Il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di fronte alla direttiva europea 2013/55/UEn.64, 2014, pp.2881-2887, DOI: 10.4487/medchir2014-64-2

Autori: admin

Abstract

This article discusses the implications of Directive 2013/55/EU of the of the European Parliament and of the Council, issued on 20 November 2013 and amending Directive 2005/36/EC on the recognition of professional qualifications. The critical issue is the requirement of least 5500 hours of theoretical and practical training. An analysis of Italian medical education shows that this requirement is not fulfilled at present, since the total teaching and/or training time before admission to the medical profession, which includes 6 years of university studies and 3 months of post-graduate training, amounts to about 5200 hours. Different strategies to correct this situation are discussed. The most simple solution consists in increasing the time reserved to practical training by setting that 1 CFU (CFU is the Italian version of ECTS credits) of practical training should correspond to 25 hours, instead of the present 20 hours. An alternative solution could be devised in which the overall extension of practical training is increased from 60 to 90 CFU, and the extension of theoretical teaching is accordingly reduced. The latter solution would make post-graduate training no longer necessary to fulfill the 5500 hour requirement. This would require an extensive revision of teaching organization, but would be consistent with the results of analyses comparing medical education in Italy and in other European countries. In fact, the theoretical knowledge provided in the medical school was found to be deeper in Italy than elsewhere, but Italian medical education was shown to suffer from limited student-patient interaction. Notably, both solutions have the advantage that no new law should be issued by the Government or Parliament, so that the deadline established by the Directive (18 January 2016) could be easily met. 

Articolo

Introduzione

L’integrazione europea si è accompagnata allo sviluppo di una normativa che prevede il riconoscimento automatico del titolo di laurea in medicina e chirurgia nei paesi dell’Unione a condizione che nel percorso formativo vengano rispettati alcuni specifici requisiti.

La Direttiva 93/16/CEE in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei loro diplomi, recepita dal Decreto Legislativo 17-8-99 n. 3681, richiedeva come condizione formale un percorso formativo “della durata minima di sei anni o un minimo di 5500 ore di insegnamento teoriche e pratiche impartite in una università o sotto il controllo di una università”. Riguardo ai contenuti della formazione si identificavano quattro requisiti, ovvero:

“a) adeguate conoscenze delle scienze sulle quali si fonda l’arte medica, nonché una buona comprensione dei metodi scientifici, compresi i principi relativi alla misura delle funzioni biologiche, alla valutazione di fatti stabiliti scientificamente e all’analisi dei dati;

b) adeguate conoscenze della struttura, delle funzioni e del comportamento degli esseri umani, in buona salute e malati, nonché dei rapporti fra l’ambiente fisico e sociale dell’uomo ed il suo stato di salute;

c) adeguate conoscenze dei problemi e delle metodologie cliniche atte a sviluppare una concezione coerente della natura delle malattie mentali e fisiche, dei tre aspetti della medicina: prevenzione, diagnosi e terapia, nonché della riproduzione umana;

d) adeguata esperienza clinica acquisita sotto opportuno controllo in ospedale”.

Questi requisiti sono stati confermati integralmente nella Direttiva 2005/36/CE2, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (art. 24), ma sono stati recentemente modificati dalla Direttiva 2013/55/UE3 del 20 novembre 2013, che ci proponiamo di analizzare in questo articolo, cercando di evidenziare le principali modifiche rispetto alla situazione attuale e gli interventi necessari da parte del legislatore e del mondo universitario. Il tempo a disposizione per adeguarsi alla normativa è di poco superiore a un anno. L’art. 3, paragrafo 1, della Direttiva 2013/55/UE precisa infatti che “gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 18 gennaio 2016”.

Uno sguardo d’insieme alla direttiva

La direttiva 2013/55/UE concerne il riconoscimento delle qualifiche professionali. Il testo è quasi interamente costituito dall’art. 1, che modifica sistematicamente la precedente direttiva 2005/36/CE, ai cui articoli è quindi necessario continuare a fare riferimento nella discussione. Al fine di promuovere la libera circolazione dei professionisti, si prospetta un sistema di riconoscimento automatico di alcune qualifiche professionali, inclusa quella di medico, attraverso l’istituzione di una tessera professionale europea (Art. 4 della direttiva 2005/36/CE, quasi interamente sostituito dall’art. 1, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/55/UE).

L’obiettivo è condivisibile ed appare cruciale per il nostro paese, dato che un numero crescente di laureati e specialisti trova uno sbocco professionale in altri paesi europei. Non si richiedono adempimenti specifici da parte degli Atenei. Si precisa infatti che lo Stato d’origine deve consentire “al titolare di una qualifica professionale di richiedere il rilascio di una tessera professionale europea attraverso uno strumento online, fornito dalla Commissione, che crea automaticamente un fascicolo” personale nell’ambito del sistema di informazione del mercato interno (fascicolo IMI). I tempi dovrebbero essere molto rapidi: la tessera deve essere rilasciata entro una settimana o entro tre settimane nel caso vadano richiesti documenti aggiuntivi. La tessera dovrebbe essere poi trasmessa direttamente all’autorità competente di ciascuno Stato membro interessato.

Vengono quindi identificate le “condizioni minime di formazione” necessarie per il riconoscimento automatico dei titoli che danno accesso a specifiche attività professionali. Viene anzitutto analizzata la “formazione medica di base”, termine con il quale ci si riferisce alla formazione fornita nel nostro sistema educativo dal corso di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, da non confondersi con la formazione specifica in medicina generale. In relazione alla formazione medica di base la direttiva 2013/55/UE introduce una significativa novità. Mentre la direttiva 2005/36/CE recitava (art. 24, paragrafo 2) “La formazione medica di base comprende almeno sei anni di studi o 5500 ore d’insegnamento teorico e pratico dispensate in un’università o sotto la sorveglianza di un’università”, ora la direttiva 2013/55/UE (art. 1, paragrafo 18) rende cumulative le condizioni relative al numero di anni e di ore, modificando il testo in questi termini: “La formazione medica di base comprende almeno cinque anni di studio complessivi, che possono essere espressi in aggiunta anche in crediti ECTS equivalenti, consistenti in almeno 5500 ore d’insegnamento teorico e pratico svolte presso o sotto la supervisione di un’università.” Questo punto è analizzato estesamente più avanti.

In relazione alla “formazione medica specializzata” si conferma che questa “è subordinata al completamento e la convalida di un programma di formazione medica di base di cui all’art. 24” [cioè alla laurea magistrale in medicina e chirurgia]. Non si modifica la durata minima della formazione medica specializzata, che resta quella indicata all’allegato V, punto 5.1.3 della direttiva 2005/36/CE, e varia da 3 a 5 anni a seconda della specialità. Si introduce la possibilità per gli Stati membri di “prevedere nelle legislazioni nazionali esenzioni parziali, per alcune parti dei corsi di formazione specialistica, a condizione che dette parti siano già state seguite in un corso di specializzazione per il quale il professionista abbia già acquisito la qualifica professionale in uno stato membro” (art. 1, paragrafo 19 della direttiva 2013/55/UE). L’esenzione non può comunque superare la metà della durata minima del corso di formazione medica specialistica in questione.

Per quanto riguarda la “Formazione specifica in medicina generale” non sono introdotte modifiche rispetto alla direttiva 2005/36/CE, che all’art 28, paragrafo 2, prevede una durata di almeno tre anni a tempo pieno. Permane la possibilità di abbreviare il percorso sulla base della formazione ricevuta durante il corso di laurea magistrale. Infatti il secondo comma del paragrafo 2 recita “Se il ciclo di formazione di cui all’articolo 24 [cioè il corso di laurea magistrale] implica una formazione pratica dispensata in un centro ospedaliero autorizzato, dotato di attrezzature e servizi adeguati di medicina generale o in seno a un ambulatorio di medicina generale autorizzato o a un centro autorizzato in cui i medici dispensano cure primarie, la durata di tale formazione pratica può essere inclusa, nel limite di un anno, nella durata di cui al primo comma [cioè nella formazione specifica in medicina generale]”.

Viene infine meglio precisata la questione delle competenze linguistiche. L’Art. 53 della direttiva 2005/36/CE viene infatti interamente sostituito dall’art. 1, paragrafo 41, della nuova direttiva. In sintesi, dopo il rilascio della tessera professionale “se la professione da praticarsi ha ripercussioni sulla sicurezza dei pazienti” gli Stati ospitanti possono imporre controlli sulla conoscenza di una lingua ufficiale dello Stato ospitante. Il controllo linguistico deve essere comunque “proporzionato all’attività da eseguire”.

La questione delle 5500 ore

Il punto critico che tocca le attività istituzionali degli Atenei è il calcolo delle 5500 ore “di insegnamento teorico e pratico”. L’ordinamento del corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia (LM-41) è pressoché identico in tutte le sedi, in quanto elaborato a suo tempo dalla Conferenza permanente dei presidenti dei corsi di laurea in medicina e chirurgia, e recita: “Ad ogni CFU corrisponde un impegno-studente di 25 ore, di cui di norma non più di 12 ore di lezione frontale, oppure 20 ore di studio assistito all’interno della struttura didattica. Ad ogni CFU professionalizzante corrispondono 25 ore di lavoro per studente, di cui 20 ore di attività professionalizzante con guida del docente su piccoli gruppi all’interno della struttura didattica e del territorio e 5 ore di rielaborazione individuale delle attività apprese.”

Appare chiaro che nel computo delle “ore di insegnamento teorico e pratico” le ore di studio o rielaborazione individuale non possono essere prese in considerazione ed è molto opinabile anche prendere in considerazione le ore di “studio assistito”. Nei nostri ordinamenti i CFU professionalizzanti sono 60 su un totale di 360. Ne consegue che il numero massimo di ore di insegnamento teorico e pratico compatibile con l’attuale ordinamento è di 300×12 + 60×20 = 4800 ore. Al più si potrebbe forse argomentare che i 18 CFU riservati alla prova finale possono essere trattati come i CFU professionalizzanti, il che porterebbe il totale a 4944.

Va peraltro considerato che il percorso formativo necessario per accedere alla professione medica include anche il tirocinio post-laurea richiesto per ottenere l’abilitazione all’esercizio della professione. Il DM 19 ottobre 2001 n. 4454 infatti prevede all’art. 2 un “tirocinio clinico della durata di tre mesi” svolto “a integrazione delle attività formative professionalizzanti” previste nel corso di laurea. Che questo tirocinio possa essere considerato alla stesso modo del tirocinio professionalizzante del corso di laurea sembra pacifico, anche perché attualmente in alcuni paesi, che non hanno un corso di laurea della durata di 6 anni (ad esempio Regno Unito e Svezia), la direttiva europea in vigore (2005/36/CE) è soddisfatta soltanto perché si fa riferimento al requisito delle 5500 ore, e nel calcolo è esplicitamente inclusa la formazione “postgraduate”.

Il DM 19 ottobre 2001 non riporta specificazioni sul numero di ore di tirocinio post-laurea, ma per analogia con il corso di laurea magistrale, considerando che tre mesi corrispondono a 15 CFU, il monte orario è stimabile in 15×20 = 300 ore, il che porta il totale complessivo a 5100 ore, o a 5244 se si considerano i 18 CFU della prova finale come tirocinio (vedi Tab. 1).

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In conclusione il nostro attuale ordinamento non soddisfa, anche se di poco, il requisito delle 5500 ore, a meno che non si vogliano introdurre forzature interpretative che appaiono difficilmente giustificabili. E’ però possibile raggiungere il risultato voluto con interventi normativi limitati, che vengono discussi di seguito. In particolare vengono prospettate una soluzione che consenta di ridurre al minimo le modifiche dei piani di studio ed una soluzione che risulti compatibile con la prospettiva della laurea abilitante.

Strategie di intervento

Ipotesi di soluzione 1: intervento minimale

La soluzione più semplice consiste in un modesto aumento del numero di ore di insegnamento per CFU che si può realizzare con una modifica dell’ordinamento seguita da un adeguamento del regolamento del corso di laurea magistrale, senza necessità di interventi legislativi. La cosa più logica è specificare che ciascun CFU di tirocinio comporta 25 ore di attività professionalizzante con guida del docente, eliminando il riferimento alle ore di rielaborazione individuale delle attività apprese. Sarebbe utile anche chiarire esplicitamente quante ore di insegnamento corrispondono ai CFU attribuiti alla prova finale. In concreto questa soluzione prevede le seguenti tappe:

a) Modificare l’ordinamento precisando che 1 CFU di didattica frontale corrisponde a 12 CFU di insegnamento teorico, 1 CFU di tirocinio professionalizzante corrisponde a 25 ore di insegnamento pratico con guida del docente (eliminando il riferimento alle 5 ore di rielaborazione individuale) e 1 CFU della prova finale corrisponde a 20 ore di insegnamento teorico-pratico. La modifica dell’ordinamento deve essere approvata dagli Atenei entro la scadenza fissata dal MIUR (31 gennaio 2015) e successivamente deve essere approvata dal CUN.

b) Adeguare i regolamenti dei singoli corsi di laurea. Occorre in particolare aumentare le ore di tirocinio del 25% (da 20 a 25 ore per CFU) e aumentare sostanzialmente le ore di didattica frontale per le sedi che avevano previsto un numero di ore per CFU inferiore a 12.

c) In questo modo si ottiene un totale di 5244 ore di insegnamento nel corso di laurea. Per raggiungere la quota di 5500 ore occorre continuare a considerare i tre mesi di tirocinio post-laurea richiesto per l’abilitazione professionale, valutandolo per analogia con il corso di laurea in 15 CFU, pari a 15×25 = 375 ore, il che porta il totale complessivo a 5619 ore (si veda la Tabella 2 per un quadro riassuntivo). Per evitare ambiguità sarebbe comunque utile ottenere un Decreto Ministeriale o almeno un nota interpretativa che chiarisca questo aspetto, quantizzando le ore dedicate al tirocinio di cui al DM 19 ottobre 2001.

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Ipotesi di soluzione 2: la prospettiva della laurea professionalizzante

La Conferenza si sta impegnando con forza per arrivare a costituire una laurea professionalizzante, eliminando quindi il tirocinio post-laurea connesso all’esame di abilitazione e consentendo ai futuri medici di ottenere l’abilitazione all’atto stesso dell’esame di laurea o con una prova immediatamente successiva all’esame di laurea stesso. Dato che, come argomentato sopra, la direttiva 2013/55/UE imporrà comunque una rimodulazione del percorso formativo, va valutato se questa non possa essere l’occasione propizia per introdurre modifiche più estese che consentano di raggiungere anche l’obiettivo della laurea professionalizzante.

In ogni caso appare necessario conservare il carico totale di 360 CFU, in quanto nelle premesse alla direttiva 2013/55/UE si precisa che (paragrafo 17) “per il completamento di un anno accademico sono di norma richiesti 60 crediti”. E’ inoltre opportuno evitare di modificare il DM 16 marzo 2007 (Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 luglio 2007 n. 155), relativo alla determinazione delle classi di laurea magistrale, che pone i seguenti vincoli:

– almeno 60 CFU per le attività di base

– almeno 180 CFU per le attività caratterizzanti

– almeno 12 CFU per le attività affini e integrative

– almeno 8 CFU per le attività a scelta dello studente

– almeno 60 CFU per attività professionalizzanti

Restano quindi liberi 40 CFU, che nel nostro attuale ordinamento sono stati utilizzati per la prova finale (18 CFU) e per espandere di 22 CFU il peso delle attività di base e caratterizzanti, che complessivamente ammontano quindi attualmente a 262 CFU.

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Per rispettare il vincolo delle 5500 l’unica possibilità è attribuire in ampia misura i 40 CFU “liberi” alle attività professionalizzanti, riducendo la quota destinata alla prova finale e fissando al minimo consentito i CFU delle attività di base, caratterizzanti, affini e integrative e a scelta dello studente (ovvero 60+180+12+8 = 260 CFU). Questa modifica servirebbe anche ad allineare l’Italia agli altri paesi europei, nei quali la durata delle attività pratiche sostanzialmente equiparabili al nostro tirocinio professionalizzante è superiore di oltre un anno5 (vd. Figura 1). In concreto questa soluzione prevede le seguenti tappe (nell’esempio indicato di seguito e riassunto nella Tabella 3 si ipotizza di fissare a 90 CFU il peso del tirocinio professionalizzante):

a) Modificare l’ordinamento come indicato nell’ipotesi di soluzione 1, ovvero rimodulando il numero di ore per CFU, e in aggiunta modificare i CFU nel campo “Altre attività formative (D.M. 270 art.10 §5)”, lasciando 8 CFU per le attività “a scelta dello studente”, riducendo da 18 a 10 i CFU “per la prova finale” e aumentando da 60 a 90 i CFU per le “ulteriori attività formative (tirocini professionali e di orientamento)”. In totale i CFU per il campo “Altre attività formative” diventano 108 contro gli attuali 86. Non è necessario modificare altri campi dell’ordinamento perché in riferimento alle attività di base e caratterizzante sono incluse delle forchette che consentono di intervenire a livello di regolamento, come indicato di seguito.

b) Adeguare i regolamenti dei singoli corsi di laurea. In questo caso oltre alle modifiche del rapporto fra numero di ore e CFU, identiche a quelle indicate per l’ipotesi di soluzione 1, occorre rimodulare la distribuzione dei CFU in tutti o quasi tutti i corsi integrati, per ottenere il seguente risultato globale:

Schermata 2015-01-19 alle 17.43.21

Ridurre al minimo consentito i CFU per le attività di base, caratterizzanti, affini e a scelta dello studente, ovvero in totale 260 CFU contro, gli attuali 282 CFU; per queste attività 1 CFU comporterebbe 12 ore di insegnamento, per un totale di 3120 ore.

Ridurre a 10 (dagli attuali 18) i CFU per la prova finale, con 1 CFU pari a 20 ore di insegnamento, per un totale di 200 ore.

Aumentare a 90 (dagli attuali 60) i CFU per il tirocinio professionalizzante, con 1 CFU pari a 25 ore di insegnamento, per un totale di 2250 ore.

c) In questo modo si ottiene un totale di 5570 ore di insegnamento nel corso di laurea, rispettando i requisiti delle direttiva 2013/55/UE senza necessità di tirocinio post-laurea. Naturalmente per modificare la normativa relativa all’abilitazione professionale occorrerebbe poi un specifico intervento legislativo, che potrebbe però essere completato anche dopo la scadenza del 18 gennaio 2016.

Conclusioni

L’attuale organizzazione dei corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia non soddisfa completamente i requisiti indicati dalla direttiva 2013/55/UE, in quanto il numero di ore di insegnamento teorico e pratico è di poco inferiore al minimo di 5500 ore. E’ comunque possibile adeguarsi alla direttiva con alcune modifiche all’ordinamento e al regolamento del corso di laurea, senza richiedere interventi legislativi.

La soluzione più semplice comporta unicamente una variazione del numero di ore di didattica per CFU, fissandolo a 12 ore per la didattica frontale (nei corsi di laurea in cui questo già non accade), a 20 ore per la prova finale e a 25 ore per le attività professionalizzanti. Al di fuori di questa espansione del peso orario delle diverse attività, non sono necessarie modifiche al piano di studi.

La soluzione alternativa prospettata consentirebbe di attivare un percorso formativo che conduce alla laurea abilitante. In questo caso è necessario un aumento sostanziale dei CFU destinati alle attività professionalizzanti (da 60 a 90 nell’esempio delineato), con una parallela riduzione dei CFU assegnati alle attività di base e caratterizzanti. Si tratta di un intervento più complesso, perché occorre ripensare il piano di studi e rimodulare i corsi integrati per rispettare l’equilibrio fra i diversi ambiti disciplinari. L’esito finale sarebbe comunque una significativa riduzione dello spazio dedicato alla didattica frontale associato ad un aumento delle attività formative a impronta pratica e professionalizzante. Da un lato questo intervento ci avvicinerebbe realmente alla situazione europea, riequilibrando il rapporti fra formazione teorica e pratica 5,6. D’altro lato definire un nuovo piano formativo non è un compito semplice, in quanto richiede anche una effettiva revisione delle modalità di insegnamento e può suscitare resistenze da parte dei docenti che vedono ridurre il numero di CFU assegnati al proprio settore scientifico-disciplinare. Ricordiamo infatti che formalmente i CFU delle attività professionalizzanti non sono incardinati su specifici settori scientifico-disciplinari.

Alla luce di queste considerazioni la Conferenza permanente dei presidenti dei corsi di laurea in medicina e chirurgia ha avvito una riflessione per identificare una strategia comune da condividere fra tutti le sedi universitarie. La scelta deve essere compiuta in tempi brevi, in quanto, salvo deroghe ministeriali, la scadenza per le modifiche agli ordinamenti è fissata al 31 gennaio 2015.

Bibliografia

1) DM Decreto Legislativo 17-8-99 n. 368,  http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/99368dl.htm

2) Direttiva 2005/36/CE, http://www.politichecomunitarie.it/file_download/691.

3) Direttiva 2013/55/UE, http://www.agrotecnici.it/Direttiva-55-CE.pdf

4) DM 19 ottobre 2001 n.445, http://www.miur.it/0006Menu_C/0012Docume/0098Normat/1300Regola.htm

5) Accorroni A, Zucchi R. Studiare medicina in Europa. Dai piani di studio all’esperienza sul campo. Med Chir 2014; 62:2783-2790.

6)     Lenzi A. Studiare medicina in Europa. Med Chir 2014; 62:2777.

Cita questo articolo

Zucchi R., Il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia di fronte alla direttiva europea 2013/55/UE, Medicina e Chirurgia, 64: 2881-2887, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-64-2

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