Malato per un giornon.54, 2012, pp.2396-2398, DOI: 10.4425/medchir2012-54-5

Abstract

Relational and organizational competences are not widely diffuse in medical curriculum. Our goal standard is teaching and maintaining the cleverness to understand the experience of disease. In the project “Patient for a day”, 50 students (3rd year) followed the routinely steps for admission in a First Aid Unit, like a real patients, in order to understand the emotional impact. They observed: nurse reception, working environment, examination, transfer and permanence in a ward. All data were discussed with clinical psychologist. Efficiency seems to be prevalent on efficacy. Scarce attention was paid on privacy and human relations. Loneliness is diffuse among elderly.

Articolo

Introduzione

Le competenze professionali del medico includono la competenza relazionale e la competenza organizzativa, che non sempre trovano adeguato spazio nel curriculum formativo. Per una complessa serie di ragioni antropologiche, psicologiche, storiche e tecniche (su cui non ci soffermeremo) il rapporto tra medico è paziente ha una forma molto tipica e praticamente universale, benché sia nel contempo oggetto di valutazioni contrastanti e ambivalenti. Basti ricor­dare che lo storico della medicina Sigerist definì la relazione tra medico e paziente come una “relazione pura da persona a persona” proprio negli stessi anni in cui l’economista Schumpeter la valutava come “l’ultimo esempio sopravvissuto di sfruttamento diretto e puro dell’uomo sull’uomo”. L’unica affermazione certa è che si tratta di una relazione diversa da tutte le altre relazioni tra tecnico specialista ed utente profano. Basterebbe riprendere la letteratura contemporanea sul consenso informato e sull’autonomia del paziente per rendersene facilmente conto. Esiste dunque tra i due protagonisti un’asimmetria, che spesso viene letta in chiave di potere. Lettura fuorviante a meno che non si analizzi più in dettaglio il senso e la posta in gioco della asimmetria.

Rimanendo dal punto di vista del medico, dobbiamo riconoscere che in generale esiste una difficoltà del medico ad assumere il punto di vista del paziente, spesso per specifiche ragioni difensive di cui si deve riconoscere in alcuni casi la legittimità ed anche la necessità. Solo essendo sufficientemente lontano dal paziente, infatti, il medico può assumere un punto di vista “oggetti­vo”. Tuttavia, la distanza può diventare lontananza e rischiare così di impedire una comunicazione efficace ed efficiente proprio ai fini terapeutici. Cercare di collocarsi alla giusta distanza o, meglio, riuscire ad assumere diversi punti di vista richiede lo sviluppo di una competenza complessa che deve iniziare in fase formativa.

Dal punto di vista delle identificazioni, il percorso formativo dello studente in medicina può essere descritto come uno spostamento dall’iniziale identificazione con l’oggetto di cura alla finale identificazione con il curante. Tale percorso è necessario e pone le basi per lo sviluppo della professionalità ma, al contempo, sembra implicare l’oblio della primitiva identificazione. In altri termini, diventare medico sembrerebbe implicare l’acquisizione di uno sguardo ed un linguaggio specifici, con la contemporanea perdita della comprensione dello sguardo e del linguaggio della persona malata a cui può conseguire, nella relazione, una distanza che rischia l’incomunicabilità. Montaigne nei suoi Saggi scrive: “ (…) Platone aveva ragione di dire che per essere un vero medico sarebbe necessario che colui che volesse esserlo fosse passato per tutte le malattie che vuole guarire e per tutti gli accidenti e le circostanze di cui deve giudicare. È giusto che prendano la sifilide se vogliono saperla curare. Io mi fiderei veramente di costui. In realtà gli altri ci guidano come colui che dipinge i mari, gli scogli e porti stando seduto sulla sua tavola e facendovi andare su e giù il modello di una nave, in tutta sicurezza. Mettetelo alla prova dei fatti, non sa da dove cominciare” (Libro III, capitolo XIII).

Non perdere la capacità di cogliere il senso dell’esperienza di malattia (senza doversi per forza ammalare) è un obiettivo formativo specifico del nostro corso di laurea. In questo senso, stiamo sviluppando un percorso che permetta allo studente di instaurare e poi mantenere il contatto con la soggettività della malattia. Al precoce contatto con gli infermieri e le persone malate (I anno), segue la discussione e poi la stesura scritta e meditata sugli spunti offerti dal cineforum (II anno). E’ stato dunque quasi naturale proseguire l’iter formativo con un progetto focalizzato sulla capacità di ascoltare altri linguaggi, fondamento della competenza relazionale ed anche della competenza organizzativa. Raramente tale competenza viene presa in considerazione nel curriculum, nonostante il medico (ospedaliero o territoriale) si trovi a confrontarsi con la complessità organizzativa del sistema sanitario. Frequentare i reparti fin dalle prime settimane del corso, ritornarci poi come malato per un giorno contribuisce a mantenere attiva l’attenzione nei confronti dei modi di funzionare e della cultura degli attori sociali della sanità, condividendo al contempo i disagi, le sofferenze e le paure delle persone malate.

Materiali e Metodi

Nel progetto “Malato per un giorno” sono stati coinvolti 50 studenti del III anno del CLM in Medicina e Chirurgia, con modalità di arruo­lamento volontaria e certificazione come Atti­vità Professionalizzante a scelta dello studente. Non esistendo analoghe esperienze in altri Corsi, la strutturazione dell’attività, gli obiettivi for­mativi e la valutazione dei risultati sono stati proposti dal Presidente del corso di laurea e condivisi con un piccolo gruppo di docenti e tutors della Psicologi Clinica. L’organizzazione è stata coordinata dal Presidente del corso di laurea insieme a: Direttore Generale, Direttore Sanitario e Dirigente infermieristico dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi – Firenze. L’attività formativa proposta prevede che lo stu­dente segua l’iter di accettazione in una struttura sanitaria complessa, come persona malata, al fine di coglierne l’impatto emotivo e di osservare tutto ciò che avviene. Egli condivide l’iter ed i tempi di accettazione in Pronto Soccorso e la seguente giornata nel reparto in cui viene assegnato, come tutte gli altri utenti. Descrive su un diario le sen­sazioni, i pensieri e le emozioni conseguenti alla permanenza in Pronto soccorso e poi in reparto. Gli elaborati sono successivamente oggetto di briefing condotti da docenti di Psicologia Clinica

Strutturazione della giornata

– Lo studente prepara a casa una piccola borsa contenente: pigiama, set per l’ igiene personale ed un quaderno.

– Si presenta alle ore 9 nei giorni di Venerdì o Giovedì (secondo il calendario stabilito) al desk del triage del Pronto soccorso, già munito di codice identificativo (codice rosa), fornitogli in precedenza.

– Dichiara dolore toracico e viene registrato su cartaceo, al fine di non gravare sui fondi assegnati dalla Regione e di non inficiare le casistiche relative alle varie patologie.

– Rimane al triage fino all’accettazione nella prima stanza libera.

– Viene visitato dai medici in servizio.

– Il personale amministrativo assegna il malato ad uno dei due reparti di accoglienza, identificati dalla Direzione sani­taria ed afferenti al DAI emergenza ed accettazione. Viene riservato un posto libero nei giorni identificati.

– Il front office comunica alla SOD l’arrivo del malato

– Il malato viene trasportato presso il reparto individuato. Indossa il pigiama e dispone i propri oggetti personali nel proprio armadietto.

– Gli infermieri sono informati, ma hanno avuto specifica informazione/formazione sul trattamento del paziente come tutte le altre persone malate.

– Il medico di turno visita il malato e ne raccoglie l’anamnesi

– Il malato usufruisce esclusivamente dei pasti previsti per i degenti.

– Il malato annota sul diario tutti gli eventi della giornata, nonché il proprio progressivo vissuto sui campi di osserva­zione elencati di seguito (con l’ovvia possibilità di ulteriori annotazioni):

  • accoglienza infermieristica
  • ambiente di lavoro
  • visita medica
  • trasferimento
  • degenza in reparto.

– Il malato viene dimesso la mattina seguente.

Risultati

Hanno completato la giornata 42/50 studenti. In 4 casi non era disponibile il posto letto; 4 studenti si sono ritirati volontariamente dopo alcune ore.

Sono stati compilati 19 report scritti e 23 orali, con successiva stesura scritta, includenti i campi di osservazione indicati e la relativa valutazione (Tab.1).

L’analisi dettagliata dei reports, associata al lavoro di de-briefing, ha consentito di approfon­dire l’analisi successiva all’osservazione, mirata prevalentemente alla condivisione dell’esperien­za con le persone malate. L’elemento peculiare è costituito proprio dal protagonista dell’esperien­za, che non appartiene a nessuna delle catego­rie che sono presenti nei luoghi di cura: medi­ci, infermieri, altre figure professionali, persone malate, loro familiari o amici, studenti.

I protagonisti sono infatti studenti che però vivono l’esperienza come persone malate. Di conseguenza il loro punto di vista e le loro per­cezioni sono assolutamente peculiari, anche se l’oggetto di osservazione è comune alle altre cate­gorie già elencate (professionali e non).

Tabella 1

Tab. 1 – Valutazione sui campi di osservazione espressa dai 42 studenti che hanno completato la giornata di osservazione.

Tutti gli ambienti del Pronto soccorso sono costantemente affollati con conseguente attesa quasi sempre molto lunga. La maggior parte dei pazienti sono anziani, talora soli. Quasi tutti riferiscono un senso di abbandono, che incrementa l’ansia. Molti studenti hanno chiacchierato con loro, constatando che tale semplice evento li rilassava e migliorava notevolmente il loro stato di malessere. Il bisogno ed il piacere della comunicazione arriva fino al punto che alcuni anziani dichiaravano di essersi lì recati solo per poter parlare con qualcuno. Al contrario, i pazienti giovani erano spesso chiusi in un silenzio privato, risultando l’esperienza della malattia come un evento mai considerato, ed escluso dunque dalla quotidianità. In alcuni casi il disagio delle persone malate era aggravato da problemi di comunicazione e di inadeguata considerazione delle eventuali difficoltà linguistiche e differenze religiose. Scarsa o assente attenzione a tali aspetti determinano, ad esempio, grave imbarazzo e profondo disagio a donne di religione islamica che si sono viste denudare, senza che le tende fossero correttamente chiuse. Ritornando alle osservazioni sul personale sanitario, un aspetto osservato dalla quasi totalità degli studenti verte nella constatazione della necessità imperativa di efficienza. Questo indispensabile elemento organizzativo può tuttavia determinare, indirettamente, una minor efficacia terapeutica, essendo necessario smistare quanto prima il malato ad un reparto di degenza. Così, quasi tutti gli studenti hanno osservato che i medici trascorrono la maggior parte del tempo di fronte al computer e non accanto alla persona malata; raccolgono l’anamnesi mentre scrivono, senza guardare il malato; verificano i risultati degli esami senza fornirne spiegazione. Spesso anche la procedura diagnostica e terapeutica che sarà intrapresa non viene illustrata in maniera chiara ed esaustiva. Tali annotazioni critiche devono tuttavia tener presente l’ambiente lavorativo nel suo complesso. Secondo un’indagine dell’Emergency Medicine and Care Academy nei reparti di emergenza si lavora costantemente in situazioni di stress che addirittura determinano patologie tra gli stessi operatori. Benchè tale parametro non sia precisato in tale report, si può tuttavia ipotizzare che tale condizione sia un elemento determinante nelle modalità operative dei medici e degli altri sanitari, a cui peraltro corrisponde una valutazione più benevola secondo il decrescere del livello di responsabilità del personale (Tab. 1). Tale interpretazione può trovare conferma dalla valutazione espressa dagli studenti riguardo alla permanenza in reparto, che è stata valutata sempre come ottima/buona. L’accoglienza è stata sempre cortese, il personale medico ed infermieristico era adeguatamente informato e disponibile, pur con alcune (poche) perplessità sull’attribuzione di un posto letto a chi non ne aveva realmente bisogno. L’aspetto alberghiero è stato sempre valutato complessivamente buono. Tutti gli studenti hanno a lungo parlato con gli altri degenti della camera, che si dimostravano molto interessati a tale esperienza. Anche in tale contesto l’esigenza maggiore delle persone malate risultava il colloquio, la condivisione delle proprie difficoltà con l’altro, visto come vicino ma anche come piccolo esperto, capace magari di rassicurare su un sintomo nuovo o su una terapia non del tutto compresa o sulla possibilità di guarigione.

Conclusioni

L’aspetto relazionale costituisce parte integrante ed imprescindibile dell’iter formativo di ogni professionista della salute. Un’adeguata capacità di comunicare, di stabilire un rapporto di empatia, di modulare il proprio comportamento in base alle caratteristiche della persona permette sicuramente una diagnosi più rapida e precisa, una terapia appropriata ed anche un risparmio economico, sia per la riduzione dei tempi di degenza sia per la riduzione delle richieste di risarcimento, incrementate del 65% in 10 anni. Mentre dunque la medicina difensiva aumenta in maniera esponenziale, l’attenzione della formazione dei futuri medici deve mirare all’etica della formazione, della docenza e dei docenti. E, come per tutto: “le cose si devono imparare da piccoli”.

Cita questo articolo

Valanzano R., Guerra, G., Malato per un giorno, Medicina e Chirurgia, 54:2396-2398, 2012. DOI: 10.4425/medchir2012-54-5