di molti suoi colleghi, e assieme al presidente del suo corso di laurea ha tratteggiato un confronto fra gli studi medici in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Svezia. I risultati di questo lavoro mostrano luci ed ombre, e sottolineano la necessità di compiere alcune scelte strategiche.

Nonostante i complessi di inferiorità che a volte avvertiamo, i nostri Studenti non sfigurano affatto nel confronto con i colleghi dei principali paesi europei, e la loro preparazione teorica appare anzi spesso superiore. Il punto dolente è, se mai, rappresentato dalla formazione clinica pratica, svolta attraverso l’interazione diretta con il paziente, che nel nostro paese appare assai più circoscritta e ancora troppo ancorata a modalità didattiche tradizionali che non possono limitarsi semplicemente a “mettere gli studenti in corsia” come talvolta viene banalmente detto. Migliorare la didattica professionalizzante senza rinunciare ad una adeguata preparazione scientifica costituisce la sfida principale che ci sta di fronte, anche alla luce degli aggiustamenti che le nuove direttive europee impongono per il prossimo futuro. 

Da questo punto di vista potrebbe essere utile una riflessione su alcuni aspetti normativi. Un limite del nostro ordinamento è lo spazio ancora insufficiente riservato alla formazione professionalizzante, inferiore rispetto ai paesi esaminati. Ancora più importante è valorizzare la figura dello studente nel sistema sanitario, superando in modo virtuoso l’antagonismo fra università e realtà extrauniversitarie. La cosa che ha più colpito i nostri studenti impegnati all’estero è vedersi riconosciuto un ruolo istituzionale, talora addirittura retribuito, negli ospedali che hanno frequentato. Questo, piuttosto che il livello della formazione, è l’aspetto per il quale rischiamo realmente di allontanarci dall’Europa.

L’ultima considerazione riguarda la questione della selezione per l’accesso agli studi medici prima e alla formazione specialistica poi. Qui la peculiarità italiana è rappresentata dalla sfiducia che il sistema ripone nei singoli atenei, che in quasi tutte le altre realtà europee hanno uno spazio di autonomia significativo. Le ragioni di questo atteggiamento sono molteplici e richiederebbero una analisi complessa. Appare però inevitabile chiedersi se in prospettiva questa sia realmente la scelta migliore, o convenga piuttosto iniziare a sviluppare una strategia per coinvolgere attivamente il mondo universitario nella selezione, attivando al contempo meccanismi in virtù dei quali ciascun ateneo abbia un reale interesse oggettivo a scegliere i migliori. 

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