Le Cure Palliative nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarien 86, 2021 pp 3826-3833

Abstract

The Permanent Conference of the Degree Courses of the
Health Professions has carried out a descriptive analysis to detect the implementation of MIUR recommendations no. 13244 of 2018 for immediate integration into the teaching plans the field of Palliative Care. On the basis of the information provided by a convenience sample made up of 72 degree course locations, it should be noted that 43% of the sample had already entered training objectives on palliative care in the SUA from the 2018/2019 academic year, while 25% of the degree courses have planned to introduce them within the next academic year. In addition, more than half of the degree courses (58%), in previous years, had already addressed some issues of Palliative Care in different teaching programs.
However, the results show that not all degree courses are yet ready to enhance Palliative Care in their training curriculum and that theoretical-practical training turns out to be uneven in favour of the northern courses location. The inhomogeneity of palliative care network in Italian regions can be considered among the causes of lack of sharing of training experiences at national level. Furthermore, the data collected shows a generalized absence of interprofessional training experiences which is probably the expression of a more widespread insufficiency of integrated teaching models in the university contexts.


Keywords: Education, Palliative Care, Healthcare Professions

Articolo

Introduzione

Circa 20 milioni di persone in tutto il mondo necessitano di Cure Palliative, intese come cure attive e globali che superano il tradizionale approccio bio-medico, ponendo un’attenzione spiccata anche verso le componenti psicologiche, sociali e spirituali (Moroni, Bolognesi, Muciarelli, Abernethy, & Biasco, 2011) che influiscono sulla qualità di vita di pazienti affetti da malattie gravi ed incurabili e delle loro famiglie (Connor & Bermedo, 2014; Hoerger, Wayser, Schwing, Suzuki, & Perry, 2019). Le Cure Palliative rispondono alla complessità dei bisogni assistenziali di tali pazienti mediante un approccio di cura interdisciplinare (World Health Organization, 2019), quale modalità privilegiata per una più completa ed articolata comprensione delle effettive condizioni del malato e per interventi sinergici tra professionisti con competenze diversificate, capaci di includere nella progettazione del lavoro di cura anche pazienti e familiari.

In Italia, la legge n. 38 del 15 marzo 2010 (Legge 38/2010) (G.U. 19 marzo 2010, n. 65), nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, afferma il diritto ad accedere alle Cure Palliative di pazienti affetti da malattie
cronico-evolutive per le quali non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia stessa o di
un prolungamento significativo della vita. Si tratta di una Legge (Legge 38/2010) fortemente innovativa, non solo in tema di tutela della dignità, autonomia e qualità della vita del malato, ma anche in termini di formazione del personale sanitario. L’art. 8 di tale Legge prevede, infatti, l’individuazione di percorsi formativi progressivi in materia di Cure Palliative affinché, in linea con le raccomandazioni dell’European Association for Palliative Care (EAPC), oltre alla formazione di competenze specifiche, si diffonda in ambito sanitario una cultura palliativa quale patrimonio di tutti i professionisti della salute che operano nei diversi setting di cura (European Association dall’European Association for Palliative Care, 2009; Elsner et al., 2009; Ministero della salute, 2018; Ministero della salute, 2017). L’Accordo Stato-Regioni indica gli Infermieri e i Fisioterapisti tra le figure chiave dell’assistenza ai pazienti che necessitano di Cure Palliative. Per questi professionisti l’EAPC suggerisce un percorso formativo articolato su tre livelli diversificati di approfondimento, in quanto “non tutti gli operatori necessitano di una formazione della stessa natura e dello stesso livello, sia perché le loro responsabilità nei confronti dei malati e dell’équipe sono diverse e complementari, sia perché sono differenti la tipologia e il numero di malati che assistono”. Il primo livello prevede una formazione essenziale nel campo delle Cure Palliative rivolta a tutti i professionisti sanitari e fornita nei corsi di laurea professionalizzanti. Il secondo livello è finalizzato a far acquisire competenze specifiche in corsi post-base destinati a professionisti che dovranno lavorare nei contesti di Cure Palliative e il terzo livello prevede una formazione avanzata per tutti coloro che nei servizi dedicati dovranno assumere ruoli apicali in ambito clinico, educativo e manageriale. In Italia, nel 2012, è stato istituito il
Master di I livello in Cure Palliative e Terapia del dolore per operatori sanitari in possesso della Laurea di primo livello in Infermieristica, Infermieristica Pediatrica, Fisioterapia e Terapia Occupazionale, per l’acquisizione di competenze specifiche in ambito clinico, comunicativo-relazionale, psicosociale ed etico (DM 14 aprile 2012). Il Master, con ordinamento didattico nazionale, ha costituito, e continua a costituire, un importante laboratorio didattico di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente che, oltre allo sviluppo di competenze specifiche, contribuisce alla sensibilizzazione del mondo universitario verso la necessità di creare percorsi formativi dedicati e progressivi nel campo delle Cure Palliative. Nonostante l’attivazione di questo importante percorso post-base a carattere specialistico, la formazione in Cure Palliative sembra però risentire di un forte ritardo in tutti i corsi di laurea della Facoltà di Medicina. Ad essere carente è proprio quel primo livello di formazione che l’EAPC ritiene essenziale per la diffusione di una cultura palliativa, patrimonio fondamentale di tutti coloro che potranno trovarsi a gestire i bisogni di Cure Palliative nei diversi contesti sanitari, a prescindere dai profili professionali e dalle diverse tipologie di specializzazione. La necessità di una formazione base congruente con le responsabilità proprie di ciascun profilo viene sostenuta anche dall’OMS nella 67a assemblea mondiale sulla salute del 2014 (World Health Organization, 2014).

Già da tempo, molti paesi del Nord America (Canada, Stati Uniti) (Ferrell, Mazanec, Malloy, & Virani, 2018; Rietze, Tschanz, & Richardson, 2018), dell’Europa (Spagna, Portogallo) (Martins Pereira & Hernández-Marrero, 2016; Valles Martinez & Garcia Salvador, 2013), l’Australia (Malone, Anderson, & Croxon, 2016), dell’Asia (Youssef, Mansour, Al-Zahrani, Ayasreh, & Abd El-Karim, 2015) hanno inserito contenuti specifici di Cure Palliative (Gillan, van der Riet, & Jeong, 2014) nei curricula accademici degli infermieri, fisioterapisti (Veqar, 2016) e terapisti occupazionali (Meredith, 2010).

 In Italia, gli unici dati sugli insegnamenti in materia di Cure Palliative nei corsi di laurea delle professioni sanitarie risalgono ad uno studio del 2014 che ha evidenziato, nei soli CdL in Infermieristica, una diffusione eterogenea, con insegnamenti esclusivamente teorici della durata di poche ore (Mastroianni et al., 2019).

Nel 2018 il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), con la nota n. 13244 del 26 Aprile, inviava una raccomandazione indirizzata ai Corsi di Laurea (CdL) in Infermieristica, Infermieristica Pediatrica, Fisioterapia e Terapia Occupazionale per l’integrazione immediata dell’insegnamento delle Cure Palliative nei loro piani didattici.

Il 15 maggio 2018 la Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS) approvava una mozione in cui si esprimeva a favore della raccomandazione del MIUR e sollecitava i Coordinatori/Presidenti dei Corsi di Laurea della prima e seconda classe ad integrare i piani di studio con specifiche attività/programmi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore, inserendo nella Scheda Unica Annuale (SUA) i relativi risultati di apprendimento attesi.

Successivamente ha avviato una web survey nazionale esplorativa allo scopo di rilevare presso gli Atenei italiani il recepimento di dette raccomandazioni. Questo studio ne descrive il metodo e i risultati.

Metodo


Da febbraio a marzo 2019 è stato condotto uno sondaggio telematico trasversale su un campione di convenienza di CdL in Infermieristica, Infermieristica pediatrica, Fisioterapia e Terapia occupazionale.

Questionario

Un gruppo di esperti della CPCLPS ha sviluppato un questionario strutturato in 9 items: di cui 7  items a risposta chiusa e 2 a risposta aperta breve.  Il questionario ha rilevato le seguenti informazioni:

a) la presenza nella Scheda Unica Annuale degli  obiettivi formativi inerenti le Cure Palliative (quadro  A4b2);

b) la presenza/assenza nel piano di studi di   insegnamenti e/o moduli specifici per Cure Palliative;

c) l’anno di corso in cui viene impartito l’insegnamento, i Settori Scientifici Disciplinari (SSD)   di riferimento e i relativi CFU;

d) gli ambiti di tirocinio;

e) le metodologie didattiche utilizzate. Tutti  gli items sono stati caricati sul sito Web di Google  Forms, uno strumento gratuito per la creazione di   moduli di sondaggi online (https://docs.google.com/forms/u/0/). Il questionario richiedeva circa  30 minuti per essere completato.

Web survey

Una lettera di accompagnamento contenente un  collegamento ipertestuale al sondaggio è stata inviata per e-mail ai direttori delle Università italiane  dove sono attivi i CdL in Infermieristica, Infermieristica pediatrica, Fisioterapia e Terapia occupazionale. Il completamento del sondaggio implicava il  consenso alla partecipazione. Per ciascun input è stato verificato il terminale  sorgente attraverso la rilevazione del rispettivo codice di Internet Protocol Access, in modo da individuare e risolvere eventuali duplicazioni di compilazione generate per errore ovvero compilazioni che   potessero condizionare o alterare la validità della rilevazione. Non sono stati offerte ricompense per la  partecipazione alla web survey. L’identità di ciascun  organo partecipante è stata mantenuta riservata durante la raccolta e l’analisi dei dati.  I risultati della survey sono stati riportati seguendo la Checklist for Reporting Results of Internet E-Surveys (CHERRIES) (Eysenbach, 2004).

Analisi statistica

Google Forms ha automaticamente convertito ogni questionario in file Excel (Microsoft, Seattle, WA) e ogni questionario è stato controllato per potenziali incongruenze durante questo processo di conversione. I dati sono stati analizzati tramite il software statistico SPSS versione 22 calcolando le frequenze e le percentuali per le variabili categoriche e le medie e le deviazioni standard per quelle continue.

Risultati

Analisi del campione

Il campione di convenienza è rappresentato da 72 sedi dei CdL dislocate nelle regioni del nord, centro e sud Italia (vedi Tabella 1).


Tabella 1: Sedi di CdL partecipanti alla web-survey per area geografica
Presenza nella scheda SUA degli obiettivi formativi inerenti le Cure Palliative

L’inserimento nella SUA (quadro A4b2) degli obiettivi formativi inerenti l’àmbito delle Cure  Palliative, era prevista in 31 sedi (43%) mentre  in 18 (25%) si dichiarava di prevederne l’inserimento nel successivo anno accademico (vedi  Tabella 2).

Presenza nel piano di studi di insegnamenti e/o moduli specifici per Cure Palliative e CFU assegnati

Quarantadue sedi (58%) dichiaravano di aver già inserito l’insegnamento di Cure Palliative e di queste: 31 del CdL in Infermieristica, 5 del CdL in Fisioterapia, 4 del CdL in Terapia occupazionale e 2 del CdL in Infermieristica pediatrica. Queste sedi hanno denominato l’insegnamento o il modulo specifico per le Cure Palliative in modi differenti: nel CdL in Infermieristica l’insegnamento era frequentemente denominato “Infermieristica clinica nella cronicità e disabilità” (33%) e in genere era associato al modulo “Infermieristica clinica in Medicina e Cure Palliative”. Altro modo di denominare l’insegnamento, prevalentemente nelle sedi del Nord Italia, era “Scienze cliniche dell’Area medicospecialistica” che veniva in genere associato al modulo “Infermieristica Oncologica nelle Cure Palliative”.

Nel CdL in Terapia occupazionale la metà delle sedi dichiarava di aver denominato l’insegnamento “Metodologie riabilitative e occupazionali in medicina del lavoro” che comprendeva il modulo “Psicologia sociale delle Cure Palliative”. Questo CdL è stato l’unico ad avere in tutte e 4 le sedi un insegnamento e un modulo denominato Cure Palliative. Inoltre, in una sede del CdL in Infermieristica e in una di Fisioterapia venivano segnalate specifiche attività seminariali.

Delle 30 sedi (30/72) che dichiaravano di non avere un insegnamento o modulo specifico di Cure Palliative, 25 sedi (34,72%) affermavano che argomenti specifici erano inseriti all’interno dei programmi/syllabus di altri insegnamenti. Queste sedi erano 13 del CdL in Infermieristica, 3 del CdL in Infermieristica pediatrica e 9 sedi del CdL in Fisioterapia (vedi Tabella 3).

I CdL di Infermieristica (18 sedi su 30 rispondenti) e Fisioterapia (5 sedi su 8 rispondenti) hanno dichiarato di attribuire prevalentemente 1 CFU all’insegnamento di Cure Palliative mentre i CdL di Terapia Occupazionale dichiarano di attribuirne più di uno (2 sedi su 3 rispondenti).


Tabella 2: Inserimento degli Obiettivi Formativi per l’insegnamento di Cure Palliative nella scheda SUA
Tabella 3: Argomenti di Cure Palliative trattati nei programmi/syllabus di altri insegnamenti (N=24 sedi)
Collocazione nel triennio degli insegnamenti di Cure Palliative durante gli anni di corso e SSD attivati

Gli insegnamenti di Cure Palliative sono svolti prevalentemente nel secondo anno di corso per Infermieristica (33 sedi su 47 rispondenti); nel terzo anno per Fisioterapia (8 sedi su 16 rispondenti) e Terapia Occupazionale (4 sedi su 4 rispondenti); sia durante il secondo che durante il terzo anno (3 sedi su 5 rispondenti) per Infermieristica Pediatrica I SSD a cui è affidato l’insegnamento sono vari. In particolare, sono stati indicati i seguenti SSD:

MED/45, MED/48, MED/06, MED/41 dai CdL in Infermieristica; MED/45 e M-PSI/01 dai CdL in Infermieristica pediatrica; MED/09, MED/48, MED/06, MED/41 dai CdL in Fisioterapia e MED/48, MED/06 dai CdL in Terapia Occupazionale.

Ambiti di tirocinio

Il tirocinio specifico di Cure Palliative è garantito a tutti gli studenti in 16 sedi (26%); in 39(64%) viene effettuato solo da coloro che ne fanno richiesta o secondo la disponibilità della sede; invece, in 6 sedi (10%) non è previsto nessun tirocinio specifico (vedi Tabella 3a). Nelle sedi dei CdL che prevedono il tirocinio in Cure Palliative, esso viene svolto in vari setting della rete: hospice, assistenza domiciliare, ambulatorio di cure palliative, day hospice, ospedale, ambulatorio di terapia del dolore, casa di riposo con team di cure palliative (vedi Tabella 3b).


Tabella 3a: Tirocinio specifico di Cure Palliative (61 sedi rispondenti su 72 sedi)

Tabella 3b: Ambiti di tirocinio specifico di Cure Palliative (53 sedi rispondenti su 72 sedi)
Metodologie didattiche utilizzate per l’insegnamento

Le modalità didattiche più utilizzate dai CdL sono le lezioni frontali (46%), le discussioni di casi (49%) o l’utilizzo di filmati (36%).

Tutte le altre modalità come seminari, discussioni di gruppo o project based learning sono utilizzate in tutti i CdL tranne in quello di Fisioterapia.
Una delle sedi didattiche del Nord Italia del CdL in Infermieristica dichiara di utilizzare l’approccio della simulazione.

Discussione

La survey nazionale, condotta dalla Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS), evidenzia come la raccomandazione del MIUR n. 13244 del 2018, finalizzata a diffondere la formazione in Cure Palliative nei Corsi di Laurea nelle Professioni sanitarie (Infermieri, Infermieri Pediatrici, Fisioterapisti e Terapisti Occupazionali), sia stata positivamente accolta da una buona parte dei CdL. Infatti, il 43% di essi ha previsto l’inserimento dei relativi obiettivi formativi nella SUA già dall’Anno Accademico (A.A.) 2018/2019, mentre il 25% prevede di inserirli entro il successivo A.A. Inoltre, i dati mostrano una crescente attenzione dei CdL verso la diffusione di una cultura professionale in Cure Palliative: più della metà dei CdL (58%), già negli anni precedenti, aveva inserito l’insegnamento di Cure Palliative (CP) nei relativi piani di studio, anche se denominandolo diversamente, e il 35% aveva comunque compreso alcuni degli argomenti inerenti le Cure palliative nei programmi/syllabus di insegnamenti diversi. Gli argomenti trattati in questi programmi corrispondono a quelli suggeriti dall’Europen Association for Palliative Care (De Vlieger, Gorchs, Larkin, & Porchet, 2008; Elsner et al., 2009): definizione di cure palliative, dolore, sintomi neuro-psicologici (agitazione, confusione ecc.), gestione di altri sintomi (dispnea, nausea, ecc.), etica e diritto, vissuto di pazienti, famiglie e caregiver informali, abilità comunicative. Tali tematiche costituiscono i contenuti essenziali utili ad orientare gli studenti a riconoscere il bisogno di Cure Palliative in tutti i contesti sanitari e a fornire un’assistenza adeguata a garantire il sollievo dal dolore e dagli altri sintomi nel pieno rispetto della dignità dei pazienti, indipendentemente dagli ambiti assistenziali in cui i professionisti sono chiamati ad operare.

Tuttavia, non tutti i CdL sono pronti a valorizzare le Cure Palliative nei propri piani di studio. Non tutte le sedi hanno attivato corsi specifici e, a livello nazionale, la formazione teorico-pratica si muove in maniera disomogenea a favore delle sedi del Nord soprattutto per le esperienze di tirocinio. Tale situazione sembra coincidere con la disomogenea diffusione dei Master sul territorio nazionale (Ministero della Salute, 2010), discretamente presenti nel centro nord e scarsamente attivi nel sud e nelle isole (libro bianco).

La maggior parte delle sedi di CdL (64%) dichiara di organizzare il tirocinio su richiesta del singolo studente mentre nel 26% delle sedi si programma un tirocinio per tutti gli studenti del corso. Le due opzioni indicano orientamenti formativi diversi: il primo lascia intendere il tirocinio in Cure Palliative come un’occasione per sviluppare alcune competenze considerate specialistiche soltanto per quegli studenti che ne segnalano uno specifico interesse, il secondo fa pensare che il tirocinio in CP venga considerato un’esperienza essenziale che contribuisce alla formazione di competenze core di tutti i laureati sanitari. In entrambi i casi, c’è comunque da considerare la carenza generale delle sedi di tirocinio, dei tutor, delle facilitazioni didattiche presenti nei servizi di Cure Palliative, quali hospice, assistenze domiciliari, ambulatori ospedalieri, ed al limite che hanno le singole sedi di accogliere un gran numero di studenti.

L’insegnamento nei CdL in Infermieristica e Infermieristica Pediatrica è affidato prevalentemente ai Settori Scientifico Disciplinare (SSD) MED/45 (Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche) e MED/06 (Oncologia Medica), mentre per quanto riguarda Fisioterapia e Terapia Occupazionale il SSD più utilizzato è stato il MED/48 (Scienze infermieristiche e tecniche neuro-psichiatriche e riabilitative). Questi risultati evidenziano che la maggior parte dei CdL stanno cercando di modulare l’insegnamento delle Cure Palliative all’interno dei piani di studio, con l’obiettivo di definirne e stabilizzarne tempi, contenuti e modalità all’interno di quei SSD che maggiormente richiamano competenze disciplinari proprie dei singoli profili professionali, data la mancanza di un SSD per le Cure Palliative. Di fatto l’importanza di competenze in Cure palliative è sottolineata per gli infermieri sia dal Profilo Professionale (D.M. n. 739 del 14 settembre 1994), dove viene ribadita la natura palliativa dell’assistenza, sia dal Codice deontologico che prescrive, tra l’altro, come ogni infermiere debba attivarsi “per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza dei pazienti”, adoperandosi affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari, nel pieno rispetto della sua autonomia e dei suoi valori, e lavorando con un forte orientamento interprofessionale nella rete dei servizi sociali e sanitari; mentre per i fisioterapisti il Codice Deontologico al Capo III, Art.34 dispone, in particolare, che essi si adoperino per garantire ad ogni persona la tutela e la promozione della qualità della vita in tutte le fasi, fino al suo termine, garantendo gli interventi necessari ad alleviare la sofferenza e a tutelare la dignità e l’autonomia della persona umana.

Per quanto riguarda i Terapisti occupazionali, i risultati della survey mostrano che il relativo CdL, è stato l’unico ad avere in tutte le sedi un insegnamento e un modulo specifico in questo ambito. Gli altri SSD a cui viene affidato l’insegnamento sono quelli maggiormente affini, quali la Medicina Interna MED/09, l’Oncologia MED/06 e l’Anestesiologia MED/41 (DM 4/10/2000) che nelle loro Declaratorie contengono un riferimento specifico alle Cure Palliative, ma potrebbero essere presenti anche SSD quali la Neurologia, l’Ematologia, la Radioterapia, le Malattie Infettive, considerate specializzazioni equipollenti dal DM 28 marzo 2018. La varietà dei SSD coinvolti nell’insegnamento delle Cure Palliative non ne facilità lo sviluppo organico soprattutto considerando che i relativi contenuti possono essere trattati sia nella descrizione di traiettorie di malattie quali quelle oncologiche, da insufficienza d’organo o neurovegetative, sia come cure specialistiche da destinare ai pazienti complessi, resi tali non tanto dalla patologia originaria, quanto dalle loro caratteristiche personali (vedi “coping”, resilienza, vulnerabilità, dipendenza, ecc.), dalla instabilità, imprevedibilità e gravità dei bisogni espressi, dalle interazioni tra la persona, la famiglia e il team curante, dalla disponibilità e dal coordinamento delle reti di supporto (Gruppo di lavoro FCP-SICP “Complessità e Reti di Cure Palliative”).

Limiti

I dati inseriti sono auto-riportati e quindi aperti ai bias dei rispondenti.

Conclusioni

La survey fornisce una prima descrizione sulla risposta delle Università alla raccomandazione del Miur relativa all’introduzione di percorsi formativi in Cure palliative nei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie.

A seguito della mozione della CPCLPS, alcuni CdL stanno via via provvedendo all’adeguamento dei propri piani di studio, introducendo nella SUA obiettivi formativi inerenti la palliazione e il fine vita. La survey evidenzia anche che alcuni CdL avevano provveduto a introdurre tali contenuti già nei programmi degli anni precedenti, a dimostrazione di una discreta sensibilità su tali argomenti tra le professioni sanitarie.

I risultati di questa survey lasciano intravedere uno sviluppo delle tematiche inerenti le Cure Palliative sia all’interno di insegnamenti sull’assistenza alla cronicità e all’inguaribilità, sia all’interno di insegnamenti specifici. La varietà dei settori scientifico disciplinari coinvolti sono espressione evidente della trasversalità delle cure palliative, ma evidenziano, probabilmente, anche la necessità di un loro riconoscimento all’interno di un settore scientifico disciplinare ben distinto per definire e stabilizzare le competenze specifiche di cui sono portatrici. Un altro risultato della survey che merita un’attenzione particolare è quello relativo ai tirocini. Le esperienze, piuttosto difformi, rilevate tra le varie sedi dei CdL fanno riflettere sulla necessità di poter offrire a tutti gli studenti opportunità concrete di tirocini omogenei in cui misurarsi con le più comuni problematiche della palliazione e del fine vita, affinché siano in grado di affrontare tali situazioni in tutti i contesti di cura in cui si troveranno ad operare come futuri professionisti. L’attuale disomogeneità di sviluppo della rete di cure palliative nelle diverse regioni del nostro Paese può essere considerata tra le cause di scarsa condivisione di esperienze formative a livello nazionale. Inoltre, dai dati rilevati si evidenzia una generalizzata assenza di esperienze di formazione interprofessionale che è verosimilmente espressione di una più diffusa insufficienza di modelli didattici integrati nei contesti dei CdL delle nostre Università. L’agire interprofessionale dovrebbe essere annoverato tra le principali competenze del professionista della salute, soprattutto nei contesti di cura della cronicità e della palliazione, e tali competenze dovrebbero essere sviluppate fin dal contesto formativo di base, attraverso metodologie innovative e coerenti con le finalità della pratica interprofessionale.

Vale la pena ricordare che il 1° agosto 2018 la Direzione del MIUR ha formalizzato la costituzione del Gruppo di Lavoro composto da esperti dei settori di Cure Palliative e Terapia del Dolore il cui mandato è stato quello di definire, tra l’altro, i concetti fondamentali di progettazione formativa (competenze, abilità, obiettivi) e la definizione della articolazione delle metodologie didattiche insite nei CFU. Tale riferimento può essere di stimolo e guida per i CdL che vorranno implementare le esperienze formative in questo settore, anche in termini di interprofessionalità, per dare piena attuazione al disposto dell’articolo 8 della legge 38.

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Affiliazioni e autori

De Marinis M.G, Facchinetti G.
Unità di Ricerca Scienze Infermieristiche, Università Campus Bio-Medico di Roma

Lommi M.
Università di Roma Tor Vergata

Saiani L.
Università degli Studi di Verona

L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativin.58, 2013, pp.2586-2591, DOI: 10.4487/medchir2013-58-6

Abstract

The importance of interprofessional practice is motivated by the impact that chronic diseases have on health systems and the dissemination of organizational models primary care-oriented. The World Health Organization (WHO) awarded to Interprofessional Education (IE) a crucial role in building the capacities needed to “work together” to meet the needs of the population. From the first experiments to date, interest in the FI has continued to grow among educators and researchers: were developed objectives, methodologies and evaluation forms that allow you to have interesting didactic models of IE. However, many barriers stand in the way for an effective realization of the IE. A particularly crucial element is represented by the expertise of teachers in inter-professional education which must be acquired through specific development initiatives and upgrade. Although the literature provides many examples of IE, further methodologically rigorous studies are required to confirm the positive conclusions that we now have, both in terms of actual change in students’ behaviors and results in terms of health and well-being of patients. However, the results of IE can be achieved successfully only if interprofessional practice is supported by the finding of a genuine integration between health policy and education policy.

Articolo

Introduzione

L’attuale quadro epidemiologico è caratterizzato da una prevalenza di malattie cronico-degenerative sia in termini di diffusione che di gravità dei quadri clinici ad essi connessi1. La multifattorialità eziologica e l’impossibilità di ottenere la completa restitutio ad-integrum, come risultato della cura o, almeno, come esito di un singolo intervento curativo, fanno di tali malattie un rilevante problema di carattere sanitario, sociale ed economico. Per poterle fronteggiare, sono necessari approcci unitari e globali di cura basati sull’utilizzo coordinato di risorse afferenti non solo al sistema sanitario, ma anche ad altri settori della società2. Per gli operatori della salute, la necessità di fornire risposte appropriate alla domanda di salute espressa dai pazienti con tali malattie, implica la ricerca di nuovi rapporti di collaborazione ed integrazione, anche sotto forma di nuove modalità organizzative ed assistenziali, rispetto a quelle offerte tradizionalmente dagli ospedali per acuti in cui una certa concezione riduzionistica della malattia ha generato la parcellizzazione degli interventi sanitari. A tale parcellizzazione ha contribuito anche l’esponenziale sviluppo  della medicina, i cui elevati e complessi livelli del sapere hanno costretto ad una ridistribuzione e ad un utilizzo delle conoscenze tra molteplici discipline e professioni che perseguono obiettivi comuni. Le malattie cronico-degenerative vengono curate meglio se affrontate simultaneamente ed in modo integrato. In quest’ottica la pratica interprofessionale può offrire importanti contributi al superamento di quegli approcci che scompongono i problemi di salute nei suoi costituenti più elementari, affrontandoli per parti e perdendone la visione d’insieme3. L’Interprofessionalità rende manifesto e ri-compone in nuove forme il contributo delle diverse professionalità di risposte ai complessi bisogni di salute dei pazienti.

L’Interprofessionalità  rimanda necessariamente ad una impostazione metodologica del sapere e del fare che può esprimersi solo attraverso una rete di relazioni tra professionisti. A cominciare dalla formazione di base delle professioni della salute.

Le ragioni della Formazione Interprofessionale: la pratica interprofessionale

La pratica interprofessionale è una modalità di definizione e gestione di problemi in cui le parti coinvolte ne individuano i diversi aspetti, ne esplorano costruttivamente le differenze e cercano soluzioni che vanno ben oltre la visione personale di cosa sia possibile fare4. E’ costruita intorno a concetti di condivisione di valori, di presa di decisioni e di responsabilità. Presuppone rapporti autentici e costruttivi basati su onestà, fiducia e rispetto reciproci. La premessa della pratica interprofessionale è che ogni componente del team sia a conoscenza del contributo specifico che gli altri possono apportare e che ciascuno sia predisposto a valorizzare i contributi e le prospettive degli altri professionisti con cui collabora.

Secondo l’OMS, nei prossimi decenni, le patologie cronico-degenerative continueranno ad essere le principali cause di disabilità e di morte.  Il prendersi cura di persone affette da tali malattie sarà una sfida che i sistemi sanitari del XXI secolo dovranno affrontare con grande incisività5, trasferendo le cure dall’ospedale ai servizi territoriali e superando il modello monosettoriale che caratterizza l’assistenza ospedaliera.

Oramai il sapere scientifico a cui attingere per la cura di malati così complessi è talmente vasto da non poter caratterizzare in maniera esaustiva l’intervento di un singolo professionista della salute. Lo stesso affermarsi di una concezione della salute che considera la malattia l’espressione di una complessa interazione di fenomeni e di esperienze che coinvolgono globalmente la persona malata, mette l’accento sulla necessità di superare  modelli parcellizzati di interventi sanitari a favore di approcci maggiormente integrati realizzabili attraverso la pratica collaborativa.

L’OMS dà indicazione di alcuni ambiti particolarmente sensibili alla pratica interprofessionale6 (Tab 1). Nello scenario globale, uno di questi è rappresentato dall’area materno-infantile che ogni giorno è colpita da un elevata mortalità causata da complicazioni da parto. I dati allarmanti e prevedibili delle statistiche sulla mortalità materno-infantile possono essere efficacemente abbattute, secondo l’OMS, dalla gestione integrata dei problemi di salute della famiglia da parte di operatori sanitari ben addestrati a lavorare in gruppi interprofessionali. Una seconda area considerata sensibile alla pratica interprofessionale è quella relativa a malattie quali HIV/AIDS, tubercolosi e malaria. L’integrazione ed il coordinamento dei diversi gruppi professionali, capaci di adattare i loro interventi di prevenzione e trattamento alle peculiarità dei contesti locali, sono di fondamentale importanza per il successo dei programmi di prevenzione e trattamento, finalizzati a ridurre la diffusione e la quota di decessi  causati da tali malattie.

Salute pubblica relativa a famiglia e comunità
 HIV/AIDS, tubercolosi e malaria
 Emergenze e crisi umanitarie
 Epidemie e pandemie

Tab. 1 – Contesti/problemi sensibili all’approccio interprofessionale (OMS 2010).

Una terza area riguarda tutte quelle situazioni di crisi umanitarie e di conflitto per le quali sono richieste risposte ben pianificate e coordinate, peculiari dei contesti di emergenza in cui, spesso, è necessario superare anche le esigenze più elementari di approvvigionamento di acqua, cibo e medicinali con un buon impiego delle risorse e dei mezzi disponibili all’interno dei sistemi sanitari locali e delle comunità interessate6. Le situazioni sopra accennate sono tutte caratterizzate da bisogni molto diversificati e fortemente instabili che vanno affrontati con risposte interprofessionali ben integrate con il territorio, conformi ed adeguate ai contesti ambientali, orientate a garantire la sicurezza del singolo e delle comunità ed a ottimizzare le risorse sanitarie, spesso limitate e insoddisfacenti, dei paesi in cui si verificano.

In letteratura, i risultati della pratica interprofessionale sono valutati da diversi punti di vista. Ad oggi i dati forniti dalla ricerca suggeriscono che il lavoro basato sul team può massimizzare e rafforzare le competenze di ciascun professionista e migliorare l’efficienza dei processi assistenziali, quando il gruppo interprofessionale è in grado di ridurre la sovrapposizione di servizi e interventi, di applicare modelli di cura condivisi, di realizzare una maggiore continuità e un miglior coordinamento delle cure e di coinvolgere i paziente nel processo decisionale. La pratica interprofessionale può risultare utile anche per rafforzare l’adesione alla mission istituzionale ed evitare disaffezione per il lavoro; può contribuire a mitigare la migrazione della forza lavoro sanitaria perchè determina una  maggiore soddisfazione degli operatori sanitari quando riescono effettivamente a lavorare in team6.

Non sono molte le esperienze che dimostrano l’effettivo contributo della pratica interprofessionale ad una migliore accessibilità e coordinamento dei servizi, all’uso appropriato delle risorse specialistiche, al miglioramento degli esiti assistenziali ed alla sicurezza dei pazienti.  L’esiguità di studi sugli outcome clinici7 può essere attribuito alla difficoltà nel controllo di variabili legate ai meccanismi relazionali e valoriali che sottendono i meccanismi processuali della risposta globale alle cure. Tuttavia i risultati documentati in letteratura incoraggiano a proseguire nella verifica di tali esiti e a procedere negli sforzi necessari a costruire le competenze utili a “lavorare insieme”.

Definizione ed obiettivi

L’agire interprofessionale dovrebbe essere annoverato tra le principali competenze del professionista della salute da sviluppare fin dal contesto formativo di base attraverso metodologie innovative e coerenti con le finalità della pratica interprofessionale da applicare ai processi di cura, di assistenza e di riabilitazione.

L’OMS conferisce alla Formazione Interprofessionale (FI) un ruolo primario  per preparare gli studenti delle professioni sanitarie alla pratica interprofessionale2. La prima esperienza di FI risale al 1986 quando l’Università Linköping in Svezia iniziò ad implementare l’educazione interprofessionale per gli  studenti  della Facoltà di Scienze della Salute con la programmazione di percorsi formativi specifici e con l’attivazione di un reparto a conduzione interprofessionale8. Nello stesso periodo, nel Regno Unito viene fondato il Center for the Advancement of Interprofessional Education (CAIPE) organismo indipendente che associa organizzazioni professionali e universitarie interessate allo sviluppo della pratica interprofessionale e della qualità dell’assistenza erogata da professionisti che abbiano appreso a lavorare insieme. Il CAIPE ha continuato nel tempo a sostenere e a diffondere l’approccio interprofessionale alla formazione e alle cure sanitarie, sia in ambito nazionale che internazionale9. Negli anni 2000, la Formazione Interprofessionale si è andata consolidando in termini di quantità e qualità di esperienze. Un numero sempre crescente di paesi ha iniziato a focalizzarsi sulla prospettiva interprofessionale per rinnovare i propri sistemi sanitari. Intorno al tema dell’Interprofessionalità sono nate riviste, associazioni e network (Tab 2). Ad oggi, l’interesse per la FI continua a crescere all’interno delle politiche sanitarie, tra i formatori ed i ricercatori per avviarsi a diventare caratteristica dominante della formazione contemporanea in sanità10.

Nel Report del 1988 “Learning together to work together”, l’OMS ne ha legittimato la finalità: “la Formazione Interprofessionale assicura ai professionisti della salute la capacità di lavorare insieme per incontrare i bisogni della popolazione”. Nel 1997,  la FI è stata definita dal CAIPE una situazione di apprendimento che si verifica “… quando due o più professioni apprendono con, da e su ognuna di esse con l’obiettivo di migliorare la collaborazione e la qualità della cura” (Fig. 1). Alla FI viene dunque affidato il compito di implementare le competenze basate su cooperazione, assertività, responsabilità, autonomia, comunicazione, coordinamento, fiducia e rispetto reciproco11 attraverso un approccio globale alla formazione che coinvolge non solo l’aspetto cognitivo degli studenti, ma che mette in gioco tutte le potenzialità della persona in formazione. Gli obiettivi specifici della FI sono così riassunti da D’Amour et al.12: volontà a lavorare insieme, fiducia nella propria ed altrui competenza, rispetto reciproco, conoscenza del contributo alla cura del paziente delle altre figure professionali. Per la realizzazione di tali finalità, si tratta di andare oltre la formalità  dei “corsi integrati” – che spesso si sono rivelati molto lontani da un dialogo interdisciplinare – per  realizzare una feconda sinergia tra docenti e discipline e costruire una modalità di approccio formativo che consenta agli studenti di esplorare le infinite modalità con cui il paziente incontra la sua malattia anche attraverso il confronto con altri approcci di cura e di valutare di volta in volta le soluzioni più idonee ed appropriate in un ottica multidimensionale e globale, con un pensiero che non separa o riduce, ma contestualizza e collega ciò che è complesso.

I metodi ed i contesti

A dimostrazione della diffusione della FI, è da notare che il termine “patient care team” è tra le key words della banca dati PUbmed da circa 40 anni13. La maggior produzione di studi riguardanti la FI proviene dagli USA (54%) e dal Regno Unito (35%). La durata delle esperienze di FI è > 2 giorni in quasi tutti i casi (54% >7gg; 24% 2-7gg). La FI viene condotta sia in ospedale che sul territorio. È rivolta a medici ed infermieri in più dell’80% delle esperienze14.

La ricerca di settore indica che la FI è maggiormente efficace quando vengono utilizzati i principi dell’apprendimento degli adulti, quando i metodi di apprendimento riflettono le reali esperienze degli studenti e favoriscono le loro interazioni. Molte di queste esperienze sono infatti informate da strategie di progettazione e di insegnamento basate sulla teoria di apprendimento degli adulti15, sul coinvolgimento emotivo e cognitivo del gruppo come strumento di apprendimento e sull’apprendimento come processo di modellamento tra un modello osservato e un discente osservatore. Dentro questi riferimenti teorici vengono utilizzati metodi di apprendimento attivo quali il Problem Based Learning e le discussioni di casi clinici in piccoli gruppi così caratterizzati: gruppi in cui sono rappresentati in modo equilibrato tutte le diverse figure professionali in formazione16; gruppi stabili con 8-10 studenti17 in modo da favorire  una certa conoscenza reciproca18. Nel piccolo gruppo gli studenti possono analizzare le storie dei pazienti e i diversi aspetti di un problema di salute partendo dalle specifiche prospettive professionali, ma individuando soluzioni capaci di superare i confini ed i limiti di modelli e strumenti su cui ogni professionista basa la propria attività e le proprie modalità comunicative.

Australasian Interprofessional Practice and Education Network (AIPPEN) http://www.aippen.net/
Canadian Interprofessional Health Collaborative (CIHC) http://www.cihc.ca/
European Interprofessional Education Network (EIPEN) http://www.eipen.eu/
National Health Sciences Students’ Association in Canada (NaHSSA) http://www.who.int/workforcealliance/members_partners/member_list/nhssa/en/index.html
The Network: Towards Unity for Health. http://www.the-networktufh.org/
Nordic Interprofessional Network (NIPNet) http://nipnet.org/
Centre for the Advancement of Interprofessional Education (CAIPE) http://www.caipe.org.uk/

Tab. 2 – Organizzazioni internazionali.

I contesti di tirocinio che maggiormente offrono un terreno favorevole allo sviluppo di atteggiamenti e competenze interprofessionali sono identificati negli ambiti della Geriatria19, della Primary Health Care20, della Rural Medicine21,  della Medicina Riabilitativa22. Sono in definitiva rappresentati da tutti quei contesti dove la qualità delle relazioni e dei processi supera con più facilità le asimmetrie di potere a favore di strategie di negoziazione e di costruzione di comuni obiettivi. L’apprendimento risulta più efficace quando gli studenti si inseriscono in ambienti favorevoli ai rapporti, alle relazioni e ai contatti umani, in cui si evitano tutte quelle situazioni di anonimato e di indifferenza così frequenti nelle aule, nelle segreterie e, ancor peggio, nei contesti di tirocinio che reclamano, tra gli obiettivi dichiarati, la competenza comunicativa ma dove spesso non c’è alcuna traccia di ascolto e di comunicazione con cui lo studente possa confrontarsi e sperimentarsi. Il clima educativo, caratterizzato da collaborazione e supporto tra docenti, studenti, tutor e quanti partecipano quotidianamente alla vita universitaria con responsabilità non solo formative, ma anche organizzative, dovrebbe permettere allo studente di muoversi all’interno di una progettualità formativa in maniera flessibile, ma soprattutto dovrebbe diventare l’immagine di quell’ambiente che lui stesso dovrà ricreare intorno al paziente nel futuro esercizio professionale. Condizioni particolarmente fertili alla Formazione Interprofessionale sono anche attribuite a quell’ampia gamma di attività extracurricolari23 che gli studenti delle diverse professioni possono condividere al di fuori dei momenti di formazione formale e che vanno dalla musica, allo sport, alla condivisione di progetti di volontariato e di cooperazione internazionale.

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Fattori ostacolanti e favorenti

La letteratura descrive numerosi fattori che ostacolano la realizzazione di un approccio formativo così complesso quale è quello della FI.  Parsell & Bligh24 li riassumono  nelle seguenti tipologie: strutturali (es.: la mancanza di spazi idonei e di risorse finanziarie); legati agli atteggiamenti (es.: le resistenze al cambiamento); curriculari (es.: la rigidità dei piani di studio, la scarsa formazione dei docenti); disciplinari (es.: approcci riduzionisti alla conoscenza, la mancanza di conoscenza di altre professioni).

Tra gli elementi che influiscono positivamente sullo sviluppo della FI, alcuni autori individuano la competenza acquisita in materia di educazione interprofessionale dai docenti stessi attraverso specifici corsi14. Su questo aspetto, l’OMS sollecita i paesi interessati a potenziare programmi di FI per docenti con lo scopo di dotarli di conoscenze, abilità e attitudini per promuovere l’apprendimento interprofessionale tra gli studenti sia in ambito clinico sia in aula. In particolare, si suggerisce che la formazione dei docenti comprenda focus specifici sui cambiamenti attitudinali, sulla comprensione dei ruoli e delle responsabilità degli altri professionisti sanitari e sull’acquisizione di abilità interprofessionali da applicare in quelle stesse aree utilizzate per la formazione degli studenti6. Steinert25  raccomanda che i programmi formativi per i docenti ruotino intorno a tre argomenti chiave: gli atteggiamenti che impediscono il successo della pratica interdisciplinare; la padronanza della didattica interdisciplinare, la conoscenza degli elementi di progettazione curriculari. In definitiva, la FI, per gli obiettivi che persegue e le metodologie che utilizza, richiede ai docenti una professionalità nuova, che non può essere improvvisata, ma che va acquisita soprattutto attraverso specifiche iniziative di formazione e di aggiornamento. Essa è frutto di integrazione di competenze scientifico-culturali con competenze psicopedagogiche sostenute dal vivo interesse dei docenti per gli studenti da formare.  Il docente deve aver ben chiaro che la FI richiede, come tutti i compiti didattici: 1. l’assunzione di un modello antropologico che metta bene in risalto come il soggetto della formazione sia tutto lo studente e non solo la sua sfera cognitiva; 2. l’utilizzo di metodologie didattiche che spostino l’attenzione dall’insegnamento allo studente e ai suoi processi di apprendimento; 3. un forte orientamento etico che deve restituire a ciascuno dei protagonisti (docente-studente) la responsabilità del processo, invitandoli a confrontarsi con la ricaduta dei risultati nei confronti del paziente26. Gli sforzi dei docenti devono essere naturalmente accolti in un contesto di Facoltà e di Ateneo decisamente orientato a creare opportunità di apprendimento collaborativo, a potenziare i team ed ogni iniziativa di collaborazione, a sostenere programmi di implementazione della didattica interprofessionale.

I risultati

Alla ricchezza delle proposte formative interprofessionali descritte in letteratura, non sempre corrisponde la valutazione critica dei suoi risultati soprattutto in termini di ricadute sulla salute.  E’ vero che la valutazione in ambito formativo si confronta con numerose limitazioni per lo più legate alla complessità delle realtà di apprendimento e non sempre riconducibili alla semplicità univoca degli indicatori. Tutta la ricerca in campo educativo risente di problematiche non facilmente risolvibili, come la mancanza di strumenti idonei a documentare i risultati ottenuti; i campioni numericamente limitati per ragioni etiche, metodologiche e pratiche; la difficile costituzione di gruppi di controllo per l’impossibilità a riprodurre situazioni formative pressoché identiche; la difficoltà di riproducibilità per le particolari caratteristiche del fattore umano, tipico di ogni ricerca in campo educativo, che, a parità di protocollo, modifica intrinsecamente la composizione del gruppo, le dinamiche relazionali e le logiche di cooperazione/competizione26.

Le esperienze valutative della FI  puntano maggiormente al gradimento degli studenti.  La revisione di  Hammick M, et al.14 sull’esperienze di FI evidenzia che essa è generalmente ben accolta dai partecipanti e consente agli studenti di apprendere le conoscenze e le competenze dei diversi professionisti, ma è meno in grado di influenzare in modo positivo gli atteggiamenti e le percezioni verso gli altri componenti del team. Nel quadro delle iniziative di miglioramento della qualità, la Formazione Interprofessionale è spesso consigliata per migliorare lo sviluppo della pratica e dei servizi. Tuttavia si suggerisce di documentare con maggior dettaglio le strategie che possono contribuire al cambiamento degli atteggiamenti, anche adottando modalità comuni per la valutazione dei risultati prodotti dalla FI ed aprendo l’analisi ai contesti di pratica simulati e reali, fino ad osservare i risultati sul paziente e sulle modalità di erogazione delle cure nei servizi sanitari.

Per approcci valutativi maggiormente comparabili, Hammick suggerisce di utilizzare i 4 livelli di valutazione proposti di Kirkpatrick che prevedono, al primo livello, la valutazione delle opinioni degli studenti sulle esperienze di apprendimento interprofessionale; al secondo livello la valutazione delle modifiche negli atteggiamenti o nelle percezioni reciproche tra i gruppi di partecipanti alla FI; al terzo livello la valutazione del cambiamento effettivo dei comportamenti attraverso l’applicazione dell’apprendimento interprofessionale negli ambienti di lavoro con conseguenti modifiche dei modelli organizzativi; infine, al quarto livello, i vantaggi ottenuti dai pazienti dall’applicazione dei contenuti della FI in termini di salute e benessere.

Conclusioni

L’impegno profuso dai contesti educativi per attivare programmi di Formazione Interprofessionali basati su specifici obiettivi, su adeguate metodologie e su appropriate forme di valutazione non può essere disgiunto da quello profuso dai contesti assistenziali per realizzare una pratica interprofessionale funzionale  ed appropriata alla gestione dei nuovi bisogni di salute della popolazione ed in particolare dei pazienti affetti da malattie cronico-degenerative. “Learning together to work together for better health” è quanto è stato ribadito dall’OMS nel 2010 per ciò che riguarda la FI: la volontà di formare le competenze dell’agire interprofessionale è giustificata esclusivamente dalla volontà di perseguire una reale integrazione dell’atto sanitario per una migliore gestione dei problemi di salute.  Ed è difficile pensare ad un risultato di questo tipo senza tentare di dare anche un decisivo impulso ad una chiara ed esplicita integrazione delle politiche che regolano i contesti formativi e sanitari del nostro Paese.

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Cita questo articolo

de Marinis M.G., de Marinis M.C., L’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativiL’interprofessionalità come risposta unitaria e globale ai problemi di salute: obiettivi, metodologie e contesti formativi, Medicina e Chirurgia, 58: 2586-2591, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-6

I master di cure palliative e terapia del doloren.55, 2012, pp.2436-2438, DOI: 10.4478/medchir2012-55-2

Gruppo di lavoro MIUR/Ministero della Salute, coordinato dal Presidente del CUN Prof. Andrea Lenzi

Abstract

The educational programs of post-graduate courses (master’s degrees) in palliative care and pain treatment have been recently approved by the Ministry of Health and the Ministry of Education.

For the first time, post-graduate training programs are regulated by national rules. Only Universities experienced in educational activities in palliative care are authorized to organize the courses. The Universities should have also specific agreements with certified structures like hospices or home care organizations. The professional training on field must cover the half of the overall courses.

The approval of such master’s degrees grants the availability of well trained professionals, nurses and physicians, aiming at working in the palliative care area.

Articolo

Nella Gazzetta Ufficiale n°89 del 16 aprile sono stati pubblicati i decreti che regolano la costituzione e la attivazione dei master di primo e di secondo livello in cure palliative e in terapia del dolore. Gli ordinamenti didattici sono stati studiati in un tavolo di lavoro congiunto MURST e Ministero della Salute così come previsto dalla Legge 38 del 15 marzo 2010.

Questa realizzazione riveste un significato particolare in quanto per la prima volta nel nostro ordinamento, master universitari vengono regolamentati da un decreto ministeriale che si proietta su tutto il territorio nazionale. Da oggi in poi i master che riguardano l’area della cure palliative dovranno rispondere ai requisiti previsti dai decreti per poter essere riconosciuti validi ai fini di una attività clinica nel settore.

I master sono cinque, un master di primo livello in cui si formano infermieri dell’adulto, fisioterapisti e infermieri pediatrici, e quattro master di secondo livello, uno per psicologi e tre di alta formazione e qualificazione in cure palliative dell’adulto, cure palliative pediatriche, terapia del dolore (Tab. 1). Questi ultimi master sono riservati a laureati in medicina e chirurgia che abbiano conseguito una specializzazione. Con questa scelta si è voluto rimarcare la necessità di distinguere categorie di professionisti con curricula e ruoli ben definiti.

Il master di secondo livello in cure palliative dell’adulto della durata di due anni rende molto vicina la caratterizzazione di questo master a quello che sta avvenendo in tutto il mondo occidentale con le sub-specialità. La struttura didattica è stata infatti costruita in analogia con i piani didattici di sub-specialità o di specializzazioni in Europa. La quota di attività professionalizzanti, come per gli altri master, è pari alla metà dei crediti formativi previsti per tutto il corso. Non si tratta di master veramente professionalizzante ma la denominazione di “Alta Professione e Qualificazione”, denominazione estesa al master di terapia del dolore e al master di cure palliative pediatriche, lo rende diverso dagli altri master universitari. Questa peculiare certificazione va nella direzione voluta da una Legge che chiede rigore e ordine nello sviluppo delle cure palliative nel nostro Paese e va anche incontro alle aspettative del mondo professionale delle cure palliative e della società scientifica (SICP) che ne sostiene gli sforzi culturali e organizzativi, e che ha favorito le condizioni per la creazione degli ordinamenti didattici voluti dalla Legge. La durata dei corsi può essere abbreviata se durante la scuola di specializzazione è stato seguito un piano formativo in cure palliative che sia riconosciuto dal consiglio didattico del master. Le scuole di specializzazione nelle discipline che consentono la ammissione ai corsi, che sono quelle previste dalla Legge 38, possono impostare nell’ultimo biennio indirizzi formativi in cure palliative. Per queste scuole sarebbe utile discutere sulla creazione di indirizzi formativi che abbiano una radice didattica comune sia sul piano formale che su quello professionalizzante1. I decreti stabiliscono anche che abbreviazioni di corso possono essere concesse a chi ha già svolto un master in cure palliative e a chi ha già una esperienza professionale documentata in attività di cure palliative domiciliari o residenziali.

Tabella 1 – Master riportati dal decreto pubblicato in GU il 16 aprile 2012

 Il master di cure palliative dell’adulto è organizzato in modo tale da dare spazio anche ad altre discipline che in un futuro, non molto lontano si spera, possano essere la base portante di interventi assistenziali per persone affette da diverse patologie inguaribili. Già la selezione delle specialità di accesso ma anche la struttura dell’ordinamento didattico apre alla possibilità di formare professionisti coinvolti in cure palliative non solo oncologiche come avviene prevalentemente oggi.

Con la identificazione di master di alta formazione e qualificazione in cure palliative pediatriche viene sottolineata una parte importante della Legge 38. L’Italia è uno dei pochi Paesi che riconosce l’importanza delle cure palliative del bambino. In questo settore, anche per grande merito delle associazioni che si dedicano all’area pediatrica, si riconosce che le cure palliative pediatriche non sono una ramificazione delle cure palliative dell’adulto, ma sono una entità culturale e operativa del tutto differente con problematiche cliniche e relazionali molto diverse da quelle dell’adulto. Quindi bene che il mondo del bambino inguaribile venga riconosciuto e un master specifico ne sottolinei la peculiarità.

Tabella 2 – Criteri per l’attivazione dei master e caratteristiche dei piani di formazione

Così pure il master di terapia del dolore che copre un’area specifica prevista dalla Legge che separa i centri delle cure palliative da quelli delle cure del dolore pur ravvisandone aree di sovrapposizione, anche queste regolamentate. Questo master ha durata di un anno essendo riservato a specialisti che hanno già seguito un piano di attività formative che rientra negli obiettivi del master ed esplicitato bene nel decreto.

Tra i master di secondo livello è stato inserito anche un master, della durata di un anno, riservato a Psicologi. Il master sottolinea il ruolo portante che tali figure professionali hanno nell’ambito delle cure palliative e delinea la necessità di una formazione il più possibile omogenea in tale settore.

Il master di I livello in Cure Palliative e Terapia del Dolore, per Infermieri, Infermieri Pediatrici, Fisioterapisti e Terapisti Occupazionali, risponde alle esigenze di approfondimento ed espansione delle competenze degli operatori sanitari impegnati nell’assistenza a pazienti affetti non solo da malattia oncologica, ma anche da patologie inguaribili degli apparati respiratorio, neurologico, cardiovascolare o infettive e rimasti finora ai margini delle reti di cura. Sulla base di questa spiccata impostazione interprofessionale, la sfida del master è quella di individuare ed utilizzare metodologie didattiche attive che consentano agli studenti di confrontarsi su problematiche assistenziali con le competenze specifiche dei diversi profili, ma in un’ottica di forte integrazione professionale per il raggiungimento di comuni obiettivi di cura. La interprofessionalità, oltre a rappresentare un valore fondante delle cure palliative e della terapia del dolore, è considerata un’efficace modalità per il raggiungimento degli obiettivi assistenziali e per la riduzione dei costi in qualsiasi contesto di cura. La sfida dovrà essere raccolta non solo dalle Facoltà di Medicina, ma anche dalle strutture di tirocinio, alle quali è richiesto il possesso di specifici requisiti, al fine di trasformare i crediti di formazione professionalizzante previsti dall’ordinamento didattico in concrete e significative occasioni di sviluppo integrato delle competenze scientifiche e delle qualità umane dei professionisti della salute.

Non tutte le Università saranno in condizione di potere attivare i corsi di master, ma solo quelle che hanno una esperienza almeno triennale di master nel settore o di corsi di alta formazione (Tab. 2). Inoltre saranno autorizzate solo le Università che possono contare su contratti codificati di collaborazione con certificate strutture assistenziali di cure palliative, nelle quali potere svolgere la attività professionalizzanti. Questi criteri di selezione non escludono tutte le Università che non abbiano tali caratteristiche in quanto sono previste aggregazioni e comunque le Università che desiderano costruire master in cure palliative avranno tre anni in cui attivare corsi qualificanti e convenzioni con strutture del SSN.

Il corpo docente come di consueto dovrà essere costituito al 50% da docenti universitari, ma soprattutto nell’area delle cure palliative, sino ad oggi poco considerata dalla Accademia, il contributo di docenti esterni alla Università è particolarmente utile per una adeguata educazione e formazione (Moroni M, Bolognesi D, Muciarelli PA, Abernethy AP, Biasco G. Investment of Palliative Medicine in bridging the Gap with Academia: a call to Action. Eur J Cancer 2011; 47: 491-495). Il riconoscimento ufficiale di ordinamenti didattici viene peraltro incontro ad una esigenza culturale forte che si esprime sulla organizzazione assistenziale nel settore. Proprio perché nate sul territorio, le cure palliative hanno avuto una crescita eterogenea appoggiate a corsi di formazione spontanei, spesso diversi. Questo ha portato allo sviluppo di una cultura palliativa negli operatori del settore che, essendo diversa, crea soluzioni assistenziali differenti e rende debole la possibilità di affermazione delle cure palliative nel mondo della medicina. Da questo punto di vista, la creazione di master omogenei fornisce un contributo per la realizzazione di un mondo di professionisti con una cultura omogenea e quindi con maggiore possibilità di fare massa, guadagnare forza e disegnare proposte operative uniformi.

Il mondo delle cure palliative si caratterizza, forse più che altri settori, per una esigenza di multidisciplinarietà e multiprofessionalità. La collaborazione stretta che si realizza tra medici, infermieri, psicologi, e altri operatori sanitari nella assistenza alla persona con malattia degenerativa cronica inguaribile è uno dei punti di forza della organizzazione clinica delle cure palliative. La separazione in master potrebbe sembrare una separazione culturale della diverse professionalità. In realtà nella creazione di un ordinamento didattico che pur essendo omogeneo e dettagliato nella distinzione delle discipline che lo compongono lascia uno spazio di flessibilità per la scelta della durata dei diversi insegnamenti. Questo dà la possibilità alle Università in cui verranno attivati master sia di primo che di secondo livello di creare corsi comuni ai due master. In ogni caso è garantito un momento culturale comune nella fase del periodo professionalizzante, che corrisponde alla metà di tutto il periodo formativo, in cui la formazione del medico o quella dell’infermiere si confrontano sul campo della impostazione clinica e delle decisioni terapeutiche. Si ribadisce peraltro che la creazione di master di secondo livello per medici specialisti avvicina molto il master ad una sub-specialità, quindi all’Europa.

In conclusione, la realizzazione di master di primo e secondo livello in cure palliative e terapia del dolore rappresenta il riconoscimento del mondo accademico di una necessità culturale e formativa di crescente importanza, nel rispetto delle indicazioni fornite dalla legge 38. Oggi, a normativa vigente, essere riusciti ad ottenere un riconoscimento normato da un decreto deve essere considerato un ottimo risultato, un primo gradino solido per ottenere certificazioni professionalizzanti, nel quadro di una revisione globale delle Scuole.

Per consolidare il risultato è auspicabile che una Conferenza Permanente dei Direttori di Master si impegni a garantire una didattica omogenea e a controllare la applicazione dei Decreti con site visit e progress test dedicati.

Il riconoscimento ministeriale potrebbe peraltro portare all’ampliamento dell’area “palliativa” nel mondo della medicina accademica. Da tempo si riconoscono esigenze di formazione pre-laurea,  specialistica  e non specialistica, gli studenti lo richiedono e si iscrivono a corsi elettivi. Ma la cultura palliativa anche prima della laurea dovrebbe essere omogenea così come viene fatto in altre nazioni e non lasciata alla pulsione individuale. È un completamento opportuno a quella organizzazione culturale che i master, così disegnati, hanno iniziato.

Ringraziamenti

Si ringrazia il Prof. Andrea Lenzi per il coordinamento del gruppo di lavoro e le Dott.sse Teresa Cuomo, Maria Zilli del MURST e Egle Parisi del Ministero della Salute per il fondamentale contributo nella definizione degli aspetti normativi.

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Biasco, G., Amato, F., Amore, F., Cetto, G., de Marinis, M.G., Melotti, R.M., I Master di cure palliative e terapie del dolore, Medicina e Chirurgia, 55: 2436-2438, 2012. DOI: 10.4448/medchir2012-55-2