Il giuramento di Ippocrate

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Fig. 1 – Ippocrate che cura la peste di Atene. Frontespizio dell’edizione Giuntina del 1588 delle Opere di Ippocrate.

Io giuro su Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e tutti gli dei e le dee prendendoli a miei testimoni che porterò a compimento secondo il mio potere ed il mio giudizio questo giuramento e questo impegno scritto: di ritenere colui che mi ha insegnato quest’arte alla pari dei miei genitori e di avere con lui comunanza di vita e nelle sue necessità di fargli parte del mio; e che la stirpe sua giudicherò alla pari di fratelli in linea maschile e che insegnerò loro quest’arte nel caso che vogliano istruirvisi senza onorario ed impegno scritto, e dei precetti e lezioni e di tutto il resto dell’istruzione di farne parte ai figli miei e a quelli di chi mi ha insegnato e agli studenti che si sono impegnati per scritto ed hanno giurato secondo l’uso medico, ma a nessun altro.

Farò uso delle misure dietetiche per il giovamento dei pazienti secondo il mio potere ed il mio giudizio e mi asterrò da nocumento e da ingiustizia. E non darò neppure un farmaco mortale a nessuno per quanto richiesto né proporrò mai un tal consiglio; ed ugualmente neppure darò ad una donna un pessario abortivo. Ma pura e pia conserverò la mia vita e la mia arte. E non procederò ad incisioni neppure su chi ha il mal della pietra, ma lascerò questo intervento agli operatori.

In quante case io entri mai, vi giungerò per il giovamento dei pazienti tenendomi fuori da ogni ingiustizia volontaria e da ogni altro guasto, particolarmente da atti sessuali sulle persone sia di donne che di uomini, sia liberi che schiavi.

Quel che io nel corso della cura o anche a prescindere dalla cura o veda o senta della vita degli uomini, che non bisogna in nessun caso andar fuori a raccontare, lo tacerò ritenendo che in tali cose si sia tenuti al segreto.

Portando dunque a compimento questo giuramento e non violandolo mi sia dato di avere il frutto della vita e dell’arte, famoso presso tutti gli uomini per sempre nel tempo, ma trasgredendolo e spergiurando, il contrario di ciò.

 

Il Giuramento di Ippocrate è senza dubbio il più famoso documento della medicina occidentale. Non ci può essere alcun lettore che non ne abbia sentito parlare.

Molti certamente vi si saranno richiamati e molti avranno anche prestato giuramento; è un documento venerato come fondamento essenziale dell’etica medica oppure deriso come sorpassato e irrilevante. Da più parti, nei mezzi di comunicazione e nelle organizzazioni dei medici, ci sono richieste per rivederlo o sostituirlo ed è in corso un acceso dibattito per decidere in cosa dovrebbe consistere questa sua sostituzione.

In questo agitarsi di moralità medica e nonostante anni, se non secoli, di sforzi filologici, tuttavia restano ancora domande alle quali non è stata data una risposta adeguata. Questo potrà sorprendervi; ed io spero proprio di condurre i lettori in un viaggio sorprendente, alla ricerca delle risposte a tre domande apparentemente molto semplici: la prima, “Che cosa era il Giuramento di Ippocrate ?”; poi “Chi lo giurò ?”; e in ultimo, in breve, “Che cosa pensava di esso il pubblico non medico ?”

La risposta alla prima domanda, che cosa era il Giuramento d’Ippocrate, a prima vista sembra molto facile. Si tratta di un brano in prosa, di breve lunghezza, scritto in un particolare dialetto del greco antico, che ci è stato trasmesso attraverso i secoli insieme ad altri scritti associati al nome di Ippocrate di Cos. Ippocrate come personaggio storico fu il più famoso medico dell’antica Grecia e insegnava medicina, forse ad Atene, intorno al 420 a.C. . Che egli sia oppure no l’effettivo autore del Giuramento non ha alcuna importanza per quello che devo dire, tranne per un singolo aspetto, e da questo punto di vista è un’eccezione importante, cioè se il Giuramento fosse realmente opera di Ippocrate, ci sarebbe un collegamento stretto tra un documento fondamentale dell’etica medica e un uomo che, per dirla come uno scrittore romano, fu il primo a separare la medicina dalla filosofia, a dare alla medicina la propria indipendenza.

Come documento è una combinazione frustrante di generale e particolare. Alla frase apparentemente specifica darò ad una donna un pessario abortivo” segue immediatamente la vaga e totalizzante affermazione che il medico preserverà la propria vita nella purezza e nella santità. Rappresenta un contratto che si può firmare e nello stesso tempo l’impegno ad uno stile di vita d’alta moralità e di purezza nel rapporto con gli uomini e di pietas verso gli dei.

All’interno del Giuramento ci sono tre differenti elementi: il prologo e la conclusione di carattere religioso, dove si invocano gli dei a testimoni e a garanti dell’eventuale punizione; in secondo luogo, un elenco dei doveri verso i propri maestri e la loro famiglia ed infine le prescrizioni etiche più generali di aiutare i malati e di astenersi da una vasta serie di attività pericolose, mortali o immorali.

I filologi hanno ricostruito la forma originale e il testo del Giuramento così com’era intorno al 400 avanti Cristo, ma questo è molto lontano dal costituire l’intera storia: perché, qualunque fosse l’intenzione del suo autore, se c’è un aspetto che ha caratterizzato il Giuramento di Ippocrate nel suo passaggio attraverso i secoli è stata proprio la sua fluidità, il suo essere modificabile. Ben lontano dall’essere un documento formale e fisso, è stato costantemente modificato per varie ragioni. Quelli che si appellano alla longevità del Giuramento per sostenere la propria causa dovrebbero stare attenti alla sua camaleontica abilità di mutare.

Ma di che tipo di cambiamenti stiamo discutendo? In primo luogo, cambiamenti nel linguaggio. Il Giuramento, come ho già accennato, è scritto in un dialetto locale del Greco antico e con il passare del tempo, poiché la lingua greca stessa cambiava, diventava sempre più incomprensibile. Di conseguenza i copisti, volontariamente oppure per caso, alterarono il testo del Giuramento per renderlo conforme alla lingua greca corrente. Il più antico frammento esistente del Giuramento, proveniente dall’Egitto e scritto su un papiro intorno al 300 dopo Cristo, mostra già i segni di questa normalizzazione del testo, e diversi dei nostri manoscritti sono accompagnati da glosse per spiegare parole difficili.

Di gran lunga più interessanti dei cambiamenti nelle parole sono i cambiamenti nella sostanza. Alcuni di essi erano ovvi e semplici: la lunga lista d’appello degli Dei con la quale si apre il Giuramento, Apollo medico, Asclepio, Igea, Panacea e tutti gli altri dei e le dee, non aveva un posto nell’universo ebraico, cristiano o musulmano e quindi furono sostituiti o integrati con cura dalla forma appropriata di divinità. Il Giuramento arabo inizia con l’invocazione ad Allah, il Signore della vita e della morte, dispensatore della salute, creatore della guarigione e di ogni cura, prima di invocare Asclepio e tutti i santi di Dio, maschi e femmine. In vari manoscritti greci, il Giuramento è scritto in forma di croce, con invocazioni cristiane al posto di quelle pagane, in una doppia cristianizzazione.

Ancora più significativo è, però, quello che succede nella seconda sezione, dove il futuro medico giura di onorare il maestro come i suoi stessi genitori e di renderlo partecipe dei propri mezzi di sussistenza, di dividere con lui il proprio denaro, quando questi si trovasse in stato di bisogno, di considerare la famiglia del maestro come la propria e di insegnare ai suoi figli gratis e senza contratto. In qualità di docente che insegna a studenti di medicina mi sento in obbligo di manifestare il mio vivo interesse per il mantenimento di questa sezione del Giuramento più di tutte le altre, e mi auguro in questo modo di ricevere assistenza da parte loro nella mia vecchiaia. D’altra parte, mentre un simile giuramento potrebbe essere stato appropriato in una società in cui i legami familiari e di corporazione erano forti, in cui l’autore del Giuramento si preoccupava di mantenere i segreti della medicina all’interno di un gruppo semi-familiare, i medici di epoche successive non erano più così desiderosi di fornire sussidi ai loro anziani maestri, anche lasciando da parte i figli, i fratelli, le sorelle e tutti i loro zii e cugini. Così, un copista molto antico rimosse ogni riferimento alla dipendenza economica del maestro, e in quella che alcuni studiosi hanno chiamato la versione cristiana del Giuramento questa seconda sezione scompare del tutto. Il futuro medico non ha più alcun tipo di obbligo, finanziario o di altro genere, nei riguardi dei suoi colleghi o maestri, e il patto per cui dovrà insegnare senza remunerazione è sostituito dall’obbligo di insegnare senza contestazioni.

La stessa versione cristiana presenta altri due cambiamenti: il divieto relativo all’aborto è rafforzato perché si elimina ogni accenno al fatto che l’unica cosa vietata era somministrare un pessario abortivo. Vi ricordo che l’aborto non era proibito nell’antichità, e altrove nel Corpus Hippocraticum sono descritti con approvazione vari metodi per procurare un aborto, compreso l’uso di farmaci. Ma ora, in questo nuovo contesto religioso, la parola “pessario” viene fatta cadere e la sezione è unita alla frase successiva sulla chirurgia oppure, secondo l’opinione di alcuni, la sostituisce. Al medico non è più vietato l’uso del bisturi, ma è vietato solo ciò che può causare un aborto, comunque esso sia applicato dall’alto o dal basso.

Comunque, non è solo nel Medio Evo – da cui ho tratto la maggior parte dei miei esempi – che il Giuramento subisce delle modifiche. Nella sua versione inglese del 1586 Thomas Newton riflette la carità elisabettiana, quando trasferisce le raccomandazioni sul pagamento dagli studenti ai pazienti: “Non mi sottrarrò dal consacrare la mia abilità in quest’Arte ai poveri e ai bisognosi, anche senza un accordo certo sul pagamento o un contratto”.

Nel diciannovesimo secolo, parole come “santità” e “purezza”, con la loro connotazione fortemente religiosa, scompaiono da alcuni testi e traduzioni del Giuramento. Una versione inglese moderna, forse degli anni ‘30, rende specifiche quelle che nell’originale sono norme generali: così, per esempio, il divieto a un medico di causare deliberatamente, su richiesta, la morte di una persona, è interpretato solo come riferimento al suicidio assistito, mentre l’originale comprendeva sia l’eutanasia sia la partecipazione di un medico a torture, atti di brutalità o assassinio per un tornaconto politico o sociale. Le pratiche illecite legate alla sfera sessuale vengono enfatizzate. La frase su cui è stato versato tanto inchiostro “Non taglierò con il bisturi, nemmeno per i calcoli” che rappresenta un divieto a ogni forma di chirurgia, viene trasformato in una norma contraria solo e soltanto alla litotomia, “nemmeno per pazienti in cui la malattia è manifesta”. Perché questa sola procedura d’intervento dovrebbe essere proibita ai medici nel 2002 e permessa ad altri, non è per niente chiaro; quest’ultima clausola, in particolare, sembra essere stata introdotta senza alcuna giustificazione, testuale, storica o perfino medica.

Tutto questo indica che il Giuramento di Ippocrate non è e non è mai stato un documento fisso e inalterabile. Nel corso degli anni copisti, pretesi fedeli e pretesi violatori del Giuramento ne hanno modificato il linguaggio e lo spirito iniziali. In particolare, lungi dall’essere il Giuramento ad imporre i propri valori alla società, è stata la società che ha imposto le sue interpretazioni e i suoi valori su quello che il Giuramento è e su ciò che rappresenta; è stato costantemente modificato per adeguarlo alle esigenze, alle preoccupazioni e qualche volta ai pregiudizi della parte più ampia della società. Per appellarsi alle eterne verità del Giuramento si deve selezionare bene ciò che queste verità devono essere e rimuovere, ritradurre o quantomeno trascurare i passaggi non adatti alla società contemporanea. Di qui il paradosso che una persona potrebbe anche approvare la sensibilità morale di coloro che invocano un ritorno ad Ippocrate e nello stesso tempo disapprovare la loro logica, che cerca di imporre una versione mista ed eterogenea, proprio di quel Giuramento che essi venerano. Questa è dunque la mia prima affermazione.

La seconda affermazione è forse ancora più sorprendente, considerando che l’importanza del Giuramento di Ippocrate come documento da giurare formalmente nelle cerimonie e nelle procedure per diventare medici è un’idea che caratterizza in larga misura proprio il ventesimo secolo. Non voglio dire che alcuni, in determinati luoghi e momenti storici, non abbiano prestato il Giuramento di Ippocrate, o che ricorrere a un giuramento di questo tipo non sia stata una parte frequente delle cerimonie di immatricolazione o di laurea. Piuttosto, vorrei sottolineare che il Giuramento di Ippocrate in quanto Giuramento vero e proprio ha avuto in sostanza un ruolo abbastanza marginale nella medicina fino a tempi recenti.

I lettori portati a credere che i medici greci prestassero solennemente il Giuramento di Ippocrate, magari seduti a Cos sotto l’altrettanto dubbio albero di platano, potrebbero essere colpiti dal dover formalmente rinunciare ad una convinzione molto cara. D’altra parte, quasi tutti i classicisti accettano l’idea che molti medici Greci e Romani nella loro pratica e nella loro etica non seguissero affatto il Giuramento di Ippocrate. Essi infatti prestavano aiuto per suicidi e aborti, senza subire per questo alcuna condanna. Ippocrate stesso insegnò per denaro. Si effettuavano complessi interventi chirurgici, anche di litotomia, senza nessun rimorso. Si seguiva, insomma, un’etica del risultato: qualunque cosa potesse aiutare il paziente era ipso facto morale. In breve, il Giuramento di Ippocrate non è rappresentativo del pensiero medico greco; riflette le idee di un gruppo ristretto, non quelle dei medici e di chi forniva cure in generale. Fu e rimase sempre un Giuramento per una minoranza, qualunque fosse l’aspirazione del suo autore.

Di certo non fu mai imposto come qualifica necessaria per esercitare. Quando intorno al 47 d.C. un medico siciliano di nome Scribonio Largo sedette a scrivere il suo trattato di farmacologia, invocò invano il ritorno al Giuramento di Ippocrate ed alla disciplina morale che questo implicava: come anziano soldato, era affascinato da quell’immaginario di tipo militare. Nella sua prospettiva essere un medico, dichiarare di essere medico – che è esattamente ciò che significa la sua frase, ‘professio medici’ – avrebbe dovuto implicare necessariamente tutti gli obblighi morali che nel Giuramento sono descritti in dettaglio; la moralità del medico va di pari passo con il suo lavoro: egli agisce moralmente perché è un medico. Questo è un potente appello a ciò che i filosofi morali chiamano etica deontologica: far parte di un gruppo impone ai membri determinati obblighi che non sono necessariamente imposti alla società in generale. Nello stesso tempo, però, Scribonio chiarisce bene che la realtà è molto diversa: non ci sono giuramenti, nè sistemi di disciplina medica, né norme morali; c’è un settore medico privo di regolamentazione, in cui i medici vengono soppiantati da quelli che semplicemente riempiono il malato di farmaci. Nell’ottica di Scribonio, un ritorno al Giuramento di Ippocrate con il suo messaggio morale – stavo per dire pubblicitario – dovrebbe portare con sé senza dubbio i pazienti paganti.

La descrizione di Scribonio dello scenario della medicina nel suo tempo è accurata. Nell’antichità non c’erano esami di abilitazione da superare, né associazioni né Facoltà. Di fatto, tutto ciò che era necessario a quei tempi per diventare medico era la propria professio, una dichiarazione che si era medici. Lo testimonia una causa legale del 124 nell’Egitto romano, quando un medico chiamato Pasasnis si appellò al governatore dopo che la sua comunità locale gli aveva abolito i privilegi fiscali accordati per legge a tutti i medici. “Forse è perché tu sei un pessimo medico” ironizzò il governatore. “Tuttavia” – questo è il punto cruciale – “torna al tuo distretto locale, presentati di fronte all’ufficiale delle tasse del luogo e semplicemente affermando che tu sei un medico riacquisterai tutti i privilegi che hai perso”. Nient’altro era richiesto, solo una professio, un affidavit’ che poteva essere controllato se necessario.

Mezzo secolo dopo, verso il 200 d. C., il grande medico Galeno di Pergamo scrisse un commento al Giuramento di Ippocrate, di cui sopravvive una parte in traduzione araba. I suoi contenuti mostrano una cultura straripante. Se volete sapere, per esempio, perché Asclepio è spesso ritratto accompagnato da un serpente, ve lo dirà Galeno: perché i serpenti non dormono mai – come i medici moderni del turno di notte – e ciò rappresenta l’eterna vigilanza del medico. Ciò che manca in questo commento – così come da qualunque pagina delle 20.000 che compongono gli scritti di Galeno – è una qualsiasi indicazione che il Giuramento di Ippocrate venisse giurato realmente, in quel tempo. Quando Galeno, come fa spesso, si richiama ad Ippocrate per istruzioni sul comportamento che dovrebbe tenere un medico, non è al Giuramento che guarda, quanto piuttosto alla pratica di Ippocrate: ad Ippocrate che trattava principi e poveri allo stesso modo, ma rifiutò di curare il re di Persia, nonostante la promessa di un enorme pagamento, perché ciò avrebbe significato curare un nemico della sua patria.  Galeno mette in evidenza l’ammonimento di Ippocrate ad avere cura del proprio abbigliamento, delle buone maniere, del modo di esprimersi, delle unghie e perfino dell’acconciatura dei capelli. Un buon comportamento, un vestito appropriato, il saper dire una battuta al momento giusto e il rifiuto di piegarsi ai capricci mutevoli della moda (niente riccioli fluenti o teste rasate per Galeno), tutto questo darà al paziente la fiducia necessaria alla guarigione: è un interesse per se stessi, non una moralità imposta, che potrà dare il via al comportamento che meglio garantisce la salute del paziente. Se si tiene conto della devozione di Galeno, di fatto una sorta di consacrazione ad Ippocrate, questo silenzio sul Giuramento come condizione essenziale dell’esercizio della professione è molto eloquente.

Ma qualche altro gruppo nell’Antichità ha mai prestato il Giuramento di Ippocrate? Spesso si è pensato che negli scritti di due autori cristiani era implicito che tutti gli studenti di medicina prestavano questo giuramento nel tardo quarto secolo dopo Cristo. Il primo scrittore, san Girolamo, afferma che Ippocrate obbligava i suoi alunni con un giuramento ad adottare certe regole di condotta, con riferimento al silenzio, al modo di parlare, al portamento, al vestiario e al carattere; ma il modo di parlare, il portamento e i vestiti non fanno parte del Giuramento come noi lo conosciamo e, dal mio punto di vista, Girolamo sta solo mettendo insieme quello che sapeva del Giuramento con il passo delle Epidemie che forma la base delle idee di Galeno che ho discusso un momento fa. Girolamo stava immaginando una situazione passata, non descrivendo la realtà del suo tempo. L’altro passo è ancora più eloquente: San Gregorio di Nazianzo afferma che suo fratello Cesario era di così elevata moralità come medico e così buon  cristiano che “non aveva bisogno di Ippocrate che gli facesse prestare il Giuramento”. Gli storici hanno dibattuto a lungo su che cosa precisamente implicassero le parole di Gregorio, ma ancora non sono chiari due punti: Cesario non prestò il giuramento e, dato che Gregorio tace su un argomento così delicato, certo non dovette affrontare nessuna imposizione e giurare. In altri termini, se il Giuramento era adottato da alcuni studenti di medicina, lo era in base a una scelta privata e personale. Gregorio comunque non era uno sciocco; e se il Giuramento è mai stato comunemente adottato, allora è proprio l’Alessandria del quarto secolo, dove Cesario studiò medicina, che rappresenta il più probabile luogo, la più probabile epoca e di fatto anche la motivazione. Alessandria d’Egitto fu per secoli il più grande centro di medicina del mondo. Come disse un contemporaneo, fu il fondamento della salute per tutti gli uomini. I suoi insegnanti professavano la medicina di Ippocrate così come fu spiegata e interpretata da Galeno; vivevano e respiravano Ippocrate, quello che Temkin ha chiamato la religione di Ippocrate. E’ proprio nell’Alessandria del quarto – quinto secolo che troviamo la più vigorosa opposizione pagana al Cristianesimo, che incluse spesso dei massacri e perfino delitti. Possiamo bene immaginare degli studenti di medicina non cristiani e i loro professori che procedono insieme sotto la protezione di Asclepio ed estremizzano il loro paganesimo per reazione alle persecuzioni che subivano da parte dei cristiani. Che bisogno abbiamo della moralità cristiana, poteva dire un Gregorio pagano, se noi abbiamo il Giuramento di Ippocrate?

Si può essere tentati da questa ipotesi; ma non si dovrebbe perdere di vista il punto essenziale. Prestare il giuramento era comunque un’opzione, una scelta forse adottata da una minoranza in un certo luogo e in un determinato periodo. Anche se abbiamo prove che il Giuramento era largamente conosciuto e ammirato, non fu mai imposto per legge o per consuetudine, né nella Grecia pagana e a Roma, né tantomeno nel mondo musulmano, o nell’Europa medievale. Perfino quando le autorità esigevano che i medici fossero in qualche modo qualificati, non invocarono né imposero mai il Giuramento di Ippocrate.

Piuttosto, se troviamo davvero una qualche forma di giuramento o di ‘affidavit’ etico, la troviamo in una dichiarazione più ristretta e – per così dire – più professionale. Era una forma di descrizione del lavoro, in cui il candidato giurava di mantenere alto il buon nome e le tradizioni del suo College, dell’Università, o di un’altra istituzione. Vi si prometteva obbedienza all’autorità competente, che fosse un re, un vescovo, o un’amministrazione comunale; spesso era descritto in dettaglio ciò che ci si aspettava dal futuro medico o chirurgo, che cosa questi poteva prescrivere, dove poteva praticare la professione, quando e come poteva visitare il malato, perfino a volte l’ammontare delle parcelle. Mentre ci potevano essere echi del Giuramento di Ippocrate nel linguaggio e nello spirito generale, questi Giuramenti ‘professionali’ erano formulati tanto per il benessere delle istituzioni che per quello del paziente. Il Giuramento prescritto dagli statuti del London College di Medicina nel 1555 impegna i suoi membri a perseguire legalmente tutti gli empirici e i ciarlatani, a non prescrivere farmaci costosissimi per conquistare il favore dei farmacisti e a leggere entro un anno i primi cinque libri del trattato di Galeno Sui semplici e i primi otto libri di quello Sull’utilità delle parti. Dal 1647, il candidato giurava semplicemente di obbedire agli statuti, che includevano un amabile paragrafo sulla “conversazione morale”, con la sua proibizione di sminuire l’opinione di un collega attraverso l’espressione del viso, un gesto, o un silenzio sospettoso.

Quando fu, dunque, la prima volta che il Giuramento di Ippocrate fu effettivamente adottato in un’Università o in un College di Medicina? Questa è una domanda tutt’ora senza risposta; qualcuno potrebbe dire che è impossibile rispondere, perché l’adozione del Giuramento potrebbe essersi sviluppata in via informale per iniziativa individuale e le fonti raramente ci permettono di spingere lo sguardo nella dimensione privata e informale dell’esistenza di uno studente di medicina. Che il Giuramento di Ippocrate sia adottato al giorno d’oggi in alcune Università è chiaro; è difficile tuttavia determinare quando è cominciata questa consuetudine. Certe affermazioni in fonti secondarie si sono spesso rivelate infondate o basate su fraintendimenti e le prove aneddotiche sono spesso soggette ad errori. A volte – e specialmente ora – non è nemmeno chiaro quale particolare forma del Giuramento viene formulata. Tutto ciò rende estremamente difficile delineare la storia del modo in cui è stato prestato il Giuramento di Ippocrate.

La prima prova di un certo rilievo che io posso trovare proviene dagli statuti di fondazione della facoltà di Medicina di Wittemberg in Germania, nel 1508; il Giuramento del medico, composto dal Rettore e dal primo professore di medicina, Martin Pollich von Mellerstadt, incorpora alcune frasi del Giuramento di Ippocrate. Una procedura simile caratterizza anche il Giuramento del Medico dell’Università di Basilea così come è formulato nei nuovi statuti del 1570. Il laureato in medicina formula un Giuramento in nome di “Dio uno e trino, padre di Igea e Panacea”, una mirabile commistione di cristianità e classicità che continuò ad essere giurato in questa forma fino al 1868. Secondo lo stesso tipo di stile discordante, i capitoli di questo giuramento combinano le più ampie e altisonanti raccomandazioni morali del giuramento di Ippocrate con i ringraziamenti ai cittadini di Basilea.

Più o meno nello stesso periodo, all’Università di Friburgo qualcuno copiò sulla copertina del Libro degli Statuti una traduzione latina del Giuramento di Ippocrate; se poi il Giuramento fosse effettivamente fatto prestare è ancora in dubbio (qualche eco delle parole del giuramento si può ritrovare anche negli Statuti di Giessen del 1607).

Solo due Università vanno oltre. Dal 1558 il Preside della Facoltà di Medicina di Heidelberg doveva prestare il Giuramento di Ippocrate entro un mese dal momento in cui assumeva la carica e promettere pubblicamente di rispettare le sue norme fino alla fine del suo incarico. Da notare che è il Preside, non gli studenti o i laureati, a dover prestare il giuramento, e che i suoi obblighi verso di esso scadono alla fine dell’anno. Solo all’Università di Iena nel 1591 – alcuni hanno suggerito nel 1558 – gli Statuti citano il giuramento come qualcosa da osservare in misura più ampia. Prima di essere ammessi alla laurea, i laureandi dovevano impegnarsi a fare nel corso della pratica professionale “tutto quello che Ippocrate esige nel suo Giuramento e nel suo trattato Sul medico, una procedura che continuerà per almeno altri due secoli. Ma perché il sedicesimo secolo, e perché la Germania? La risposta è semplice. La riscoperta della cultura classica nel Rinascimento induceva molti a pensare che il medico ideale del loro tempo dovesse essere l’erede di Ippocrate, tanto nelle parole che nelle azioni. E queste Università tedesche erano davvero all’avanguardia nella rinascita della medicina. I loro professori, che si erano formati in Italia, insegnavano le verità di Galeno e Ippocrate e portavano il nuovo sapere a nord delle Alpi. Perciò, che cosa poteva essere più naturale che associare la fedeltà all’etica di Ippocrate con la lealtà tradizionale al proprio stato e alla propria Università e mostrare nello stesso tempo di essere davvero al passo con gli ultimi sviluppi della medicina?

Ma cosa troviamo nei Paesi fuori della Germania? Nel 1771, John Morgan, un laureato di Edimburgo, parlando della conferma del primo dottorato di medicina al College di Filadelfia, dichiarò che il Giuramento prescritto da Ippocrate ai suoi discepoli era stato adottato comunemente nelle Università e nelle Scuole di Medicina. Il suo College, invece, che era uno spirito libero nell’ambito delle istituzioni, non aveva bisogno di simili giuramenti; e preferiva legare i suoi laureati solo con i vincoli dell’onore e della gratitudine. Il problema è stabilire se davvero Morgan aveva ragione. Certo c’era una quantità di Giuramenti nel 1771, ma quasi tutti erano del tipo tradizionale di ‘lealtà’, che vincolava tutti i laureati ad obbedire allo statuto e ai loro capi. Era questo il caso di Leiden e di Edimburgo – nonostante le contrarie affermazioni moderne – ed altrettanto di Montpellier. Dal 1750 in poi anche in Germania si svilupparono giuramenti più specificamente medici, che combinavano insieme la lealtà allo stato e all’università con affermazioni più generali di carattere etico, riguardo a ciò che un medico dovrebbe fare o pensare. I grandi mutamenti di carattere politico, religioso e sociale nel diciannovesimo secolo spazzarono via molti dei vecchi giuramenti di lealtà e nello stesso tempo permisero ai medici di formulare dichiarazioni nelle quali una moralità specificamente medica – si potrebbe dire ippocratica – acquistò un ruolo molto più importante di prima. Così, nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese, dal luglio 1804, chi si laureava in medicina a Montpellier doveva stare in piedi davanti a un busto di Ippocrate, donato appositamente dal governo francese e, dopo aver recitato il Giuramento di Ippocrate in latino, doveva promettere nel nome di Dio di essere fedele alle leggi dell’uomo e dell’onore nell’esercizio della professione medica.

Questo è, per quello che so, il primo esempio di giuramento effettivamente prestato in un’Università. L’esempio di Montpellier, sebbene senza la minacciosa presenza di Ippocrate, fu seguito più tardi a Parigi e, in un periodo più recente, a Strasburgo. In nessun luogo il richiamo alla moralità nell’esercizio della medicina fu più stridente che negli Stati Uniti; qui, negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento la preoccupazione di imporre codici di etica medica e in particolare il Giuramento di Ippocrate era molto diffusa tra i medici, non ultimo perché il divieto di procurare l’aborto distingueva l’autentico medico da chi operava clandestinamente.

Dal 1880, in ogni caso, questa prima ondata di Giuramento diffuso cominciò a scemare. Ci si lamentava che ai giovani non era più familiare il suo messaggio dove era ancora prestato, come alla Mc Gill University in Canada o al St. Thomas Hospital a Londra; era visto sempre più come un anacronismo, il segno di un’istituzione vincolata alla tradizione in un’età di progresso. Non fu mai adottato nelle Università più recenti, tanto in Gran Bretagna che nel continente e, dove continuò, fu adottato in forma più leggera. Si chiedevano delle modifiche, un Giuramento di Ippocrate per il nuovo secolo la cui immagine non andasse più contro gli interessi della professione medica. John Round, del Battersea General Hospital a Londra, sostenendo la necessità di sostituirlo, ne rilevò una sfortunata conseguenza, per cui la polizia di Londra pagava un chirurgo veterinario dieci scellini e sei penny per un animale ferito ma solo tre scellini e sei penny un dottore in medicina per una persona ferita e affermò: “Il motivo può essere solo questo, che il chirurgo veterinario è considerato un uomo che si guadagna da vivere, mentre il medico si pensa che esista per il bene pubblico”. Si potrebbe dire che la moralità ippocratica può danneggiare seriamente il vostro benessere  economico.

Quello che ho fin qui mostrato è che i giuramenti medici e le richieste di restaurazione della moralità ippocratica non rappresentano niente di nuovo. I medici hanno modificato per secoli il Giuramento, come lo ritenevano opportuno, oppure si sono lamentati che le sue raccomandazioni, per buone che fossero state, non si adattavano più alla medicina e alla vita moderna. Anche questa conclusione è però fuorviante perché non considera in che misura questo ritorno ad Ippocrate, ai giuramenti, alle dichiarazioni e alle proclamazioni solenni delle convinzioni etiche dei medici sia soprattutto un fenomeno della seconda metà del ventesimo secolo. I dati raccolti per gli Stati Uniti e il Canada colpiscono particolarmente l’attenzione, a questo proposito. Nel 1928 venti scuole mediche – nessuna in Canada – usavano il Giuramento di Ippocrate o una sua versione, quattordici al momento della laurea, una per la solenne cerimonia finale; una lo riservava solo ai suoi migliori studenti; un’altra, con un certo ottimismo, lo faceva leggere ad alta voce durante una cena. Dal 1965, erano sessantanove scuole mediche su novantasette che avevano un giuramento. Dodici anni dopo, il numero era salito a 108 su 128, e dal 1989 ad almeno 119, 60 delle quali affermavano di far prestare una qualche variante del Giuramento di Ippocrate. La stessa tendenza si nota anche nelle scuole mediche britanniche e nel continente, dove i riferimenti alla moralità impliciti nel Giuramento compaiono nuovamente dagli anni ‘60 in poi.

Perché questa esigenza di Giuramenti e dichiarazioni e di un ritorno ad Ippocrate? In parte, è il riflesso di una società che sta diventando più formale. Molti anni fa, quando ero un Preside di College, i giovani chiedevano l’abolizione di spettacoli elitari come le cerimonie di laurea; adesso, mi si dice che corrono in massa a vederli. Questo potrebbe essere un fattore banale, ma non irrilevante. In secondo luogo, molti dei dilemmi morali ai quali oggi si suppone che il Giuramento di Ippocrate possa offrire soluzioni, nel passato non erano per nulla un dilemma. Il sostrato etico della società Cristiana, Ebraica o Musulmana escludeva l’aborto, l’omicidio medico e l’eutanasia, l’adulterio, perfino la calunnia e il pettegolezzo; e la società imponeva doveri di carità e di cortesia, addirittura di santità. Il Giuramento rafforzava al massimo grado un sostrato morale. Invece, in una società occidentale sempre più laica, dove c’è una gamma crescente di possibili scelte tanto nella condotta personale che nella terapia medica, e dove i problemi che deve affrontare un medico sembrano molto più complessi, il Giuramento e dichiarazioni simili offrono un surrogato dei valori religiosi, un sostituto che acquista in autorità e in stabilità ideale proprio in ragione della sua antichità. Inoltre, annunciano solennemente un orientamento della buona volontà, che va al di là dei contesti formali della legge e degli statuti.

In terzo luogo, c’è l’intera questione della professionalizzazione, di ciò che significa essere un medico. Qui un giuramento prende due aspetti, uno esclusivo, uno inclusivo. Esclude dal diritto di proclamarsi autentici medici coloro che non aderiscono al suo spirito o praticano altre forme di cura. Il Giuramento di Ippocrate distinse i medici da quelli che usavano il bisturi; i primi giuramenti moderni di Università o College difesero i diritti dei loro membri a praticare la professione, contro chirurghi, empiristi, ciarlatani, e simili. Se poi, tra un centinaio d’anni, gli storici assoceranno il recente revival dell’interesse per il Giuramento di Ippocrate al boom delle cure alternative di ogni tipo, molte delle quali insegnate e realizzate fuori da strutture mediche, è un pensiero su cui vale la pena di soffermarsi.

Infine, i giuramenti vincolano. Non solo vincolano colui che giura ai suoi doveri, ma lo vincolano a tutti quelli che fanno parte dello stesso gruppo. Nei giuramenti accademici il rispetto per l’istituzione è spesso legato al rispetto per il paziente, in un modo che enfatizza che il benessere dell’uno e la buona reputazione dell’altra sono uniti insieme. Poiché la medicina diventa sempre più specialistica, sempre più frammentata e diversificata nei suoi approcci, queste dichiarazioni di principio servono a costruire dei ponti tra le varie discipline e ad enfatizzare l’unità della medicina sottolineando l’unità dei suoi valori fondamentali. Questi non hanno alcuna funzione legale, sono frequentemente astorici, e spesso legati a un grande nome, sia esso di un individuo o di un’istituzione. Sono diventati un simbolo, meta- o sovrastorico e come tali sono immuni da critiche sul terreno dell’accuratezza storica o dell’effettiva importanza. Così può anche contare poco che il Giuramento di Ippocrate sia stato costantemente modificato fin dalla sua creazione e che sia stato raramente giurato – lasciando da parte quanto sia stato rispettato – prima del diciannovesimo secolo. L’obiezione secondo la quale le affermazioni in favore del suo uso proiettano indietro nel lontano passato una situazione che è in larga misura dello scorso secolo, se non proprio degli ultimi quarant’anni, non dovrebbe preoccupare quelli che vogliono formulare un giuramento per il nostro tempo, ma solo quelli che vogliono giustificarlo su basi storiche. Io provo molta più comprensione per quel gruppo di studenti di medicina di Londra che di recente ha deciso di  prestare un proprio giuramento, basato sulla loro concezione di ciò che un medico dovrebbe fare, che non per quelli che continuano a far appello al Giuramento di Ippocrate e alla moralità ippocratica per giustificare le loro preocccupazioni moderne.

Questo è il commento di uno storico, non di un medico, il quale è anche consapevole che spesso, nel corso dei secoli, la risposta del grande pubblico al Giuramento ippocratico e ad altri giuramenti simili è stata negativa. Quei giuramenti sono stati visti come un invito alla cospirazione dei medici per gli omicidi, o come un segno di una specie di sindacalismo da closed-shop, dove si elimina ogni competizione e solo gli aderenti a un sindacato entrano nell’azienda, un dettar legge dei medici a tutti quelli che si occupano della cura dei malati, e un serrare i ranghi contro il mondo esterno, specialmente davanti ai reclami dei pazienti. Un autore, altrimenti comprensivo verso i medici, ha scritto che “Ippocrate fece prestare un giuramento ai medici per imbrogliare il resto del genere umano”.

Inoltre, forse senza ragione, il pubblico ha insistito – e continua ad insistere – sul fatto che un medico dovrebbe essere consapevole dei valori morali ed agire in conformità ad essi. I candidati per incarici pubblici in Grecia, a Roma e nell’Italia Medievale erano scelti tanto per la loro moralità che per la loro abilità, e il dilemma se preferire un medico onesto ma di capacità limitate a uno più abile ma con meno scrupoli morali risale lontano.

Tuttavia, anche oggi, quando sono stati così spesso ignorati nel nome della politica e, in modo ancora più insidioso, della scienza, i principi di Ippocrate sulla priorità del benessere del paziente e sull’impulso del medico alla cura offrono un orientamento etico che fa eco alle apettative della società. La riflessione storica suggerisce che le dichiarazioni mediche di moralità hanno avuto maggior successo quando sono stati coinvolti anche i profani accanto ai medici, lo stato e il paziente insieme a chi esercita la professione del medico. Qualunque sia il risultato del dibattito moderno e dei vari appelli ai precedenti storici o ai valori etici, sia che si preferisca Ippocrate rivisto, modernizzato, mutilato o tradotto, una cosa credo sia chiara a tutti i lettori, un giuramento non è una cosa da prendere alla leggera.

L’autore del venerabile Giuramento di Ippocrate mise una delle pietre miliari per lo sviluppo dell’etica medica; ma è necessaria una sua riformulazione sostanziale se si vuole che il suo spirito e i suoi valori, piuttosto che i crescenti fraintendimenti e la fraseologia non più adatta, possano essere utili ed ispirare i suoi discendenti professionali nel ventunesimo secolo.

Vivian Nutton is professor emeritus of the History of Medicine at UCL. A Fellow of the British Academy, the Academnia Europaea and the German Academy of Sciences, he has written extensively on all aspects of medicine from Classical Antiquity to the seventeenth century. He has a particular interest in Galen, several of whose works he has edited and translated. A revised edition of his Ancient Medicine appeared in 2012, and his translation, with commentary of Galen’s Avoiding Distress will appear in 2013.

 

Sintesi delle attività della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie

Sintesi delle attività

Roma, 20 marzo 2013

In marzo si è riunita l’Università degli studi La Sapienza la Giunta della Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni Sanitarie. Tra i tanti aspetti, si è programmato il Meeting di Autunno che si terrà a  Portonovo dal 13 al 14 settembre 2013. Nella sessione pedagogico/didattica, il Meeting affronterà anche tematiche relative alla formazione avanzata (Magistrali/Master) anche alla luce a) dei requisiti minimi di accreditamento che potrebbero veder chiuse numerose sedi di Laurea Magistrale, e b) del lavoro in corso presso l’Osservatorio sui Master. Con l’applicazione dei requisiti minimi e il crescente fenomeno della disoccupazione, emerge inoltre l’esigenza di attivare un approfondito dibattito sui fabbisogni, coinvolgendo i rappresentanti della Conferenza Stato-Regioni, delle Professioni, dell’ISTAT e dell’INPS per comprendere in modo più articolato il fenomeno.

La Conferenza parteciperà infine all’incontro congiunto con le Conferenze dei Presidi di Facoltà, dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia e dei Presidenti dei CLM in Odontoiatria e Protesi dentaria.

La Conferenza congiunta affronterà tematiche di interesse trasversale sulle quali è necessaria/opportuna una prospettiva comune.

Alla luce della nuova circolare Interministeriale del 18 gennaio 2012 che prevedeva, tra altri interessanti aspetti, la valorizzazione dell’esame professionalizzante, la Giunta aveva approvato lo scorso settembre una prima bozza di documento. Tale documento di indirizzo è stato inviato a tutti i Presidenti e Vicepresidenti delle Commissioni che si sono espressi con ampio consenso 1) sulla tipologia di prove da considerare per la prova di abilitazione e 2) sui criteri di valutazione/peso di ciascuna componente della prova (prova pratica /tesi). Durante la Giunta sono stati discussi alcuni aspetti puntuali che saranno  condivisi a livelli istituzionali e, quindi, portati alla Conferenza di Portonovo.

Resoconto della 110a Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia Roma 22-23 Marzo 2013

Saluto delle Autorità: il Prof. Caruso chiede di giustificare l’assenza del Magnifico Rettore in viaggio di ritorno dagli Stati Uniti ma che sarà presente domani mattina, e presenta il ProRettore alla didattica, il Preside, il Direttore Generale dell’Azienda, il Direttore del Dipartimento ed il decano della Medicina Interna che portano il saluto per le loro competenze ed illustrano le problematiche di loro pertinenza.

Comunicazioni del Presidente. Il Prof. Lenzi rimarca con forza la notevole riduzione del finanziamento FFO, il calo dei laureati e delle immatricolazioni ma anche dell’offerta formativa e soprattutto la drammatica riduzione dei professori ordinari. Occorre ripensare tutti i sistemi formativi dalle scuole di specializzazione ai dottorati di ricerca ai corsi di studio, assieme al ruolo dei dipartimenti, Facoltà/Scuola, Presidi. Ricorda la nota del Dott. Livon sull’incardinamento dei corsi di studio nella Facoltà. Approfondisce le nuove regole per la prova di ammissione e l’orientamento degli studenti molto precocemente al terzo/quarto anno di scuola media superiore. Accenna alla possibilità da parte del CUN della revisione dei SSD in previsione dei concorsi del 2014. Infine sintetizza gli argomenti che saranno discussi nella mattinata di sabato 23 marzo.

Il Prof. Gilberto Corbellini presenta la sua relazione “Dall’EBM (evidence based medicine) all’ebm (evolution based medicine): implicazioni per l’insegnamento della medicina”, che suscita notevole interesse e dà corso ad una approfondita discussione con chiarimenti e delucidazioni.

Nel pomeriggio si è tenuto il Forum Pedagogico “L’integrazione nel territorio del sistema delle cure: proposte per una integrazione del percorso formativo”, organizzato in quattro laboratori: 1. L’interazione medico-paziente-famiglia in fase precoce (early clinical contact) e avanzata (Coordinatore G. Familiari); 2. L’approccio professionale al paziente e le sue implicazioni metodologiche (Coordinatore R. Valanzano – A. Palmeri); 3. Interazione Ospedale-Territorio nel curare e nel prendersi cura  (C. Palumbo); 4. La gestione delle risorse nell’interazione tra Ospedale e Territorio (Coordinatore P.M. Furlan); con il dibattito conclusivo in assemblea condotto da P. Gallo e la proposta di un curriculum longitudinale che includa il contributo del territorio.

Sabato 23 marzo, dopo il saluto del Magnifico Rettore rientrato dagli Stati Uniti, inizia la presentazione dei gruppi di lavoro, coordinata dai Proff. R. Valanzano e A. Lenzi.

Il Prof. Demelia illustra la distribuzione dei CFU ai SSD con i dati a lui pervenuti da 28 Corsi di Laurea. Con le medie e i minimi e massimi. La presentazione suscita interesse ma deve essere ulteriormente approfondita con i dati dei Corsi di Laurea mancanti. Viene anche presentata la distribuzione dei corsi integrati nei Piani di Studio. A seguito di questa presentazione viene sollevato il problema dei corsi integrati che si sviluppano su più semestri e più anni e si delibera di presentare una mozione per la quale un esame unico sia sostenuto alla fine del corso (allegato 1) ed inoltre una ulteriore mozione per la quale i CFU delle attività didattiche elettive non debbano obbligatoriamente essere acquisiti con un esame specifico (allegato 2).

Il Prof. Scarone riferisce i risultati del gruppo di lavoro sulle cure palliative e, dopo aver passato in rassegna la normativa e la situazione nel servizio sanitario nazionale, presenta i risultati del questionario, la situazione nelle varie sedi e la proposta di inserimento nel curriculum di queste problematiche molto precocemente e verso la fine del corso, anche mediante l’attività formativa professionalizzante. Dalla discussione emerge la necessità che tutti i corsi di laurea dedichino una serie di CFU a questo argomento e che il gruppo “Core curriculum” proceda alla revisione delle UDE rendendo obbligatorie quelle relative a questo argomento. Per quanto attiene le malattie rare si delibera di riferire nella prossima riunione della Conferenza, coinvolgendo anche la giornalista M. De Bach, autrice di un libro su questo tema.

Il Presidente rende noto che la FNOMCeO  sollecita una cooperazione per cercare di stimolare l’attenzione nei confronti di docenti che vogliano recarsi in paesi in via di sviluppo per svolgervi attività formativa.

La Prof. Filippelli riporta i risultati del questionario sull’insegnamento della farmacovigilanza con descrizione in quali anni è svolta, con quanti CFU, in quali corsi integrati e con quante ore di insegnamento ed in quale attività formativa. Dalla discussione emerge che occorre porre estrema attenzione al fatto che nei nostri corsi sia dedicata una congrua attenzione al tema della farmacovigilanza; in tal senso si invitano tutti i Presidenti ad una sollecitazione ai Docenti del settore, e al gruppo Core Curriculum per la revisione delle UDE obbligatorie in tal senso e al Presidente della Conferenza delle scuole e facoltà prof. Gaudio di segnalare il punto anche ai presidi e direttori scuole e si delibera che a distanza di qualche mese venga ripetuta la valutazione di quanto accaduto attraverso apposito questionario.

Il Prof. Della Rocca, relativamente alle site visit, riferisce gli approfondimenti relativi ai requisiti minimi aggiuntivi rispetto a quelli già approvati nella precedente riunione di Roma del 10.12.12, e i diversi livelli di accreditamento.

Il Prof. Familiari ed il Prof. Cavaggioni presentano una proposta di un modello sperimentale per la selezione e l’accesso ai Corsi di Studio in Medicina e Chirurgia. Tale argomento viene approfondito con l’intervento del Prof. Gaudio sulle modalità di svolgimento della prova di accesso al Corso di Laurea di Medicina a partire dal prossimo luglio.

Il Prof. Familiari ricorda le difficoltà sorte relativamente alla scheda AVA e ne illustra la formulazione definitiva concordata con Alfredo Pontecorvi, Giuseppe Familiari, Fabrizio Consorti, Pietro Gallo, Andrea Lenzi ed Eugenio Gaudio.

Poiché dal 19 marzo l’ANVUR chiede di registrarsi come valutatori all’unanimità la Conferenza invita tutti i Presidenti e Past-President a registrarsi nel sito dell’ANVUR.

Dopo aver illustrato l’indice del prossimo numero della rivista della Conferenza, si comunica che la prossima riunione della Conferenza si terrà a Roma il 23 e 24 giugno 2013.

Resoconto della 109a Conferenza Permanente dei Presidenti dei CLM in Medicina e Chirurgia Roma 10 dicembre 2012

Il Presidente aggiorna i Presidenti relativamente alle norme previste dall’ANVUR per l’accreditamento dei corsi di studio. Successivamente, assieme al Prof. Gaudio, illustra le proposte relative alla prova di ammissione al Corso di Laurea e concernenti: il voto conseguito alla maturità, la formulazione di quiz consoni e non nozionistici, il test psico-attitudunale in via sperimentale e la prova unica anticipata per poter iniziare effettivamente il corso all’1 ottobre. Seguono alcune richieste di chiarimenti ed approfondimenti.

Di grande interesse e con notevole coinvolgimento dei Presidenti, è stata la presentazione del Prof. Luca Pani sulla “Formazione in Farmacovigilanza nei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia”. Dopo una approfondita ed interessante discussione si delibera che l’argomento verrà poi approfondito dalla Prof. Filippelli nel prossimo incontro della Conferenza.

Il Prof. Ricciardi prospetta una “Ipotesi di collaborazione con il US National Board of Medical Examiners”; ne ricorda la storia, la diffusione, le collaborazioni, ne approfondisce lo scopo e le future possibilità. Segue discussione per chiarimenti ed approfondimenti.

Il Prof. Amoroso mostra un esempio di semeiotica pratica per valutare le abilità, utilizzando, CD, DVD, Manuale di Semeiotica Pratica assieme a griglie di valutazione per lo studente e per il docente.

La Prof. Valanzano coordina lo “Stato dell’Arte dei Gruppi di Lavoro”.

Non tutti hanno completato le loro attività e pertanto sintetizzano quanto già prodotto. Il Prof. Della Rocca, coordinatore del Gruppo di Lavoro “Valutazione e site visit di accreditamento”  illustra la sua proposta il cui scopo principale dell’attività del prossimo triennio è quello di trasformare  il Progetto Site Visit in un vero sistema di Accreditamento tra pari, consistente nello stilare, da subito,  i requisiti minimi di possibile accreditamento e le linee guida per il raggiungimento/mantenimento in tempi ragionevoli di tali requisiti in modo “sostenibile” e poi: simulare un programma di accreditamento sui dati del III esercizio; prevedere il I esercizio di un II Ciclo di site visit, più strutturato e agile, possibilmente finanziato almeno in parte; puntare ad un riconoscimento “ministeriale” del programma in termini sia di ufficializzazione dello stesso, sia di possibile strumento di valutazione della didattica relativamente alle strutture (Atenei, “Facoltà”, Dipartimenti) coinvolte. Fra i requisiti minimi vengono definiti l’organizzazione, la qualità e l’accreditamento, le risorse umane, le risorse strutturali e i servizi, la didattica, la valutazione ed il controllo degli studenti, il controllo dei corsi e dei Docenti.

La relazione della Prof. De Marinis “L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi” è una  strategia per implementare la collaborazione interprofessionale attraverso lo sviluppo di: conoscenze (ruoli , competenze …), capacità (relazionali, di gruppo …), attitudini (mutuo rispetto, fiducia reciproca, volontà a collaborare …). Viene approfondito l’approccio pedagogico e le strategie didattiche, la valutazione e i tempi della formazione interprofessionale.

Il Presidente, a nome del Prof. Danieli, illustra le nuove modalità di pubblicazione e diffusione della nostra rivista, che prevedono un finanziamento da parte del Prof. Andrea Lenzi di quattro numeri, in via sperimentale, e  accanto all’ inserimento in rete, verrà curato l’invio del PDF di ogni numero a tutti i Presidenti, perché ne possano curare la diffusione nelle loro sedi, tramite ad esempio la pubblicazione nel sito di Facoltà e la comunicazione ai colleghi di ogni nuovo arrivo. Inoltre ciascun Presidente riceverà 20-25 copie della rivista con l’incarico di curarne, tramite la posta interna di Facoltà, la distribuzione a quelle personalità accademiche ed extra-accademiche che possano essere interessate ai temi trattati.

La prossima riunione della Conferenza si terrà a Palermo il 22 e 23 marzo 2013, con lo svolgimento di un Forum Pedagogico, secondo lo schema già collaudato positivamente a Padova.

L’integrazione del territorio nel sistema delle cure. Ricadute sul processo formativon.58, 2013, pp.2599-2605, DOI: 10.4487/medchir2013-58-9

Abstract

Aim of the present article is to report the conclusions of an educational workshop on the teaching opportunities deriving from community-based medical education.

The workshop started with a briefing illustrating why, how and when the hospital and community settings should be integrated in planning an undergraduate curriculum in Medicine. After that, participants have been divided into four parallel workshops respectively dealing with; i) physician-patient-family interaction; ii) management of frail patients in the community; iii) health care in the community; iv) management of healthcare resources in the community.

The final debriefing and discussion has allowed some conclusions to be drawn: i) integration of the hospital and community settings in medical students education is both necessary and useful, taking profit of the natural features of the two settings, respectively favouring the study of disease and illness; ii) such an integration should not be limited to the last years of the medical curriculum, but be spread along all the six years, starting from an early clinical contact in the first year; iii) some educational tools and methods appear to be particularly suitable in the community context, e.g. narrative medicine (and board diary in particular) and problem solving (not limited to individual medical histories but extended to community health problems); iv) aim of community-based medical education is not only to develop students’ knowledge, skills and professional competence, but also to help students acquire a comprehensive vision of healthcare management.

Articolo

Premessa

Scopo di questo articolo è riferire sui contenuti dell’atelier pedagogico che il Gruppo di Studio Innovazione Pedagogica ha organizzato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di CL in Medicina. L’atelier (Tab. 1) si è svolto in occasione della riunione della Conferenza che si è tenuta a Firenze, il 5 Ottobre 2012.

L’atelier ha preso l’avvio con una riflessione su tre domande: perché realizzare l’integrazione sul territorio del sistema delle cure? E come realizzarla? E, infine, quando, in quale fase del curriculum degli studi, realizzarla?

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Tab. 1 – Programma dell’atelier “l’integrazione nel territorio del sistema delle cure: ricadute sul processo formativo” (Firenze, 5 Ottobre 2012).

Perché un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione del territorio nel sistema delle cure?

La riflessione della Conferenza è stata che l’integrazione nosocomio-territorio nella formazione dello studente in Medicina è intanto necessaria, ed è sopratutto utile. La necessità di questa integrazione deriva dal patto formativo tra Università e Studenti, che prevede che non sia corretto sottoporre a verifica certificativa ciò che non è stato insegnato. Al contrario, l’attuale normativa prevede che l’esame di stato per l’abilitazione alla professione medica includa un tirocinio valutativo sul Territorio e, nello specifico, presso gli studi dei Medici di Medicina Generale. È evidentemente necessario che l’Università organizzi un tirocinio formativo prima della laurea, in modo da preparare i propri studenti all’esame di stato. Al momento, il tavolo tecnico insediato presso il Ministero della Salute sta valutando l’ipotesi di inserire organicamente nel curriculum degli studi medici un tirocinio sul territorio che sia insieme formativo e valutativo, aprendo la strada alla trasformazione dell’esame di laurea in Medicina in una laurea abilitante. La nostra Conferenza auspica da tempo questa soluzione, vedendovi un’utile opportunità didattica. Infatti, il Territorio si presta meglio del Nosocomio per l’insegnamento di significativi aspetti della professione medica, quali:

– la relazione medico-famiglia-paziente, con tutte le implicazioni della visita domiciliare;

– la relazione interprofessionale tra i diversi professionisti della salute, che trova ambiti privilegiati nel territorio;

– la metodologia didattica dell’approccio clinico per problemi, che include tanto problemi di salute del singolo paziente, che problematiche di epidemiologia e prevenzione dell’intera popolazione;

– l’approccio privilegiato al paziente fragile, in un contesto di prevalenza di problemi di salute cronici assai diverso da quello nosocomiale;

– l’insegnamento sul campo della struttura e delle funzioni del sistema sanitario nazionale e delle cure primarie;

– l’insegnamento dei principi del management sanitario e della sostenibilità dell’impegno sanitario sul territorio;

– Un approccio più sistematico di quanto sia possibile realizzare nel nosocomio ai principi della salute globale e della medicina delle migrazioni.

Infine, mostrare allo studente in Medicina l’importanza della gestione del benessere e della salute della popolazione è un modo per migliorare la qualità (ed accrescere la quantità) delle vocazioni rispetto alla medicina di base e per innescare una preparazione remota all’impegno attivo sul territorio.

Come un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione del territorio nel sistema delle cure?

L’integrazione nosocomio-territorio è solo un caso particolare di quell’integrazione didattica (trasversale vs. longitudinale, interdisciplinare vs. interprofessionale) di cui la Conferenza Permanente dei Presidenti di CL in Medicina ha da tempo riconosciuto la necessità e il valore pedagogico. La Conferenza si è espressa più volte in favore del superamento della mera multi-disciplinarità, intesa come “somma” di discipline; del raggiungimento di una effettiva interdisciplinarità e interprofessionalità; e della progressione verso la transdisciplinarità, con un insegnamento che prescinda dall’appartenenza disciplinare dei docenti e tenda al superamento del concetto stesso di settore scientifico-disciplinare.

Quando, in quale fase del curriculum, un CL in Medicina dovrebbe realizzare l’integrazione sul territorio del sistema delle cure?

Al momento attuale, la tendenza maggioritaria nei CL in Medicina italiani è quella di realizzare l’integrazione del sistema delle cure nel territorio nell’ultimo anno del corso di laurea in Medicina, favorendo l’integrazione didattica dei medici di medicina generale con i docenti di medicina interna e/o di sanità pubblica. Al contrario, in un curriculum degli studi a forte integrazione longitudinale1, nel quale le attività professionalizzanti siano “spalmate” in diversi e successivi anni di corso, si può ipotizzare una collocazione più ampia del contributo offerto dal territorio.

Al termine di questa introduzione, i partecipanti all’atelier si sono suddivisi (Tab. 1) in quattro laboratori distinti, diversificati per tema.

Laboratorio No. 1: L’interazione medico-paziente-famiglia

Il Laboratorio No. 1, condotto da Luciano Vettore e animato da Massimo Casacchia e Maria Stella Padula si è dato un titolo articolato e programmatico: “Le differenze nelle relazioni tra medico, paziente e famiglia negli ambiti professionali della medicina ospedaliera e – rispettivamente – della medicina generale; possibilità d’integrazione e peculiarità che meritano di essere insegnate: quando, come e da chi?

Dopo una breve premessa iniziale del conduttore sulle “regole del gioco”, i due “discussant” hanno presentato come “trigger” della discussione due storie di relazioni tra medico, paziente e famiglia.
La prima “storia” nel contesto ospedaliero, presentata da Massimo Casacchia, narra il ricovero nella “reparto-tenda” di Psichiatria nel dopo-terremoto dell’Aquila di un ragazzo di 24 anni per peggioramento del quadro clinico, su iniziativa del suo  Medico di famiglia (MdF), che aveva riorganizzato la sua azione di cura nelle tendopoli. La madre del paziente, ospitata nella struttura (a differenza di quanto sarebbe potuto accadere nel reparto ospedaliero in muratura), collabora con medici e infermieri nell’assistenza al figlio e diventa in ciò “esperta”, continuando questo suo apporto anche dopo la dimissione. Anche dopo di questa l’MdF continua a seguire il paziente per i problemi medici in stretta relazione con la madre.

La seconda “storia” nel setting della Medicina Generale (MG), presentata da Maria Stella Padula, è stata scritta da una studentessa: narra una visita domiciliare a una paziente ultraottantenne emiplegica, assistita dalla figlia precocemente vedova, che presenta una amputazione all’arto superiore all’altezza del gomito; essa ha a sua volta tre figlie adolescenti, due delle quali con problemi di salute e psicologici. Tutto ciò fornisce un quadro esistenziale di sofferenza dell’intera famiglia, e i problemi delle figlie diventano il vero oggetto della visita, mentre le condizioni fisiche della nonna diventano alla fine solo il pretesto della visita domiciliare. Il racconto della studentessa è molto “partecipato” anche dal punto di vista emotivo e rivela i molti interrogativi che questa si pone come riflessione su ciò a cui ha assistito, tanto che ha intitolato la sua storia “Una famiglia da curare: un puzzle della sfortuna”.

Alla conclusione della presentazione delle due storie la discussione risponde sostanzialmente a tre domande:

1) Cosa abbiamo imparato dalle narrazioni?

2) Cosa possono imparare gli studenti dagli eventi narrati per farne tesoro quando nella loro professione futura dovranno porre attenzione alla relazione tra medico, paziente e suoi familiari, sia all’interno dell’ospedale che sul territorio.

3) Quale contributo formativo differente, ma sperabilmente integrabile perché complementare, possono dare riguardo a ciò la Medicina dell’Ospedale e la Medicina generale?

Infine l’ultima parte del Laboratorio è dedicata alla presentazione di un progetto, consistente in due moduli didattici.

Il primo modulo propone un progetto di lettera di dimissione dall’ospedale con i contenuti di seguito indicati, in buona parte attinenti alle relazioni con il MdF e con la famiglia.

– Le ragioni del ricovero, la diagnosi, la sua gravità e la prognosi;

– le possibili conseguenze della malattia sulla vita del paziente negli aspetti lavorativi, familiari, relazionali e comportamentali (per es, stili di vita);

– l’eventuale presenza di co-morbidità e di fattori di rischio;

– il grado di consapevolezza del paziente sulla sua condizione;

– il presumibile carico familiare dell’assistenza;

– il progetto terapeutico non solo con le prescrizioni, ma anche con le indicazioni dei possibili supporti che potranno venire dall’ambulatorio divisionale e dal day hospital;

– i possibili segni premonitori di un’eventuale riaccensione della malattia, nei confronti dei quali lo staff ospedaliero dichiara la propria disponibilità a fornire tempestivamente consulenza telefonica o via mail;

– l’invito esplicito e la piena disponibilità a continuare la collaborazione nel prosieguo delle cure con il MdF, con i familiari di riferimento e con gli eventuali care giver.

Le caratteristiche di tali contenuti acquisiscono valenza formativa se di esse è reso partecipe lo studente che conosce quel paziente.

L’obiettivo didattico del modulo si propone di stabilire nel processo comune di cura relazioni reciproche tra staff ospedaliero, MDF e famiglia.

La metodologia didattica consiste nella preparazione e nella consegna della lettera in presenza dello studente. Sarebbe poi auspicabile che ogni studente potesse accompagnare almeno una volta uno dei pazienti che ha seguito durante il ricovero alla prima visita del MdF dopo la dimissione, ma ciò sarà possibile solo con studenti già in possesso di discrete competenze cliniche e con MdF adeguatamente formati alla funzione tutoriale.

La collocazione temporale nel curriculum di fatto coincide con il periodo nel quale lo studente frequenta il reparto.

Il secondo modulo propone il progetto “Adottare un paziente cronico”.

Si tratta di un iter guidato della durata di 3 anni, nel quale uno studente deve seguire un paziente cronico e la sua famiglia nei percorsi di diagnosi e cura, sia nell’Ospedale che sul Territorio. Lo studente deve compilare un diario di bordo “strutturato”, costituito cioè da numerose “griglie” nelle quali annotare i problemi e le informazioni anagrafiche del paziente e della sua famiglia, i dati e le motivazioni del follow up clinico (osservazione delle visite, eventi intercorrenti, approfondimenti diagnostici, decisioni terapeutiche e loro motivazioni); sono presenti inoltre schede di autovalutazione delle capacità comunicative e dell’emotività, nonché spazi “narrativi” per le note personali sul caso, su ciò che lo studente ritiene di aver imparato, ma anche sulle proprie reazioni emotive suscitate da esso, fornendo così un forte stimolo all’apprendimento metacognitivo.

L’obiettivo didattico del modulo è quello di stimolare lo studente a osservare e narrare per imparare a riflettere su ciò che sta imparando.

La metodologia didattica si sostanzia di un diario di bordo strutturato con le caratteristiche sopra descritte.

La collocazione temporale nel curriculum è longitudinale: per es., al CdLM in Medicina di Modena, dove il progetto è in sperimentazione, è situata continuativamente dal 3 al 6° anno.

Laboratorio No. 2: La gestione del paziente fragile sul territorio

Conduttore Giuseppe Familiari, Discussant Anna Paola Mitterhofer e Giulio Nati

Definizione di paziente fragile

La descrizione del paziente fragile è piuttosto complessa e ancora in via di definizione poiché oltre a far riferimento ad aspetti di tipo clinico, raccoglie le problematiche di tipo socio-assistenziale che generalmente coesistono in questo tipo di paziente.

Nei pazienti fragili si osserva generalmente la presenza di più malattie croniche. Si tratta di pazienti generalmente anziani, disabili o con malattie disabilitanti, talvolta malati psichiatrici con comorbidità e di difficile gestione assistenziale, il cui outcome è quasi sempre negativo. Operativamente, la fragilità può essere quindi letta secondo alcuni aspetti/domini peculiari quali lo stato socio-ambientale critico, la ridotta autonomia funzionale, l’invecchiamento avanzato, la coesistenza di malattie croniche e la polifarmacoterapia.

La fragilità dovrebbe essere, però, più della somma di singole condizioni patologiche e andrebbe interpretata come una patologia complessa e unica, la cui gestione non si risolve sommando più consulenze specialistiche (più prestazioni professionali, più linee guida, più diagnosi, più prescrizioni terapeutiche), ma praticando realmente la cooperazione e l’interazione di più professionisti, del paziente, del suo nucleo familiare e sociale connessi in rete2.

Il rapporto didattico-assistenziale con il paziente fragile

I principali punti del rapporto didattico-assistenziale con i pazienti fragili sono basati su problematiche legate alla condizione geriatrica, al ruolo delle cure palliative, all’autonomia di questi pazienti e all’organizzazione dell’ambiente sociale3.

La condizione geriatrica a causa della multimorbidità e la presenza di disfunzioni disabilitanti come il difficile controllo vescicale, l’incontinenza e la riduzione del visus, richiede un approccio olistico ed un giusto timing dei ricoveri ospedalieri. Le cure palliative svolgono un ruolo cruciale nel controllo del dolore e la libertà dal dolore è una condizione necessaria per il miglioramento dello spirito e quindi lo stato psicologico di questi pazienti, influenzando positivamente loro autonomia. L’organizzazione dell’ambiente sociale condiziona e definisce il contatto con i curanti, è di estrema importanza per il paziente fragile, e sembra esserlo più di quanto i pazienti non riferiscano.

Gli obiettivi didattici nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia si debbono prefiggere di sensibilizzare gli studenti al tema della fragilità con l’esposizione precoce sin dal primo anno di corso (Early Clinical Contact, ECC) per una migliore empatia con il malato, di indurre motivazioni alla cura di condizioni di difficoltà sociale associate a disabilità mentale o fisica rinforzando l’aspetto sociale della cura medica, indurre riflessioni sull’assistenza e la comprensione di pazienti che manifestano fragilità, insegnare il comportamento più adatto nella gestione dei pazienti fragili, acquisire capacità di comportamento sia in ambito bio-medico che psico-sociale4-10.

Modelli adeguati di Curriculum medico dovrebbero inoltre prevedere un insegnamento interdisciplinare e interprofessionale (IPE), quest’ultimo rivolto a gruppi di infermieri e studenti di medicina, dedicato alle cure palliative e con gli obiettivi didattici specifici studiati su pazienti fragili anziani (geriatrics, palliative care, communication and patient autonomy, organization and social networks) allo scopo di formare futuri gruppi di lavoro più affiatati e quindi più efficaci9.

Deve poi essere sottolineata la necessità, per gli studenti, della figura di riferimento definita come “individual lead o champion”, intesa come docente fortemente motivato sull’importanza dell’insegnamento medico e capace di trasmettere con entusiasmo agli studenti un approccio sempre positivo verso il malato3. Il ruolo del docente in questo contesto si dimostra essere fondamentale per il semplice presupposto, ampiamente dimostrato, che gli studenti osservano e copiano i comportamenti dei loro docenti, ed il loro ruolo diventa un modello comportamentale per il carattere futuro degli studenti stessi11.

Il gruppo di lavoro ha anche ritenuto che fosse importante saper identificare precocemente i sintomi ed i segni che caratterizzano i pazienti fragili, in particolare per gli aspetti psichiatrici, per intervenire il più tempestivamente possibile ed arrestare il processo evolutivo della/e patologia/e.

Per quanto riguarda gli strumenti, si è ritenuto di dover sottolineare il valore didattico del tirocinio professionalizzante, in particolare se sostenuto da momenti d’aula sia prima (come introduzione) che dopo (come conclusione) del periodo di pratica.

La gestione del paziente fragile sul territorio

La definizione di tale obiettivo didattico è costituita dalla risposta alla domanda su quali tra le competenze specifiche un MMG debba saper mettere in atto per gestire i pazienti fragili, sempre nel riferimento alle caratteristiche di tali pazienti, per poi identificare quali competenze specifiche debbano essere messe in atto dalla Medicina Generale sul territorio.

Per quanto attiene specificamente alla Medicina Generale, è necessario fare riferimento allo specifico core curriculum per l’insegnamento, che descrive sei competenze specifiche (gestione delle cure primarie, centralità del paziente, risoluzione di problemi specifici, approccio multidisciplinare, orientamento alla comunità, approccio olistico), all’interno delle quali si possono identificare gli aspetti rilevanti nella presa in carico territoriale del paziente fragile12.

Laboratorio No. 3: La tutela della salute sul territorio

Conduttore Fabrizio Consorti, Discussant Maria Luisa Sacchetti e Loris Pagano

Il punto di partenza per poter parlare di tutela della salute sul territorio è la considerazione complessiva dell’intero sistema delle cure primarie, che si estende ben oltre la medicina generale, per quanto quest’ultima rivesta un ruolo “pivotale”. Infatti oltre alle diverse figure mediche coinvolte (pediatri di libera scelta e altri specialisti), bisogna considerare la complessa rete di strutture organizzative esistenti ed operanti nel territorio. Esistono infatti i Centri di Assistenza Domiciliare (CAD) e i servizi di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e Programmata (ADP), ognuno dotato delle sue specificità, risorse e normativa. Non vanno dimenticati infine i grandi ambiti della Salute Mentale (CSM) e dei consultori materno-infantili. Tutte queste strutture devono poter trovare posto in un progetto organico di formazione al concetto di tutela della salute, che si pone come obiettivo non la cura della malattia acuta o cronica ma la promozione di stili di vita corretti, la diffusione di informazioni utili al mantenimento della salute, la prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

Una nota particolare durante il laboratorio è stata fatta a proposito del ruolo delle associazioni di volontariato, che possono costituire una ulteriore risorsa per la progettazione didattica, rappresentando spesso un ambiente privilegiato perché uno studente possa sperimentare le attività di prevenzione o avere contatto con ambiti particolari come le malattie rare, ad esempio per il counselling familiare.

Obiettivi formativi

Se si volessero delineare possibili obiettivi e competenze per l’ambito della tutela della salute nel territorio, si dovrebbe innanzitutto partire dalla caratteristica dominante del territorio stesso, per come delineato in precedenza, cioè dalla sua “complessità”.

Un primo obiettivo potrebbe perciò essere quello di consentire l’acquisizione da parte dello studente della visione e conoscenza complessiva del sistema delle “cure primarie”.

La frequenza delle strutture territoriali dovrebbe essere indirizzata a che lo studente possa esplorare

– il “ruolo” del medico nel territorio

– la complessità delle condizioni di salute

– il reale valore dei determinanti di salute

cogliendo l’importanza del lavoro coordinato e di équipe.

Temi particolari, tipici di questo ambito e molto attuali potrebbero essere le dipendenze:

– alcool

– sostanze da abuso

– gioco

Una funzione molto importante e che dovrebbe avere notevole rilievo è quella del ruolo informativo verso i pazienti, soprattutto per quanto riguarda gli stili di vita (alimentazione, attività fisica, fumo e altri fattori di rischio, igiene sessuale), la capacità di leggere in maniera critica le informazioni provenienti dai media e da Internet, il counselling genetico anche in funzione dei programmi di screening e i programmi vaccinali.

Tutto questo infine dovrebbe consentire allo studente di sperimentare come la pratica clinica basata su evidenze sia possibile anche nella complessità del territorio.

Collocazione curriculare e criticità

Come si vede non si tratta di obiettivi e competenze che possano essere risolti con qualche seminario, ma si richiede una riorganizzazione organica del curriculum, perché si possa essere efficaci.

In particolar modo sembra importante che le attività formative indirizzate a questo ambito siano collocate fin dall’inizio degli anni clinici (4° anno), avendo allocate una quantità di CFU significativa, basata soprattutto su didattica professionalizzante (fra 2 e 5 CFU), integrata da poca didattica frontale. Non si tratta della solita richiesta di “più spazio curriculare” di una nuova disciplina che si affaccia all’agone accademico, ma unicamente della considerazione che ci si sta avviando a trasferire il mese valutativo in Medicina Generale dell’esame di stato al’interno del corso di laurea. Si colga dunque l’occasione per caricare di significati didattici quell’esperienza.

Le principali criticità individuate consistono soprattutto nella miglior definizione della figura del tutor (riconoscimento e retribuzione, formazione e valutazione), nell’integrazione con le strutture del territorio – probabilmente più complessa ancora che con quelle ospedaliere – e nel rapporto politico coi decisori regionali. Da ultimo di sottolinea come un cambiamento di questa portata sarà possibile solo se preceduto dalla preparazione di un “terreno fertile” nei corsi di laurea, sostenuto da iniziative come quelle intraprese in maniera lungimirante dalla Conferenza.

Laboratorio No. 4: La gestione delle risorse sanitarie sul territorio

Il Laboratorio n. 4 è stato condotto da Carlo Della Rocca, ed animato dallo stesso e da Carlo Saitto.

Le tesi proposte all’inizio del lavoro sono state le seguenti:

– l’ottimizzazione delle risorse nella gestione della salute sul territorio è possibile tramite l’integrazione delle attività socio-sanitarie ed il continuo aggiornamento delle metodologie di prevenzione, diagnosi e cura

– questo approccio “aperto” e “lungimirante” alla gestione della salute pubblica deve essere patrimonio del medico e quindi merita di essere insegnato: quando, come e da chi?

Le modalità di lavoro adottate hanno seguito il seguente schema:

– Il Coordinatore ha brevemente introdotto il tema

– I due “Discussant” hanno presentato due esempi/proposte di ottimizzazione delle risorse per la gestione di interventi di sanità territoriale

– Il Gruppo ha effettuato un’ampia discussione collegiale sul tema dalla quale è scaturita una  proposta di un “modulo didattico” con i suoi obiettivi, metodologie didattiche e collocazione temporale nel  curriculum.

La considerazione preliminare è stata quella che la necessità di rendere “sostenibile” un sistema sanitario che si prenda cura in modo equo della totalità dei soggetti rende indispensabile che ogni singolo operatore sia consapevole della problematica dell’ottimizzazione delle risorse. In particolare il medico, per le sue prerogative di Dirigente, ovunque svolga la propria attività, mette in essere quotidianamente atti che comportano l’impiego di risorse o direttamente gestite o indirettamente coinvolte sia a livello di ospedale sia di territorio.  È ovvio che non è possibile, quindi,  escludere dall’iter formativo del medico una specifica informazione sulle conseguenze economiche delle sue scelte operative e l’esposizione alla problematiche della gestione delle risorse. Non è un caso, infatti, che ormai pressoché tutti i CLMMC d’Italia (fonte: site visit) prevedano nell’ambito dei loro curricula la presenza di corsi/moduli di “economia sanitaria/management”. Peraltro, nella maggioranza dei casi, i contenuti di tali corsi appaiono scarsamente integrati con le problematiche cliniche, come se fossero “a latere” delle stesse. In realtà è opinione del gruppo che la gestione delle risorse più che essere un argomento “aggiuntivo” da studiare, dovrebbe essere una chiave per  riordinare le conoscenze cliniche dello studente (e del docente). Le risorse, infatti, non vanno considerate come solo un mero problema di costi e la loro gestione è ormai diventata a tutti gli effetti parte integrante della qualità stessa delle cure. In questo senso la loro corretta gestione trasforma la conoscenza medica in assistenza, colloca l’assistito all’interno della sua storia e del suo sistema di relazioni, e inserisce la dimensione individuale dell’assistenza in un sistema di cura e di tutela della salute. Le conseguenze possibili di un approccio di questo tipo sul “sapere medico” coinvolgono sia gli aspetti della conoscenza, sia del conseguimento delle abilità e delle competenze, sia della visone stessa dell’apprendimento dello studente. Nello specifico settoriale del territorio sono considerabili due approcci esemplificativi: le risorse interpretate intorno al paziente con risvolti evidenti e immediati sulle problematiche di governo clinico e le risorse interpretate  intorno al bisogno di salute della popolazione con evidenti implicazioni di Sanità Pubblica.

In definitiva il gruppo ha condiviso che il tema della gestione delle risorse rimanda, in ultima analisi, alla definizione di un’etica delle responsabilità che è forse la sostanza della stessa idea di cura.

Alla luce di quanto discusso, il gruppo ha proposto il seguente “modulo didattico”:

• Obbiettivi (conoscenze, abilità, competenze, visione)

– saper agire, nel suo essere clinico (diagnosta e terapeuta), in modo “economicamente congruo”

– essere partecipe ed attore di strategie in continua evoluzione che devono portare al ripensamento continuo dei percorsi di prevenzione e diagnostico-terapeutici in base al progredire delle conoscenze e delle tecnologie

– interagire e coinvolgere altri soggetti in termini di sinergie di azioni e di interessi e di         integrazione socio-sanitaria

• Metodologia didattica

– Problem solving

– Stages

• Collocazione temporale

–  Spalmato tra metodologie – patologie integrate – medicine e chirurgie in forma di UDE (Unità Didattiche Elementari) su specifici problemi di ampia rilevanza (es. screening del carcinoma della cervice uterina; il diabete; ecc.)

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Tab. 2 – Ipotesi di lavoro, emersa a conclusione dell’atelier “l’integrazione nel territorio del sistema delle cure: ricadute sul processo formativo”, su una possibile distribuzione longitudinale della didattica sul territorio nel curriculum degli studi.

Conclusioni

Al termine del lavoro nei quattro laboratori, si è tenuto un debriefing di restituzione in assemblea plenaria. I Conduttori dei laboratori hanno riferito su quanto emerso nei rispettivi gruppi di lavoro e l’assemblea ha animato un dibattito.

Tutti hanno convenuto sull’opportunità dell’integrazione nosocomio-territorio nella formazione dello studente in Medicina, sfruttando le differenze naturali tra i due diversi setting, ad esempio privilegiando lo studio della disease in ambito ospedaliero e della illness sul territorio.

Un’altra conclusione sulla quale si è registrato un consenso unanime, è l’opportunità di non limitare l’apporto del territorio ad un tirocinio valutativo nell’ultimo anno del corso di laurea ma di distribuire la didattica in questo setting in numerosi anni, sfruttando esperienze di “dorsale metodologica” quali il corso integrato di Metodologia Medico-Scientifica che si estende dal I al VI anno nei corsi di laurea della Sapienza di Roma. Il dibattito si è animato sulla quantità di CFU che è necessario allocare per coprire la didattica sul territorio, specie se distribuita su diversi anni: c’è chi ritiene sia necessario riservare alla medicina sul territorio un elevato numero di CFU, e chi pensa che sia possibile inserirla come didattica integrata nei corsi esistenti senza dover ogni volta creare moduli didattici autonomi e allocare CFU specifici. La didattica sul campo solleva comunque il problema, tutt’altro che secondario, di formare, valutare e incentivare (retribuire?) i tutor.

Il dibattito ha incluso anche il suggerimento di strumenti didattici specifici per la didattica sul campo, quali la medicina narrativa (è di grande utilità e pertinenza l’uso del diario di bordo), il problem solving (non limitato ai problemi di salute del singolo ma anche a quelli della comunità). Il fine è quello di aiutare lo studente a sviluppare non solo conoscenze, abilità e competenze professionali, ma anche una visione complessiva della gestione della salute.

Infine, il dibattito emerso nei laboratori, ed illustrato in plenaria (Tab. 2), ha permesso di formulare una ipotesi di lavoro, che verrà ripresa nel Forum che il Gruppo Innovazione Pedagogica organizzerà per la riunione di Palermo, sulla possibile distribuzione nei sei anni di corso dei contenuti della didattica sul territorio.

Bibliografia

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11) Brunger F, Duke PS: The evolution of integration: innovations in clinical skills and ethics in first year medicine. Med Teach 34: e452-458, 2012.

12) Familiari G, Consorti F, Valanzano R, Vettore L, Casacchia M, Caruso G, Della Rocca C, Gallo P: Per un insegnamento eticamente fondato nei CLM in medicina e chirurgia. Med Chir 54: 2383-2391, 2012.

13) Andreoni M, Arullani A, Cavallini M, Chiriatti A, Cittadini A, Della Rocca C, Donato G, Mazzilli M, Nati G, A Nigro A, A Nobile A, G Tarsitani G, F Traditi F: Il Core curriculum per l’insegnamento degli argomenti di Medicina Generale nel Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Med Chir 46: I-IV, 2009.

Cita questo articolo

Gallo P., Consorti F., Studio individuale e studio guidato. Concetti, bisogni e approcci, Medicina e Chirurgia, 58: 2599-2605, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-9