Ospedali di Ricerca e Ospedali di Insegnamento nell’educazione medica. È necessario un dibattito?n.61, 2014, pp.2723-2727, DOI: 10.4487/medchir2014-61-3

Abstract

The concrete implementation of modern educational projects in keeping with the needs of prevention and care is changing constantly. Not only does the entire matter of the organization of medical education require rethinking, but the Faculties/Schools of Medicine also need to bring their leadership into play to foster a medical/health-care training network capable of covering the whole territory and delivering high-quality, customized tuition such as to cater for the real learning needs of medical/health-care students and graduates. 

Articolo

Introduzione

I rapporti di collaborazione tra Facoltà/Scuole di Medicina e territorio hanno origini lontane: basti pensare alla legge n 6972 del 17 Luglio 1890, là dove si trova scritto che “nelle città sede di facoltà medico-chirurgiche, gli ospedali sono tenuti a fornire il locale o a lasciare a disposizione i malati ed i cadaveri occorrenti per i diversi insegnamenti”.

Oggi, queste indispensabili interazioni sono regolate da numerosi dispositivi di legge. In breve, dalla riforma sanitaria del 1978 (legge 833) si giunge alla fine degli anni ‘90 a una nuova disciplina giuridica, rappresentata dal D.L.vo n. 517/99, che norma i rapporti tra Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e Università, e dal DPCM 24 Maggio 2001, che emana le linee guida atte a disciplinare l’integrazione tra assistenza, didattica e ricerca. Tale DPCM indica chiaramente come i rapporti tra SSN ed Università debbano essere ispirati al principio della leale collaborazione, definisce le linee della partecipazione universitaria alla programmazione sanitaria regionale, e indica i parametri per la individuazione delle strutture complesse che siano indispensabili e funzionali alle esigenze dell’Università, definendo anche il volume ottimale di attività necessaria alle attività didattiche relative al Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia, ai Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie ed ai Medici in Formazione Specialistica.

Come è possibile leggere in un Documento del Ministero della Salute (2011), “con quest’ultima legislazione vengono di fatto superati i precedenti diversi modelli aziendali ed individuata una nuova tipologia di Azienda, che si caratterizza per una missione più complessa, giacchè deve raggiungere sia obiettivi assistenziali, che assicurare i compiti istituzionali delle Università. Dalla inscindibilità tra assistenza, didattica e ricerca si passa all’integrazione tra queste funzioni sulla base dei principi e delle modalità proprie dell’attività assistenziale del SSN. Non più giustapposizione tra SSN e Università, ma piena integrazione”.

Il DPCM del 24 Maggio 2001 contiene le linee guida concernenti i protocolli di intesa da stipulare tra Regioni e Università per lo svolgimento delle suddette attività integrate; deve purtroppo essere notato come ancora oggi, dopo oltre un decennio dall’entrata in vigore del DPCM indicato, in molte Regioni Italiane, siano in discussione principi e norme che diano uniformità ed armonizzazione applicativa del D.L.vo n. 517/99 sul territorio nazionale.

Se nella premessa di una recentissima mozione della Conferenza Permanente delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia inviata all’On. Sig. Ministro del MIUR (seduta del 21 Novembre 2013) si legge che: “E’ necessario il pieno riconoscimento e la valorizzazione delle attività assistenziali delle Aziende Ospedaliero-Universitarie, che hanno la finalità di assicurare l’indispensabile supporto alle attività didattiche e scientifiche delle Facoltà/Scuole di Medicina; è, quindi, indispensabile il rafforzamento della collocazione delle Facoltà/Scuole di Medicina e delle Scuole di Specializzazione di area sanitaria nel Sistema universitario, con una piena e leale collaborazione con il SSN, anche mediante la realizzazione di reti formative che coinvolgano Ospedali accreditati secondo standard di qualità” si evince che il processo di armonizzazione e di piena collaborazione previsto dalle leggi vigenti per Università e SSN è ancora in una fase di dibattito, con nodi che debbono ancora essere sciolti e problematiche che debbono essere ancora risolte.

Lo scopo di questa breve nota è essenzialmente quello di fornire alcuni elementi per un forum di discussione, ma anche alcune ipotesi organizzative e proposte di razionalizzazione, nell’ottica del processo di internazionalizzazione del nostro sistema formativo, che tutte le nostre Facoltà/Scuole di Medicina hanno ormai, da lunghi anni, intrapreso (Familiari et al., 2013).

Ospedali di Insegnamento e Ospedali di Ricerca

Attualmente, in Italia, sono attivi sia Ospedali di insegnamento che Ospedali di ricerca con diverse attribuzioni e ruoli. Nell’uso corrente, quando si parla di Ospedali di insegnamento si fa spesso riferimento ai Policlinici Universitari, all’interno dei quali, ovviamente, vi è anche e soprattutto una grande e qualificata attività di ricerca scientifica, mentre esistono degli Ospedali classificati come Ospedali di ricerca, quali gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), che possono anche essi, in alcuni casi, fare diretto riferimento ad Istituzioni Universitarie. Esistono altresì numerose aziende ospedaliere che sono parte del SSN, che hanno rapporti convenzionali diretti con le Facoltà/Scuole di Medicina, e che di fatto ampliano la cosiddetta “rete formativa” a disposizione degli studenti di medicina, degli studenti delle professioni sanitarie e dei medici in formazione specialistica. Sono anche funzionanti, nel territorio, numerose strutture ospedaliere e territoriali delle Aziende Sanitarie Locali e strutture private accreditate che non hanno alcun tipo di rapporto convenzionale con le Facoltà/Scuole di Medicina.

Alcuni dati interessanti, derivanti da revisioni sistematiche della letteratura internazionale, mettono in evidenza un livello migliore nella qualità della cura erogata, osservabile negli Ospedali di insegnamento, nei confronti degli Ospedali dove non si pratica l’insegnamento universitario (Kupersmith, 2005). Queste differenze non sembrano però apparire estremamente significative e sono limitate, in alcuni casi, solo ad alcuni ambiti disciplinari (Papanikolaou et al., 2006). Non vi sono dati derivanti da revisioni della letteratura rilevabili da PubMed e riferibili alla realtà italiana.

Gli Ospedali di ricerca e gli Ospedali di insegnamento rappresentano comunque strutture o modelli organizzativi da doversi considerare non in alternativa ma, al contrario, come strutture complementari, in relazione alla complessità del processo di formazione che riguarda l’area medica.

Un breve cenno alla terminologia italiana ed internazionale

Il tentativo di traduzione dall’inglese all’italiano dei termini “research hospital” e “teaching hospital” fa emergere alcuni elementi che possono essere utili nella definizione dei ruoli e delle competenze.

La consultazione di un sito internazionale come WordReference.com, mette in evidenza come all’abbinamento con “research hospital” non corrisponda una traduzione univoca, mentre all’abbinamento con “teaching hospital” la traduzione principale assegni il termine univoco di “clinica universitaria”.

Anche se si cerca una definizione su Wikipedia, si hanno risposte non univoche. Infatti, mentre alla voce “teaching hospital” è associata una chiara definizione (A teaching hospital is a hospital that provides clinical education and training to future and current doctors, nurses, and other health professionals, in addition to delivering medical care to patients. They are generally affiliated with medical schools or universities (hence the alternative term university hospital), and may be owned by a university or may form part of a wider regional or national health system. Some teaching hospitals also have a commitment to research and are centers for experimental, innovative and technically sophisticated services), alla voce “research hospital” non si trova alcuna definizione (The page “Research hospital does not exist)” Research hospital” does not exist. You can ask for it to be created, but consider checking the search results below to see whether the topic is already covered), mentre si trovano riferimenti specifici a numerose Istituzioni internazionali, in maggioranza universitarie, corrispondenti a quelle che hanno compreso il termine “ricerca” nella definizione di esse stesse.

L’impressione che possiamo trarre da questa semplice consultazione è già quella che in realtà, a livello di terminologia internazionale, l’attività di ricerca sia intimamente legata e compresa all’interno dell’attività di insegnamento di tipo universitario.

Un cenno di storia e la definizione dell’insegnamento universitario

L’insegnamento universitario o insegnamento superiore è quello che l’articolo 1, primo e secondo comma del T.U. approvato con Regio decreto del 31 Agosto 1933, n. 1592, ha per fine quello di “…promuovere il progresso della scienza e fornire la cultura scientifica necessaria per l’esercizio degli uffici e delle Professioni”. Di fatto, esso sancisce il principio che, nell’Università, la ricerca è il momento stesso dell’istruzione, e l’istruzione, come trasmissione del sapere, si attua fondamentalmente attraverso il lavoro di ricerca del sapere, di approfondimento del vero. Nell’Università, l’istruzione non è pertanto semplice comunicazione, ma è partecipazione al lavoro sperimentale della scienza (Benvenuti, 1979). Al rafforzamento di questo concetto essenziale, provvede anche l’articolo 33, primo comma, della Costituzione Italiana, là dove è scritto che “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”; Anche in questo caso, deve valere l’interpretazione che, nell’ambito dell’istruzione universitaria, la didattica implica l’attività scientifica, per cui la libertà di scienza opera anche in funzione della didattica (Benvenuti, 1979).

Questi antichi capisaldi della nostra legislazione, sono di straordinaria modernità se confrontati con quanto si trova nella letteratura internazionale sullo stesso tema; Boyer (1990) ad esempio, afferma che: “We believe that it is time to move beyond the tired old “teaching versus research” debate and give the familiar and honorable term “scholarship” a broader, more capacious meaning, one that brings legitimacy to the full scope of academic work. Surely, scholarship means engaging in original research. But the work of the scholar also means stepping back from ones’s investigations, looking for connections, building bridges between theory and practice, and communicating one’s knowledge effectively to students”.

L’educazione medica di qualità, oggi

Per progettare e mettere in atto una istruzione universitaria di qualità è necessario sviluppare nuove metodologie pedagogiche e strutture didattiche avanzate, in grado di incoraggiare l’autoapprendimento ed il pensiero critico e riflessivo degli studenti. Non deve poi essere mai dimenticato che l’istruzione universitaria richiede, per essere messa in atto, docenti realmente entusiasti ed intellettualmente coinvolti, che siano all’avanguardia ed aggiornati sugli ultimi sviluppi delle rispettive discipline e degli standards della pedagogia medica internazionale (Gallo, 2011; Familiari et al., 2013; Mennin, 2013).

L’educazione medica ha raggiunto oggi un livello di complessità che nessuno avrebbe pensato possibile solo dieci anni fa. Profondi cambiamenti hanno interessato, non solo l’identificazione delle diverse tipologie di abilità del core curriculum (curriculum planning), ma anche la certificazione del loro effettivo raggiungimento (learning otcomes), le nuove strategie di apprendimento/insegnamento (approaches to teaching and learning), i metodi di verifica dell’apprendimento (assessment tools) e di tutto quello che riguarda, in senso lato, le metodologie ed il management della formazione nell’ambito dei numerosi corsi di studio gestiti dalle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia (McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Gallo, 2011; Familiari, et al., 2013; Mennin, 2013).

L’educazione medica, è, oggi, essa stessa una vera e propria disciplina scientifica, tale da richiedere al mondo accademico la giusta attenzione sui valori intrinseci di responsabilità sociale ad essa connessi e sulla necessità del suo accreditamento condiviso a livello internazionale. La necessità della professionalizzazione dell’insegnamento clinico su standard elevati ha richiesto pertanto un processo globale di rinnovamento dell’ambiente medico universitario, che è stato guidato da un complesso processo di rinnovamento legato alla leadership istituzionale, all’eccellenza dell’insegnamento, ma soprattutto legato ad una attenta definizione e valutazione di processo e di prodotto. (Goldie, 2006; McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Gallo et al., 2012; Familiari, et al., 2013).

Non vi è dubbio che il rinnovamento pedagogico messo in atto dalle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia italiane, in quest’ultimo decennio, sia stato di grande valore, soprattutto attraverso le iniziative condotte dalle Conferenze Permanenti dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia e dei Presidi delle Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia e dalla Società Italiana di Pedagogia Medica (Snelgrove et al., 2009; Consorti, 2011; Del Vecchio, 2011; Gallo, 2011; Binetti et al., 2012; Lenzi, 2012; Familiari, 2013; Familiari e Consorti, 2013).

Deve infine essere ribadito che tale processo di rinnovamento non può più avere le caratteristiche della episodicità, ma deve essere considerato al pari di un vero e proprio “piano strategico” da percepire come strettamente necessario nella formazione di area medica, che sia funzionale alle necessità di salute della popolazione di oggi e del prossimo futuro (McLean et al., 2008; Snelgrove et al., 2009; Binetti et al., 2012; Lenzi, 2012; Familiari, et al., 2013; Pershing e Fuchs, 2013).

Pershing e Fuchs (2013) individuano alcune nuove dimensioni nell’erogazione delle cure negli Stati Uniti, quali: “a different mix of patients; more ambulatory, chronic care and less acute, inpatient care; expanded insurance coverage; an older population; a team approach to care; rapid growth of subspecialty care; growing emphasis on cost effective care; and rapid technological change”. Appare subito chiaro che, a parte le problematiche legate alle coperture assicurative, che sono peculiari del sistema statunitense, gli altri punti possano essere condivisi, anche per quanto riguarda la realtà italiana, come punti esssenziali a cui mirare per la formazione dei nuovi medici, degli operatori sanitari e degli specialisti.

L’integrazione e le diverse tipologie di Ospedale per un reale rinnovamento

L’attuazione concreta di progetti didattici moderni che siano in linea con le necessità di prevenzione e assistenza in continua evoluzione, non solo richiede un ripensamento dell’organizzazione pedagogica, ma pone la necessità a che le Facoltà/Scuole di Medicina e Chirurgia mettano in campo la loro “leadership” per riconfigurare e ripensare una rete formativa che si estenda sul territorio, che sia di qualità e che sia maggiormente adeguata alle necessità di reale apprendimento degli studenti e dei medici in formazione (Fraher et al., 2013; Hamdy, 2013).

Per raggiungere tale obiettivo è necessario pertanto creare una “rete”, che abbia necessariamente una “leadership universitaria” in grado di coinvolgere ed integrare realmente nel proprio processo formativo almeno le seguenti strutture: un Polo per la ricerca scientifica di base e traslazionale, un Polo assistenziale centrale di alta qualificazione (l’Azienda di riferimento) integrato con altri Ospedali cittadini e provinciali pubblici o privati accreditati, Centri di alta complessità per problemi specifici, Strutture territoriali (medici di medicina generale, assistenza primaria, prevenzione, promozione della salute), un Polo didattico ad alta tecnologia, i Dipartimenti Universitari/Assistenziali, i Consigli delle strutture didattiche, le Commissioni dei corsi di studio e multidisciplinari di Facoltà, gli Organi per il controllo ed il monitoraggio della Qualità, gli Organi delle Aziende Ospedaliero-Universitarie che comprendono generalmente il Direttore generale, il Collegio sindacale, l’Organo di indirizzo, il Collegio di direzione.

Una reale integrazione di queste entità è certamente un compito non facile, ma una vera e propria sfida culturale, se abbiamo veramente la volontà di voler formare i nostri giovani con un adeguato livello di professionalità e in grado di assolvere con competenza i loro gravosi impegni dedicati alla cura e alla prevenzione della Società globale.

La “rete” per una “didattica di qualità” deve essere integrata nella “ricerca” e in una “rete assistenziale di qualità” che deve essere ampia, in relazione al numero elevato delle esperienze dirette che sono necessarie per raggiungere una preparazione adeguata.

La lettura dei numerosi protocolli regionali approvati o in corso di approvazione mette generalmente in luce degli ottimi propositi di integrazione, ma, nella complessità dei diversi documenti, non vi sono argomentazioni chiare che indichino la “leadership universitaria” nella coordinazione di questo intricato rapporto organizzativo che vede ricerca e assistenza in funzione delle necessità didattiche degli studenti nei diversi gradi di formazione medica.

Fatte salve le esigenze di prevenzione, sicurezza e cura dei pazienti, si dovrebbe avere maggior coraggio nell’indicare con maggiore chiarezza lo scopo primario di questi accordi: quello del supporto alla formazione medica, dove la “leadership” non può non essere che universitaria, per quanto sopra scritto.

Ci sembra doveroso riportare quanto recentemente scritto da Fraher et al (2013). Essi affermano che: “Academic Health Centers (AHCs) – organizations at the forefront of innovations in health care delivery and health workforce training – are uniquely situated to proactively lead efforts to retrain the existing workforce”, e raccomandano: “a set of specific actions (i.e., discovering and disseminating best practices; developing new partnerships; focusing on systems engineering approaches; planning for sustainability; and revising credentialing, accreditation, and continuing education) that AHC leaders can undertake to develop a more coherent workforce development strategy that supports practice transformation”.

Pur nella considerazione che il contesto statunitense dell’organizzazione sanitaria sia diverso dal nostro, e che il nostro sistema sanitario sia, per numerosi aspetti, di livello superiore, deve essere notato come la responsabilità dell’Università nell’organizzazione generale della formazione in area medica debba essere considerata come prerequisito importante in grado di assicurare una crescita di sistema, su principi condivisi con il SSN, che abbia alla base l’implementazione della qualità e dell’internazionalizzazione, sia negli interessi dei giovani in formazione sia negli interessi della società di oggi e del prossimo futuro.

Bibliografia

1) Benvenuti F. L’Università: Autonomia e Decentramento, in: Atti del Convegno su “Programmazione, Autonomia e Amministrazione Universitaria”, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale per l’Istruzione Universitaria, Napoli – Giannini, 1979.

2) Binetti P, Gaudio E, Lenzi A, Armocida G, Ricciardi W, Frati L. Ripensare la Facoltà di Medicina e Chirurgia. Med Chir 2012; 54: 2399-2406.

3) Boyer EL. Scholarship Reconsidered: Priorities of the Professorate. The Carnegie Foundation for the advancement of Teaching. San Francisco, Jossey-Bass, 1990.

4) Consorti F. Didattica Pratica e Professionalizzante, Collana di Pedagogia Medica SIPeM, ESPRESS EDIZIONI, Torino, 2011.

5) Delvecchio G. Formazione in Ospedale, Collana di Pedagogia Medica SIPeM, ESPRESS EDIZIONI, Torino, 2011.

6) Familiari G. The international dimensions of medical education. Med Chir 2013; 57: 2537-2538.

7) Familiari G, Consorti F. The best evidence medical education and the essential skills on medical teaching: important keys for medical education internationalization. Med Chir 2013; 59: 2662-2663.

8) Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della Rocca C, De Biase L, Ziparo V, Gallo P, Consorti F, Lenzi A, Gaudio E, Frati L. International reality of medical education. MEDIC 2013; 21: 53-59.

9) Fraher E, Ricketts TC, Lefebre A, Newton WP. The role of Academic Health Centers and their Partners in reconfiguring and retooling the existing workforce to practice in a transformed health system. Acad Med 2013; 88: 00-00 in corso di stampa.

10) Gallo P. Insegnare nei corsi di laurea in medicina e odontoiatria. Collana di Pedagogia Medica SIPeM, ESPRESS EDIZIONI, Torino, 2011.

11) Goldie J. Evaluating educational programmes. AMEE Education Guide no. 29. Med Teach. 2006;28:210-24.

12) Hamdy H. How to manage a medical college. In: A Practical Guide for Medical Teachers. Dent JH, Harden RM Editors, pp 407-413, Churchill Livingstone – Elsevier, 2013.

13) Kupersmith J. Quality of care in teaching hospitals: a literature review. Acad Med 2005; 80: 458-466.

14) Lenzi A. Manifesto di intenti per il triennio 2011-2014. Med Chir 2012; 55: 2427-2428.

15) McLean M, Cilliers F, Van Wyk JM. Faculty Development: Yesterday, today and Tomorrow. AMEE Education Guide no. 33. Med Teach 2008; 30: 555-584.

16) Mennin S. Academic Standards and Scholarship. A Practical Guide for Medical Teachers. Dent JH, Harden RM 17) Editors, pp 377-384, Churchill Livingstone – Elsevier, 2013.

18) Ghirardini A, Andrioli Satagno R, Cardone R, Ciampalini S, Colonna A, De Feo A, Furlan D, Leomporra G, Seraschi C. Ufficio III Qualità delle Attività e dei Servizi, Ministero della Salute: Dipartimenti per il governo clinico e l’integrazione tra assistenza, didattica e ricerca, Workshop 1 Aprile 2011. Disponibile al sito web: http://www.salute.gov.it/qualita/qualita.jsp

19) Papanikolaou PN, Christidi GD, Ioannidis JPA. Patient outcomes with teaching versus nonteaching healthcare: A systematic Review. PLoS Medicine 2006; 3: 1603-1615.

20) Pershing S e Fuchs VR. Restructuring medical education to meet current and future health care needs. Acad Med 2013; 88: 00-00 in corso di stampa.

21) Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio G, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The Challenge of reform: 10 years of curricula change in Italian Medical Schools. Med Teach 2009; 31: 1047-1055.

Cita questo articolo

Familiari G., Gaudio S., Ospedali di Ricerca e Ospedali di Insegnamento nell’educazione medica. È necessario un dibattito?, Medicina e Chirurgia, 61: 2723-2727, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-3

Quale formazione per i laureati in Medicina? Scienziati applicati al malato o Medici che si prendono cura della persona?n.61, 2014, pp.2720-2722, DOI: 10.4487/medchir2014-61-2

Abstract

Recently American medical education literature has argued about the failure of a curricular predominance of biomedical science to realize the ideal of the “good doctor”1-3; biomedical science should be conceptualized as just one form of knowledge in medical education, albeit an important one . Contrast opinion argued that doctors do not need preparation in the kind of philosophical thinking, but rather they should be prepared to be “applied scientists”, that is doctors who bring the patient and biomedical science into apposition in an attempt to maximize health benefit, and act as an intermediary between the human and the increasingly complex, autonomous universe of technology3. In this sense, maximizing health benefit is a normative idea, and the very concept of “health” hinges on what we value  in a human life. The scientist-doctor has several social responsibilities, all of which are aimed at bringing about improved health outcomes. Defining these aims implicate the limitations of the sole scientific knowledge and skills, as not equipped to address issues of value. Actually the technically skilful application of scientific and technological resources alone does not make one a doctor, for that, one also needs to be able to reach a thoughtful professional judgment about what the patient needs are that this skilful application are believed to served. Such values cannot exist as values in the abstract form, but they need to be defined in a normative standpoint and applied in the form of specific teaching strategies. 

Articolo

Le recenti prove di ammissione alla facoltà di medicina tenutesi in tutta Italia hanno evidenziato che questa facoltà continua ad essere la più ambita dai giovani che escono dal liceo o da un istituto tecnico o professionale. Le domande di iscrizione di quest’anno sono infatti aumentate di oltre il 20% rispetto all’anno scorso, con un rapporto tra domande e posti disponibili, a livello nazionale, di 8 a 1. Questo significa che solo uno studente su otto ha raggiunto il punteggio minimo per qualificarsi idoneo all’iscrizione. L’evento ha suscitato scalpore sui giornali e sui media, non solo per l’alto numero di richieste, ma ancor di più per le modalità di ammissione alla facoltà stessa tramite i test di ingresso (quiz a risposta multipla), considerati da molti del tutto inadeguati per una ponderata selezione di candidati dotati di caratteristiche intellettuali e umane adeguate per diventare futuri dottori in medicina. Tuttavia poco o nulla si è scritto e detto su quale tipo di medico la società vuole avere, quale formazione debba essere adottata per avere medici adeguati a far fronte ai nuovi bisogni della società, quale formazione medica deve perseguire l’università nei confronti della società. In altre parole non si è affrontata la domanda: Qual è il compito e il mandato del medico nella società del 21° secolo?

Una risposta a questa domanda non può essere elusa. Il medico infatti svolge nella società un compito professionale di grandi responsabilità, individuali e sociali, tutte indirizzate a ottenere migliori condizioni di salute della popolazione. Ora, la società odierna ha assistito in questi ultimi decenni, tra il finire del secolo scorso e l’attuale,  a profondi cambiamenti, da attribuire principalmente alle migliorate condizioni di vita, all’aumento del livello socio economico, all’estesa attuazione della prevenzione primaria e secondaria di molte malattie, agli enormi progressi delle scienze bio-mediche e delle tecnologie applicate, alla scoperta di nuovi farmaci. Questi progressi  hanno portato a un significativo aumento della vita media, all’adozione di schemi terapeutici che hanno consentito non solo di guarire tante malattie acute, ma anche di stabilizzare molte malattie croniche degenerative, con la conseguenza di un aumento non solo della vita media, ma anche del sommarsi di più malattie croniche nello stesso individuo, spesso invalidanti, che richiedono molteplicità di cure, di controlli medici e di assistenza. Questo impegno ha raggiunto proporzioni rilevanti, con aumento notevole della spesa sanitaria, a fronte di una crisi economica che investe l’intero l’occidente. Le conseguenze a livello politico si traducono in decisioni  impopolari di risparmio sulla spesa pubblica, con restrizioni dell’ assistenza gratuita e dei posti letto ospedalieri.

Tuttavia vi è un argomento di particolare criticità che non è mai stato affrontato. Non ci si chiede infatti chi ha in mano la penna per prescrivere accertamenti diagnostici, ricoveri ospedalieri o nuove terapie; non ci si chiede se non vi sia un eccesso diagnostico e terapeutico, o il perché di tanta medicina difensiva da parte di molti medici.

Ecco allora diventare prioritario il tema della formazione del medico. Se l’università vuole mantenere la responsabilità della formazione di persone che intendono diventare medici, la domanda cruciale è: che cosa deve dare l’Università a queste persone? E quali indicazioni è in grado di dare la stessa società all’università, in merito a questa rilevante domanda che riguarda pienamente e totalmente la società stessa? E di quale formazione si sta parlando?

La risposta è duplice a seconda di come si interpreta la persona, sana o malata, e il ruolo del medico. Da un lato si afferma che i dottori in medicina devono avere una preparazione esclusivamente scientifica da applicare al malato, devono essere cioè, come li definiscono gli anglosassoni, degli applied scientists o scientist-doctors. Dall’altro si sostiene che i dottori in medicina devono essere medici colti e competenti di scienze mediche, esperti nella cura della persona malata1-3. La differenza è importante: nel primo caso la formazione medica rimane ferma alla fase di acquisizione e di applicazione di conoscenze scientifiche, senza considerare chi e come le riceve; nel secondo caso la preparazione del medico comporta l’acquisizione anche di competenze e di esperienze di pratica medica indirizzate al singolo individuo, con lo scopo di risolvere i suoi problemi medici e comprendere i bisogni di salute della persona. Nel primo caso è sufficiente acquisire e applicare conoscenza scientifica, nel secondo caso il medico ha anche bisogno di una formazione antropologica, etica e morale. Si dirà che questa seconda proposta è sicuramente desiderabile, addirittura ovvia, da non mettere in discussione. Tuttavia la realtà dei fatti smentisce questa convinzione e questa prassi, in quanto l’attuale formazione del medico e l’odierno curriculum degli studi sono pressoché totalmente incentrati (non solo nel corso di laurea in medicina, ma anche nei corsi di specializzazione), sulla sola trasmissione e acquisizione di conoscenze scientifiche e di abilità tecniche.

Il medico non può essere semplicemente uno scienziato che applica la scienza biomedica al malato nel tentativo di rendere massimi i benefici della salute, agendo quasi da intermediario tra l’umano e l’universo tecnologico a lui disponibile, come recentemente sostenuto in alcune sedi1 e anche in Italia. E questo innanzitutto perché il medico, nel suo compito prioritario  di rendere migliore la salute delle persone, assume delle responsabilità sociali, quali il coinvolgimento dei pazienti, la valutazione critica dei bisogni del malato, la determinazione del rischio e l’uso adeguato delle risorse, alle quali responsabilità può far fronte solo se possiede conoscenze e competenze che esulano dalla pura scienza biomedica e tecnologica. Nessuno infatti mette in discussione che lo scopo del medico sia quello di rendere migliore la salute delle persone, ma piuttosto si discute il fatto che rendere migliore la salute delle persone sia un concetto ovvio, cioè si spieghi da solo! Il punto cruciale è che rendere migliore la salute delle persone non è un obiettivo perseguibile con la scienza, cioè non è passibile di spiegazione scientifica, ma è un concetto normativo, vale a dire strettamente connesso con il valore che il medico dà alla vita umana. Nell’ipotesi che i medici siano da considerare semplicemente degli esperti dotati di conoscenza scientifica e di abilità tecniche da applicare ai malati ogniqualvolta ALTRI decidono che tale applicazione è necessaria allo scopo di rendere migliore la salute delle persone, allora la tesi sopra riportata è da considerare sensata e accettabile. Tuttavia occorre ribadire che i medici non sono semplicemente dei tecnici, seppure esperti nell’ applicazione di una scoperta scientifica o di un protocollo o di una linea guida, ma sono dei professionisti e come tali dotati di capacità di giudizio critico e di decisione clinica razionale. Ma un giudizio professionale richiede conoscenza e comprensione della bontà di una pratica professionale, cioè richiede una valutazione di merito, valutazione che si compie nel momento del trasferimento della decisione razionale (basata sulle conoscenze scientifiche) alla realtà concreta. Questa valutazione di merito presuppone il riferimento a principi e a valori, quali il buono, il vero e il giusto, che richiedono di esser definiti nella loro tipologia, valutati criticamente, acquisiti a livello intellettivo, razionale e applicativo. La scienza, sia pura che applicata, non è dotata di questa capacità di valutazione, in quanto non è strutturata per definire concetti di valore. La scienza stessa sussiste ed è resa possibile grazie ai presupposti metafisici di aspirazione alla verità e grazie alle scelte etiche di bene, di comprensione e di armonia che ogni ricercatore più o meno coscientemente si è dato4-6.

In secondo luogo, occorre precisare che il medico applica le sue conoscenze e la sua esperienza a una persona che a lui si rivolge per chiedere una salute migliore. Orbene, il concetto di persona presuppone l’esistenza di un essere razionale dotato di autonomia e individualità, ma anche capace di relazione, di alterità, di partecipazione alla vita nel consesso degli uomini. Pertanto la persona che chiede al medico migliore salute, non si attende solo una spiegazione scientifica degli eventi che hanno alterato la sua salute, ma anche una comprensione e una partecipazione alla  sofferenza e al suo vivere, attraverso una relazione empatica, non contemplata dalle leggi scientifiche. Queste capacità se parzialmente possono essere innate, esse soprattutto si acquisiscono durante il periodo formativo  da docenti tutori capaci di trasmetterle. Il curriculum degli studi richiede l’inserimento di questa formazione, che riguarda concetti di filosofia, di etica e di morale2. Questa conoscenza non rientra nell’orizzonte della scienza e per questo viene troppo spesso bollata come conoscenza non razionale, ambito della pura soggettività, di iniziativa personale, di buonismo medico, da escludere quindi da ogni curriculum formativo. In realtà le discipline che si occupano del senso della vita e dei valori della conoscenza e delle scelte decisionali sono pienamente razionali, così come lo sono le teorie filosofiche  e le leggi scientifiche7.

Si deve riconoscere pertanto alla scienza proprietà analitiche ed esplicative, cioè in grado di spiegare i fatti sulla base di leggi scientifiche precostituite, formulate su base sperimentale; essa è dotata quindi di spiegazione. La valutazione del merito di una decisione avviene invece sulla base di principi e di valori, i quali esprimono giudizi, mai assoluti, ma orientati al bene e al vero e considerati meritevoli di essere perseguiti per contrastare la dittatura dell’individualismo e dell’egoismo, fattori questi ultimi distruttivi di ogni società7. La valutazione del merito e l’attuazione della decisione avvengono attraverso  la relazione che è partecipazione al vivere dell’altro, è cioè comprensione dell’altro e della sua realtà esistenziale, aspetto questo del tutto trascurato nella formazione del medico di oggi.

Ma non è sempre stato così. In passato la capacità e l’attitudine alla comprensione attraverso la relazione con il malato venivano trasmesse non con insegnamenti dalla cattedra, ma attraverso una esperienza diretta che lo studente aveva con il suo docente durante la visita medica, docente che quasi sempre era anche maestro di comportamento, testimone di valori, di razionalità critica  e di rispetto per il malato. I cambiamenti legati alla modernità hanno portato ad una progressiva ghettizzazione di concetti quali  cultura, etica, logica, valori umani e sociali, senso della vita e dell’esistenza, concetti che una tradizione culturale aveva mantenuto vivi nell’insegnamento universitario fino alla prima metà del secolo scorso, poi gradualmente affievoliti di fronte al modernismo, all’enorme e talora incontrollato sviluppo scientifico e tecnologico e al benessere sociale della seconda metà del secolo passato. Si dirà che a questa crisi di valori si è cercato di far fronte introducendo l’insegnamento delle scienze umane e sociali anche nel corso di laurea in medicina8. Si deve riconoscere tuttavia con tutta onestà il fallimento di tale insegnamento, non solo perché ghettizzato a spazi e tempi marginali, ma soprattutto perché è apparso fin dall’inizio un correttivo, inserito nel curriculum , indirizzato a trasmettere valori e principi considerati come un qualche cosa di esterno al processo formativo stesso, senza che una vera comprensione di questi argomenti etici e morali potesse in realtà costituire una parte integrante della formazione medica e di ciò che significa diventare un medico colto e formato e fare il medico nella relazione con i pazienti9. Il fallimento dell’insegnamento delle scienze umane nel curriculum formativo del medico non è solo fenomeno italiano, ma riconosciuto anche nei paesi anglosassoni1, tanto che il filosofo e teologo americano William Stempsey (1999) lo ha definito come “la quarantena delle scienze umane”.

Un’altra considerazione merita rilievo. I principi che ispirano l’agire e il decidere in medicina e i valori che ne costituiscono il presupposto possono essere tramessi solo da docenti dotati di tali caratteristiche e capaci non solo di insegnarle, ma soprattutto di viverle nella loro attività medica quotidiana di corsia o di ambulatorio. A fronte di questa ineludibile verità, il colpo di grazia all’ esclusione di tale formazione dal curriculum degli studi medici sta per essere inferto dall’attuazione della vigente legge che regola i concorsi universitari e l’arruolamento dei docenti, non solo nella facoltà di medicina, ma nell’intera università. Si tratta della cosiddetta “legge Gelmini” (dal nome del ministro dell’università e della ricerca che l’ha proposta), promulgata nel dicembre 2010 allo scopo di por fine agli scandali dei concorsi universitari, documentati  in molte sedi ed enfatizzati dai media.  Orbene, l’accesso alla valutazione nazionale, che consente di ottenere l’abilitazione per accedere poi alla nomina di professore universitario nelle singole sedi universitarie,  richiede la presentazione di un curriculum esclusivamente scientifico, basato cioè sulle pubblicazioni del candidato  su riviste scientifiche in grado di documentare la sua capacità e le sue doti di ricerca. Nessuna richiesta è prevista in merito alle capacità didattiche, né tanto meno a quelle professionali. L’attuazione di questa nuova legge induce a pensare che avremo docenti dotati di altissima competenza scientifica, in altre parole degli scienziati veri e propri, chiamati peraltro a insegnare non solo la medicina scientifica, ma anche il processo decisionale medico, il metodo clinico, la relazione con il malato, la complessità clinica, le scelte prioritarie da seguire per far fronte ai bisogni di salute della società10. Dove e come sono state acquisite queste capacità? E chi ha valutato la preparazione didattica e professionale di questi docenti?

In conclusione, il presupporre principi, valori e fini dà risposta alla grande domanda sul senso della vita e dell’esistenza, sul destino dell’uomo e dell’umanità, domanda che non si può in alcun modo eludere11 e che il malato stesso si pone, talora inconsciamente. Nessun laboratorio e nessuna scoperta scientifica, nessun esperimento e nessun calcolatore elettronico possono dare risposta a questa domanda e risolvere questo problema. Pertanto, se l’acquisizione di conoscenze scientifiche e di abilità tecniche è da considerare elemento indispensabile per diventare medici preparati e competenti, tuttavia questi obiettivi da soli non sono da considerare sufficienti affinché un laureato in medicina possa dire di essere medico nel senso proprio della parola, né tanto meno possa affermare di saper fare il medico, vale a dire di svolgere la professione di chi si prende cura della persona nella sua totalità e assume le responsabilità che la società intende affidargli.  L’atto medico è una decisione della volontà, che, nell’intento di perseguire fini di bene e di giustizia per la vita e per l’esistenza, muove l’intelligenza attingendo dalla conoscenza scientifica e dall’esperienza umana e professionale e traduce in azione operante le decisioni elaborate a livello critico e razionale. Questo passaggio dalla teoria alla prassi avviene attraverso l’applicazione del metodo clinico che comporta il costruire una relazione, prioritariamente tra due persone, il malato e il medico. Esso presuppone valori e principi, intuizione e razionalità e richiede pertanto di essere conosciuto, praticato e insegnato. Il tema del metodo, fondamentale per fare il medico, richiede piena attenzione ed esaustiva rinnovata trattazione.

Bibliografia

1) Swanwick T. Doctors, science and society. Medical Education 2013; 47:7-9

2) Martin C. Recostructing a lost tradition: the philosophy of medical education in an age of reform. Medical education 2013; 47: 33-39

3) Ruitenberg C. Why the conception of the doctor as applied scientisti s inadequate. Medical Education, 2013; 47:956-7

4) Einstein A. Scienza e religione. Tr. it. In Pensieri degli anni difficili. Boringhieri Editore, Torino 1965

5) Weber M. Il lavoro intellettuale come professione. Einaudi Editore. Torino, 1967

6) Antiseri D. La conoscenza scientifica. In: G. Reale, D. Antiseri. Quale ragione ? Raffaello Cortina Editore, Milano 2001

7) Antiseri D. Come si ragiona in filosofia. La Scuola Editrice. Brescia 2011

8) Lenzi A, et al. Una proposta unitaria della Conferenza dei Presidi e Presidenti di Corso di Laurea Magistrale in Medicina e chirurgia per il RaD-DM 270/04. Med Chir 43, 1816-1836, 2008

9) COLMED-09. L’innovazione in Medicina Interna. Documenti. Ed. Colmed-09/SIMI, 2010

10) Elder A, et al. The road back to the bedside. JAMA 2013; 310, 799-10

11) Bobbio N. Che cosa fanno oggi i filosofi? Bompiani, Milano 1988

Cita questo articolo

Realdi G, Quale formazione per i laureati in Medicina? Scienziati applicati al malato o Medici che si prendono cura della persona? Medicina e Chirurgia, 61: 2720-2722, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-61-2