Le Cure Palliative nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarien 86, 2021 pp 3826-3833

Abstract

The Permanent Conference of the Degree Courses of the
Health Professions has carried out a descriptive analysis to detect the implementation of MIUR recommendations no. 13244 of 2018 for immediate integration into the teaching plans the field of Palliative Care. On the basis of the information provided by a convenience sample made up of 72 degree course locations, it should be noted that 43% of the sample had already entered training objectives on palliative care in the SUA from the 2018/2019 academic year, while 25% of the degree courses have planned to introduce them within the next academic year. In addition, more than half of the degree courses (58%), in previous years, had already addressed some issues of Palliative Care in different teaching programs.
However, the results show that not all degree courses are yet ready to enhance Palliative Care in their training curriculum and that theoretical-practical training turns out to be uneven in favour of the northern courses location. The inhomogeneity of palliative care network in Italian regions can be considered among the causes of lack of sharing of training experiences at national level. Furthermore, the data collected shows a generalized absence of interprofessional training experiences which is probably the expression of a more widespread insufficiency of integrated teaching models in the university contexts.


Keywords: Education, Palliative Care, Healthcare Professions

Articolo

Introduzione

Circa 20 milioni di persone in tutto il mondo necessitano di Cure Palliative, intese come cure attive e globali che superano il tradizionale approccio bio-medico, ponendo un’attenzione spiccata anche verso le componenti psicologiche, sociali e spirituali (Moroni, Bolognesi, Muciarelli, Abernethy, & Biasco, 2011) che influiscono sulla qualità di vita di pazienti affetti da malattie gravi ed incurabili e delle loro famiglie (Connor & Bermedo, 2014; Hoerger, Wayser, Schwing, Suzuki, & Perry, 2019). Le Cure Palliative rispondono alla complessità dei bisogni assistenziali di tali pazienti mediante un approccio di cura interdisciplinare (World Health Organization, 2019), quale modalità privilegiata per una più completa ed articolata comprensione delle effettive condizioni del malato e per interventi sinergici tra professionisti con competenze diversificate, capaci di includere nella progettazione del lavoro di cura anche pazienti e familiari.

In Italia, la legge n. 38 del 15 marzo 2010 (Legge 38/2010) (G.U. 19 marzo 2010, n. 65), nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, afferma il diritto ad accedere alle Cure Palliative di pazienti affetti da malattie
cronico-evolutive per le quali non esistono terapie o, se esistono, sono inadeguate o inefficaci ai fini della stabilizzazione della malattia stessa o di
un prolungamento significativo della vita. Si tratta di una Legge (Legge 38/2010) fortemente innovativa, non solo in tema di tutela della dignità, autonomia e qualità della vita del malato, ma anche in termini di formazione del personale sanitario. L’art. 8 di tale Legge prevede, infatti, l’individuazione di percorsi formativi progressivi in materia di Cure Palliative affinché, in linea con le raccomandazioni dell’European Association for Palliative Care (EAPC), oltre alla formazione di competenze specifiche, si diffonda in ambito sanitario una cultura palliativa quale patrimonio di tutti i professionisti della salute che operano nei diversi setting di cura (European Association dall’European Association for Palliative Care, 2009; Elsner et al., 2009; Ministero della salute, 2018; Ministero della salute, 2017). L’Accordo Stato-Regioni indica gli Infermieri e i Fisioterapisti tra le figure chiave dell’assistenza ai pazienti che necessitano di Cure Palliative. Per questi professionisti l’EAPC suggerisce un percorso formativo articolato su tre livelli diversificati di approfondimento, in quanto “non tutti gli operatori necessitano di una formazione della stessa natura e dello stesso livello, sia perché le loro responsabilità nei confronti dei malati e dell’équipe sono diverse e complementari, sia perché sono differenti la tipologia e il numero di malati che assistono”. Il primo livello prevede una formazione essenziale nel campo delle Cure Palliative rivolta a tutti i professionisti sanitari e fornita nei corsi di laurea professionalizzanti. Il secondo livello è finalizzato a far acquisire competenze specifiche in corsi post-base destinati a professionisti che dovranno lavorare nei contesti di Cure Palliative e il terzo livello prevede una formazione avanzata per tutti coloro che nei servizi dedicati dovranno assumere ruoli apicali in ambito clinico, educativo e manageriale. In Italia, nel 2012, è stato istituito il
Master di I livello in Cure Palliative e Terapia del dolore per operatori sanitari in possesso della Laurea di primo livello in Infermieristica, Infermieristica Pediatrica, Fisioterapia e Terapia Occupazionale, per l’acquisizione di competenze specifiche in ambito clinico, comunicativo-relazionale, psicosociale ed etico (DM 14 aprile 2012). Il Master, con ordinamento didattico nazionale, ha costituito, e continua a costituire, un importante laboratorio didattico di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente che, oltre allo sviluppo di competenze specifiche, contribuisce alla sensibilizzazione del mondo universitario verso la necessità di creare percorsi formativi dedicati e progressivi nel campo delle Cure Palliative. Nonostante l’attivazione di questo importante percorso post-base a carattere specialistico, la formazione in Cure Palliative sembra però risentire di un forte ritardo in tutti i corsi di laurea della Facoltà di Medicina. Ad essere carente è proprio quel primo livello di formazione che l’EAPC ritiene essenziale per la diffusione di una cultura palliativa, patrimonio fondamentale di tutti coloro che potranno trovarsi a gestire i bisogni di Cure Palliative nei diversi contesti sanitari, a prescindere dai profili professionali e dalle diverse tipologie di specializzazione. La necessità di una formazione base congruente con le responsabilità proprie di ciascun profilo viene sostenuta anche dall’OMS nella 67a assemblea mondiale sulla salute del 2014 (World Health Organization, 2014).

Già da tempo, molti paesi del Nord America (Canada, Stati Uniti) (Ferrell, Mazanec, Malloy, & Virani, 2018; Rietze, Tschanz, & Richardson, 2018), dell’Europa (Spagna, Portogallo) (Martins Pereira & Hernández-Marrero, 2016; Valles Martinez & Garcia Salvador, 2013), l’Australia (Malone, Anderson, & Croxon, 2016), dell’Asia (Youssef, Mansour, Al-Zahrani, Ayasreh, & Abd El-Karim, 2015) hanno inserito contenuti specifici di Cure Palliative (Gillan, van der Riet, & Jeong, 2014) nei curricula accademici degli infermieri, fisioterapisti (Veqar, 2016) e terapisti occupazionali (Meredith, 2010).

 In Italia, gli unici dati sugli insegnamenti in materia di Cure Palliative nei corsi di laurea delle professioni sanitarie risalgono ad uno studio del 2014 che ha evidenziato, nei soli CdL in Infermieristica, una diffusione eterogenea, con insegnamenti esclusivamente teorici della durata di poche ore (Mastroianni et al., 2019).

Nel 2018 il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca (MIUR), con la nota n. 13244 del 26 Aprile, inviava una raccomandazione indirizzata ai Corsi di Laurea (CdL) in Infermieristica, Infermieristica Pediatrica, Fisioterapia e Terapia Occupazionale per l’integrazione immediata dell’insegnamento delle Cure Palliative nei loro piani didattici.

Il 15 maggio 2018 la Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS) approvava una mozione in cui si esprimeva a favore della raccomandazione del MIUR e sollecitava i Coordinatori/Presidenti dei Corsi di Laurea della prima e seconda classe ad integrare i piani di studio con specifiche attività/programmi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore, inserendo nella Scheda Unica Annuale (SUA) i relativi risultati di apprendimento attesi.

Successivamente ha avviato una web survey nazionale esplorativa allo scopo di rilevare presso gli Atenei italiani il recepimento di dette raccomandazioni. Questo studio ne descrive il metodo e i risultati.

Metodo


Da febbraio a marzo 2019 è stato condotto uno sondaggio telematico trasversale su un campione di convenienza di CdL in Infermieristica, Infermieristica pediatrica, Fisioterapia e Terapia occupazionale.

Questionario

Un gruppo di esperti della CPCLPS ha sviluppato un questionario strutturato in 9 items: di cui 7  items a risposta chiusa e 2 a risposta aperta breve.  Il questionario ha rilevato le seguenti informazioni:

a) la presenza nella Scheda Unica Annuale degli  obiettivi formativi inerenti le Cure Palliative (quadro  A4b2);

b) la presenza/assenza nel piano di studi di   insegnamenti e/o moduli specifici per Cure Palliative;

c) l’anno di corso in cui viene impartito l’insegnamento, i Settori Scientifici Disciplinari (SSD)   di riferimento e i relativi CFU;

d) gli ambiti di tirocinio;

e) le metodologie didattiche utilizzate. Tutti  gli items sono stati caricati sul sito Web di Google  Forms, uno strumento gratuito per la creazione di   moduli di sondaggi online (https://docs.google.com/forms/u/0/). Il questionario richiedeva circa  30 minuti per essere completato.

Web survey

Una lettera di accompagnamento contenente un  collegamento ipertestuale al sondaggio è stata inviata per e-mail ai direttori delle Università italiane  dove sono attivi i CdL in Infermieristica, Infermieristica pediatrica, Fisioterapia e Terapia occupazionale. Il completamento del sondaggio implicava il  consenso alla partecipazione. Per ciascun input è stato verificato il terminale  sorgente attraverso la rilevazione del rispettivo codice di Internet Protocol Access, in modo da individuare e risolvere eventuali duplicazioni di compilazione generate per errore ovvero compilazioni che   potessero condizionare o alterare la validità della rilevazione. Non sono stati offerte ricompense per la  partecipazione alla web survey. L’identità di ciascun  organo partecipante è stata mantenuta riservata durante la raccolta e l’analisi dei dati.  I risultati della survey sono stati riportati seguendo la Checklist for Reporting Results of Internet E-Surveys (CHERRIES) (Eysenbach, 2004).

Analisi statistica

Google Forms ha automaticamente convertito ogni questionario in file Excel (Microsoft, Seattle, WA) e ogni questionario è stato controllato per potenziali incongruenze durante questo processo di conversione. I dati sono stati analizzati tramite il software statistico SPSS versione 22 calcolando le frequenze e le percentuali per le variabili categoriche e le medie e le deviazioni standard per quelle continue.

Risultati

Analisi del campione

Il campione di convenienza è rappresentato da 72 sedi dei CdL dislocate nelle regioni del nord, centro e sud Italia (vedi Tabella 1).


Tabella 1: Sedi di CdL partecipanti alla web-survey per area geografica
Presenza nella scheda SUA degli obiettivi formativi inerenti le Cure Palliative

L’inserimento nella SUA (quadro A4b2) degli obiettivi formativi inerenti l’àmbito delle Cure  Palliative, era prevista in 31 sedi (43%) mentre  in 18 (25%) si dichiarava di prevederne l’inserimento nel successivo anno accademico (vedi  Tabella 2).

Presenza nel piano di studi di insegnamenti e/o moduli specifici per Cure Palliative e CFU assegnati

Quarantadue sedi (58%) dichiaravano di aver già inserito l’insegnamento di Cure Palliative e di queste: 31 del CdL in Infermieristica, 5 del CdL in Fisioterapia, 4 del CdL in Terapia occupazionale e 2 del CdL in Infermieristica pediatrica. Queste sedi hanno denominato l’insegnamento o il modulo specifico per le Cure Palliative in modi differenti: nel CdL in Infermieristica l’insegnamento era frequentemente denominato “Infermieristica clinica nella cronicità e disabilità” (33%) e in genere era associato al modulo “Infermieristica clinica in Medicina e Cure Palliative”. Altro modo di denominare l’insegnamento, prevalentemente nelle sedi del Nord Italia, era “Scienze cliniche dell’Area medicospecialistica” che veniva in genere associato al modulo “Infermieristica Oncologica nelle Cure Palliative”.

Nel CdL in Terapia occupazionale la metà delle sedi dichiarava di aver denominato l’insegnamento “Metodologie riabilitative e occupazionali in medicina del lavoro” che comprendeva il modulo “Psicologia sociale delle Cure Palliative”. Questo CdL è stato l’unico ad avere in tutte e 4 le sedi un insegnamento e un modulo denominato Cure Palliative. Inoltre, in una sede del CdL in Infermieristica e in una di Fisioterapia venivano segnalate specifiche attività seminariali.

Delle 30 sedi (30/72) che dichiaravano di non avere un insegnamento o modulo specifico di Cure Palliative, 25 sedi (34,72%) affermavano che argomenti specifici erano inseriti all’interno dei programmi/syllabus di altri insegnamenti. Queste sedi erano 13 del CdL in Infermieristica, 3 del CdL in Infermieristica pediatrica e 9 sedi del CdL in Fisioterapia (vedi Tabella 3).

I CdL di Infermieristica (18 sedi su 30 rispondenti) e Fisioterapia (5 sedi su 8 rispondenti) hanno dichiarato di attribuire prevalentemente 1 CFU all’insegnamento di Cure Palliative mentre i CdL di Terapia Occupazionale dichiarano di attribuirne più di uno (2 sedi su 3 rispondenti).


Tabella 2: Inserimento degli Obiettivi Formativi per l’insegnamento di Cure Palliative nella scheda SUA
Tabella 3: Argomenti di Cure Palliative trattati nei programmi/syllabus di altri insegnamenti (N=24 sedi)
Collocazione nel triennio degli insegnamenti di Cure Palliative durante gli anni di corso e SSD attivati

Gli insegnamenti di Cure Palliative sono svolti prevalentemente nel secondo anno di corso per Infermieristica (33 sedi su 47 rispondenti); nel terzo anno per Fisioterapia (8 sedi su 16 rispondenti) e Terapia Occupazionale (4 sedi su 4 rispondenti); sia durante il secondo che durante il terzo anno (3 sedi su 5 rispondenti) per Infermieristica Pediatrica I SSD a cui è affidato l’insegnamento sono vari. In particolare, sono stati indicati i seguenti SSD:

MED/45, MED/48, MED/06, MED/41 dai CdL in Infermieristica; MED/45 e M-PSI/01 dai CdL in Infermieristica pediatrica; MED/09, MED/48, MED/06, MED/41 dai CdL in Fisioterapia e MED/48, MED/06 dai CdL in Terapia Occupazionale.

Ambiti di tirocinio

Il tirocinio specifico di Cure Palliative è garantito a tutti gli studenti in 16 sedi (26%); in 39(64%) viene effettuato solo da coloro che ne fanno richiesta o secondo la disponibilità della sede; invece, in 6 sedi (10%) non è previsto nessun tirocinio specifico (vedi Tabella 3a). Nelle sedi dei CdL che prevedono il tirocinio in Cure Palliative, esso viene svolto in vari setting della rete: hospice, assistenza domiciliare, ambulatorio di cure palliative, day hospice, ospedale, ambulatorio di terapia del dolore, casa di riposo con team di cure palliative (vedi Tabella 3b).


Tabella 3a: Tirocinio specifico di Cure Palliative (61 sedi rispondenti su 72 sedi)

Tabella 3b: Ambiti di tirocinio specifico di Cure Palliative (53 sedi rispondenti su 72 sedi)
Metodologie didattiche utilizzate per l’insegnamento

Le modalità didattiche più utilizzate dai CdL sono le lezioni frontali (46%), le discussioni di casi (49%) o l’utilizzo di filmati (36%).

Tutte le altre modalità come seminari, discussioni di gruppo o project based learning sono utilizzate in tutti i CdL tranne in quello di Fisioterapia.
Una delle sedi didattiche del Nord Italia del CdL in Infermieristica dichiara di utilizzare l’approccio della simulazione.

Discussione

La survey nazionale, condotta dalla Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS), evidenzia come la raccomandazione del MIUR n. 13244 del 2018, finalizzata a diffondere la formazione in Cure Palliative nei Corsi di Laurea nelle Professioni sanitarie (Infermieri, Infermieri Pediatrici, Fisioterapisti e Terapisti Occupazionali), sia stata positivamente accolta da una buona parte dei CdL. Infatti, il 43% di essi ha previsto l’inserimento dei relativi obiettivi formativi nella SUA già dall’Anno Accademico (A.A.) 2018/2019, mentre il 25% prevede di inserirli entro il successivo A.A. Inoltre, i dati mostrano una crescente attenzione dei CdL verso la diffusione di una cultura professionale in Cure Palliative: più della metà dei CdL (58%), già negli anni precedenti, aveva inserito l’insegnamento di Cure Palliative (CP) nei relativi piani di studio, anche se denominandolo diversamente, e il 35% aveva comunque compreso alcuni degli argomenti inerenti le Cure palliative nei programmi/syllabus di insegnamenti diversi. Gli argomenti trattati in questi programmi corrispondono a quelli suggeriti dall’Europen Association for Palliative Care (De Vlieger, Gorchs, Larkin, & Porchet, 2008; Elsner et al., 2009): definizione di cure palliative, dolore, sintomi neuro-psicologici (agitazione, confusione ecc.), gestione di altri sintomi (dispnea, nausea, ecc.), etica e diritto, vissuto di pazienti, famiglie e caregiver informali, abilità comunicative. Tali tematiche costituiscono i contenuti essenziali utili ad orientare gli studenti a riconoscere il bisogno di Cure Palliative in tutti i contesti sanitari e a fornire un’assistenza adeguata a garantire il sollievo dal dolore e dagli altri sintomi nel pieno rispetto della dignità dei pazienti, indipendentemente dagli ambiti assistenziali in cui i professionisti sono chiamati ad operare.

Tuttavia, non tutti i CdL sono pronti a valorizzare le Cure Palliative nei propri piani di studio. Non tutte le sedi hanno attivato corsi specifici e, a livello nazionale, la formazione teorico-pratica si muove in maniera disomogenea a favore delle sedi del Nord soprattutto per le esperienze di tirocinio. Tale situazione sembra coincidere con la disomogenea diffusione dei Master sul territorio nazionale (Ministero della Salute, 2010), discretamente presenti nel centro nord e scarsamente attivi nel sud e nelle isole (libro bianco).

La maggior parte delle sedi di CdL (64%) dichiara di organizzare il tirocinio su richiesta del singolo studente mentre nel 26% delle sedi si programma un tirocinio per tutti gli studenti del corso. Le due opzioni indicano orientamenti formativi diversi: il primo lascia intendere il tirocinio in Cure Palliative come un’occasione per sviluppare alcune competenze considerate specialistiche soltanto per quegli studenti che ne segnalano uno specifico interesse, il secondo fa pensare che il tirocinio in CP venga considerato un’esperienza essenziale che contribuisce alla formazione di competenze core di tutti i laureati sanitari. In entrambi i casi, c’è comunque da considerare la carenza generale delle sedi di tirocinio, dei tutor, delle facilitazioni didattiche presenti nei servizi di Cure Palliative, quali hospice, assistenze domiciliari, ambulatori ospedalieri, ed al limite che hanno le singole sedi di accogliere un gran numero di studenti.

L’insegnamento nei CdL in Infermieristica e Infermieristica Pediatrica è affidato prevalentemente ai Settori Scientifico Disciplinare (SSD) MED/45 (Scienze infermieristiche generali, cliniche e pediatriche) e MED/06 (Oncologia Medica), mentre per quanto riguarda Fisioterapia e Terapia Occupazionale il SSD più utilizzato è stato il MED/48 (Scienze infermieristiche e tecniche neuro-psichiatriche e riabilitative). Questi risultati evidenziano che la maggior parte dei CdL stanno cercando di modulare l’insegnamento delle Cure Palliative all’interno dei piani di studio, con l’obiettivo di definirne e stabilizzarne tempi, contenuti e modalità all’interno di quei SSD che maggiormente richiamano competenze disciplinari proprie dei singoli profili professionali, data la mancanza di un SSD per le Cure Palliative. Di fatto l’importanza di competenze in Cure palliative è sottolineata per gli infermieri sia dal Profilo Professionale (D.M. n. 739 del 14 settembre 1994), dove viene ribadita la natura palliativa dell’assistenza, sia dal Codice deontologico che prescrive, tra l’altro, come ogni infermiere debba attivarsi “per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza dei pazienti”, adoperandosi affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari, nel pieno rispetto della sua autonomia e dei suoi valori, e lavorando con un forte orientamento interprofessionale nella rete dei servizi sociali e sanitari; mentre per i fisioterapisti il Codice Deontologico al Capo III, Art.34 dispone, in particolare, che essi si adoperino per garantire ad ogni persona la tutela e la promozione della qualità della vita in tutte le fasi, fino al suo termine, garantendo gli interventi necessari ad alleviare la sofferenza e a tutelare la dignità e l’autonomia della persona umana.

Per quanto riguarda i Terapisti occupazionali, i risultati della survey mostrano che il relativo CdL, è stato l’unico ad avere in tutte le sedi un insegnamento e un modulo specifico in questo ambito. Gli altri SSD a cui viene affidato l’insegnamento sono quelli maggiormente affini, quali la Medicina Interna MED/09, l’Oncologia MED/06 e l’Anestesiologia MED/41 (DM 4/10/2000) che nelle loro Declaratorie contengono un riferimento specifico alle Cure Palliative, ma potrebbero essere presenti anche SSD quali la Neurologia, l’Ematologia, la Radioterapia, le Malattie Infettive, considerate specializzazioni equipollenti dal DM 28 marzo 2018. La varietà dei SSD coinvolti nell’insegnamento delle Cure Palliative non ne facilità lo sviluppo organico soprattutto considerando che i relativi contenuti possono essere trattati sia nella descrizione di traiettorie di malattie quali quelle oncologiche, da insufficienza d’organo o neurovegetative, sia come cure specialistiche da destinare ai pazienti complessi, resi tali non tanto dalla patologia originaria, quanto dalle loro caratteristiche personali (vedi “coping”, resilienza, vulnerabilità, dipendenza, ecc.), dalla instabilità, imprevedibilità e gravità dei bisogni espressi, dalle interazioni tra la persona, la famiglia e il team curante, dalla disponibilità e dal coordinamento delle reti di supporto (Gruppo di lavoro FCP-SICP “Complessità e Reti di Cure Palliative”).

Limiti

I dati inseriti sono auto-riportati e quindi aperti ai bias dei rispondenti.

Conclusioni

La survey fornisce una prima descrizione sulla risposta delle Università alla raccomandazione del Miur relativa all’introduzione di percorsi formativi in Cure palliative nei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie.

A seguito della mozione della CPCLPS, alcuni CdL stanno via via provvedendo all’adeguamento dei propri piani di studio, introducendo nella SUA obiettivi formativi inerenti la palliazione e il fine vita. La survey evidenzia anche che alcuni CdL avevano provveduto a introdurre tali contenuti già nei programmi degli anni precedenti, a dimostrazione di una discreta sensibilità su tali argomenti tra le professioni sanitarie.

I risultati di questa survey lasciano intravedere uno sviluppo delle tematiche inerenti le Cure Palliative sia all’interno di insegnamenti sull’assistenza alla cronicità e all’inguaribilità, sia all’interno di insegnamenti specifici. La varietà dei settori scientifico disciplinari coinvolti sono espressione evidente della trasversalità delle cure palliative, ma evidenziano, probabilmente, anche la necessità di un loro riconoscimento all’interno di un settore scientifico disciplinare ben distinto per definire e stabilizzare le competenze specifiche di cui sono portatrici. Un altro risultato della survey che merita un’attenzione particolare è quello relativo ai tirocini. Le esperienze, piuttosto difformi, rilevate tra le varie sedi dei CdL fanno riflettere sulla necessità di poter offrire a tutti gli studenti opportunità concrete di tirocini omogenei in cui misurarsi con le più comuni problematiche della palliazione e del fine vita, affinché siano in grado di affrontare tali situazioni in tutti i contesti di cura in cui si troveranno ad operare come futuri professionisti. L’attuale disomogeneità di sviluppo della rete di cure palliative nelle diverse regioni del nostro Paese può essere considerata tra le cause di scarsa condivisione di esperienze formative a livello nazionale. Inoltre, dai dati rilevati si evidenzia una generalizzata assenza di esperienze di formazione interprofessionale che è verosimilmente espressione di una più diffusa insufficienza di modelli didattici integrati nei contesti dei CdL delle nostre Università. L’agire interprofessionale dovrebbe essere annoverato tra le principali competenze del professionista della salute, soprattutto nei contesti di cura della cronicità e della palliazione, e tali competenze dovrebbero essere sviluppate fin dal contesto formativo di base, attraverso metodologie innovative e coerenti con le finalità della pratica interprofessionale.

Vale la pena ricordare che il 1° agosto 2018 la Direzione del MIUR ha formalizzato la costituzione del Gruppo di Lavoro composto da esperti dei settori di Cure Palliative e Terapia del Dolore il cui mandato è stato quello di definire, tra l’altro, i concetti fondamentali di progettazione formativa (competenze, abilità, obiettivi) e la definizione della articolazione delle metodologie didattiche insite nei CFU. Tale riferimento può essere di stimolo e guida per i CdL che vorranno implementare le esperienze formative in questo settore, anche in termini di interprofessionalità, per dare piena attuazione al disposto dell’articolo 8 della legge 38.

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Affiliazioni e autori

De Marinis M.G, Facchinetti G.
Unità di Ricerca Scienze Infermieristiche, Università Campus Bio-Medico di Roma

Lommi M.
Università di Roma Tor Vergata

Saiani L.
Università degli Studi di Verona

Clinical Learning Quality Evaluation Index per la valutazione della qualità dell’apprendimento clinico degli studenti infermieri e raccomandazioni di utilizzon.83, 2019, pp. 3685-3693, DOI: 10.4487/medchir2019-83-3

Abstract

Introduzione. I Corsi di StudioinInfermieristica (CdSI) italiani hanno bisogno di strumenti di valutazione dei tirocini per raccogliere le opinioni degli studenti. Esistono diversi strumenti per valutare la qualità degli ambienti di tirocinio clinico; tuttavia, molti hanno dei limiti e non misurano la qualità dell’apprendimento clinico.

Obiettivo. Obiettivo di questo contributo è (a) presentare lo strumento sviluppato e validato nel contesto italiano attraverso un progetto di rilevanza nazionale riportando anche la sintesi delle prove di validità emerse, ed (b) offrire una serie di raccomandazioni per il suo utilizzo.

Metodi. Dopo aver creato una rete di progetto denominata SVIAT, ‘Strumento Italiano per la valutazione dei tirocini clinici’, è stato sviluppato e condotto uno studio nazionale di validazione dello strumento CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index; quindi, dopo un anno di esperienza applicativa dello strumento, sono state identificate le raccomandazioni di utilizzo dello strumento.

Risultati: Alla validazione hanno partecipato 9607 studenti infermieri di 27 sedi universitarie italiane su 43 considerate (62.8%). Le proprietà psico- metriche dello strumento sono risultate da buone a eccellenti: lo strumento finale è composto da 22 item e 5 fattori: a) qualità delle strategie tutoriali, b) opportunità di apprendimento; c) sicurezza e qualità dell’assistenza; d) auto-apprendimento; e) qualità dell’ambiente di apprendimento. Lo strumento è accompagnato da un set di raccomandazioni di utilizzo al fine di una sua completa integrazione del sistema di valutazione della qualità di un CdS.

Conclusioni. Lo strumento è già utilizzato in molte sedi. Il suo utilizzo guidato dalle raccomandazioni assicura opportunità di confronto tra sedi di tirocinio di uno stesso corso e tra corsi di studio diversi; aiuta nella valutazione degli effetti delle strategie di miglioramento attivate e nell’individuazione del fabbisogno formativo dei tutor/assistenti di tirocinio

Parole chiave: qualità apprendimento clinico; studenti infermieristica; formazione infermieristica; questionario di valutazione; strumento; validità; affidabilità

Introduction. In the last years, among Italian nursing programs, the need to introduce tools eva- luating the quality of clinical learning as perceived by nursing students has emerged. Some nursing programs have developed specific tools, while others have adopted tools validated and then translated from other languages. However, limitations of these tools have emerged in their daily use, thus suggesting the need to develop a new tool capable of evaluating the quality of clinical learning as experienced by nursing students.

Aim. This paper has the purpose of summarizing (a) the national project aimed at developing and validating a new instrument capable of measuring the clinical learning quality as experienced by nursing students during their rotations; (b) the practical recommendations of the tool as emerged after one year from implementation.

Methods. After having developed a national network named SVIAT, ‘Italian Instrument Evaluating the quality of clinical placements”, a validation study has been designed and performed to assess the psychometric properties of the CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index. After one year of experience, a set of practical recommendations have been identified.

Results. 9607 nursing students attending their nursing education in 27 universities out of 43 (62.8%) participated. The psychometric properties of the new instrument ranged from good to excellent. According to the findings, the tools consist in 22 items and five factors: a) quality of the tutorial strategies, b) learning opportunities; c) safety and nursing care quality; d) self-direct learning; and e) quality of the learning environment. The CLEQI tool should be used followed specific recommendations aimed at including it in the quality evaluation systems available in the nursing programs.

Discussion. The tool is already used in different universities. Its systematic adoption may support comparison among settings offered by the same program and across different nursing programs; moreover, the tool may also support evaluating new settings as well as measuring the effects of strategies aimed at improving the quality of clinical learning experience of nursing students.

Keywords: Clinical learning; Clinical learning quality; Nursing education; Nursing student; Questionnaires; Validity; Reliability

Articolo

Introduzione

Nel 2015/16, con un progetto di rilevanza nazionale condotto con il supporto della Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie (CPCLPS), è stato sviluppato e validato il CLEQI, Clinical Learning Quality Evaluation Index. Da molti anni, infatti, i Corsi di Studio in Infermieristica (CdSI) italiani avevano l’esigenza di dotarsi di strumenti di valutazione dei tirocini per raccogliere la percezione degli studenti e individuare aree di miglioramento: tuttavia, considerati i limiti degli strumenti disponibili1-2, il gruppo di progetto aveva deciso di andare oltre, sviluppando e validando uno strumento capace di misurare quanto un contesto di tirocinio èin grado di generare apprendimenti signi- ficativi; ovvero, intercettare se ed in quale intensità, sono presenti nell’esperienza clinica degli studenti, i fattori che influenzano gli esiti dell’apprendimento clinico,3,4-5 superando la semplice valutazione del livello di gradimento dei tirocini.
Dopo aver creato una rete di ricerca denominata ‘SVIAT’ (‘Strumento Italiano per la valutazione dei tirocini clinici’)3 organizzata su due livelli (Comitato Scientifico, vedi autori; e Rete di ricerca SVIAT, vedi Box1) si erano avviate le azioni per svilupparee validare uno strumento di misurazione della qualità percepita dell’apprendimento clinico
(a) per tutti i contesti frequentati dagli studenti in- fermieri: ospedali, residenziali e di comunità;
(b) adattabile ai diversi modelli tutoriali universi- tari presenti nel territorio nazionale (studenti affidati auntutoruniversitariochefrequentaanchelaclinica; studente affidato ad un infermiere di reparto che ha ricevuto preparazione ed incarico specifici; studente affidato al teamo all’infermiere coordinatore),6-7
(c) da proporre a livello nazionale anche per altre professioni e coinvolgendo anche gli studenti Erasmusal fine di procedere ad una validazione internazionale che è in corso; (d) capace di considerare anche il punto di vista degli studenti che sono stati generalmente esclusi
nelle validazioni degli strumenti disponibili2 e, infine, (e) parsimonioso nel numero di item: sono numerosi oggi i questionari a cui gli studenti devono
rispondere in ambito accademico.

Obiettivo di questo contributo è (a) presentare lo strumento nel suo sviluppo metodologico riportando anche la sintesi delle prove di validità emerse, ed (b) offrire una serie di raccomandazioni per il suo utilizzo.

Metodi

Dopo aver ottenuto l’approvazione del Comitato Etico dell’Università degli studi di Milano, è stato sviluppato uno strumento sulla base: a) di quelli disponibili in letteratura e validati anche in altre professioni; b) della letteratura sull’apprendimento clinico, e c) dell’esperienza di un gruppo multidisciplinare di esperti che includeva anche studenti3. Per la sua validazione è stato chiesto il supporto alla Commissione Nazionale dei Corsi di laurea in Infermieristica(CdSI) della CPCLPS che aveva invitato a partecipare allo studio tutti i corsi italiani (43 università, 208 sedi). In ciascuna sede erano eleggibili gli studenti che avevano concluso o stavano per concludere un’esperienza continuativa di tirocinio; mentre non lo erano gli studenti che avevano interrotto l’esperienza di tirocinio, che avevano svolto il tirocinio all’estero o che non avevano dato il loro consenso. Dopo aver illustrato le finalità dello studio, lo strumento è stato somministrato con modalità decise localmente (cartacea o piattaforma online). Per esplorare, (a) l’affidabilità test-retest; (b) la validità di criterio e (c) la validità discriminante3 in alcune sedi sono stati inclusi i Tutor, in altre lo strumento è stato somministrato due volte a distanza di una settimana, e in altre ancora è stato somministrato contemporaneamente al CLES (Clinical Learning Environment and Supervision) ed il CLES+T (Clinical Learning Environment + nurse Teacher)3; per un sottogruppo di studenti erano stati raccolti gli esiti dei tirocini (superato/non superato, nonché la valutazione ottenuta intrentesimi) espres- sa dai Tutor Universitari e Clinici.
Nella prima fasedi sviluppo dello strumento8 erano state sviluppate alcune raccomandazioni di utilizzo che sono state riviste nel corso di una conferenza di rilevanza nazionale svoltasi il 25 giugno 2019 presso l’Università di Verona sul tema “Il tirocinio nei CdS in Infermieristica e qualità dell’apprendimento clinico”, in cui la rete di ricerca SVIAT con la Commissione Nazionale dei CdSI alla presenza anche di numerosi componenti di altre commissioni nazionali CPCLPS ha dibattuto il suo concreto utilizzo alla luce dell’esperienza di alcune Università dopo oltre un
anno di concreta applicazione.

Risultati

Lo strumento CLEQI

Hanno partecipato allo studio di validazione oltre 10,000 studenti rendendo disponibili 9,607 questionari provenienti da 27 sedi universitarie sulle 43 (62.8%) italiane censite nell’anno accademico 2015/16.

Al momento della compilazione gli studenti partecipanti stavano svolgendo tirocini mediamente di cinque settimane (Deviazione Standard [DS] 2.81) in cui erano stati affidati in larga parte a un infermiere di riferimento (5090; 53.0%), in misura inferiore al team degli infermieri (3804; 39.7%) e al coordinatore della struttura/servizio che li assegnava di volta in volta agli infermieri in turno (405; 4.2%). In minima parte lo studente era stato seguito dal Tutor Universitario (165;1.7%) o era stato affidato all’infermiere coordinatore (93; 12.0%) (missing: 49; 0.5%). Complessivamente, il 67.7% (6506) aveva espresso la valutazione sul tirocinio ospedaliero appena concluso; il 30.1% (2892) per quello svolto in comunità e in minima parte (1.6%; 153) in casa di riposo (missing: 56, 0.6%). Le prove di validità condotte sullo strumento CLEQI sono sintetizzate nella Tabella 1.
Sulla base di tali prove, lo strumento nella sua versione definitiva è composto da 22 item e cinque fattori (Tabella 2) che riflettono quanto la letteratura suggerisce nella progettazione e conduzione dell’insegnamento
clinico e non la “piacevolezza dell’ambiente” : (1) il primo fattore misura la qualità delle strategie tutoriali attivate4-6 ovvero che cosa viene attivato nell’ambiente per facilitare i processi di apprendimento; (2) il secondo fattore misura le opportunità di apprendimento, nelle quali lo studente percepisce fiducia, possibilità di fare anche in autonomia, di sentirsi libero/a di esprimere le proprie opinioni e ricevere adeguata supervisione; (3) il terzo misura la sicurezza e la qualità dell’assistenza: gli studenti apprendono anche dai modelli, tramite imitazione di buoni e cattivi esempi e confrontando ciò che hanno appreso in teoria con quanto vedono nella
pratica; (4) il quarto fattore rileva quando la sede ha stimolato l’autoapprendimento: gli studenti universitari hanno bisogno di essere stimolati ad interrogarsi sui propri processi di apprendimento per diventare capaci di apprendere durante tutto l’arco della vita; (5) il quinto
misura infine la valutazione complessiva della qualità dell’ambiente di tirocinio. È inoltre emerso che CLEQI è uno strumento che riflette alcune esigenze specifiche del contesto formativo italiano: è ‘libero’ da modelli tutoriali predefiniti, considerata la grande variabilità nei modelli diffusi nelle diverse università6-7 e non parla dei ‘soli reparti ospedalieri’ ma si apre ai tanti e diversificati setting assistenziali (es. territorio, case di riposo).

Raccomandazioni di utilizzo
1) La valutazione della qualità dei tirocini e dell’insegnamento clinico riflette una componente del sistema di valutazione complessivo della qualità di un CdS: la sua progettazione ed implementazione deve essere coerente ad esso, pertanto si raccomanda di:

  • Valutare se lo strumento è congruente al sistema complessivo di valutazione della qualità adottato dal CdS e se la sua introduzione è
    compatibile con gli altri strumenti e metodi di valutazione attivati: lo strumento valuta se ed in quale intensità sono presenti nell’esperienza
    clinica degli studenti i fattori che influenzano gli esiti dell’apprendimento clinico; pertanto, responsabilizza gli studenti ad una valutazione critica, non tanto ad esprimere il grado di soddisfazione o meno della propria esperienza;
  • Esplorare se lo strumento è congruente con la rilevanza pedagogico-educativa attribuita ai tirocini: nei contesti in cui i tirocini non sono
    progettati e governati; in cui le sedi non sono aiutate a crescere nella loro capacità tutoriale e di facilitazione dei processi di apprendimento
    clinico; oppure in cui gli studenti frequentano sedi di tirocinio senza alcuna ‘regia’, è preferibile posticipare l’uso dello strumento per dedicare energie alla preparazione e allo sviluppo dei prerequisiti essenziali per un tirocinio di qualità;
  • Condividere con le strutture di Ateneo (Presidio della qualità, Struttura di monitoraggio della qualità della didattica o altre strutture, Nucleo di valutazione) le finalità dello strumento,la sua possibile integrazione nel processo di assicurazione della qualità, le modalità di rilevazione dei dati e il loro utilizzo, in analogiaa quanto già avviene per la valutazione della didattica;
  • Verificare il supporto delle strutture/uffici di Ateneo preposti ai sistemi di valutazione e la loro disponibilità ad assicurare il sostegno nel tempo: va evitato un carico di lavoro aggiuntivo sulle risorse tutoriali distaccate del CdS, ad esempio attivando in autonomia sistemi di valutazione che rischiano di sottrarre tempo al
    tutorato degli studenti che in alcune sedi è già molto critico;
  • Considerare anche il carico valutativo chiesto agli studenti (ad esempio, TECO-D, TECO-T, valutazione della qualità della didattica): il
    CLEQI è uno strumento parsimonioso, composto da soli 22 item, e questo dovrebbe facilitare la compilazione; tuttavia, in molti Atenei, oltre ai questionari sulla didattica gli studenti sonochiamati a valutare molti altri aspetti che possono gravare sugli studenti.

2) La valutazione della qualità dei tirocini e dell’insegnamento clinico deve essere (a) progettata e condotta con le sedi, (b) capace di supportare scelte o interventi di miglioramento e (c) utile allo sviluppo della qualità ed alle scelte pedagogiche. Pertanto, si raccomanda di:

  • Presentare lo strumento CLEQI alle direzioni delle aziende o strutture della rete formativa di riferimento, ai Coordinatori ed ai tutor/assistenti di tirocinio, illustrandone le finalità e l’utilizzo che verrà effettuato dei dati e fornire/presentare annualmente i risultati complessivi;
  • Incoraggiare le sedi di tirocinio attive e quelle potenziali ad utilizzare lo strumento quale griglia di autovalutazione o valutazione nella
    fase di accreditamento iniziale e in quelle continue;
  • Presentare lo strumento agli studenti ad inizio anno, in prossimità dei tirocini, indicandone finalità, struttura, ragioni per cui viene utilizzato, le modalità di raccolta ed utilizzo dei dati;
  • Gestire in modo efficace la rilevazione
    • [1] Stabilire la frequenza delle rilevazioni bilanciando
      l’esigenza di un monitoraggio sistematico con l’impegno richiesto agli studenti nella compilazione dello strumento e di elaborazione dei dati: ad esempio, CdS a bassa numerosità di studenti possono somministrare il CLEQI al termine di ogni tirocinio; diversamente, CdS ad elevata numerosità, possono orientarsi verso una unica rilevazione all’anno in concomitanza ad esempio, dell’ultima esperienza di tirocinio;
    • [2] Identificare le esperienze di tirocinio da esporre a valutazione sulla base dei bisogni di monitoraggio, le risorse disponibili e la finalità della raccolta dati: ad esempio, possono essere esposte a valutazione solo le esperienze di lunga durata, o anche quelle brevi; possono essere tenute ‘sotto controllo’ strutture di tirocinio percepite come critiche, ed evitato il monitoraggio di quelle percepite come eccellenti. Tuttavia, va evitata la valutazione di esperienze di tirocinio osservazionali
      o opzionali in cui lo studente non sviluppa competenze;
    • [3] Denominare in modo accurato le sedi di tirocinio
      e proporle all’inizio dello strumento per una compilazione accurata da parte dello studente: evitare l’indicazione libera del
      nome della sede da parte dello studente per le successive difficoltà a categorizzare correttamente ed evitare di indicare le sedi come macro-aree (ad esempio dipartimento di Medicina) che non permettono valutazioni a livello di singola unità; inoltre l’elenco delle sedi va verificato ed aggiornato annualmente al fine di allinearla con l’evoluzione delle aziende sanitarie;
    • [4] Assicurare l’anonimato in coerenza con altre forme di valutazione in uso (ad esempio sulla didattica) per lasciare libertà agli studenti di esprimere la loro opinione; tuttavia, se lo
      studente vuole/desidera indicare anche il nome del Tutor o della Guida/Assistente per le eccellenti o povere competenze tutoriali
      (ad esempio, in uno spazio bianco dedicato), si suggerisce di responsabilizzare lo studente ad indicare il proprio nome: in questo caso, infatti, la valutazione assume le caratteristiche
      anche di valutazione individuale, e pertanto lo studente va aiutato ad assumersi le sue responsabilità;
    • [5] Accompagnare gli item dello strumento con una scheda anagrafica capace di raccogliere qualche informazione minima: ad esempio, l’anno di corso oppure la durata del tirocinio, per poter intercettare qualche variabile individuale che può influenzare la percezione della qualità del tirocinio-insegnamento clinico. Infatti, sedi adatte agli studenti del terzo anno, possono essere inadatte per quelli del primo anno; alcune sedi possono essere efficaci anche con tirocini brevi mentre
      altre lo diventano con tirocini più lunghi. In alcuni contesti può essere utile raccogliere dati anche sulla numerosità degli studenti presenti (anche di altre professioni): infatti, le opportunità di apprendimento possono essere percepite inferiori quando le strutture sono sovraffollate;
    • [6] Somministrare lo strumento a tirocinio appena concluso, dopo la valutazione delle competenze, senza lasciar trascorrere troppo tempo per evitare distorsioni nel ricordo (es. si suggerisce la compilazione entro dieci giorni e comunque prima dell’inizio del tirocinio successivo);
    • [7] Valutare attentamente se introdurre lo strumento come obbligatorio o lasciarlo libero e riflettere attentamente sui sistemi per incoraggiare e mantenere elevata l’adesione degli
      studenti nel tempo. L’obbligatorietà della compilazione deve essere accompagnata da un sistema serio di presa di decisioni, ad esempio rispetto alle sedi che non raggiungono score ottimali: gli studenti devono poter apprezzare concretamente che le informazioni che danno sono prese in considerazione; questo li aiuta anche nel tempo ad essere responsabili delle valutazioni che producono. Per sostenere la loro adesione possono essere attivati sistemi diversi: ad esempio, valorizzarla attraverso l’attribuzione di 1 CFU tra le attività a scelta dello studente nell’ottica di sviluppare il senso di responsabilità verso i processi di valutazione della qualità; discutere con valenza annuale negli
      organi collegiali, alla presenza degli studenti, il loro punto di vista rispetto ai tirocini dando pertanto valore alla compilazione; oppure dedicare almeno una o due ore per ciascun tirocinio alla compilazione dello strumento quale attività ‘strutturata’ di riflessione critica dell’esperienza.
    • [8] Utilizzare la somministrazione dello strumento on line (tramite invio di un link all’indirizzo mail istituzionale degli studenti, oppure tramite caricamento del questionario su piattaforma elettronica di Ateneo) per evitare sovraccarico di lavoro ed agevolare l’elaborazione dei dati: l’invio automatizzato
      del link a fine tirocinio o in prossimità della sua conclusione, garantisce l’anonimato, la sistematicità delle rilevazioni e la popolazione automatizzata dei dati nel database per le successive analisi.

3) L’analisi dei dati deve informare decisioni sia da parte del CdS sia da parte delle sedi con la finalità di attivare processi di miglioramento continui. Pertanto, si raccomanda di:

  • Analizzare i dati in accordo a due linee: (a) la prima l’unità di analisi deve essere la struttura in cui lo studente ha fatto la sua esperienza di tirocinio per valutare a questo livello la sua percezione e restituire i dati alla stessa struttura; (b) la seconda, a livello più elevato (ad esempio il dipartimento o l’ospedale) per offrire una restituzione complessiva;
  • Evitare analisi quando sono disponibili poche valutazioni (es. uno o due studenti) perché sarebbero facilmente identificabili se la sede riceve il report di sintesi: si suggerisce di procedere nelle elaborazioni con > 3 studenti. Nelle sedi di tirocinio a bassa frequenza di studenti, si suggerisce di attivare altre forme di valutazione della qualità al fine di non trascurare comunque il parere degli studenti;
  • Utilizzare punteggi complessivi (ad esempio in ‘Medicina 3c’, il punteggio medio è stato di 50.5 da 0 a 66) per dare informazioni di sintesi sulla qualità dell’apprendimento clinico in un dato contesto; si raccomanda inoltre di affiancare al punteggio complessivo, l’analisi di ciascun fattore (ad esempio in Chirurgia d’urgenza il punteggio
    medio su ‘Sicurezza e qualità dell’assistenza’ era di 11.50 su 12) e anche di item (“Era garantita la sicurezza degli ospiti/degenti/residenti”, il punteggio medio era di 2 su 4) per aumentare la ricchezza informativa su punti di forza e criticità
    e supportare le decisioni.
  • Analizzare i dati che hanno una certa stabilità/omogeneità nel tempo o tra gruppi di studenti (quindi non espressione di episodi negativi) e
    discuterli nelle sedi collegiali per prender decisioni: pur non avendo ancora identificato cutoff, valori ≤ a 22, indicano una sede che ha estremo bisogno di riflettere sul suo ruolo nella formazione degli studenti. Punteggi molto bassi nel fattore ‘Sicurezza e qualità dell’assistenza’ devono suggerire la sospensione dei tirocini se
    non sono evidenti progetti di miglioramento che espongano gli tudenti a modelli di pratica sicuri ed accettabili. D’altra parte, dove i
    punteggi sono molto alti (ad esempio, > 44), sono presenti buone pratiche di insegnamento clinico che dovrebbero essere valorizzate e considerate di esempio per altre sedi più in difficoltà;
  • Analizzare i dati insieme ad altre fonti informative: lo strumento restituisce informazioni circa la qualità percepita dagli studenti rispetto all’apprendimento clinico, che devono essere lette tenendo conto delle variabili di contesto e del flusso di dati qualitativi che provengono anche dai Tutor Didattici, dati Tutor Clinici o dai Coordinatori delle sedi di tirocinio (che hanno segnalato, ad esempio, un momento particolare della vita del reparto a causa di cambiamenti
    interni): pertanto, si raccomanda di presentare e discutere i risultati delle rilevazioni con tutti gli attori coinvolti nel processo formativo;
  • Monitorare nel tempo l’evoluzione delle valutazioni e decidere la loro effettiva necessità: sono tante le valutazioni che oggi i CdS stanno
    realizzando ed una attenzione alla parsimonia va dedicata. Le valutazioni sono raccomandate solo se aiutano a prendere decisioni: i dati sulla qualità del tirocinio devono essere utilizzati dal Coordinatore dei tirocini come dati ‘di cruscotto’. Non sono gli unici da presidiare ma devono far parte di un sistema integrato di valutazione assieme ad altri elementi, ad esempio la frequenza degli incidenti critici (rischio biologico) che accadono in una struttura, la frequenza degli incident report segnalati dall’ospedale per la stessa sede con il coinvolgimento degli studenti e così via. Per le strutture che hanno aspetti critici, ad esempio sulla sicurezza dei pazienti o sulle opportunità formative, va tenuto monitorato questo aspetto; per altre invece che hanno sempre score molto alti, potrebbe essere allentata la valutazione e decisa con frequenza meno intensa; oppure monitorata con valutazioni effettuate dai Tutor Didattici che si sono dimostrate affidabili nella capacità di intercettare la qualità delle sedi di tirocinio;
  • Assicurare alle sedi di tirocinio la possibilità di ricevere dei report di sintesi personalizzati per conoscere i punti di forza e le criticità del loro contesto, offrendo così la possibilità di intraprendere azioni di miglioramento. Qualora, per mancanza di strutture di supporto, non fosse possibile elaborare tali report, è etico assicurarli almeno alle sedi i cui punteggi non hanno raggiunto i valori soglia considerati.

4) I dati devono essere divulgati nell’ambito delle strategie di diffusione dei dati di qualità del CdS considerando tuttavia la rilevanza degli stessi nel rapporto con le strutture di tirocinio. Si raccomanda pertanto di:

  • Discutere i dati almeno una volta all’anno negli organi collegiali del CdS, nel gruppo di revisione della qualità, e tra i Tutor Universitari e di Tirocinio al fine di intraprendere azioni di miglioramento e/o di valutarne l’efficacia a fronte delle azioni intraprese;
  • Presentare in forma aggregata i dati a fine o inizio di ogni anno accademico ai Dirigenti delle Professioni Sanitarie e ai Coordinatori delle sedi di tirocinio (es. area ospedaliera, area domiciliare) quale feedback complessivo del loro impegno, evidenziando i risultati positivi e proponendo azioni di miglioramento rispetto ai punti di debolezza, o comunicando gli esiti raggiunti a fronte di azioni di miglioramento attivate;
  • Diffondere i dati aggregati nella pagina web del CdS, dove sono indicati gli esiti dell’opinione degli studenti sui docenti: si suggerisce di pubblicare anche i risultati sulla qualità percepita dell’apprendimento clinico in tirocinio, indicando in forma
    anonima i punteggi medi per ciascun fattore, non riportando né la sede né l’azienda, almeno che questo non sia stato preventivamente discusso e concordato con le stesse.

Conclusioni

Con una rete ampia, denominata ‘SVIAT’, sostenuta dalla Conferenza Permanente dei Corsi di laurea delle Professioni Sanitarie, è stato sviluppato, validato e diffuso uno strumento di valutazione della qualità dei tirocini denominato CLEQI, ‘Clinical LEarning Quality Evaluation Index’ che misura la presenza e intensità di alcuni fattori documentati quali precursori di un apprendimento significativo. Lo strumento è già diffuso e implementato in molte università e costituisce pertanto la base di confronto tra sedi di uno stesso CdS e tra corsi di studio diversi; può essere utilizzato liberamente, senza chiedere alcuna autorizzazione.
Le sue potenzialità sono state riconosciute anche da altre professioni dell’area sanitaria che hanno attivato percorsi di validazione. Oltre ad informare sulla qualità dei processi di apprendimento attivati in una sede di tirocinio, lo strumento si è dimostrato utile nell’identificazione delle strategie di miglioramento e nell’individuazione del fabbisogno formativo dei Tutor o Assistenti/Guide di tirocinio.
Lo strumento va implementato in accordo ad un set di raccomandazioni di utilizzo al fine di una sua efficace integrazione nell’insieme del sistema di valutazione di qualità di un CdS.

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Cita questo articolo

Palese, A., et al, Clinical Learning Quality Evaluation Index per la valutazione della qualità dell’apprendimento clinico degli studenti infermieri e raccomandazioni di utilizzo, Medicina e Chirurgia, 83, 3685-3693, 2019. DOI: 10.4487/medchir2019-83-3

Affiliazione autori

Alvisa Palese, Luca Grassetti, Irene Mansutti – Università di Udine;
Giulia Randon, Anita Bevilacqua, Federica Canzan, Adriana Dal Ponte, Franco Mantovan,Oliva Marognolli, Morena Tollini, Lucia Zannini, Anna Brugnolli, Luisa Saiani – Università di Verona;
Pietro Altini, Valerio Dimonte, Raffaela Nicotera – Università di Torino;
Carla Benaglio – Universidad Del Desarrollo Santiago, Cile;
Laura De Biasio, Adriana Fascì – Università di Trieste;
Anne Destrebecq, Benedetta Gambacorti, Stefano Terzoni – Università di Milano;
Silvia Grosso – Università di Padova;
Sandra Montalti – Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori, Meldola, Forlì-Cesena

Corrispondenza: Alvisa Palese, Università di Udine, alvisa.palese@uniud.it

Evoluzione della funzione di coordinamento delle attività formative professionalizzanti dei Corsi di Laurea delle Professioni sanitarie. Indagine nazionalen.72, 2016, pp.3263-3268 DOI:10.4487/medchir2016-72-1

Abstract

Since the transition of the healthcare professions education from the Regional Schools to University, the role of Coordinator of the clinical learning activities has been reinforced and has became increasingly important in the governance of the degree programs. However, to date, the professionals holding this function have expressed disappointment for their position within the organization and the instability of their role. Aiming at developing a stabilization policy of this role, a National survey was conducted to describe the functions, recruitment criteria, term of office and development of Coordinators of the clinical learning  activities of the 22 Healthcare Professions Degree Programs’ campuses. Two hundred and twenty nine Directors/Coordinators out of 425 eligible (53.8%) participated in the study; they represented 16 out of the 22 Healthcare Professions. The 41.9% of the respondents were named as Coordinators and the 42.4% as Directors. More than 85% of the interviewees were ˃ 41 years old, had a Master degree and a three-years renewable contract; the 70% worked for the National Health Service, the 23.6% for the University and the remaining 6% were freelance professionals.  Two third of them had a full time position. All the respondents worked as Coordinator for at least three years and the 36.7% of them for more than 11 years; the 50% of them had a salary equal to a Charge Nurse. More than 90% of the respondents perceived themselves autonomous in the organization and evaluation of the students’ clinical placements, while they reported a reduced autonomy in the supervision of Courses schedules and in the Tutors’selection. Starting from these results, the CPCLPS may hypothesize possible developments for the coming years.

Parole chiave: Atitvità formativa professionalizzante – Ruolo del coordinatore – Professioni sanitarie
Keywords: Clinical learning activities – Role of Coordinator – Healthcare professions

Articolo

Introduzione

La formazione universitaria delle professioni sanitarie compie venti anni, la funzione di coordinamento professionale si è consolidata ed ha assunto un ruolo sempre più importante nella governance dei corsi di laurea. Tuttavia nell’ambito della Conferenza Permanente emerge da tempo la necessità di riflettere sul   ruolo dei professionisti che hanno assunto questa funzione  perché esprimono disagio per la collocazione istituzionale e l’instabilità del loro ruolo.

I corsi di laurea delle professioni sanitarie essendo abilitanti  devono  sviluppare  competenze professionali   attraverso una formazione teorica e pratica che includa anche esperienze  nel contesto lavorativo specifico di ogni profilo, così da garantire, al termine del percorso formativo, la piena padronanza delle  competenze di base per una loro spendibilità nell’ambiente di lavoro.

I piani didattici infatti prevedono l’articolazione dei 180 CFU in 96 CFU di attività formative teoriche, 21 CFU per tesi, attività elettive, informatica e inglese,  e 60 CFU per esperienze di tirocinio in contesti reali e infine 3 CFU per attività di laboratorio pre-post clinici. Nell’ambito dei 96 CFU, ai quali concorrono i settori scientifici disciplinari previsti dagli ordinamenti didattici, da un minimo di 15 a 30 CFU sono dedicati agli insegnamenti relativi allo specifico ambito disciplinare (es. infermieristica, fisioterapia, logopedia.).

La finalità abilitante di questi Corsi di Laurea prevede negli Organi del Corso di Laurea (CL), oltre al Presidente e Collegio Docenti, anche una figura che assume la funzione di Coordinatore delle attività formative professionalizzanti, prevista nei  vari decreti e documenti che si sono susseguiti in questi 20 anni. Cosa si intenda con attività formative professionalizzanti non è ancora condiviso e univoco, tuttavia l’interpretazione più diffusa ritiene che comprendano il  tirocinio e le integrazioni con le docenze teoriche, in particolare con  quelle di specifico ambito professionale, oltre a tutte le attività di preparazione e rielaborazione del tirocinio  (es. briefing, debriefing, laboratori, simulazioni, sessioni di discussione casi).

Tale funzione di coordinamento venne introdotta con il D.M. del 24 luglio 1996(1) recante gli ordinamenti didattici universitari dei corsi di diploma universitario dell’area sanitaria (art.1.8) che tra gli Organi del corso   prevedeva un Coordinatore dell’insegnamento tecnico-pratico e di tirocinio, nominato dal Consiglio di Corso di D.U. tra coloro in servizio presso la struttura sede del Corso, sulla base del curriculum che tiene conto del livello formativo nell’ambito dello specifico profilo professionale, cui corrisponde il Corso. Inoltre precisava la durata del mandato per tre anni  e le assegnava la responsabilità dei seguenti processi:  insegnamenti tecnico-pratici e loro coordinamento con gli insegnamenti teorico-scientifici, organizzazione delle attività complementari, assegnazione e supervisione dei tutori, garantire l’accesso degli studenti alle strutture qualificate come sede di insegnamenti tecnico-pratici. Il Consiglio di Corso di Diploma individuava un coordinatore didattico per ciascun anno di corso e forme di tutorato per la formazione tecnico-pratica.

Con il decreto del 24 settembre 1997(2) vennero poi definiti i requisiti di idoneità delle strutture per i diplomi universitari dell’area medica, nel quale si stabilì che per ogni corso di Diploma Universitario dovesse esserci un coordinatore tecnico-pratico dello specifico profilo professionale.

Il D.M. del 2 aprile 2001(3) che trasformò i diplomi universitari in corsi di laurea per le 22 professioni sanitarie ribadiva che  “particolare rilievo, come parte integrante e qualificante della formazione professionale, riveste l’attività formativa pratica e di tirocinio clinico, svolta con la supervisione e la guida di tutori professionali appositamente assegnati, coordinata da un docente appartenente al più elevato livello formativo previsto per ciascun profilo professionale e corrispondente alle norme definite a livello europeo ove esistenti”.

Nel 2012 (4) la Conferenza Permanente dei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie ha dedicato una Consensus Conference alla formazione professionalizzante. In tale occasione è emersa l’ambiguità   della denominazione “coordinatore” e la conseguente debolezza e non chiarezza di mandato. Emerse la proposta  di  chiamarlo  “Direttore della Didattica Professionale” (ex Coordinatore delle attività pratiche di tirocinio) con la responsabilità di assicurare l’integrazione tra gli insegnamenti teorici e il tirocinio, favorire la conformità degli insegnamenti professionali agli standard di competenza definiti e dirigere i tutor professionali. La Consensus raccomandava che l’assegnazione dell’incarico fosse formalizzata dal Collegio Didattico  e che il professionista scelto venisse assegnato a tale funzione a tempo pieno.

Negli anni successivi la problematica è stata oggetto di mozioni dell’ANVUR (5), dell’Osservatorio delle Professioni Sanitarie e del MIUR.  Un parere dell’ANVUR del 18 ottobre 2011, volto a chiarire i requisiti della docenza nei corsi di laurea delle professioni sanitarie, affermò la necessità di assicurare questo ruolo e di definirlo  in modo unitario, attribuendogli la denominazione di “Direttore delle attività didattiche” e superando la disomogeneità di  denominazioni  quali “Coordinatore delle attività didattiche, Coordinatore delle attività tecnico-pratiche e di tirocinio, Responsabile delle attività didattiche professionali. Inoltre esplicitò i requisiti per accedere a questo ruolo  analoghi a quelli richiesti alla docenza, ovvero laurea magistrale nella classe della professione sanitaria di riferimento, almeno 3 anni di esperienza di coordinamento didattico (coordinamento di anno, di insegnamento, di corso integrato) e 5 anni di titolarità di insegnamento in discipline professionalizzanti nello specifico profilo professionale in corsi universitari. In una  successiva Mozione (6) (8 maggio 2013) dell’Osservatorio Nazionale per le Professioni Sanitarie si ribadì come requisito obbligatorio dei Corsi di Laurea la presenza di un docente responsabile della formazione professionalizzanti rinforzando e recependo la denominazione “Direttore delle attività didattiche” prevista dall’ANVUR. Pur condividendo i requisiti per accedere a questo ruolo l’Osservatorio  propose  una deroga, in via transitoria e ad esaurimento, che per 5 anni potessero essere incaricati anche in regime di part-time “in convenzione” liberi professionisti in possesso di Laurea del profilo specifico ma non della Laurea Magistrale per i Corsi di Audioprotesista, Igienista Dentale, Podologo e Tecnico Ortopedico

Nel maggio 2012 (4) la Conferenza prese posizione con una mozione sollecitata da molte Università che, in fase di  applicazione del  DM 270/2004, avevano attribuito nei loro  Statuti  al  “Presidente del Corso di Laurea” la denominazione  di “Coordinatore del Corso di Laurea” e segnalavano una confusione nell’identificare i ruoli e responsabilità  dei CL.  Tale Mozione, condivisa anche con la Conferenza dei Presidi e dei Presidenti dei CLM di Medicina e Chirurgia, proponeva  di  nominare i 2 ruoli  “Presidente del Corso di Laurea” e “Direttore delle attività didattiche professionalizzanti”. Rispetto alle precedenti definizioni dell’ANVUR e  dell’Osservatorio, si ritenne opportuno aggiungere il termine “Direttore delle attività formative professionalizzanti”per fedeltà alla mission con cui era stato creato questo ruolo ma anche per non limitare le responsabilità dei Docenti e del Presidente.

Questo excursus storico, pur nelle sue contraddizioni, ha rinforzato e formalizzato sul piano legislativo la peculiarità  dei corsi di laurea abilitanti. Dopo 20 anni di formazione delle Professioni Sanitarie in ambito accademico sta emergendo l’esigenza di stabilizzare questo ruolo, ma prima di elaborare linee strategiche, la Conferenza ha ritenuto necessario fotografare la situazione del coordinamento professionale a livello nazionale.

Materiali e metodi

E’ stato predisposto un questionario per rilevare le diverse denominazioni, il profillo degli attuali Coordinatori (età, esperienza professionale e formativa, appartenenza istituzionale), durata e modalità di assegnazione dell’incarico, effettuazione di tale ruolo  in regime di tempo pieno o part-time, partecipazione agli Organi del Corso e alla commissioni di esame, funzioni realmente svolte e grado di autonomia percepita, problemi e criticità. È stato inviato a tutte le sedi dei 22 Corsi di Laurea attraverso i Vicepresidenti di ciascuna Commissione.

Risultati

Su un totale di 425 sedi di Corso di Laurea, hanno partecipato allo studio 229 sedi (53.8%), afferenti a 16 delle 22 professioni sanitarie e a 40 Università, non hanno risposto le Università di Sassari e Foggia (Tabella 1).

 

Corso di Laurea QuestionariN (%) N. sedi
Infermieristica 50 (56) 88
Infermieristica Pediatrica 2 (20) 10
Ostetricia 15 (43) 35
Fisioterapia 30 (77) 39
Logopedia 18 (72) 25
Igiene Dentale 22 (85) 26
Dietistica 13 (54) 24
Tecniche Sanitarie di Radiologia Medica 22 (59) 37
Tecniche di Neurofisiopatologia 8 (73) 11
Tecniche Ortopediche 4 (36) 10
Tecniche di Laboratorio Biomedico 10 (28) 36
Tecniche di Fisiopatologia Cardiocircolatoria e Perfusione Cardiovascolare 5 (36) 14
Assistenza Sanitaria 7 (63) 11
Tecniche della Prevenzione nell‘Ambiente e nei Luoghi di Lavoro 8 (30) 27
Ortottica 7 (35) 20
Tecniche Neuro e Psicomotricità infantile 8  (67) 12
Totale 229 (53.8) 425

Tab. 1 – Tasso di risposta al questionario per ciascun Corso di Laurea.

Per quanto riguarda la denominazione di questa figura, emerge che il 42,4% è denominato dalle Università come Direttore, declinato con le  seguenti specificazioni: Direttore didattico, Direttore delle attività formative, della didattica professionale, delle attività formative pratiche e di tirocinio; il 41,9% è nominato come Coordinatore, con le seguenti specificazioni: della didattica professionale, del corso di laurea, delle attività formative professionalizzanti, didattico, tecnico-pratico, delle attività formative aziendali. Per il restante 9,6% è chiamato genericamente Responsabile dell’attività didattica professionalizzante e di tirocinio o delle attività formative (Figura 1).

Schermata 2017-01-31 alle 15.30.31Il profilo che emerge dall’indagine (229 Coordinatori) è di un professionista con più di 41 anni (204; 89%) e in possesso del titolo di Laurea Magistrale (106; 46,3%) o Laurea Magistrale più Master, Dottorato o altra Laurea (103; 44,8%) (Figura 2). Per quanto riguarda l’appartenenza istituzionale, il 70% dei Coordinatori è dipendente del Servizio Sanitario Nazionale messo a disposizione dell’Università, il 23,6 % è dipendente dell’Università con profilo tecnico, professionale o di ricercatore, e il 6 % è in regime di libera professione.

Nei due terzi dei Corsi di Laurea i Coordinatori sono dedicati a questa funzione a tempo pieno e un terzo a tempo parziale. Dei 146 Coordinatori/Direttori dedicati a tempo pieno, 113 appartengono al Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e 33 all’Università. I 76 dedicati a tempo parziale a questa funzione appartengono al SSN (44), all’Università (18) e 14 sono liberi professionisti distribuiti su tutti i corsi di laurea (Figura 3).

L’incarico di Coordinatore/Direttore è ricoperto per il 36,7% da più di 11 anni, per il 26,6% da 6 a 10 anni e il 19,6% da 3 a 5 anni (Figura 4).  L’incarico è stato assegnato con differenti modalità, nel 49% dei corsi con nomina del Collegio Docenti, nel 40% con bando aziendale e/o in accordo con l’Università, e nel 3,9% con concorso pubblico. Come definito nei Decreti Ministeriali del 24 luglio 1996 e del 19 febbraio 2009, la durata dell’incarico di tre anni e rinnovabile è rispettata nell’85% dei corsi e solo nel 7% è un incarico stabile e definitivo. Circa il 50% dei Coordinatori/Direttori gode di un inquadramento funzionale ed economico equivalente al livello di coordinamento delle unità operative dei servizi sanitari. Per i Corsi di Laurea con piccoli numeri di studenti dove il coordinatore è un libero professionista, presta tale collaborazione in forma gratuita o con tariffe orarie a forfait e di modesta entità.

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I Coordinatori/Direttori partecipano agli Organi Collegiali del Corso di Studio con diversi gradi di coinvolgimento: il 79% partecipa al Consiglio di Corso (CdC) con diritto di voto, e il 13% non partecipa, il 7% partecipa senza diritto di voto; quest’ultima situazione sembra essere una scelta di singolo Corso di Laurea e non omogenea per gli altri Corsi di Laurea della stessa Università. Anche la loro partecipazione al Comitato per la Didattica è variabile, solo la metà partecipa come componente effettivo. Partecipano, invece, sempre alle Commissioni di Esame di Stato e di tirocinio, con il ruolo di coordinatore o di docente (Figura 5). Sono molto coinvolti nel gruppo di riesame e nei  processi di autovalutazione.

Il tirocinio e le attività formative professionalizzanti rappresentano l’ambito di maggior responsabilità dei Coordinatori/Direttori. Emerge, infatti, la loro percezione di godere di elevata autonomia nella programmazione dei tirocini, supervisione dei sistemi di valutazione, scelta delle sedi di tirocinio e rapporti con le aziende e gli enti che accolgono gli studenti, gestione del percorso di tirocinio degli studenti, di progetti innovativi e del tutorato; percepiscono una autonomia più limitata, invece, nella possibilità di orientare e supervisionare i programmi e la qualità delle docenze professionali e nello scegliere i tutor (Figura 6).

Schermata 2017-01-31 alle 15.34.31 I Coordinatori/Direttori oltre alle attività prima descritte e che  sono coerenti con la loro mission,  assumono anche  attività che potrebbero afferire al Presidente, a  docenti-coordinatori didattici, alle segreterie. Per esempio  coordinano  le docenze non professionali, promuovono incontri per favorire le integrazioni verticali e orizzontali tra gli insegnamenti, promuovono le relazioni internazionali, organizzano e coordinano i calendari delle lezioni, gli esami teorici  e l’esame finale di stato  nell’elaborazione dei verbali delle varie commissioni.

Conclusioni

I risultati fotografano la situazione della metà delle sedi di Corso di Laurea delle Professioni Sanitarie, seppur distribuite su tutto il territorio nazionale. Per alcuni Corsi di Laurea (fisioterapisti, logopedisti, igienisti dentali) hanno aderito più dei 2/3 delle sedi. Tra  le sedi che non hanno partecipato allo studio  è probabile che molte non siano state raggiunte perché l’avvicendamento di Presidenti e Coordinatori e l’apertura e la chiusura di sedi periferiche ha reso  difficoltoso aggiornare i loro indirizzi e recapiti.

Emerge un profilo di coordinatore/direttore con un buon livello formativo, appartenente al profilo professionale del corso, la maggior parte dichiara di avere  un incarico triennale rinnovabile come prevede la normativa, tuttavia un terzo ricopre l’incarico da più di 11 anni e sembra configurare un’assegnazione definitiva. L’intento della normativa era quello di far seguire al Coordinatore la stessa durata di mandato del Presidente, ipotizzando un ruolo fiduciario. In realtà questo non è avvenuto ma è anche comprensibile, perché se il Coordinatore è stato scelto sulla base della competenza professionale e pedagogica è importante che abbia la possibilità di esprimere le proprie funzioni almeno per 2-3  incarichi , quindi 6-9 anni. Una rotazione programmata può essere necessaria per portare idee nuove e innovazioni oltre che nuove energie al corso di laurea, anche se non è semplice questa entrata ed uscita dall’ente di appartenenza  sia servizio sanitario che università.

Emerge una notevole disomogeneità sulla denominazione e sulle modalità di reclutamento e formalizzazione dell’incarico.  Il coinvolgimento negli organi collegiali del CdS, pur essendo diffuso, non è ancora garantito a tutti, con il rischio  di separare la componente universitaria dei docenti dalla componente professionale. In questo non è stata di aiuto la recente normativa (270/2004)7 recepita restrittivamente da molti Atenei che non hanno ritenuto componenti di diritto del Consiglio di Corso  i docenti a contratto e quindi anche il Coordinatore e i Tutor Professionali.

I Coordinatori intervistati ritengono di svolgere le funzioni  previste dalla normativa, dichiarano di gestire con elevata autonomia e responsabilità la programmazione dei tirocini, la supervisione dei sistemi di valutazione, la scelta delle sedi di tirocinio, i rapporti con le aziende e gli enti che accolgono gli studenti  e la  gestione delle diverse forme di tutorato; percepiscono una autonomia più limitata, invece, nella possibilità di orientare e supervisionare i programmi e la qualità delle docenze professionali e nella scelta dei Tutor professionali.

Accanto a queste responsabilità segnalano  che nella loro attività quotidiana, soprattutto quando sono dedicati a tempo pieno, frequentemente compensano attività che competono ad altri ruoli come al Presidente8, ai docenti coordinatori di insegnamento o di anno e al personale amministrativo.

Il loro disagio più rilevante è l’appartenenza istituzionale, infatti si sentono poco considerati  dall’Azienda Sanitaria da cui dipendono, perché li percepisce una risorsa “persa” a disposizione dell’Università e spesso non li considera nei loro bisogni di sviluppo economico e di carriera, ma anche dall’Università  che li considera “estranei” al sistema universitario anche quando ne coglie il ruolo determinante della governance del corso di laurea.

Ora si aprono molte ipotesi li lavoro per la Conferenza al fine di disegnare possibili sviluppi  per i prossimi anni. Se l’assegnazione di un ruolo di coordinamento a termine comporta alcuni vantaggi sopra descritti , ne rende contestualmente debole la posizione e può non incentivare a crescere nelle competenze pedagogiche e scientifiche. Inoltre il ruolo di coordinamento deve essere rivalutato anche alla luce della costruzione di un corpo docente strutturato in ambito accademico e appartenente ai settori scientifico disciplinari delle professioni sanitarie (Ricercatori, Associati, Ordinari).

Nel frattempo sarà impegno della Conferenza portare sui tavoli dell’Osservatorio, dell’Anvur, dei due Ministeri interessati la necessità di elaborare linee di indirizzo affinché Regioni e Università, attraverso i protocolli di intesa, regolarizzino questa figura e soprattutto la prevedano per quelle sedi che sono ancora affidate a collaborazioni volontarie o a Direttori dei Servizi delle Professioni Sanitarie che assumono questa funzione, sovrapponendo due ruoli che hanno necessità di competenze, logiche e tempi diversi.

 Le funzioni del Direttore della Didattica Professionale

Una proposta condivisa nell’ambito della Conferenza (9)

  • Realizzare la programmazione e gestione delle attività di tirocinio considerando criteri formativi, organizzativi e clinici dei servizi, nonché le linee di indirizzo degli organi universitari e professionali
  • progettare, gestire e valutare le attività didattiche professionalizzanti avvalendosi per il tirocinio e i laboratori di tutori dedicati e/o dei servizi
  • promuovere il coordinamento degli insegnamenti disciplinari specifici facilitando l’integrazione degli insegnamenti teorici con quelli professionali assicurando la pertinenza formativa agli specifici profili professionali
  • gestire reclutamento, inserimento e sviluppo formativo dei tutor assegnati
  • fornire consulenza pedagogica e attività di orientamento agli studenti, attraverso colloqui ed incontri programmati
  • gestire le risorse in allineamento alle risorse di budget della struttura sanitaria in cui ha sede il Corso di laurea
  • promuovere strategie di integrazione con i referenti dei servizi sanitari per facilitare e migliorare la qualità dei percorsi formativi
  • garantire la sicurezza e gli adempimenti della normativa specifica
  • produrre report e audit rispetto all’attività formativa professionale realizzata
  • promuovere sperimentazioni e ricerca pedagogica nell’ambito delle attività professionalizzanti
  • certificare le competenze professionali in conformità agli standard professionali definiti

 

Bibliografia

1) Decreto Ministeriale 24 luglio 1996 Gazzetta Ufficiale del 14 ottobre 1996, n. 241  Approvazione della tabella XVIII-TER recante gli ordinamenti didattici universitari dei corsi di diploma universitario dell’area sanitaria, in adeguamento dell’art.9 legge 19 novembre 1990, n.341

2) Decreto del 24 settembre 1997 Requisiti d’idoneità delle strutture per i Diplomi universitari dell’area medica.

3) Decreto interministeriale 2 aprile 2001 Determinazione delle classi delle lauree universitarie delle professioni sanitarie

4) Conferenza Permanente delle Classi di Laurea delle Professioni sanitarie. Denominazione Ruoli e Funzioni CdL/CLM delle professioni sanitarie. Mozione  19 maggio 2012.

5) ANVUR Parere n. 14/18 ottobre 2011, Requisiti di docenza per le classi riguardanti i corsi di studio relativi alle professioni sanitarie, al servizio sociale, alle scienze motorie, alla mediazione linguistica e alla traduzione e interpretariato.

6) Osservatorio Nazionale per le Professioni sanitarie. Requisiti di docenza per i corsi di laurea delle professioni sanitarie. Mozione  8 maggio 2013 recepita dal MIUR con  Lettera Prot.10937.

7) Decreto 22 ottobre 2004, n.270 Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509.

8) Basili S.  Il ruolo del Presidente di Corso di Laurea tra quello istituzionale e quello pedagogico. Med Chir. 70: 3187-3190,2017.

9) Saiani L, Bielli S, Marognolli O, Brugnolli A. Documento di indirizzo su standard e principi del tirocinio nei CL delle Professioni Sanitarie. Med Chir. 47, 2036-2045, 2009.

Si ringraziano i colleghi che hanno collaborato alla rilevazione:  Paola Ferri, Anna Persico, Daniela Zavarise, Elisabetta Losi, Michela Rossini, Gabriella Buti, Mauro Curzel, Silvia Guidi, Giorgio Bettarelli, Debora Castellani, Alessandro Macedonio, Bruno Mario Troia, Maria Teresa Rebecchi, Fiorenza Broggi.

Cita questo articolo

Bielli S., Canzan F., Mastrillo A., et al., Evoluzione della funzione di coordinamento delle attività formative professionalizzanti dei Corsi di Laurea delle Professioni sanitarie. Indagine nazionale, Medicina e Chirurgia, 72: 3263-3268, 2016. DOI: 10.4487/medchir2016-72-1

Storia e obiettivi della Conferenza Permanente delle Classi di laurea e laurea magistrale delle Professioni sanitarien.68, 2015, pp.3109-3111, DOI: 10.4487/medchir2015-68-5

Abstract

On November 15, 2006 the first Progress Test (PT) was made available to all Italian Medical Schools, on a voluntary basis, as an initiative of the Conferenza Permanente dei Presidenti di Consiglio di Corso di laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia. Since 2006, the PT has been held annually for the last 9 years. During these 9 years, the percentage of Italian medical schools that have participated has increased from 50% to approximately 88% and has seen the number of participating students increase from 3,300 to approximately 22,000. Although the PT is not a new invention, but dates back to the 1970’s, it is undergoing a revival for the same reasons that it was originally created. At its inception it was realized that up to that time (as it continues to occur in many contemporary schools) the assessment of knowledge acquired during any academic year was obtained exclusively from end-of-course or end-of-year exams. Unfortunately, such exams have been shown to have important steering on learning since they push students to prepare themselves primarily for the passing of these exams. Such exams have also been shown to indirectly reinforce the mnemonic aspect of studying medicine and in the vast majority of cases students tended to limit their studies by concentrating primarily on what they believed would be the content of the exam.

From these reflections, a new philosophy mushroomed regarding the concepts of assessment and evaluation. It became clear that what had to be left behind was the direct relationship between specific educational programs and their evaluation. What had to be evaluated was not so much the acquisition of the specific course-related learning objectives but the progressive acquisition of the final objectives of the overall medical curriculum. For these reasons it was realized that evaluation had to be as a continuous a process as possible. The original idea of the creators of the PT was that exams should not interfere with an individual’s desired behavior in studying, and that decisions of pass/fail should be based on longitudinal and not on single evaluations.

Even though the PT was developed to respond to a new form of education introduced at that time, that of Problem Based Learning (PBL), it has been subsequently demonstrated that the application of a longitudinal, progressive method of assessment and evaluation is valid not only for PBL-based curricula, but also for those (still) using “traditional” curricula.

This report will begin with more detailed information on the philosophy, advantages and disadvantages’ of this type of exam, continue with a description of the Italian experience over the last 9 years and in particular, focus on of the results of the last PT taken by 22,955 Italian medical students.

Articolo

La Conferenza si è costituita nel 1997 su iniziativa dei Professori Luigi Frati e Giovanni Danieli che, in analogia con le conferenze già attive dei Presidi delle Facoltà di Medicina e dei Presidenti dei corsi di laurea di Medicina,   hanno ritenuto utile istituire un organismo capace di indirizzare e coordinare la nascita e lo sviluppo dei corsi di laurea delle professioni sanitarie.

La Conferenza è costituita dai Presidenti e dai Coordinatori/Direttori delle attività professionalizzanti e si pone l’obiettivo di promuovere un miglioramento continuo dei percorsi e dell’offerta formativa di ciascun corso di laurea in coerenza con le esigenze delle rispettive professionalità ed in armonia con gli indirizzi, le norme e i trattati dell’Unione Europea; vuole inoltre coordinare lo sviluppo delle attività formative e promuovere lo studio di problematiche specifiche di ogni corso di laurea.

La Conferenza al suo interno è strutturata con un Ufficio di Presidenza, una Giunta e 22 Commissioni Nazionali per i corsi di laurea di ciascun profilo professionale. L’attività svolta in questi anni prevedeva due meeting all’anno e gruppi di lavoro per specifiche tematiche, sia all’interno di ciascuna commissione che trasversali. I corsi di laurea e laurea magistrale delle professioni sanitarie rappresentano oggi una realtà complessa e articolata. La tabella 1 mostra per esteso le classi di laurea delle professioni sanitarie e la numerosità di corsi attivati in Italia con sede nell’Università di riferimento e in sedi decentrate.

Le due aree di maggior impegno a cui ha contribuito la Conferenza sono quella delle problematiche di Governance dei Corsi e quindi di confronto con le Istituzioni coinvolte (Ministero della Salute, Miur, CUN, Conferenza Stato Regioni) e quella della qualità dell’offerta formativa.

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Tematiche di Governance

La Conferenza ha elaborato documenti su tematiche al centro del dibattito, tematiche che sono state via via recepite da decreti (vedi ordinamenti didattici che si sono succeduti) e circolari. In particolare ha partecipato alla individuazione dei requisiti minimi sia in termini di numero di docenti necessari per attivare i corsi sia relativi alla qualità delle strutture sanitarie necessarie a svolgere i tirocini e ad offrire opportunità formative agli studenti per sviluppare le competenze attese; la Conferenza ha poi contribuito a definire i requisiti della docenza a contratto e professionalizzante, le specificità dei SSD MED/45-50, obiettivi, come si rileva dalla tabella 2, parzialmente raggiunti perché il numero di docenti universitari e ricercatori appartenenti ai profili delle professioni sanitarie sono ancora insufficienti e sottostimati rispetto ad un reale sviluppo accademico delle discipline relative alle quattro classi di laurea.

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La Conferenza ha contribuito a garantire che nei decreti istitutivi delle lauree delle professioni sanitarie fossero poste in evidenza le peculiarità, ovvero il loro valore abilitante di questi corsi, come il peso da assegnare al tirocinio e prevedendo che la gestione dei tirocini e della didattica professionalizzante siano affidate alla responsabilità di un direttore didattico appartenente allo stesso profilo professionale affiancato da un sistema di tutorato professionale.

La Segreteria della Conferenza, grazie al contributo determinante di Angelo Mastrillo, ha garantito una raccolta dati e un monitoraggio costante dei corsi di laurea delle sedi centrali e distaccate, degli studenti, del rapporto tra fabbisogni e posti programmati e dei livelli di attrattività di ciascun corso di laurea (rapporto domanda/costo), mettendo anche a disposizione queste conoscenze, questi dati dei rispettivi Ministeri. I rappresentanti dell’Ufficio di Presidenza hanno partecipato anche all’Osservatorio nazionale delle professioni sanitarie, organismo di coordinamento   con mandato di monitorare il fabbisogno e l’offerta delle professioni sanitarie, ma che purtroppo ha avuto un’operatività molto incostante. Con il Ministero della Sanità, Regioni e Ministero della salute i confronti sono stati costanti, sia sulle tematiche del fabbisogno e sui protocolli di intesa sia sulle modalità di finanziamento dei corsi di laurea. Va tuttavia rilevato che permane nel Paese una significativa disomogeneità delle condizioni gestionali dei corsi. In coerenza con la necessità di mantenere standard omogenei e di valore della formazione, la Conferenza ha mantenuto costante l’attenzione ed il controllo, denunciando e ponendo in essere azioni di segnalazione relativamente alla questione dell’”abuso di professione” molto dibattuta e fonte, non di rado, di grande confusione all’interno della panoramica formativa. Si è quindi attuato un monitoraggio continuo là dove altri istituti privati, o stranieri o atenei con forme didattiche on-line propongono la formazione di figure professionali con profili simili e paralleli a quelli normati, con il rischio di creare conflitti e poca chiarezza. Ne sono un esempio i corsi per massoterapista che veicolano un messaggio ambiguo promettendo una professione confusiva con il fisioterapista.

In fase di riordino dei settori concorsuali per le abilitazioni scientifiche nazionali, la Conferenza ha proposto la necessità di evidenziare nella declaratoria i titoli didattico-scientifici ed organizzativi che caratterizzano i sottosettori relativi alle professioni sanitarie. Ha inoltre   contribuito alla predisposizione dei decreti per le istituzioni delle Lauree Magistrali suddivise in cinque classi, attraverso un dibattito ed un confronto molto approfondito con le diverse commissioni, così come ha elaborato documenti e proposte di indirizzo per lo sviluppo di Master sia in ambito manageriale-formativo che ad indirizzo specialistico

Due ambiti sono stati studiati e presi a cuore dalla Conferenza relativamente alla questione didattico-formativa: l’identificazione e lo sviluppo dei Core Curricula e il processo di Valutazione dell’attività formativa unitamente alle metodologie didattiche.

Il core curriculum

Molte commissioni hanno elaborato un core curriculum e core competence indirizzando e mettendo a disposizione dei docenti dei vari corsi di laurea delle linee di indirizzo per orientare sia i programmi degli insegnamenti teorici che gli obiettivi di tirocinio, con l’intento di permettere anche una trasparenza delle logiche formative con la società, in particolare in quelle che sono le competenze core che i corsi di laurea si impegnano a sviluppare nei neolaureati.

In linea con tale intento sono stati approfondite le metodologie didattiche interattive, utili a sviluppare abilità di applicazione e trasferimento delle conoscenze, come ad esempio la gestione di laboratori di skills pratico-relazionali, le simulazioni, il metodo dei casi, l’integrazione di forme di e-learning con la didattica in presenza.

I processi di valutazione

La Conferenza ha mantenuto una attenzione costante ai processi di valutazione sia ad un livello macrosistema e sulla qualità dei laureati, che sui processi   interni relativi alla valutazione dei tirocini, del tutorato e della didattica, ritenendo che solo attraverso un approccio valutativo di tipo sistematico del processo formativo sia possibile individuare le criticità, migliorare e riorientare la preparazione dei professionisti verso una sempre maggior pertinenza ai bisogni di salute dei cittadini. Nell’ambito di queste tematiche sono stati promossi contatti con esperti dell’ ANVUR per suggerire possibili integrazioni agli indicatori da loro previsti e sensibili ad intercettare alcune dimensioni peculiari del CdL delle professioni sanitarie come ad esempio il coordinamento del tirocinio.

Coerentemente con questa visione, la Conferenza si è molto impegnata sul fronte del Progress Test che ha coinvolto decine di corsi di laurea e che si propone di valutare la progressione dell’apprendimento, delle conoscenze contributive e delle capacità cliniche e decisionali nonché dell’adesione ai valori professionali degli studenti, monitorandone l’evoluzione formativa dal primo al terzo anno del corso di laurea. E’ stata istituita una rete di referenti che coordinano i cori di laurea di ciascun profilo professionale che aderiscono su base volontaria alla somministrazione del Progress Test. Questa rete si è ampliata molto nel tempo coinvolgendo migliaia di studenti.

I risultati del Progress test  sono restituiti a ciascuno studente in modo che possa autovalutare la propria performance confrontandola con i valori medi degli studenti di altri corsi di laurea dello stesso profilo professionale. Ciascun corso di laurea che ha aderito al progress test riceve i dati aggregati che permettono di valutare le   perfomance dei loro studenti con quelle di altri corsi di laurea. Questo processo di  monitoraggio continuo della qualità formativa degli studenti   consente di diagnosticare  eventuali lacune e progettarne il miglioramento, attraverso la revisione dei programmi di insegnamento, oppure di laboratori didattici su ambiti di conoscenze e competenze che meritano un approfondimento.

Cita questo articolo

Salani L., Storia e obiettivi della Conferenza Permanente delle Classi di laurea e laurea magistrale delle Professioni sanitarie, Medicina e Chirurgia, 68: 3109-3111, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-68-5

L’insuccesso accademico nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie e il monitoraggio dell’efficienza formativan.58, 2013, pp.2592-2595, DOI: 10.4487/medchir2013-58-7

Abstract

Italian Health Profession Degree Programs academic failure is comprised between 30 and 39%. Considering the progressive increase of this phenomenon and the recent Italian Law (D.M. n. 47, 2013) that considers academic failure as an indicator of educational inefficiency, it is become a priority to reflect on its determinants. Academic failure is due to a complex interaction between individual (e.g. age, gender), institutional (e.g. number of the students in the classes) and political factors (e.g. profession social image). Among this context, in order to increase educational efficiency, it is necessary to test multi-level strategies ranging from recruitment process to the curriculum redesign, as well as from the control of the lecturers and clinical learning environment quality, to the optimal tutor to students ratio. Strengthening the collaboration at different level, aiming to evaluate the effectiveness of the strategies undertaken is crucial.

Articolo

Introduzione

Con la recente emanazione del D.M. n. 47 del 30 gennaio 2013 – Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica – l’insuccesso accademico degli studenti universitari, definito come la differenza tra il numero di coloro che si immatricolano ad un Corso di Laurea (CL) e il numero di coloro che lo completano entro la durata legale prevista, è divenuto uno dei criteri considerati dell’ANVUR per la valutazione periodica delle attività formative universitarie1. Considerando i meccanismi premianti introdotti dal D.Lgs n. 19 del 27 gennaio 20122, l’attuazione di strategie volte a ridurre i livelli di insuccesso accademico è divenuta  una priorità. In occasione del Meeting della Conferenza Permanente dei CL delle Professioni Sanitarie (CLPS)  svoltosi a Portonovo il 15-16 settembre 2012 in una sessione dedicata alle tematiche formative si è riflettuto sul fenomeno dell’insuccesso accademico dei Corsi di  Studio delle Professioni Sanitarie, al fine di  analizzarne i  possibili fattori predittivi ed  elaborare strategie mirate.

 

+Il dato fa riferimento a tutti i corsi di Laurea triennali nazionali che aderiscono ad AlmaLaurea.

L’entità dell’insuccesso accademico

L’insuccesso accademico è molto diffuso a livello nazionale (Tab. 1): AlmaLaurea (2011)3 ha documentato che, nel 2010, solo il 38,0% degli studenti universitari ha conseguito la laurea triennale nei tempi previsti, con una durata media del percorso di studi delle lauree triennali  di 4,7 anni. Le indagini condotte nel triennio 2009/2011 evidenziano una sostanziale stabilità dei tassi di insuccesso nazionali riferiti a tutte le lauree triennali (61-62%) ed un trend in aumento della durata media del percorso di studi (D +0,1 su base annua). Confrontando i dati complessivi con quelli dei CLPS, questi ultimi mostrano un quadro più soddisfacente. Nello stesso anno il tasso medio d’insuccesso è stato, infatti, del 35,0% mentre la durata media del percorso di studi è stata di 3,8 anni con un ritardo medio alla laurea di 0,8 anni. Anche per quanto riguarda le performances riportate nei voti di laurea, la situazione dei CLPS è migliore. Il punteggio medio ottenuto dagli studenti dei CLPS nel triennio di riferimento è costantemente oltre la media nazionale di almeno 3 punti. Tra i CLPS il maggior livello di insuccesso (39,0%)  è stato registrato dai CL della classe della Riabilitazione mentre, al contrario, i CL della classe della Prevenzione hanno evidenziato il minor livello (30,0%).  L’insuccesso per i CL della classe delle Professioni Tecniche è stato invece del  32% mentre quello relativo ai CL in Infermieristica ed Ostetricia si è attestato al 34%. Con riferimento alle coorti degli immatricolati ai CL in Infermieristica nel decennio 1997-2007, seppur con una lieve approssimazione, si è registrata una progressiva diminuzione dell’insuccesso accademico  dal 38% al 25% (D -13%). Tale dato sembra aver seguito il progressivo aumento del rapporto tra i candidati ed posti disponibili registrato anche negli altri CLPS4 in modo inversamente proporzionale.

Nonostante tali dati appaiono confortanti alla luce delle recenti indicazioni normative1-2, considerando il trend relativo al triennio 2009-2011 in cui emerge per i CLPS un progressivo aumento dell’entità del fenomeno (D + 8% nel triennio 2009/2011), un aumento della durata del percorso di studi (D+0,1 anni su base annua) ed una lieve flessione dei voti medi alla laurea, è oggi prioritario riflettere sui determinanti d’insuccesso al fine di ottenere un continuo miglioramento dell’efficienza formativa.

Il percorso accademico degli studenti universitari e l’efficienza formativa

Gli studenti che intraprendono il percorso accademico possono seguire due principali traiettorie evolutive. La prima, quella del “successo” è seguita da coloro che concludono il percorso entro la sua normale durata legale1. La seconda, quella “dell’insuccesso” è invece seguita da coloro che, al contrario, non completano il percorso di studi entro la sua durata naturale. L’insuccesso è costituito da due componenti fondamentali: il primo, riguarda gli studenti che per qualsiasi ragione “abbandonano” il percorso di studi precocemente (entro il primo semestre del primo anno) o tardivamente (successivamente al primo semestre)5; il secondo è invece costituito dagli studenti “fuori corso” che, volontariamente (ad esempio per motivi personali) o, involontariamente (ad esempio per fallimento agli esami) non completano il percorso nei tempi previsti. Elevati livelli di insuccesso rappresentano un indicatore di inefficienza formativa1. Il fenomeno può assumere però valenza “positiva” qualora lo studente, abbandonando gli studi, trovi risposta alle aspirazioni ed ai talenti personali nell’ambito di altri percorsi accademici o quando, volontariamente, decide di rallentare la progressione per allineare le esigenze personali al carico di studio, mantenendo elevate le performaces negli esami6. La valenza positiva dell’insuccesso è presente anche nel caso in cui l’efficacia del sistema didattico e tutoriale permetta di intercettare gli studenti fragili e con difficoltà di apprendimento, rallentandone la progressione e offrendo supporto con piani di recupero personalizzati. Solo attraverso il consolidamento del bagaglio culturale necessario è infatti possibile garantire una pratica professionale sicura. Tali esempi, abbastanza frequenti nei percorsi formativi delle professioni sanitarie, non sono ascrivibili ad inefficienza del sistema universitario e subire acriticamente pressioni a laureare studenti nei termini previsti, può essere fuorviante e rischioso. Il dibattito sui livelli accettabili di insuccesso, il cui azzeramento non è possibile, né auspicabile, rimane quindi problema complesso e aperto. Un’attenta riflessione deve essere posta sulla frazione di evitabilità del fenomeno e cioè, sulla quota d’insuccesso determinato dalle inefficienze del sistema universitario. La carenza di percorsi part-time che agevolino la frequenza degli studenti lavoratori, programmi di studio non calibrati alle capacità  e all’impegno di uno studente medio, l’inefficacia di alcuni sistemi tutoriali7 e delle strategie di reclutamento e selezione8-9, sono solo alcuni  aspetti del sistema universitario che possono agire come determinanti del fenomeno. Lo studio sistematico dell’insuccesso permetterebbe di individuarne le cause, determinare i momenti in cui, durante il triennio, esso si acutizza, comprenderne la quota evitabile e stabilirne i livelli minimi accettabili.

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La ricerca dei determinanti di insuccesso accademico

Diversi autori hanno dimostrato interesse nel documentare  i possibili determinanti di insuccesso accademico10-11. Le ragioni sono da ricercarsi essenzialmente nell’impatto del fenomeno sulle performance universitarie (penalizzazioni economiche previste per i corsi di studio ad elevato insuccesso)2-11, nei notevoli costi sociali da esso derivanti12 e nel contributo fornito nell’acuire, ove presenti, situazioni di carenza futura delle diverse figure professionali disponibili nei sistemi sanitari13. L’insuccesso sembra realizzarsi attraverso una complessa interazione di fattori individuali (es. genere, età, scolarità, etnia), istituzionali (es. numerosità degli studenti nelle aule) e politico/professionali (immagine sociale della professione, economie locali)14. Le evidenze disponibili consentono di definire il profilo degli studenti a rischio d’insuccesso che sembrano  distinguersi per la presenza di alcune caratteristiche peculiari15 come ad esempio il genere maschile, l’età inferiore ai 23 anni, il background formativo debole (espresso con un basso punteggio di maturità), la presenza di un carico familiare, la presenza di difficoltà economiche che rendono necessario lo svolgimento di attività lavorative contestuali alla frequenza del corso. Seppure tali evidenze provengano soprattutto da studi in ambito infermieristico e quindi non siano generalizzabili a tutti i CLPS, la conoscenza dei possibili determinanti d’insuccesso, ne permette l’utilizzo come variabili d’indagine per lo studio del fenomeno. Rispetto alla frazione di evitabilità dell’insuccesso il contributo fornito dalla ricerca è purtroppo ridotto. Tra i fattori istituzionali associati all’insuccesso, si evidenziano: a) l’eccessiva numerosità degli studenti in aula16 che, riducendo la possibilità di interazione e confronto tra docente e studenti, non facilita i processi di apprendimento con dirette ricadute sulle performance d’esame e conseguente accumulo di ritardo nel percorso; b) le strategie di reclutamento e selezione qualora non permettano di individuare gli studenti di talento, motivati e con le maggiori abilità di studio8-9; c) le  metodologie tutoriali, spesso inadeguate nel sostenere ed orientare lo studente nel percorso di studi7. Solo attraverso l’intervento sui fattori istituzionali si potrà ottenere la riduzione dell’insuccesso evitabile ottenendo la piena e reale efficienza formativa universitaria.

Le possibili strategie per il miglioramento dell’efficienza formativa

Sono disponibili strategie  per ridurre l’insuccesso che tuttavia hanno bisogno di essere ancora valutate nella loro efficacia9-17. La prima strategia riguarda il reclutamento degli studenti9: numerosi abbandoni si  verificano, infatti, per una mancata risposta del Corso di studi alle aspettative dello studente18. Fornire ai possibili aspiranti, già nelle scuole secondarie, informazioni approfondite e di elevata qualità, permetterebbe di creare aspettative realistiche riducendo gli effetti negativi prodotti dallo shock da realtà che lo studente si trova a vivere non trovando piena corrispondenza rispetto a quanto immaginato19. Utili in tal senso potrebbero rivelarsi l’introduzione/rafforzamento delle visite guidate nei luoghi di cura affinché l’aspirante possa confrontarsi con l’ambito professionale di riferimento ed  il rafforzamento della partnership tra Università e Servizio Sanitario Nazionale17. Ulteriori esperienze di contrasto del fenomeno potrebbero essere: a) l’affinamento delle strategie di selezione degli studenti, riflettendo sulla possibilità di poter valorizzare il voto di maturità per incrementare la proporzione di studenti  con le migliori attitudini allo studio9; b) l’attivazione di un tutorato intensivo e supportivo, soprattutto per gli studenti del  primo anno7-20; c) il miglioramento della qualità degli ambienti di tirocinio clinico che hanno un pesante impatto sugli esiti di apprendimento21; d) la negoziazione diretta ed indiretta di supporti economici necessari a sostenere gli studenti motivati e di talento che vivono difficoltà economiche17. Nell’ottica del miglioramento dell’efficienza formativa, le esperienze proposte permettono di tenere aperto il dibattito sulla ricerca delle possibili strategie di intervento e sulla loro efficacia.

Conclusioni

Gli stimoli forniti dalle recenti norme, rafforzano la necessità di un continuo confronto interdisciplinare sulle tematiche proposte. La condivisione delle esperienze generate dai diversi gruppi disciplinari garantisce una rapida evoluzione delle conoscenze e, considerando la natura vincolante delle norme, è opportuno che  gli sforzi comuni siano indirizzati non solo al continuo monitoraggio dei fattori predittivi ma soprattutto a documentare l’efficacia delle strategie di miglioramento dell’efficienza formativa proposte. Emerge l’esigenza di intervenire in particolar modo sugli elementi istituzionali che sembrano incidere in modo significativo sugli esiti accademici degli studenti senza tuttavia tralasciare i fattori individuali che, seppur spesso non modificabili, rappresentano una preziosa fonte informativa utile a modulare e personalizzare il percorso formativo dello studente. Aumentare l’efficienza formativa, di cui l’insuccesso ne è un indicatore negativo, richiede azioni di ampio respiro, che vanno dalle strategie di reclutamento e selezione, alle scelte di progettazione curriculare, al monitoraggio della qualità degli insegnamenti, degli ambienti di tirocinio, delle modalità di tutorato, fino al supporto nel metodo di  studio ed alla definizione della composizione e della numerosità delle aule e quindi del rapporto studente/docente. Azioni che, vista l’estrema complessità del fenomeno e la variabilità degli attori coinvolti, richiedono uno sforzo comune, di confronto e supporto, tra i diversi  soggetti accademici.

Attualmente il sistema universitario italiano incentiva con molti meccanismi lo sviluppo della ricerca e contestualmente ha abbassato l’attenzione alla didattica. Investire sulla qualità dell’offerta formativa vuol dire anche premiare e incentivare i docenti a dedicare “pensiero” e tempo agli studenti e alla loro formazione. Forse è giunto il momento di rioerientare il sistema con maggior equilibrio tra la sua doppia mission: di didattica e di ricerca.

Ringraziamenti

Gli autori ringraziano Angelo Mastrillo per aver reso disponibili i dati relativi all’insuccesso accademico nei CL in Infermieristica.

Bibliografia

1) Decreto Ministeriale 30 gennaio 2013 n. 47. Decreto autovalutazione, accreditamento iniziale e periodico delle sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica. Roma 2013.

2) Decreto Legislativo 27 gennaio 2012, n. 19. Valorizzazione dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università e la valorizzazione della figura dei ricercatori a tempo indeterminato non confermati al primo anno di attività, a norma dell’articolo 5, comma 1, lettera a), della legge 30 dicembre 2010, n. 240. Roma, 2012.

3) AlmaLaurea, profilo corsi di laurea triennali. 2011; http://www2.almalaurea.it/cgi-php/universita/statistiche/framescheda.php?anno=2010&corstipo=L&ateneo=tutti&facolta=tutti&gruppo=tutti&pa=tutti&classe=tutti&corso=tutti&postcorso=tutti&disaggregazione=tutti&LANG=it&CONFIG=profilo.

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21) Bradbury-Jones C, Sambrook S, Irvine F. The meaning of empowerment for nursing students: a critical incident study. J Adv Nurs. 2007; 59:342-351.

Cita questo articolo

Dante A., Saiani L., L’insuccesso accademico nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie e il monitoraggio dell’efficienza formativa, Medicina e Chirurgia, 58: 2592-2595, 2013. DOI:  10.4487/medchir2013-58-7