Anatomia, libri e auctoritas: Galeno di Pergamon.59, 2013, pp.2652-2658, DOI: 10.4487/medchir2013-59-7

1. “Il plesso chiamato rete mirabile dagli anatomisti è il più meraviglioso dei corpi collocati in questa parte del corpo. Esso circonda la ghiandola stessa e si estende verso il retro; di modo che quasi tutta la base dell’encefalo ha quasi questo plesso che giace al di sotto. Non è una rete semplice ma appare come se tu avessi preso molte reti da pescatore sovrapponendole l’una con l’altra…. per la delicatezza delle parti che lo compongono e per la stretta connessione della sua tessitura, non è possibile comparare questa rete a nessuna rete fatta artigianalmente…piuttosto, la natura si appropria del materiale per questa rete mirabile per la maggior parte dalle arterie che salgono dal cuore fino alla testa. Piccoli rami vengono emessi da queste arterie verso il collo, il viso e le parti esterne della testa. Le parti rimanenti, diritte come si sono formate all’inizio, passano attraverso il torace e il collo fino alla testa e sono comodamente accolte li in una parte del cranio, che è attraversata (dal canale carotideo) e le accoglie senza problemi nella parte interiore del capo. Anche la dura madre le riceve ed è stata già perforata lungo la linea della loro invasione e tutte queste cose danno l’impressione che le arterie si affrettino a raggiungere l’encefalo. Ma questo non è il caso. Perché quando esse sono passate oltre al cranio, nello spazio tra questa e la meninge spessa essi si dividono prima in molte arterie piccole e sottili e poi si intrecciano e passano una dentro l’altra, alcune verso la parte anteriore della testa, altre verso la parte posteriore, altre a destra e a sinistra, dando l’impressione opposta, cioè che hanno perduto la strada verso l’encefalo. Comunque, questo non è vero; infatti, dopo che da molte di quelle arterie coese come radici in un tronco si sviluppa un’altra giunzione di arteria simile a quella che all’inizio si era originata dal cuore, allo stesso modo penetra il cervello attraverso i fori della grande madre” (De usu partium IX, 4).
2. “Tutte le parti che hanno gli uomini le hanno anche le donne, la differenza tra loro essendo in una sola cosa, che deve essere ben tenuta a mente durante la discussione, cioè che le parti delle donne sono all’interno del corpo, mentre nell’uomo sono esterne, nella regione detta perineo….lo scroto prenderebbe necessariamente il posto dell’utero, con i testicoli giacenti al di fuori, accanto ad esso da ciascuna parte; il pene del maschio diventerebbe il collo della cavità che si è formata; e la pelle alla fine del pene, chiamata ora prepuzio, diventerebbe la stessa vagina…puoi vedere qualcosa del genere negli occhi della talpa, che hanno umor vitreo e cristallino e la tunica che li circonda e che cresce dalle meningi…ed hanno ciò come molti animali che sono in grado di usare i propri occhi. Gli occhi della talpa, invece, non si aprono…ma rimangono lì imperfetti e come gli occhi degli altri animali quando sono ancora nell’utero…così anche la donna è meno perfetta dell’uomo per quanto riguarda le parti destinate alla generazione. Perché le parti sono formate in essa ancora nella vita fetale, ma non possono emergere ed essere proiettate all’esterno a causa della mancanza di calore… (De usu part. XIV, 6-7).

Abstract

Galen is the most representative medical author in the history of ancient anatomical studies. His experiments and researches, mainly perfomed on animals, are the fundamentalbasis of the medical tradition of Middle and Early Modern Age. The article analyzes two passages of the Galenic work on which the Western medical tradition based its anatomical  teaching  for many centuries: on one side, the description of the ‘rete mirabile’, surely observed by Galen in goats and sheeps; on the other, the Galenic description of uterus and genital feminine apparatus, the last one thought by Galen as the introjection of the more complete and perfect male genital one.  Both passages well document the long lasting Galenic ideas, still discussed as authoritative in the XVII century.

Articolo

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Fig. 1 – Anagni, Cattedrale, Galeno e Ippocrate.

Una vita esemplare

Nella più che prolifica produzione di Galeno, una delle più ricche e complete che la tradizione della medicina antica ci abbia conservato e consegnato, non è certo possibile individuare un solo testo che possa essere indicato come masterpiece di una storia della medicina narrata attraverso i libri e le storie che essi raccontano. Al nome di Galeno sono ascritti, infatti, oltre quattrocento trattati; essi non sono tutti sicuramente autentici ma, anche limitandosi a quelli che conosciamo certamente come opere originali del maestro di Pergamo, diventa veramente difficile operare una scelta giustificata e che non penalizzi uno dei molti aspetti che fanno di Galeno non solo un padre fondatore,  ma anche l’auctoritas che di sé impronta l’insegnamento medico, la ricerca anatomica, la sperimentazione fisiologica in medicina  fino al pieno Evo moderno.

Galeno costituisce, da questo punto di vista, un unicum che è impossibile replicare o anche solo imitare per molti secoli: filosofo dotto ed esperto, allievo di molti maestri che, in paesi diversi, dalla terra natale fino all’Egitto e poi a Roma, ne alimentano la curiosità intellettuale, anatomista che “rivoluziona” l’approccio al corpo integrando con l’osservazione dei corpi animali il sapere umorale e qualitativo ippocratico, fisiologo e sperimentatore infaticabile, clinico infallibile in grado di affrontare tipologie molto variegate di pazienti (dai gladiatori ai membri della cerchia imperiale romana), studioso della natura, delle erbe e delle sostanze che possono essere impiegate per la fondazione di una farmacologia molto più ricca e complessa di quella ippocratica, bibliofilo e scrittore fecondissimo, uomo di “reti” e relazioni pubbliche altolocate e politicamente determinanti prima nella Roma di Marco Aurelio e poi in quella retta da suo figlio Commodo. Certo, poche di queste notizie derivano dai contemporanei; se il quasi silenzio dei medici suoi coevi potrebbe essere giustificato dall’invidia che lo stesso Galeno denuncia come forte ed avvertibile nei suoi confronti, è più difficile spiegare perché Marco Aurelio non faccia mai menzione, nei suoi scritti, delle straordinarie qualità del medico cui affidò il figlio bambino. Molte parti del quadro biografico attraente e affascinante di Galeno derivano, infatti, dalle sue stesse parole e sono, dunque, il riflesso di una personalità molto cosciente del proprio ruolo nel panorama della medicina dell’epoca e probabilmente anche in grado di prevedere quale e quanta fortuna le sue osservazioni, le sue sperimentazioni, la sua rilettura del sistema ippocratico e i suoi libri avrebbero avuto nel corso dei secoli a venire. Non tutto, dunque, di quello che Galeno narra, soprattutto in quel racconto autobiografico straordinario che è contenuto nei trattati Sull’ordine dei propri libri e Sui propri libri, deve essere accolto come assoluta oggettività; nonostante, però, questa insita tendenza a esaltare i propri meriti ed intuizioni, come a più riprese ha annotato una delle più grandi studiose di Galeno, Véronique Boudon Millot, il problema con lui non è quello di trovare documentazione sulla sua vita e sulla sua opera, ma solo di operare una cernita faticosissima tra l’immensa quantità di notizie che egli, in prima persona, ci ha consegnato. Nato a Pergamo nel 129 d.C., figlio di un intellettuale-architetto che lo avvia agli studi medici e insieme ad una competenza filosofica che si configurerà, nel tempo, come un originale sincretismo principalmente delle teorie platoniche ed aristoteliche, si forma presso maestri del calibro di Satiro, Pelope e Numisiano; giovane, arriva ad Alessandria, la grande fucina del sapere scientifico antico, dove si accende il suo desiderio di approfondire le conoscenze anatomiche, sulle tracce di quanto presso quella scuola medica era stato fatto, in epoca ellenistica e per un periodo brevissimo, attraverso studi dissettori e vivisettori, da Erofilo e da Erasistrato. Nel 162 Galeno da Pergamo (dove aveva esercitato anche come medico dei gladiatori, attività in grado di fargli perfezionare dal vivo alcune osservazioni anatomiche) arriva a Roma; qui si spalanca per lui una carriera luminosa, garantita dalla cura coronata da successo da lui offerta, tra primo e secondo soggiorno romano, al filosofo Eudemo e ad un gruppo di nobili pazienti, tra cui la moglie del console Boeto e molti esponenti della stretta cerchia imperiale. Tra questi spicca il nome del piccolo Commodo, guarito da una misteriosa malattia di fronte alla quale, a sentir Galeno, tutti gli altri medici attivi a Roma si erano dimostrati incompetenti. Il periodo romano, seppur interrotto tra 166 e 169 da un improvviso ritorno nella città d’origine e da una serie di viaggi di conoscenza erboristica e farmacologica, dietro il quali si intravede l’ombra minacciosa di un’ epidemia (di vaiolo?) che colpì la città, è molto fecondo per la produzione delle sue opere anatomiche e fisiologiche, scritte sulla base dei risultati di dissezioni su piccole scimmie appositamente fatte venire dall’Africa, ma anche su una svariata congerie di animali, dal maiale al cane alla mucca alla capra, passando anche attraverso il corpo di un elefante impiegato in giochi circensi, il cui cuore gli viene consegnato dai cuochi imperiali per una dissezione “esotica” e foriera di uno degli errori galenici più eclatanti, la descrizione dell’”osso del cuore” (in realtà una piattaforma cartilaginea che sostiene l’organo esclusivamente in animali di enormi dimensioni) come parte costituiva dell’anatomia cardiaca di tutte le specie. Lo studio anatomico è, nella medicina galenica, fondamento ineludibile per la comprensione dei meccanismi fisiologici, per il corretto inquadramento patologico, per la correzione terapeutica; senza l’anatomia nulla si giustifica nell’operato del medico, al punto che i trattati anatomici costituiscono per Galeno l’avvio anche didattico primario delle competenze dei giovani allievi. Le osservazioni accumulate nel corso degli anni sui piccoli macachi e su altri animali sono ricostruite in un quadro coerente e, spesso, di altissimo livello descrittivo (lo scheletro, i muscoli, buona parte del sistema nervoso, nell’accuratezza con cui sono descritti, offrono buona testimonianza del livello di perizia anche tecnica raggiunto da Galeno) che trova il suo coronamento in una proiezione analogica dell’anatomia animale sul corpo dell’uomo, organizzata intorno a tre organi- chiave, il cervello, il cuore ed il fegato. In essi abita, nelle sue varie forme, il pneuma vitale che garantisce rispettivamente pensiero, sensazione, emozioni e mantenimento in vita della macchina corporea. L’anatomia, insomma, diventa anche il luogo privilegiato in cui si “concretizzano”, insieme, le istanze filosofiche di tripartizione del corpo di matrice platonica e il teleologismo aristotelico, che in ogni organo vede la sede di una funzionalità, che va espletata ai fini del mantenimento dello stato di salute.

La straordinaria capacità galenica di coniugare osservazione e filosofia, pratica manuale ed esercizio del logos, e di utilizzare tutti questi elementi contemporaneamente per costruire un sistema anatomo-fisiologico di complessità sconosciuta al resto dell’antichità, se unita all’idea che soggiace a tutta la sua produzione anatomica di una natura che non sbaglia e che risponde ‘perfettamente’ alla programmazione delle leggi del corpo pensate dal Demiurgo,  giustificano la nota, enorme fortuna che Galeno incontra nei medici bizantini; gli arabi poi ne apprezzano il connotato teleologico e la componente aristotelica e, attraverso la loro mediazione, Galeno attraversa il medioevo per giungere, in piena autorevolezza, fino alla prima modernità. L’anatomia di Galeno, infatti, offre un’immagine di corpo umano disegnata secondo il progetto di un artefice divino (non importa se dio pagano) molto facilmente impiegabile dal Cristianesimo e dalla Chiesa ai fini della propaganda dell’idea della creazione divina e della sua infallibilità; la macchina perfetta di Galeno, in cui abita anche un pneuma psichico che non è anima ma all’anima è assimilabile, non confuta ma completa l’umoralismo di matrice ippocratica e lo indica come il testo ideale sul quale insegnare l’anatomia nelle nascenti università.

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Fig. 2 – Vesalio, De humani corporis Fabrica, Basel, Oporinus, 1543, utero.

Abbiamo scelto di illustrare brevemente due passi dell’opera anatomica e fisiologica galenica che illustrano bene le modalità in cui la voce del medico di Pergamo si è costituita come auctoritas assoluta e via di trasmissione privilegiata, dal medio Evo al primo Evo moderno, di topoi anatomici descrittivi in grado di condizionare e, in qualche misura, anche di arrestare in una ‘lunghissima durata’ tutta la tradizione medica occidentale fino alla prima metà del XVI secolo. Abbiamo trascurato di inserire e commentare il passo del trattato galenico sulle facoltà naturali (Fac. Nat. III, 208) in cui si descrive la struttura del setto intraventricolare del cuore come permeabile e attraversata da una miriade di sottilissimi fori, che consentono il passaggio di una minima quantità di sangue dal ventricolo destro, dove esso arriva direttamente dal fegato per nutrire quello che nella fisiologia galenica è un organo della respirazione, sino al ventricolo sinistro, ove il sangue è osservato in sede di dissezione – sebbene la teoria galenica lo ritenga contenitore del solo pneuma immesso durante la respirazione; questa omissione deriva solamente dalla celebrità del passo stesso, cui viene tradizionalmente imputata la responsabilità di aver bloccato la dimostrazione della circolazione del sangue fino al 1628, anno di pubblicazione dell’Exercitatio de motu cordis di W. Harvey. Questo testo, è noto, dimostra, attraverso l’adozione di un metodo di misurazione quantitativa di ispirazione galileiana, che è impossibile che il sangue che si muove nel corpo sia il prodotto dei processi di nutrizione, continuamente impiegato per l’alimentazione e la crescita; l’unica soluzione alternativa, che riesce a spiegare perché il sangue emesso dal ventricolo sinistro in una data unità di tempo sia di molto superiore alla quantità di sangue contenuta nell’intero corpo, è che esso si muova in un processo di ‘circulatio’ perfetta, che mima all’interno del corpo umano l’ordinato muoversi delle stelle galileiane.

Ancora, la scelta di passi che illustrano quelli che, all’occhio del medico moderno, potrebbero sembrare due meri errori osservativi non deve, però trarre in inganno; la complessità delle teorie che essi nascondono è una delle tracce più significative della grandezza di un pensiero rimasto ineguagliato per secoli. Spesso il percorso per arrivare a grandi e rivoluzionarie dimostrazioni, come quella di William Harvey sulla circolazione del sangue, era in realtà in buona parte già tracciato nei testi galenici.

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Fig. 3 – Scipione Mercuri, La Commare raccoglitrice. Venezia, 1595. Biblioteca di Storia della medicina, Sapienza Università di Roma.

“Il plesso chiamato rete mirabile…”

Il termine rete mirabile, che oggi descrive una struttura patologica, è nella tradizione medica occidentale post galenica indicatore di una complessa struttura anatomica, descritta dal maestro di Pergamo come un intreccio serrato di arterie molto sottili, che si dipartono dall’arteria carotide, alla base della teca cranica, cui viene attribuito un senso funzionale ben preciso.

Infatti, secondo Galeno, l’aria immessa nel corpo attraverso i processi di respirazione subisce una serie di trasformazioni, attivate dal calore vitale, variamente distribuito nei tre distretti di cui l’organismo umano è composto, comandati rispettivamente dal cervello, dal cuore e dal fegato; essa si muove attraverso le arterie, mescolata al sangue (le arterie dunque non veicolano più solo aria, come sosteneva la tradizione anatomica alessandrina), subendo una serie di trasformazioni imputabili alle dynameis dei diversi distretti corporei, che ne modificano la natura prettamente materiale, rendendola pneuma utilizzabile per la vita organica, per i processi di sensibilità e movimento, infine, nella sua forma più raffinata, per la vita psichica dell’individuo. In particolare, quando l’aria raggiunge il cervello, per la via della respirazione nasale, ma anche attraverso i pori della pelle o le cavità vuote all’interno delle ossa, essa incontrerebbe una struttura anatomica complessa – un plesso arterioso circonvoluto, posto alla base del cervello, noto appunto nella tradizione occidentale sotto il nome di rete mirabile, che avrebbe il compito di distribuire nutrimento vitale a tutto il cervello e veicolare al corpo vita e pensiero (De usu partium III, 4.9). In particolare, la struttura annodata di questo plesso, che somiglierebbe ad una sottile rete da pesca, sarebbe dovuta alla necessità di far decantare l’aria e purgarla, attraverso una stasi forzata, delle materialità che le derivano dal suo essere proveniente dal mondo naturale esterno; giacendo in condotti che per il loro andamento tortuoso non ne consentono il rapido spostamento, infatti, l’aria risulterebbe decantata e purificata e riuscirebbe, in questo modo, a raggiungere la qualità di affinamento necessaria per divenire pneuma psichico, il più sottile ed immateriale degli elementi che costituiscono e governano il corpo. Dunque, la rete mirabile sarebbe un organo vitale, deputato dal progetto perfetto dell’artefice della natura ad assolvere uno dei compiti più alti della funzionalità fisica umana. Ora, è noto che tale struttura anatomica non esiste nell’uomo, mentre è descritta nell’anatomia animale, in particolare nei ruminanti, specie nella quale poteva essere stata osservata sia dallo stesso Galeno sia, in precedenza, da Erofilo che,  come ci ricorda Von Staden,  in effetti per primo la descrisse durante gli anni dei suoi esercizi dissettori ad Alessandria. Cosa abbia visto realmente Galeno, se abbia confuso una rete extradurale di origine vascolare con una arteriosa, se e perché abbia trasposto un’osservazione condotta su un gruppo minoritario di animali da ricerca fino a costruire su di essa  una complessa teoria della trasformazione pneumatica nell’uomo; come egli non abbia registrato in alcun modo l’assenza della struttura arteriosa nell’anatomia cerebrale delle scimmie, che rappresentano certamente il suo bacino preferito di animali da sperimentazione, sono domande che costituiscono i tasselli di un rompicapo su cui generazioni di storici della medicina e del pensiero scientifico si sono esercitati, nel tentativo di comprendere la genesi di quello che appare, a tutti gli effetti, uno degli errori più significativi che Galeno ha trasmesso alla medicina moderna.

Vesalio, pur nella sua formale adesione al dettato galenico, dietro alla quale nasconde la rivoluzione di uno studio anatomico assolutamente innovato dall’esperienza diretta del dissettore che rifiuta l’autorità degli antichi come unico criterio di conoscenza scientifica, non è il primo autore a esprimere un dubbio sistematico sull’esistenza della struttura: già Berengario da Carpi, come ci ha ricordato S. Pranghofer, si era chiesto perché non fosse mai riuscito a isolare la rete durante le sue lezioni di anatomia, e si era interrogato sulla sua reale natura di plesso arterioso. Tuttavia, la discussione più celebre della supposta osservazione di Galeno rimane proprio quella di Andrea Vesalio:  “Quante cose, spesso assurde – scrive nel 1543 –  sono state accolte sotto il nome di Galeno….tra queste vi è quel mirabile plesso reticolare, la cui esistenza viene costantemente sostenuta nei suoi scritti…e di cui tutti i medici parlano continuamente. Essi non lo hanno mai visto, ma tuttavia continuano a descriverlo sulla scorta dell’insegnamento di Galeno. Io stesso…a causa della mia devozione a Galeno, non intrapresi mai una pubblica dissezione di una testa umana senza contemporaneamente servirmi di quella di un agnello o di un bue per dimostrare ciò che non riuscivo a riscontrare in alcun modo nell’uomo…e per evitare che gli astanti mi rimproverassero di essere incapace di trovare quel plesso a tutti loro così ben noto per nome. Ma le arterie carotidi non formano affatto il plesso reticolare descritto da Galeno” (De humani corporis fabrica, 1543, p. 310, 524 e 642).

L’attitudine vesaliana del controllo personale, diretto e ripetuto delle affermazioni anatomiche, anche quando esse provengano da autorità non discusse del passato, getta una luce così forte sul problema della dimostrazione dell’esistenza della rete mirabile nell’uomo da essere stata utilizzata più volte come esempio della capacità del testo del De humani corporis fabrica di costituirsi come il punto nodale della riscrittura e reinterpretazione critica della medicina degli antichi in Evo moderno (A. Wear, A. Cunnigham, V. Nutton, N. G. Siraisi).

Nonostante, però, il forte criticismo espresso da Vesalio nei confronti di una struttura che egli stesso, solo pochi anni prima della pubblicazione della prima edizione della Fabrica, includeva tra le iconografie delle sue Tabulae anatomicae sex (1538), un interessante recente lavoro di S. Pranghofer (Med. Hist. 2009) ci ha dimostrato come la rete continui a essere utilizzata nella tradizione  di didattica anatomica occidentale per un lungo periodo: nel corso del XVII secolo ancora alcuni autori la accolgono come realtà indiscutibile e ne illustrano la forma e la funzione attraverso tavole illustrate. Se ancora libri anatomici come quelli di Adriaan van der Spiegel (1627) o di alcuni tra i suoi successori sulla cattedra di Anatomia dell’Università di Padova, come Johan Vesling (1641), pure nella difficoltà di riadattare pattern iconografici preesistenti (risalenti alle tavole anatomiche contenute nell’opera di Giulio Casserio) e di localizzare e descrivere visivamente in modo esatto la discussa struttura arteriosa,  continuano a sostenerne l’esistenza nell’uomo, pur annotandone l’enorme difficoltà di rilevamento, vuol dire veramente che l’anatomia galenica, trasmessa attraverso una mole tanto poderosa di testi, ha improntato di sé in modo indelebile la storia della medicina. Una conferma di questo ruolo prepotente e protratto del medico di Pergamo viene ancora dai primi anni del Settecento, quando autori del calibro di J. J. Wepfer e T. Willis continuano a ritenere la discussione dell’ esistenza della “sua” rete mirabile un topos ineludibile della ricerca neurostrutturale, anche se solo per giungere alla negazione dell’esistenza della struttura nell’uomo e al suo rilevamento come tipizzante il cervello di solo alcune specie animale.

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Fig. 4 – Vesalio, Tabulae anatomicae, 3, rete mirabile.

“Tutte le parti che hanno gli uomini le hanno anche le donne….”

La descrizione anatomica dell’apparato genitale femminile fornita da Galeno si basa sull’idea di una perfetta corrispondenza esistente tra gli organi sessuali del maschio e le parti della femmina; secondo la descrizione galenica, tutte le parti anatomiche  che  sono nel maschio esterne e visibili, dal pene ai testicoli, sono nella donna proiettate all’interno, non visibili, come conservate in una struttura chiusa e non accessibile. Gli organi genitali esterni femminili corrispondono al prepuzio, il collo dell’utero al corpo del pene, le ovaie ai testicoli. Tutto è  perfettamente rispondente, in ogni sua parte, alle strutture anatomiche osservabili facilmente nel corpo dell’uomo, in cui esse sono esterne. Questa immagine anatomica, che non a caso Galeno definisce in base alla somiglianza con quanto accade nel corpo di una specie animale, la talpa (le donne condividono con gli animali, nell’idea aristotelica da cui Galeno trae spunto, una condizione di incorreggibile minorità), non è un’idea originale e riflette una combinazione complessa tra la tradizione ippocratica e il contributo poderoso della teorizzazione aristotelica sulla mancanza e incompiutezza del corpo femminile. Come è noto, gli scritti ginecologici del Corpus Hippocraticum pensano e presentano un’idea di corpo femminile fondata sull’idea di una differenza radicale che caratterizza il corpo delle donne rispetto a quello del maschio: più umide e fredde, le carni dei corpi femminili tendono a comportarsi come il panno di lana o la spugna, che assorbono e trattengono liquidi (CH, Morb. Mul. 1.1). Questo, oltre a rendere le strutture più deboli e più lasse, contribuisce ad alimentare una sorta di circuito chiuso, in cui i corpi imperfetti delle donne continuano ad accumulare umidità e freddezza, a rendere difficile la cottura degli alimenti ingeriti e, di conseguenza, a generare residui difficili da eliminare (Morb. Mul. 1.1). Essi tendono ad accumularsi e ad occupare i condotti del corpo e sono potenzialmente induttori di ogni tipo di patologia. La fisiologia mestruale ippocratica, in cui il flusso mensile viene immaginato come il sistema naturale di eliminazione delle scorie prodotte da un corpo qualitativamente alterato per disposizione fisiologica e non in grado di portare a termine i normali processi di cozione che caratterizzano il corpo del maschio, delinea i confini di un funzionamento dei corpi femminili che è totalmente altro rispetto a quanto accade nell’universo fisiologico maschile. Questa totale alterità del femminile fisiologico ippocratico corrisponde nei testi del Corpus ad un’anatomia “cava”, in cui l’utero è un vaso di tessitura molle ed elastica, capace come le bisacce per contenere il vino di dilatarsi per accogliere il feto durante la sua crescita. L’utero ha una struttura peculiare, aperta in due bocche che si affacciano verso l’alto e verso il basso, mettendo in comunicazione tutte le cavità del corpo femminile, in un indistinto e immaginato vuoto interno. La descrizione galenica ha ben altra anatomica e reale consistenza; l’anatomia alessandrina ha dimostrato l’esistenza delle ovaie, la struttura dell’utero è definitivamente delineata. Tuttavia, l’intera descrizione anatomica galenica paga un debito importante all’idea aristotelica di un corpo femminile non radicalmente diverso da quello maschile (come sostenevano gli autori ippocratici), ma solo qualitativamente e quantitativamente inferiore: la freddezza del corpo delle donne (De Util. Part. 14, 6-7), che le rende in Aristotele simili a bambini imperfetti o a maschi mutilati (GA 737a27-28), quando nei processi di generazione incontra un seme maschile indebolito (per circostanze interne, vizio di cibo o bevanda, condizioni climatiche particolari), impronta il feto con la sua incapacità di portare a termine i processi di cozione, impedendone la corretta maturazione. Esso, infatti, custodito nell’utero, dovrebbe riprodurre, se il calore vitale somministrato dal contributo paterno attraverso lo sperma fosse sufficiente, un figlio perfetto, cioè identico al padre, anche nel sesso (GA 727 b 31-33). Quando questo non accade, si genera un prodotto difettoso (ancorché necessario alla natura, perché consente che avvenga la riproduzione della specie – senza madri… non si nasce!), un eidos minoritario e debole che è la figlia femmina. Nelle femmine, l’insufficienza di calore vitale non riesce a far si che gli organi sessuali, potenzialmente pronti a divenire perfetti, cioè maschili, si sviluppino perfettamente fino ad essere espulsi all’esterno; essi se ne stanno li, inglobati in una dimensione interna, incompiuti come gli occhi delle talpe, animali che, per essere abituati a vivere sottoterra, in ambienti freddi ed umidi come corpi femminili non riscaldati, non compiono il ciclo di formazione completo degli organi della vista e rimangono, per questo, ciechi. Il dogma galenico che disegna il corpo femminile come il doppio invertito (e indebolito) del corpo maschile e la relazione di corrispondenza aristotelica tra anatomia del maschio e della femmina che esso riflette avranno una storia molto lunga, facilmente rintracciabile attraverso le immagini anatomiche di evo moderno: Andrea Vesalio, nella sua Fabrica del 1543, utilizza come tavola anatomica una celebre incisione che riproduce esattamente il mondo ginecologico invertito di Galeno, autore a disposizione del pubblico umanistico colto a partire dal 1525-1526; Scipione Mercuri, autore di un trattato (La Commare raccoglitrice), che si propone la formazione culturale dell’ostetrica, dato alle stampe per la prima volta a Venezia nel 1595 e ristampato a più riprese nel secolo successivo, fa uso immodificato della medesima immagine.

Anche attraverso questa riedizione iconografica si consegna, attraverso l’intero XVII secolo, la competenza galenica e un’immaginario anatomico femminile profondamente antico a un pubblico nuovo, in cui si mescolano competenze dotte e saperi popolari ed in cui i medici cominciano a muovere i primi passi nella sostituzione delle loro competenze a quelle tradizionalmente esercitate dalle ostetriche.

Conclusioni

Come ha brillantemente dimostrato N. Siraisi, il Rinascimento anatomico cinquecentesco, spesso presentato come una rivoluzione armata e un sovvertimento globale degli assunti e dei dettati dell’insegnamento anatomico galenico, è in realtà una mistura molto complessa di devozione, rispetto, criticismo, rilettura e riscrittura del testo del maestro di Pergamo. Il rinnovato uso delle mani dell’anatomista e dei suoi occhi, impegnati nel controllo di quanto asserito dall’autorità antica, non debbono trarre in inganno: “In sixteenth -century anatomy as in other branches of natural and mathematical knowledge the reading of ancient books and the writing of modern ones were inextricably interwined to constitute, in and of themselves, a major part of scientific endeavor” (Ren Quart 1997;50,1; 1-37). Leggere il libro del corpo e attribuire nuovo significato alle vicende dell’esperienza anatomica diretta non significa, negli anatomisti di Evo moderno, dismettere la lettura del testo anatomico antico, né dimenticare Galeno, ma solo reinterpretare una lezione autorevole alla luce di strumenti cognitivi e interpretativi tali da metterne in luce, oltre gli errori compiuti nel medioevo, la significatività e la durata.

Bibliografia

Valentina Gazzaniga è professore ordinario di Storia della medicina presso Sapienza-Università di Roma. Si è occupata di storia del concetto di corpo femminile nella tradizione di ‘lunga durata’ e di storia della ginecologia; di storia della medicina nell’antichità classica; della concezione della malattia infantile dall’antichità al primo evo moderno, di storia del concetto di disabilità, di storia della medicina legale e della medicina di urgenza. Ha pubblicato per i tipi di Carocci una monografia sulle perizie medico-legali inedite di Giovan Battista Morgagni e, insieme a M. Conforti e G. Corbellini, Dalla cura alla scienza. Malattia, salute e società nel mondo occidentale. Milano, Encyclomedia Publishers, 2011

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Gazzaniga V.,Anatomia, libri e auctoritas: Galeno di Pergamo, Medicina e Chirurgia, 59: 2652-2658, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-59-7

Il giuramento di Ippocrate

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Fig. 1 – Ippocrate che cura la peste di Atene. Frontespizio dell’edizione Giuntina del 1588 delle Opere di Ippocrate.

Io giuro su Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e tutti gli dei e le dee prendendoli a miei testimoni che porterò a compimento secondo il mio potere ed il mio giudizio questo giuramento e questo impegno scritto: di ritenere colui che mi ha insegnato quest’arte alla pari dei miei genitori e di avere con lui comunanza di vita e nelle sue necessità di fargli parte del mio; e che la stirpe sua giudicherò alla pari di fratelli in linea maschile e che insegnerò loro quest’arte nel caso che vogliano istruirvisi senza onorario ed impegno scritto, e dei precetti e lezioni e di tutto il resto dell’istruzione di farne parte ai figli miei e a quelli di chi mi ha insegnato e agli studenti che si sono impegnati per scritto ed hanno giurato secondo l’uso medico, ma a nessun altro.

Farò uso delle misure dietetiche per il giovamento dei pazienti secondo il mio potere ed il mio giudizio e mi asterrò da nocumento e da ingiustizia. E non darò neppure un farmaco mortale a nessuno per quanto richiesto né proporrò mai un tal consiglio; ed ugualmente neppure darò ad una donna un pessario abortivo. Ma pura e pia conserverò la mia vita e la mia arte. E non procederò ad incisioni neppure su chi ha il mal della pietra, ma lascerò questo intervento agli operatori.

In quante case io entri mai, vi giungerò per il giovamento dei pazienti tenendomi fuori da ogni ingiustizia volontaria e da ogni altro guasto, particolarmente da atti sessuali sulle persone sia di donne che di uomini, sia liberi che schiavi.

Quel che io nel corso della cura o anche a prescindere dalla cura o veda o senta della vita degli uomini, che non bisogna in nessun caso andar fuori a raccontare, lo tacerò ritenendo che in tali cose si sia tenuti al segreto.

Portando dunque a compimento questo giuramento e non violandolo mi sia dato di avere il frutto della vita e dell’arte, famoso presso tutti gli uomini per sempre nel tempo, ma trasgredendolo e spergiurando, il contrario di ciò.

 

Il Giuramento di Ippocrate è senza dubbio il più famoso documento della medicina occidentale. Non ci può essere alcun lettore che non ne abbia sentito parlare.

Molti certamente vi si saranno richiamati e molti avranno anche prestato giuramento; è un documento venerato come fondamento essenziale dell’etica medica oppure deriso come sorpassato e irrilevante. Da più parti, nei mezzi di comunicazione e nelle organizzazioni dei medici, ci sono richieste per rivederlo o sostituirlo ed è in corso un acceso dibattito per decidere in cosa dovrebbe consistere questa sua sostituzione.

In questo agitarsi di moralità medica e nonostante anni, se non secoli, di sforzi filologici, tuttavia restano ancora domande alle quali non è stata data una risposta adeguata. Questo potrà sorprendervi; ed io spero proprio di condurre i lettori in un viaggio sorprendente, alla ricerca delle risposte a tre domande apparentemente molto semplici: la prima, “Che cosa era il Giuramento di Ippocrate ?”; poi “Chi lo giurò ?”; e in ultimo, in breve, “Che cosa pensava di esso il pubblico non medico ?”

La risposta alla prima domanda, che cosa era il Giuramento d’Ippocrate, a prima vista sembra molto facile. Si tratta di un brano in prosa, di breve lunghezza, scritto in un particolare dialetto del greco antico, che ci è stato trasmesso attraverso i secoli insieme ad altri scritti associati al nome di Ippocrate di Cos. Ippocrate come personaggio storico fu il più famoso medico dell’antica Grecia e insegnava medicina, forse ad Atene, intorno al 420 a.C. . Che egli sia oppure no l’effettivo autore del Giuramento non ha alcuna importanza per quello che devo dire, tranne per un singolo aspetto, e da questo punto di vista è un’eccezione importante, cioè se il Giuramento fosse realmente opera di Ippocrate, ci sarebbe un collegamento stretto tra un documento fondamentale dell’etica medica e un uomo che, per dirla come uno scrittore romano, fu il primo a separare la medicina dalla filosofia, a dare alla medicina la propria indipendenza.

Come documento è una combinazione frustrante di generale e particolare. Alla frase apparentemente specifica darò ad una donna un pessario abortivo” segue immediatamente la vaga e totalizzante affermazione che il medico preserverà la propria vita nella purezza e nella santità. Rappresenta un contratto che si può firmare e nello stesso tempo l’impegno ad uno stile di vita d’alta moralità e di purezza nel rapporto con gli uomini e di pietas verso gli dei.

All’interno del Giuramento ci sono tre differenti elementi: il prologo e la conclusione di carattere religioso, dove si invocano gli dei a testimoni e a garanti dell’eventuale punizione; in secondo luogo, un elenco dei doveri verso i propri maestri e la loro famiglia ed infine le prescrizioni etiche più generali di aiutare i malati e di astenersi da una vasta serie di attività pericolose, mortali o immorali.

I filologi hanno ricostruito la forma originale e il testo del Giuramento così com’era intorno al 400 avanti Cristo, ma questo è molto lontano dal costituire l’intera storia: perché, qualunque fosse l’intenzione del suo autore, se c’è un aspetto che ha caratterizzato il Giuramento di Ippocrate nel suo passaggio attraverso i secoli è stata proprio la sua fluidità, il suo essere modificabile. Ben lontano dall’essere un documento formale e fisso, è stato costantemente modificato per varie ragioni. Quelli che si appellano alla longevità del Giuramento per sostenere la propria causa dovrebbero stare attenti alla sua camaleontica abilità di mutare.

Ma di che tipo di cambiamenti stiamo discutendo? In primo luogo, cambiamenti nel linguaggio. Il Giuramento, come ho già accennato, è scritto in un dialetto locale del Greco antico e con il passare del tempo, poiché la lingua greca stessa cambiava, diventava sempre più incomprensibile. Di conseguenza i copisti, volontariamente oppure per caso, alterarono il testo del Giuramento per renderlo conforme alla lingua greca corrente. Il più antico frammento esistente del Giuramento, proveniente dall’Egitto e scritto su un papiro intorno al 300 dopo Cristo, mostra già i segni di questa normalizzazione del testo, e diversi dei nostri manoscritti sono accompagnati da glosse per spiegare parole difficili.

Di gran lunga più interessanti dei cambiamenti nelle parole sono i cambiamenti nella sostanza. Alcuni di essi erano ovvi e semplici: la lunga lista d’appello degli Dei con la quale si apre il Giuramento, Apollo medico, Asclepio, Igea, Panacea e tutti gli altri dei e le dee, non aveva un posto nell’universo ebraico, cristiano o musulmano e quindi furono sostituiti o integrati con cura dalla forma appropriata di divinità. Il Giuramento arabo inizia con l’invocazione ad Allah, il Signore della vita e della morte, dispensatore della salute, creatore della guarigione e di ogni cura, prima di invocare Asclepio e tutti i santi di Dio, maschi e femmine. In vari manoscritti greci, il Giuramento è scritto in forma di croce, con invocazioni cristiane al posto di quelle pagane, in una doppia cristianizzazione.

Ancora più significativo è, però, quello che succede nella seconda sezione, dove il futuro medico giura di onorare il maestro come i suoi stessi genitori e di renderlo partecipe dei propri mezzi di sussistenza, di dividere con lui il proprio denaro, quando questi si trovasse in stato di bisogno, di considerare la famiglia del maestro come la propria e di insegnare ai suoi figli gratis e senza contratto. In qualità di docente che insegna a studenti di medicina mi sento in obbligo di manifestare il mio vivo interesse per il mantenimento di questa sezione del Giuramento più di tutte le altre, e mi auguro in questo modo di ricevere assistenza da parte loro nella mia vecchiaia. D’altra parte, mentre un simile giuramento potrebbe essere stato appropriato in una società in cui i legami familiari e di corporazione erano forti, in cui l’autore del Giuramento si preoccupava di mantenere i segreti della medicina all’interno di un gruppo semi-familiare, i medici di epoche successive non erano più così desiderosi di fornire sussidi ai loro anziani maestri, anche lasciando da parte i figli, i fratelli, le sorelle e tutti i loro zii e cugini. Così, un copista molto antico rimosse ogni riferimento alla dipendenza economica del maestro, e in quella che alcuni studiosi hanno chiamato la versione cristiana del Giuramento questa seconda sezione scompare del tutto. Il futuro medico non ha più alcun tipo di obbligo, finanziario o di altro genere, nei riguardi dei suoi colleghi o maestri, e il patto per cui dovrà insegnare senza remunerazione è sostituito dall’obbligo di insegnare senza contestazioni.

La stessa versione cristiana presenta altri due cambiamenti: il divieto relativo all’aborto è rafforzato perché si elimina ogni accenno al fatto che l’unica cosa vietata era somministrare un pessario abortivo. Vi ricordo che l’aborto non era proibito nell’antichità, e altrove nel Corpus Hippocraticum sono descritti con approvazione vari metodi per procurare un aborto, compreso l’uso di farmaci. Ma ora, in questo nuovo contesto religioso, la parola “pessario” viene fatta cadere e la sezione è unita alla frase successiva sulla chirurgia oppure, secondo l’opinione di alcuni, la sostituisce. Al medico non è più vietato l’uso del bisturi, ma è vietato solo ciò che può causare un aborto, comunque esso sia applicato dall’alto o dal basso.

Comunque, non è solo nel Medio Evo – da cui ho tratto la maggior parte dei miei esempi – che il Giuramento subisce delle modifiche. Nella sua versione inglese del 1586 Thomas Newton riflette la carità elisabettiana, quando trasferisce le raccomandazioni sul pagamento dagli studenti ai pazienti: “Non mi sottrarrò dal consacrare la mia abilità in quest’Arte ai poveri e ai bisognosi, anche senza un accordo certo sul pagamento o un contratto”.

Nel diciannovesimo secolo, parole come “santità” e “purezza”, con la loro connotazione fortemente religiosa, scompaiono da alcuni testi e traduzioni del Giuramento. Una versione inglese moderna, forse degli anni ‘30, rende specifiche quelle che nell’originale sono norme generali: così, per esempio, il divieto a un medico di causare deliberatamente, su richiesta, la morte di una persona, è interpretato solo come riferimento al suicidio assistito, mentre l’originale comprendeva sia l’eutanasia sia la partecipazione di un medico a torture, atti di brutalità o assassinio per un tornaconto politico o sociale. Le pratiche illecite legate alla sfera sessuale vengono enfatizzate. La frase su cui è stato versato tanto inchiostro “Non taglierò con il bisturi, nemmeno per i calcoli” che rappresenta un divieto a ogni forma di chirurgia, viene trasformato in una norma contraria solo e soltanto alla litotomia, “nemmeno per pazienti in cui la malattia è manifesta”. Perché questa sola procedura d’intervento dovrebbe essere proibita ai medici nel 2002 e permessa ad altri, non è per niente chiaro; quest’ultima clausola, in particolare, sembra essere stata introdotta senza alcuna giustificazione, testuale, storica o perfino medica.

Tutto questo indica che il Giuramento di Ippocrate non è e non è mai stato un documento fisso e inalterabile. Nel corso degli anni copisti, pretesi fedeli e pretesi violatori del Giuramento ne hanno modificato il linguaggio e lo spirito iniziali. In particolare, lungi dall’essere il Giuramento ad imporre i propri valori alla società, è stata la società che ha imposto le sue interpretazioni e i suoi valori su quello che il Giuramento è e su ciò che rappresenta; è stato costantemente modificato per adeguarlo alle esigenze, alle preoccupazioni e qualche volta ai pregiudizi della parte più ampia della società. Per appellarsi alle eterne verità del Giuramento si deve selezionare bene ciò che queste verità devono essere e rimuovere, ritradurre o quantomeno trascurare i passaggi non adatti alla società contemporanea. Di qui il paradosso che una persona potrebbe anche approvare la sensibilità morale di coloro che invocano un ritorno ad Ippocrate e nello stesso tempo disapprovare la loro logica, che cerca di imporre una versione mista ed eterogenea, proprio di quel Giuramento che essi venerano. Questa è dunque la mia prima affermazione.

La seconda affermazione è forse ancora più sorprendente, considerando che l’importanza del Giuramento di Ippocrate come documento da giurare formalmente nelle cerimonie e nelle procedure per diventare medici è un’idea che caratterizza in larga misura proprio il ventesimo secolo. Non voglio dire che alcuni, in determinati luoghi e momenti storici, non abbiano prestato il Giuramento di Ippocrate, o che ricorrere a un giuramento di questo tipo non sia stata una parte frequente delle cerimonie di immatricolazione o di laurea. Piuttosto, vorrei sottolineare che il Giuramento di Ippocrate in quanto Giuramento vero e proprio ha avuto in sostanza un ruolo abbastanza marginale nella medicina fino a tempi recenti.

I lettori portati a credere che i medici greci prestassero solennemente il Giuramento di Ippocrate, magari seduti a Cos sotto l’altrettanto dubbio albero di platano, potrebbero essere colpiti dal dover formalmente rinunciare ad una convinzione molto cara. D’altra parte, quasi tutti i classicisti accettano l’idea che molti medici Greci e Romani nella loro pratica e nella loro etica non seguissero affatto il Giuramento di Ippocrate. Essi infatti prestavano aiuto per suicidi e aborti, senza subire per questo alcuna condanna. Ippocrate stesso insegnò per denaro. Si effettuavano complessi interventi chirurgici, anche di litotomia, senza nessun rimorso. Si seguiva, insomma, un’etica del risultato: qualunque cosa potesse aiutare il paziente era ipso facto morale. In breve, il Giuramento di Ippocrate non è rappresentativo del pensiero medico greco; riflette le idee di un gruppo ristretto, non quelle dei medici e di chi forniva cure in generale. Fu e rimase sempre un Giuramento per una minoranza, qualunque fosse l’aspirazione del suo autore.

Di certo non fu mai imposto come qualifica necessaria per esercitare. Quando intorno al 47 d.C. un medico siciliano di nome Scribonio Largo sedette a scrivere il suo trattato di farmacologia, invocò invano il ritorno al Giuramento di Ippocrate ed alla disciplina morale che questo implicava: come anziano soldato, era affascinato da quell’immaginario di tipo militare. Nella sua prospettiva essere un medico, dichiarare di essere medico – che è esattamente ciò che significa la sua frase, ‘professio medici’ – avrebbe dovuto implicare necessariamente tutti gli obblighi morali che nel Giuramento sono descritti in dettaglio; la moralità del medico va di pari passo con il suo lavoro: egli agisce moralmente perché è un medico. Questo è un potente appello a ciò che i filosofi morali chiamano etica deontologica: far parte di un gruppo impone ai membri determinati obblighi che non sono necessariamente imposti alla società in generale. Nello stesso tempo, però, Scribonio chiarisce bene che la realtà è molto diversa: non ci sono giuramenti, nè sistemi di disciplina medica, né norme morali; c’è un settore medico privo di regolamentazione, in cui i medici vengono soppiantati da quelli che semplicemente riempiono il malato di farmaci. Nell’ottica di Scribonio, un ritorno al Giuramento di Ippocrate con il suo messaggio morale – stavo per dire pubblicitario – dovrebbe portare con sé senza dubbio i pazienti paganti.

La descrizione di Scribonio dello scenario della medicina nel suo tempo è accurata. Nell’antichità non c’erano esami di abilitazione da superare, né associazioni né Facoltà. Di fatto, tutto ciò che era necessario a quei tempi per diventare medico era la propria professio, una dichiarazione che si era medici. Lo testimonia una causa legale del 124 nell’Egitto romano, quando un medico chiamato Pasasnis si appellò al governatore dopo che la sua comunità locale gli aveva abolito i privilegi fiscali accordati per legge a tutti i medici. “Forse è perché tu sei un pessimo medico” ironizzò il governatore. “Tuttavia” – questo è il punto cruciale – “torna al tuo distretto locale, presentati di fronte all’ufficiale delle tasse del luogo e semplicemente affermando che tu sei un medico riacquisterai tutti i privilegi che hai perso”. Nient’altro era richiesto, solo una professio, un affidavit’ che poteva essere controllato se necessario.

Mezzo secolo dopo, verso il 200 d. C., il grande medico Galeno di Pergamo scrisse un commento al Giuramento di Ippocrate, di cui sopravvive una parte in traduzione araba. I suoi contenuti mostrano una cultura straripante. Se volete sapere, per esempio, perché Asclepio è spesso ritratto accompagnato da un serpente, ve lo dirà Galeno: perché i serpenti non dormono mai – come i medici moderni del turno di notte – e ciò rappresenta l’eterna vigilanza del medico. Ciò che manca in questo commento – così come da qualunque pagina delle 20.000 che compongono gli scritti di Galeno – è una qualsiasi indicazione che il Giuramento di Ippocrate venisse giurato realmente, in quel tempo. Quando Galeno, come fa spesso, si richiama ad Ippocrate per istruzioni sul comportamento che dovrebbe tenere un medico, non è al Giuramento che guarda, quanto piuttosto alla pratica di Ippocrate: ad Ippocrate che trattava principi e poveri allo stesso modo, ma rifiutò di curare il re di Persia, nonostante la promessa di un enorme pagamento, perché ciò avrebbe significato curare un nemico della sua patria.  Galeno mette in evidenza l’ammonimento di Ippocrate ad avere cura del proprio abbigliamento, delle buone maniere, del modo di esprimersi, delle unghie e perfino dell’acconciatura dei capelli. Un buon comportamento, un vestito appropriato, il saper dire una battuta al momento giusto e il rifiuto di piegarsi ai capricci mutevoli della moda (niente riccioli fluenti o teste rasate per Galeno), tutto questo darà al paziente la fiducia necessaria alla guarigione: è un interesse per se stessi, non una moralità imposta, che potrà dare il via al comportamento che meglio garantisce la salute del paziente. Se si tiene conto della devozione di Galeno, di fatto una sorta di consacrazione ad Ippocrate, questo silenzio sul Giuramento come condizione essenziale dell’esercizio della professione è molto eloquente.

Ma qualche altro gruppo nell’Antichità ha mai prestato il Giuramento di Ippocrate? Spesso si è pensato che negli scritti di due autori cristiani era implicito che tutti gli studenti di medicina prestavano questo giuramento nel tardo quarto secolo dopo Cristo. Il primo scrittore, san Girolamo, afferma che Ippocrate obbligava i suoi alunni con un giuramento ad adottare certe regole di condotta, con riferimento al silenzio, al modo di parlare, al portamento, al vestiario e al carattere; ma il modo di parlare, il portamento e i vestiti non fanno parte del Giuramento come noi lo conosciamo e, dal mio punto di vista, Girolamo sta solo mettendo insieme quello che sapeva del Giuramento con il passo delle Epidemie che forma la base delle idee di Galeno che ho discusso un momento fa. Girolamo stava immaginando una situazione passata, non descrivendo la realtà del suo tempo. L’altro passo è ancora più eloquente: San Gregorio di Nazianzo afferma che suo fratello Cesario era di così elevata moralità come medico e così buon  cristiano che “non aveva bisogno di Ippocrate che gli facesse prestare il Giuramento”. Gli storici hanno dibattuto a lungo su che cosa precisamente implicassero le parole di Gregorio, ma ancora non sono chiari due punti: Cesario non prestò il giuramento e, dato che Gregorio tace su un argomento così delicato, certo non dovette affrontare nessuna imposizione e giurare. In altri termini, se il Giuramento era adottato da alcuni studenti di medicina, lo era in base a una scelta privata e personale. Gregorio comunque non era uno sciocco; e se il Giuramento è mai stato comunemente adottato, allora è proprio l’Alessandria del quarto secolo, dove Cesario studiò medicina, che rappresenta il più probabile luogo, la più probabile epoca e di fatto anche la motivazione. Alessandria d’Egitto fu per secoli il più grande centro di medicina del mondo. Come disse un contemporaneo, fu il fondamento della salute per tutti gli uomini. I suoi insegnanti professavano la medicina di Ippocrate così come fu spiegata e interpretata da Galeno; vivevano e respiravano Ippocrate, quello che Temkin ha chiamato la religione di Ippocrate. E’ proprio nell’Alessandria del quarto – quinto secolo che troviamo la più vigorosa opposizione pagana al Cristianesimo, che incluse spesso dei massacri e perfino delitti. Possiamo bene immaginare degli studenti di medicina non cristiani e i loro professori che procedono insieme sotto la protezione di Asclepio ed estremizzano il loro paganesimo per reazione alle persecuzioni che subivano da parte dei cristiani. Che bisogno abbiamo della moralità cristiana, poteva dire un Gregorio pagano, se noi abbiamo il Giuramento di Ippocrate?

Si può essere tentati da questa ipotesi; ma non si dovrebbe perdere di vista il punto essenziale. Prestare il giuramento era comunque un’opzione, una scelta forse adottata da una minoranza in un certo luogo e in un determinato periodo. Anche se abbiamo prove che il Giuramento era largamente conosciuto e ammirato, non fu mai imposto per legge o per consuetudine, né nella Grecia pagana e a Roma, né tantomeno nel mondo musulmano, o nell’Europa medievale. Perfino quando le autorità esigevano che i medici fossero in qualche modo qualificati, non invocarono né imposero mai il Giuramento di Ippocrate.

Piuttosto, se troviamo davvero una qualche forma di giuramento o di ‘affidavit’ etico, la troviamo in una dichiarazione più ristretta e – per così dire – più professionale. Era una forma di descrizione del lavoro, in cui il candidato giurava di mantenere alto il buon nome e le tradizioni del suo College, dell’Università, o di un’altra istituzione. Vi si prometteva obbedienza all’autorità competente, che fosse un re, un vescovo, o un’amministrazione comunale; spesso era descritto in dettaglio ciò che ci si aspettava dal futuro medico o chirurgo, che cosa questi poteva prescrivere, dove poteva praticare la professione, quando e come poteva visitare il malato, perfino a volte l’ammontare delle parcelle. Mentre ci potevano essere echi del Giuramento di Ippocrate nel linguaggio e nello spirito generale, questi Giuramenti ‘professionali’ erano formulati tanto per il benessere delle istituzioni che per quello del paziente. Il Giuramento prescritto dagli statuti del London College di Medicina nel 1555 impegna i suoi membri a perseguire legalmente tutti gli empirici e i ciarlatani, a non prescrivere farmaci costosissimi per conquistare il favore dei farmacisti e a leggere entro un anno i primi cinque libri del trattato di Galeno Sui semplici e i primi otto libri di quello Sull’utilità delle parti. Dal 1647, il candidato giurava semplicemente di obbedire agli statuti, che includevano un amabile paragrafo sulla “conversazione morale”, con la sua proibizione di sminuire l’opinione di un collega attraverso l’espressione del viso, un gesto, o un silenzio sospettoso.

Quando fu, dunque, la prima volta che il Giuramento di Ippocrate fu effettivamente adottato in un’Università o in un College di Medicina? Questa è una domanda tutt’ora senza risposta; qualcuno potrebbe dire che è impossibile rispondere, perché l’adozione del Giuramento potrebbe essersi sviluppata in via informale per iniziativa individuale e le fonti raramente ci permettono di spingere lo sguardo nella dimensione privata e informale dell’esistenza di uno studente di medicina. Che il Giuramento di Ippocrate sia adottato al giorno d’oggi in alcune Università è chiaro; è difficile tuttavia determinare quando è cominciata questa consuetudine. Certe affermazioni in fonti secondarie si sono spesso rivelate infondate o basate su fraintendimenti e le prove aneddotiche sono spesso soggette ad errori. A volte – e specialmente ora – non è nemmeno chiaro quale particolare forma del Giuramento viene formulata. Tutto ciò rende estremamente difficile delineare la storia del modo in cui è stato prestato il Giuramento di Ippocrate.

La prima prova di un certo rilievo che io posso trovare proviene dagli statuti di fondazione della facoltà di Medicina di Wittemberg in Germania, nel 1508; il Giuramento del medico, composto dal Rettore e dal primo professore di medicina, Martin Pollich von Mellerstadt, incorpora alcune frasi del Giuramento di Ippocrate. Una procedura simile caratterizza anche il Giuramento del Medico dell’Università di Basilea così come è formulato nei nuovi statuti del 1570. Il laureato in medicina formula un Giuramento in nome di “Dio uno e trino, padre di Igea e Panacea”, una mirabile commistione di cristianità e classicità che continuò ad essere giurato in questa forma fino al 1868. Secondo lo stesso tipo di stile discordante, i capitoli di questo giuramento combinano le più ampie e altisonanti raccomandazioni morali del giuramento di Ippocrate con i ringraziamenti ai cittadini di Basilea.

Più o meno nello stesso periodo, all’Università di Friburgo qualcuno copiò sulla copertina del Libro degli Statuti una traduzione latina del Giuramento di Ippocrate; se poi il Giuramento fosse effettivamente fatto prestare è ancora in dubbio (qualche eco delle parole del giuramento si può ritrovare anche negli Statuti di Giessen del 1607).

Solo due Università vanno oltre. Dal 1558 il Preside della Facoltà di Medicina di Heidelberg doveva prestare il Giuramento di Ippocrate entro un mese dal momento in cui assumeva la carica e promettere pubblicamente di rispettare le sue norme fino alla fine del suo incarico. Da notare che è il Preside, non gli studenti o i laureati, a dover prestare il giuramento, e che i suoi obblighi verso di esso scadono alla fine dell’anno. Solo all’Università di Iena nel 1591 – alcuni hanno suggerito nel 1558 – gli Statuti citano il giuramento come qualcosa da osservare in misura più ampia. Prima di essere ammessi alla laurea, i laureandi dovevano impegnarsi a fare nel corso della pratica professionale “tutto quello che Ippocrate esige nel suo Giuramento e nel suo trattato Sul medico, una procedura che continuerà per almeno altri due secoli. Ma perché il sedicesimo secolo, e perché la Germania? La risposta è semplice. La riscoperta della cultura classica nel Rinascimento induceva molti a pensare che il medico ideale del loro tempo dovesse essere l’erede di Ippocrate, tanto nelle parole che nelle azioni. E queste Università tedesche erano davvero all’avanguardia nella rinascita della medicina. I loro professori, che si erano formati in Italia, insegnavano le verità di Galeno e Ippocrate e portavano il nuovo sapere a nord delle Alpi. Perciò, che cosa poteva essere più naturale che associare la fedeltà all’etica di Ippocrate con la lealtà tradizionale al proprio stato e alla propria Università e mostrare nello stesso tempo di essere davvero al passo con gli ultimi sviluppi della medicina?

Ma cosa troviamo nei Paesi fuori della Germania? Nel 1771, John Morgan, un laureato di Edimburgo, parlando della conferma del primo dottorato di medicina al College di Filadelfia, dichiarò che il Giuramento prescritto da Ippocrate ai suoi discepoli era stato adottato comunemente nelle Università e nelle Scuole di Medicina. Il suo College, invece, che era uno spirito libero nell’ambito delle istituzioni, non aveva bisogno di simili giuramenti; e preferiva legare i suoi laureati solo con i vincoli dell’onore e della gratitudine. Il problema è stabilire se davvero Morgan aveva ragione. Certo c’era una quantità di Giuramenti nel 1771, ma quasi tutti erano del tipo tradizionale di ‘lealtà’, che vincolava tutti i laureati ad obbedire allo statuto e ai loro capi. Era questo il caso di Leiden e di Edimburgo – nonostante le contrarie affermazioni moderne – ed altrettanto di Montpellier. Dal 1750 in poi anche in Germania si svilupparono giuramenti più specificamente medici, che combinavano insieme la lealtà allo stato e all’università con affermazioni più generali di carattere etico, riguardo a ciò che un medico dovrebbe fare o pensare. I grandi mutamenti di carattere politico, religioso e sociale nel diciannovesimo secolo spazzarono via molti dei vecchi giuramenti di lealtà e nello stesso tempo permisero ai medici di formulare dichiarazioni nelle quali una moralità specificamente medica – si potrebbe dire ippocratica – acquistò un ruolo molto più importante di prima. Così, nel periodo immediatamente successivo alla Rivoluzione Francese, dal luglio 1804, chi si laureava in medicina a Montpellier doveva stare in piedi davanti a un busto di Ippocrate, donato appositamente dal governo francese e, dopo aver recitato il Giuramento di Ippocrate in latino, doveva promettere nel nome di Dio di essere fedele alle leggi dell’uomo e dell’onore nell’esercizio della professione medica.

Questo è, per quello che so, il primo esempio di giuramento effettivamente prestato in un’Università. L’esempio di Montpellier, sebbene senza la minacciosa presenza di Ippocrate, fu seguito più tardi a Parigi e, in un periodo più recente, a Strasburgo. In nessun luogo il richiamo alla moralità nell’esercizio della medicina fu più stridente che negli Stati Uniti; qui, negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta dell’Ottocento la preoccupazione di imporre codici di etica medica e in particolare il Giuramento di Ippocrate era molto diffusa tra i medici, non ultimo perché il divieto di procurare l’aborto distingueva l’autentico medico da chi operava clandestinamente.

Dal 1880, in ogni caso, questa prima ondata di Giuramento diffuso cominciò a scemare. Ci si lamentava che ai giovani non era più familiare il suo messaggio dove era ancora prestato, come alla Mc Gill University in Canada o al St. Thomas Hospital a Londra; era visto sempre più come un anacronismo, il segno di un’istituzione vincolata alla tradizione in un’età di progresso. Non fu mai adottato nelle Università più recenti, tanto in Gran Bretagna che nel continente e, dove continuò, fu adottato in forma più leggera. Si chiedevano delle modifiche, un Giuramento di Ippocrate per il nuovo secolo la cui immagine non andasse più contro gli interessi della professione medica. John Round, del Battersea General Hospital a Londra, sostenendo la necessità di sostituirlo, ne rilevò una sfortunata conseguenza, per cui la polizia di Londra pagava un chirurgo veterinario dieci scellini e sei penny per un animale ferito ma solo tre scellini e sei penny un dottore in medicina per una persona ferita e affermò: “Il motivo può essere solo questo, che il chirurgo veterinario è considerato un uomo che si guadagna da vivere, mentre il medico si pensa che esista per il bene pubblico”. Si potrebbe dire che la moralità ippocratica può danneggiare seriamente il vostro benessere  economico.

Quello che ho fin qui mostrato è che i giuramenti medici e le richieste di restaurazione della moralità ippocratica non rappresentano niente di nuovo. I medici hanno modificato per secoli il Giuramento, come lo ritenevano opportuno, oppure si sono lamentati che le sue raccomandazioni, per buone che fossero state, non si adattavano più alla medicina e alla vita moderna. Anche questa conclusione è però fuorviante perché non considera in che misura questo ritorno ad Ippocrate, ai giuramenti, alle dichiarazioni e alle proclamazioni solenni delle convinzioni etiche dei medici sia soprattutto un fenomeno della seconda metà del ventesimo secolo. I dati raccolti per gli Stati Uniti e il Canada colpiscono particolarmente l’attenzione, a questo proposito. Nel 1928 venti scuole mediche – nessuna in Canada – usavano il Giuramento di Ippocrate o una sua versione, quattordici al momento della laurea, una per la solenne cerimonia finale; una lo riservava solo ai suoi migliori studenti; un’altra, con un certo ottimismo, lo faceva leggere ad alta voce durante una cena. Dal 1965, erano sessantanove scuole mediche su novantasette che avevano un giuramento. Dodici anni dopo, il numero era salito a 108 su 128, e dal 1989 ad almeno 119, 60 delle quali affermavano di far prestare una qualche variante del Giuramento di Ippocrate. La stessa tendenza si nota anche nelle scuole mediche britanniche e nel continente, dove i riferimenti alla moralità impliciti nel Giuramento compaiono nuovamente dagli anni ‘60 in poi.

Perché questa esigenza di Giuramenti e dichiarazioni e di un ritorno ad Ippocrate? In parte, è il riflesso di una società che sta diventando più formale. Molti anni fa, quando ero un Preside di College, i giovani chiedevano l’abolizione di spettacoli elitari come le cerimonie di laurea; adesso, mi si dice che corrono in massa a vederli. Questo potrebbe essere un fattore banale, ma non irrilevante. In secondo luogo, molti dei dilemmi morali ai quali oggi si suppone che il Giuramento di Ippocrate possa offrire soluzioni, nel passato non erano per nulla un dilemma. Il sostrato etico della società Cristiana, Ebraica o Musulmana escludeva l’aborto, l’omicidio medico e l’eutanasia, l’adulterio, perfino la calunnia e il pettegolezzo; e la società imponeva doveri di carità e di cortesia, addirittura di santità. Il Giuramento rafforzava al massimo grado un sostrato morale. Invece, in una società occidentale sempre più laica, dove c’è una gamma crescente di possibili scelte tanto nella condotta personale che nella terapia medica, e dove i problemi che deve affrontare un medico sembrano molto più complessi, il Giuramento e dichiarazioni simili offrono un surrogato dei valori religiosi, un sostituto che acquista in autorità e in stabilità ideale proprio in ragione della sua antichità. Inoltre, annunciano solennemente un orientamento della buona volontà, che va al di là dei contesti formali della legge e degli statuti.

In terzo luogo, c’è l’intera questione della professionalizzazione, di ciò che significa essere un medico. Qui un giuramento prende due aspetti, uno esclusivo, uno inclusivo. Esclude dal diritto di proclamarsi autentici medici coloro che non aderiscono al suo spirito o praticano altre forme di cura. Il Giuramento di Ippocrate distinse i medici da quelli che usavano il bisturi; i primi giuramenti moderni di Università o College difesero i diritti dei loro membri a praticare la professione, contro chirurghi, empiristi, ciarlatani, e simili. Se poi, tra un centinaio d’anni, gli storici assoceranno il recente revival dell’interesse per il Giuramento di Ippocrate al boom delle cure alternative di ogni tipo, molte delle quali insegnate e realizzate fuori da strutture mediche, è un pensiero su cui vale la pena di soffermarsi.

Infine, i giuramenti vincolano. Non solo vincolano colui che giura ai suoi doveri, ma lo vincolano a tutti quelli che fanno parte dello stesso gruppo. Nei giuramenti accademici il rispetto per l’istituzione è spesso legato al rispetto per il paziente, in un modo che enfatizza che il benessere dell’uno e la buona reputazione dell’altra sono uniti insieme. Poiché la medicina diventa sempre più specialistica, sempre più frammentata e diversificata nei suoi approcci, queste dichiarazioni di principio servono a costruire dei ponti tra le varie discipline e ad enfatizzare l’unità della medicina sottolineando l’unità dei suoi valori fondamentali. Questi non hanno alcuna funzione legale, sono frequentemente astorici, e spesso legati a un grande nome, sia esso di un individuo o di un’istituzione. Sono diventati un simbolo, meta- o sovrastorico e come tali sono immuni da critiche sul terreno dell’accuratezza storica o dell’effettiva importanza. Così può anche contare poco che il Giuramento di Ippocrate sia stato costantemente modificato fin dalla sua creazione e che sia stato raramente giurato – lasciando da parte quanto sia stato rispettato – prima del diciannovesimo secolo. L’obiezione secondo la quale le affermazioni in favore del suo uso proiettano indietro nel lontano passato una situazione che è in larga misura dello scorso secolo, se non proprio degli ultimi quarant’anni, non dovrebbe preoccupare quelli che vogliono formulare un giuramento per il nostro tempo, ma solo quelli che vogliono giustificarlo su basi storiche. Io provo molta più comprensione per quel gruppo di studenti di medicina di Londra che di recente ha deciso di  prestare un proprio giuramento, basato sulla loro concezione di ciò che un medico dovrebbe fare, che non per quelli che continuano a far appello al Giuramento di Ippocrate e alla moralità ippocratica per giustificare le loro preocccupazioni moderne.

Questo è il commento di uno storico, non di un medico, il quale è anche consapevole che spesso, nel corso dei secoli, la risposta del grande pubblico al Giuramento ippocratico e ad altri giuramenti simili è stata negativa. Quei giuramenti sono stati visti come un invito alla cospirazione dei medici per gli omicidi, o come un segno di una specie di sindacalismo da closed-shop, dove si elimina ogni competizione e solo gli aderenti a un sindacato entrano nell’azienda, un dettar legge dei medici a tutti quelli che si occupano della cura dei malati, e un serrare i ranghi contro il mondo esterno, specialmente davanti ai reclami dei pazienti. Un autore, altrimenti comprensivo verso i medici, ha scritto che “Ippocrate fece prestare un giuramento ai medici per imbrogliare il resto del genere umano”.

Inoltre, forse senza ragione, il pubblico ha insistito – e continua ad insistere – sul fatto che un medico dovrebbe essere consapevole dei valori morali ed agire in conformità ad essi. I candidati per incarici pubblici in Grecia, a Roma e nell’Italia Medievale erano scelti tanto per la loro moralità che per la loro abilità, e il dilemma se preferire un medico onesto ma di capacità limitate a uno più abile ma con meno scrupoli morali risale lontano.

Tuttavia, anche oggi, quando sono stati così spesso ignorati nel nome della politica e, in modo ancora più insidioso, della scienza, i principi di Ippocrate sulla priorità del benessere del paziente e sull’impulso del medico alla cura offrono un orientamento etico che fa eco alle apettative della società. La riflessione storica suggerisce che le dichiarazioni mediche di moralità hanno avuto maggior successo quando sono stati coinvolti anche i profani accanto ai medici, lo stato e il paziente insieme a chi esercita la professione del medico. Qualunque sia il risultato del dibattito moderno e dei vari appelli ai precedenti storici o ai valori etici, sia che si preferisca Ippocrate rivisto, modernizzato, mutilato o tradotto, una cosa credo sia chiara a tutti i lettori, un giuramento non è una cosa da prendere alla leggera.

L’autore del venerabile Giuramento di Ippocrate mise una delle pietre miliari per lo sviluppo dell’etica medica; ma è necessaria una sua riformulazione sostanziale se si vuole che il suo spirito e i suoi valori, piuttosto che i crescenti fraintendimenti e la fraseologia non più adatta, possano essere utili ed ispirare i suoi discendenti professionali nel ventunesimo secolo.

Vivian Nutton is professor emeritus of the History of Medicine at UCL. A Fellow of the British Academy, the Academnia Europaea and the German Academy of Sciences, he has written extensively on all aspects of medicine from Classical Antiquity to the seventeenth century. He has a particular interest in Galen, several of whose works he has edited and translated. A revised edition of his Ancient Medicine appeared in 2012, and his translation, with commentary of Galen’s Avoiding Distress will appear in 2013.

 

La contraffazione dei medicinali. Cosa insegnare allo studente in medicina del terzo millennion.56, 2012, pp.2476-2480, DOI: 10.4487/medchir2012-56-2

Abstract

According to World Health Organization (WHO), “a counterfeit medicine is one which is deliberately and fraudulently mislabeled with respect to identity and/or source”. Counterfeiting can apply to both branded and generic drugs. Counterfeit products may include products with the correct ingredients or with the wrong ingredients, without active ingredients, with insufficient active ingredients or with fake packaging.

Since counterfeit drug manufacturers do not respect Good Manufacturing Practices (GMP), the quality of raw materials is completely unknown; toxic impurities, heavy metals, residual solvents could be present and dosage uniformity is not guaranteed. 

Pharmaceutical counterfeiting is a serious public health problem concerning both developing and industrialized countries, but with different diffusion and characteristics. In developed countries the phenomenon is steadily increasing through the illegal and the Internet market. 

Managing the communication of the risk of counterfeit medicines is a critical aspect as it is addressed to a particularly vulnerable target: the patient who is looking for a solution to an important personal problem. Statistical studies show that the risk related to the consumption of counterfeit medicines is underestimated by patients: uninformed patients may likely be tempted to purchase drugs without a prescription from illegal distribution channels, posing a risk to their health.  Physicians could effectively contribute to the fight against pharmaceutical counterfeiting by increasing the knowledge and awareness of their patients on the risks of purchasing drugs from illicit sources.

Articolo

Introduzione

Il fenomeno della produzione e vendita di farmaci contraffatti, cresciuto nell’ultimo decennio con andamento esponenziale, ha ormai raggiunto in tutto il mondo proporzioni tali da rappresentare un grave problema di salute pubblica e un ingente danno economico.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce come contraffatto “un farmaco la cui etichettatura sia stata deliberatamente e fraudolentemente preparata con informazioni ingannevoli circa il contenuto e/o l’origine del prodotto”.

La contraffazione può riguardare sia prodotti originatori che prodotti equivalenti e include diverse tipologie:

– prodotti che contengono la corretta quantità del principio attivo specificato, ma la cui origine è diversa da quella dichiarata;

– prodotti contenenti il principio attivo specificato, ma in dosaggio diverso da quello dichiarato;

– prodotti non contenenti alcun ingrediente attivo;

– prodotti contenenti principi attivi differenti da quelli dichiarati.

Una particolare categoria di farmaci contraffatti sono quelli prodotti legalmente, ma che vengono successivamente riconfezionati in confezioni contraffatte attestanti un dosaggio più elevato o una data di scadenza falsa.

Medicinali illegali, cioè che non hanno l’autorizzazione all’immissione in commercio in Italia, sebbene non abbiano intento fraudolento, possono presentare gli stessi rischi per la salute di un medicinale contraffatto.

Caratteristiche e diffusione del fenomeno

L’aumento della diffusione di farmaci contraffatti nel mondo, favorito dalla globalizzazione dei mercati e dalla liberalizzazione del commercio internazionale, produce un enorme giro di affari legato alla criminalità organizzata internazionale. Il fenomeno della falsificazione dei farmaci si presenta con dimensioni e caratteristiche differenti nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e nei Paesi industrializzati. Infatti, mentre in questi ultimi i farmaci contraffatti sono rappresentati essenzialmente da prodotti legati agli stili di vita, quali anabolizzanti, anoressizzanti, ipolipidemizzanti, prodotti per la terapia delle disfunzioni erettili, psicofarmaci, nei PVS i farmaci maggiormente falsificati sono i prodotti salva-vita, quali gli antibiotici, gli antimalarici, gli antitubercolari e gli antiretrovirali.

La valutazione della diffusione del fenomeno della contraffazione dei medicinali è molto difficile, tuttavia l’OMS stima dall’1% a più del 10% la percentuale di farmaci contraffatti venduti nel mondo. Naturalmente questa percentuale cambia considerevolmente nelle diverse aree socio-economiche del mondo e, in particolare, nei PVS, dove il fenomeno ha dimensioni molto maggiori.

Si stima che in Italia il fenomeno sia limitato a meno dello 0,1% dei prodotti medicinali e riguardi esclusivamente l’e-commerce e il mercato illegale. I principali motivi della scarsa diffusione del fenomeno in  Italia sono da ricondursi al sistema di tracciabilità dei farmaci attraverso il bollino ottico e al sistema sanitario fondato sui valori della universalità e della gratuità dell’accesso alle cure che rende poco attrattivo il ricorso al mercato illegale.

Non bisogna dimenticare che attualmente in Italia la vendita e l’acquisto dei medicinali online è illegale e penalmente perseguibile.

 

Fig. 1 –  Inibitori PDE-5: confronto tra medicinali originali (in basso) e medicinali contraffatti (in alto).

I rischi per la salute

In generale, un farmaco contraffatto non è prodotto nel rispetto delle Buone Pratiche di Fabbricazione e, spesso, la qualità della materia prima è scarsa, con conseguente aumento nel farmaco dei livelli di impurezze, di solventi residui e/o di metalli pesanti potenzialmente tossici.

La potenziale pericolosità di un farmaco falso può, inoltre, essere ascritta agli eccipienti e al confezionamento primario. Quest’ultimo, infatti, può essere stato realizzato con materiali non conformi alle prescrizioni delle autorità regolatorie per ciò che concerne la compatibilità col prodotto medicinale con cui vengono a contatto e la sua stabilità, oppure presentare difetti nella chiusura, con conseguente degradazione del principio attivo o contaminazione microbica. Anche nel caso di sostituzione fraudolenta di eccipienti si possono avere problemi di tossicità dovuti alla presenza di sostanze nocive. Inoltre gli eccipienti possono influire sulla biodisponibilità del farmaco e, quindi, sulla sua efficacia terapeutica. Anche una modalità non corretta di conservazione, tipica dello stoccaggio di farmaci contraffatti, può alterare la qualità dei prodotti.

Nel caso di farmaci che devono essere prodotti in condizioni di sterilità, l’assenza di tale requisito nel prodotto falso costituisce un ulteriore grave danno per la salute. Altrettanto grave è la diffusione di medicinali che contengono principi attivi o eccipienti differenti da quelli dichiarati o addirittura sostanze altamente tossiche.

 Classificazione del medicinale  % del totale
  Medicinale originale  9
 Copia illegale  50
 Medicinale contraffatto  29
 Medicinale illegale/contraffatto 7
 Caso dubbio 5

Tab. 1 – Analisi di medicinali sequestrati nel territorio (PDE-5).

Oltre ai farmaci contraffatti che imitano prodotti di marca, sul mercato europeo arrivano, soprattutto da Cina e India, medicinali importati illegalmente, in quanto privi di una autorizzazione all’immissione in commercio valida nei Paesi europei. La qualità di questi prodotti è spesso non conforme agli standard europei e, pertanto, essi possono costituire un rischio per la salute pubblica. Nel mercato illegale europeo sono stati anche rinvenuti farmaci prodotti per l’esportazione e fatti rientrare illegalmente in Europa o contraffatti, quali, ad esempio, preparazioni per uso topico a base di glucocorticoidi che vengono utilizzati dalle popolazioni migranti africane come schiarenti per la pelle. Un fiorente mercato illegale riguarda anche numerosi prodotti “naturali” cinesi e indiani o, più in generale, del sud-est asiatico, quali integratori alimentari o prodotti ad azione tranquillante o dimagrante che, all’analisi chimica, sono risultati contenere principi attivi ad azione farmacologica. In questi prodotti, infatti, sono stati riscontrati lassativi, diuretici, anoressizzanti, tranquillanti, narcotici e principi attivi per la terapia delle disfunzioni erettili.

In Europa il sistema regolatorio e di controllo sull’importazione dei farmaci rende più improbabile il rinvenimento di farmaci contraffatti o illegali nella rete di distribuzione autorizzata rispetto ai PVS, tuttavia, il mercato illegale e l’e-commerce sono per loro natura difficilmente controllabili e si prestano alla diffusione del fenomeno anche nei Paesi occidentali.

Tab. 2 – Analisi di medicinali acquistati online (PDE-5 e anabolizzanti).

La lotta alla contraffazione. Impact Italia

Nel 2007 è stato istituito con Determinazione dell’AIFA il Gruppo di lavoro sui farmaci contraffatti, costituito da rappresentanti del Dipartimento del Farmaco dell’ISS, dell’AIFA, del Ministero della Salute e del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute – NAS. Nel 2008 il Gruppo di lavoro è stato denominato IMPACT Italia e si è configurato come “anello italiano” dell’iniziativa WHO IMPACT (International Medical Products Anti-Counterfeiting Taskforce). La partecipazione è stata allargata a rappresentanti del Ministero dell’Interno, dell’Agenzia delle Dogane e dell’Alto Commissario per la Lotta alla Contraffazione. Nel 2009 il disciolto Alto Commissario per la Lotta alla Contraffazione è stato sostituito nella task-force dalla struttura del Ministero dello Sviluppo Economico che ne ha ereditato le competenze, ovvero la Direzione Generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Sono attualmente membri di IMPACT Italia l’AIFA, il Ministero della Salute, l’ISS, i Carabinieri NAS, il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Agenzia delle Dogane e il Ministero dell’Interno (Direzione Centrale Polizia Criminale).  Collaborano con IMPACT Italia alcuni degli attori privati del settore, tra cui: Farmindustria, Assogenerici, Federfarma e l’Associazione degli importatori paralleli.

IMPACT Italia rappresenta il punto di riferimento unico (Single Point of Contact, SPOC) in Italia per le segnalazioni di casi di contraffazione e per le iniziative nel settore e ha il compito di monitorare e valutare il fenomeno della contraffazione farmaceutica in Italia, di elaborare strategie atte a contrastarlo, di svolgere attività di formazione e informazione sul fenomeno e di coordinare le proprie attività con le iniziative delle istituzioni internazionali: Consiglio d’Europa, EDQM (European Directorate for the Quality of Medicines & HealthCare) e OMS.

Che cosa contengono i farmaci contraffatti

I medicinali per la terapia delle disfunzioni erettili sono tra quelli più frequentemente oggetto di contraffazione. Numerosi campioni contraffatti, provenienti dal mercato illegale, che imitavano il Viagra e il Cialis sono stati oggetto di sequestri dei Carabinieri NAS e della Guardia di Finanza. I campioni sono stati analizzati dall’Istituto Superiore di Sanità per determinare la composizione quali-quantitativa in principio attivo ed eccipienti in confronto ai campioni originali. I risultati hanno evidenziato diverse tipologie di contraffazione farmaceutica: assenza del principio attivo indicato; sostituzione del principio attivo con un altro (p. es. sostituzione del tadalafil con il sildenafil in campioni di Cialis contraffatto); co-presenza dei due principi attivi (sildenafil e tadalafil); sotto-dosaggi e pericolosi sovradosaggi (fino al 170% del dichiarato) con gravi rischi per la salute pubblica (Tab. 1).

Lo studio effettuato sugli eccipienti ha evidenziato la frequente presenza di eccipienti diversi da quelli dei campioni originali e di eccipienti non impiegati per uso farmaceutico (p. es. il gesso). L’analisi visuale dei confezionamenti secondario e primario e delle compresse in confronto ai corrispondenti originali ha spesso indicato (Fig. 1), già prima dell’analisi chimica, la possibile contraffazione (scritte, spesso in lingua straniera, loghi, ologrammi e colori non perfettamente corrispondenti).

È stata, inoltre, effettuata un’analisi anche sul colorante delle compresse e sui colori caratteristici del confezionamento secondario con metodi strumentali. Questo tipo di indagine ha confermato in molti casi la contraffazione.

Oltre alle attività di analisi sopra descritte, è stato realizzato anche uno studio di collaborazione tra l’OMS, l’AIFA, l’ISS e i Carabinieri NAS, per la valutazione dell’incidenza del fenomeno della contraffazione tra i farmaci venduti tramite Internet. Lo studio prevedeva l’acquisto online di farmaci e la loro analisi allo scopo di verificarne la qualità ed evidenziarne l’eventuale contraffazione.

Lo studio si è svolto in due fasi: nella prima fase sono stati acquistati prodotti per la terapia delle disfunzioni erettili (Viagra, Cialis e Levitra) e alcuni anabolizzanti; nella seconda fase l’indagine si è estesa anche ad altre tipologie di medicinali.

Nella prima fase sono stati effettuati 28 acquisti, corrispondenti a 34 medicinali; dei 19 siti da cui sono stati effettuati acquisti solamente 9 (47%) hanno inviato prodotti. Di questi, solamente 7 (37%) hanno inviato esattamente quanto ordinato. Nel 59% degli acquisti, pur a fronte dell’avvenuto pagamento, non è stato inviato alcun prodotto. Sui farmaci pervenuti sono state effettuate diverse indagini analitiche. Ad eccezione di un campione, che è risultato essere originale, gli altri sono risultati nel 74% dei casi copie illegali provenienti dall’India, ossia medicinali copia dei prodotti originali non autorizzati al commercio in Italia, e nel 21% dei casi prodotti contraffatti senza principio attivo o con principi attivi differenti da quelli dichiarati (provenienza Cina e Europa) (Tab. 2).

I risultati della seconda fase hanno confermato quelli ottenuti nella prima fase.

Il ruolo del medico

A livello europeo è stato osservato che alcune circostanze economiche e socio-sanitarie quali l’alto costo del prodotto, l’abuso o l’uso off-label, la mancanza di autorizzazione o il ritiro dal mercato di un prodotto, la difficoltà nel disporre della prescrizione medica, la presenza sul confezionamento di indicazioni che attraggono l’attenzione del consumatore, rendono determinati prodotti maggiormente a rischio di contraffazione.

In considerazione del trend di crescita dei casi di contraffazione nei Paesi europei, l’Unione Europea sta rivolgendo un’attenzione crescente al problema orientando risorse economiche e scientifiche al contrasto del pericoloso fenomeno che non è più limitato ai soli medicinali. Anche prodotti che non vantano attività terapeutiche, ma possono avere importanti ricadute sulla salute dei pazienti, come per esempio gli integratori alimentari, i cosmetici o i presidi medici chirurgici/biocidi, sono oggetto di contraffazione. Un fiorente mercato illegale in continua espansione riguarda gli integratori alimentari cinesi e indiani o, più in generale, del sud-est asiatico che vantano in etichetta attività “naturali” (tranquillanti, antinfiammatori o dimagranti) che contengono in realtà principi attivi ad azione farmacologica.

Aumentare la consapevolezza da parte del cittadino dei rischi connessi con l’acquisto di medicinali sul mercato non convenzionale/illegale costituisce un passo fondamentale per contrastare il fenomeno della contraffazione in Europa.

I medici hanno un ruolo chiave nell’informazione ai pazienti sui rischi legati all’acquisto di medicinali al di fuori della catena legale di distribuzione e all’assunzione di medicinali contraffatti. Il messaggio di rischio veicolato da un medico è, infatti, percepito dal paziente come messaggio affidabile e rilevante e può evitare che i pazienti cerchino informazioni da fonti non affidabili.

Nella formazione del medico è pertanto fondamentale la conoscenza di tutte le categorie di prodotti con cui il paziente può entrare in contatto e delle leggi che ne governano la produzione e la commercializzazione, allo scopo di poterlo opportunamente guidare al loro corretto acquisto e utilizzo.

 Conclusioni

Il fenomeno della produzione e vendita di medicinali contraffatti, cresciuto nell’ultimo decennio con andamento esponenziale, ha ormai raggiunto proporzioni tali da rappresentare un grave problema di salute pubblica.

Gestire la comunicazione del rischio rappresentato dai medicinali contraffatti è assai critico. Infatti, tale comunicazione è rivolta a un soggetto particolarmente vulnerabile: il paziente che sta cercando una soluzione a un importante problema personale.

Studi statistici dimostrano che il rischio correlato al consumo di medicinali contraffatti viene sottostimato dai pazienti: pazienti non informati possono essere facilmente tentati di acquistare medicinali senza prescrizione medica da canali di distribuzione illegali, mettendo a rischio la loro salute. Di conseguenza, i medici potrebbero contribuire efficacemente alla lotta contro la contraffazione farmaceutica aumentando la conoscenza e la consapevolezza dei loro pazienti in relazione ai rischi legati all’acquisto di medicinali da fonti illecite.

Bibliografia

1) Lotta alla contraffazione farmaceutica: le attività dell’Istituto Superiore di Sanità

M. C. Gaudiano, L. Manna, P. Bertocchi, M. Bartolomei, A. L. Rodomonte, E. Antoniella, S. Alimonti, L. Romanini, L. Rufini, N. Muleri, B. Gallinella, M. Mirra, S. Lucattini, M. Di Gregorio, L. Fucili, L. Valvo Rapporti ISTISAN 10/20, 2010

2) A Survey on Illegal and Counterfeit Medicines for the Treatment of Erectile Dysfunctions in Italyjsm_2770 2130..2137

M. C. Gaudiano, L. Manna, A. L. Rodomonte, M. Bartolomei, P. Bertocchi, B. Gallinella, E. Antoniella,N. Muleri, G. Civitelli, S. Alimonti, Laura Romanini, Leandro Rufini  and Luisa Valvo J. Sex. Med., 2012;9:2130–2137

Cita questo articolo

Valvo L., La contraffazione dei medicinali, Medicina e Chirurgia, 56: 2476-2480, 2012.
DOI:  10.4487/medchir2012-56-2