Tutta colpa della morte!n.73, 2017, pp. 3336-3339, DOI: 10.4487/medchir2017-73-5.

Il perché di una intitolazione: il Dipartimento di Medicina dell’Università del Molise a Vincenzo Tiberio, lo scopritore del potere antibiotico delle muffe

Nel 2012 Shinya Yamanaka a 50 anni viene insignito del Premio Nobel per l’utilizzazione delle cellule staminali nella ricostruzione tissutale, ma insieme a lui riceve il medesimo premio il ‘vecchio’ sir John Gurdon, che ha dovuto aspettare a 79 anni perché fosse compresa la grandezza del suo studio “sulle cellule mature che possono diventare pluripotenti”1 laddove nel 1958, a 25 anni, aveva già pubblicato i suoi esperimenti sulle ovocellule di rana2.

Diversa sorte era toccata a Rosalind Franklin. Nel 1962 James Watson e Francis Crick ricevono il Premio Nobel per il DNA e molti dimenticano che, nella stessa occasione e per le stesse motivazioni, lo ha avuto anche Maurice Wilkins; ma praticamente tutti dimenticano Rosalind Franklin, che fu colei che pensò ed eseguì la gran parte degli studi di cristallografia ai raggi X sulla molecola del DNA che portò alle loro pubblicazioni. Ma lei era morta per cancro dell’ovaio radio-indotto nel 1958 a 38 anni ed il premio Nobel non si conferisce postumo.

Similmente, tutti ricordano il Nobel nel 1945 ad Alexander Fleming (1881-1955; nel 1945 ha 64 anni); anzi, da una classifica della medesima Accademia del Premio di Stoccolma, risulta come il secondo Nobel per la medicina per popolarità. Eppure, in quella medesima occasione, lo ricevono (e a ben giusta ragione) anche Ernst Boris Chain (1906-1979; nel 1945 ha 39 anni) e Howard Florey (1898-1968; nel 1945 ha 47 anni).

Se fosse vissuto, lo avrebbe avuto anche Vincenzo Tiberio a 76 anni? Ovviamente alla fine del Secondo Conflitto mondiale, con i britannici tra i vincitori e gli italiani tra gli sconfitti o, se non altro, tra gli arresi, è difficile da ipotizzare; ma, comunque, oggi sarebbe un discorso ozioso.

Vincenzo Tiberio muore a Napoli il 7 gennaio 1915: ha 45 anni! Nato il Primo maggio 1869 a Sepino, in Molise, da una famiglia borghese, si sposta a Napoli per gli studi di Medicina e va ad alloggiare presso una zia ad Arzano, nella provincia napoletana. Qui, come ormai narra la legenda, osserva che all’interfaccia tra aria ed acqua del pozzo del cortile si forma una melmetta verdognola che la zia periodicamente intima ai servitori di rimuovere; tutte le volte che viene rimossa, coloro i quali bevono l’acqua del pozzo hanno seri problemi intestinali, fino alla dissenteria. Il giovane Vincenzo intuisce che nella muffa verde deve esserci una proprietà che la rende protettiva nei confronti della dissenteria.

All’epoca egli si era già laureato in Medicina, con un anno di anticipo sulla durata del Corso, e collaborava come Assistente volontario nell’Istituto di Igiene della Regia Università degli Studi di Napoli e lì poté iniziare un ciclo di esperimenti che lo portarono ad isolare il principio attivo, a testarne l’efficacia antibiotica in vitro ed in vivo ed a proporne un modello di meccanismo di azione. I risultati del suo lavoro vennero pubblicati nel 1895 negli Annali di Igiene Sperimentale con il titolo “Sugli estratti di alcune muffe”3 . Si tratta di un saggio sobrio e conciso: dodici pagine, compresi gli schemi dei risultati, che rivelano un indagatore intelligente e attento.

Tiberio inizia il proprio lavoro inscrivendolo sostanzialmente nell’ambito del concetto di biocenosi, cioè della interazione tra i diversi viventi di un dato ambiente (p. 91). Dopo l’intuizione e la raccolta dei campioni, egli osserva al microscopio ed identifica tre specie di muffe prelevate nel pozzo di Arzano: Aspergillusflavescens, patogeno per l’uomo e per gli animali; Penicillium glaucum e Mucor mucedo, non patogeni. Successivamente le coltiva su terreni di coltura da lui stesso ideati (p. 92). Prepara, quindi, un estratto acquoso dei singoli miceti e ne studia l’azione su alcuni batteri, quali quelli del tifo, del carbonchio, del colera e vari ceppi di stafilococco.

I risultati della ricerca, adeguatamente ripetuti per la opportuna conferma, lo portano ad osservare che, nell’estratto cellulare delle muffe esaminate, sono contenute sostanze solubili in acqua, fornite di azione battericida (pp. 93-95).

Si tratta della prima vera attività antibiotica dimostrata in vitro, che il Tiberio conferma attraverso la sperimentazione in vivo, sia su cavie che su conigli. Le cavie furono divise in due gruppi: il primo venne infettato con iniezione intraperitoneale di specie batteriche patogene e venne trattato mediante inoculo dell’estratto acquoso di muffe; il secondo era solo infettato ma non trattato. Gli animali trattati sopravvivevano mentre gli altri morivano in breve tempo (p. 97).

“È appena il caso di sottolineare l’assoluta modernità del disegno sperimentale con l’allestimento di adeguati controlli e con l’attenta valutazione della virulenza delle culture e del peso degli animali da esperimento, che doveva essere simile da un animale all’altro per non cadere nell’errore della diversa resistenza organica. Di pari modernità l’autolimitazione critica nell’uso dei dati derivanti da condizioni sperimentali non ottimali.

Per lo studio della leucocitosi sottocutanea, il Tiberio scelse, invece, i conigli, rifacendosi per il metodo, con esplicita citazione, al lavoro di Issaeff pubblicato l’anno precedente (1894) in tedesco sulla Zeitschrift für Hygiene: Untersuchungen über die künstliche Immunität gegen Cholera (p.96)” 4.

Le conclusioni di Tiberio provano che l’unica risposta terapeutica ottenibile è quella mediante iniezione di estratto di Aspergillus flavescens, cioè, in sostanza, di una penicillina, mentre non hanno alcuna efficacia gli altri estratti (p. 98). Egli nota, ancora, come l’efficacia fosse condizionata sia dal peso dell’animale da esperimento che dall’intervallo di tempo tra l’infezione e l’inizio della antibiotico-terapia iniettiva.

Tiberio, infine, si pone anche il problema della possibilità di un’azione preventiva degli estratti di muffe sulle infezioni batteriche ed il problema della durata dell’efficacia dell’azione antibiotica, sperimentando iniezioni a tempi diversi (p. 98). Egli cerca anche di comprendere il meccanismo dell’azione antibiotica studiando le modificazioni dell’assetto leucocitario.

Come già detto e come si può chiaramente notare dalla lettura della sua pubblicazione, l’attività di ricerca scientifica di Vincenzo Tiberio completa l’intero ciclo sperimentale: dall’osservazione alla formulazione di un’ipotesi di azione, alla verifica dell’ipotesi iniziale medesima, all’estrazione della sostanza antibiotica, alla dimostrazione del suo effetto in vitro, alla documentazione della sua efficacia in vivo, alla proposta di un meccanismo di azione.

Cosa mancò, allora, per chiudere il cerchio e rendere la sua scoperta rivoluzionaria uno strumento concreto di lotta alle infezioni batteriche patogene?

Ciò che davvero mancò a Tiberio – e un paio di anni dopo ad un altro giovane entusiasta, anch’egli militare, il francese Ernest Duchesne (1874-1912)5 – fu, in effetti, quello che mancò anche allo scozzese Alexander Fleming trentaquattro anni dopo, quando, nel 1929, riscoprendo la penicillina, estraendola dal Penicillium notatum, parimenti non riuscì a produrre industrialmente il farmaco.

Mancavano consapevolezza e tecnologie, che sarebbero cresciute solo dopo un ulteriore decennio. Solo dopo che, nel 1939, Ernst Chain, biochimico tedesco riparato in Gran Bretagna per sfuggire al Nazismo, incontrò come supervisore Howard Florey ed insieme realizzarono un metodo per amplificare la quantità di penicillina prodotta dagli estratti di Fleming. E, soprattutto, solo dopo che la tecnica di laboratorio Mary Hunt provvide a utilizzare il Penicillin chysogeum, in grado di produrre principio attivo 200 volte in più rispetto quello prodotto dal Penicillium di Fleming. E, infine, solo dopo che le mutazioni mediante irradiazione con i raggi X consentirono a Florey, passato negli Stati Uniti, ed al suo nuovo team di raggiungere una produzione 1000 volte più efficace della penicillina di Fleming. Si osservi che alla fine della Seconda guerra mondiale le truppe alleate occidentali portavano con loro ogni mese 650 miliardi di unità di penicillina a fronte delle sole 400 unità prodotte tra il gennaio ed il maggio 19436.

Ci si chiedeva all’inizio: se mai Tiberio fosse vissuto, se avrebbe ricevuto il Premio Nobel. Certo, il Nobel è un riconoscimento enorme della propria ricerca. Ma i risultati ottenuti da Gurdon alla stessa età in cui Tiberio pubblicò il suo lavoro sarebbero stati meno importanti se non avesse avuto il Premio alla soglia degli ottanta anni? O è, piuttosto, importante l’acume, l’attenzione, la passione nella ricerca, il rigore sperimentale, la lungimiranza nell’interpretazione dei risultati?

Un Dipartimento universitario di Medicina non è solo un luogo in cui si fa ricerca, al pari di un ‘qualsiasi’ istituto di ricerca; non è solo un luogo in cui si fa assistenza, al pari di un ‘qualsiasi’ ospedale. Un Dipartimento universitario di Medicina è il luogo in cui ricerca e assistenza confluiscono nella missione di formare i giovani che aspirano a diventare medici prima e specialisti poi. Senza la didattica la natura stessa di un tale Dipartimento viene persa.

E didattica significa anche porre dinanzi agli studenti dei modelli virtuosi di lavoro, calati nel concreto delle esperienze di vita delle persone che li hanno preceduti sulla medesima strada.

Tiberio potrebbe anche sembrare uno sconfitto: ha lasciato l’Università per la Marina Militare del Regno7 e non ha trovato una collocazione accademica consona all’importanza, alla reale portata rivoluzionaria, del suo studio. Eppure resta, nella sua esperienza di vita militare, diplomatica, medica e familiare, un esempio di uomo sempre attento a migliorare le condizioni di vita altrui. Si pensi agli scritti sul vitto e sulle condizioni igieniche a bordo delle navi. Si pensi al devoto amore nei confronti della cugina, divenuta sua moglie, e delle tre figlie.

Non si tratta solo di una ‘gloria’ molisana; si tratta di un uomo divenuto ben presto cittadino del mondo e che ha portato dovunque la sua curiosità (era un appassionato di fotografia e documentava con attenzione i suoi spostamenti), la sua lungimiranza e la sua capacità di ricerca.

È stato naturale, quindi, per il Dipartimento di Medicina dell’Università degli Studi del Molise scegliesse di legare il proprio impegno culturale alla memoria di una tale figura di medico e di ricercatore.

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NOTE:

1 Dalla motivazione ufficiale del Premio.

2 J. B. Gurdon, T. R. Elsdale, M. Fischberg, Sexually Mature Individuals of Xenopus laevis from the Transplantation of Single Somatic Nuclei, in Nature, vol. 182, n.4627, 1958, pp. 64–65.

3 Tiberio V., Sugli estratti di alcune muffe. Annali d’igiene sperimentale, 1895; volume V: 91-103

4 Tamburello M., Villone G., Vincenzo Tiberio: la prima antibiotico terapia sperimentale in vivo, Medicina nei Secoli, 2016, vol. 3

5 Duchesne E., Contribution à l’étude de la concurrence vitale chez les micro-organismes: antagonisme entre les moisissures et les mibrobes, Lyon, 1897

6 Lloyd E., Fleming, Florey, & Chain: The Discovery and Development of Penicillin, Leigh A. Zaykoski (ed), 2009.

7 Tamburello M., Villone G., L’uso terapeutico delle muffe: dalla medicina istintiva alla dimostrazione di Vincenzo Tiberio, Atti dell’Accademia di Arte Sanitaria, Roma 2016.

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