I trenta anni di vita della Conferenza dei Presidenti dei Corsi di Laurea e delle Facoltà di Medicina sono un traguardo importante, perché la Conferenza ha rappresentato e rappresenta uno strumento di crescita qualitativa della formazione delle professioni mediche e sanitarie: una comunità formativa sempre maggiormente indirizzata a essere una vera e propria comunità co-educante, costituita da una alleanza che vede studenti e docenti impegnati in un processo di formazione/apprendimento, consapevole e condiviso verso obiettivi e di internazionalizzazione, con la società civile e il paziente al centro del sistema.
Gli Studenti, che ne costituiscono il cuore, dovranno essere i medici e gli altri professionisti della salute esperti e competenti, del prossimo immediato futuro.
Le persone ammalate sono quelle che hanno “necessità di cura”, dove il termine italiano “cura” comprende entrambi i termini anglosassoni di “cure” e “care”, cioè cura della malattia sui principi scientifici della scienza e dell’evidenza basata sulla scienza stessa, ma anche il prendersi cura della persona come entità assoluta e unica, con la peculiarità dei propri pensieri e ideali,con il condizionamento dell’ambiente sociale, ancora oggi capace di determinarne il destino e la lunghezza della vita stessa.
I Docenti, con le loro funzioni inscindibili della didattica, della ricerca e dell’assistenza, come elementi essenziali per lo sviluppo professionale degli Studenti, sono coloro che sempre più debbono mettere gli Studenti stessi o i giovani medici in formazione in grado di giungere ai livelli alti della loro professionalità, il professionalism del mondo internazionale, studenti e giovani medici che non debbono raggiungere solo il saper fare (“does” degli anglosassoni), ma anche il saper essere consapevole (“is” degli anglosassoni), come nuovo apice riconosciuto, solo oggi a livello internazionale, della piramide dell’apprendimento di Miller.
I tre articoli presentati in questo numero speciale inquadrano la storia della Conferenza stessa attraverso l’azione delle Presidenze che si sono susseguite in questi trenta anni (articolo di Giovanni Danieli), attraverso i grandi progetti che ne hanno guidato lo sviluppo e che hanno gettato le basi di azioni che oggi sono metodi e prassi consolidate (articolo di Amos Casti) e la rivisitazione critica di tutti gli articoli pubblicati sul periodico Medicina e Chirurgia, per aree tematiche, vero punto di forza e di innovazione della Conferenza (articolo di Giuseppe Familiari).
Posso dire oggi, dopo trenta anni, in tutta sincerità, che molti dei traguardi che allora potevano apparire lontani, sono stati pienamente raggiunti, grazie al fattivo lavoro di tutti quanti hanno profuso impegno in questa direzione. Oggi il nostro sistema formativo è a pieno titolo in Europa per qualità complessiva, contesti formativi, processi e prodotti.
L’area medico-sanitaria ha condiviso obiettivi e si è data regole di qualità per crescere insieme. In questi trenta anni abbiamo fatto della valutazione il perno di ogni nostro ragionamento, discutendo, dibattendo e trovando sintesi con una visione sempre rivolta a due fondamenti: competizione regolata a stimolare e aiutare tutti gli studenti a raggiungere una preparazione professionale e umana quale è richiesta dalla medicina del XXI secolo.
Conferenze e Riviste sono state appunto il prezioso aumento di crescita. Insieme.
Luigi Frati
Trenta anni non sono molti nella vita di una persona e tanto meno nella vita di una istituzione: in entrambi i casi indicano più o meno l’ingresso nella fase della maturità e sono una buona occasione per augurare alla attuale Conferenza dei Presidenti di CCL quello stesso livello di qualità che ha permesso di anticipare tutti i processi innovativi che hanno caratterizzato la vita delle Facoltà di Medicina in Italia negli ultimi 30 anni. Contrariamente al sistema universitario considerato nel suo insieme, le riforme a Medicina non sono mai state imposte dall’alto. Sono nate dal lavoro di confronto, di studio, di elaborazione critica dei presidenti di CCL, che le hanno fermamente volute, animati da una forte spinta pedagogica, che ha permesso di creare un nuovo sapere specifico: la pedagogia medica. Non per questo l’iter delle riforme è stato facile e la lotta per svecchiare prassi e modelli ormai obsoleti ha richiesto passione e determinazione, fino a contagiare un po’ tutti, presidi inclusi. Ha permesso che si diffondessero idee nuove sul piano della didattica; ha stimolato nuove modalità di insegnamento e di apprendimento; ha introdotto nuovi modi di valutazione, più completi ed oggettivi.
E’ nata così la Best Evidence Medical Education (BEME), ossia la pedagogia medica basata su prove di evidenza, in analogia con la medicina basta su prove di evidenza scientifica (EBM) e la Medical school, nella quale si sono formati tanti docenti, è stata proprio a Portonovo, durante i seminari di primavera e di autunno, sotto la regia di Giovanni Danieli. Lo stesso impianto didattico-formativo dei seminari rappresentava il format delle innovazioni proposte.
Dopo la rapida presentazione di un tema, a rotazione a carico dell’uno o dell’altro a seconda delle proprie esperienze, si apriva un dibattito ricco di suggestioni, con un confronto vivace in cui la diversità dei punti di vista non assumeva mai il tono dell’asprezza conflittuale, ma aveva piuttosto l’intelligenza maieutica di chi voleva insegnare ed imparare nello stesso tempo a svolgere meglio il proprio lavoro didattico.
Tutti maestri e tutti allievi: tutti incuriositi dal lavoro dell’altro e nello stesso tempo alla ricerca di quei punti di convergenza che avrebbero potuto migliorare dal di dentro la struttura dei corsi.
Quel clima di profonda curiosità intellettuale e di intenso rispetto reciproco costituiva la struttura stessa degli incontri, come quel curriculum nascosto, l’hidden curriculum, attualmente tanto valorizzato dagli esperti di pedagogia perché è pre-condizione di ogni altro apprendimento.
Mi piace ricordare almeno tre passaggi chiave di quegli incontri: il dibattito sul Core curriculum, in cui trovarono ampio spazio le Scienze umane, vera novità del tempo, e soprattutto trovò pieno riconoscimento la valutazione delle clinical skills; il tutorial system, con un’enfasi speciale sulla formazione professionale personalizzata, ottenuta attraverso il rapporto interpersonale tra maestro ed allievo; la condivisione di un sistema di valutazione il più possibile oggettivo, completamente fuori dagli schemi tradizionali.
Per gli studenti si configurava con la partecipazione al Progress test, in analogia a quanto si faceva a Maastricht, mentre per i docenti e i presidenti di CCL la valutazione si faceva con le site visit a carico di colleghi di altre università. Tre punti chiave che permettevano di definire nello stesso tempo cosa insegnare: l’essenziale!, come insegnare stando accanto al malato, e infine come valutare docenti e corsi di laurea, mentre si valutavano gli studenti. Anticipando così di molti anni l’ANVUR e la SUA!
Non c’è da stupirsi se gradatamente tutte queste cose sono state assorbite a livello ministeriale e sono diventate norme a tutti gli effetti. La pesante selezione in ingresso non avrebbe senso, se non sostenessimo gli studenti lungo l’intero percorso accademico, in modo esigente e concreto, senza mai abbassare la qualità della formazione.
Per loro è in gioco anche l’accesso alle scuole di specializzazione, dove la selezione è sempre più rigorosa e dove l’apprendimento degli anni della formazione di base è sottoposto ad una nuova e stringente verifica.
C’è un’etica della didattica e un’etica dello studio che emerge in modo evidente nel recente concorso nazionale di ammissione alle scuole di specializzazione, che tutti vorremmo sempre più oggettivo e meritocratico. Ma senza il lavoro precedente della Conferenza sul Core curriculum e sui nuovi modelli di valutazione il confronto tra gli studenti non sarebbe stato possibile.
Molto è stato fatto, ma sono ancora molte le sfide che la Conferenza dovrà affrontare sul piano formativo, a cominciare da una maggiore attenzione ai temi della sanità pubblica. Occorre ripensare la formazione anche in chiave etica ed economico – gestionale, per ridurre gli sprechi e aumentare la sostenibilità del SSN; per ridurre il ricorso alla medicina difensiva che appare distorsiva fin dall’iniziale approccio diagnostico e infine per individuare un nuovo punto d’equilibrio che tenga conto del costo dei nuovi farmaci, ben difficilmente somministrabili a tutti gli aventi bisogno.
Paola Binetti
Il mio “debutto in società” con la Conferenza è stato nel novembre del 2009, alla riunione di Orbassano, invitato come animatore all’atelier pedagogico sulle attività didattiche professionalizzanti (indicate allora come ADP). Lavorai nel gruppo dedicato alla formulazione di un progetto per l’insegnamento e apprendimento di abilità emotivo/relazionali, insieme a Massimo Casacchia, psichiatra e allora presidente del CLM dell’Aquila. Non ho ricordi particolari di quella riunione, se non che fui subito a mio agio.
Non conoscevo quasi nessuno ma arrivavo alla riunione con le attese generate dai racconti di Pietro Gallo – il presidente del mio CLM romano e di cui ero vice – sulle riunioni della Conferenza, descritta come un ambiente stimolante, informale, molto dedicato alla didattica.
Da allora ho continuato a collaborare agli atelier e ai forum organizzati dalla commissione per l’innovazione pedagogica e dal 2012, eletto presidente della SIPeM, ho partecipato alle riunioni della Conferenza nella privilegiata posizione di chi è libero di parlare solo di ciò che è più bello nell’insegnamento e nel rapporto con gli studenti e non deve rompersi il capo con il soprannumero, le disposizioni del sistema AVA e lo sforzo generoso di fare nozze bellissime anche solo con poco più che un pugno di fichi secchi.
Tuttavia non sono affatto insensibile alla fatica dei presidenti di CL, perché sotto sotto – e neanche troppo sotto – sono e rimango un chirurgo, quindi una persona che comprende il mondo solo se può farselo passare per le mani. Conosco per esperienza personale la fatica dell’agire quotidiano in ambienti organizzativi complicati e complessi e, pur essendo attratto dal pensiero teorico, sento come impegno principale quello di tradurre la teoria in pratica, perché quest’ultima sia technè, sapere operativo scientificamente fondato e non agire da praticoni. Ciò è vero per la medicina così come per la didattica, quindi doppiamente vero per la didattica della medicina!
Dal mio osservatorio particolare ho visto in questi anni una costante evoluzione, quantitativa e qualitativa. E’ aumentato il livello di coinvolgimenti dei CLM nelle attività proposte dalla Conferenza, a partire dalla partecipazione virtualmente completa al progress test nazionale. Anche le attività di formazione interna, organizzate dalla Commissione per l’innovazione pedagogica, sono sempre più frequentate. Mi sembra però aumentata anche la consapevolezza di ciò che si fa: le site visit come occasione di crescita e non evento censorio da temere, lo sforzo di innovare la didattica in maniera sostenibile e non velleitaria, la ricerca scientifica multicentrica sugli esiti dell’accesso e su vie alternative all’attuale selezione, l’attenzione alle politiche universitarie, a cominciare dal rapporto diretto con l’ANVUR, caparbiamente cercato e finalmente ottenuto.
Infine il presidente della SIPeM non può che gioire delle iniziative di formazione dei docenti e dei tutor che stanno sviluppandosi in alcuni CLM, perché il Faculty development è via maestra obbligata. La riunione annuale fra i presidenti delle società nazionali di medical education quest’anno sarà dedicata al tema Scholarship in medical education: can it be recognised and taken into account in career advancement and promotion? Siamo perfettamente in sintonia col resto del mondo!
Fabrizio Consorti