Medicina di genere: un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di basen.77, 2018, pp.3466-3569, DOI: 10.4487/medchir2018-77-3

Abstract

L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che “il genere” rappresenta la parola chiave per la salute pubblica in termini di miglioramento degli approcci diagnostici e terapeutici disegnati sulla persona.

Le variabili genere-specifiche, che includono ovviamente anche il sesso, dovrebbero essere inserite nei modelli di prevenzione e cura. Questo ha portato, fin dal 2007, l’inserimento di percorsi specifici orientati al genere in molti corsi di laurea. Inoltre, nel 2016 la Conferenza Permanete dei Presidenti di Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia ha indicato, attraverso una Mozione firmata dal Presidente, la necessità di integrare il “core curriculum” dei Corsi di Laurea in Medicina Italiana con una declinazione dedicata al genere. L’Università di Ferrara e l’Azienda USL di Ferrara hanno creato “un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di base” che contiene 7 aeree tematiche ricche di documenti e bibliografia, che possono essere utili come supporto ai Professori Universitari per la implementazione dei loro corsi con integrazioni di medicina di genere. Questo ambiente online sarà fruibile e ottimizzabile dai membri della Conferenza utilizzando credenziali dedicate che verranno inviate dopo validazione del gruppo di lavoro dedicato

Parole chiave: Medicina di Genere, aggiornamenti online

Summary The WHO affirmed that gender is the main driver for health to develop diversified therapeutic approaches, and the need to adopt “gender policies” useful for remedying health inequalities due to sex-gender specifity and since year 2007 the gender sensitive perspective is placed among the training objectives in many degree program as Medicine and Surgery. In the 2016 during the #124 Italian Permanent Council of the Deans of Medical Curricula the President signed a Motion which recommend integrating and developing Gender Medicine educational activities in all Italian curricula in Medicine and Surgery In support of this important new decision, an updating/ training tool has been set up “Elements of Gender Medicine – A structured environment of online documentation accessible at a distance – Advanced level for University Professors” organized in seven thematic areas accompanied by an updated bibliography. This online structured environment is a fully managed area for each Degree Program concerned with links and related credentials provided by the Conference to each Educational Dean of the Degree Course in Medicine and Surgery .

Key Words: Gender Medicine, updates online

Articolo

Introduzione

L’orientamento da parte della medicina a considerare importanti gli aspetti sessuali (biologici anatomici, funzionali) e di genere, fattore che attiene alla percezione della propria identità sessuale, del ruolo che si riveste nella società in quanto donna, uomo, o altro, parte dagli anni Settanta del secolo scorso, sullo stimolo dei movimenti femministi che individuavano nella pratica medica discriminazioni basate sul sesso. Questo nuovo orientamento, che offre un nuovo sguardo attento alle differenze umane, ha visto dapprima un’attenzione specifica per la salute della donna, in particolare quella sessuale – riproduttiva, poi, nel considerare tutto il corpo, un’analisi delle differenze tra il corpo dell’uomo e quello della donna che sta arricchendosi di sempre nuove importanti conoscenze, tendenti all’appropriatezza e personalizzazione della cura .

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma da tempo, e con convinzione, la necessità di adottare “politiche di genere” utili a rimediare le disuguaglianze di salute dovute al sesso-genere .

E’ del 2007 il documento del Dipartimento Gender, Women and Health dell’OMS “Integrating gender into the curricula for health professionals” nel quale, per la prima volta, viene messo in luce in modo dettagliato come la chiave per raggiungere l’obiettivo di ridurre le diseguaglianze di salute dovute al sesso-genere, consista nel rendere le considerazioni e conoscenze riguardanti il genere, parte integrante dei programmi di formazione degli operatori sanitari pre – servizio, cioè prima che inizino a lavorare, quindi durante il percorso universitario, in particolare degli studenti di medicina, infermieristica e ostetricia. Nelle poche iniziative in Australia e Nord America si erano riscontrate resistenze da parte delle istituzioni e difficoltà nel coinvolgere i docenti, in particolare, gli uomini .

Un altro ostacolo era ravvisato dalla poca condivisione e aggiornamento sulle questioni di differenze sesso genere come sui dati di ricerca gender-oriented, aspetti necessari per insegnare genere e salute, in ottica evidence-based .

La medicina di genere in Italia

Nel 1998 parte il progetto ministeriale “Una salute a misura di donna” i cui risultati confermavano una disattenzione e sottovalutazioni dei problemi di salute delle donne. Nel 2005 Ministero, Istituto Superiore di Sanità, AIFA e AgeNaS pubblicano le prime linee guida sulle sperimentazioni cliniche e farmacologiche con un approccio di genere. Nel 2007 escono i primi bandi della Ricerca Finalizzata sulla medicina di genere. L’anno successivo il Comitato Nazionale per la Bioetica pubblica il rapporto “La Sperimentazione farmacologica sulle Donne” e parte il Progetto “La medicina di genere come Obiettivo strategico per la Sanità pubblica: l‘appropriatezza della cura per la tutela della salute della donna”. E’ del 2009 il primo Congresso Nazionale sulla Medicina di Genere, a Padova (nel 2017 arrivato alla quarta edizione). Nel 2008 viene istituto il Centro Di Ricerca per la Valutazione della Qualità in Medicina e Medicina di Genere dell’Università di Roma “La Sapienza. Nel 2017 nasce il “Centro nazionale di riferimento per la medicina di genere” dell’Istituto Superiore di Sanità,” e a gennaio 2018 il Centro Universitario di studi sulla Medicina di Genere a Ferrara .

L’esempio della Medical University di Innsbruck

L’integrazione della medicina di genere nel curriculum medico nella Medical University di Innsbruck (Austria) ci fornisce un decennale esempio europeo (Hochleitner et al., 2013) che ha preso le mosse da due considerazioni: 1) le politiche di gender mainstreaming (attenzione al genere in ogni aspetto della vita) derivate dal Trattato di Amsterdam, entrato in vigore nel 1999, che, oltre a fornire le indicazioni necessarie a promuovere la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali delle organizzazioni e negli ambiti della ricerca, sono state interpretate come utile riferimento normativo per introdurre la medicina di genere nella formazione; 2) le indicazioni metodologiche di Elisabeth Tisdell (1995) per la costruzione di curricula inclusivi e gli esempi da lei riportati, che possono sembrare un po’ datati poiché riferiti a come ricomprendere la teoria e pedagogia “femminista” nell’insegnamento agli adulti, ma che hanno il pregio di sottolineare come puntare l’attenzione sul sesso e genere ed includerne contenuti ed espressioni in un percorso formativo di persone adulte, significhi mettere in discussione modelli di pensiero tradizionali, più o meno consolidati, spesso difficilmente ri-orientabili. Solo quando la medicina di genere è stata implementata nel curriculum, come obbligatoria, è diventata aspetto strutturale. Se anche si parte da una prospettiva di materia proposta in lezioni interdisciplinari, occorre aver chiaro l’obiettivo e cioè che applicare la medicina di genere al curriculum universitario significa esaminare ogni progetto di ricerca, ogni trattamento medico e ogni nuovo sviluppo per le sue conseguenze per donne e uomini e farla diventare una parte pratica dell’istruzione medica .

La medicina di genere nelle Università Italiane

Nel Decreto del Ministero dell’Università e della Ricerca del 4 ottobre 2000 la prospettiva gender sensitive è posta tra gli obiettivi formativi in sei classi di corso di laurea triennale (tra cui scienze delle attività motorie e sportive) su ventisei e in undici classi di laurea magistrale (tra cui medicina e chirurgia e la Magistrale di Scienze delle attività motorie) su cinquantadue .

Nel 2013 all’interno del Convegno nazionale “Genere, sociologia e Università” promosso dall’Università di Roma Tre è stata presentata la ricerca “La formazione universitaria e post-universitaria gender sensitive in Italia”. Dai dati riferiti all’anno accademico 2011-12, su un campione di 57 Atenei pubblici, è stato rilevato che solo 16 Atenei avevano attivato qualche Corso “sul genere”, il 20% dei quali nell’area della medicina. Sono poi nati alcuni insegnamenti facoltativi: dopo il corso in Medicina di genere dell’Università di Padova avviato dall’a.a. 2013-14 (organizzata a seminari interdisciplinari), viene avviata quello di Siena dall’a.a. 2014-15, mentre l’Università di Ferrara approva un insegnamento specifico a partire dall’a.a .

2015-16. In questi anni si stanno attivando vari centri di ricerca sul genere, anche declinati alla salute e alla sanità (citiamo gli esempi di Milano, Bologna, Trento, Sassari, Foggia, Pavia, Napoli e Bari) .

Mentre a gennaio 2018 l’Università di Ferrara ha fatto nascere il primo Centro Universitario denominato “Centro Studi di Medicina di Genere” finanziato dal MIUR e in convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità Nel dicembre 2016 a Roma, in occasione della 124a Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina il Presidente Prof .

Andrea Lenzi ha proposto una Mozione approvata da tutti i CdS di Medicina Italiani per l’inserimento nel Core Curriculum del tema trasversale della Medicina di Genere, che, su indicazione di un gruppo di lavoro (Bellini et al., 2017) ha visto l’aggiornamento dell’offerta formativa inserendo obiettivi specifici riguardanti l’attenzione al sesso/genere nella Scheda Unica Annuale del CdS e all’interno dei programmi di almeno un insegnamento per anno di corso nella maggioranza dei CdS di Medicina e Chirurgia Italiani .

Questo nell’intento di formare futuri medici con un insieme di conoscenze omogene e strutturate nel percorso di formazione .

Un ambiente strutturato di documentazione per condividere conoscenze di base

A supporto di questa importante nuova decisione, si è allestito uno strumento di aggiornamento/formazione “Elementi di Medicina di Genere – Ambiente strutturato di documentazione online fruibile a distanza –– Livello avanzato per Docenti Universitari” .

Si tratta di quello che in termini informatici viene definito repository, organizzato in sette aree tematiche corredate da una bibliografia aggiornata a disposizione .

Un primo paragrafo tratta il significato dei termini sesso e genere, approfondendo sia le caratteristiche anatomo-biologiche-fisiologiche, sia ciò che attiene agli aspetti di vissuti psicologici, di relazione, di ruolo sociale che le persone vivono in quanto sessualmente caratterizzate come maschio o femmina. Prendendo spunto da un articolo della cardiologa americana Marianne Legato del 2011 nel quale viene anche introdotta la tematica delle identità sessuali e di genere “altre” oltre alla definizione binaria di maschio e femmina, viene sviluppato il concetto di human continuuum e si afferma il fatto che se parliamo di medicina “di genere” occorrerà ricomprendere anche le identità sessuali e di genere ascrivibile ai profili gay, lesbiche, bisessuali, transgender, etc. LGBT. Tra gli allegati si trova il Quaderno 26/16 del Ministero della Salute dal titolo “Il genere come determinante di salute. Lo sviluppo della medicina di genere per garantire equità e appropriatezza della cura” che può chiarire diversi snodi clinici. Un approfondimento sui ruoli sociali maschio e femmina di Brigitte Nielsen Docente di sociologia alla Johannes Gutenberg – Universität di Mainz, Germania, testimonia l’elaborazione che le scienze sociali hanno fatto della materia in questi decenni. Due articoli introducono ai temi della violenza di genere, senza velleità esaustive, ma con l’intento a confermare che il tema rientra a pieno titolo nella trattazione della medicina di genere .

Il secondo paragrafo contiene descrizioni di come la medicina, che dagli anni Settanta del secolo scorso, dopo secoli di interpretazione della donna come “piccolo uomo”, abbia progressivamente maturato un’attenzione alla salute e al corpo delle donne che supera le tradizionali aree legate alla riproduzione (apparato sessuale e seni), per considerare ogni parte del corpo, con l’intento di analizzare le caratteristiche dell’uomo e della donna ed effettuare una comparazione che consenta di apprezzare somiglianze e differenze. Alcune definizioni della medicina di genere e un commento di Nicla Vassallo, Docente di Filosofia Teoretica all’Università di Genova, anticipano la definizione e l’articolo originale che molti considerano il documento fondativo della medicina di genere, di Bernardine Healy, cardiologa, prima Direttrice dei NIH americani, sulla “Yentl Syndrome” a commento del sistematico sotto-trattamento delle patologie cardiovascolari nelle donne. “Why sex really matters” è la conversazione di David Page, Docente e Ricercatore Biologo, Direttore del Whitehead Institute del MIT, che studia le differenze genetiche tra uomo e donna ed afferma l’inevitabile urgenza di trattare gli aspetti legati al sesso in relazione con le malattie .

Basi cliniche della medicina di genere

Il terzo paragrafo dell’ambiente strutturato di documentazione, rappresenta, attraverso lavori di ricerca considerati precursori di tutte le successive trattazioni, una esaustiva rassegna di madri e padri fondatrici e fondatori di questo filone di pratica. Così si avvicendano scritti delle americane Marianne Legato, cardiologa di fama internazionale, già Docente alla Columbia University, Londa Schiebinger Docente di Storia delle scienza alla Standford University, Virginia Miller, Direttrice di ricerca Specialized Center for gender differences, Mayo Clinic, di Vera Regitz-Zagrosek autorevole cardiologa dell’ Università Charitè di Berlino, di Marek Glezerman, Past President dell’International Society of Gender Medicine e degli italiani Andrea Lenzi, Docente di Endocrinologia Direttore della sezione di Fisiopatologia medica ed Endocrinologia del dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università di Roma; Flavia Franconi, già Docente e Ricercatrice di Farmacologia Molecolare, Università di Sassari e di Giovannella Baggio dell’Università di Padova .

Il report “Gender in health” dell’EU riassume, in visione europea, i temi delle differenze di salute uomo- donna, delle diseguaglianze nell’accesso ai servizi, con una prima breve introduzione al tema della formazione attenta al genere che viene poi ripreso e sviluppato nel quinto paragrafo .

Il quarto paragrafo parte con la ricerca preclinica ed i lavori di Walter Malorni, Alessandra Carè e i gruppi di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, quindi studi che trattano di come applicare principi-guida per una biomedicina attenta alle differenze sessuali, di come incrementare il numero di donne nei trials clinici e farmacologici e della posizione dei NIH americani sulla metodologia di ricerca. Offre una carrellata di testimonianze di applicazioni pratiche della medicina orientata e attenta alle differenze sessuali e di genere .

Viene quindi offerta una carrellata di testimonianze di applicazione: cardiologia (Patrizia Presbitero-Humanitas Milano; Giorgio Noera–Villa Maria Cecilia- Cotignola (RA) – Regione Emilia Romagna; Marcello Galvani Azienda Ospedaliera della Romagna; Biagio Sassone, Azienda Sanitaria Locale di Ferrara); cronobiologia (Roberto Manfredini, Università di Ferrara); diabetologia (Annali AMD; Valeria Manicardi, Aziensda Sanitaria Locale di Reggio Emilia); epatologia (Erica Villa, Università do Modena e Reggio Emilia); farmacologia (AIFA, Flavia Franconi, Università di Sassari; Katia Varani, Università di Ferrara); medicina generale (Raffaella Michieli, SIMMG nazionale); sicurezza sul lavoro con gli atti di un convegno tenuto a Piacenza. Una sezione specifica approfondisce statement e linee guida, trattando sia della prevenzione dello stroke, dell’analisi del trattamento dell’infarto nelle donne, ma anche gli aspetti metodologici utili a costruire linee guida gender oriented .

Formare all’orientamento al genere in medicina

Il quinto paragrafo dell’ambiente strutturato di documentazione, è dedicato ai temi legati alla formazione al genere e l’inserimento di questo orientamento nel curriculum formativo dei professionisti della salute .

Dopo un pamphlet dell’OMS con precise indicazioni, si analizza l’esperienza decennale dell’Università di Innsbruck. L’editoriale di Andrea lenzi e l’approfondimento di Tiziana Bellini, Università di Ferrara e Stefania Basili, Università La Sapienza di Roma ed i rispettivi gruppi di ricerca, descrivono le considerazioni che hanno rappresentato il “motore” della costruzione di “Elementi di Medicina di Genere – Ambiente strutturato di documentazione online fruibile a distanza –– Livello avanzato per Docenti Universitari”, auspicando di poter condividere linguaggio e conoscenza comune a tutte le Facoltà di Medicina italiane. Infine, una ricerca su studenti di medicina delle Università inglesi, ci ricorda l’opportunità di inserire fin da subito nella programmazione didattica le tematiche e la conoscenza del rapporto salute e mondo LGBT .

Un ultimo paragrafo tratta della parte normativa legata alla medicina di genere, presentando sia il testo della Proposta di legge sulla medicina di genere che la sua sintesi, l’articolo 3 del cosiddetto DDL Lorenzin, approvato nel dicembre 2017, quindi operativo e l’articolo che comprende anche la parte della Formazione.

L’ambiente strutturato “a misura” di ogni Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia

L’ambiente strutturato di documentazione si presenta poi come strumento aperto e in divenire nella sua completezza, aperto alle eventuali integrazioni e suggerimenti che si intendano utili .

Le proposte da parte dei vari Presidenti di Medicina per quello che definiamo “parte generale”, andranno indirizzate a presidenti.medicina@gmail.com per il vaglio della Conferenza Permanente dei presidenti di Corso di laurea in Medicina e Chirurgia .

La piattaforma poi consente ad ogni Università di ritagliare una “area personalizzata” che una volta approvata dalla Conferenza può essere condivisa da tutti i CdS di Medicina Italiani o restare in alternativa un bagaglio del singolo CdS .

Questo ambiente di documentazione on line è un’area a piena gestione di ogni Corso di Laurea interessato con link e relative credenziali dedicate. Questi link con user e password (forniti gratuitamente dal centro Se@ dell’Università di Ferrara) verranno inviati dalla Conferenza ad ogni Presidente dopo la validazione del Gruppo di Lavoro dedicato della Conferenza .

(Per ulteriori informazioni contattare: sgnflv@unife.it, blt@unife.it)

Bibliografia

Bellini T., Raparelli V., Moncharmont B., Basili S., Lenzi A. Una proposta per la formazione degli studenti di Medicina e Chirurgia alla Medicina di Genere. Med. Chir .73. 3310-3314, 2017.

Hochleitner M. Nachtschatt U. Siller H. How Do We Get Gender Medicine Into Medical Education? Health Care for Women International 2013, 34:3–13

Signani F. Medicina di genere: a che punto è l’Italia? Ital J Gender-Specifi c Med 2015; 1(2): 73-77.

Tisdell, E. J. (1995). Creating inclusive adult learning environments: Insights from multicultural education and feminist pedagogy. Washington, DC: ERIC Clearinghouse on Adult, Career, and Vocational Education, Ohio State University. Report no. 361:1 – 122

World Health Organization (2007) Integrating gender into the curricula for health professionals. Meeting report . Department of Gender, Women and Health (GWH), Geneva, Switzerland

Cita questo articolo

Signani F., Basili S., Bellini T., Medicina di genere: un ambiente strutturato on line per condividere conoscenze di base, Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 77: 3566-3469, 2018. DOI: 10.4487/medchir2018-77-3

Farmaci equivalenti e farmaci biosimilari, carte vincenti nella partita per la sostenibilità dei servizi sanitarin.76, 2017, pp.3432-3436, DOI: 10.4487/medchir2017-76-3

Vicepresidente Assogenerici e Coordinatore dell’Italian Biosimilars Group (IBG)

Abstract

The challenge facing public health today in all advanced countries is certainly to ensure the sustainability of pharmaceutical spending while at the same time ensuring access to innovative medicines, which will also respond to unmet medical needs.

The experience of recent years has shown us two very effective weapons: generics and biosimilars. Generics and Biosimilar medicines industry is now at the heart of the pharmaceutical policy of public health systems, as it provides essential medicines to deal with most common, acute and chronic diseases.

On the other side the importance of biologicals medicines will continue to increase in the coming decades.

For this reason, Europe has focused on biosimilars that between 2007 and 2020 will generate savings between 11.8 and 33.4 billion in the eight biggest EU countries.

Therefore it is essential for physicians – today, but above all tomorrow – to become quickly familiar with the therapeutic opportunities offered by biosimilars medicines that are becoming more and more widely used in clinical practice.

Key words: sustainability, pharmaceutical expenditure, generics, biosimilars.

 La sfida che attende la Sanità pubblica di tutti i Paesi del mondo avanzato e certamente quella di assicurare la sostenibilità della spesa farmaceutica e di garantire allo stesso tempo l’accessibilità ai farmaci innovativi, che potranno dare risposta anche a bisogni sanitari finora inevasi. L’esperienza di questi anni ci ha dimostrato che disponiamo già di due armi efficacissime: i farmaci equivalenti e i biosimilari. L’industria dei generici-equivalenti e oggi al centro delle principali politiche farmaceutiche dei sistemi sanitari pubblici, poichè fornisce i medicinali essenziali per affrontare tutte le patologie più diffuse, sia acute che croniche.

Per quanto riguarda i farmaci biologici, la loro importanza e destinata ad aumentare ancora nei prossimi decenni. E per questo motivo che l’Europa ha puntato da subito sui biosimilari, che tra il 2007 e il 2020 l’utilizzo dei biosimilari dovrebbe determinare, negli otto principali Paesi UE, un risparmio complessivo compreso tra gli 11,8 e i 33,4 miliardi di euro.

Anche per questo e essenziale che i medici – di oggi ma soprattutto di domani – siano messi in condizione di familiarizzare precocemente con tutte le opportunità terapeutiche destinate a diventare di sempre più ampio uso nella pratica clinica.

Parole chiave: sostenibilità, spesa farmaceutica, generici, biosimilari.

Articolo

Introduzione

Gli incredibili progressi frutto dei traguardi della ricerca scientifica hanno consentito di raggiungere bersagli fino a poco tempo fa inimmaginabili nella diagnosi e nel trattamento di gravi patologie. Grazie ai livelli essenziali di assistenza il nostro Servizio Sanitario Nazionale rappresenta fin dalla sua istituzione una garanzia di accesso alle cure e all’assistenza per tutti i cittadini, ma proprio in quest’ultimo decennio la coincidenza di tre fattori concomitanti – l’invecchiamento della popolazione e dunque la sempre maggiore incidenza delle malattie croniche, l’ingresso di farmaci innovativi di costo elevato e il ridotto tasso di crescita economica con conseguente erosione degli stanziamenti in campo sanitario – sta rendendo sempre più critico il bilanciamento tra diritto alle cure del paziente e sostenibilità economica del servizio.

Per questo motivo, la sfida che attende la Sanità pubblica di tutti i Paesi del mondo avanzato e certamente quella di assicurare la sostenibilità della spesa farmaceutica e di garantire allo stesso tempo l’accessibilità ai farmaci innovativi. L’obiettivo e far si che ogni paziente possa ricevere il farmaco più appropriato alla patologia da cui e affetto in una logica di costo-beneficio, dunque non necessariamente il più innovativo e costoso. Per capire quanto questa sfida sia cruciale, basta analizzare i principali dati di settore.

 

I trend di mercato

Il mercato farmaceutico mondiale vale oggi 935 miliardi di dollari ed ha registrato negli ultimi cinque anni una crescita media del 6,5% e in particolare in Europa la spesa per medicinali specialistici e cresciuta a tassi mediamente più elevati rispetto alle altre componenti della spesa. Le prime 5 classi a più alto impatto di spesa – oncologia, malattie autoimmuni, anticoagulanti orali, HIV) – determinano il 64% della crescita ed e in queste aree che si concentrano i farmaci biologici che rappresentano il 26,4% del mercato mondiale (247 miliardi di dollari).

L’importanza dei medicinali biologici e destinata ad aumentare ancora nei prossimi decenni proprio per la loro capacita di fornire cure efficaci e mirate per molte patologie gravi e rare.

Già oggi 7 tra i primi farmaci al mondo per fatturato sono biologici. Tra questi, al primo posto, l’Adalimumab, anticorpo monoclonale utilizzato come terapia contro l’artrite psoriasica e l’artrite reumatoide nelle forme più gravi; l’Etanercept, per il trattamento di malattie autoimmuni; il Trastuzumab, anticorpo monoclonale umanizzato utilizzato per combattere il carcinoma mammario avanzato e cosi via.

Il quadro descritto e inevitabilmente destinato ad accentuarsi. Le stime più recenti confermano una previsione di crescita del 6,5% per un mercato farmaceutico mondiale che nel 2022 dovrebbe quotare 1,06 trilioni di dollari. Secondo gli analisti, il 32% della crescita dovrebbe derivare dalla vendita di farmaci orfani, che quoterebbe oltre 95 miliardi di dollari, ma un contributo altrettanto importante deriverà dalle terapie oncologiche (+13%) che nel 2022 totalizzerebbero un mercato mondiale pari a 192 miliardi di dollari.

Di pari passo aumenterà il ruolo dei biosimilari la cui presenza sul mercato entro il 2022 andrà ad impattare, complici le scadenze brevettuali, su un volume di vendite pari a 194 miliardi di dollari.

Alla luce di queste evidenze, gli esperti di tutti i sistemi sanitari avanzati sono consapevoli del fatto che la sfida a livello mondiale sarà rappresentata dalla necessita di trovare un punto d’incontro tra le esigenze di una popolazione che invecchia e che manifesta il peso della cronicità e l’onere delle terapie ad altissimo tasso di innovazione, che sono prossime ad approdare sul mercato farmaceutico mondiale e che fortunatamente potranno dare risposta anche a bisogni sanitari finora inevasi.

L’esperienza di questi anni ci ha dimostrato che disponiamo già di due armi efficacissime che possono aiutarci a vincere questa sfida: i farmaci equivalenti e i biosimilari.

La certezza dei farmaci equivalenti

Non e un caso, infatti, se l’industria dei generici equivalenti e oggi al centro delle principali politiche farmaceutiche dei sistemi sanitari pubblici, poichè fornisce i medicinali essenziali che consentono agli operatori sanitari di affrontare tutte le patologie più diffuse, sia acute che croniche. Grazie a questi prodotti – efficaci, di uso consolidato e di alta qualità, che hanno perso la copertura brevettuale e che dominano il mercato farmaceutico mondiale – milioni di pazienti hanno beneficiato di un migliore accesso a medicinali essenziali e salvavita.

In Europa il sorpasso tra mercato degli equivalenti e branded e stato realizzato nel 2016, quando gli equivalenti hanno rappresentato il 62% del mercato farmaceutico totale dell’Unione.

I benefici di questo trend di mercato sono evidenti: negli ultimi 10 anni i farmaci equivalenti hanno garantito un incremento di oltre il 100% nell’accesso alle terapie farmacologiche delle prime 7 aree terapeutiche relative alle patologie a più alta incidenza nella popolazione.

Il dato e ancora più importante se riferito alla realtà del nostro Paese dove si registrano fenomeni decisamente contraddittori: da un lato gli equivalenti assorbono solo il 21% del mercato, diversamente da quanto accade in altri mercati avanzati europei: Germania, Olanda, Svezia, Regno Unito, solo per fare alcuni esempi; dall’altro, secondo le statistiche del Censis, nel 2016 ben 11 milioni di italiani – 2 in più rispetto al 2014 – hanno rinunciato alle prestazioni sanitarie necessarie che non riuscivano a pagare di tasca propria.

La rivoluzione dei farmaci biologici

Tornando alla sfida della sostenibilità delle cure, se e vero pero che con i farmaci biologici stanno crescendo e cresceranno ancora le opzioni terapeutiche per malattie magari in precedenza incurabili e altrettanto vero che i nuovi farmaci – come ad esempio gli anticorpi monoclonali (farmaci a bersaglio molecolare) – a causa dell’alta tecnologia produttiva, sono molto costosi e stanno ponendo problemi di accesso anche nei Paesi più avanzati.

Basti pensare, ad esempio, che nel 2012, nei Paesi europei a più alto reddito, solo il 15% dei pazienti eleggibili poteva ricevere il trattamento per l’artrite reumatoide.

E per questo motivo che l’Europa ha puntato da subito sui farmaci biosimilari, facendo da apripista per l’ampliamento della platea dei pazienti eleggibili al trattamento con le terapie innovative.

I primi farmaci biologici, prodotti con biotecnologie, sono stati approvati negli anni Ottanta e hanno già contribuito al trattamento di milioni di pazienti affetti da malattie come i tumori, la sclerosi multipla, il diabete, l’artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni e rare.

Un farmaco biologico e un farmaco che contiene uno o più principi attivi prodotti o derivati da una fonte biologica. Proprio in questo consiste la grande differenza esistente tra i farmaci “classici” e i farmaci biologici: i primi sono normalmente prodotti tramite un processo di sintesi chimica; la gran parte dei secondi e prodotta invece da organismi viventi.

Poiché due linee cellulari sviluppate indipendentemente non possono mai essere considerate identiche, l’Agenzia europea dei medicinali (EMA), ha coniato il termine “biosimilare”: un farmaco biosimilare e quindi un farmaco biologico sviluppato per essere “comparabile” a un farmaco biologico già esistente (il “farmaco di riferimento”) in termini di qualità, sicurezza ed efficacia.

La complessità dei farmaci biologici e il modo in cui essi vengono prodotti possono, infatti, comportare un certo grado di variabilità nelle molecole dello stesso principio attivo. Si tratta di una variabilità assolutamente naturale e può verificarsi anche in lotti diversi dello stesso farmaco: se il biosimilare viene approvato dall’EMA, significa che questa variabilità e le eventuali differenze tra il biosimilare e il suo farmaco di riferimento si sono dimostrate ininfluenti sulla sicurezza e l’efficacia del medicinale e quindi clinicamente irrilevanti

La chance dei biosimilari

Di fatto fin dal 1995 tutti i farmaci biologici devono essere valutati a livello centrale dall’EMA al cui parere scientifico favorevole e subordinata la formale autorizzazione all’immissione in commercio da parte della Commissione Ue.

Dal 2003 – con gli stessi criteri – e stato individuato uno specifico percorso normativo e regolatorio anche per lo sviluppo e l’autorizzazione dei farmaci biosimilari, cui si applicano gli stessi principi generali adottati a livello comunitario per i farmaci biologici di riferimento.

In aggiunta, poiché il biosimilare approvato e il suo farmaco di riferimento devono avere lo stesso profilo di sicurezza ed efficacia, la legislazione comunitaria definisce quali studi devono essere eseguiti per il farmaco biosimilare al fine di dimostrarne la comparabilità in termini di qualità, sicurezza ed efficacia (effetto terapeutico) con il farmaco di riferimento, e di dimostrare l’assenza di significative differenze cliniche rispetto al farmaco di riferimento.

Ogni domanda di autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco biosimilare e valutata caso per caso: una volta approvati, un farmaco biosimilare e il suo farmaco di riferimento hanno lo stesso profilo di sicurezza ed efficacia, incluso lo stesso livello atteso di reazioni avverse e una volta approvata l’immissione in commercio di un farmaco biosimilare a livello europeo, questa autorizzazione vale per tutti i Paesi, compresa l’Italia, dove all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) compete poi la negoziazione del prezzo con il produttore

I traguardi di un decennio

Il primo biosimilare a livello mondiale – la somatropina – e stato approvato nell’UE nel 2006. Da allora, di anno in anno, i biosimilari hanno garantito l’eleggibilità al trattamento con terapie innovative ad un numero sempre più ampio di pazienti che hanno potuto beneficiare delle cure in una fase anticipata del decorso della malattia, ottenendo cosi anche una migliore qualità della vita.

Oggi i biosimilari disponibili sul mercato europeo sono 20 e dal 2006 a oggi hanno generato piu di 400 milioni di giorni di esperienza clinica sui pazienti dell’Unione, trasformando un privilegio di pochi in un diritto di molti e garantendo un oggettivo beneficio economico ai sistemi sanitari che hanno colto le opportunità offerte dal loro utilizzo.

Tra il 2007 e il 2020 l’utilizzo dei biosimilari dovrebbe determinare, negli otto principali Paesi UE, un risparmio complessivo compreso tra gli 11,8 e i 33,4 miliardi di euro. Ulteriori risparmi – con conseguente ampliamento delle possibilità d’accesso alle cure – dovrebbero essere garantiti dalla scadenza brevettuale di altri 12 prodotti biologici attesa entro il 2020.

A documentare l’importanza della presenza dei biosimilari sul mercato europeo e un recentissimo rapporto realizzato da QuintilesIMS per la Commissione Ue.

Dallo studio – pubblicato a maggio e intitolato ≪The Impact of Biosimilar Competition in Europe≫ – emerge che l’introduzione dei farmaci biosimilari nel mercato europeo ha determinato nel tempo riduzioni del costo delle terapie tra il 10% e il 50% nelle diverse aree terapeutiche, a fronte del raddoppio della spesa europea per i farmaci biologici, passata dai 20 miliardi del 2006 ai 40 miliardi del 2016.

Dallo studio e emerso con chiarezza che l’effetto competitivo derivante dall’accesso del biosimilare sul mercato incide non solo sul prezzo del prodotto di riferimento ma sui listini dell’intera classe terapeutica.

Pr quanto riguarda il nostro Paese, un esempio concreto e rappresentato dall’ingresso sul mercato del filgrastim biosimilare che in meno di 10 anni ha consentito di raddoppiare il numero di trattamenti effettuati con questa terapia.

L’altra faccia della crisi

Tornando al rebus della sostenibilità vale la pena ricordare, ancora una volta, che la crisi dei sistemi sanitari – di cui e un evidente sintomo e che accomuna tutto l’Occidente industrializzato – viene solitamente attribuita ad un mix di concause: il sotto finanziamento, gli sprechi, le inefficienze. In realtà c’e una radice più profonda e generalmente sottaciuta: c’e una questione culturale che sempre più spesso ci impedisce di interpretare correttamente gli stessi concetti di scienza, progresso, salute, malattia, servizio.

La salute ha evidentemente un prezzo e ogni società sceglie sulla base della propria scala di valori quante risorse destinare alla sua tutela, ma se vogliamo riappropriarci dei valori che caratterizzano il nostro sistema sanitario universalistico dobbiamo senz’altro scegliere la bandiera della “sobrietà”, che porta ad utilizzare gli interventi medici in modo appropriato e a perseguire esiti clinici ragionevoli ed equi a costi praticabili, creando cosi un sistema economicamente sostenibile di garanzia delle cure.

Per questo e essenziale che i medici – di oggi ma soprattutto di domani – siano messi in condizione di familiarizzare precocemente con tutte le opportunità terapeutiche destinate a diventare di sempre più ampio uso nella pratica clinica. E ciò e tanto più vero in un panorama italiano che registra una grande eterogeneità di indirizzi a livello regionale a fronte di una evidente scarsità di informazione certificata sia dedicata ai clinici che ai pazienti.

Nell’ottica di un professionista sanitario, ad esempio, l’informazione sui vantaggi economici derivanti dall’apertura ai biosimilari – ovvero quella prioritariamente indirizzata ai prescrittori alla luce delle criticità di budget dei servizi sanitari – non può certo considerarsi esaustiva. E se sui biosimilari c’e una carenza di informazione qualificata e certificata, sugli equivalenti pesa invece l’effetto di “leggende metropolitane” derivanti da scarsa conoscenza dei fondamenti clinico-scientifici – che contribuiscono al perpetuarsi di antiche diffidenze.

Un adeguato bagaglio di conoscenze e indispensabile per garantire il rapporto di fiducia tra chi ha bisogno di salute (pazienti) e chi ha le conoscenze scientifiche per dare risposte al bisogno (medici). In quest’ottica Il ruolo dell’Università diviene quindi propedeutico e cruciale e la scelta vincente potrebbe essere rappresentata da un percorso universitario che doti i medici degli strumenti necessari ad interpretare in modo equilibrato lo scenario dove andranno ad operare

Incidenza dei farmaci equivalenti sui mercati farmaceutici mondiali

Incidenza dei farmaci biologici sui mercati farmaceutici mondiali

 

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Florenzano M., Farmaci equivalenti e farmaci biosimilari, carte vincenti nella partita per la sostenibilità dei servizi sanitari, Medicina e Chirurgia, 76: 3432-3436, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-76-3

La simulazione medica nel futuro: un tentativo di visioningn.75, 2017, pp.3401-3406, DOI: 10.4487/medchir2017-75-5.

Volontè Fabio1 , Ianniello Alessandro2 , Bisson Mario2 , Ingrassia Pier Luigi1

1 Centro Interdipartimentale di Didattica Innovativa e di Simulazione in Medicina e Professioni Sanitarie “SIMNOVA”, Università del Piemonte Orientale, Via Lanino 1, 28100 Novara.

2 Laboratory for Environmental Design and Multisensory Experiences – Dipartimento di Design del Politecnico di Milano

Abstract

La pratica clinica è un componente indispensabile dell’apprendimento e del mantenimento delle competenze in molte delle discipline sanitarie e la simulazione offre l’opportunità di praticare in maniera sicura ed efficace senza rischi per il paziente.

La simulazione nella didattica medica si è già ampiamente evoluta rispetto alle sue fasi iniziali. L’introduzione dei simulatori di pazienti umani, intorno alla fine del XX secolo, rappresenta una tappa fondamentale nella scienza dell’educazione in sanità. Fino ad oggi l’attenzione degli sviluppatori si è concentrata da un lato sulla capacità dei simulatori di dare feedback verosimili e coerenti con il comportamento del paziente e con la fisiologia umana e dall’altro sull’interazione fra simulatore e utilizzatore.

Le emergenti tecnologie nel campo della percezione sensoriale apporteranno miglioramenti significativi sia nella formazione in simulazione che nella gestione della simulazione stessa. Basandosi sull’analisi delle tecnologie attualmente disponibili e in via di sviluppo, questo scritto vuole essere uno sforzo di visioning sul futuro delle tecniche di simulazione. Nano-sensori e nano-attuatori, usati nella realtà aumentata/virtuale/ mista, permetteranno sia la concettualizzazione di sistemi capaci di aumentare il livello di realismo e di immersione sensoriale ma anche di mappare i movimenti e le azioni al fine di generare protocolli univoci di intervento. Proiettandoci in un ipotetico 2025, la simulazione medica sarà un’esperienza democratica, largamente accessibile, dinamica e immersiva a 360°, grazie alle tecniche di implementazione neuro-percettive.

Parole Chiave: simulazione; realtà virtuale; realtà aumentata; training basato sulla simulazione

Summary

Practice is a key component of skills learning and maintenance in many health disciplines and simulation offers the opportunity to practice in a safe and effective manner improving patient safety.

Simulation for healthcare training has already evolved through its initial historical phases. The introduction of human patient simulator toward the end of the 20th century was a milestone in health sciences education.

To date the attention of developers has been paid to the capability of the simulator to give feedback, consistent with patient behavior and physiologic response, and the interaction between simulator and users.

The emerging technologies in the field of sensorial perception will bring improvements both in education and in management of the simulation. Grounding on the analysis of current and under-development technology, the manuscript is an attempt of visioning simulation-based training in health education in a coming future. Nano-sensors and nano-actuators, used in augmented/virtual/mixed reality, will allow the conceptualization of systems increasing the level of realism and the sensorial immersion, and the mapping of movements and action in order to generate univocal protocols of intervention. Projecting ourselves in 2025, medical simulation will be a democratic, largely accessible, dynamic and 360° sensorial experience, thanks to techniques of neuro-perceptive implementation.

Key Words: simulation; virtual reality; augmented reality; simulation-based training

Articolo

Introduzione

“Simulare, simulare, simulare!” Sembra essere questo lo slogan che il mondo medico si è dato come uno dei valori fondanti per la formazione professionale dei soggetti della sanità. Questa tendenza è il risultato di una molteplicità di fattori tecnologici, ma anche etici e sociali che hanno pervaso il mondo del lavoro – non solo in medicina – negli ultimi decenni.

Ogni professionista della salute ha sicuramente bisogno di sperimentare per apprendere e/o mantenere le competenze centrate sul paziente (cura, comunicazione, raccolta d’informazioni), sul processo (gestione del gruppo, delle informazioni) e sull’ambiente (competenze culturali, amministrative e di leadership). A questo si deve poi aggiungere l’aggiornamento ciclico delle procedure sanitarie, l’aumento di conoscenze mediche e la forte diffusione delle tecniche chirurgiche minimamente invasive che, se da un lato hanno garantito il miglioramento della qualità della cura, dall’altro hanno determinato una crescita della complessità delle tecniche di intervento e un conseguente aumento del tempo necessario per apprenderne le procedure.

La simulazione come strumento didattico approda nel settore sanitario durante gli anni ‘70, con una piena diffusione solo vent’anni più tardi. S’impone in particolare l’utilizzo dei manichini umani conosciuti come simulatori dei pazienti standardizzati, ossia di attori addestrati a recitare la parte di malati, ma anche l’uso di sistemi di realtà virtuale 3D, che riproducono su computer o in ambienti dedicati interventi di vario tipo.

Fino ad oggi l’attenzione è stata data alla capacità che ha il manichino/simulatore di trasmettere allo studente feedback, legati al comportamento del paziente simulato e all’interazione che avviene tra studente e manichino.

In queste pagine vogliamo gettare le basi della discussione sul futuro delle tecniche di simulazione, non più come semplici strumenti didattici, ma come esperienze sensoriali che guidano sia lo studente sia l’istruttore. Questa costruzione dell’immagine futura, a partire dalle aspirazioni, dalle necessità, e che si basa sull’offerta tecnologica oggi disponibile e in via di sviluppo, rappresenta il punto di partenza della recente collaborazione fra il Centro Interdipartimentale di Didattica Innovativa e di Simulazione in Medicina e Professioni Sanitarie dell’Università del Piemonte Orientale “SIMNOVA” e il Laboratory for Environmental Design and Multisensory Experiences del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano nella creazione delle linee guida per lo sviluppo della simulazione sensoriale.

La simulazione oggi e la necessità dell’esperienza sensoriale I simulatori moderni sono programmati per interagire con l’utente, rispondendo alle sue azioni e combinando sia gli stimoli visivi che quelli tattili, poiché ci si propone di ottenere esperienze simulate sempre più realistiche. I professionisti sanitari hanno bisogno di interagire con una realtà anatomicamente verosimile, ma allo stesso tempo l’ambiente deve adattarsi e modificarsi in risposta allo scenario simulato.1 Finora la percezione sensoriale della simulazione era guidata dal tatto e dalla visiva riproducibilità delle attività gestuali, coniugate all’aspetto ergonomico della simulazione e del simulatore. Dare importanza all’ergonomia significa problematizzare, ad esempio, i bisogni professionali/lavorativi dei soggetti organizzativi per poi tradurli in ambienti ed esperienze soddisfacenti. Ciò significa non solo fornire ambienti confortevoli e compatibili con le caratteristiche fisiologiche delle persone, ma anche favorire lo scambio comunicativo tra queste.

Pertanto oltre al simulatore, anche il setting in cui avviene la simulazione diviene un elemento importante per aumentare il grado di realismo. La riproduzione dell’ambiente non deve essere vista come una rappresentazione statica, ma l’ambiente stesso deve dare stimoli all’utente e modificarsi in base alle sue scelte.

La risposta che ne deriva dalla simulazione, coniugando la realtà trasmessa dal tool e dagli stimoli percepiti intorno a sé, garantisce l’esperienza sensoriale necessaria all’apprendimento. Più sensi sono attivati durante l’esecuzione dell’azione, maggiore è l’immagazzinamento dell’esperienza che ne deriva dall’azione stessa.2 D’altro canto il paradigma per cui percezione, cognizione mentale e apprendimento risultano strettamente connessi è ormai dimostrato3 ed è valorizzato dai recenti studi di Rizzolatti sui neuroni specchio.4,5 L’esperienza sensoriale tecnologica Con l’avvento delle nuove tecnologie si è aperta la possibilità di accedere a una simulazione molto più aderente alla reale situazione di intervento e fruibile da un elevato numero di persone.

A livello visivo la tecnologia deve permettere una visione statica della situazione simulata e una visione dinamica di ciò che vogliamo interagisca con lo studente.

Il feedback tattile è l’elemento fondamentale su cui è basato lo sviluppo dei componenti dei manichini di simulazione. Unito alla vista è ciò che consente la sensazione di realtà di ciò che teniamo in mano.

L’impulso sonoro ha un’importanza notevole nel richiamare l’attenzione dell’utente su quanto sta avvenendo intorno a lui: l’udito ci permette di mantenere controllata una situazione senza vederla, ad esempio il ritmo sinusale trasmesso dal suono del monitor del paziente.

L’olfatto infine è la parte più arcaica dell’istinto animale. Certe risposte al pericolo passano prima dall’apparato olfattivo che dalla capacità visiva di individuare il problema stesso.

Le nuove realtà tecnologiche e la comunicazione tra oggetti In questo momento si può parlare di tre diversi tipi di realtà “parallele” a quella reale: la realtà virtuale, la realtà aumentata e la realtà mista.

Per realtà virtuale si intende un ambiente simulato tramite una serie di tecnologie, che, combinate ad altre stimolazioni sulla persona, come la proiezione di una scena, generano un contesto in cui l’utente è in grado di compiere diverse azioni, ricevendo da esso una risposta. Per la generazione delle immagini realistiche, suoni e altre sensazioni si utilizzano dei software che simulano anche la presenza dell’utente in quest’ ambiente. Una persona che vive questo tipo di esperienza, sarà in grado di guardarsi intorno, di muoversi e interagire con le features o gli oggetti presenti all’interno della scena. Il dialogo tra la persona e la realtà virtuale è resa possibile dall’utilizzo di un casco (o occhiali), generalmente Head Mounted Display (HMD), il cui scopo è quello di tradurre i segnali immagine dei softwares utilizzati, in immagini tridimensionali, che seguano la visuale dell’utente, in modo da generare ambienti a 360° (Fig.1).

Schermata 2017-10-02 alle 14.43.35

La realtà aumentata consiste in una visione, diretta o indiretta, di un ambiente reale, i cui elementi sono aumentati o modificati da input sensoriali, come stimoli audio-visivi, grafici o dati GPS, generati da un computer. Con l’aiuto di tecnologie avanzate, le informazioni aggiuntive diventano interattive e manipolabili digitalmente. Per essere “visibile”, essa ha bisogno di “device” come smartphone, tablet, computer; oppure, come per la realtà virtuale, vengono utilizzati caschi o occhiali, che applicano la realtà aumentata a tutto l’ambiente all’interno del campo visivo (Fig. 2).

Schermata 2017-10-02 alle 14.43.54

A differenza della realtà virtuale, il suo “utilizzo” è più semplice e richiede un sistema meno complesso, appoggiandosi all’ambiente reale su cui sono rappresentati gli incrementi digitali; tuttavia ciò comporta un’adesione alla realtà e un’esperienza immersiva di qualità inferiore, dovendo basarsi su ciò che realmente circonda l’utente e non potendo simulare completamente la situazione.

Per realtà mista, s’intende la fusione del mondo reale e di quello virtuale, per produrre un nuovo ambiente e una nuova visualizzazione, dove oggetti fisici e digitali coesistono e interagiscono in tempo reale.

Tra le realtà presentate, quest’ultima è, senza dubbio, la più recente e innovativa: è possibile avere immagini a una risoluzione certamente migliore, rispetto a quelle virtuali e di dimensioni notevolmente superiori, ed è utilizzabile con diversi tipi di “devices”. Per ottenere i risultati desiderati è utilizzato un proiettore che rende visibili le immagini su un materiale semi trasparente, per poi essere riflesse verso l’occhio grazie a una tecnologia di divisione dei raggi luminosi. E’ possibile la presenza simultanea di più persone nello stesso co-ambiente, reale e virtuale, e l’interazione tra essi e gli elementi virtuali presenti in scena, arrivando addirittura a permettere la presenza nel mondo virtuale, senza avere la necessità della presenza fisica nel luogo. Essendo equiparabile a un’evoluzione della realtà aumentata, essa si dota di caratteristiche più performanti, eliminando quell’alone di staticità, grazie all’interazione in tempo reale, tra le componenti virtuali e quelle reali. Presenta gli stessi vantaggi della realtà aumentata nei confronti della realtà virtuale, anche se il suo sviluppo è ancora indietro rispetto alle altre due tecnologie e con un’affidabilità inferiore.

Guardando al futuro però, e a una sua sempre crescente diffusione, essa può risultare la tecnologia a maggiore potenziale.

Una possibile evoluzione dell’uso della Rete è quella che oggi è definita “Internet of Things”: gli oggetti (le “cose”) si rendono riconoscibili e acquisiscono intelligenza grazie al fatto di poter comunicare dati su se stessi e accedere a informazioni aggregate da parte di altri. L’obiettivo dell’internet delle cose è far sì che il mondo elettronico tracci una mappa di quello reale, dando un’identità elettronica alle cose e ai luoghi dell’ambiente fisico.

I Micro Electro-Mechanical Systems (M.E.M.S.) sono un insieme di dispositivi di varia natura (meccanici, elettrici ed elettronici) che costituiscono sistemi “intelligenti” che abbinano funzioni elettroniche, di gestione dei fluidi, ottiche, biologiche, chimiche e meccaniche in uno spazio ridottissimo, integrando la tecnologia dei sensori e degli attuatori e le più diverse funzioni di gestione dei processi (fig. 3).

Schermata 2017-10-02 alle 14.44.13

L’integrazione di questo tipo di tecnologie all’interno del sistema di strumenti per il training simulato può essere applicata per mappare e normare i comportamenti e le azioni da compiere durante le reali operazioni, per arrivare a creare una prassi univoca d’intervento che garantisca la sicurezza dei pazienti (Fig. 4).

Schermata 2017-10-02 alle 14.44.30

La visioning per la simulazione medica nel 2025 La simulazione medica del 2025 permetterà la totale immersione esperienziale e sensoriale, facilitando e rendendo assolutamente veritiero ed efficace il training delle équipe. Ciò sarà possibile grazie a tecnologie ancora oggi in fase di sviluppo, come quelle “aptiche”, per consentire i feedback tattili, e neurodevices che consentono di interagire attivamente con interfacce e macchine “intelligenti”, generando simulazioni dinamiche, modificabili a piacimento e in tempo reale, da chi supervisiona l’addestramento, risultando quindi didatticamente efficienti.

Con molta probabilità scomparirà qualsiasi forma di tool “analogico”, come può essere il manichino/simulatore, sostituito da elementi puramente digitali.

Immaginando più nel dettaglio, il nuovo concept di simulazione sarà essenzialmente composto di due diversi tools per l’interazione con gli elementi simulati, uno dedicato a coloro che esperiscono la simulazione (discenti), un altro invece a coloro che la supervisionano e la gestiscono (istruttori/facilitatori), e di un device per generare la realtà mista, che possa essere facilmente trasportabile, in modo da “portare” la simulazione in quanti più ambienti possibili.

Il primo oggetto sarà costituito da due “lenti”, che fungano da interfaccia tra la realtà mista e l’utente e siano attive, nel senso che riescano a vedere ciò che succede durante la simulazione e ciò che è simulato, inviando stimoli all’apparato di attuatori miniaturizzati, presenti sul corpo dell’utente. In questo modo egli sarà dotato di un apparato sensoriale dedicato alla realtà simulata, collegato al corpo stesso e quindi in comunicazione con esso tramite una rete neurale artificiale.

Il device dedicato ai trainers sarà un neurotool, che riprenda e sviluppi le tecnologie utilizzate in strumentazioni come Insight di Emotiv (https://www.emotiv.com/insight/), e che consenta di modificare dinamicamente la simulazione, in modo da rendere più veritiera l’evoluzione di un qualsiasi intervento o azione, e aumentare il livello di difficoltà con variabili sempre diverse. Lo strumento che genera la realtà mista dovrà essere utilizzabile in qualsiasi ambiente, senza dover essere legato a dimensioni ambientali. Sarà inoltre in grado di raccogliere e processare i dati sensibili per generare feedback automatici utilizzabili anche a scopo di ricerca.

Perché la simulazione diventi veramente imprescindibile strumento di formazione in tutti i campi della sanità un ruolo chiave verrà giocato dalla sua accessibilità: se i tools utilizzati saranno disponibili per un vasto numero di persone, i progressi nella gestione e della cura dei pazienti saranno globali e molto rapidi.

Altro obiettivo non trascurabile è la creazione di una prassi, una normativa di comportamento che i medici e tutti gli operatori della salute dovranno seguire per risultare altamente efficienti. Questo sarà possibile mappando sia gli oggetti sia coloro che simulano e incrociando i dati ottenuti, perché si individuino le posizioni, i movimenti e le azioni corrette da eseguire, a seconda della specifica situazione.

Il ruolo dell’Accademia In questa visione futuristica della simulazione, non può mancare il ruolo dei diversi stakeholders, che potremmo ricondurre all’area medica, tecnologica, della progettazione e, infine, governativa.

All’interno dell’area medicale si ritrovano i centri di simulazione e i poli universitari e di ricerca, che, in uno scenario di co-creazione, si identificheranno come prosumer, ossia non si limiteranno al ruolo passivo di consumatori o fruitori della simulazione, ma parteciperanno attivamente alle diverse fasi del processo produttivo contribuendone in maniera sensibile.

Essi infatti rientrano anche nell’area della progettazione assumendo il compito di regia e permettendo la comunicazione tra i diversi soggetti, che non parlano lo stesso linguaggio – a causa della forte struttura verticale del loro know-how – e che necessitano, dunque, di una figura in grado di gestire la complessità progettuale in tutti i suoi ambiti. Nell’area tecnologica ricadono, ovviamente, le aziende che forniranno le tecnologie necessarie allo sviluppo di progetti, con le quali si istituirà un rapporto di condivisione e di scambio, tra mezzi (tecnologia) ed esperienza. Le istituzioni governative infine rappresentano quegli indiretti committenti del progetto, che dovrebbero investire capitali, insieme alle aziende di tecnologie, per lo sviluppo e la diffusione del prodotto con lo scopo ultimo di promuovere e garantire la sicurezza dei pazienti.

Bibliografia

  1. Dieckmann, P. (2008). How much realism is needed in medical simulation? Presentation at the International Meeting on Simulation in Healthcare, San Diego, Ca.
  2. Shams L, Seitz AR. Benefits of multisensory learning. Trends Cogn Sci. 2008 Nov;12(11):411-7
  3. Berthoz A. Il senso del Movimento. 1998. Mcgraw- Hill, Milano
  4. Rizzolatti G, Sinigaglia C. So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio. 2006. Raffaello Cortina Editore, Milano
  5. Rizzolatti G, Vozza L. Nella mente degli altri. 2008. Zanichelli, Bologna

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Volonté F., Iannello A., Bisson M., Ingrassia P.L., La simulazione medica nel futuro: un tentativo di visioning, Medicina e Chirurgia, 75: 3401-3406, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-75-5

Come valutano gli studenti la qualità della formazione della Sapienza?n.75, 2017, pp.3394-3400, DOI: 10.4487/medchir2017-75-4.

Abstract

Nowadays, the evaluation of quality in the university system is a key topic. In Italy, the institution that has this role is the National Agency for the University System Evaluation and Research (ANVUR). The annual survey on students’ opinions of the Sapienza is called “OPIS on-line “ and is realized through the adoption of the questionnaire drawn up by ANVUR.

These surveys are conducted to identify some problematic issues that arise in the conduction of educational activities in order to improve the educational offer of the universities. The definition of an abstract concept such as quality, it’s a pretty difficult task, since summarizes a set of intrinsic features, which make a service that meets certain requirements. This concept, in order to be inferred from the data, therefore requires quantification.

Until today, different statistical techniques have been used, both simple and more sophisticated. A further and more refined analysis method is based on the use of structural equation models (SEM) proposed here.

Keywords: Quality education, OPIS on-line, structural equation model.

Parole chiave: Qualità della formazione, OPIS online, modelli ad equazioni strutturali.

Articolo

Introduzione

Recentemente la cultura della valutazione e della qualità nel Sistema Universitario è divenuta un argomento sempre più oggetto di interesse. Essa rappresenta un prerequisito indispensabile per garantire efficienza ed efficacia nel perseguimento degli obiettivi, della promozione e sviluppo della ricerca e dell’elaborazione e trasmissione delle conoscenze, attraverso i quali l’Ateneo concorre ai processi di innovazione culturale, educativa, tecnologica ed organizzativa della società.

Dal 1998 al 2010 dopo una serie di accordi ministeriali, correlati ad attività politiche e istituzionali che hanno caratterizzato la politica europea dell’istruzione superiore, è nato, in occasione di una specifica riunione tra i 47 ministri dei paesi aderenti al Processo di Bologna (sistema di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore dell’Unione Europea), lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore.

Grazie a questo accordo intergovernativo di collaborazione, l’European Network for Quality Assurance in Higher Education (ENQA) su richiesta dei ministri dei paesi aderenti, sviluppò un insieme di standard e linee guida per assicurare la qualità all’interno di istituzioni universitarie, nonché l’istituzione di agenzie esterne per verificare le attuazioni in materia.

Nel Consiglio di Bergen (2005) furono adottate, tenendo in considerazione i diversi assetti istituzionali, metodiche comuni per assicurare standard di qualità in grado di accomunare l’istruzione superiore dei diversi paesi europei, definite Standards and Guidelines for Quality Assurance in the European Higher Education Area (ESG).

In Italia è stata istituita nel 2011 l’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) che oltre a verificare e valutare il sistema di assicurazione della qualità ha anche la funzione di accreditamento degli atenei italiani [1], sviluppando, sulla base delle norme e delle linee guida europee, il sistema AVA (Autovalutazione, Valutazione e Accreditamento).

A tal fine, è richiesto ai responsabili dei corsi di studio di stabilire i contenuti degli insegnamenti coerenti con gli obiettivi del corso, e far si che le modalità di verifica siano in grado di garantire che lo studente acquisisca le competenze dichiarate nel programma didattico. Inoltre, annualmente i responsabili devono effettuare un riesame del corso in base agli obiettivi dichiarati, al monitoraggio effettuato ed a eventuali criticità che possano emergere sia da loro stessi che da considerazioni da parte di studenti.

Tutto ciò si rende necessario, al fine di elevare la qualità dei processi formativi e fronteggiare alcuni problemi persistenti dell’ambito accademico, emersi da un rapporto ANVUR (2013) sullo stato del sistema universitario e della ricerca [2]. Uno dei procedimenti atti alla valutazione della formazione, prevede di esaminare le opinioni espresse dagli studenti attraverso la somministrazione di questionari, su un insieme di aspetti inerenti i corsi da essi frequentati.

In questo ambito, Sapienza si è attivamente impegnata dall’a.a. 2003/2004 avviando un proprio sistema di Assicurazione della Qualità (AQ), che è stato successivamente riorganizzato per tener conto della normativa vigente riguardo il sistema di valutazione e accreditamento adottato dall’ANVUR. Secondo la normativa vigente, i questionari con le opinioni degli studenti frequentanti mantengono grande rilevanza sia a fini di accreditamento sia come quota premiale del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) da assegnare agli Atenei, inoltre costituiscono la base informativa per il Rapporto del Riesame, atto essenziale del sistema di AQ.

La rilevazione annuale della Sapienza sulle opinioni degli studenti è denominata “OPIS on-line” e viene realizzata attraverso l’adozione del questionario predisposto dall’ANVUR (v. Allegato). La compilazione avviene, attraverso il sistema informatico della Sapienza, sulla piattaforma Infostud, in cui gli studenti esprimono il proprio giudizio, con una scala ordinale, su vari aspetti relativi agli insegnamenti presenti nel loro corso di studi.

In particolare, i dati analizzati in questo lavoro, sono stati raccolti presso la Facoltà di Farmacia e Medicina, nello specifico per i corsi di laurea: Biotecnologie, Chimica e Tecnologia Farmaceutiche, Farmacia, Fisioterapia, Infermieristica, Medicina e Chirurgia, Scienze Farmaceutiche Applicate, Tecniche della Prevenzione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro, Tecniche di Laboratorio Biomedico, Tecniche di Radiologia Medica per Immagini e Radioterapia, analizzati nel periodo temporale relativo agli anni accademici 2013/2014.

Tali rilevazioni sono effettuate in modo da individuare eventuali aspetti problematici che possano presentarsi nello svolgimento delle attività didattiche con lo scopo di migliorare l’offerta formativa dell’ateneo.

Riuscire a definire un concetto astratto come la qualità, è un compito abbastanza arduo, poiché sintetizza un insieme di caratteristiche intrinseche che rendono un servizio conforme a determinati requisiti.

Tale concetto, per poter essere desunto dai dati, necessita quindi di una quantificazione.

Fino ad oggi sono state utilizzate diverse tecniche statistiche sia semplici che più sofisticate [3,4]. Un ulteriore e più raffinato metodo di analisi è basato sull’utilizzo di modelli ad equazioni strutturali (Structural Equation Model, SEM) [4] qui proposto. Con i SEM i fenomeni complessi oggetto di indagine possono essere determinati utilizzando le relazioni causali tra Variabili Latenti (VL), cioè non osservate, ciascuna delle quali viene “misurata” da un pool Variabili Manifeste (VM), cioè osservate.

Obiettivi

Lo scopo di questo lavoro è la misurazione sincretica della qualità della formazione universitaria, analizzata attraverso il livello di soddisfazione espresso dagli studenti.

A tal proposito, è necessario individuare e misurare le potenziali cause dell’insoddisfazione, in modo da identificare leve sulle quali agire per migliorare la performance complessiva.

Appendice metodologica

I metodi di analisi utilizzati riguardano modelli statistici in grado di analizzare le relazioni di causa effetto tra più variabili.

Tali modelli conducono ad una quantificazione dell’importanza delle cause poiché le relazioni sono formalizzate tramite equazioni.

La loro utilità è duplice perché riescono ad individuare le cause che agiscono su un fenomeno, ed inoltre, quantificano l’importanza di ogni specifica causa.

La modellazione ad equazioni strutturali nasce dalla combinazione di modelli di path analysis [5] e modelli di analisi fattoriale [6]. I primi consentono lo studio delle relazioni di causalità tra più variabili mentre i secondi consentono l’analisi di fenomeni complessi caratterizzati da un insieme di Variabili Latenti (VL) attraverso l’impiego di Variabili Manifeste (VM).

Pertanto, il ricorso ai modelli ad equazioni strutturali permette di analizzare contemporaneamente le strutture latenti sottostanti certi indicatori osservati e le loro potenziali relazioni causali, tenendo in considerazione non solo la molteplicità di cause che agiscono su variabili dipendenti, ma anche le connessioni tra diverse cause.

Nei SEM per identificare le variabili si utilizza la terminologia introdotta in econometria di variabili endogene ed esogene. Le esogene appaiono in tutto il sistema di equazioni del modello solo come variabili indipendenti, mentre quelle endogene risultano dipendenti in almeno una equazione.

I SEM sono rappresentabili graficamente tramite i path diagrams, in cui le VL sono raffigurate con ellissi, le VM con rettangoli e i legami tra VL con frecce orientate; la variabile che riceve la freccia è considerata endogena nella specifica relazione, mentre gli errori sono rappresentati con la corrispondente lettera senza essere cerchiati. Infine, la forza della relazione è espressa, in corrispondenza della freccia, tramite il coefficiente di regressione se la freccia è causale, cioè orientata, oppure tramite quello di correlazione o di covarianza se non è indicata la direzione causale.

La duplice natura di questo approccio è rilevabile nelle due parti che lo costituiscono: il modello strutturale e quello di misurazione. Il primo specifica le relazioni tra le VL; in termini formali, indicando con η un vettore (m x 1) di variabili latenti endogene, con ξ un vettore di variabili latenti esogene (n x 1), con Β (m x m) e Γ (m x n) le rispettive matrici dei coefficienti e con ζ (m x 1) un vettore casuale dei termini di errore, la parte strutturale è definita dalla seguente equazione: η = Bη + Γξ + ζ Il modello di misura, invece, definisce le relazioni tra le VL e le VM ed è formulato nel seguente modo: Y = Λyη + ε X = Λxξ + δ dove Y e X sono vettori di variabili osservate rispettivamente endogene ed esogene, η e ξ i vettori delle variabili latenti sottostanti, Λy (p x m) e Λx (q x m) le matrici dei coefficienti dei termini di errore.

Nella figura 1 possiamo osservare 5 blocchi di VM sintetizzate attraverso 5 VL, evidenziati in rosa, che rappresentano il modello di misurazione, mentre evidenziate in verde le relazioni tra VL che rappresentano il modello strutturale.

Figura 1: path diagram

Nella letteratura sui SEM, per la stima dei parametri possono essere considerati due diversi metodi: tecniche basate sulla covarianza e le tecniche basate sulle componenti. Il primo approccio, che comprende il metodo della massima verosimiglianza (SEM-ML o LISREL) [7], è stato, per molti anni, l’unico metodo di stima. Esso mira a riprodurre la matrice di covarianze campionarie delle variabili osservate attraverso i parametri del modello. Il secondo approccio, noto anche come PLS Path Modelling (PLS-PM) [8], è stato sviluppato come alternativo al LISREL. Costituisce una tecnica più flessibile per il trattamento di una quantità enorme di dati caratterizzati da campioni di piccole dimensioni rispetto al numero delle variabili e richiede ipotesi meno restrittive rispetto ai classici approcci basati sulla covarianza in termini di distribuzioni e scale di misurazione. Esso fornisce stime delle LV in modo tale che siano le più correlate fra loro, secondo la struttura del path diagram, e le più rappresentative di ogni corrispondente blocco di VM.

Una recente metodologia, appartenente a questo secondo approccio, è il Non-Metric PLS [9] ed è basata sul concetto di optimal scaling applicato all’algoritmo del PLS-PM.

Grazie alla sua introduzione si possono analizzare con il PLS-PM anche variabili con scale di misura non quantitative. Infatti, utilizzando l’optimal scaling, ogni osservazione categoriale viene rappresentata attraverso un parametro di scaling. In questo caso devono essere ottimizzati due set di parametri: quelli del modello e quelli di scaling. Per questo motivo è stato sviluppato un nuovo algoritmo denominato NM-PLS.

Risultati

I dati analizzati riguardano i questionari compilati da 1020 studenti di Farmacia e Medicina, frequentanti i 10 corsi di Laurea, riguardanti le 12 domande del questionario sulla qualità della formazione percepita dagli stessi (tabella 1).

Il modello strutturale, adottato per l’analisi, ripartisce le 12 domande del questionario in 3 VL corrispondenti alle 3 sezioni individuate dall’ANVUR, ossia:

  1. Organizzazione del modulo
  2. Attività didattiche e studio
  3. Interesse e soddisfazione

Tabella 1: descrizione delle VL e VM del data-set

Schermata 2017-10-02 alle 13.56.02

due tipi di relazioni:

  • di tipo riflessivo, in cui si ipotizza che le VM siano la conseguenza logica della propria VL
  • di tipo formativo, in cui si considera la VL come combinazione lineare delle proprie VM Per la VL Interesse e Soddisfazione si è utilizzato un legame di tipo formativo, mentre per le altre due VL si è utilizzata una relazione di tipo riflessivo.

Inoltre, per il modello strutturale si è considerata endogena la VL Interesse e Soddisfazione, mentre le altre due VL sono state considerate come esogene.

Quindi si ipotizza che la VL Interesse e Soddisfazione sia spiegata dalle altre due VL considerate (figura 2).

Figura 2: path diagram del modello strutturale

Una prima analisi esplorativa è stata condotta riguardo la consistenza interna dei blocchi riflessivi.

In tabella 2, possiamo verificare, attraverso gli indici alpha di Cronbach e Rho di Dillon-Golstain, che tutti i blocchi riflessivi (come si può riscontrare in tabella identificati con mode A) sono unidimensionali, infatti hanno tutti valori molto elevati per questi due indici.

Tabella 2
Schermata 2017-10-02 alle 13.57.29

In particolare, si prende come riferimento l’indice Rho di Dillon-Golstain, in quanto è stato dimostrato essere un indicatore migliore rispetto all’ alpha di Cronbach, poiché è basato sui loadings che risultano dal modello piuttosto che sulle correlazioni osservate tra le VM presenti nel dataset [10]. Per esso si riscontrano valori maggiori del valore soglia 0,70 [11]. Un secondo step riguarda l’analisi delle relazioni tra ogni VM con la propria VL.

Nella tabella 3 sono riportati i pesi delle relazioni tra tutte le VM con le rispettive VL e l’indice di comunalità che indica la capacità della VL di spiegare le proprie VM.

Schermata 2017-10-02 alle 13.57.40

Si può osservare che per la VL Attività didattica e studio le VM che hanno un peso maggiore rispetto altre dello stesso blocco nella costruzione della VL sono “Il docente espone gli argomenti in modo chiaro?”, “Il docente stimola/motiva l’interesse verso la disciplina?”, e “Il materiale didattico (indicato e disponibile) è adeguato per lo studio della materia?”, con i seguenti loadings rispettivamente pari a 0,879; 0,890; 0,786.

Queste relazioni sono rappresentabili graficamente tramite i path diagrams relativi al modello di misurazione (figura3).

Figura 3: path diagrams del modello di misurazione

Per quanto riguarda il modello interno, si analizzano i risultati dell’analisi relativi ai path coefficients, all’R2 e all’Average Variance Extracted (AVE).

Dall’analisi dei path coefficients, (tabella 4) si può osservare che interesse e soddisfazione di uno studente dipendono dalla VL Attività didattica e studio (path coefficient = 0,730) e marginalmente dalla VL Organizzazione del modulo (path coefficient = 0,175).

Tabella 4: effetti totali
Schermata 2017-10-02 alle 13.57.52

Il modello strutturale viene rappresentato graficamente mediante il seguente path diagram (figura 4).

Figura 4

Figura 4: path diagram del modello strutturale con i path coefficient  Dalla tabella 5 è possibile notare, invece, l’analisi riferita al modello strutturale, in particolare gli indici riferiti all’R2, alla comunalità media e all’AVE.

Tabella 5
Schermata 2017-10-02 alle 13.58.03

Il coefficiente di determinazione R2, per le VL endogene, ci indica l’ammontare di varianza nella VL endogena spiegato dalle proprie VL indipendenti.

In questo caso, possiamo osservare un valore di R2 per la VL Interesse e Soddisfazione pari a 0,751.

Il secondo indice è la comunalità media, che indica quanta parte della variabilità del blocco è riproducibile dalla VL.

L’ultimo indicatore riguarda l’AVE che misura l’ammontare di varianza che una VL cattura dai propri indicatori (VM) in relazione ad un ammontare di varianza dovuto all’errore di misura. In generale, un AVE maggiore di 0,50 indica che è rappresentato più del 50% della varianza dell’indicatore.

Infine, un indicatore della bontà di adattamento, che consideri sia la qualità del modello strutturale che quella del modello di misurazione, è fornito dal Goodness of Fit (GoF) [12], il cui calcolo è basato sia sull’indice di comunalità che sul coefficiente R2.

In questo studio si sono ottenuti risultati molto soddisfacenti, in particolare un valore di R2 di 0,751 come mostrato in tabella 5 e un valore assoluto del GoF di 0,6547.

In ultimo, possiamo individuare la relazione che caratterizza il modello strutturale: Interesse e Soddisfazione = 0,175 × Organizzazione del modulo + 0,73 × Attività didattiche e studio

Conclusioni

Si è utilizzata una nuova metodologia per valutare la soddisfazione, da parte degli studenti, dei corsi di studio ed i fattori che l’hanno generata. L’analisi della valutazione degli studenti necessita di tecniche speciali in grado di considerare la natura ordinale delle valutazioni nonché la natura multivariata dei dati.

I SEM sono stati applicati ai dati raccolti attraverso i questionari OPIS on-line dell’Università Sapienza nell’anno accademico 2013-2014. In questo ambito, in cui i fenomeni da studiare sono più complessi e articolati di quelli tradizionalmente affrontati con modelli di regressione o di riduzione dimensionale, l’utilizzo dei modelli ad equazioni strutturali, appare particolarmente appropriato.

In particolare si è mostrato che si deve operare prevalentemente sulla VL Attività didattiche e studio per incrementare la soddisfazione complessiva degli studenti.

Infine, grazie all’utilizzo dei modelli ad equazioni strutturali è possibile costruire un indicatore composito della qualità della formazione.

Bibliografia

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Cita questo articolo

Ferrara C., Nofroni I., Polimeni A., Vestri A., Come valutano gli studenti la qualità della formazione della Sapienza?, Medicina e Chirurgia, 75: 3394-3400, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-75-4

La Medicina dei Disastri nelle Università Italiane: situazione attuale, esperienze di formazione in essere, sviluppi futurin.74, 2017, pp. 3372-3375, DOI: 10.4487/medchir2017-74-3.

Abstract

In the last years, the number of disasters has increased due to the population growth, progressive urbanisation, climate changes, armed conflicts and terrorist attacks. With ear-thquakes and floods, Italy is one of the European countries at greater risk for natural disasters. The leading role of physicians during disaster response is emphasised by the Art. 9 of the Italian Code of Medical Ethics and by the fact that the National Health System is an operational sector of the Italian Civil Protection mechanism. Several studies pointed out that, despite the significant interest of physicians and medical students in Disaster Medicine, most of them have never been exposed to a specific educational process. Other studies revealed an important lack in both Italian health response capacity and professional training. CRIMEDIM and SISM developed an innovative nationwide project to educate Italian medical students about the importance of Disaster Medicine, reaching more than 1600 individuals in 37 different medical schools. We strongly believe that the accreditation of Disaster Medicine as an academic discipline, the development of a specific curriculum within medical schools and the diffusion of the culture of prevention and disaster risk reduction are fundamental steps to protect people’s health and minimize the impact of disasters.

Key words: Disaster Medicine, Medical education, Simulation

Parole chiave: Medicina delle catastrofi, Formazione in medicina, Simulazione

Articolo

Introduzione

Le catastrofi hanno accompagnato l’umanità attraverso le varie epoche, dal primo report dell’Arca di Noè fino alla prima documentazione scientifica di Plinio il Giovane durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. quando dimostrò la morte per asfissia per l’accumulo di ceneri nelle vie respiratorie.

L’etimologia della parola disastro, che prende origine dal latino dis-astro (“sfavorevole posizione delle stelle”, “grave sciagura”), sottolinea come questi eventi di enorme portata venissero vissuti in maniera passiva con l’accettazione completa dei conseguenti effetti devastanti.

In letteratura esistono diverse definizioni e classificazioni in riferimento alla parola “disastro”1 ma noi preferiamo riferirci a quella operativa, adottata dal Dipartimento di Protezione Civile Italiana, che definisce il disastro come una “situazione nella quale le risorse disponibili sono insufficienti in relazione alle esigenze del soccorso immediato, e dove la severità della situazione è così elevata che la normale qualità dei servizi sanitari non può essere mantenuta a lungo nonostante l’adozione di misure adeguate”2.

Nel corso degli ultimi anni, l’incidenza del numero di disastri naturali o legati ad attività umane ha mostrato un progressivo aumento3; le ragioni di tale incremento sono da ricercarsi in condizioni quali l’enorme crescita demografica ed il conseguente sovrappopolamento, l’elevato grado di urbanizzazione, il cambiamento climatico, la crescente minaccia terroristica, i conflitti armati.

Il territorio italiano non è immune da tali fenomeni e negli ultimi 50 anni una serie di eventi maggiori, principalmente rappresentati da alluvioni e terremoti2 si sono abbattuti sul nostro territorio. Il recente sisma responsabile della distruzione dei comuni di Amatrice, ad esempio, ha inoltre conquistato due tristi primati, rappresentando il terremoto con il maggior numero di vittime (298 morti) cui ha fatto eco il minor numero di perdite economiche coperte da forme di previdenza (solo l’1% in rapporto ad una stima approssimativa di 5 miliardi di danni)3 quindi con alti costi per la nostra nazione.

Diventa perciò evidente come eventi di tale portata abbiano un importante impatto non solo sulla salute del-la popolazione, ma anche sul sistema sanitario a tutti i livelli. Servizi territoriali, ospedali, Ministero della Salute, Protezione Civile, si trovano costretti a confrontarsi con gli effetti diretti e indiretti causati dalla catastrofe, inclusi i danni strutturali, il sovraccarico delle strutture sanita-rie, la perdita di personale, ma anche il danno a livello di tutte le infrastrutture da cui gli ospedali dipendono quotidianamente, come l’acqua, l’elettricità, le teleco-municazioni4. Fondamentale inoltre sottolineare come le problematiche sanitarie connesse agli effetti delle ca-tastrofi non siano circoscritte all’ambito dell’emergenza; le conseguenze sulla popolazione nel medio e lungo termine sono infatti causa di aumento di morbilità e riduzione della qualità della vita, coinvolgendo un grande numero di specialità mediche sia nella fase di risposta immediata che nelle fasi di prevenzione, preparazione e mitigazione degli effetti primari e secondari di una calamità. Ad esempio, un incremento di numerose patologie psichiatriche, respiratorie, cardiovascolari ed infettive è stato riscontrato tra gli abitanti dei luoghi colpiti da terremoto dopo un periodo di tempo di mesi-anni5.

Già negli anni ’70, i primi studi epidemiologici sull’impatto dei disastri naturali a livello della sanità pubblica mettevano in evidenza la necessità di una risposta appropriata, coordinata e basata sull’evidenza6.

In questo contesto, la Medicina dei Disastri nasce e si sviluppa come materia interdisciplinare, ponendosi come obiettivo la riduzione di mortalità e morbilità a seguito di una catastrofe, sia nel breve che nel lungo termine.

Principi quali riduzione del rischio, prevenzione, mitigazione degli effetti diretti e indiretti dei disastri, così come la risposta al disastro, il ripristino delle strutture sanitarie alla condizione precedente all’evento e la garanzia di continuità delle cure per popolazione affetta vengono inseriti all’interno di tale disciplina.

Nel corso degli ultimi decenni, l’incremento dei disastri e delle maxi-emergenze a livello globale, con riferimento anche agli attacchi terroristici, ha posto l’accento sull’importanza della Medicina dei Disastri come disciplina che dovrebbe essere inserita nella formazione di base di ogni medico.

La responsabilità del medico durante una catastrofe viene sottolineata anche dall’art. 9 del Codice di Deontologia Medica, dove viene chiaramente sancito che “il medico in ogni situazione di calamità deve porsi a disposizione dell’Autorità competente”7. In aggiunta, l’inserimento del Servizio Sanitario Nazionale all’interno delle strutture operative della Protezione Civile Nazio-nale rende a tutti gli effetti i presidi sanitari pubblici parte attiva nella risposta ad un evento maggiore8.

Appare dunque chiaro come la preparazione e la formazione del medico nei confronti di questa disciplina non sia da ritenersi di sola pertinenza specialistica, bensì come fondamentale elemento all’interno del processo educativo.

La Medicina dei Disastri in Italia: stato dell’arte

Ad oggi, la situazione sia formativa che operativa sul territorio italiano è alquanto eterogenea. Un’indagine condotta nel 2016 ha valutato la capacità di risposta ad un evento maggiore da parte di 15 ospedali italiani di grandi dimensioni utilizzando uno strumento di analisi realizzato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità9. Di questi solamente 3 sono stati considerati adeguati a gestire in modo efficace un evento maggiore, eviden-ziando una criticità nel sistema di risposta alle emer-genze. Un altro studio ha evidenziato come vi sia una carenza sia informativa che formativa sui Piani di Emergenza per il Massiccio Afflusso di Feriti (PEMAF), il prin-cipale strumento di gestione di una risposta coordinata ed efficiente agli eventi maggiori, previsto, per legge, dal 199610. Meno della metà dei medici di emergenza-urgenza intervistati era a conoscenza dell’esistenza di questo strumento, e solo un terzo di essi avrebbe sapu-to reperire il PEMAF del proprio ospedale. In maniera analoga, uno studio condotto in tutta l’Unione Europea per valutare lo stato dell’arte nella risposta ai disastri, ha evidenziato come i due settori maggiormente carenti fossero proprio la risposta ospedaliera e la formazione specifica degli operatorii11.

Risulta quindi evidente la necessità di agire su due fronti: da un lato, incentivando la preparazione a livello ospedaliero e pre-ospedaliero, dall’altro, sensibilizzan-do la comunità scientifica all’esigenza di investire sulla formazione soprattutto all’interno delle università, così da fornire agli studenti di medicina, futuri professionisti della salute, i giusti strumenti per intervenire in manie-ra efficace e razionale in queste situazioni. Uno degli aspetti chiave è la consapevolezza che gli studenti di medicina possano avere un ruolo attivo, non solo nelle fasi acute di risposta ma soprattutto nell’ambito delle fasi di prevenzione e mitigazione che costituiscono le basi della Riduzione del Rischio dei Disastri (Disaster Risk Reduction – DRR), come auspicato anche in occasione della Terza Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite, con lo sviluppo dello Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 12.

A questo riguardo è possibile inoltre osservare come la conoscenza delle modalità di intervento nelle situa-zioni di catastrofe sia attualmente uno degli obiettivi for-mativi qualificanti previsti dal MIUR per la classe delle lauree magistrali LM-41 – Medicina e Chirurgia. Tuttavia, attualmente la Medicina dei Disastri non compare nei curricula della maggior parte delle Scuole di Medicina italiane.

Una prima esperienza a livello nazionale: il progetto DisasterSISM

Già nel 2002 il CRIMEDIM – Centro di Ricerca in Me-dicina di Emergenza e dei Disastri, ha cercato di colmare questo gap formativo, istituendo un corso opzionale di 4 ore in Medicina dei Disastri presso il corso di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale (Novara). Con il passare degli anni, la materia ha acquisito sempre più rilievo sino a diventare curricolare nel 2009. Parallelamente, il Centro ha riconosciuto la necessità di sensibilizzare anche le restanti università italiane a questa disciplina: è nata così la collaborazione con il SISM – Segretariato Italiano Studenti in Medicina. Nel 2010, CRIMEDIM e SISM hanno realizzato uno studio trasversale osservazionale con l’obiettivo di inquadrare la situazione formativa ita-liana nell’ambito Medicina dei Disastri, con particolare riferimento alla consapevolezza degli studenti su queste specifiche tematiche13. Attraverso un questionario online, successivamente diffuso attraverso la mailing list nazionale del SISM (al tempo presente in 36 dei 40 Atenei Italiani) sono stati raggiunti 639 studenti di medicina. Il 61,3% degli studenti contattati ha dichiarato di essere a conoscenza dell’esistenza di questa disciplina; tuttavia solo il 9,1% di questi ha affermato di aver seguito un corso universitario specifico. Inoltre il 94,1% degli studenti ha definito “importante” possedere conoscenze di base in Medicina dei Disastri per la futura professione medica, ed il 91,4% ha valutato positivamente la possibi-lità di inserire un corso curricolare dedicato all’interno del piano di studi. Questi dati, in linea con i risultati di altri studi condotti a livello internazionale14,15,16, hanno evidenziato la presenza di un importante gap formativo, a fronte di una elevata sensibilità degli studenti per la Medicina dei Disastri. Per colmare questo gap, la colla-borazione fra SISM e CRIMEDIM è proseguita, portando allo sviluppo del progetto DisasterSISM17 che si pone l’obiettivo di fornire agli studenti di medicina conoscen-ze e competenze base e avanzate in Medicina dei Disa-stri. Per realizzare questo corso, seguendo le indicazioni proposte dagli studenti stessi, sono state utilizzate meto-diche di insegnamento innovative coinvolgendoli come parte attiva del progetto. Si è dato luogo alla cosiddetta “peer-education” con l’istituzione della figura dello studente-formatore che rende lo studente stesso protagoni-sta attivo del processo formativo, responsabilizzandolo e permettendogli di migliorare le capacità comunicative e di team working.

Il corso si divide in una prima fase online che pre-vede l’utilizzo di una piattaforma didattica basata sul software MOODLE (Modular Object-Oriented Learning Environment) ed una fase residenziale in presenza du-rante la quale le classiche lezioni frontali vengono integrate e potenziate con l’utilizzo di simulazioni tabletop e di realtà virtuale.

La costituzione di un team di formatori, allo stato attuale composto da 28 studenti provenienti da tutta Italia, ha reso possibile raggiungere capillarmente la maggior parte degli Atenei. Ad oggi sono stati erogati 97 corsi in trentaquattro diverse università, per un totale di 1675 partecipanti. Grazie alla somministrazione di un test di ingresso (pre-test) e di un esame finale (post-test) è stato possibile valutare l’impatto a breve termine del corso sulle conoscenze in Medicina dei Disastri degli studenti. Il punteggio medio iniziale è stato di 51,6/100 mentre quello medio a distanza di 7 giorni dal termine del corso di 83,5/100. Inoltre, gli studenti sono stati invi-tati a compilare un questionario di gradimento anonimo e nell’anno 2016 sono pervenute 356 risposte. Il corso ha ricevuto complessivamente una valutazione di 4,46/5; i punteggi medi per le domande “Ritieni che un medico, indipendentemente dalla sua normale attività, debba avere conoscenze di base in medicina dei disastri?” e “Credi che un corso simile al Basic DisasterSISM dovrebbe divenire parte integrante del Piano di Studi del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia?” hanno rice-vuto rispettivamente i punteggi di 4,63/5 e 4,57/5. Que-sti dati sostanzialmente confermano quanto già rilevato dallo studio del 2010, evidenziando come gli studenti siano attenti a questa tipologia di tematiche e come lo sviluppo di conoscenze di base in Medicina dei Disastri sia ritenuto importante per la futura professione, indi-pendentemente dall’attività specialistica esercitata.

Inoltre nel 2014, grazie alla collaborazione con l’International Federation of Medical Students’ Associations (IFMSA), il corso di formazione ha inoltre raggiun-to una dimensione globale, educando circa 30 studenti internazionali ogni anno nel ruolo di Trainer con la prospettiva di disseminare nel mondo le conoscenze e la consapevolezza delle tematiche affrontate dalla Medi-cina dei Disastri. 

Conclusioni

Appare evidente come la formazione in Medicina dei Disastri non possa più essere affidata solamente a coraggiose iniziative di pochi centri ma sia necessario prevedere un inserimento di questa disciplina, anche solo dei principi basilari, nei curricula accademici. L’aumento del numero di Disastri e degli incidenti maggiori a livello globale, così come i contesti sociali e politici in continuo mutamento e la crescente minaccia di attacchi terroristici, confermano come le conoscenze di base in Medicina dei Disastri debbano essere parte integrante del bagaglio di competenze professionali di ogni medico.

Infine gli studenti hanno dimostrato particolare interesse e sensibilità verso queste tematiche, e grazie ad una collaborazione fra il SISM ed il CRIMEDIM è stato possibile educare più di 1500 studenti. Sulla base dei risultati decisamente incoraggianti raggiunti da questo progetto, riteniamo importante che venga previsto, all’interno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, un percorso formativo curriculare di base in tema di Medicina dei Disastri, possibilmente associato a corsi elettivi integrativi con un piano didattico di più ampio respiro per gli studenti interessati all’approfondimento.

A nostro parere diventa quindi auspicabile l’inseri-mento di un ambito disciplinare caratterizzante definito “Medicina dei Disastri”, che comprenda multipli settori disciplinari. Il raggiungimento di tale obiettivo, con il riconoscimento della Medicina dei Disastri come disciplina medica, rappresenterebbe una conquista accademica di rilevanza internazionale, considerando che l’attuale situazione nelle Università Italiane può essere paragonabile a quella di molti altri Stati europei ed extra-europei nei quali la Medicina dei Disastri non ha ancora trovato un suo ruolo definito.

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Cita questo articolo

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Rilevazione nazionale in tema di formazione speci ca di medicina generale in Italian.73, 2017, pp. 3322-3335, DOI: 10.4487/medchir2017-73-3.

Walter Mazzucco1, Claudia Marotta1,2,a, Chiara De Waure3, Gianluca Marini7,b, David Fasoletti8,b,c,d, Antonia Colicchio9,b, Davide Luppi10,b, Paola Bonetti13, Stella Gangi4, Emanuele Maffongelli11,13, Rosalba Nanìa12, Fabio Pignatti14,a, Gior- gio Sessa5,a, Stefania Russo13, Andrea Silenzi3,a, Giuseppe Puccio6, Paolo Parente3,a, Claudio Costantino1,a

1 Dipartimento Scienze per la Promozione della Salute e Materno Infantile
2 Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Palermo.

3 Istituto Sanità Pubblica, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.
4 Continuità Assistenziale, Azienda Sanitaria Provinciale di Enna.

5 Continuità Assistenziale, Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo.

6 Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico di Palermo.
7 Continuità Assistenziale, Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche, Macerata.

8 Assistenza Primaria, Azienda Provinciale Servizi Sanitari Provincia Autonoma di Trento, Ledro (TN).
9 Assistenza Primaria -Continuità Assistenziale, Azienda Sanitaria Roma 2.

10 Assistenza Primaria, Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena, Carpi (MO).
11 Continuità Assistenziale, Azienda Sanitaria Locale di Viterbo.

12 Emergenza Sanitaria Territoriale, Azienda Sanitaria Provinciale di Messina.

13 Assistenza Primaria, Azienda Sanitaria Locale Roma 2.
14 Dipartimento di Cure Primarie, Azienda Unità Sanitaria Locale di Reggio Emilia, Reggio Emilia. aSegretariato Italiano Giovani Medici.

bAssociazione Movimento Giotto.

cVasco Da Gama Movement. dEuropean research network for out-of-hours primary health care.

Abstract

Physicians have to get a “specific” diploma attending a threeyear training course provided by each regional health service in order to practice as General Practitioners in Italy. In the last years, there has been an ongoing debate about the need to evolve the specific regional courses into integrated specialization training courses, organized and managed by universities with the contribution of regional health services. The Italian Junior Doctors Association and the Giotto Movement carried out a national survey with the aim to identify strengths and weaknesses of the specific regional training courses. Three-hundred-two junior General Practitioners in training (61,2% females) answered to a web administered questionnaire. Only about half of the recruited trainees has defined as at least “sufficient” the training provided by the regional courses. The survey documented in the Italian General Practitioners trainees the need to satisfy an educational demand in order to implement their primary care and general practice skills. In conclusion, this cross-sectional study provided sufficient evidences supporting the evolution of the regional training courses into general practice and primary care specialization schools.

Key words: General Medicine; Primary care; Public Health; General practitioners’ specific training.

Parole Chiave: Medicina generale; formazione medica specialistica; cure primarie; sanità pubblica; Formazione specifica in medicina generale.

Articolo

Introduzione

La formazione medica post-lauream nei Paesi dell’Unione Europea (UE) è disciplinata da specifiche Direttive in materia di libera circolazione dei medici e di reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli1,2. In Italia, con il recepimento dei contenuti delle Direttive UE, la normativa ha definito due differenti percorsi di formazione medica post-lauream3: a) la formazione specialistica universitaria (FSU); b) la formazione specifica in medicina generale (FSMG). A seguito della frequenza dei predetti percorsi formativi, i medici conseguono, rispettivamente, a) il diploma di specialista, rilasciato dalle Università e necessario per accedere ai ruoli dirigenziali del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), ed il b) diploma di FSMG, rilasciato dalle Regioni ed indispensabile per l’esercizio dell’attività di Medico di Medicina Generale (MMG) in regime di convenzione nell’ambito del SSN. Se, da una parte, gli ordinamenti didattici delle scuole di specializzazione universitarie (SSU) e gli obiettivi formativi relativi a ciascuna tipologia di scuola sono stati codificati su base nazionale, e recentemente aggiornati4, dall’altra, le competenze relative alla definizione di obiettivi didattici e programmi, metodologie di insegnamento ed organizzazione delle attività teoriche e pratiche del corso di FSMG, sono state devolute alle Regioni e alle Province autonome5, ingenerando un’eterogeneità tanto nei contenuti formativi quanto nei modelli organizzativi dei corsi triennali. Parimenti, mentre per le SSU è stato implementato un sistema di accreditamento e di monitoraggio della qualità della formazione erogata6, per i corsi regionali di FSMG, oltre a non essere stato definito un Core Curriculum su base nazionale, non è disponibile un sistema di accreditamento o di verifica delle performance formative7,8.

Inoltre, lo status di borsista del medico in FSMG esclude adeguati riconoscimenti economici e la normativa limita molto la possibilità di intraprendere altri lavori per aumentare gli introiti. Questa situazione rende il percorso di FSMG meno sostenibile da un punto di vista economico rispetto alla formazione specialistica9 e costituisce una discriminazione che può influenzare la scelta del percorso post-lauream sulla base di criteri non vocazionali. In Italia, da alcuni anni, è in corso un acceso dibattito circa l’opportunità di ricomprendere la FSMG nell’alveo della formazione specialistica, nonché di migliorare la condizione dei medici in FSMG10,11,12, strutturando un percorso formativo integrato dal contributo delle Università e delle varie articolazioni dell’assistenza erogata dai Servizi Sanitari Regionali (SSR). Difatti, l’attuale gestione del percorso formativo dei MMG, assegnata in modo esclusivo alle regioni e svincolata da qualsiasi collegamento con il mondo accademico, rappresenta un’anomalia nel contesto dell’UE13. L’esigenza di rivisitare la formazione medica pre- e post-lauream al fine di disporre di profili generalisti (MMG) e specialistici orientati al trattamento delle multi-cronicità e alla riabilitazione14,15,16, trova fondamento nella necessità di evolvere i sistemi sanitari ospedalo-centrici, pensati per il trattamento delle acuzie ed urgenze, in sistemi integrati ospedale-territorio nei quali porre al centro la persona, nell’ottica di un approccio globale e bio-psico-sociale che garantisca la risposta ai bisogni multidimensionali di salute (aspetti psicologici, sociali, familiari, occupazionali, ecc.) sul modello della Primary Health Care (PHC)17,18,19,20

L’Associazione Italiana Giovani Medici (SIGM) ed il Movimento Giotto hanno realizzato una web survey nazionale con l’obiettivo di rilevare tra i giovani medici italiani gli aspetti motivazionali e vocazionali, nonché il livello di soddisfazione sulle competenze acquisite attraverso la formazione erogata dai corsi regionali di FSMG.

 

Materiali e Metodi

E’ stato ideato e strutturato un questionario, articolato in quattro sezioni, volto a rilevare le seguenti informazioni: a) anagrafica ed informazioni di carattere generale, b) aspetti motivazionali e vocazionali, livello di soddisfazione ed eventuali criticità in tema di condizione del corsista di MG (13 domande); c) livello di soddisfazione circa le competenze fondamentali (core competencies) della MG (12 domande) acquisite durante la frequenza del CFSMG, definite dall’EURACT Educational Agenda, network interno al WONCA Europe21, e recepite dal questionario validato dal Vasco da Gama Movement22,23; d) livello di soddisfazione e criticità in tema di organizzazione della didattica dei CFSMG (18 domande).

Destinatari del web survey sono stati i medici iscritti ai corsi regionali di FSMG, immatricolati negli anni compresi tra il 2010 ed il 2012 (I anno – triennio 2012/2015, II anno

-triennio 2011/2014 e III anno -triennio 2010-2013), esclusi i corsisti ammessi in soprannumero ai sensi della legge n. 401 del 29/12/2000.

Il questionario, unitamente ad una lettera di presentazione della survey, è stato montato su piattaforma Google Forms24, caricato sul sito web www.giovanemedico.it e quindi somministrato, tra il giugno ed il dicembre 2012, sia attraverso il servizio di newsletter a tutti gli utenti registrati, con tre successivi remainder a distanza di due mesi, sia attraverso i canali dei social network di riferimento per la categoria dei giovani medici di medicina generale 25,26,27,28

Al fine di preservare l’anonimato dei rispondenti e di assicurare l’univocità dell’adesione alla web survey, in anagrafica è stato richiesto l’inserimento esclusivamente del codice fiscale e di un indirizzo di posta elettronica valido. Inoltre, per ciascun input è stato verificato il terminale sorgente attraverso la rilevazione del rispettivo codice di Internet Protocol access29, in modo da individuare e risolvere eventuali duplicazioni di compilazione generate per errore ovvero compilazioni suggestive di tentativi di condizionare o alterare la validità della rilevazione.

 

Analisi statistica

Sono stati esclusi i rispondenti che hanno dichiarato di essere già possesso di un diploma di specializzazione. Media (± deviazione standard) e mediana (range interquartile) sono state riportate per le variabili continue e la frequenza relativa per le variabili categoriche, ai fini della descrizione del campione dei rispondenti alla survey. La frequenza di risposte date alle singole domande è stata espressa in valori assoluti e relativi. I dati ottenuti dalla rilevazione sono stati analizzati con l’ausilio del software statistico RStudio versione 0.98.945 e con R versione 3.1.0 (2014). La significatività statistica è stata fissata con p-value <0.05.

Risultati

Hanno aderito alla survey 302 medici in FSMG, età media pari a 30,8±4,3, 185 (61,2%) di sesso femminile, pari a 12,4% dei 2433 medici iscritti ai corsi di FSMG nel periodo in studio. Tra i corsisti rispondenti 121 (40,4%) hanno dichiarato di essere iscritti al primo anno di corso, 90 (29,8%) al secondo e 91 (30,1%) al terzo.

L’insieme dei rispondenti ha avuto accesso ai corsi di FSMG in media 2 anni dopo il conseguimento della laurea in medicina e chirurgia. La MG è risultata la prima scelta di accesso alla formazione post-lauream per 119 rispondenti (39,4%), mentre per i restanti 183 partecipanti (60,6%) le aspettative di accesso al post-lauream erano rivolte alla FSU.

Le principali motivazioni e gli aspetti vocazionali che hanno orientato la scelta del corso di FSMG sono rappresentate in Tabella 1.

In Tabella 2 sono riportati i risultati delle risposte dei 302 medici in FSMG circa il livello soddisfazione e le criticità in tema di organizzazione della didattica e sugli obiettivi formativi dei corsi regionali di FSMG, nonché sulla condizione dei corsisti regionali.

In risposta alla domanda volta ad esplorare il giudizio circa l’importanza della formazione intra-ospedaliera per qualificare il MMG (D. 1.8), è emerso che il 75,9% riteneva tale setting formativo “importante” (31,5%) o “molto importante” (44,4%). Le rotazioni nei diversi reparti ospedalieri (D. 1.9) sono state ritenute “molto importanti” ed “importanti”, rispettivamente, dal 36,8% e dal 39,7% dei rispondenti. Il 70,8% del campione ha giudicato “importante” (39,7%) o “molto importante” (31,1%) l’apprendimento dei principi del management sanitario (D. 1.10), mentre l’apprendimento della pratica della evidence-based medicine (D. 1.11) e della metodologia della ricerca (D. 1.12) è stato definito “molto importante”, rispettivamente, dal 47,7% e dal 42,7% dei corsisti.

Con riferimento alla domanda 3.2, che indagava il giudizio complessivo dei rispondenti rispetto alla didattica frontale erogata dai corsi di FSMG, le lezioni ed i seminari seguiti durante il corso di FSMG sono stati considerati di livello ottimo dall’1,3% dei corsisti, buono dal 23,8% “sufficiente” dal 33,4% , mentre il 23,2% dei corsisti li ha ritenuti di livello “mediocre” e il 18,2% insufficiente.

Il giudizio rilevato sul livello di soddisfazione generale sull’esperienza formativa in MG è risultato “ottimo” per il 2,3% dei corsisti, “buono” per il 29,1% e “sufficiente” per il 36,4% dei rispondenti, mentre il rimanente 32,2% dei corsisti ha espresso un giudizio al di sotto della sufficienza (D. 3.9).

L’attuale condizione del medico iscritto ai corsi di FSMG (D. 3.18) è stata definita “nettamente migliorabile” dal 47,7% del campione ed “iniqua” da un ulteriore 36,4% dei rispondenti.

I contenuti e gli argomenti proposti nelle attività seminariali del corso di FSMG (D. 3.3) sono stati definiti utili “talvolta” dal 40,1% (n. 121) degli iscritti ai corsi, “raramente” dal 10,3% (n. 31) e “quasi mai” dal 13,9% (n. 42).

La parte di tirocinio professionalizzante ritenuta dai corsisti di maggior valore formativo è risultata quella svolta presso l’ambulatorio del MMG (n. 204; 67,5%), seguita dal tirocinio presso il reparto di Medicina Interna (n. 42; 13,9%), dalla frequenza del Pronto Soccorso (n. 34; 11,3%), nonché dal periodo di tirocinio presso gli ambulatori territoriali (n. 22; 7,3%). Nessuno tra i rispondenti ha espresso la sua preferenza per i tirocini presso i reparti di chirurgia, ginecologia e pediatria.

L’istituzione di un Osservatorio Regionale sulla FSMG, integrato da una rappresentanza dei corsisti ed incaricato di provvedere al monitoraggio degli standard formativi del corso di FSMG (D. 3.10), è stata definita “moltissimo” e “molto” utile, rispettivamente da n. 152 (50,3%) e da n. 105 (34,8%) aderenti alla survey.

Alla domanda che ha inteso indagare il parere degli iscritti al corso di FSMG circa l’evoluzione dei corsi regionali (D. 3.11), la quasi totalità dei rispondenti (n. 277; 91,7%) si è dichiarata a favore dell’equiparazione del percorso formativo ai corsi di specializzazione di area sanitaria con la creazione di una rete formativa integrata tra Università, Territorio ed Ospedali. Nella medesima direzione, nell’indicare la preferenza sullo status del medico iscritto al corso di FSMG (D. 3.12) il 77% (n. 232) dei rispondenti si è espresso a favore della titolarità di un contratto di formazione.

Per 154 (51%) aderenti alla rilevazione gli sbocchi e le potenzialità occupazionali connessi al conseguimento del diploma di MMG

(D. 3.15) risultavano essere già chiari, seppur per grandi linee, prima di accedere ai corsi regionali, mentre il 24,8% (n. 75), pur avendo avuto le idee chiare, ha dichiarato di averli sopravvalutati.

In Tabella 3 sono riportati i risultati della rilevazione sul livello di soddisfazione dei 302 rispondenti alla survey a riguardo delle competenze acquisite durante la frequenza dei corsi di FSMG.

Discussione

Il presente lavoro ha fornito delle indicazioni preliminari su punti di forza e criticità in tema di FSMG, rilevati attraverso un’indagine trasversale condotta su un campione di giovani medici italiani iscritti ai corsi di FSMG.

In particolare, l’indagine ha evidenziato come gli aspetti peculiari della MG -soprattutto la relazione col paziente e l’approccio globale ed olistico, ma anche la possibilità di gestire l’organizzazione del lavoro in maniera autonoma e svincolata dai turni tipici del setting ospedaliero – abbiano rappresentato le principali motivazioni che hanno spinto i medici ad intraprendere il percorso della FSMG, in linea con quanto rilevato in altri Paesi Europei30 . Una variabile che merita particolare attenzione è rappresentata dal genere: la rilevazione trasversale, infatti, in linea con similari indagini condotte in altri Paesi Europei, ha confermato come la MG sia una disciplina che  attrae preminentemente i medici di genere femminile, verosimilmente in relazione alla maggiore compatibilità di questo percorso professionale con la gestione della vita familiare31,32,33.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, il per corso della FSMG sembra rappresentare una scelta di ripiego al mancato ingresso alla FSU.

Il giudizio sulla didattica frontale erogata dai corsi di FSMG, nonché sull’esperienza formativa presa nel suo complesso, è risultato positivo in oltre la metà dei rispondenti (58% e 67% rispettivamente), ma nella maggior parte di questi casi si tratta di una valutazione “sufficiente”. La rilevazione ha inoltre evidenziato delle criticità nel merito degli argomenti trattati durante le attività seminariali, richiamando l’attenzione sulla necessità di proporre contenuti più idonei a soddisfare i bisogni formativi dei corsisti. La parte del periodo di tirocinio professionalizzante ritenuta di maggior valore formativo è risultata quella svolta presso l’ambulatorio del MMG, confermando l’importanza di tale esperienza formativa sul campo.

Di particolare interesse risulta la diffusa opinione favorevole rilevata nei corsisti circa l’utilità di istituire un Osservatorio Regionale della FSMG, con il compito di effettuare il monitoraggio della qualità formativa dei corsi regionali, mutuando l’esperienza delle scuole di specializzazione universitarie4,6.

Inoltre, è stato documentato un bisogno formativo circa l’apprendimento di competenze riconducibili a management sanitario, evidence-based medicine e metodologia della ricerca, al pari di quanto rilevato nei medici in FSMG di altre realtà Europee34. Tali evidenze depongono ulteriormente a favore dell’integrazione tra le esperienze formative-professionalizzanti nella medicina del territorio ed il “know how” espresso dalle Università. Non a caso, Beasley ed al. hanno sottolineato come anche in Italia, al fine di avere un sistema sanitario in linea con il mutevole bisogno di salute, sia indispensabile implementare la ricerca e la formazione universitaria in tema di PHC35.

Con riferimento alle competenze acquisite durante la frequenza dei corsi di FSMG, la survey ha evidenziato delle criticità sul problem solving e sull’orientamento alla comunità, mentre più confortante è risultato il grado di soddisfazione rilevato sulle competenze nell’approccio globale e olistico al paziente. Tali evidenze confermano quanto documentato nel 2011 da uno studio pilota36 che ha esplorato l’aderenza dei corsi regionali all’Educational Agenda redatta da Euract e il grado di soddisfazione sulle skills acquisite, basate sulla definizione Wonca della MG/medicina di famiglia. Da questi risultati si evince che i margini di miglioramento nell’acquisizione delle competenze fondamentali risultano ancora ampi37.

Ancora, il giudizio diffusamente insoddisfacente espresso dai rispondenti sulla condizione dei medici in FSMG spiega l’amplissimo consenso rilevato a favore dell’evoluzione dello status del corsista da borsista a titolare di un contratto di formazione, in analogia con la situazione specializzandi universitari. Parimenti, la quasi totalità dei rispondenti si è dichiarata a favore dell’equiparazione del percorso di FSMG ai corsi di specializzazione di area sanitaria con la creazione di una rete formativa integrata tra Università, Territorio ed Ospedali, sulla scorta delle esperienze documentate dagli altri Paesi dell’UE.

I principali limiti della survey possono essere riconducibili alla natura trasversale del disegno di studio, nonché all’utilizzo del web per il reclutamento del campione, il che può aver comportato un potenziale bias di selezione connesso alle differenze nell’accessibilità ad internet e nella propensione al suo utilizzo. Di contro, come dimostrano le esperienze di altri studi condotti a livello internazionale31,32,33, l’utilizzo del web per reclutare corsisti che espletano le attività formativo-professionalizzanti nelle varie articolazioni dell’assistenza distrettuale ed ospedaliera rappresenta una strategia efficace.

Le risultanze della survey depongono a favore della proposta di adozione, anche nel nostro Paese, di una scuola di specializzazione in MG e Cure Primarie (CP). Infatti, nella misura in cui la sostenibilità del SSN trova fondamento nell’evoluzione e nella riorganizzazione delle CP, l’aggiornamento delle competenze dei medici del territorio non può che passare da una rivisitazione dell’attuale sistema della FSMG.

A tal fine, partendo dall’esperienza documentata dalle Scuole di Specializzazione in Medicina di Comunità e Cure Primarie5 e valorizzando i punti di forza e le “best practice” 38 dei corsi regionali, vengono presentate due ipotesi di evoluzione del percorso di formativo di FSMG: a) corso quadriennale che includa, oltre agli aspetti clinici, anche quelli gestionali (in analogia al modello spagnolo della specializzazione in “Medicina familiar y comunitaria”39); b) percorso diviso in due fasi distinte, una clinica ed una gestionale, realizzate rispettivamente nell’ambito di una specializzazione di durata triennale (che conferirebbe le competenze necessarie ad esercitare, in via esclusiva, la professione del MMG) e di un master universitario di secondo livello della durata di un anno (necessario per accedere ai ruoli di coordinamento).

Nel particolare, il percorso specialistico di formazione specifica in MG e CP, dovrebbe essere incardinato in una rete formativa integrata Università – SSR, che, ferma restando la centralità degli ambulatori dei MMG e dei nuovi modelli organizzativi del territorio, aggregazioni funzionali territoriali (AFT) ed Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP)40, dovrebbe ricomprendere i presidi di continuità assistenziale, le residenze socio-sanitarie, gli ospedali di comunità, l’assistenza domiciliare integrata, gli hospice, i reparti ospedalieri ed i pronto soccorso. Tale percorso formativo dovrebbe, altresì, conferire ulteriori competenze gestionali e di governo clinico di percorsi di cura integrati e continui, nonchè funzioni di direzione dei servizi di CP, da esercitare presso i Distretti sanitari ed i Dipartimenti di CP, le Case della Salute, le Residenze Sanitarie Assistite e le UCCP.

Tali modelli potrebbero realizzarsi primariamente nei dipartimenti di “General Practice and Primary Care”10,13, intesi come luoghi fisici e funzionali a fare sintesi tra le capacità delle Università nei campi dell’organizzazione didattica e della produzione scientifica e le esperienze professionali e le attività di tirocinio professionalizzante dei general practicioners (GPs)41. Inoltre, gli stessi dipartimenti consentirebbero di raggiungere più agevolmente l’obiettivo di una presa in carico globale dei pazienti complessi e delle rispettive famiglie nella rete dei servizi territoriali integrati, garantendo l’erogazione di interventi coordinati e continui con l’ospedale42.

D’altronde, l’addestramento del medico di MG al lavoro in team multidisciplinari e l’integrazione tra le differenti competenze sanitarie trovano fondamento in una necessaria osmosi culturale tra università, territorio ed ospedale e sono i presupposti indispensabili per garantire la “salute per tutti”43.

Infine, l’evoluzione verso un percorso di FSU consentirebbe di superare le limitazioni per gli iscritti ai corsi regionali di svolgere parte del periodo formativo all’estero, a differenza di quanto previsto per le SSU in risposta alla documentata richiesta di esperienze formative elettive internazionali44.

In conclusione, la rilevazione ha permesso di far emergere i punti di forza e di debolezza dell’attuale modello di FSMG e ha fornito indicazioni per predisporre opportuni interventi di miglioramento del percorso post-lauream di FSMG. In tale ottica, è possibile affermare che la proposta di evoluzione della FSMG in un percorso di formazione specialistica, fatte salve le peculiarità e la specificità della MG, ed in linea con quanto affermato sia dall’Organizzazione Mondiale della Sanità11, che dal WONCA Europe45, può rappresentare il punto di partenza per il rilancio della cultura delle CP e della MG in Italia.

Tab. 1: Principali motivazioni ed aspetti vocazionali che hanno orientato la scelta del corso di FSMG rilevati nel campione dei 302 medici in formazione specifica aderenti alla survey.

MOTIVAZIONI ED ASPETTI VOCAZIONALI N. DI RISPOSTE*
Aspetti relazionali del rapporto medico-paziente (“aspetto relazionale della professione” “approccio individuale alla persona”) 242/302
Peculiarità dell’approccio olistico – globale al paziente (“approccio olistico al paziente”, “sfida professionale di una disciplina di ampio impatto”, “esperienza formativa o professionale in setting ospedaliero non soddisfacente”) 235/302
Aspetti organizzativi e remunerativi (“autonomia ed indipendenza nell’organizzazione del lavoro” ed “introiti economici allettanti”) 177/302
Motivazioni riferibili alla sfera privata e personale (“compatibilità con la maternità e la vita familiare” e “presenza nella famiglia di un MMG”) 124/302
Scelta di ripiego (“non possibilità di accesso ai percorsi specialistici” a causa o del conseguimento “di punteggio non sufficiente” o “per possibilità di accesso a percorsi specialistici non di interesse”) 103/302
Aspetti legati alle prospettive occupazionali (“maggiore possibilità di occupazione”) 59/302
*I rispondenti hanno potuto esprimere sino a tre preferenze.

 

Tab. 2: Livello di soddisfazione e criticità in tema di organizzazione della didattica ed obiettivi formativi dei corsi regionali di formazione specifica di medicina generale e di condizione del corsista rilevati nel campione dei 302 medici in formazione specifica aderenti alla survey.

DOMANDA CATEGORIA DI RISPOSTA N. (%)
Molto importante 134 (44,4%)
A. (D. 1.8) Pensi che la formazione intra-ospedaliera sia importante Importante 95 (31,5%)
per qualificare il Medico di Medicina Generale? Non importante 10 (3,3%)
Poco importante 63 (20,9%)
Molto importante 111 (36,8%)
B. (D. 1.9) Considerile rotazioni neidiversirepartiospedalieri importanti Importante 120 (39,7%)
per il corso di formazione specifica di Medicina Generale? Non importante 24 (15,6%)
Poco importante 47 (7,9%)
Molto importante 94 (31,1%)
C. (D. 1.10) Qual è l’importanza che dai all’apprendimento dei principi del management sanitario all’interno del corso di formazione specifica di Medicina Generale? Importante 120 (39,7%)
Non importante 14 (24,5%)
Poco importante 74 (4,6%)
Molto importante 144 (47,7%)
D. (D. 1.11) Pensi che sia importante apprendere e praticare la evidence-based medicine durante il corso di corso di formazione specifica di Medicina Generale? Importante 130 (43%)
Non importante 4 (7,9%)
Poco importante 24 (1,3%)

  

Tab 3: Livello di soddisfazione sulle competenze acquisite durante la frequenza dei corsi di formazione specifica di medicina generale rilevato nel campione dei 302 medici in formazione specifica aderenti alla survey.

COMPETENZA DOMANDA CATEGORIA DI RISPOSTA N (%)
Soddisfatto 97 (32,1%)
Gestione delle A. (2.2) Quanto sei soddisfatto sul livello di iii Indifferente 141 (46,7%)
cure primarie competenze acquste in tema di gestone delle cure primarie? Insoddisfatto 41 (13,6%)
Competenze non impartite 23 (7,6%)
Soddisfatto 140 (46,4%)
Approccio centrato B. (2.4) Per come è stato affrontato l’io centrato sull Giudizio indifferente 104 (34,4%)
sulla persona approcca persona durante il corso, mi ritengo: Insoddisfatto 39 (12,9%)
Competenze non impartite 19 (6,3%)
Soddisfatto 98 (32,5%)
Problem Solving C. (2.6) Per come sono state affrontate le specifiche competenze di problem solving durante il corso, mi ritengo: Giudizio indifferente 127 (42,1%)
Insoddisfatto 52 (17,2%)
Competenze non impartite 25 (8,2%)
Soddisfatto 120 (39,7%)
Approccio globale D. (2.8) Per come sono state affrontate le specifiche competenze dell’approccio globale durante il corso, mi ritengo: Giudizio indifferente 124 (41,1%)
Insoddisfatto 42 (13,9%)
Competenze non impartite 16 (5,3%)
Soddisfatto 68 (22,5%)
Orientamento alla E. (2.10) Quanto sei soddisfatto sul livello di iite in tema di Giudizio indifferente 144 (47,7%)
comunità competenze acqusorientamento alla comunità? Insoddisfatto 54 (17,9%)
Competenze non impartite 36 (11,9%)
Soddisfatto 109 (36,1%)
Approccio olistico F. (2.12) Per come sono state affrontate le specifiche competenze sull’approccio olistico durante il corso, mi ritengo: Giudizio indifferente 120 (39,7%)
Insoddisfatto 50 (16,6%)
Competenze non impartite 23 (7,6%)

 

Bibliografia

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Cita questo articolo

Mazzucco W., Marotta C., De Waure C., et al. “Rilevazione nazionale in tema di formazione specifica di medicina generale in Italia”, Medicina e Chirurgia, 72: 3322-3335, 2017. DOI: 10.4487/medchir2017-73-3

 

Il medico e il rispetto della fede religiosa della personan.71, 2016, pp. 3225-3229, DOI: 10.4487/medchir2016-71-2

Abstract

Medicine is based on three main pillars: Clinical-scientific evidence, Clinical competence and appropriate approach to ethical values of each person. For this last point, physicians should be able to fully understand and respect these values, since patients experience distress in relation to their  their illness and, as in end of life, severe frailty. Therefore the curriculum of schools of medicine and nursing  should appropriately teach how to face patients with different religious beliefs.

At the University of Florence Medical School a specific teaching project aimed to provide future physicians and nurses with the knowledge elements of different religions and related habits. The group involved in the project included high level representatives of catholic, hebraic, islamic, buddhist and hindu religions. The activity was focused on religious assistance, prayer, pain, gender, heritage, organ transplantation, relations with relatives, nutrition, end of life, death and body care.

In particular, for pain each member was asked to answer three questions: 1) Is pain a religious valuable element? 2) are there gender specific differences in pain treatment? 3) is consciusness impairment acceptable in relation to pain relief?

During the special course, large interaction was stimulated to share the best way to face the most crucial problems in patients with different religious beliefs, in order to identify the best approach for health professionals.

Parole chiave: Fede religiosa, abitudini religiose, rispetto per la persona, dolore, fine vita

Key words: Religious belief, religious habits, respect for human beings, pain, end of life

Articolo

Nascita di una idea

La medicina si fonda essenzialmente su tre elementi portanti: le evidenze clinico-scientifiche, le competenze cliniche, e l’approccio coerente all’etica del paziente e quindi l’attenzione ai valori intrinseci della persona. Per quest’ultimo aspetto, il bravo medico deve essere in grado di comprendere questi valori, perché il paziente è una persona quasi sempre sofferente e nei casi più gravi, come nel fine vita, particolarmente fragile. Pertanto nei Corsi di Laurea per gli studenti di medicina, così come per quelli di infermieristica, sarebbe opportuno fornire un adeguata formazione sulla conoscenza delle varie confessioni religiose dei pazienti. I futuri medici e infermieri dovrebbero acquisire quella sensibilità nei confronti del paziente che  dovrebbe essere guidata e indirizzata attraverso un percorso formativo specificamente volto a fornire allo studente gli elementi di conoscenza delle diverse confessioni e dei comportamenti a queste legate che gli consentano di operare nel rispetto della persona anche in questo importante aspetto che si  inserisce nello sforzo della moderna medicina verso la medicina personalizzata, una terapia adeguata alle necessità della  persona  tenendo conto della spiritualità di ciascuno.

Il gruppo di lavoro

Su questa base razionale alla fine del 2014 è iniziato un lavoro di preparazione di un percorso di formazione specifico, sostanziatosi in un’attività di ADE, in cui hanno giocato un ruolo attivo:

Anita Norcini Tosi, Teologa, coordinatrice Incontri interreligiosi

Antonio Panti Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Firenze

Stefano Tarocchi  Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale

Joseph Levi Rabbino capo della Comunità ebraica di Firenze

Abdel Qader  Moh’d Imam della Comunità islamica di Perugia

Mauro Bombieri Parabhakti Das

Alessandro D’Alessandro Istituto italiano Buddista Soka Gakkai

GF Gensini Professore di Medicina Interna

Il gruppo, coordinato da Anita Norcini Tosi e da Gianfranco Gensini ha lavorato nell’ottica di evidenziare i diversi approcci che il medico deve avere nei riguardi di coloro che soffrono appartenenti a fedi diverse. La comunicazione fra medico e “paziente” è tanto più stretta e favorevole ad un corretto percorso di cura quanto maggiore è la reciproca comprensione intendendo per questa il necessario diverso approccio che si deve tenere, seppur in casi di analoga malattia, a seconda della recettività del paziente: all’interno di questo ambito è determinante la conoscenza dei diversi approcci in relazione alle diverse fedi religiose. Queste a loro volta possono dare in questo percorso un contributo fondamentale, anche se il medico deve mantenere sempre un approccio laico rispettando l’autodeterminazione del paziente e aumentandone la resilienza, riducendo così il rischio di perdere la fiducia e la speranza. Un corretto approccio ai valori personali del paziente è fondamentale non solo in termini di rispetto del paziente stesso, ma anche per la guarigione o se questa non è possibile, comunque per la stabilizzazione della malattia.

E’ stato messo a punto una griglia semplificata, di seguito riprodotta, che elenca i diversi elementi di attenzione nella gestione clinica di pazienti di diverso credo.

Gruppo di lavoro interreligioso

I valori della persona

Il medico mediatore culturale e religioso

Firenze 18/11/2014

1) La spiritualità (assistenza religiosa; preghiera)

2) Il dolore

3) Il fine vita

4) Le differenze di genere (sessualità)

5) Eredità

6) I trapianti d’organo

7) Il rapporto con la famiglia

8) La morte e la gestione della salma

9) L’alimentazione

 

I moduli in cui si è sviluppato il corso sono stati in tutto 6, il primo di tipo introduttivo con la presenza di tutti i docenti. Sono seguiti tre incontri con due docenti di due diverse religioni per volta, un 5° incontro su temi specifici come la Fecondazione e il Fine Vita  e un 6° incontro finale su un argomento trasversale, il dolore, per fare un parallelismo di differenze comportamentali a seconda delle diverse religioni).

Il dolore

Il rapporto e la comunicazione medico-paziente nella visione delle diverse religioni

Il dolore è un valore?

Esistono pregiudizi di genere nella terapia del dolore?

Quanto è accettabile una modifica dello stato di coscienza in rapporto alla terapia del dolore?

Il punto di vista laico del medico:

Il progresso medico-tecnologico ci pone oggi di fronte a dilemmi che fino a pochi decenni fa non ci saremmo posti.

Le scelte etiche non necessariamente debbono sempre essere di tipo religioso, ma possono avere una visione più ampia e valoriale dell’intera società.

Il medico deve essere un inseparabile compagno di viaggio per il paziente con l’obiettivo di guarire le malattie, un viaggio che però troppo spesso rischia di trasformarsi in un percorso di accanimento terapeutico. L’atto medico non può esimersi dal considerare gli effetti che questo avrà sulla qualità di vita futura del paziente.

La posizione del medico dovrebbe sempre essere quella di accettare le volontà espresse dal proprio paziente sulla base del principio di autodeterminazione.

Il progressivo invecchiamento della popolazione determina lo sviluppo di una complessità di patologie croniche concomitanti e invalidanti che impongono al medico una visione olistica del paziente finalizzata a comprendere le esigenze prioritarie del malato rispetto alle aspettative  di qualità di vita del paziente.

Nella relazione medico-paziente è importante costruire un cammino condiviso (alleanza terapeutica) che consenta a quest’ultimo di affrontare il percorso di cure durante tutto l’arco temporale di vita nel modo più sereno possibile.

La Legge 30/2010 nell’Art.1  impone di assicurare un programma di cura individuale per il malato (terapia del dolore e cure palliative) e per la sua famiglia secondo tre principi fondamentali:

Tutela della dignità e dell’autonomia del malato, senza alcuna discriminazione

Tutela e promozione della qualità della vita fino al suo termine

Adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia

Secondo il codice di deontologia medica (2014) il medico deve impegnarsi a trattare il dolore,  Art.3: doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza, nel rispetto della libertà della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali   o sociali nelle quali opera.

Di seguito quanto espresso dagli esponenti delle diverse confessioni nel lavoro di gruppo innescato dalle tre domande iniziali sul dolore:

Ebraismo

Nell’ebraismo biblico il corpo umano ha la qualità ontologica di esprimere la presenza divina ed è  lo strumento offerto all’uomo per vivere e sperimentare la vita terrena nella dimensione umanana

Da questa visione del corpo umano, della sua vitalità e armonia con il resto del mondo fisico e l’universo intero, scaturisce la posizione ebraica del dolore.

L’immagine divina e la mente non sono separati dal corpo ma ne fanno parte e risiedono in esso.

In questa prospettiva il dolore come mezzo di espiazione non trova alcuna giustificazione teologica.

Pertanto, il trattamento riguardo il dolore devono sempre cercare di riportare l’equilibrio di partenza rispetto alle forze vitali del corpo e della vita.

Il “dovere” del medico deve essere quello di aiutare il paziente alleviandone il dolore.

In questo modo il paziente viene portato ad un nuovo equilibrio fisico e mentale, riscoprendo la sua dimensione divina.

Anche quando le forze vitali o la vita stessa  arrivano al loro esaurimento naturale, il fine vita, il medico ha il compito di trovare le strategie più adeguate per una morte “più bella e dolce” alleviando il più possibile le sofferenze del paziente.

Al medico è stata sì offerta l’occasione di curare il paziente e di prolungargli la vita, ma anche quella di poter alleviare il suo dolore collaborando così con la forma spirituale della persona stessa.

Cattolicesimo

Se sovente il paziente vive il dolore come crisi, è altresì vero che il dolore è occasione di cambiamento.

La persona che soffre, rischia di perdere la certezza della sua esistenza e il senso stesso della vita.

la presenza del dolore chiama in causa l’identità personale più espressiva portando il paziente al doversi reinventare.

Affinché la malattia si apra a un cambiamento e il dolore possa quindi divenire una esperienza positiva è necessario che il paziente con l’aiuto del medico ritrovi in se stesso la forza di vincerlo.

Il medico ha pertanto il dovere di alleviare il dolore in quanto la presenza dello stesso degrada l’uomo nella sua complessità.

Il medico ha il compito di andare incontro alla sofferenza del paziente ricorrendo a tutte quelle terapie che costituiscano un beneficio nel rendere più accettabile la sofferenza.

Insieme al dolore e alla sofferenza, il medico deve imparare a gestire la condizione di angoscia del paziente, andando oltre una medicina solo curativa ed efficiente.

Anche se il dolore è una malattia comune sia all’uomo che alla donna, tuttavia l’elemento femminile spesso ne fa esperienza in profonda solitudine.

La donna in quanto portatrice potenziale di amore e di vita  ha in sé la capacità di trasformare il dolore in amore/dono sia attraverso le sofferenze del parto, ma anche in caso di sterilità: la donna, infatti è disposta a sopportare  il dolore fisico nella speranza di concepire e di donare la vita ad un nuovo essere umano.

Islamismo

Allah ha creato il dolore come segnale per ringraziarlo della buona salute.

La buona salute ci avvicina al nostro Creatore, l’unico e l’assoluto. Con il dolore possiamo valutare e comprendere l’importanza della salute il che deve spingere il medico ad accelerare la guarigione aiutando così il paziente a tornare alla società sano e produttivo.

Il medico deve cercare di tranquillizzare il paziente ricordandogli la misericordia di Dio e la sua pietà, poiché questo aiuta il processo di cura.

I musulmani credono che la malattia che colpisce una persona sia la volontà di Allah di voler purificare il malato da tutti i peccati che ha commesso.

Il paziente deve quindi trovare la forza interiore di fede affinché la sua difesa fisica e psichica possa consentirgli di guarire.

Il buon comportamento del medico verso il paziente determina un “effetto magico” che porta il paziente ad affrontare la malattia sopportandone il dolore e quindi accettando il proprio destino.

Il paziente deve imparare a convivere con il dolore con pazienza e speranza, ringraziando Allah per tutto ciò che ha ricevuto nella vita.

Il rapporto tra il medico e il paziente deve essere sempre ammantato di una spiritualità profonda e di una umanità capace di superare ogni tipo di pregiudizio e discriminazione.

Il medico o l’operatore sanitario devono essere sempre sensibili verso le differenti religioni poiché questo influisce positivamente sulla guarigione dei propri pazienti.

Hindu’ – Hare Krishna

La tradizione vedica considera il dolore un fattore imprescindibile del mondo fenomenico e l’antico testo sanscrito Bhagavad-gita nel seguente verso lo definisce come un prodotto naturale dell’incontro tra sensi e materia.

Il concetto di karma (legge di causa ed effetto) considera il dolore parte inevitabile delle dinamiche dell’esistenza fenomenica mentre la sua quantità e l’intensità sono determinati dalle azioni passate, anche se non si ha più memoria di esse.

La sofferenza è invece direttamente proporzionale all’identificazione dell’essere vivente con il corpo fisico e con la sua struttura psichica. Le crisi scatenate dal dolore nelle sue varie manifestazioni (fisico, mentale o spirituale) spesso innescano vere e proprie rivoluzioni interiori e portano con sé profonde trasformazioni .

Il ruolo ideale del medico, che ipoteticamente dovrebbe avere anche un approccio olistico verso il paziente, ha un’importanza vitale nel facilitare questi processi di comprensione e di trasformazione interiori.

Lenire e alleviare il dolore del paziente è una funzione essenziale della missione del medico. Aiutarlo a comprendere ciò che il dolore insegna è di altrettanta importanza per rendere efficace la cura nel lungo termine, cura che altrimenti risulterà incompleta.

Il medico deve esprimersi non solo nel curare i sintomi e le cause fisiche della malattia, ma anche essere in grado di  scoprirne le radici profonde, che spesso hanno connotazioni psicologiche sommerse.

Un paziente che possieda una comprensione profonda e completa della propria condizione di malato e nel contempo di essere spirituale eterno, affronterà il problema che lo affligge con maggiore tolleranza e in modo costruttivo, riconoscendo una via di crescita anche nelle situazioni più difficili, rivalutando in modo positivo la propria situazione.

I ricercatori spirituali seri tendono a evitare per quanto possibile l’assunzione di analgesici, tranquillanti, sedativi e altri farmaci o sostanze coadiuvanti della terapia del dolore quando non si presenti una reale e grave necessità. Questo perché tali prodotti vanno a influenzare e modificare in vari modi la lucidità mentale, indebolendo le funzionalità psichiche.

la coscienza di Krishna, la raggiunta consapevolezza interiore porta naturalmente a un grado superiore di sopportazione del dolore e a un approccio sereno nell’affrontare la malattia.

Buddismo – Soka Gakkai

La religione buddista è nata come una via di salvezza, di liberazione e di riscatto dal dolore, affinché ogni persona possa realizzare nel corso della propria vita la felicità per sé e per il proprio ambiente.

Per il Buddismo, quindi, la felicità è un valore, in quanto è un bene di per sé desiderabile e un fine da perseguire, mentre il dolore, per la ragione opposta, non può essere considerato in sé e per sé un valore.

Il dolore può essere utilizzato come un mezzo, una opportunità per indirizzare la vita verso la felicità.

La prima formulazione della concezione buddista del dolore ci è stata tramandata nella dottrina delle “Quattro Nobili Verità”, che costituisce il nucleo fondamentale della illuminazione del Budda Shakyamuni:

  1. L’esistenza in quanto tale è sofferenza poiché i cinque aggregati che determinano l’attaccamento all’esistenza (ovvero la corporeità, la sensazione, la nozione, la volizione e la coscienza) producono sofferenza: la sofferenza del nascere, quella di ammalarsi, quella di invecchiare e quella di morire, la sofferenza dell’unione con ciò che ci dispiace, la sofferenza della separazione da ciò che ci è caro e infine la sofferenza di non ottenere ciò che si desidera;
  2. la seconda verità afferma che la causa della sofferenza è il desiderio, la sete di esistere e la sete di non esistere, la sete del piacere e della passione;
  3. la terza verità afferma che se c’è un inizio della sofferenza c’è anche la cessazione della sofferenza, che consiste nella liberazione dal desiderio, nella cessazione dell’attaccamento all’esistenza;
  4. la quarta verità afferma che c’è una via per ottenere la liberazione dal desiderio e l’estinzione della sofferenza. Questa via è il nobile ottuplice sentiero, cioè: retta visione, retta intenzione, retto parlare, retta condotta, retti mezzi di sussistenza, retto sforzo, retta attenzione e retta concentrazione.

Ogni forma di esistenza, compresa la vita umana, per il fatto stesso di esistere, apparire, divenire, decadere e morire è dolore. Ogni esistenza, in quanto è soggetta a questo ciclo, comporta sofferenza fisica e psichica: disagio, difficoltà, bisogno, inquietudine, angoscia, tormento e paura.

Il dolore è coessenziale alla vita, non può essere estirpato per sempre ma può essere curato ricercandone la causa e la terapia.

Attraverso la trasformazione della sofferenza e della malattia gli esseri umani possono comprendere il significato, il valore, la sacralità e la dignità della vita e godere di una esistenza pienamente realizzata e felice.

In questa sintesi abbiamo riportato i diversi punti di attenzione posti dai diversi esponenti delle confessioni.

Naturalmente nel lavoro complessivo, che ha toccato i diversi punti citati e in particolare quanto previsto dalla scheda, sono stati approfonditi i diversi elementi valutati cruciali per impostare appropriatamente la relazione del medico con il paziente, con la famiglia, con coloro che collaborano alla cura.

La dimensione umana e spirituale del paziente è stata così rispettata, creando un valido legame di empatia fra il medico e la persona malata.

Tutto il materiale prodotto e raccolto è stato organizzato in un progetto FAD, che verrà erogato dall’Università Telematica San Raffaele – Roma in collaborazione con il CESMAV (CEntro Studi Medicina AVanzata) e il supporto tecnico di NUMEplus

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INDUISMO HARE KRISHNA

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Srimad- Bhagavatam (27 vol) – BBT edition

Caitanya Caritamrita (8 vol) – BBT edition

Sri Isopanisad  BBT edition

Nettare della devozione – BBT edition

Incontro con il maestro spirituale – BBT edition

Cita questo articolo

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Educazione alla Leadership in Medicinan.71, 2016, pp. 3219-3224, DOI: 10.4487/medchir2016-71-1

Abstract

The knowledge and skills sets required of today’s physicians include expertise in competency areas that have not been included in the traditional medical curricula.

In particular, the many challenges in health care today create a special need for great leadership. A considerable body of literature in the management sciences has defined leadership and how leadership skills can be attained. There is growing interest on the topic also within medical settings.

However, physicians-in training rarely receive specific education to develop leadership skills and the attitude to lead the change. In this context, an emerging trend in US and Europe is for healthcare institutions to offer physician-leadership programs.

It is time for physicians to think beyond making their institution, practice, or professional society better. It is time for physicians to practice better value health care in a whole population based perspective. The modern and complex healthcare needs, and deserves, a transformational leadership. And physicians can provide it.

Parole chiave: leadership medica, formazione medica, change management

Key words: medical leadership, medical education, change management

Articolo

  1. Introduzione

La medicina moderna ha fatto, nel corso dei secoli e, ancor più repentinamente nell’ultimo trentennio, progressi straordinari. L’aumento esponenziale delle dinamiche di complessità delle organizzazioni sanitarie, nonché delle responsabilità e competenze dei medici, non solo nell’attività clinica bensì anche nei nodi decisionali e di governo dei servizi, richiede una crescita personale e professionale dalla quale un buon professionista della salute non può assolutamente prescindere1.

È ormai universalmente accettato che nelle organizzazioni sanitarie ogni medico debba essere manager di se stesso, manager del suo tempo e delle sue risorse materiali e immateriali, manager del proprio gruppo di lavoro e manager del contesto e dell’azienda dove lavora2.

Il medico del resto è chiamato a esercitare leadership in una varietà di ruoli e impostazioni: al letto del paziente, in accademia o all’interno di servizi sanitari, nel mondo della ricerca e nella società in generale. Sono i pazienti, i colleghi, i centri accademici e le comunità che si rivolgono a medici per rispondere a esigenze sempre più complesse la cui soddisfazione è funzione della capacità del medico di esercitare una leadership efficace.

La leadership può essere il risultato di una capacità innata ovvero dell’acquisizione di competenze tecniche maturate attraverso un’esperienza educativa durante vari momenti del ciclo formativo e professionale3.

Negli ultimi anni anche in Italia il miglioramento della qualità assistenziale e del governo dell’innovazione, nonché le tematiche della sostenibilità e del governo delle organizzazioni complesse, acuite dalle scelte politiche di revisione della spesa, hanno portato alla luce la necessità di aumentare la qualità e la quantità della formazione medico manageriale nonché l’attitudine e le competenze alla leadership in ambito medico4.

  1. Cosa si intende per Leadership e in cosa differisce dal Management

La leadership è diventata negli ultimi tempi di gran moda e il numero di articoli e libri incentrati su di essa continua ad aumentare a ritmo incessante; è quindi lecito tentare di fare un po’ di chiarezza a riguardo e chiedersi cos’è la leadership e in cosa differisce dal management. Questa non è una domanda facile cui poter rispondere poiché, come spesso capita, più un termine viene utilizzato in ambiti diversificati più significati assume col tempo.

Alcuni autori usano ed hanno usato, particolarmente nel passato, le parole manager e leader come sinonimi: “il manager è l’elemento dinamico, la scintilla che da la vita, in ciascun tipo di attività. Senza la sua leadership il successo rimane tale solo in potenza e le risorse a disposizione non portano mai al risultato sperato”.5

Tuttavia si è sempre più d’accordo sul fatto che la leadership e il management siano, in realtà, attività differenti, sebbene sia d’esperienza comune come molti manager siano, di fatto, anche dei leader. Forse un modo per descrivere al meglio questo sillogismo è affermare che “tutti i leader sono manager ma che, al contrario, non tutti i manager sono necessariamente leader”.

Un approccio è quello di definire il management come un attività primariamente legata con lo svolgersi di un’attività ovvero qualcosa che indica “l’esecuzione meticolosa e quotidiano delle attività”.6

La leadership quindi è qualcosa di diverso dal management e si configura come un qualcosa in più, come ben distingue John Kotter: “Il management è un insieme di processi che sono in grado di mantenere integro un complicato sistema di persone e tecnologia, facendolo funzionare al meglio. Gli aspetti più importanti del management comprendono la pianificazione, il budgeting, l’organizzazione, la gestione delle risorse umane, la valutazione e la risoluzione dei problemi. La leadership, invece, è un insieme di processi che crea le organizzazioni dalle fondamenta o che le adatta a cambiamenti esterni significativi. La leadership disegna i confini del futuro, allinea le persone a una visione comune e orienta gli sforzi alla realizzazione del progetto nonostante gli ostacoli.”7

Probabilmente ci sono due caratteristiche del lavoro del leader che sono cruciali. Una è che il leader deve aiutare le persone ad adattarsi agli avvenimenti negativi, a riformulare la loro visione del mondo aiutandoli a superare i problemi più importanti che si presentano dinnanzi. L’altro è che è leader soprattutto chi crea e modella la cultura dell’organizzazione, mentre il manager è colui che opera all’interno di quella cultura per raggiungere degli obiettivi prefissati.

“Cinque temi comuni emergono dall’analisi e catturano la vera essenza della leadership: la visione, la creazione di una cultura di valori condivisi, la pianificazione di una strategia e la sua attuazione, l’empowerment delle persone, l’influenza, la capacità di motivazione ed ispirazione. [La] capacità di percepire i limiti della propria cultura e continuare a svilupparla, adattandosi, è l’essenza ultima e la sfida della leadership.”8

Secondo Edgar Schein la capacità di modellare la cultura è uno dei tratti distintivi della leadership.

“Quando esaminiamo la cultura e la leadership da vicino, vediamo che sono due facce della stessa medaglia, nessuna delle due può davvero essere compresa se analizzata senza l’altra. Se si vuole distinguere la leadership dal management o dall’amministrazione si può affermare che la leadership crea e modella le culture, mentre il management e l’amministrazione agiscono all’interno di una data cultura.”9

Come fa un leader a plasmare la cultura? A una prima analisi grazie alla propria personalità e al modo di comportarsi, tuttavia la gestione del linguaggio e dei concetti svolge un ruolo cruciale nella formazione della cultura; la stessa parola non può essere utilizzata all’interno di un organizzazione senza essersi prima accordati sul significato.

È utile, infine, distinguere tra il leader e la leadership. Il leader è un singolo individuo al vertice di un’organizzazione ma la leadership, in realtà, è una funzione che molte persone possono esercitare, con incarichi formali ma anche informalmente.10

Si può comprendere facilmente quindi che, seppure il management sia di vitale importanza per un’organizzazione, la leadership è molto più importante per le sfide che stiamo affrontando nel mondo globalizzato del XXI secolo.

  1. Leadership, governance e gestione del cambiamento

“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”. Recita così uno dei più famosi aforismi di Winston Leonard Spencer Churchill. Naturalmente non tutti sono chiamati quotidianamente a gestire cambiamenti epocali agendo da statista. Tutti sono chiamati, però, specie se ci si trova in una qualunque posizione che implica una decisione – talvolta anche solo di contesti apparentemente marginali – a determinare con le proprie scelte il buon o cattivo esito di progetti, programmi o comunque a condizionare il contesto nel quale si opera e le azioni di altri colleghi.

Se si vuole descrivere però la gestione del cambiamento in modo più generale possibile, connaturata alle dinamiche macro e micro della realtà, allora la leadership può essere intesa come uno strumento stesso del change management e, in particolare, uno degli strumenti “paradigmatici”11.

Il Change management o Governo della Transizione è un approccio strutturato al cambiamento negli individui, nei gruppi, nelle organizzazioni e nelle società che rende possibile il passaggio da una condizione presente a un futuro assetto desiderato. Dal punto di vista di un’organizzazione esso consiste nel gestire al meglio tutte quelle innovazioni (di prodotto, di processo, organizzative) introdotte in azienda come elemento critico di successo per creare efficienza e aumentarne la competitività12.

Tanto più è profondo il cambiamento tanto maggiore è lo sforzo e l’attenzione necessaria per governarlo e indirizzarlo verso la meta. Ragionare in termini di change management significa oggi attuare una strategia di azioni pianificate a supporto dell’organizzazione nel passaggio dalla realtà vigente a un modello di realtà futura. Significa, cioè, accompagnare l’Azienda lungo tutto quel processo di trasformazione, che s’innesca con la riorganizzazione strutturale del business per generare valore, in coerenza con gli intenti strategici e con gli obiettivi finali di cambiamento.13

Gestire un processo di cambiamento vuol dire assicurare una trasformazione pianificata, condivisa, coerente e coordinata di tutte le componenti aziendali. Tutto ciò è applicabile anche nel contesto delle aziende sanitarie nonché dei sistemi sanitari stessi.14

Un’ulteriore considerazione va fatta riguardo alla posizione dell’organizzazione nel contesto del suo ciclo di vita e cioè rispetto al punto in cui si colloca un’organizzazione nel continuum del proprio sviluppo, dalla nascita al declino. Nelle situazioni di cambiamento organizzativo può essere utile adottare un approccio alla leadership trasformazionale, quantunque si riconosca la necessità di una versione partecipativa bottom-up o qualora si leghi la leadership all’apprendimento organizzativo e allo sviluppo delle “learning organisations”.15

  1. Il valore della Leadership in Sanità

Mintzberg16 sostiene che nonostante la leadership medica sia critica per il successo, gli attuali modelli organizzativi in sanità prestano scarsa attenzione alla sua valorizzazione, mentre sono necessarie nuove forme di leadership medica che consentano:

– di rilanciare il più autentico significato della professione medica;

– di creare più efficaci raccordi e collaborazioni tra le diverse specialità mediche e gli altri professionisti della salute per costruire percorsi effettivamente centrati sui bisogni dei cittadini;

– di interpretare la complessità in modo che le organizzazioni e gli individui possano operare con successo pur in tempi incerti.

“Nebbia di guerra”, la famosa frase di Clausewitz, sintetizza efficacemente l’aria che tira quando, nel pieno della battaglia, si devono prendere decisioni rapide ed efficaci, e si può contare contemporaneamente su una quantità piccola di informazioni d’alto livello e su un gran numero di informazioni a basso livello. Probabilmente una delle metafore che più si avvicina, per molti aspetti, a quello che è il processo decisionale nella moderna sanità dei paesi più evoluti.17

Le evidence-based decisions non possono che essere razionali, fondate su prove di efficacia, ma nell’ambito del mondo reale e quindi anche in quello dell’assistenza sanitaria, la presenza di fattori sociali, etici e talora emotivi richiede che il giudizio sappia combinare al meglio decisioni razionali con altre variabili, spesso non-razionali, per addivenire ad una decisione “good enough in imperfect conditions”.18

In particolare, in sanità, ai medici e ai professionisti sanitari sarà richiesto di dimostrare vocazione alla leadership al fine di orientare la propria azione alla creazione di valore per i cittadini (value based medicine).19,20,21

  1. Modelli formativi della Leadership in Sanità

Sviluppare nuovi modelli di leadership richiede un’attenzione e un’enfasi forti, sin dagli anni della formazione medica di base, per proseguire a livello post-laurea e di formazione permanente22.

I bisogni di sviluppo della leadership clinica, medica e degli altri professionisti sanitari, sono da tempo oggetto di numerose discussioni ma non esiste consenso circa modelli, teorie, approcci e definizioni23,24.

Modelli e approcci diversi possono essere applicati per differenziare le conoscenze nel ruolo di leadership per i medici; l’importante è assicurare che i modelli o gli approcci usati siano in grado di riconoscere e valutare le differenze specifiche di specialità e setting all’interno dei quali i medici lavorano giorno per giorno.

Una possibile strada da percorrere è stata individuata nella capacità di essere deliberatamente eclettici e nell’utilizzo di approcci multi-prospettici contaminati da esperienze in altri settori25. Si spera che i diversi approcci possano aiutare i medici a svilupparsi come leader, aiutarli a essere criticamente consapevoli e a saper affrontare le differenze, le tensioni e i dilemmi implicati nel ruolo di leadership e che lo sviluppo della stessa si accordi con i cambiamenti strutturali e organizzativi dettati dalle politiche sanitarie riguardo alla professione e alla formazione medica.26

Diverse iniziative e programmi di leadership clinica sono stati promossi nel corso degli anni in Europa, per guidare lo sviluppo della formazione verso la leadership. Esemplare, è stata la creazione (sul modello di centri di leadership realizzati per altre branche del settore pubblico) di un NHS Leadership Centre nel sistema sanitario inglese – evoluto poi nella NHS Leadership Academy – che ha contribuito a diffondere all’interno del NHS e nei professionisti una maggiore consapevolezza circa la necessità di sviluppo di soluzioni per una leadership efficaci.27

Tra gli approcci formativi più largamente sostenuti, diversi autori hanno promosso l’action learning – apprendimento esperienziale – quale uno dei più efficaci strumenti per sviluppare e costruire la leadership. Alcuni autori hanno mostrato come la maggior parte delle capacità di leadership si apprendano dall’esperienza sul posto di lavoro, piuttosto che con la sola formazione frontale in aula.28

L’approccio basato sull’action learning ha il vantaggio di focalizzarsi su specifici fattori di situazione associati a modelli di leadership e sviluppo. Tale metodo di apprendimento diventa un imperativo per i medici, fornendo un meccanismo che lega lo sviluppo della leadership alle situazioni del “mondo reale”. Esso crea anche un collegamento tra i singoli medici, fondato su apprendimento di gruppo e comunanza organizzativa, e offre inoltre l’opportunità di facilitare lo sviluppo della leadership multi-disciplinare, basato sul team29,30.

La leadership deve essere sviluppata a ogni livello, non soltanto a quello apicale e pone l’attenzione sul team, assumendo che tutti i medici siano potenzialmente leader nelle giuste circostanze.31 La leadership, non esclusivamente legata a un livello o a una posizione formale nel quadro dell’organizzazione, risulta essere un’attività condivisa, distribuita o diffusa all’interno di un team capace di prevedere forme di leadership non tradizionali come ad esempio la rete (networking)32.

Questo approccio è compatibile con il passaggio dalle strutture gerarchiche a strutture basate sul lavoro in team, all’interno delle quali la leadership viene condivisa su principi di partnership, equità, responsabilità ed appartenenza.33,34

Questo stile “soft” di leadership non soltanto si mostra compatibile con i precedenti approcci (utilizzo del modello trasformazionale dell’empowerment), ma appare anche piuttosto adatto a seguire gli sviluppi dei sistemi sanitari complessi, che manifestano un rinnovato interesse manageriale verso il team clinico multi-disciplinare, sia nell’assistenza primaria che in quella secondaria.35

Questa prospettiva risulta coerente anche con lo spostamento verso forme di organizzazione a rete nelle quali si è passati da modelli di leadership formale e top down a modelli di leadership basata sull’esperienza e sull’influenza, prevalentemente focalizzata sulla capacità di lavorare con molteplici stakeholder e in condizioni dinamiche e incerte.36

Lo sviluppo dei team clinici sta avendo un impatto sulle peculiari necessità di formazione dei professionisti sanitari, con una progressiva attenzione dedicata alla formazione e alle iniziative educative multi-disciplinari: da qui deriva il crescente interesse verso approcci alla leadership basati sul team.37 Può sembrare che questo approccio contrasti in una certa misura con altre disposizioni di governance quali la Clinical Governance, focalizzata più alla responsabilità individuale che non alla responsabilità basata sul team, ma in realtà si tratta di dimensioni complementari.38,39

Un’area di ricerca poco sviluppata sulla leadership è quella che si focalizza sulle capacità cognitive e sull’importanza di rafforzare la “struttura cognitiva”. Alcune iniziative di sviluppo della leadership, costruite sull’approccio caratteriale e sull’apporto delle neuroscienze, enfatizzano le caratteristiche personali o le competenze, assumendo che tali qualità personali (capacità concettuali, interpersonali, di problem solving) possano essere sviluppate o utilizzate nella selezione dei leader in quanto connesse all’efficacia pratica della leadership.40,41

Questi sviluppi sfidano le visioni tradizionali della leadership e suggeriscono il bisogno di una visione alternativa basata su forme di leadership condivisa o distribuita.

In definitiva, da questa analisi, emerge come la leadership possa essere parte di un nuovo modello di governance professionalmente responsabile e focalizzato sulla responsabilità collegiale nel prendere decisioni, un modello orientato alla stewardship nel suo senso più pieno.42

  1. Riflessioni conclusive

Nessun sistema al mondo è in grado di esaudire indistintamente tutta la domanda di salute e di assistenza sanitaria che deriva dalla società. Tuttavia, è possibile adattare queste pressioni e utilizzarle in positivo per trasformare i modelli di cura e incrementarne efficacia ed efficienza.

La sanità moderna deve gestire un elevato numero di nuove variabili: la relazione con pazienti maggiormente informati e partecipativi, popolazioni destinate a vivere sempre più a lungo, malattie nuove o risorgenti, gli effetti dei moderni stili di vita, lo sviluppo della tecnologia e della medicina. Tutto ciò si è intrecciato in un’unica combinazione che ha posto insostenibili pressioni sui sistemi sanitari e, in Italia, la sopravvivenza di un sistema pubblico universalistico basato sull’organizzazione e sulle competenze del Servizio Sanitario Nazionale resta a forte rischio.

È il tempo delle “maledette decisioni”, quelle alle quali non c’è modo di sottrarsi, per le quali non esiste via di fuga e sulle quali qualcuno deve pur assumersi la responsabilità di agire.43 Una leadership efficace può essere la chiave del cambiamento organizzativo che ne deriva.

La difficoltà di essere leader, oggi in Italia, è data dalla cultura delle organizzazioni la quale, figlia di anni improntati al conservatorismo e del “si è sempre fatto così”, è ancora spesso caratterizzata da una lentezza di processi e da resistenze burocratiche che non si addicono a un mondo tecnologicamente evoluto, velocissimo nelle informazioni e nella necessità di reazione.

Per questo il leader moderno deve essere il leader del cambiamento, in grado di cambiare le cose con velocità e sapendo costruire alleanze con i propri colleghi, collaboratori e coordinatori. Il leader del cambiamento è una guida sicura nella tempesta delle onde in continuo movimento e sa guardare al futuro con intelligenza – visione sistemica – sapendo cogliere le soddisfazioni del presente con serenità ed equilibrio. Un vero leader crea nuovi leader e ne facilita la crescita e lo sviluppo, sostenendo il piacere quotidiano di fare parte di un sistema complesso, dinamico e in costante divenire.

La sanità italiana deve iniziare da subito una riflessione e una discussione rigorosa e impegnata sul ruolo della leadership medica e, pertanto, deve intraprendere un’azione decisa e sistemica nel versante della formazione medica a tutti i livelli. L’inserimento all’interno dei programmi dei corsi di laurea in Medicina e Chirurgia di “pillole” di management e leadership così come l’introduzione di specifici crediti formativi nei core curricula delle scuole di specializzazione, sono le azioni da intraprendere per garantire la crescita di una nuova e più competente classe medica.

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Cita questo articolo

Ricciardi W., Silenzi A., Parente P., Kheiraoui F., Favaretti C., Educazione alla Leadership in Medicina, Medicina e Chirurgia, 71: 3219-3224, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-71-1

La simulazione in medicina Basi e prospettive nell’insegnamento nel Corso di laurea in Medicina e Chirurgian.70, 2016, pp. 3166-3169, DOI: 10.4487/medchir2016-70-1

Abstract

Simulation is a technique initially developed in military and civilian aviation to replace or amplify real experiences in a fully interactive manner to maximize safety and minimize errors.

Low-fidelity simulation refers to partial task training for procedural skills, such as venepuncture, intubation or cardiopulmonary resuscitation.

High-fidelity simulation refers to scenario role-playing by full body software-controlled mannequins equipped with dynamic features.

Simulation sessions include planning, introduction, simulation, debriefing, evaluation, with debriefing representing a main component of the learning processes. Simulation can be successfully applied to under-graduate and post-graduate academic training, continuous medical education (CME), research and assessment methods. Simulation-based medical education is student-centred, and through repetitive practice and experiential learning allows to acquire  skills  and reduce mistakes in a controlled and safe practice.

Recently a  survey showed that in Italy health simulation laboratories exist in most Universities, but they are  mainly focused on postgraduate education. Simulation core curriculum shared by the different Universities is urgently needed, to allow a homogeneous practical education in our country. Centres and scientific organizations provided with high quality and extensive simulation capabilities and training programs for instructors and facilitators may help in supporting the spreading of simulation approach in undergraduate education in Italy.

Articolo

Introduzione

La simulazione è una tecnica che ha lo scopo di sostituire o amplificare esperienze reali con esperienze guidate che richiamano o riproducono aspetti sostanziali del mondo reale in modo totalmente interattivo (David Gaba)1.

La simulazione si è sviluppata inizialmente nelle organizzazioni dell’aviazione militare e civile per rendere massima la sicurezza  e  minimizzare gli errori.

Il primo esempio di simulazione medica risale agli anni ’60 quando furono messi a punto un modello base di rianimazione e il primo simulatore di paziente umano, il Sim One2.

La simulazione consente di riprodurre attività o situazioni mediche reali con lo scopo di migliorare le competenze tecniche e non tecniche, i processi decisionali, la riflessione critica e il giudizio clinico.

Una delle lezioni più importanti apprese dall’aviazione civile e militare è la comprensione e la messa a punto delle necessità dell’addestramento di squadra e i principi del lavoro di squadra. Questo è stato riconosciuto e valorizzato solo di recente nei sistemi sanitari moderni con la consapevolezza che più persone esperte non equivalgono necessariamente ad una squadra esperta 3.

La simulazione è distinta in bassa, media ed alta fedeltà 4.

La simulazione a bassa fedeltà si riferisce in generale all’addestramento per abilità tecniche e competenze procedurali, come la puntura venosa, l’intubazione orotracheale o la rianimazione cardiopolmonare.

La simulazione ad alta fedeltà si riferisce ad uno scenario di esercizio  di ruoli mediante l’utilizzo di manichini controllati da appositi “software” dotati di caratteristiche funzionali dinamiche come suoni cardiopolmonari e polsi centrali e periferici.

La simulazione nella formazione dello studente di medicina

In tutto il mondo la simulazione è stata progressivamente integrata nei curricula di formazione medica5 –7. In Italia la formazione medica tradizionale è ancora fortemente centrata sul docente, poco interattiva, basata principalmente su lezioni e non sufficientemente in grado di coinvolgere gli studenti in attività pratiche ed esperienze emozionali.

La formazione medica basata sulla simulazione è centrata sullo studente,  promuove l’apprendimento attivo attraverso azioni ripetute utilizzando il metodo dell’esperienza diretta e deliberata.

Le modifiche della gestione della sanità prevedono oggi una percentuale più elevata di pazienti acuti e ospedalizzazioni brevi, con una riduzione delle occasioni per gli studenti in medicina di apprendere direttamente dal mondo reale. In questo contesto l’apprendimento attraverso la simulazione rappresenta l’opportunità di confrontarsi con la semeiotica e un’ampia gamma di patologie in un ambiente controllato e “privo di rischi” esponendo lo studente a livelli progressivi di difficoltà e strategie multiple di apprendimento.

La formazione medica mediante simulazione a bassa, media e alta fedeltà comporta il miglioramento delle competenze tecniche, psicomotorie e cognitive degli studenti preparandoli adeguatamente al mondo reale.

L’uso diffuso di skill trainers aiuta lo studente ad apprendere le abilità manuali essenziali.

Le aree riportate di seguito sono quelle più adatte ai processi di apprendimento basati sulla simulazione ad alta fedeltà per la formazione curriculare:

  1. Conoscenza dell’anatomia del corpo umano attraverso la pratica ripetuta su simulatori di parti anatomiche o su manichini ad alta fedeltà;
  2. Conoscenza della fisiopatologia umana attraverso la pratica ripetuta su manichini ad alta fedeltà e gioco di ruolo di scenari di casi clinici;
  3. Sviluppo e miglioramento della riflessione critica e del giudizio clinico mediante la pratica deliberata e ripetuta;
  4. Miglioramento degli aspetti comunicativi e comportamentali mediante i pazienti standardizzati e la traslazione al mondo reale;
  5. Miglioramento delle capacità di lavoro di squadra intra – e interdisciplinare mediante la pratica deliberata e ripetuta durante lo svolgimento di scenari simulati;
  6. Esercizio dei ruoli;
  7. Utilizzo di programmi computerizzati di realtà virtuale per la gestione e la conoscenza di casi clinici supportati da dati di letteratura basati sull’evidenza e linee guida;
  8. Apprendimento riflessivo mediante analisi critica e costruttiva durante le sessioni di “debriefing” successive alle simulazioni;
  9. Apprendimento esperienziale attraverso una partecipazione attiva “centrata sul discente”;
  10. Sviluppo della capacità dello studente di gestire con facilità e familiarità un ampio spettro di problematiche relative al paziente, cliniche o ambientali, mediante l’addestramento e le azioni ripetute.

La simulazione nella formazione medica post-curriculare

Il modello ‘‘See one, do one, teach one’’ non può essere considerato il paradigma per l’insegnamento e l’apprendimento post-curriculare8, 9.

Simulazione nell’addestramento del medico di medicina generale (MMG)

In Italia il programma di formazione triennale per i medici di medicina generale è organizzato in modo da fare sì che il MMG acquisisca competenze cliniche, metodologiche e comportamentali nella gestione dei pazienti10, 11.

Le capacità comunicative, l’affidabilità clinica e le conoscenze della medicina generale potrebbero essere significativamente migliorate mediante l’esperienza di simulazioni effettuate con i pazienti standardizzati12.

La simulazione nell’Educazione Continua in Medicina (ECM)

La simulazione rappresenta l’opportunità di apprendere e applicare in tempo reale qualsiasi nuova terapia o procedura complessa all’interno di scenari clinici che riproducono fedelmente la realtà senza alcun rischio per il paziente13.

La pratica ripetuta e deliberata è l’elemento chiave per il conseguimento di un livello di eccellenza in qualsiasi ambito14 –16.

La simulazione nella formazione infermieristica

In sanità la figura dell’infermiere professionale è la più vicina al paziente e alla famiglia. La simulazione può avere un ruolo chiave nel fornire all’infermiere oltre che la preparazione necessaria ad un elevato profilo tecnico-professionale anche gli strumenti adeguati per una comunicazione efficace con il paziente e i suoi familiari, per percepire le sue necessità e condividerle con il medico nel migliore interesse del paziente17, 18.

Le sessioni di simulazione

Le sessioni di simulazione hanno una struttura standardizzata che comprende cinque fasi:

Pianificazione

Valutazione del profilo dei partecipanti, l’analisi dei bisogni formativi  e identificazione degli obiettivi formativi.

Durante la fase di pianificazione, l’istruttore o gli istruttori sceglieranno gli strumenti di simulazione, identificheranno i contenuti e le modalità della simulazione e stabiliranno l’algoritmo di ogni sessione di simulazione.

Introduzione

Presentazione del programma, descrizione della sua struttura e delle sue finalità. È una fase di “riscaldamento” durante la quale l’istruttore di simulazione stabilisce il contatto iniziale con i partecipanti mettendoli a loro agio e creando l’ambiente informale e l’atteggiamento positivo favorevoli all’esperienza di simulazione.

Simulazione

Nucleo centrale di ogni sessione o  corso di simulazione, parte “emozionale e sociale” dell’intera esperienza.

Il partecipante, individualmente o come componente di una squadra, agisce “come se” agisse in situazioni reali; le sue conoscenze tecniche e attitudini personali si combineranno e entreranno in azione in modo vario.

Ogni potenziale e reale scostamento e/o errore rispetto alla gestione standard ottimale del contenuto (procedura o caso clinico) della simulazione, secondo le evidenze scientifiche, le linee guida e le indicazioni tecniche, è  osservato, registrato e messo a fuoco da parte dell’istruttore nella discussione riflessiva durante il “debriefing”.

Debriefing

Revisione dopo l’azione

Rappresenta un processo che ha lo scopo di riesaminare la simulazione per promuovere lo sviluppo del ragionamento critico19, 20. È la fase dell’apprendimento riflessivo basato sull’esperienza. L’abilità dell’istruttore e la modalità di conduzione del debriefing ne determinano il valore formativo o, al contrario, distruttivo, dal punto di vista psicologico, per i partecipanti. Un debriefing efficace non  è un “giudizio” o, falsamente, un “non giudizio”, ma una critica costruttiva e rispettosa attenta alle azioni e alle prospettive dei partecipanti21 –23.

Si identificano almeno tre fasi nella struttura di ogni tipo di debriefing:

  1. Reazioni emozionali durante le quali i partecipanti sono messi a loro agio nel rivelare e condividere le emozioni in modo che siano pronti a focalizzare i problemi in una discussione costruttiva;
  2. Analisi e approfondimenti finalizzati a:

–  capire gli schemi mentali del discente alla base del loro comportamento;
–  permettere ai partecipanti di prendere in considerazione opzioni alternative per la conduzione del problema clinico, aiutarli a ricevere schemi mentali nuovi,
–  generalizzare il processo e discuterlo con il gruppo.

  1. Sintesi e messaggi principali conclusivi da ricordare.

Valutazione

Alla fine di un corso di simulazione viene chiesto ai partecipanti di valutare la qualità e la rilevanza dell’esperienza di simulazione.

Questo può essere fatto con un questionario con attribuzione di punteggio  per la valutazione quantitativa.

La simulazione è anche utilizzata come metodo di esame e valutazione 24

Negli USA l’“Accreditation Council for Graduate Medical Education” (ACGME), identifica sei ambiti di competenza clinica per ognuno dei metodi e strumenti che potrebbero essere usati per valutare conoscenze, competenze e abilità6:

  1. Cura del paziente
  2. Conoscenze mediche
  3. Apprendimento e miglioramento basato sull’esercizio
  4. Capacità di relazione e comunicazione interpersonale
  5. Professionalità
  6. Esercizio pratico sui sistemi sanitari.

La simulazione rappresenta una tecnica in grado di integrare l’insegnamento tradizionale nel percorso di formazione preliminare all’attività clinica reale. L’apprendimento esperienziale attraverso la simulazione, consente di acquisire abilità, in procedure semplici e complesse, e competenza  in contesti diversi, mediante la pratica ripetuta negli scenari di simulazione in totale assenza di rischi per il paziente. La simulazione consente  lo sviluppo delle capacità di lavorare in squadra, di gestire problemi clinici complessi e condizioni di crisi.

La situazione attuale dell’impiego della simulazione nell’insegnamento curriculare della medicina in Italia

Ragioni organizzative, etiche e di sicurezza del paziente non consentono di acquisire direttamente sul malato numerose competenze e abilità pratiche proprie delle formazione medica. Perciò la simulazione a veri livelli di complessità e fedeltà (alta, media, bassa) si deve affermare come parte essenziale degli strumenti didattici per una formazione completa ed equilibrata del medico (si pensi  all’auscultazione cardiaca e polmonare, ai prelievi venosi e arteriosi, alle suture di ferite, alla cannulazione dei vasi centrali, alle toracentesi, all’intubazione delle vie aeree, etc). Pertanto nella programmazione delle attività didattiche professionalizzanti nei tirocini dei corsi di laurea in Medicina e chirurgia si deve fare ampio uso delle tecniche di simulazione.

Dai recenti dati raccolti dalla Conferenza permanente dei Presidenti dei Corsi di laurea in Medicina e chirurgia (vedi lo specifico articolo in questo numero) si rileva che un buon numero di facoltà mediche dispongono di centri di simulazione ad alta fedeltà, che tuttavia sono utilizzati  prevalentemente per la formazione degli specializzandi o del personale delle aziende ospedaliero universitarie di riferimento, piuttosto che per gli studenti. Il principale limite ad un uso più diffuso di scenari di simulazione ad alta fedeltà nella formazione pre-laurea è dato dal fatto che questi corsi devono svolgersi a piccoli gruppi e comportano un forte impegno di tecnici e istruttori, dato il numero elevato di studenti.

Le prospettive

È necessario colmare rapidamente il gap tra teoria e pratica e fare largo ricorso alle tecniche di simulazione. Questo è tanto più urgente in vista della prossima introduzione della Laurea Abilitante, che prevede l’acquisizione durante i sei anni di corso di quelle abilità e competenze che oggi sono demandate ai mesi post-laurea che precedono l’esame di Stato.

Sarebbe auspicabile arrivare quanto prima ad elaborare un elenco curricolare delle attività da svolgere in simulazione e ritenute imprescindibili per la formazione del medico, da condividere tra i corsi di laurea in Medicina per dare omogeneità alla formazione in tutto il paese.

La scarsità di docenti  disponibili a diventare istruttori o facilitatori di simulazione è oggi il principale ostacolo allo sviluppo della simulazione nella formazione medica pre-laurea, anche più importante dei costi di acquisto di task trainers e  manichini. Non è un caso che molti corsi di laurea richiedono un supporto esterno per diffondere la conoscenza della simulazione e realizzare corsi specifici di formazione per aumentare il numero di facilitatori e/o istruttori di simulazione.

Questa richiesta di supporto formativo esterno rappresenta l’ambito di intervento prioritario nel prossimo futuro per la formazione medica pre-laurea.

Appendice

SIMMED Board of Directory  Prof. Gian Franco Gensini, SIMMED President, Florence. Dr. Luigi Arru, Regional Minister of Health, Sardinia. Dr. Francesco Borgognoni, Medical Emergency Department, USL UMBRIA 1, Perugia. Dr. Alessandro Bussotti, General Practice, Florence. Dr. Marco De Luca, Meyer Pediatric Hospital, Florence. Dr. Giuseppe Prof. Stefano Perlini, Medical Department, University of Pavia, Pavia. Prof. Riccardo Pini, SIMMED Secretariat, Medical Emergency Department, University of Florence, Florence. Dr. Luca Ragazzoni, CRIMEDIM—Center for Research on Emergency Medicine and Disaster Medicine, University of Piemonte Orientale ‘‘A. Avogadro’’, Novara. Dr. Paola Santalucia, Scientific Direction and Emergency Department, Foundation IRCCS Maggiore Hospital Policlinico, Milan. Dr. Serafina Valente, Cardiology Department, University of Florence—Careggi Hospital, Florence, Florence. Florence. Dr. Maurizio Zanobetti, University of Florence, Florence.

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Cita questo articolo

Santalucia P., Ingrassia P.L., Ragazzoni L., Ganau A., Gensini G.F., La simulazione in medicina. Basi e prospettive nell’insegnamento nel Corso di laurea in Medicina e Chirurgia, Medicina e Chirurgia, 70: 3166-3169, 2016. DOI:  10.4487/medchir2016-70-1

*“I concetti di seguito esposti si riferiscono all’executive summary del Position Paper della Società Italiana di Simulazione in Medicina (SIMMED) pubblicato su Intern Emerg Med, 2015” –  Intern Emerg Med. 11:537-44, 2015. La SIMMED sta curando la versione italiana del dizionario di simulazione in medicina (Healthcare Simulation DictionaryTM ) pubblicato in inglese nel giugno 2016 dalla Società di Simulazione in Sanità americana (SSH)”: Healthcare Simulation DictionaryTM. Retrieved from http://www.ssih.org/dictionary Lopreiato, J. O. (Ed.), Downing, D., Gammon, W., Lioce, L., Sittner, B., Slot, V., Spain, A. E. (Associate Eds.), and the Terminology & Concepts Working Group. (2016).