Formare i medici nel mondo anticon.80, 2018, pp. 3588-3590, DOI: 10.4487/medchir2018-80-4

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E’ a tutti noi evidente che le modalità con cui oggi viene strutturato il curriculum degli studi medici abbia conseguenze di estrema importanza non solo per la definizione dei profili culturali dei professionisti in formazione, ma per il futuro stesso della medicina e per l’orientamento futuro degli scenari di salute e malattia con cui le gene-razioni a venire dovranno confrontarsi.

Per quanto la medicina sia stata nel mondo antico qualcosa di profondamente dissimile da ciò che essa oggi è per noi, tuttavia anche per epoche antiche il discorso conserva una sua validità: non è possibile comprendere la medicina antica, le sue connotazioni e le sue teorie, le sue pratiche prognostiche e terapeutiche prescindendo dalle modalità in cui gli aspiranti medici venivano formati, dagli strumenti che hanno a disposizione per la loro crescita culturale, dagli orientamenti teorici e pratici che ogni epoca ha immaginato come bagaglio culturale medico da assumere e sviluppare.

Anche limitandoci all’analisi sommaria della medicina razionale (la medicina di stampo ippocratico che, sulla scia delle indicazioni del ma-estro di Kos, limita l’indagine medica al mondo della physis/natura, escludendo dalla causalità di malattia la volontà divina) la questione dell’educazione medica in antico appare molto più complessa e distante da noi di quanto non immaginiamo. La medicina antica è un sapere – o meglio, un insieme di saperi – assai diversi tra loro: frutto di una stratificazione complessa e spesso sincrona di dimensione sapienziale, di sapere iniziatico e di spostamenti sul piano dell’indagine raziona-le sui fenomeni del mondo naturale e del corpo dell’uomo, la medicina si trasmette, per lo più, in modo informale, senza diplomi che attestino il conseguimento delle competenze, senza licenze di esercizio sul territorio né luoghi fisici stabili di riferimento per la trasmissione e l’addestramento; essa è insegnata con modalità itineranti, in conte-sti familiari prima e poi comunque ristretti, oscillando tra una fortissima caratterizzazione pratica iniziale e la via via crescente importanza di un quadro teorico di riferimento, in costante aggiornamento e modificazione. Le modalità di forma-zione del medico non sono state costanti e hanno subito cambiamenti significativi in archi di tempo abbastanza ristretti; molti fattori apparentemente estranei alla medicina hanno condizionato le modalità del suo strutturarsi. Tra questi, l’influenza della Sofistica ha creato figure di maestri professionali che si sono via via sostituiti alla trasmissione del sapere medico in ambito familiare.

Anche testi molto celebri, come il Giuramento di Ippocrate, con il suo dettato deontologico, suggeriscono la necessità di trovare regole di comportamento in grado di reggere un insegnamento in transizione dal piano della trasmissione iniziatica e familiare a quello pubblico, aperto a chiunque desideri apprendere l’arte. Il pubblico a cui si indirizzano gli insegnamenti è variegato: tra gli stessi libri attribuiti a Ippocrate, alcuni sembrano evidentemente essere stati concepiti per formare studenti, altri sembrano destinati a colleghi, pazienti e – cosa per noi bizzarra – anche a un va-sto pubblico ‘laico’, per cui la medicina è uno dei molti orizzonti possibili di crescita culturale.

Dunque, siamo di fronte a una medicina priva di luoghi fisici di trasmissione, culturalmente pervasiva e destinata a un pubblico eterogeneo (basti pensare a quanti riflessi delle teorie mediche ippocratiche si leggono nella descrizione della pe-ste di Atene di Tucidide, ai legami attestati e studiati tra la tragedia greca e il mondo intellettuale di Ippocrate, o allo sforzo di alcuni testi medici e filosofici di formare un ‘paziente competente’); un sapere in movimento, al seguito del maestro prescelto, da una città all’altra e spesso, per le vi-vaci dinamiche di movimento che caratterizzanole culture antiche del Mediterraneo, da un paese all’altro. Ippocrate è un viaggiatore, e così Teofrasto, Erasistrato, Galeno e molti altri, il cui training è caratterizzato da brevi o lunghe permanenze in città diverse, al seguito di uno o più maestri dalla cui abilità e fama dipende il futuro degli allievi, il loro buon nome e il successo professionale. La mobilità della formazione medica ha importanti ricadute anche sugli usi e sulle pratiche di cura: basti pensare a quanto la farmacologia antica si giova, nel tempo, dell’utilizzo di piante e sostanze che arrivano da tutto il bacino del Mediterraneo e, non di rado, anche da molto più lontano (dalla Siria, dal vicino Oriente antico, dall’India).

Per quanto riguarda la formalizzazione degli studi, non disponiamo di alcuna evidenza che attesti che venisse concessa licenza, diploma o altro tipo di riconoscimento ufficiale al termine di un periodo di formazione. Quest’ultimo, del resto, può avere estensione temporale molto variabile: da pochi mesi a molti anni, come ci ricorda Galeno – mettendo in guardia i pazienti dal rivolgersi a medici che si siamo formati in appena sei mesi. Nessun medico antico, inoltre, ha usato il Giuramento di Ippocrate per sancire la fine del percorso di studi: la riscoperta del testo e la sua lettura pubblica è pratica in uso da tempi molto più recenti, in contesti universitari consolidati.

Spesso anche altri medici colti mettono in guardia i pazienti dai pericoli dell’improvvisazione o dell’amore, molto diffuso soprattutto in epoca imperiale, per il saper strabiliare la platea di pazienti e colleghi (per esempio, con fascia-ture complicatissime, di gran moda nella Roma imperiale): l’abilità retorica, anche se può essere utilizzata per ottenere aderenza del paziente alle prescrizioni, non equivale sempre a reale competenza. La formazione non deve essere conseguita attraverso un training continuo e, anzi, può essere caratterizzata da cronologie anche molto distanziate.

Non è documentata una selezione a priori degli ‘studenti ideali’: ma alcuni prerequisiti (più morali che culturali) possono essere richiesti, come ci ricorda Celso nel tratteggiare la figura del chirurgo ideale, o Sorano di Efeso quando, nel suo Trattato sulle malattie delle donne, dipinge l’ostetrica per-fetta: giovane età, forza fisica, coraggio, resistenza agli stress emotivi e mano salda in un caso; cultura, buon temperamento, memoria, amore per la professione nell’altro.

Quanto al curriculum, anche questo è fluido e eclettico, nel mondo greco e a Roma; improntato, come si è detto, a una importante formazione re-torica per convincere il paziente a affrontare tutti i faticosi percorsi di cura – ma anche per essere in grado di pubblicizzare la propria arte, al fine di guadagnare clientela in un ‘medical marketplace’ variegato e ricco di offerte di livello differente – prevede competenza matematica, necessaria per valutare e computare i giorni fausti e infausti, sui quali si fonda la formulazione della prognosi e la preparazione delle ricette; conoscenza della geometria, per comprendere l’estensione del corpo; comprensione dell’ astrologia, per spiegare gli in-flussi della natura su salute e malattia; in logica, per impostare il ragionamento clinico; in etica e etichetta, per essere medico moralmente adeguato – quod optimus medicus sit quoque philosophus, come titola una celebre opera di Galeno. Una formazione globale, del tutto priva della percezione della distinzione tra scienze e umanesimo, tesa a leggere arte e letteratura come strumenti per affermare la superiorità della formazione medica rispetto alle altre discipline scientifiche.

In questa formazione totale, ha ruolo centrale ciò che oggi chiameremmo ‘bedside teaching’: Galeno ricorda al lettore come il vero luogo dell’insegnamento sia la stanza dell’ammalato, dove si apprende a fare, ma soprattutto a compiere delicate operazioni intellettuali che costituiscono il nucleo dell’approccio clinico- vedere, ascoltare, percepire, paragonare, prescegliere, prevedere.

Via via che la medicina diventa professione, chi la studia si dota anche di strumenti e supporti materiali di trasmissione del sapere, formalizzando modelli di insegnamento e nuclei concettuali di riferimento per la spiegazione dei fenomenidel corpo sano ed ammalato: trattati e ‘definitiones’ (cioè elenchi esplicativi di segni, malattie e concetti, dizionari allargati di facile immediato utilizzo nella pratica), lettere private tra colleghi di discussione clinica e farmacologica, testi a domande e risposte per facilitare l’apprendimento, ricettari e sintesi agili stese sul modello degli Aforismi ippocratici, vaste enciclopedie, sinossi e commenti alle opere di maestri più antichi. Attraverso questi materiali, la medicina dell’antichità classica consegna se stessa al medioevo arabo e poi occidentale e, di lì, alle università.

[Bibliografia]

Horstmanshoff M., Hippocrates and Medical Edu-cation. Selected Papers at the XIIth International Hippocrates Colloquium, Universiteit Leide, 24-26 August 2005. Brill, Leiden-Boston, 2010.

M. Vegetti, Le origini dell’insegnamento medico, in Medical Teaching: Historical, Pedagogical and Epistemological Issues «Medicina nei secoli» 16, n. 2 (2004), pp. 237-251.

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Gazzaniga V., Formare i medici nel mondo antico, Medicina e Chirurgia, 80: 3588-3590, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-80-4

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