Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf physiologische und pathologische Gewebelehren.67, 2015, pp3072-3076, DOI: 10.4487/medchir2015-67-1

Autori: Ariane Droscher

Abstract

Few books have had an impact on the history of medicine comparable to Rudolf Virchow’s Cellularpathologie (1858). It was a revolutionary book, written by a revolutionary personality in revolutionary times. Nevertheless, it owed its success less to the fact to have promoted radically new concepts, but rather to have sketched a new general medical scheme many physicians were waiting for. It placed pathology and morbid anatomy into the center of medical inquiry, and combined medical practice with cell theory, providing a scientific basis for the first and clinical significance to the latter.

Articolo

  1. Le basi del pensiero virchowiano

Fin da giovanissimo Rudolf Ludwig Karl Virchow era abituato ad impegnare tutte le sue forze per conquistarsi le sue mete. Di origini modeste, nacque il 13 ottobre 1821 a Schievelbein, un piccolo paese della Pomerania, unico figlio di Johanna Maria e Carl Christian Virchow, agricoltore e ragioniere e a lungo contrario alla carriera medica desiderata dal figlio. Nel 1839 Virchow arrivò a Berlino con una borsa di studio della Pépinière, l’Accademia prussiana per medici militari. La scuola gli impose una rigorosa disciplina di studio, ma lui saltò le tappe con grande velocità: si laureò nel 1843, diventò assistente e poi prosettore presso l’ospedale berlinese Charité e nel 1847 ottenne, appena ventiseienne, l’abilitazione con una tesi sull’ossificazione patologica. A Berlino trovò una città culturalmente, politicamente, scientificamente e socialmente in fermento. Nel 1837, poco prima del suo arrivo, la città contava poco meno di 300.000 abitanti. Nel 1902, l’anno della sua morte, la popolazione era cresciuta a quasi due milioni, rendendo necessaria una completa riorganizzazione urbanistica. Sul livello culturale e politico, la sconfitta contro le truppe napoleoniche e il periodo di occupazione avevano innescato un profondo bisogno di rinnovamento, forza e unità in ampie parti delle popolazioni degli stati tedeschi. Nacquero movimenti per l’unificazione della Germania, ma la borghesia bramava anche maggiore libertà e spinse per l’affermazione dei suoi ideali. L’intellighenzia mirava ad una profonda riforma del sistema scolastico e universitario che s’ispirasse all’ideale humboldtiano dell’unione tra ricerca e insegnamento, dedita a coinvolgere lo studente già prima della laurea direttamente nel processo dell’indagine.

La passione per la politica e la fede nel potere della scienza caratterizzava la vita e l’opera di tanti giovani come Virchow. Per lui, medicina e politica non rappresentavano due campi distinti, ma anzi erano intimamente connessi. Battagliero in campo politico come in quello scientifico, fu spinto da un’inesauribile energia e autostima. Promosse e difese le sue idee con passione e dogmatismo, spesso dimenticando di mettere in giusta luce i contributi di colleghi e assistenti.

I suoi maestri più importanti furono Johann Lukas Schönlein (1793-1864) e Johannes Müller (1801-1858). Quest’ultimo contribuì più di ogni altro ad affermare l’approccio comparativo, anatomico e sperimentale nella fisiologia tedesca della prima metà dell’Ottocento. Riduzionista nell’approccio metodologico, ma espressamente filosofico nell’intento di comprendere le basi fondamentali della vita, promosse sia le tecniche fisico-chimiche e la microscopia, entrambi considerate ancora largamente inutili dalla medicina del suo tempo, sia la capacità di formulare ipotesi scientifiche concrete e sperimentalmente indagabili. Intimamente convinto dell’importanza dell’apprendimento pratico coinvolse i suoi studenti nell’avventura della ricerca, una circostanza ancor più notevole considerando che Müller non ebbe la fortuna di dirigere un ben organizzato istituto e nemmeno un proprio laboratorio (Otis 2007). Saranno poi i suoi allievi a dirigere grandi istituti, ma al momento dovettero cercarsi gli spazi e le attrezzature come meglio potevano. Queste insidie tuttavia non ostacolarono l’entusiasmo e la consapevolezza di intraprendere ricerche innovative, e presto Müller raccolse intorno a sé studenti brillanti da tutti gli ambiti biomedici, tra loro Matthias Jacob Schleiden (1804-1881), Jakob Henle (1809-1885), Theodor Schwann (1810-1882), Karl Bogislaus Reichert (1811-1883), Robert Remak (1815-1865), Albert von Koelliker (1817-1905), Emil Du Bois-Reymond (1818-1896), Karl von Vierordt (1818-1884), Ernst Wilhelm von Brücke (1819-1892), Hermann von Helmholtz (1821-1894), Max Schultze (1825-1874), Ernst Haeckel (1834-1919) e, appunto, Rudolf Virchow.

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A Berlino Virchow compì alcune ricerche importanti, tra cui la prima descrizione della leucemia, e sviluppò le concezioni base che poi articolerà nella Cellularpathologie. Almeno a partire dal 1847 contrastava apertamente l’idea ancora molto diffusa che le malattie fossero qualcosa di estraneo al corpo o causato da organismi o agenti esterni, una concezione che più avanti lo porterà anche in ostinata opposizione contro la nascente batteriologia. Per lui, occorreva invece comprendere e trattare i morbi come una “fisiologia alterata”. Da Müller aveva inoltre imparato di pensare in modo microscopico e di concepire ogni fenomeno vitale su livello cellulare. Pochi anni prima, Matthias Schleiden e Theodor Schwann avevano pronunciato la Zellenlehre, la prima teoria cellulare sintetica, accolta e propagata con grande entusiasmo dal loro maestro. L’idea che le cellule rappresentassero gli unici elementi costitutivi dei corpi viventi, fu sostenuta già da un crescente numero di studiosi europei, ma a Berlino fu trasformata in un’ipotesi di lavoro e rapidamente verificata, applicata, ampliata e, infine, revisionata. Virchow fu uno dei protagonisti di questo processo. Considerava la cellula come “ultimo elemento attivo del corpo vivo” e si propose di trovare un modo come unire teoria cellulare e pratica medica. Per meglio propagare le sue idee, fondò nel 1847, insieme all’amico Benno Reinhardt (1919-1852), la rivista Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und für klinische Medicin che esiste ancora oggi.

Nell’inverno 1847-48 fu inviato dal governo in missione sanitaria in Alta Slesia, una delle zone più povere della Prussia, dove era scoppiata un’epidemia febbrile che causò la morte di oltre 16.000 persone. Nel suo rapporto la identificò come febbre maculata e sottolineò che alla base della sua diffusione epidemica stessero fattori sociali e dunque politici, insistendo sulla necessità di sviluppare democrazia, autonomia, infrastrutture ed educazione. Lo stesso anno esplose la Rivoluzione del 1848, alla quale Virchow partecipò con entusiasmo. Costruì barricate, partecipò alle riunioni politiche, presiedette vari comitati e venne perfino eletto deputato dell’assemblea costitutiva prussiana, un incarico al quale dovette tuttavia rinunciare perché troppo giovane. Il fallimento della rivoluzione lo rese talmente pessimista da pensare che nessuna riforma possa più realizzarsi. Intanto la sua condotta sovversiva era stata notata per cui venne licenziato. Riammesso dopo l’intervento della Società medica, lasciò, deluso, Berlino e si trasferì a Würzburg, dove ricoprì la neo-fondata cattedra di Anatomia patologica.

  1. La patologia cellulare prende forma

Nella città bavarese Virchow pose le sue ambizioni politiche in secondo piano e trascorse sette anni di febbrile ricerca: sezionò quasi 1000 cadaveri (prima di accettare la nomina si era assicurato la priorità sugli anatomisti e chirurghi), pubblicò lavori che, presi insieme, ammontavano a oltre 3000 pagine, tra cui importanti studi sulla trombosi venosa, e diresse varie riviste e collane. Ed è qui che elaborò la sua nuova dottrina patologica.

Virchow focalizzò la sua attenzione sulla fine anatomia del tessuto connettivo, in particolare il cartilagine e le ossa. Queste indagini lo portarono a sviluppare il concetto dei territori cellulari, un’idea simile a quella avanzata nel 1845 dal medico edinburghese John Goodsir (1814-1867) con il termine “centres of nutrition”. In una pubblicazione del 1852, Ernährungseinheit und Krankheitsherde (Unità di nutrizione e focolai di malattie), Virchow espose come questi territori si formassero intorno ad una cellula madre che, generazione dopo generazione, passò alle cellule figlie il suo principio vitale, rimanendo al centro delle attività nervose e di nutrizione. Il legame genealogico e fisiologico procurava al territorio una certa autonomia rispetto agli altri territori. Questi “focolai della vita” potevano tuttavia trasformarsi anche in “focolai della malattia” qualora i processi all’interno del territorio venissero disturbati: “Un focolaio della malattia altro non è che una semplice unità nutritiva circolatoria o vegetativa del corpo, che in condizioni anomale viene nutrito in modo divergente” (1852, p. 394). Ogni malattia era dunque per Virchow di natura fisiologica ma partì da una precisa sede anatomica. Seguendo esplicitamente le orme del forlivese Giovanni Battista Morgagni (1682-1771), avanzò ulteriormente sulla strada dell’anatomia patologica, portandola sul livello cellulare.

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Fondamentale per la dottrina della patologia cellulare era il legame tra le cellule, un legame stabilito dalla loro diretta discendenza durante lo sviluppo embriologico. Durante il suo primo periodo berlinese, Virchow, come tutti i medici e zoologi del suo tempo, sosteneva ancora la teoria di Schleiden e Schwann, secondo la quale le cellule si formassero in modo spontaneo da una sostanza amorfa, il blastema. Un’influenza considerevole sulla conversione di Virchow ebbe uno studio pubblicato nel 1852 dall’embriologo Robert Remak (1815–1865), in cui descrisse come tutti i tessuti della rana, dall’uovo fecondato fino all’adulto, derivassero da divisioni cellulari. Per la sua omissione di citare Remak, Virchow è stato accusato da alcuni storici di plagio (per es. Weindling 1981, 118). Sta di fatto che molti botanici avevano osservato la divisione cellulare fin dagli anni 1830, ed è molto probabile che anche Virchow cullava idee simili prima del 1852. Frequenti furono infatti le discussioni con il suo compagno di studio, Albert von Koelliker, chiamato nel 1847 a Würzburg sulle cattedre di Fisiologia e di Anatomia microscopica e comparata. Da alcuni anni Koelliker era impegnato in un’aspra polemica con un altro compagno berlinese, Karl Bogislaus Reichert, sulla questione se i nuclei cellulari comparissero ex novo all’interno delle due cellule figlie o se si dividessero. Koelliker aveva optato per la seconda possibilità, tuttavia non traendo la conclusione che anche le cellule si moltiplicassero sempre per divisone. Per quanto riguarda la seconda presunta omissione, l’ipotesi che i tessuti patologici non rappresentassero che casi di sviluppo anomali, bisogna sottolineare che Remak lo sollevò come congettura al termine del suo saggio, mentre per Virchow era il punto di partenza per un’elaborata dottrina. Nel 1855 infatti pubblicò il saggio Cellular-Pathologie, nel quale espose le linee principali e pronunciò il suo famoso aforisma, che originalmente diceva Omnis cellula a cellula, trasformato nel 1858 in Omnis cellula e cellula, il motto della successione diretta delle cellule.

  1. L’accoglienza della Cellularpathologie

Nel 1856 Virchow fece il suo trionfale ritorno a Berlino. L’università gli raddoppiò lo stipendio e promise la costruzione di un grande istituto. Due anni dopo uscì Die Cellularpathologie, l’opera che procurava al trentasettenne Virchow il titolo di “più grande riformatore della medicina del XIX secolo”. A dispetto di questo giudizio storico sembra che al momento della sua pubblicazione Virchow ancora non si fosse reso conto del suo possibile impatto. Altrimenti avrebbe probabilmente compilato un volume più organico ed elaborato. Così invece, riporta in venti capitoli le sue venti lezioni, tenute davanti ai medici berlinesi, stenografate dallo studente Langenhaun.

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Il libro non fu senza errori. Anzi, contiene alcuni oggi giudicati clamorosi, ma sui quali Virchow insisteva ostinatamente nonostante le controprove portate in campo. Così il suo rifiuto categorico dell’origine batterica della tubercolosi che invece considerava una forma di tumore. Riteneva inoltre che i carcinomi fossero di esclusiva origine del tessuto connettivo, una convinzione che il suo maggiore allievo italiano, Giulio Bizzozero (1846-1901), confutò in modo esemplare pochi anni dopo (Dröscher 2002).

Furono anche avanzate critiche di varia natura. Molti medici clinici facevano valere che il posto del medico dovesse essere al letto dell’ammalato e non in laboratorio. Inoltre, in molti casi l’applicazione di cure su livello cellulare rimase un ideale non realizzabile. Altri criticarono l’approccio fisicalista e materialista, altri ancora obiettarono che non si poteva ridurre un corpo in un ammasso di singole cellule. L’indirizzo anatomico e microscopico, infine, rese lo studio delle malattie statico trascurando l’aspetto dinamico. In Italia, svolgendosi durante i primi anni dopo l’unificazione del paese, gli argomenti scientifici si mischiavano spesso con ragionamenti patriottici e lotte istituzionali (Dröscher 2012).

Nonostante le omissioni, le mancanze e le resistenze la patologia cellulare fu presto ampiamente accettata. Già nel 1859 uscì la seconda edizione tedesca, nel 1862 la terza e nel 1871 la quarta. Nel 1860 fu tradotta in inglese (seconda edizione nel 1863) e in francese (seconda edizione nel 1868). La traduzione italiana avvenne nel 1863 (seconda edizione nel 1865). In buona parte questo successo è dovuto al fatto che la Patologia cellulare propose le linee guida di una nuova e da lungo aspettata sintesi tra la pratica medica e i recenti progressi delle scienze naturali. Istituì la patologia e l’anatomia patologica come discipline chiavi per lo studio delle malattie, diede un significato clinico alla teoria cellulare e creò un’unione ideale tra fisiologia, patologia ed istologia. Propose un nuovo concetto di malattia, sostituendo il bimillenario dominio della patologia umorale, che vedeva nella disarmonia degli equilibri umorali i responsabili di ogni fenomeno di malattia o benessere, con una dottrina localizzatrice, favorendo lo sviluppo della chirurgia invasiva. La dottrina della successione diretta delle cellule, benché non originale, fu autorevolmente propagata da Virchow e rappresenta un punto di svolta nella storia della biologia cellulare.

Il volume è corredato di 144 figure xilografiche, un aspetto insolito per i trattati di patologia dell’epoca che però corrisponde al peso che Virchow attribuiva alle dimostrazioni pratiche. Le aveva particolarmente apprezzato nel suo maestro Müller. A Würzburg, il corso di microscopia anatomo-patologica rappresentava la maggiore attrazione per gli studenti che accorsero anche da lontano. Ernst Haeckel, poco dopo uno dei più famosi zoologi dei suoi tempi e dal 1852 al 1856 allievo di Virchow, ne diede una viva descrizione nelle lettere ai suoi genitori: mentre Virchow teneva la sua lezione, i 30-40 studenti selezionati stavano seduti lungo due tavoli, in mezzo ai quali camminava un piccolo trenino che trasportava microscopi con i preparati che illustravano i casi clinici appena visitati in corsia. La stessa unione tra clinica, patologia, anatomia e microscopia caratterizzava anche il libro. La Cellularpathologie è infatti non soltanto una rivoluzione dottrinale ma anche metodologica. Fin dal 1845, appena ventiquattrenne, Virchow intese cambiare la tradizionale visione su come studiare e praticare l’arte medica. Voleva trasformare la medicina in una biologia antropocentrica: “La medicina non vuole essere solo una scienza, vuole essere una scienza naturale, anzi la scienza naturale più alta e più bella”. Sotto la sua direzione si formò un’intera generazione europea di patologi, tra cui quattordici futuri professori italiani. Il laboratorio, la microscopia scientifica e le scienze naturali diventarono strumenti indispensabili per ogni medico.

La fama della Cellularpathologie andò ben oltre i circoli medico-scientifici. A fine Ottocento scienziati e medici godevano di grande prestigio sociale e visibilità popolare, e la passione e l’arte retorica di Virchow impressionava il pubblico. Lui ne approfittò per divulgare anche le sue convinzioni sull’igiene pubblica e sull’ordinamento politico. In analogia con i suoi convincimenti repubblicani, Virchow concepì il corpo vivente come uno stato di cellule dove le singole unità erano autonome, ma collaboravano per formare un insieme (Mazzolini 1983).

Dopo la pubblicazione, Virchow abbandonò presto il campo delle sue ricerche giovanili. Creò la famosa collezione anatomo-patologica che nel 1899 comprese oltre 23.000 preparati e iniziò un’opera monumentale sui tumori, Die krankhaften Geschwülste (1862-1867), rimasta incompleta, ma l’epicentro dei suoi impegni si spostò sempre più verso la politica e verso altri ambiti scientifici. Fedele al suo motto che medicina è “una scienza sociale, e la politica nulla più che medicina su larga scala”, s’impegnò per l’istituzione di una sanità pubblica. Creò il sistema di canalizzazione di Berlino, fece costruire nuovi ospedali, parchi pubblici e molto altro. Diventò deputato rionale, fondò, insieme allo storico Theodor Mommsen (1817-1903), il Partito Liberal Progressista, e nel 1862 venne eletto deputato nel parlamento prussiano. Combatté e provocò il cancelliere Otto von Bismarck al punto che questo lo sfidò a duello (che non ebbe luogo). Virchow coniò anche il termine Kulturkampf per la lotta tra Stato e Chiesa e si impegnò per il diritto dei poveri alla formazione scolastica.

Negli anni settanta si interessò di antropologia, disciplina in forte ascesa dopo le opere di Darwin e il ritrovamento, nel 1856, dell’uomo di Neanderthal. Fondò la Società Tedesca di Antropologia. Nonostante si dichiarasse favorevole alle teoria della discendenza, giudicò l’uomo di Neanderthal non come prova dell’evoluzione umana, ma come un uomo contemporaneo affetto da una grave malattia. Fu amico stretto di Heinrich Schliemann (1822–1890) che in questi anni scoprì le rovine di Troia. Era ormai un personaggio così famoso che i suoi compleanni si trasformavano in feste nazionali. Rifiutò, tuttavia, il conferimento di un titolo nobiliare. Fu il medico più celebre d’Europa. Nel 1901, per il suo ottantesimo compleanno ricevette 800 telegrammi da tutto il mondo. Morì il 5 settembre dell’anno seguente.

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Droscher A.,Die Cellularpathologie in ihrer Begründung auf  physiologische und pathologische Gewebelehre, Medicina e Chirurgia, 67: 3072-3076, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-67-1

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