Verso una Laurea professionalizzante. Certificazione delle Competenze professionalin.65, 2015, pp.2931-2941, DOI: 10.4487/medchir2015-65-3

Abstract

The assessment of clinical competency in undergraduate students is a complex task, which is preferably achieved by assessing a mix of components of the whole construct of competency. The latter in fact can only be assessed through the direct observation of physicians on the job.

If we frame the process of evaluation with the Kirkpatrick model, we can consider testing of self-efficacy of students as level 1 of the model, the ability of clinical problem solving in written of simulated clinical scenarios as levels 2 and 3 (immediate learning and persistence). A level 4 evaluation could only be achieved through on the job observation or through outcomes indicators at the level of population or career development. In this framework, key features problems, OSCE, mini-CEX and multi-source feedback are the most suitable methods of assessment.

During the workshop, these principles were embedded in four exercises of educational design, in which participants – divided in 4 small groups – identified two competencies relevant for different terms of the Italian medical curriculum and drafted examples of appropriate methods of assessment for those competencies.

Articolo

Introduzione: come valutare le competenze

Fabrizio Consorti (SIPeM e Roma Sapienza “C”)

A conclusione del percorso intrapreso durante tutto il 2014, nel quale abbiamo approfondito il concetto di competenza professionale e abbiamo riflettuto su come si potesse applicare in maniera realistica nei nostri corsi di laurea, in questo articolo introduttivo all’inserto speciale sull’atelier tenuto ad Alghero mi propongo di discutere come si possano valutare le competenze.

Ricordiamo che per competenza clinica intendiamo “l’abitudine all’uso giudizioso di conoscenze, ragionamento clinico, abilità tecniche, capacità comunicative, emozioni e valori da ripensare continuamente nella pratica quotidiana per il beneficio dell’individuo e della comunità di cui ci si occupa”, secondo la traduzione fatta nel Manifesto della SIPeM di una classica definizione di letteratura1. In questa definizione dobbiamo sottolineare come la competenza risieda soprattutto nella capacità di “usare”, in maniera fondata su giudizio critico, una serie di contenuti (conoscenze, abilità, …) per risolvere problemi professionali specifici. In questo senso la competenza non è direttamente valutabile negli studenti, che per definizione non possono essere assoggettati alla risoluzione reale di veri problemi clinici, altrimenti sarebbero già medici abilitati. Come vedremo più avanti, il costrutto di competenza clinica può essere osservato solo in un medico che lavora realmente e anche così è difficile coglierlo nella sua interezza ai fini valutativi. Questa obiezione introduce un concetto fondamentale: non esiste un modello assoluto di valutazione di efficacia di un intervento formativo, ma ogni valutazione è valida all’interno di un sistema di regole, limiti e condizioni. Se nell’ambito generale della valutazione ci si volge poi alla misura dell’effetto, si aggiunge anche l’imperfezione intrinseca di qualsiasi strumento di misura, ma questo ultimo aspetto non verrà considerato in questo articolo.

Uno dei modelli di valutazione di efficacia degli effetti di un intervento formativo  più diffusi nella letteratura internazionale – e non solo di medical education – è stato proposto da Donald Kirkpatrick2.

Il modello di Kirkpatrick prevede 4 livelli di valutazione:

1 – valutazione della reazione che i discenti hanno avuto al corso: lo strumento tipico di misura per questo livello è il questionario di gradimento. Non c’è necessariamente una correlazione fra il gradimento percepito ed espresso e il fatto che i discenti abbiano appreso, ma il gradimento viene comunque considerato un elemento positivo di apprendimento;

2 – valutazione dell’apprendimento in senso stretto: viene eseguita con tutto l’armamentario di metodi strutturati per la misura delle conoscenze teoriche, delle abilità pratiche e degli atteggiamenti (quiz e altri test scritti, prove pratiche e questionari);

3 – valutazione del trasferimento: in questo livello si valuta la persistenza a distanza di tempo di quanto appreso, cioè quanto il processo di formazione abbia prodotto costrutti che si sono stabilmente trasferiti nel comportamento e negli atteggiamenti del discente. Si tratta in sostanza di ripetere le stesse valutazioni del livello precedente a distanza di tempo;

4 – valutazione di impatto: soprattutto nella logica di una formazione professionale o aziendale, questo livello valuta gli eventuali cambiamenti intervenuti nelle prassi o nei risultati produttivi a seguito dell’intervento di formazione.

Se applichiamo questi livelli ad una valutazione orientata alle competenze, possiamo esprimerli nel modo seguente:

1 – valutazione della reazione: in questo caso più che la reazione di gradimento del corso ci interessa la reazione in termini di percezione di competenza conseguita. Ciò viene espresso come auto-valutazione della sicurezza con cui si affrontano certi compiti professionali. Il termine usato in letteratura internazionale è self-efficacy e in [3] è mostrato un esempio;

2 – valutazione dell’apprendimento: in questo caso sarà necessario usare strumenti di valutazione della “capacità di usare”, applicabili specificamente alle conoscenze (come ad esempio la soluzione di problemi diagnostici o terapeutici), alle abilità e agli atteggiamenti (attraverso simulazioni di atti o l’osservazione in contesti reali o realistici): simulazione/osservazione in contesti reali o realistici);

3 – valutazione del trasferimento: in questo livello si valuterà la persistenza a distanza ripetendo le stesse valutazioni del livello precedente a distanza di tempo o osservando il comportamento nel periodo successivo alla formazione;

4 – valutazione di impatto: a questo livello la misura è molto più difficile, anche se sarebbe la valutazione decisiva per giudicare dell’efficacia di un intervento formativo. Si tratta infatti di dimostrare un impatto sulla salute e/o sui costi e/o sulla qualità del lavoro.

Esamineremo ora nei dettagli alcuni metodi congruenti a fornire misure per aspetti correlati con la competenza, ai livelli due e tre del modello di Kirkpatrick.

a. valutazione dell’uso delle conoscenze

Sono coerenti con questo scopo le domande a scelta multipla in cui si chiede di decidere di fronte ad una condizione clinica, come nei  seguenti esempi di schemi di domande.

Un (descrizione del paziente) ha (dati anamnestici) e sta assumendo (farmaci). Quale dei suoi farmaci è la causa più probabile di (rilievo anamnestico, dato dell’es. obiettivo o di laboratorio)?

Un (descrizione del paziente) ha (rilievi anormali). Quali ulteriori dati clinici aiuterebbero a discriminare fra la (diagnosi1) e la (diagnosi 2)?

Una lista completa di formati idonei per domande a scelta multipla ad impostazione clinica può essere trovata in4.

I “test delle caratteristiche principali” (key feature problem – KFP) sono tipi di test a domande basati su casi clinici, in cui a sezioni narrative si alternano le sezioni con le domande. Le sezioni narrative espongono i dati del problema (anamnesi, esame obiettivo, risultati di esami diagnostici, terapie e loro esiti), mentre le sezioni con le domande esplorano la conoscenza che il discente ha delle azioni o scelte fondamentali da fare nella circostanza illustrata, come snodi critici del processo decisionale. A differenza delle domande a scelta multipla, i KFPs possono ammettere più di una risposta corretta per gruppo di domande e anche risposte aperte brevi5.

Da ultimo, anche stazioni di Objective Structured Clinical Examination (OSCE)6 in cui si richieda l’interpretazione di referti o di risultati di esami sono adatte alla valutazione di competenza, come nei seguenti esempi:

– osserva questo tracciato ECG di un <descrizione del paziente>, descrivine il ritmo, la frequenza, l’orientamento dell’asse, onde e intervalli  e suggerisci una diagnosi elettrocardiografica

–  un <descrizione del paziente>  ha questa batteria di esami di laboratorio: suggerisci una possibile condizione patologica correlata.

– orienta e osserva questa radiografia standard AP del torace di un <descrizione del paziente>, descrivi l’alterazione morfologica presente e suggerisci una possibile condizione patologica.

b. valutazione dell’uso delle abilità pratiche e degli atteggiamenti

Sono coerenti con questo scopo stazioni di OSCE basate sull’interazione con manichini avanzati o pazienti simulati, come ad es.:

– BLS-D o ALS in scenari clinici di emergenza medica

– manovre (misura della pressione, prelievo venoso)  nel contesto di visita ambulatoriale

– raccolta dell’anamnesi anamnesi, spiegazioni o prescrizioni a un paziente simulato

In queste situazioni può essere valutata la capacità tecnica (manovre di rianimazione cardio-polmonare), ma contestualmente anche la capacità di comunicazione e di lavoro in team. In effetti sono prove realistiche, in cui più ci si avvicina a quelle situazioni reali che sarebbero l’unico vero banco di misura della competenza clinica.

Va in questo senso la tecnica di valutazione denominata mini-CEX7, in cui un incontro con un paziente vero viene valutato da un osservatore. Se al feed-back dell’osservatore-valutatore si aggiungono anche quelli del paziente, di altri discenti presenti alla performance e magari di altri componenti del personale di cura, si parla allora di Multi-Source Feed-back (MSF)8. Quest’ultimo metodo può essere considerato utile nelle situazioni di tirocinio abilitante. Le figure 1 e 2 mostrano esempi di schede di valutazione per il mini-CEX e per il MSF.

Schermata 2015-04-27 alle 13.18.46 Schermata 2015-04-27 alle 13.19.07

Rimane un ultimo punto da discutere, che ci rimanda all’argomento della congruità, fondamentale quando si parla di valutazione. Innanzi tutto, come già detto, i metodi di valutazione devono essere congruenti col tipo di costrutto che si vuol valutare e misurare. Inoltre, affinché sia possibile valutare in maniera valida gli elementi della competenza clinica, è indispensabile che gli studenti abbiano seguito un percorso di insegnamento/apprendimento orientato alla risoluzione di problemi e con ampio ricorso alle simulazioni. Non si vuol certo negare l’importanza della didattica frontale, specie per l’insegnamento dei fondamenti, ma le conoscenze teoriche e nosografiche costituiscono solo il materiale con cui viene poi costruita la competenza. Questo processo di costruzione passa attraverso l’impegno attivo degli studenti, cimentati con compiti di difficoltà crescente, nella soluzione di problemi clinici su carta o con pazienti virtuali in ambiente elettronico9,10 e con simulazioni sia basate su manichini che su pazienti simulati11. Da ultimo, la valutazione delle ancora acerbe competenze di gestione relazionale e clinica dei pazienti potrà essere valutato “on the job” solo consentendo un periodo congruo di pratica clinica, con compiti di crescente autonomia, pur nei limiti di ciò che uno studente può fare in ossequio alla legge. E’ questa l’ultima sfida in vista di un esame laurea abilitante, insieme alla formazione di tutor efficaci sia come sostegno formativo che come valutatori.

Laboratorio No. 1

Tema: Quali competenze nel I biennio di Medicina, e come si valutano
Esperto: Giuseppe Familiari (Roma Sapienza “S. Andrea”)
Moderatore: Maurizia Valli

Partecipanti: Vittorio Locatelli, Maria Filomena Caiaffa, Tiziana Bellini, Mauro Tognon, Francesco Balata.

Mandato per i Laboratori: I partecipanti di ciascun laboratorio definiscano il contenuto delle competenze trattate nel loro laboratorio in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti. Propongano come valutare le competenze nel loro complesso

Dall’Elenco delle competenze TUNING:

1. Comunicare con i pazienti;

2. Definire e portare a compimento un’appropriata ricerca sulla letteratura.

Perché queste due competenze nel primo biennio

La realtà della formazione in Medicina e Chirurgia in Italia ha visto applicare un approccio, in molti Corsi di Laurea tra cui Sapienza Università di Roma, un profilo di tipo biomedico-psico sociale, che prevede anche l’early clinical contact nei primi due anni di corso; in questo ambito la competenza del comunicare con i pazienti, pur se squisitamente di tipo verticale, assume una importanza di tipo strategico anche nel primo biennio del corso di laurea (Familiari, 2000; Familiari et al., 2001, 2006, 2013; Torsoli et al., 2000; Snelgrove et al., 2009).

Inoltre, nei primi due anni di corso, le discipline di base sono generalmente apprese attraverso il progresso della ricerca scientifica e, in diversi Corsi di Laurea, sono presenti diverse esperienze che possono identificare l’acquisizione di una competenza importante quale quella del definire e portare a compimento un’appropriata ricerca sulla letteratura (Relucenti et al., 2014).

Non deve essere infine dimenticata l’importanza della dimensione internazionale della nostra formazione del medico, e l’importanza che, in questo ambito, possano avere linee guida accreditate a livello internazionale (Familiari, 2013; Familiari et al., 2013; Familiari e Consorti, 2013; Consorti, 2014)

Comunicare con i pazienti

Nell’elenco delle competenze TUNING, quella denominata “comunicare con i pazienti” è la prima del secondo livello in un quadro molto complesso che prevede, come competenza generale di primo livello, quella in cui i: “Graduates in medicine will have the ability to communicate effectively in a medical context”. 

Le competenze correlate di secondo livello sono rappresentate da un elenco analitico che richiede un percorso verticale nell’intero corso di medicina per l’acquisizione completa (tabella 1).

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Tabella 1

Su questo argomento, vi è stata una prima consultazione per capire se questo tema, così specialistico in apparenza, fosse adatto in un primo biennio affollato di materie di base, il cui ruolo, almeno per alcune come chimica e fisica non é spesso compreso dagli studenti nella loro importanza per la costruzione delle basi metodologiche del ragionamento scientifico. Il risultato del primo giro di consultazione é stato che bisogna far comprendere che le scienze di base sono fondamentali per la formazione medica e che quindi devono essere strettamente insegnate in modo finalizzato alla formazione clinica. Una prima conclusione di tipo generale è quella che, già dal primo anno di corso, un insegnamento finalizzato con la presentazione di aspetti clinici potrebbe contribuire all’acquisizione di un linguaggio corretto da parte degli studenti; acquisizione precoce che è stata ritenuta indispensabile come base per una buona comunicazione interpersonale.

Sempre dalla discussione del gruppo di lavoro è emerso come, in molti Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia italiani, ci siano, nei primi anni di corso, corsi integrati di Metodologia Medico Scientifica e/o di Scienze Umane, dove si inizia a affrontare la tematica del rapporto medico paziente; questo tipo di organizzazione di tipo verticale, ancora non applicato sistematicamente nella realtà italiana, sembra essere molto importante per indirizzare precocemente gli studenti su questa competenza in modo corretto.

Il gruppo di lavoro ha giudicato questa competenza sia di tipo trasversale che di tipo verticale, in grado di costruirsi validamente nei sei anni di corso e con il contributo di tutti i corsi integrati già dal primo anno.

Non deve essere sottovalutata, soprattutto per quei corsi di laurea ancora con organizzazione di tipo tradizionale, l’importanza del rapporto interpersonale tra docente e studente, nei corsi delle scienze di base. Da un corretto rapporto tra studente e docente, che non sia di tipo autoritario ma, al contrario sia improntato alla cordialità e alla collaborazione, può trovarsi la radice di quelle che saranno poi le abilità comunicative che lo studente riuscirà ad acquisire lungo l’intero percorso formativo. Anche l’esame orale potrebbe rappresentare un’altra possibilità di imparare la comunicazione: lo studente impara ad usare un linguaggio appropriato e soprattutto chiaramente comprensibile.

La valutazione corretta di questa competenza deve comprendere i diversi metodi di valutazione idonei, quali l’OSCE, il mini-CEX, il feedback, l’uso del paziente standardizzato, l’osservazione diretta e il portfolio (Dornan et al., 2011). Naturalmente questi metodi di valutazione sono strutturati per diversi livelli valutativi e possono essere utilizzati nell’intero percorso formativo, con modalità di valutazione a complessità crescente. Debbono anche essere tenute in considerazione le possibilità organizzative del Corso in merito a disponibilità di docenti dedicati e alle risorse economiche da potervi destinare. Per gli studenti dei primi anni di corso è sembrato maggiormente utilizzabile il metodo dell’osservazione diretta e il portfolio come utile strumento di raccolta delle esperienze fatte dallo studente stesso.

Definire e portare a compimento un’appropriata ricerca sulla letteratura 

Questa è una competenza di primo livello, così definita da TUNING: “Graduates in medicine will have the ability to apply scientific principles, method and knowledge to medical practice and research”. Per questa competenza non sono specificate competenze specifiche di secondo livello.

In questo caso, la discussione nel gruppo di lavoro é stata breve e con un accordo immediato. E’ facile comprendere come tutti i corsi del primo biennio si prestino a mostrare allo studente come si conduca una ricerca di letteratura, come si applichino principi scientifici e metodologie innovative. Sono stati discussi diversi casi esplicativi: a esempio, l’insegnamento della genetica medica non può prescindere da laboratori in cui si impari ad usare data base specifici quali PubMed e OMIM. E’ stata citata anche una esperienza di laboratorio, nel campo dell’anatomia micro strutturale, come metodo precoce per offrire agli studenti di Medicina e Chirurgia uno scenario reale di metodo di ricerca scientifica in argomenti comprensibili già dal primo anno di corso (Relucenti et al., 2014). La conclusione del gruppo di lavoro è stata quella che su questa competenza sia più semplice impostare un approccio pedagogico corretto, anche se vi deve essere comunque posta la giusta tensione organizzativa.

I mezzi di valutazione, in questo caso, possono essere compresi all’interno delle usuali prove d’esame orali e scritte dei corsi integrati del primo biennio. Anche per la valutazione di questa competenza, l’uso del portfolio sembra essere molto interessante per iniziare, insieme con lo studente, quel percorso virtuoso di pratica riflessiva, anche sul metodo della ricerca scientifica, che lo dovrà accompagnare per l’intero iter formativo.

Bibliografia

Consorti F. Formazione per competenze. Quadri di riferimento nazionali e internazionali. Med Chir 63: 2826-2829, 2014.

Dornan T, Mann K, Scherpbier A, Spencer J. Medical Education, Theory and Practice, pp. 1-345, Elsevier, 2011.

Familiari G. Profilo bio-psico-sociale a Roma, La Sapienza, II Facoltà. Med Chir 15: 557-561, 2000.

Familiari G, Falaschi P, Vecchione A. La nuova laurea specialistica in medicina e chirurgia e la formazione di un medico con una cultura biomedico-psico-sociale. Med Chir 16: 591-596, 2001.

Familiari G, Falaschi P, Ziparo V. L’Organizzazione didattica del corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia, Roma “La Sapienza” II Facoltà. Med Chir 32: 1291-1293, 2006.

Familiari G, Violani C, Relucenti M, Heyn R, Della rocca C, De Biase L, Ziparo V, Gallo P, Consorti F, Lenzi A, Gaudio E, Frati L. International reality of medical education. MEDIC 21: 53-59, 2013.

Familiari G. The international dimensions of medical education. Med Chir 57: 2537-2538, 2013).

Familiari G, Consorti F. The best evidence medical education and the essential skills on medical teaching: important keys for medical educatioon internazionalization. Med Chir 59: 2662-2663. 2013.

Relucenti M, Battaglione E, Miglietta S, Petruzziello L, Familiari G. Early Electron-Microscopy laboratory attendance an efficacious way of introducing medical students to scientific research. In: Microscopy, Advances in Scientific Research and Education, A. Méndez-Vilas Ed., pp. 1145-1150, Formatex, 2014.

Snelgrove H, Familiari G, Gallo P, Gaudio G, Lenzi A, Ziparo V, Frati L. The challenge of reform: 10 years of curricular changes in Italian Medical Schools. Med Teach 31: 1047-1055, 2009.

Torsoli A, Cascino A, Familiari G, Gallo P, Gazzaniga P, Rinaldi C, Della Rocca C, Renda T, Serra P, Frati L. Un’ipotesi di curriculum integrato pre-laurea. MEDIC 20: 204-210, 2000.

Laboratorio No. 2

Tema: Quali competenze al III anno di Medicina, e come si valutano
Esperto: Carlo Della Rocca (Roma Sapienza “E”)

Ai lavori del Laboratorio hanno partecipato: Anna Bossi (Milano Polo Centrale), Calogero Caruso (Palermo), Bruno Moncharmant (Campobasso), Giulia Morace (Milano San Paolo), Raffaella Muraro (Chieti), Giovanni Murialdo (Genova), Sonia Nardulli (Sassari Sism), Riccardo Zucchi (Pisa)

Contenuti del Laboratorio

Inizialmente la discussione si è incentrata sul problema generale della valutazione e, nello specifico, si è sottolineato come la valutazione stessa sia strumento di valorizzazione dell’apprendimento oltre che volano per lo studio strutturato; in particolare si è sottolineto che le modalità stesse della valutazione determinano il tipo di apprendimento e che quindi una valutazione per competenze può aiutare in modo determinante la realizzazione di un apprendimento/insegnamento per competenze. Successivamente la discussione ha affrontato il problema degli strumenti di valutazione rilevando la necessità di stabilirne a livello operativo le modalità di costruzione di utilizzazione oltre che di interpretazione dei risultati della loro applicazione. Nel contestualizzare i concetti espressi è apparso necessario individuare le caratteristiche della condizione del III anno del corso di laurea magistrale in medicina e chirurgia.

Pur con le dovute differenze locali è apparso chiaro che al III anno:

– si conclude il triennio pre-clinico

– generalmente si concludono i corsi di metodologia clinica

– lo studente dovrebbe aver appreso/sviluppato competenze soprattutto di ordine metodologico e relazionale

– le valutazioni dell’apprendimento dovrebbero misurare la capacità dello studente di applicare – tali competenze nel senso di:

• saper usare le conoscenze acquisite nello studio delle materie di base

• saper usare le abilità metodologiche apprese nello studio delle metodologie di base e cliniche

• saper usare le abilità relazionali sviluppate tramite lo studio delle “humanities”.

In questo contesto sono stati individuati come strumenti di valutazione adeguati:

– una tipologia di esame scritto, con key feature problems per indagare la capacità di usare le conoscenze acquisite

– l’OSCE (objective structured clinical examination) per indagare la capacità di usare le abilità metodologiche

– l’OSVE (objective structured video examination) per indagare la capacità di usare le abilità relazionali

Si è infine passati all’esecuzione del mandato

L’elaborazione del mandato

Sono stati proposti due esempi di competenze:

Condurre un esame obiettivo

Fornire spiegazioni e consigli

Il Laboratorio ha scelto l’esempio “Fornire spiegazioni e consigli” e ha individuato il contesto di “interagire con un assistito che si è sottoposto a un test di screening e ha ricevuto un risultato di positività”.

Preliminarmente è stato individuato il core curriculum necessario per aver sviluppato tale competenza così come di seguito riportato:

– conoscenze epidemiologiche

– conoscenze etio-patogenetiche e fisiopatologiche

– conoscenze relative alla sensibilità e specificità dei test

– abilità “pratiche”

– saper interpretare il valore del test positivo

– abilità relazionali

– saper metter a proprio agio l’assistito

– entrare in empatia con l’assistito

– saper usare un linguaggio adeguato

– saper interagire con il team multiprofessionale

– contestualizzare il risultato del test all’interno del quadro anamnestico

– saper raccogliere l’anamnesi.

Quindi è stato impostato il seguente key feature problem:

Maschio di 35 anni, fumatore, normo-peso con familiarità per cardiopatia ischemica, effettua test di “piazza” nella giornata del diabete con risultato di glicemia = 190 mg/dl. Tu sei il suo medico di famiglia a cui l’assistito si rivolge, spaventato, per spiegazioni.

Come corollario al lavoro svolto è stato notato che una volta seguita la metodologia corretta, in particolare tramite l’individuazione preliminare del core curriculum necessario per formare la competenza indagata, è possibile costruire infiniti contesti anche per un’unica competenza e che lo stesso percorso per costruire un sistema di valutazione per competenze rappresenta un forte strumento “politico” per indurre ad insegnare e ad apprendere per competenza oltre che, inevitabilmente, condurre ad un reale approccio multidisciplinare anche nella formazione del core curriculum.

Laboratorio No. 3

Tema: Quali competenze al IV-V anno di Medicina, e come si valutano
Esperto: Rosa Valanzano (Firenze)

Contenuti del Laboratorio

L’attività formativa professionalizzante (AFP), conosciuta in genere come tirocinio pratico, rappresenta un’attività specifica ed obbligatoria, come prevista  dal DM del 2001.

Non meno di 60 crediti sono destinati alle attività formative professionalizzanti (tirocini) che dovrebbero essere svolti  a piccoli gruppi  con l’esecuzione di attività pratiche, gestuali e relazionali sia al letto della persona malata, sia eventualmente, in un contesto di simulazione, tramite  ad esempio l’impiego di manichini (anche tecnologicamente avanzati) ovviamente disponibili in base alle risorse strutturali ed economiche e del  CLM .

Tale tirocinio è finalizzato a far acquisire la piena padronanza di tutte le necessarie competenze del futuro medico che includono: il percorso intellettivo, le abilità comunicative e quelle pratiche coordinate ed integrate.

Le caratteristiche qualificanti del medico che si intende formare comprendono dunque:

a) buona capacità al contatto umano (communication skills);

b) capacità di autoapprendimento e di autovalutazione (continuing education);

c) abilità ad analizzare e risolvere in piena autonomia i problemi connessi con la pratica medica insieme ad una buona pratica clinica basata sulle evidenze scientifiche (evidence based medicine);

d) abitudine all’aggiornamento costante delle conoscenze e delle abilità, ed il possesso delle basi metodologiche e culturali atte all’acquisizione autonoma ed alla valutazione critica delle nuove conoscenze ed abilità (continuing professional development);

e) buona pratica di lavoro interdisciplinare ed interprofessionale (interprofessional education);

f) conoscenza approfondita dei fondamenti metodologici necessari per un corretto approccio alla ricerca scientifica in campo medico, insieme all’autonomo

g) uso delle tecnologie informatiche.

L’elaborazione del mandato

Lo studente viene messo al centro del proprio percorso formativo, in una posizione attiva che lo porterà gradualmente a gestire le sue stesse attività di apprendimento:

– adeguata accoglienza della persona malata

– appropriata relazione con la persona malata.

Alcuni casi, inerenti procedure  specialistiche (quali l’ inserzione di un catetere venoso centrale o l’esecuzione di una paracentesi) non possono essere necessariamente obbligatori,  essendo pertinenti alla formazione specialistica, benchè  lo studente sarebbe comunque agevolato nel suo successivo iter formativo.

Nell’esperienza del CLM di Firenze le attività professionalizzanti del V anno sono concentrate nel II semestre del V anno, durante il quale non sono previste lezioni frontali.

Sono dunque svolti i seguenti internati:

Medicina interna

Chirurgia generale

Terapia intensiva e subintensiva

Ginecologia ed Ostetricia

DEA (Dipartimento di emergenza-urgenza)

A causa dell’enorme numero di studenti (in media  250) è stato necessario stringere accordi con  i dirigenti di struttura complessa (primari)  di tutta l’Area Vasta , tramite accordi diretti del Presidente del CLM, senza alcuna retribuzione onerosa, ma attribuendo loro  il titolo di tutor.

Attualmente il numero complessivo di docenti e tutors ammonta a 44 unità.

In caso di modifica  di uno dei tutors (per quiescenza o trasferimento) il Presidente ricontatta direttamente il nuovo tutor.

Al fine di assicurare  la qualità della rete formativa viene sottoposto agli studenti  un test di gradimento che include il giudizio su gradimento e frequenza:

Gradimento: ottimo, buono, discreto, sufficiente, insufficiente

Frequenza, come sotto esemplificato.

Schermata 2015-04-27 alle 14.01.02

Non è invece previsto nessun tirocinio nel VI anno al fine di  consentire agli studenti  di  lavorare  in maniera  approfondita  ma pacata per la compilazione della Tesi di Laurea

Laboratorio No. 4

Tema: Quali competenze alla fine dei sei anni di Medicina, e come si valutano
Esperto: Oliviero Riggio (Roma Sapienza “B” e “C”)

Contenuti del Laboratorio

Il laboratorio è partito dalla definizione di competenza medica come “the habitual and judicious use of communication, knowledge, technical skills, clinical reasoning, emotions, values, and reflection in daily practice for the benefit of the individuals and communities being served” fornita da RM Epstein (N Engl J Med 2007;356:387-96). La competenza medica quindi non può essere considerata una qualità acquisibile una volta per tutte ma piuttosto un habitus mentale all’apprendimento continuo, alla contestualizzazione e alla riflessione continua sulla propria esperienza professionale. Quindi non una condizione da apprendere durante la “Scuola di Medicina” ma acquisibile soprattutto attraverso le successive esperienze di studio e pratica professionale. Inoltre essendo la competenza una attitudine a svolgere efficacemente una attività finalizzata riconosciuta socialmente -nel nostro caso l’attività del medico- è anche evidente come gli studenti di medicina non possano acquisire, per definizione, la competenza medica durante i loro studi. Infine, considerando che la competenza comporta mobilizzare apprendimenti (conoscenze, procedure e logiche disciplinari) per risolvere problemi e per affrontare situazioni nuove e significative e che per realizzarsi comporta il saper agire (mobilizzare le proprie risorse in situazione) il voler agire (motivazione personale) e soprattutto il poter agire (nel contesto che consente e legittima la possibilità di assumere responsabilità e rischi) è evidente il concetto che lo studente di medicina può solo essere introdotto alla “competenza medica”.

Ciò premesso, è evidente che progettare l’attività didattica “per competenza” vuol dire  1) centrare la didattica sulle situazioni/compiti in forma di problemi complessi che lo studente deve imparare ad affrontare, 2) contestualizzare gli apprendimenti in relazione alle situazioni da affrontare e infine 3) valutare soprattutto le potenzialità d’impiego integrato e autonomo di quanto appreso. Questo rende molto diversa la didattica per la competenza dalla didattica per la conoscenza in cui la centratura è sui contenuti scientifico-disciplinari che lo studente deve fare propri, in genere, in forma decontestualizzata.

Nella pratica il professionista della salute parte da un problema, (un disturbo, un dato laboratoristico), che il paziente porta alla sua attenzione, analizza il problema mediante la raccolta mirata di dati (anamnesi, esame obiettivo e indagini diagnostiche) e, al raggiungimento della diagnosi (competenza diagnostica) prende decisioni e fornisce consigli terapeutici/gestionali (ripetere gli esami, a cadenza variabile, ecc.) (competenza diagnostico/gestionale) comunicando e condividendo decisioni e consigli col paziente (competenza comunicativa/relazionale). Il laboratorio ha quindi concordato che alla fine dei sei anni di medicina, dopo che le conoscenze, le logiche disciplinari e le abilità delle singole discipline mediche sono state acquisite nel corso degli anni precedenti, lo studente debba essere introdotto alla competenza medica sostanzialmente facendolo interagire in maniera necessariamente simulata e controllata ma con il massimo grado di verosimiglianza e di responsabilità personale (e naturalmente in ambiente protetto) con situazioni/problemi che possano essere emblematici di un certo contesto clinico (medicina, chirurgia, emergenza, ecc.) e/o sistematici cioè ritenuti talmente rilevanti da dover essere affrontati almeno una volta da tutti gli studenti del corso, indipendentemente dalla loro futura specializzazione.

L’elaborazione del mandato 

I partecipanti di ciascun laboratorio definiscano il contenuto delle competenze trattate nel loro laboratorio in termini di conoscenze, abilità e atteggiamenti. Propongano come valutare le competenze nel loro complesso.

Il gruppo si è quindi chiesto come identificare “problemi core” e quale metodologia didattica fosse la più adatta a farli affrontare dagli studenti secondo le caratteristiche sopra riportate (verosimiglianza, responsabilità personale, e sistematicità). In questo senso ci si è trovati d’accordo nel sottolineare che, a tale scopo, la semplice frequenza di uno o più reparti (medicina, chirurgia, emergenze, ecc.) non può essere sufficiente a   soddisfare il carattere di sistematicità dei problemi selezionati. La didattica in reparto è infatti contingente ai casi effettivamente presenti in quel momento ed è pertanto non adatta a soddisfare la possibilità che tutti gli studenti del corso affrontino almeno una volta tutti i “problemi core”. Alla frequenza in reparto, necessaria per avvertire la logica generale di una certa attività professionale, occorre affiancare metodi didattici specifici (lavoro a piccoli gruppi, discussione dei casi clinici, studio delle differenze, ecc.) che possano far realizzare la sistematicità dei problemi affrontati. Specialmente in ambito di emergenza la simulazione deve quindi affiancare il reparto e consentire l’apprendimento delle tecniche con il massimo della verosimiglianza ma anche della protezione dello studente in formazione.

Il gruppo di lavoro si è quindi dedicato a scegliere da un pool di problemi quelli “core” mediante l’utilizzo del PUIGER: una griglia di valutazione che permette di identificare le situazioni/problema sulla base della loro Prevalenza, Urgenza, possibilità di Intervento efficace, Gravità, Esemplarità pedagogica e Ripercussione sociale. Infine, a titolo di esempio, per uno specifico problema clinico come “la valutazione della gravità di una emorragia digestiva superiore”, il gruppo ha compilato una matrice per lo sviluppo di un modulo didattico comprendente l’ambito di competenza, la competenza attesa, il compito/i complesso/i che lo studente deve saper affrontare al termine del percorso, i prerequisiti in termini di conoscenze e abilità che lo studente deve aver acquisito in precedenza, gli apprendimenti/risorsa da sviluppare in funzione della competenza complessa e infine, la metodologia didattica e la metodologia di valutazione da impiegare in fase di apprendimento e di valutazione dell’apprendimento. Per quest’ultima fase i metodi di valutazione contestualizzati come il key feature problem è apparso particolarmente adatto.

Conclusioni

Pietro Gallo (Sapienza Università di Roma)

La discussione nei laboratori è partita da tre punti-cardine:

– la definizione di competenza professionale clinica come la capacità di utilizzare conoscenze, abilità e atteggiamenti in un contesto clinico reale o realistico;

– la consapevolezza che per poter valutare per competenze occorre aver prima insegnato per problemi;

– la conoscenza della cassetta degli attrezzi a disposizione per valutare l’acquisizione delle competenze professionali, in termini di quesiti a scelta multipla con problemi clinici, key feature problems, stazioni dell’Objective Structured Clinical Examination (OSCE), osservazione in tirocinio valutativo.

Dalla presentazione degli esperti e, ancor più, dai laboratori, sono emerse alcune conclusioni condivise:

– per insegnare e valutare per problemi occorre formare tanto i docenti (con iniziative di insegnare a insegnare non solo per le lezioni frontali ma anche per la didattica a piccoli gruppi, e per l’esecuzione di prove di valutazione obiettive, pertinenti e coerenti) che i tutor clinici (formazione alle attività didattiche professionalizzanti a piccoli gruppi, al tirocinio clinico, alla valutazione in contesto reale o realistico);

– occorre imparare a conoscere e a utilizzare nel migliore dei modi gli strumenti della valutazione. Dai laboratori emerge la necessità di analizzare le singole componenti delle competenze professionali e di utilizzare strumenti di insegnamento e di valutazione come i key features problems e la simulazione;

– la valutazione per competenze impone un core curriculum concordato in un contesto multi- e inter-disciplinare. Occorre decidere quali sono le core competences da insegnare e di cui è necessario valutare l’apprendimento;

– occorre creare un cultura dell’apprendimento attivo, insegnando agli studenti a venire “preparati alla lezione” che diventa un’occasione non tanto di apprendimento passivo quanto di verifica e completamento delle conoscenze;

– la formazione per competenze richiede contesti clinici meta-disciplinari come il tirocinio; infatti la valutazione per competenze mal si applica al contesto disciplinare (l’esame finale del corso) mentre si presta meglio o alla valutazione formativa (feedback, portfolio) o a forme meno parcellizzate di valutazione certificativa, come l’esame di semestre, l’OCE di biennio, o l’esame di laurea abilitante;

– molte competenze devono essere acquisite in modo longitudinale (secondo la spirale di Hardeni) definendo livelli definiti di acquisizione. Per una valutazione longitudinale sono utili strumenti di valutazione formativa come il portfolio e di valutazione certificativa come un progress test delle competenze.

In conclusione, intanto è opportuno notare che dal dibattito nei laboratori non sono emerse particolari criticità per cui i tempi sembrano maturi, anche nel corso di laurea in Medicina, per addivenire alla formazione e alla valutazione per competenze cliniche.

Dal dibattito è emerso uno specifico mandato per la Conferenza Permanente dei Presidenti di CCLM in Medicina, in termini di:

– contribuire alla definizione di ruolo, funzione e reclutamento dei tutor clinici;

– coordinare un lavoro di definizione delle competenze in uscita del laureato in Medicina e Chirurgia (il profilo del medico “normale” Italiano);

– contribuire alla definizione di una valutazione per competenze delle studente in Medicina, durante il corso degli studi e in sede di esame di laurea abilitante.

Bibliografia

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Cita questo articolo

Consorti F., Della Rocca C., Familiari G., Gallo P., Riggio O., Sperandeo F., Valanzano R., Verso una Laurea professionalizzante. Certificazione delle Competenze professionali, Medicina e Chirurgia, 65: 2931-2941, 2015. DOI:  10.4487/medchir2015-65-3

Verso una Laurea professionalizzante. 1° Acquisizione delle competenze professionalin.62, 2014, pp.2797-2804, DOI: 10.4487/medchir2014-62-4

Abstract

At present, becoming a practitioner in Italy implies taking a graduation in ‘Medicine and Surgery’ in one of the Italian Universities and passing a state qualifying examination, managed by the Ministry of Health. In order to avoid duplications and to shorten the long training period spent by future doctors, the National Conference of Undergraduate Curricula Presidents has proposed to the Ministries of Education and of Health to unify the procedures and create a qualifying medical degree.

Such a new examination will necessarily imply the check of practical abilities and this stresses the importance of teaching both practical skills and professional competencies.

In this setting, the Educational Innovation Committee of the National Conference organized a workshop, open to all the Undergraduate Curricula Presidents, on the topic of teaching professional competencies in the undergraduate curricula. The workshop was held in Milan (State University) on the 21st February 2014. 

The workshop was subdivided into four contemporary working groups. Each class was lead by an expert in medical education, introduced by a demonstration by a medical student, and guided by a chairperson, and worked separately on a different topic. At the end of the team work, a plenary debriefing allowed all participants to share the conclusions of the different groups. The topics addressed in the single groups were: 1: the skill lab; 2: the simulated patient; 3: the technology-enhanced learning, and 4: the peer-clinical examination.

Articolo

 

Introduzione

Questo articolo riferisce i tratti essenziali dell’atelier pedagogico dal titolo Verso una Laurea professionalizzante: Acquisizione delle Competenze Professionali. L’evento è stato organizzato dal Gruppo di Lavoro Innovazione Pedagogica per conto della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale (CPPCLM) in Medicina, e si è svolto a Milano Ca’ Granda il 21 Febbraio 2014.

Scopo di questo atelier era di fare il punto sulle modalità di insegnamento delle attività formative professionalizzanti (AFP) nel Corso di Laurea Magistrale (CLM) in Medicina, soprattutto in vista dell’esame di laurea abilitante che la CPPCLM sta proponendo di attuare.

Quando si parla di acquisizione di competenze professionali occorre distinguere tra:

– abilità operative e relazionali (le practical skills della letteratura anglosassone), quali saper misurare la pressione arteriosa o saper comunicare una notizia al paziente, e

– competenze professionali vere e proprie, quali saper fare una diagnosi, somministrare una terapia o impostare una procedura

Le competenze professionali sono, in realtà, competenze metacognitive, in quanto implicano l’acquisizione di conoscenze e di abilità. Per impostare la terapia dell’ipertensione, il medico deve intanto conoscere le basi molecolari e fisio-patologiche di questa condizione morbosa (competenza conoscitiva), e poi essere in grado di misurare la pressione arteriosa del paziente (competenza operativa).

In passato, l’insegnamento della Medicina era concentrato sulla trasmissione di conoscenze e solo in piccola parte sull’insegnamento a letto del malato. Oggi la formazione alla professionalità impone un insegnamento molto più pratico e ciò richiede un crescente utilizzo di tecniche di simulazione (Simulation-Based Medical Education, SBME).

L’espansione della SBME si spiega con motivazioni che sono comuni a tutto il Mondo occidentale e con altre che sono specifiche del nostro Paese.

Nel mondo i principali motivi che hanno condotto alla diffusione della SBME1 sono:

– l’etica del Paziente: c’è una crescente consapevolezza del diritto del malato alla privacy e a essere protetto dai rischi che possono derivare dall’intervento dello studente;

– la Medicina difensiva: la simulazione è utile per accrescere la competenza dei professionisti della salute e per ridurre il tasso di errori;

– le esigenze di Sanità pubblica: la necessità di ridurre i costi della sanità impone ricoveri sempre più brevi, riducendo la possibilità che gli studenti possano avere accesso ai pazienti;

– l’adesione al Core Curriculum: gli studenti devono affrontare un ampio numero di malattie, setting clinici e situazioni realistiche di problem-solving e decision-making, che non possono essere presentate dai pazienti di volta in volta ricoverati in reparto;

– la necessità di strumenti per una valutazione pertinente ed obiettiva: tutti gli sforzi profusi nell’insegnamento professionalizzante sono vanificati da una valutazione solo teorica, e la valutazione dell’acquisizione delle competenze professionali richiede lo sviluppo di nuovi strumenti;

– la pressione da parte dell’Industria della Simulazione: inevitabilmente, la necessità di strumenti di simulazione sempre più sofisticati alimenta il mercato, ma per il CLM in Medicina non servono le costosissime “high-tech simulation modalities”, necessarie per alcune forme di addestramento infermieristico o medico-specialistico, ma bastano le economiche “low-tech simulation modalities” (una coscia di pollo è efficace per imparare a fare una sutura come un manichino sofisticato).

In Italia vi sono poi condizioni peculiari, che riflettono la realtà sociale del nostro Paese:

– il portato degli anni ’60 e ‘70: in quegli anni frotte di baby-boomers hanno studiato Medicina portando il rapporto medici/popolazione Italiana ad essere uno dei più alti d’Europa, con la conseguente introduzione del numero chiuso. Questo, oltre a calmierare il numero di laureati, ha permesso – insieme alla frequenza obbligatoria – di passare da una didattica teorica, frontale, ad un insegnamento professionalizzante, a piccoli gruppi, divenuto sostenibile grazie alla riduzione degli iscritti;

– il cambiamento odierno: i baby-boomers stanno andando in pensione e, per ragioni economiche, questi non vengono rimpiazzati; di contro, dopo decenni di numero chiuso (e non di numero programmato), il numero di medici in Italia sta per divenire insufficiente. Di conseguenza, il rapporto docenti/studenti sta diminuendo rapidamente e ciò mette a repentaglio le prospettive reali della didattica a piccoli gruppi. In questo scenario, almeno la low-tech SBME – consentendo agli studenti di migliorare e valutare le proprie abilità operative con un minimo supporto tutoriale – può essere di grande utilità.

L’atelier ha affrontato la tematica dell’acquisizione delle competenze professionali toccando, in altrettanti laboratori, quattro tematiche fondamentali:

– lo skill lab

– il paziente simulato

– l’e-learning

– l’esame obiettivo tra pari

Ogni Laboratorio è stato animato da un esperto (con specifica esperienza sul tema), uno o più dimostratori (studenti del SISM e un’attrice) e da un facilitatore (un Presidente di CLM e il Presidente della SIPeM).

A tutti i laboratori è stato dato il medesimo mandato: “il Gruppo formuli una proposta di acquisizione di competenze professionali, mediante la modalità di insegnamento-apprendimento illustrata nel laboratorio, che sia proponibile e fattibile nei CL italiani in vista dell’esame di laurea abilitante”

Laboratorio No. 1

Tema: Lo skill lab

Esperto: Riccardo Lubrano (Roma Sapienza “C”)

Dimostratori: Stefano Guicciardi (SISM Modena) e Marco Nicolazzi (SISM Piemonte Orientale)

Facilitatore: Giuseppe Familiari (Roma Sapienza “S. Andrea”)

Contenuti del Laboratorio

In medicina con la dizione “skill” si intende una serie di manovre finalizzate a permettere l’esecuzione di un atto medico o chirurgico secondo linee guida internazionali. L’introduzione delle skill nel core curriculum del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia pone delle difficoltà organizzative ma al contempo è un’occasione importante per apportare delle innovazioni al modo di fare didattica e all’incisività del piano formativo. Il processo per renderle fruibili dovrebbe articolarsi attraverso tre fasi preparatorie tra loro interdipendenti: la progettazione della skill, la tecnica di insegnamento e quella di valutazione.

Progettare la skill significa disegnare l’esecuzione dell’atto, secondo quanto riconosciuto come appropriato dalla letteratura scientifica. L’obiettivo da raggiungere sarà quello di preparare una nozione tecnica in un formato facilmente distribuibile agli studenti i cui contenuti non devono poter essere alterati affinché tutti ricevano nello stesso modo la stessa informazione. Questo concetto di diffusione e condivisione del sapere, necessariamente si rifletterà sulla modalità di insegnamento che non potrà più essere affidata all’estrosità del singolo, ma dovrà essere codificata e standardizzata. Processo questo che trasformerà l’insegnante in un facilitatore dell’apprendimento e sarà il garante dell’uniformità della distribuzione del saper fare. End-point di questa successione di eventi, sarà una prova di verifica del processo di formazione in cui il facilitatore valuterà l’esecuzione dell’intervento educativo con le stesse caratteristiche di analisi per ogni soggetto esaminato. Ovviamente il denominatore comune di queste tre fasi sarà l’uniformità, che potrà essere realizzata solo rendendo ovunque uguali questi momenti.

La diffusione uniforme dell’informazione potrebbe richiedere la creazione di una collana di e-book,  e/o DVD, o di un sito web a cui possano accedere liberamente tutti gli studenti. Così, nella successiva fase pratica dell’apprendimento il facilitatore potrà più semplicemente operare su una popolazione che ha ricevuto la stessa formazione teorica e, ove possibile, sfruttare la tecnica di insegnamento “pratica mentre guardi”. Da qui la necessità di realizzare un irrinunciabile programma di formazione dei formatori per avere una metodica di “insegnamento standard” più adatta al moderno ruolo del facilitatore. Chi vorrà “insegnare” l’abilità dovrà mostrare di saper utilizzare il processo standard di formazione proposto per il singolo atto. Ovviamente la formazione del formatore a sua volta comprenderà per ogni skill l’apprendimento dello schema standard del processo di valutazione che lo studente dovrà superare per acquisire l’abilitazione alla sua esecuzione.

Affinché la skill non perda la sua capacità formativa, e determini l’ottimizzazione del saper fare, questa andrà integrata nelle scienze di base e nelle scienze cliniche del nostro curriculum e in processi di apprendimento via via più complessi come il basic life support, gli scenari ed i megacode, ne quali gli studenti saranno chiamati a risolvere situazioni cliniche di progressiva complessità. Si potrà così costruire una scala progressiva di apprendimento pratico dal I al VI anno di corso.

Molti saranno portati a pensare che tutto questo significherà costi elevatissimi per i corsi di laurea, ma in realtà la simulazione della skill può e deve essere realizzata a basso costo. Infatti a stabilire l’efficacia del processo formativo non sarà il manichino a bassa od ad alta fedeltà ma la capacità didattica del facilitatore, opportunamente integrata in un processo standard di formazione e valutazione. Per permettere a tutti i Corsi di Laurea di iniziare ad organizzare in modo uniforme ed efficace questa didattica, si potrebbe sviluppare un modello progressivo, in cui le nuove skill potranno essere inserite man mano che le precedenti raggiungeranno  la piena efficienza nella formazione.

In conclusione la realizzazione di un programma comune di preparazione, insegnamento e valutazione delle skill significherà dare alla nostra didattica un ruolo più definito, permettendo di dare l’avvio ad un interessante processo di omogenizzazione e integrazione tra i Corsi di Laurea in Medicina delle facoltà italiane.

L’elaborazione del mandato

A conclusione della relazione iniziale, gli studenti del SISM hanno reso una eccellente dimostrazione di insegnamento e di valutazione dell’apprendimento, con l’uso del manichino per basic life support (BLS), avente per oggetto la corretta esecuzione delle manovre di BLS. A conclusione della dimostrazione, in cui sono stati messi chiaramente in evidenza i concetti espressi nella relazione dell’esperto, si è avviata una interessante discussione sul mandato ricevuto dal gruppo di lavoro.

Al termine del dibattito sono state formulate le proposte sotto descritte, che sono messe all’attenzione dei Presidenti dei Corsi di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia.

A) Le abilità: core curriculum condiviso e per complessità crescenti

– Assoluta necessità di definire un core curriculum di attività pratiche da eseguire con uso di skill lab, che sia condiviso a livello nazionale;

– debbono essere previste modalità condivise di erogazione corretta agli studenti;

– deve essere fatto riferimento ai diversi gradi di complessità, dallo skill al megacode alla simulazione, da posizionare in progressione verticale all’interno del corso in anni diversi dal primo al sesto;

– è preferibile utilizzare un numero limitato di abilità, ma che siano standardizzate, essenziali e erogate sistematicamente a tutti gli studenti iscritti.

B) Preparazione all’insegnamento ed alla valutazione in forma standardizzata

– Vi deve essere la responsabilità di un docente coordinatore che sappia dare le basi standardizzate della formazione, in questo setting particolare, ai facilitatori che opereranno a diretto contatto con gli studenti;

– il gruppo di lavoro ha sottolineato l’importanza che il facilitatore debba essere adeguatamente preparato e sappia gestire un rapporto di comunicazione corretto con gli studenti con cui dovrà interagire;

– il processo di formazione non può prescindere dalla valutazione di quanto appreso dallo studente, che sia correttamente standardizzata ed effettuata attraverso l’uso corretto di griglie condivise per la misurazione delle abilità apprese dagli studenti.

C) Integrazione verticale delle abilità nel corso di studi

– Il gruppo di lavoro ha ribadito l’importanza dell’integrazione delle scienze di base con le scienze cliniche, soprattutto nella fase precoce del percorso di studio;

– l’integrazione nei sei anni di corso deve essere inoltre organizzata per complessità crescente delle manualità da apprendere attraverso l’uso dello skill lab (BLS, scenario, megacode);

– sarebbe inoltre auspicabile un accordo nazionale sulla distribuzione delle abilità negli anni di corso, necessario a garantire trasferimenti corretti e preparazione omogenea, almeno per quelli definiti come irrinunciabili.

D) Ipotesi di risorse e costi riferibili ad un corso con 80 studenti per BLS/ALS

– Necessità della presenza di almeno 6 formatori per BLS e ALS;

– uso di manichini a basso costo (n. 4 family pack per BLS) da utilizzare per tutti gli studenti dal primo anno di corso (turnazioni con gruppi di 12 studenti);

– uso di manichini a costo maggiore (n. 2 per ALS) per scenari più comuni di intervento negli anni successivi (turnazioni con gruppi di 12 studenti);

– i simulatori sono utili soprattutto nell’area dell’emergenza, ma sono caratterizzati dall’altissimo costo.

E’ ipotizzabile un investimento iniziale di circa 15.000 euro.

Laboratorio No. 2

Tema: Il Paziente Simulato

Esperto: Egidio A. Moja (Milano Statale)

Dimostratori: Felice Sperandeo (SISM Roma Sapienza “D”) e Giulia Casoli (Milano, attrice)

Facilitatore: Fabrizio Consorti (Roma Sapienza “C” – SIPeM)

Contenuti del Laboratorio

Un paziente simulato o standardizzato – chiariremo in seguito alcune differenze tra questi due termini – può essere definito come una persona che:

1) ha avuto un training per interpretare un paziente (la sua storia, i suoi sintomi) in un modo realistico,

2) utilizza tale competenza in corsi pre- o post-laurea di educazione medica.

Pazienti simulati e standardizzati vengono con crescente frequenza utilizzati nei percorsi formativi in medicina. In queste note, dopo una breve precisazione terminologica, accenneremo alle ragioni di questo sempre più largo utilizzo e descriveremo la nostra esperienza di giochi di ruolo con pazienti simulati all’interno del Corso di Laurea in Medicina (Polo San Paolo) di Milano.

Terminologia

Molti autori usano in modo intercambiabile i termini simulato e standardizzato; altri sottolineano che la principale caratteristica del primo termine rimanda alla capacità di simulare, il secondo alla capacità di simulare ed alla stabile coerenza dei dati forniti. Un esempio: portando una storia di alcolismo un paziente simulato sarà tenuto a fornire una serie di dati appresi sulla sua dipendenza e sui suoi sintomi ma avrà una certa libertà nel descrivere altri dati personali, famigliari o sociali; in una situazione standardizzata anche questi dati verranno con ogni cura predefiniti e appresi dal paziente attore.

Sia i pazienti simulati che i pazienti standardizzati possono naturalmente essere utilizzati per l’insegnamento e la valutazione di abilità nel campo della comunicazione e dell’esame obiettivo fisico. I pazienti-attori – sia simulati che standardizzati – sono però persone sane che possono mimare un sintomo ma non averne l’obiettività. A questa “mancanza” pone un parziale rimedio quello che va sotto il nome di simulazione ibrida. Nella simulazione ibrida ai pazienti-attori si aggiungono dispositivi tecnologici che forniscono le componenti fisiche che i pazienti-attori non possono avere. Ad esempio, in una situazione di simulazione ibrida lo studente appoggia lo stetoscopio al torace dell’attore e una fonte remota trasmette i suoni di una predeterminata patologia.

Le ragioni di un utilizzo sempre più frequente

Tradizionalmente il contatto con il paziente (raccogliere la sua storia, visitarlo…) rappresenta il momento fondamentale e irrinunciabile nella formazione dei futuri medici. Perché, allora, introdurre (anche) pazienti-attori nel loro curriculum?

Si possono elencare una serie di condivisibili ragioni. Una prima serie di ragioni nasce dai percorsi di cura contemporanei che vedono una progressiva contrazione dei posti-letto ospedalieri e dei tempi di degenza ed una maggiore attenzione alla medicina territoriale: tutto questo determina una riduzione del numero dei pazienti che gli studenti possono incontrare nel loro percorso formativo. Una seconda serie di ragioni nasce dalla crescente riluttanza da parte di molti pazienti a collaborare con le esigenze educative di Ospedali universitari. Una terza nasce dall’attuale maggiore attenzione a evitare ai pazienti ogni manovra o passaggio non strettamente necessari.

Si può osservare che le ragioni finora citate sono, come dire, in negativo: siamo costretti ad utilizzare (anche) pazienti-attori. Ve ne sono però molteplici in positivo. Sul piano comunicativo ci sono aree drammatiche o delicate – ad esempio, dare cattive notizie o raccogliere dati in ambito sessuale – in cui esercitarsi in un ambito protetto prima di incontrare pazienti reali appare doveroso addirittura da un punto di vista etico. Sul piano delle storie cliniche i pazienti-attori possono essere formati ad interpretare i casi più disparati fornendo agli studenti una varietà di esperienze che può superare quella dei pazienti ricoverati. Sul piano pratico i pazienti-attori possono imparare ad adeguare la difficoltà del caso al livello di esperienza dello studente; possono replicare più e più volte il medesimo caso favorendo un progressivo apprendimento da parte dei discenti; possono, al termine della consultazione, discuterne punti di forza e punti di debolezza. Un ultimo, certo non trascurabile, vantaggio dei pazienti simulati risiede nel loro utilizzo nei momenti valutativi. L’esame al letto del paziente dovrebbe rappresentare l’ultimo e più convincente passaggio della formazione dello studente. Due sono i principali fattori che rendono discutibile l’oggettività di una valutazione di tale passaggio: la variabile difficoltà dei casi clinici e la soggettività dell’esaminatore. L’impiego di  simulazioni, e in particolare di simulazioni ibride, potrebbe azzerare il primo fattore e ridurre considerevolmente il secondo.

L’elaborazione del mandato

Il laboratorio ha avuto un taglio fortemente interattivo, proponendo alcune riflessioni teoriche iniziali, seguite da numerosi esempi dal vivo o video-ripresi, che hanno permesso ai partecipanti di percepire, anche se solo attraverso rapidi assaggi, caratteristiche e potenzialità delle attività educative basate su pazienti simulati.

L’elaborazione del gruppo rispetto al mandato di lavoro si è prodotta quasi spontaneamente, nel corso stesso delle attività laboratoriali. Sono state condivise alcune esperienze in atto, relative alla disponibilità di locali attrezzati a laboratorio delle abilità, capace di ospitare azioni simulate e videoriprese o all’utilizzo già sperimentato di pazienti simulati, limitatamente alla formazione alle sole abilità cliniche, senza particolare attenzione agli aspetti comunicativi e relazionali.

Circa la collocazione curriculare dell’utilizzo dei pazienti simulati, il gruppo ha convenuto sulla loro utilità negli anni clinici, anche se sono stati ravvisati buoni motivi per iniziare già dagli anni di base, come introduzione progressiva e controllata alle abilità relazionali. Quest’ultimo dominio è stato unanimemente riconosciuto come quello più peculiare per questa metodica.

Le criticità riscontrate sono riassumibili nel problema della sostenibilità di questo tipo di attività per un intero gruppo-classe, qualora si volesse uscire dall’utilizzo limitato ad un’ADE e indirizzato a pochi studenti. Esistono problemi di tempo curriculare, di spazi dedicati e soprattutto di preparazione dei docenti. Volendo però cogliere quest’ultimo aspetto come opportunità, è stato osservato che la formazione all’impiego dei pazienti simulati è utilizzabile anche per promuovere un approccio alla formazione che sia maggiormente student-centred.

Sono state indicate come azioni propedeutiche l’utilizzo dei film, la  formazione dei formatori e la formazione degli attori. E’ anche indispensabile l’adozione di un modello pedagogico del CLM che non renda l’esperienza coi pazienti simulati un evento avulso e isolato.

Laboratorio No. 3

Tema: L’e-learning

Esperti: Marco Masoni e Maria Renza Guelfi (Firenze)

Dimostratore: Eleonora Leopardi (SISM Roma Sapienza “B”)

Facilitatore: Rosa Valanzano (Firenze)

Contenuti del Laboratorio

Per meglio comprendere quale possa essere il vero apporto della formazione a distanza nel futuro dell’educazione è opportuno sostituire il termine e-learning, che indica genericamente l’uso delle tecnologie telematiche a fini di apprendimento, con Technology Enhanced Learning (TEL) che si focalizza sulle modalità offerte dalla Information and Communications Technology (ICT) di migliorare/ottimizzare i processi di apprendimento, favorendo i differenti stili ed offrendo flessibilità in termini di spazio, tempo, ritmi personali nell’affrontare gli argomenti di studio.2

Il TEL appare particolarmente appropriato in ambito universitario, in cui la qualità della didattica deve essere elevata e mai subordinata ad istanze aziendali, economiche o politiche, come può invece accadere in altri contesti.

Sono stati analizzati gli approcci TEL considerati più adeguati ed efficaci per la formazione professionalizzante degli studenti del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia. Il dimostratore (studente SISM) ha navigato all’interno di corsi online a differente strutturazione, cercando di esplicitare i processi mentali coinvolti durante l’interazione, trasferendo ai presenti considerazioni e meta riflessioni che sono state oggetto di discussione. In questo modo sono stati visionati e analizzati diversi ambienti virtuali di apprendimento, alcuni dei quali prediligevano l’interazione con i materiali ed altri in cui prevaleva la componente di costruzione collaborativa di conoscenza. Gli approcci TEL mostrati sono stati ordinati e tassonomizzati, in funzione di una classificazione proposta da Trentin.3 La maggioranza dei corsi online analizzati sono stati sviluppati all’interno della Scuola di Scienze della Salute Umana dell’Università di Firenze.

Se opportunamente progettato, il TEL può favorire l’acquisizione di competenze trasversali di tipo tecnologico, cooperativo/collaborativo e interdisciplinare che superano le tradizionali di dominio e che possono essere molto utili nell’esercizio della pratica clinica. Benché le potenzialità del TEL nell’apprendimento individuale siano non trascurabili, occorre sottolineare che è soprattutto tramite la costruzione di ambienti di apprendimento collaborativi che si crea un humus adatto all’acquisizione delle competenze trasversali sopra menzionate.4

In merito alle competenze tecnologiche, è intuitivo che una didattica basata su ICT contribuisca ad un migliore uso professionale della rete sia nell’auto-apprendimento che nell’interazione con una comunità professionale.

Proporre ambienti virtuali di apprendimento in cui lo studente deve interagire con docenti e discenti favorisce l’acquisizione di competenze cooperative/collaborative. La progettazione e la realizzazione a più mani di artefatti, il rispetto delle scadenze e le modalità di relazionarsi nel lavoro di gruppo sono attività che comportano educazione alla mediazione, alla negoziazione ed all’argomentazione di idee, favorendo l’accettazione di quelle altrui. A ciò consegue la necessità di acquisire la capacità di dialogare attraverso la parola scritta, con continuo confronto e mediazione, alla luce della necessità di accettare e confrontarsi con visioni multiprospettiche spesso non coincidenti.

Infine, l’utilizzo di strategie collaborative in rete favorisce l’educazione all’interdisciplinarietà, aspetto centrale di fronte al rapido avanzamento della conoscenza in ogni settore del sapere. In particolare il corpus informativo presente in rete rende la ricerca di informazioni un’attività fondamentale per l’aggiornamento del medico che conduce al recupero di documenti con contenuti che vanno oltre la disciplina di studio, che comunque necessitano di oculata interpretazione e valutazione.

L’elaborazione del mandato

In un’epoca di sempre più rapido progresso scientifico e tecnologico, l’acquisizione di competenze tecnologiche, cooperative/collaborative e interdisciplinari è centrale in un’ottica di life-long learning, in cui il medico dovrà provvedere autonomamente al proprio aggiornamento sia mediante un apprendimento individuale che attraverso processi di gestione/condivisione della conoscenza che si attuano in collaborazione con altri. Queste due diverse modalità di aggiornamento possono essere influenzate in misura considerevole dalla rete.5 Secondo questa visione, il TEL diventa cruciale come preparazione ad uno sviluppo professionale continuo poiché consente l’acquisizione di competenze che spaziano oltre lo specifico ambito disciplinare, ma che possono rivelarsi determinanti nell’esercizio della prassi clinica.

Per diffondere nuovi approcci al TEL capaci di migliorare la qualità della formazione all’interno di un Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia occorre superare un’ottica individuale e talora autoreferenziale per passare a una visione organizzativa. È necessaria una strategia che miri a ottenere un consenso ampio tra tutte le componenti di governance, attuando politiche globali di coinvolgimento del personale docente, accompagnate a una mission ed operatività tali da garantire un appropriato sviluppo istituzionale capace di trasformazione.6

Laboratorio No. 4

Tema: L’esame obiettivo tra pari e l’insegnamento al letto del paziente

Esperto: Oliviero Riggio (Roma Sapienza “B” e “C”)

Dimostratore: Laura Vivalda (SISM Torino)

Facilitatore: Carlo Della Rocca (Roma Sapienza “E”)

Contenuti del Laboratorio

Preliminarmente è stata sottolineata l’importanza dell’esame obiettivo nella pratica clinica, anche attuale, nonostante la sempre maggiore, deprecabile, tendenza di sostituirlo mediante l’utilizzo di tecniche di immagine ed esami di laboratorio sempre più sofisticati. In questo senso è stato rilevato come l’introduzione dell’esame obiettivo tra pari possa almeno parzialmente ovviare alle sempre maggiori difficoltà connesse all’insegnamento di questa abilità “teorico-pratica”, ma anche “metodologica”, nell’attuale contesto di sempre maggiore diminuzione dei rapporti docenti/discenti e discenti/assistiti “fruibili” per attività didattiche. Nel tentativo di definire le reali potenzialità di tale metodologia didattica è apparso utile confrontare, prima di tutto, le due tipologie classiche di esame obiettivo: l’esame obiettivo sistematico e l’esame obiettivo guidato da ipotesi (Figg. 1 e 2).

A questo punto è apparso utile analizzare i vantaggi e i problemi dell’apprendimento tanto dell’esame obiettivo in ambiente clinico che nella situazione tra pari.

Schematicamente:

Apprendimento dell’esame obiettivo in ambiente clinico

Vantaggi

– Didattica focalizzata su problemi reali

– Svolto nel contesto professionale reale

– E’ il solo ambiente in cui abilità come la raccolta dell’anamnesi, l’esecuzione dell’E.O., il ragionamento clinico, il prendere decisioni, l’empatia e la professionalità possono essere apprese nel loro insieme.

Problemi

– Tempi limitati

– Esigenze in conflitto (cliniche, amministrative)

– Troppi studenti, pochi pazienti, scarse risorse

– Didattica spesso contingente ai pazienti disponibili (difficilmente pianificabile)

– Sistematicità difficile

– Dignità e privacy del paziente

 

Apprendimento dell’esame obiettivo tra pari

Vantaggi

– Attuabilità: basta una stanza con un lettino

– Attrezzatura: minima (Sfignomanometro, termometro)

– Costi: praticamente zero

– Apprendimento rinforzato da possibilità di ripetizione del gesto (allenamento) praticamente infinita dall’osservazione reciproca

Problemi

– Reperti patologici

• praticamente assenti

• necessità di affiancare lo studio dei reperti patologici con sussidi didattici come foto, registrazioni di rumori patologici, ecc. che non potranno mai sostituire la pratica sul paziente.

Infine è stata elaborata la problematica connessa alla differenza di genere naturalmente presente negli studenti attori dell’esame tra pari, rilevando che anche con l’esclusione della sfera genitale, dell’esplorazione rettale e della mammella femminile, per le quali non esiste spazio nell’ambito di questa metodologia didattica, possono generarsi situazioni di disagio che devono essere serenamente gestite nel rispetto del pudore dei singoli e che comunque, anche in base alla letteratura internazionale, sono confinate a piccole percentuali di casi di solito insorti a causa di una non appropriata gestione da parte del tutor dell’approccio iniziale.

 L’elaborazione del mandato

Questa fase del laboratorio è stata introdotta da un’efficacissima dimostrazione, condotta dagli studenti del SISM, di un esempio di esame obiettivo tra pari. Gli studenti si sono alternati nei ruoli di “attore”, colui che esegue l’esame obiettivo, di “modello”, colui che simula l’assistito, e di “scriba”, colui che rileva l’uso corretto della terminologia usata e degli atti ispettivi effettuati mediante l’uso di “griglie” standardizzate pre-confezionate.

A seguito della dimostrazione è apparsa chiara a tutti l’estrema applicabilità ed utilità dell’esame obiettivo tra pari per l’apprendimento dell’esame obiettivo sistematico. Il dibattito in seno al laboratorio si è incentrato sulle ragioni per le quali l’esame tra pari rappresenti attualmente una pratica poco diffusa. Le problematiche rilevate sono state essenzialmente di tipo organizzativo e logistico, ma che appaiono comunque risolvibili tramite un’almeno parziale centralizzazione dell’organizzazione delle ADP a livello di coordinamento di semestre o comunque tramite un reale coordinamento delle stesse. E’ evidente che necessitano comunque spazi nei quali gli studenti possano “allenarsi” anche in autonomia e un certo numero, se pur limitato rispetto a quello richiesto nella ADP in contesto clinico, di tutor clinici, formati, che avviino e controllino le attività di apprendimento degli studenti. E’ stato infine ricordato il vantaggio della valutabilità della performance anche ai fini di una sua eventuale inclusione in contesti di esame pratico.

In conclusione si è ritenuto che l’esame obiettivo tra pari rappresenti una valida metodologia didattica che può permettere l’acquisizione di competenze professionali metodologiche di base (esame obiettivo sistematico) come la semeiotica del “normale” anche in ambito specialistico. La fattibilità, sebbene con i limiti ricordati, è ampia ed è estendibile anche all’apprendimento dell’esecuzione di indagini strumentali non invasive (come l’ecografia).

Fig. 1 – Caratteristiche degli esami obiettivi sistematici e guidati da ipotesi. 

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Fig. 2 – Caratteristiche dell’insegnamento degli esami obiettivi sistematico e guidato da ipotesi. 

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Conclusioni

Al termine di questo atelier, a partire dal contributo degli esperti e dal dibattito nei laboratori è stato possibile concludere che le attività di simulazione sono diventate uno strumento indispensabile di insegnamento nei Corsi di Laurea in Medicina lungo tutto il percorso curriculare.

Dall’atelier sono emerse alcuni dei punti di forza dell’educazione medica basata sulla simulazione:

– risponde alle crescenti esigenze di attuare attività formative professionalizzanti (AFP);

– ovvia al problema della riduzione del numero dei docenti;

– ottimizza l’impiego del tutor clinico;

– favorisce forme attive e collaborative di apprendimento e forme pedagogicamente innovative (più efficaci) di insegnamento.

Dalla presentazione degli esperti e, ancor più, dai laboratori, è emerso che l’educazione medica basata sulla simulazione è fattibile nella generalità dei CLM in Medicina Italiani:

– i costi della simulazione (a bassa tecnologia) necessaria alle esigenze di un CLM in Medicina sono contenuti;

– le attività di simulazione richiedono l’intervento iniziale di un tutor clinico ma poi gli studenti possono esercitarsi “tra pari”;

– anche la progressiva creazione di un centro di simulazione è fattibile.

Certo, è apparso chiaro che la simulazione richiede un forte coordinamento (trasversale e longitudinale) dell’attività didattica. Occorre:

– programmare le AFP del core curriculum in una progressione curriculare;

– programmare la valutazione dell’acquisizione delle AFP (nell’ottica dell’esame di laurea abilitante);

– programmare in modo omogeneo la formazione dei formatori (all’insegnamento e alla valutazione).

Non va nascosta una criticità che risiede nel fatto che.la simulazione è di facile realizzabilità in un contesto elettivo, mentre è nel contempo necessario ma anche assai più impegnativo estenderla all’intero gruppo-classe.

La CPPCCLM ha fin qui svolto un ruolo prezioso nella valorizzazione delle AFP, fino alla promozione dell’esame di laurea abilitante. Per favorire l’adozione in tutti i CLM Italiani di tecniche di educazione medica basata sulla simulazione la CPPCCLM deve continuare a svolgere un ruolo trainante. Per farlo, la CPPCCLM deve favorire:

– progetti formativi condivisi,

– il core curriculum nazionale,

– la standardizzazione delle attività formative e valutative,

– il coordinamento trasversale e longitudinale delle attività formative,

– la formazione dei formatori,

– l’analisi dei costi e la programmazione.

La prosecuzione naturale di questo atelier sarà un nuovo incontro (Alghero, Ottobre 2014) dal titolo “Verso una laurea professionalizzante: certificazione delle Competenze professionali”. I temi dei 4 laboratori saranno

– Il Paziente standardizzato

– L’OSCE

– Il Portfolio

– Il Tirocinio certificativo

Medicina e Chirurgia darà prontamente conto dei risultati di questo nuovo atelier in un prossimo numero della Rivista.

Bibliografia

1) Ziv A: Simulators and simulation-based medical education. In: Dent JA e Harden RM (eds) A Practical Guide for Medical Teachers, pp. 217-222. Churchill Livingstone, Edinburgh, 2009.

2) TEL Committee, University of Texas (2004), Report of Technology Enhanced Learning Committee. URL: http://www.utexas.edu/provost/research/TEL_Report_2004.pdf (acceduto il 13/3/2014)

3) Trentin G Tecnology Enhanced Learning e didattica universitaria: i diversi approcci e i motivi della loro scelta. Tecnologie Didattiche 2006 37(1):3-9

4) Trentin G Dallo studio individuale all’apprendimento in rete: i diversi ruoli delle tecnologie informatiche e della comunicazione. In book: Simulazioni interattive per la formazione giuridica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2007 Editors: D. Giuli, N. Lettieri, N. Palazzolo, O. Roselli, pp.55-71

5) Masoni M, Guelfi MR, Conti A, Gensini GF. E-learning in Sanità. Springer 2011

6)Masoni M, Guelfi MR, Conti A, Gensini GF.  Gli Atenei e le Facoltà di Medicina e Chirurgia di fronte alla sfida dell’e-learning. Clinical Management Issue 2009; 3(4):133-180

Cita questo articolo

Gallo P., Casoli R., Consorti F., et al., Verso una Laurea professionalizzante. 1° Acquisizione delle competenze professionaliMedicina e Chirurgia, 62: 2797-2804, 2014. DOI:  10.4487/medchir2014-62-4